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UNDICESIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Il presente volume, secondo della serie undicesima, contiene il materiale relativo al periodo l o gennaio-30 giugno 1949 e fa quindi seguito alla documentazione pubblicata nel volume primo, con cui s'era iniziata la presentazione dell'attività politico-diplomatica del quinto ministero De Gasperi, che sarà naturalmente completata fino alla sua scadenza (26 gennaio 1950) nel terzo volume.

La documentazione del semestre qui compreso ha un carattere di stretta continuità con il volume precedente essendo la cesura dovuta a ragioni editoriali, come del resto avviene, anche se non nella stessa misura, con il volume seguente. Questa parte centrale dell'azione di politica estera del quinto ministero De Gasperi ha però anche una sua autonomia in quanto in essa maturano e si effettuano le due grandi scelte compiute da quel ministero, la scelta europeista e quella atlantica, che ancor oggi, a più di cinquant'anni di distanza, improntano la politica estera italiana.

Si tratta di argomenti noti e variamente studiati in tutto o in parte, sì che potrebbe sembrare che il materiale qui presentato non sia in grado di apportare novità alle conoscenze della comunità scientifica. E invece il riscontro di quanto noto con il materiale qui raccolto offre la possibilità di significativi approfondimenti e specificazioni: colpisce, in primo luogo, constatare nei documenti che la scelta europeista avviene anche in funzione della partecipazione all'alleanza per la sicurezza tra le due sponde dell'Atlantico. In secondo luogo, si vede in quale notevole misura il problema coloniale, in vista del suo esame da parte dell'Assemblea generale dell'ONU, influisce sul negoziato per il Patto atlantico, negoziato già difficile di per sé, per la diffusa ritrosia, tra i sette negoziatori originari, ad avere l'Italia nell'alleanza. Il problema coloniale, con la pervicace ricerca di una soluzione soddisfacente per l'opinione pubblica, ma anche per le forze politiche di maggioranza e d'opposizione, si colloca come un ostacolo notevole nell'azione diplomatica dell'Italia in coincidenza con i due negoziati di maggior rilievo per la ricollocazione internazionale del paese. La dissociazione dei problemi, che si opera normalmente nelle monografie, trova in questo materiale la sua naturale e logica ricomposizione.

C'è anche un quarto tema, oltre i tre menzionati della sicurezza, dell'europeismo e delle colonie, che si colloca tra i principali del semestre e si intreccia con essi, sia pure con un rilievo alquanto minore, ed è la trattativa per l'unione doganale italo-francese. Proposta da Sforza fin dall'estate del 1947, il relativo negoziato approda alla sua faticosa conclusione con il trattato firmato a Parigi il 26 marzo 1949. Cronologicamente, si ebbe poi, il4 aprile 1949, la sottoscrizione a Washington del Trattato dell'Atlantico del Nord, la cui trattativa peraltro s'era già conclusa ai primi di marzo con l'accettazione dell'Italia tra i paesi fondatori dell'alleanza. Il negoziato per «l 'Unione europea» -come originariamente si chiamarono le conversazioni che si svolgevano a Parigi sul tema della costruzione europea -ebbe termine con la firma a Londra, il 5 maggio 1949, del trattato istitutivo del Consiglio d'Europa. Il 6 maggio, infine, sempre a Londra, fu definito l'accordo italabritannico sulla sorte delle colonie ex italiane, il cosiddetto «compromesso BevinSforza», che, per sé, trattato non era e divenne presto caduco, essendo stato respinto, sia pure per la mancanza di un solo voto, dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 18 maggio.

Se a questi temi si riferisce la maggior parte della documentazione qui raccolta, non sono stati trascurati altri argomenti che hanno occupato la politica estera italiana del primo semestre 1949, quali la controversia con l'Austria circa l'applicazione della legge sulle riopzioni degli alto-atesini, i difficili negoziati con la Jugoslavia per tentare di comporre il contenzioso esistente, la situazione del Territorio Libero di Trieste, l'attenzione a rapporti politico-diplomatici più intensi con i paesi latino-americani, non solo con riferimento alloro voto all'ONu sul problema coloniale. Su questi temi minori la scelta del materiale è stata effettuata in modo da rispettare, dal punto di vista quantitativo, il rapporto con la documentazione sui temi maggiori quale risulta dall'insieme delle carte esistenti nell'Archivio storico del Ministero per questo periodo.

2. Questa precisazione ci porta a ricordare le altre fonti che hanno concorso a costituire la documentazione raccolta in questo volume. Esse sono l'Archivio centrale dello Stato, gli archivi degli Uffici storici delle tre Forze armate, e, soprattutto, l'Archivio privato Sforza e l'Archivio personale De Gasperi. A proposito del primo è da dire che le carte rimaste a Strasburgo presso la nuora di Sforza, dopo il versamento effettuato all'Archivio centrale dello Stato nel 1954 (e inventariate nel 1988), sono ora tutte conservate presso l'Archivio storico del Ministero. Circa l'Archivio De Gasperi, devo ringraziare sentitamente e con viva gratitudine la signora Maria Romana Catti De Gasperi per avere consentito di consultarlo nelle more del suo definitivo trasferimento all'Istituto universitario europeo di Firenze.

Infine, quanto all'Archivio storico del Ministero, è da tenere presente che se sono complete e ordinate le serie telegrafiche1 e quelle degli affari politici ed economici e del Gabinetto, nella serie della Segreteria generale non è stato rinvenuto il fascicolo relativo al negoziato per il Patto atlantico, che pure esisteva come è provato dal fatto che è stato certamente consultato dal professar Mario Toscano per il suo saggio L 'Italia e la nascita delle alleanze occidentali collettive postbelliche pubblicato nella rivista «Nuova Antologia», vol. 482 (maggio-agosto 1961), pp. 311-342 e 439-4682 A tale mancanza si è comunque potuto sopperire con il materiale prove

niente dai fondi delle ambasciate a Washington, Londra e Parigi, utilizzati anche, in qualche caso, per riportare al testo originario quei telegrammi giunti a Roma con gruppi indecifrabili o male decifrati.

1 Si ricorda che nei telegrammi provenienti dall'estero l'ora di partenza è quella del fuso orario locale.

2 Con alcune modifiche dei paragrafi l e 17 fu ripubblicato nella rivista «Storia e Politica», 1962, fascicolo I e Il, con il titolo Appunti sui negoziati per la partecipazione dell'Italia al Patto atlantico e poi incluso nella raccolta di saggi Pagine di storia diplomatica contemporanea, vol. II, Milano, Giuffré, 1963.

3. -Nelle varie monografie aventi per oggetto i problemi toccati dal materiale contenuto in questo volume, sono citati, in tutto o in parte, vari documenti che qui si pubblicano. Non se ne è potuto fare riferimento nelle note dato il loro numero. Quanto alle memorie dei protagonisti si è dato conto solo dei documenti già pubblicati dal ministro degli esteri Carlo Sforza nel suo volume Cinque anni a Palazzo Chigi (Roma, Atlante, 1951 ), perché costituiscono una traccia significativa per il lettore. Del pari è stato fatto costante riferimento, nelle note, alla raccolta statunitense (Foreign Relations ofthe United States) perché in vari casi, come ad esempio i verbali delle sedute dei sette paesi negoziatori del Patto atlantico, è più facile riscontrare quanto su di esse era in grado di riferire, per orientamento del Governo, l'ambasciatore Tarchiani. 4. -Questo volume, come il precedente, è il risultato di un lavoro collettivo compiuto con capacità e passione dal personale della segreteria tecnica della Commissione. In particolare, devo anzitutto ringraziare la dott. Antonella Grossi e la dott. Francesca Grispo, del ruolo esperti della ricerca, alle quali si deve la primitiva individuazione del materiale utile per la pubblicazione nell'Archivio storico del Ministero e negli altri archivi su ricordati e, dopo la mia selezione di quello da pubblicare (ben 1150 documenti), la sua preparazione per la stampa, l'indice-sommario e la tavola metodica, ossia il complesso delle attività necessarie per costruire il volume. Il ringraziamento è tanto più vivo in quanto la qualità del loro lavoro è stata superiore ad ogni possibile lode. Alla ricerca archivistica ha collaborato la dott. Paola Tozzi Condivi, alla quale si deve anche la preparazione dell'indice dei nomi, mentre il delicato compito della decifrazione e trascrizione degli autografi è stato svolto dalla signora Andreina Marcocci. Anche a loro un sentito ringraziamento.

PIETRO PASTORELLI

Numero i Provenienza

~~+-edata

l l Roma l ogennaio 1949

2 Nanchino 2 gennaio

3 Roma 2 gennaio

4 Roma 3 gennaio

5 Parigi 3 gennaio

6 Washington 4 gennaio

7 Santiago 4 gennaio

8 Santiago 4 gennaio

9 Roma 5 gennaio

lO Parigi 5 gennaio

11 Parigi 5 gennaio

12 Belgrado 5 gennaio

13 Varsavia 5 gennaio

14 Parigi 6 gennaio

15 Roma 6 gennaio

16 Roma 6 gennaio


DOCUMENTI
1

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 7/1. Roma, JO gennaio 1949, ore 22,30.

Mi rendo conto delle ragioni di cui al suo 1215 1 ma la comunicazione prescritta deve esser fatta anche per lealtà verso Schuman. Egli deve saper che l'emozione fu profonda e che se ebbe scarsa eco nella stampa fu esclusivamente per azione del Governo.

Se non può parlare con Schuman parli col segretario generale2 .

2

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3-8/1-2. Nanchino, 2 gennaio 1949, ore 19,10 (perv. ore 21,45). Mio 94 1•

Dopo convocati principali capi militari Chiang Kai-shek in messaggio nuovo anno ha dichiarato Governo essere pronto discutere pace se comunisti realmente la desiderano; pone come condizione che la pace negoziata non sia lesiva indipendenza sovranità nazionale, non violi costituzione e preservi forma di Governo democratico, salvaguardia forze armate e libertà del popolo; non preoccuparsi sua posizione personale se pace può essere raggiunta. Se invece comunisti non sono desiderosi pace, Governo, non avendo altra alternativa, difenderà zona Nanchino Shanghai ad ogni costo.

2 Con T. s.n.d. 16/1 del 3 gennaio Quaroni rispose che, data la momentanea assenza sia di Schuman che di Chauvel, aveva intanto inviato una comunicazione scritta in proposito. Per il colloquio con Chauvel vedi D. 10. 2 1 Del 20 dicembre 1948, non pubblicato.

Sviluppi più probabili appaiono ritiro Chiang e pace negoziata a condizioni dettate da comunisti. Gravità situazione militare ed interna, venir meno ogni illusione su esito finale, allontanarsi prospettiva guerra mondiale in cui inserire conflitto interno cinese, soprattutto rifiuto americano assumere nuovi impegni e mancato incoraggiamento prolungare resistenza trasferendo capitale Canton, hanno determinato offerta di pace.

Comunisti pochi giorni addietro pubblicarono lista cosiddetti criminali guerra comprendente Chiang e principali esponenti Kuomintang. Si ritiene tuttavia che comunisti, pur avendo, data situazione ed atteggiamento americano, vittoria finale virtualmente loro mani, abbiano interesse prestarsi compromesso onde assumere potere per via di negoziato con inerenti vantaggi anche agli effetti loro posizione internazionale.

Ambienti diplomatici americani, qui convinti futilità ulteriore azione ritardatrice in favore Chiang che non avrebbe modificato esito finale, si affermano fiduciosi che comunisti cinesi modereranno sia loro condizioni sia loro futura politica onde Cina possa continuare ricevere aiuto economico Stati Uniti, e mi danno anzi impressione avere avuto assicurazioni tal senso e farci affidamento. Si attende comunque reazione comunisti dichiarazione Chiang, ma anche dopo di essa responsabilità continuazione guerra di fronte opinione popolare ricadrebbe su comunisti. Sembra difficile che Chiang possa ormai rianimare spirito combattivo proprie truppe. Ambasciatore Stati Uniti mi ha detto ritenere desiderabile ma scarsamente probabile mediazione congiunta russo-americana.

l 1 A seguito della decisione della Commissione per gli affari esteri dell'Assemblea Nazionale francese, che il 29 dicembre 1948 aveva respinto all'unanimità il progetto di rettifica del confine italofrancese nella zona del Moncenisio, Sforza aveva richiesto a Quaroni (T. s.n.d. 14527/968 del 30 dicembre) di sollecitare una dichiarazione di Schuman che ne mitigasse le ripercussioni in Italia. Quaroni aveva risposto (T. s.n.d. 18720/1215 del 31 dicembre):«Data violenza unanimità reazioni Commissione parlamentare (non un solo deputato nemmeno più intimi amici Bidault ha osato dire una parola in favore accordo) ritengo sia impossibile chiedere Schuman sua dichiarazione o intervista. Governo è troppo instabile ed ha troppe difficoltà perché gli possa essere permesso prendere posizione contraria Parlamento».

3

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, MARRAS, AL MINISTRO DELLA DIFESA, PACCIARDI

RELAZIONE l 0 RPICSM. Roma, 2 gennaio 1949.

III. LE CONVERSAZIONI MILITARI2 • Riassumo qui di seguito l'essenza delle manifestazioni e dei colloqui fondamentali:

-il 3 dicembre la visita al generale Bradley assunse tutto il carattere di una impostazione degli argomenti da trattare. Io parlai per circa un'ora definendo i

2 Il testo dei primi due punti della relazione è il seguente: «l) La mia visita all'Esercito statunitense su invito del capo di S.M., generale O.N. Bradley, si è compiuta tra il 30 novembre e il 24 dicembre. Per il viaggio, tanto ali' andata quanto al ritorno, fu messo a disposizione un quadrimotore B.l7: uno dei quattro apparecchi devoluti a trasporto di autorità in lunghi viaggi. Mi accompagnarono, all'andata l'ambiasciatore Dunn ed al ritorno il consigliere d'ambasciata Page. L'arrivo avvenne alle ore 9,30 del 2 dicembre all'aeroporto nazionale di Washington. Fui cordialmente accolto dal generale Bradley e dai maggiori esponenti dello S.M., con gli onori militari. Da quel momento fu posto a mia disposizione il colonnello di S.M. Antony Biddle distintissimo ufficiale, già ambasciatore degli U.S.A. a Varsavia, che regolò lo svolgimento formale del programma e del cerimoniale con capacità ed amabilità veramente perfette.

La permanenza comprese tre periodi: un primo periodo a Washington per le visite e le conversazioni preliminari (2-6 dicembre); un secondo periodo di viaggio per la visita a centri di istruzione e impianti industriali a Detroit, Fort Knox, Fort Benning, West Point, New York (7-19 dicembre); un terzo periodo a Washington per conversazioni conclusive e le visite di congedo (20-22 dicembre).

L'ospitalità fu intonata al massimo rango militare: un rigoroso servizio di polizia a tutela personale; alloggio in appartamenti nei massimi alberghi di Washington, Detroit e New York; trasferimenti a mezzo dell'aereo personale del capo di S.M. statunitense o in treno-pullman o in autovettura di lusso; onori massimi durante le visite militari.

limiti della mia missione ed esponendo la situazione e le esigenze militari dell'Esercito italiano. Il generale Bradley rispose ringranziando per l'esposizione «chiara, precisa, veramente sincera» e poiché era imminente la sua partenza per un giro d'ispezione (fissato durante il precedente differimento della mia visita) mi disse di aver dato ordini a che gli ufficiali dello S.M. fossero a mia disposizione per esaminare attentamente gli argomenti da me prospettati: argomenti che avremmo conclusi al nostro ritorno a Washington, pressochè coincidente per entrambi3 .

-Il 6 dicembre ebbe luogo la prima conferenza militare al Pentagono, (Ministero difesa) presenti, in assenza del generale Bradley, il sottocapo di S.M. e quindici generali e ufficiali di S.M. Dopo il saluto rivoltomi dal generale Maddocks ho preso la parola. Ho premesso alcune indicazioni di carattere politico sulla base delle istruzioni ricevute dal presidente del Consiglio e dal ministro per gli affari esteri. Mi sono poi fermato sulla questione delle colonie, rappresentando tutte le considerazioni che militano a favore della loro restituzione, salvo opportuni accordi militari per la utilizzazione di alcune basi ai fini della difesa europea. Ho sottolineato le funeste ripercussioni che avrebbe avuto sulla opinione pubblica italiana una decisione contraria, specie come mezzo di propaganda contro il Governo. Ho parlato della situazione interna per assicurare che essa è perfettamente controllata e che le gravi preoccupazioni esistenti in alcuni ambienti stranieri non sono giustificate.

Ma ciò che merita particolare rilievo fu il tono di questa accoglienza ed ospitalità: tono cordiale, caldo che superò di gran lunga i limiti protocollari per entrare nel campo dell'amicizia schietta. I militari, particolarmente, mi ospitarono nelle loro accoglienti foresterie convertite per l'occasione-come mi fu detto-in piccole «Case d'Italia»; mi accolsero nelle loro famiglie, mi fecero visitare le loro abitazioni in ricevimenti talora spontaneamente improvvisati. Ma sopratutto mi esibirono il quadro completo della loro organizzazione e della loro attività con la sincerità più aperta.

II) Le cerimonie vere e proprie furono quattro: la deposizione da parte mia di corone portate dall'Italia alla tomba del Milite Ignoto e a quella del generale Pershing il 4 dicembre; una messa solenne su invito e con intervento del cardinale Spellman nella cattedrale di New York il 19 dicembre; la consegna da parte del generale Bradley a me della Gran Croce della Legione al merito il 21 dicembre; la consegna da parte mia al generale Bradley della Gran Croce dell'Ordine Militare d'Italia pure il21 dicembre.

Io feci visita ufficiale alle seguenti personalità: presidente Tmman, accompagnato dall'ambasciatore Tarchiani. Il presidente Tmman ha avuto espressioni di grande stima per l'attuale Governo italiano e per l'ambasciatore; gen. Eisenhower; sig. C. Royall, sottosegretario di Stato alla Difesa per l'Esercito e suo sostituto sig. Drajer; gen. Ornar N. Bradley, capo di S.M. dell'Esercito e suoi diretti collaboratori (ad eccezione del gen. Wedemeyer, allora assente per una missione nel Messico); amm. Denfeld, capo delle operazioni navali (capo di S.M. della Marina); gen. H.S. Vanderberg, capo di S.M. dell'Aeronautica; sig. William O' Dwyer, sindaco di New York.

Fui presentato al ministro della Difesa Forrestal, assente al momento del mio arrivo, il giorno 4 dicembre, in occasione di un solenne ricevimento al quale intervennero tutte le autorità militari e il Corpo diplomatico.

Offrirono inviti e ricevimenti vari in mio onore le seguenti personalità americane: cardinale Spellman; gen. O.N. Bradley, capo di S.M. dell'Esercito, gen. A.C. Wedemeyer, capo del Reparto piani e operazioni; amm. R.H. Hillenkoetter, capo del servizio informazioni dello Stato; gen. S.L. Irwin, capo del servizio informazioni dell'Esercito; Myron Taylor, rappresentante del presidente Tmman presso la S. Sede; Samuel Reber e William Sale, funzionari del Dipartimento degli esteri; col. A.l. Biddle dell'Ufficio collegamento del ministero Difesa; col. D.l. Crawford, direttore de li'arsenale di Detroit; il direttore generale delle esportazioni della Fabbrica Ford; gen. R. Allen, comandante della Scuola mezzi corazzati di Fort Knox; gen. W.A. Burress, comandante della Scuola di fanteria di Fort Benning; col. M.L. Miller, della stessa Scuola; gen. M.D. Taylor, comandante dell'Accademia di W est Point; gen. R. P. Woodmff, comandante interinale della I Armata, in assenza del titolare».

Ciò premesso ho esposto: -quanto è stato fatto, dopo l'entrata in vigore del trattato di pace, per dare un migliore assetto all'Esercito; -le linee generali del nuovo ordinamento che dovrà essere sottoposto al Parlamento;

-la situazione attuale dei materiali d'armamento e le necessità di ampio concorso, a completamento di quanto l'Italia potrà fare con i propri mezzi, limitatamente ai materiali meno complessi;

-la questione operativa.

Nei riguardi del suddetto concorso, tenuto conto dell'orientamento risultante dalla conversazione col generale Bradley, ho presentato una richiesta di materiali occorrenti per ogni divisione e una richiesta di materiali di più urgente necessità. Ho fatto, bene inteso, le necessarie riserve per le varianti che potessero risultare a seguito di varianti nell'ordinamento e conseguenti soprattutto all'adozione di nuovi materiali, sul tipo di alcuni recentemente adottati nell'esercito americano.

Nelle conversazioni ho fatto cenno alle necessità della Marina e dell'Aeronautica, risultanti dai promemoria affidatimi dall'ammiraglio Ferreri e dal generale Ajmone-Cat e da me consegnati ai rispettivi capi di S.M. degli U.S.A. In relazione ai dubbi affacciati in qualche ambiente circa una presunta ostilità americana alla creazione di basi aeree militari nella penisola ho posto genericamente anche tale questione.

Nei riguardi del problema operativo ho assunto a premessa la linea di difesa dell'Europa occidentale considerata attualmente sul Reno, giusta notizia avuta dal generale Clay. Ho messo in rilievo la grande importanza dell'Italia ai fini della difesa dell'Europa occidentale, del controllo del Mediterraneo e della protezione dei collegamenti col Vicino e Medio Oriente.

Ho prospettato quindi la convenienza di spingere l'attuale linea di difesa verso Oriente, includendovi il massimo delle Alpi settentrionali e riattaccandosi alla difesa della nostra regione di confine nord-orientale.

Durante la mia esposizione, alla fine dei singoli argomenti sono state formulate domande sui punti seguenti: situazione e possibilità dell'esercito sovietico; possibilità dell'Italia in guerra avendo di fronte o la sola Russia, o la sola Jugoslavia, o la Russia unita alla Jugoslavia; direzioni più probabili di una offensiva da Oriente verso l'Italia; pericolo comunista in Italia, con particolare riferimento a una situazione di guerra.

Il 20 dicembre ebbe luogo la conferenza conclusiva4 alla quale fu presente il generale Wedemeyer, tornato nel frattempo dal Messico. Vi intervennero ventuno fra generali capi reparto e ufficiali superiori capi ufficio.

Nei quindici giorni intercorsi la riunione era stata evidentemente preparata con molta cura, attraverso uno studio approfondito delle varie questioni da parte dei vari reparti ed uffici. Era prestabilito uno schema di trattazione.

Fece una premessa di saluto e di inquadramento il generale Maddocks. Seguirono: il col. G.S. Smith per la parte informativa; il brig. gen. C.V.R. Schuyler per la parte generale; il L.T. col. C.I. D avis per la parte economica e industriale; il brig. gen. C.V.R. Schuyler ancora per la parte operativa; il rear-adm. W.F. Boone per la

parte navale; il brig. gen. O.S. Picher per la parte aerea; il col. G.H. Schwartz per la parte addestramento; il col. R.W. Zwicher per la parte ordinamento.

Tutti esposero sulla scorta di appunti; qualcuno addirittura li lesse.

Dalle varie esposizioni emersero i seguenti punti fondamentali:

-l 'Esercito statunitense non è che un organo esecutivo delle decisioni del Congresso. È quindi fermo che ogni decisione di natura politica compete al Congresso e al Governo.

Il pensiero del Governo nei riguardi dell'Italia è però già stato espresso da Truman che, in un colloquio con l'ambasciatore Tarchiani, ebbe a considerare l'Italia come membro naturale di un raggruppamento delle potenze europee occidentali. Gli Stati Uniti vedrebbero dunque volentieri l'Italia nel raggruppamento occidentale europeo. Questa partecipazione dell'Italia al raggruppamento suddetto è però questione che le potenze europee interessate devono decidere da sé; e su questo punto sarebbe opportuno che l'Italia facesse conoscere al più presto i suoi orientamenti.

Quanto all'Unione atlantica, è opinione che possano parteciparvi gli Stati atlantici e i paesi aderenti al Patto di Bruxelles. Naturalmente, si tratta di questioni che devono essere trattate per via diplomatica. L'inizio degli aiuti militari ha carattere segreto. Comunque, è opinione delle autorità militari che il Patto atlantico possa realizzarsi la primavera prossima. Non c'è però ancora relazione diretta fra il Patto e il programma di riarmo. Si spera che in proposito siano emanate apposite leggi dal Congresso.

-Gli aiuti militari all'Italia da parte degli U.S.A. si inquadrano negli aiuti militari agli Stati aderenti al Patto atlantico sui quali ancora deve pronunciarsi il Congresso e nei rapporti dell'Italia con gli Stati aderenti a questo Patto. L'Italia potrebbe cioè ricevere aiuti per il suo riarmo, subordinatamente alla sua adesione al Patto di Bruxelles e alla sua successiva inclusione nel Patto atlantico. Però gli U.S.A., per dichiarazione fatta da Marshall nel 1947, sono interessati al mantenimento della sicurezza in Italia. I rifornimenti militari già concessi ne sono una prova. Sicché, se fosse avvertita una situazione di pericolo per la sicurezza interna prevarrebbero -nei riguardi degli aiuti militari considerazioni più favorevoli e rapide. Essenziale è che l'Italia mantenga la propria sicurezza interna. E a tale proposito «l'esistenza di formazioni militari comuniste e i notevoli quantitativi di armi in loro possesso non si conciliano con la sicurezza interna».

A questo punto ho chiesto se, in attesa delle disposizioni del Congresso a prescindere dalla sicurezza interna, l 'Italia potrebbe ottenere i materiali inclusi nella richiesta urgente in modo analogo a quanto risulta applicato alla Francia (materiali per l'armamento di tre divisioni).

Il generale Wedemeyer è intervenuto dichiarando che la concessione fatta alla Francia si riferisce ad impegno assunto subito dopo la guerra; non a programma recente.

-Circa la Jugoslavia lo S.M. americano pensa che nonostante l'attuale atteggiamento di Tito, il paese in caso di guerra farà fronte coi paesi sovietici e che si deve contare sulla possibilità jugoslava di eseguire da sola operazioni offensive contro l'Italia.

-Quanto alla linea difensiva dell'Europa occidentale inglobante l'Italia, da me proposta, essa è considerata come la più logica e preferibile, ma non sarà possibile orientarsi ad essa fino a che la posizione dell'Italia permarrà incerta. Fino ad allora sarà necessario attenersi a una linea più occidentale svolgentesi lungo il Reno, la Svizzera, le Alpi occidentali; linea dietro la quale le truppe alleate di occupazione in Germania e Austria dovrebbero ripiegare. Se l'Italia manifesterà il suo desiderio di partecipare all'Unione europea occidentale è intendimento dello S.M. americano aderire alla linea proposta dal generale Marras. Alle forze terrestri assegnate alla difesa dell'Europa occidentale l 'Italia concorrerebbe con adeguato numero di divisioni schierate nella regione veneta. Occorrerebbe altresì presidiare contro offese di paracadutisti le zone interne di maggiore valore ai fini della condotta generale della guerra, compresa la regione di Roma.

-Circa il problema del Mediterraneo e delle colonie, lo S.M. americano pensa che questo mare abbia grande importanza strategica e che le colonie offrano ottime basi sia aeree che navali. Nel quadro delle operazioni nel Mediterraneo assumono particolare valore alcune basi navali ed aeree italiane (Napoli, Palermo, Foggia, Livorno, Spezia, Genova).

-La difesa aerea, subordinatamente all'inclusione dell'Italia nella area di difesa, interesserebbe prevalentemente le zone industriali e i punti chiave dell'interno.

-La posizione militare dell'Italia, entrata che fosse nella Unione dell'Europa occidentale, sarebbe analoga a quella degli altri Stati e la sua partecipazione allo Stato Maggiore combinato sarebbe analoga a quella di qualsiasi altro paese.

-L'industria italiana dovrebbe essere utilizzata al massimo per il fabbisogno delle FF.AA. italiane. Gli U.S.A. potrebbero fornire la assistenza tecnica; ma ciò dipenderebbe dalle decisioni del Congresso. Qualsiasi piano dello sviluppo industriale italiano non potrebbe prescindere dalla minaccia aerea. Pur essendo i fondi E.R.P. destinati alla ricostruzione economica parte di essi può essere proficuamente devoluta al potenziamento delle industrie attinenti alla guerra, ad esempio quelle siderurgiche e automobilistiche.

-Ufficiali italiani potrebbero frequentare scuole di addestramento americane, a cominciare dal settembre 1949. Il loro numero, che dipenderà dagli stanziamenti di bilancio, sarà notificato tramite diplomatico. Rimarranno a carico dell'esercito statunitense l'alloggio (con esclusione di quello per famiglia), l'assistenza medica, i libri e a carico dell'Italia le spese di trasferimento e vitto.

In complesso l'esposizione durò circa tre ore durante le quali fu risposto esaurientemente a tutte le questioni da me poste, alcune delle quali a carattere fortemente impegnativo. lo interruppi solo per chiarire alcuni punti, per riaffermare la sicurezza della nostra situazione interna e per sondare la possibilità -risultata negativa -di aiuti militari urgenti a prescindere da situazione interna.

In complesso la riunione fu caratterizzata da grande franchezza e pose in evidenza l'ottima disposizione dello S.M. americano per l'esercito italiano subordinatamente ad accordi politici ed a garanzie di sicurezza interna.

Il successivo giorno 21, vigilia della partenza, ebbi un colloquio conclusivo col generale Bradley5 , che mi confermò come le risposte datemi fossero basate su premesse politiche, non dipendenti dalle autorità militari, e come egli avesse tenuto a che queste risposte fossero franche, da soldato a soldato. Egli mi ringraziò altresì per l'apporto dato agli orientamenti operativi sulla difesa dell'Europa occidentale.

Anche il generale Wedemeyer ritornò sullo stesso argomento in un lungo colloquio dopo un pranzo offertomi nella stessa giornata della conferenza. Il generale Wedemeyer è persona di grande influenza, molto ascoltato dallo stesso presidente e inviato frequentemente in ispezioni anche in lontani teatri di operazione. Dopo aver rilevato che nelle sue risposte lo S.M. americano aveva voluto essere molto franco, anche nella parte che poteva non rispondere alle nostre richieste e alle nostre aspettative, ha messo in rilievo che per sua disposizione nulla era stato celato. Ha tenuto a sottolinearmi che in Italia esiste circa il 30 per cento di comunisti, i quali rappresentano indubbiamente un pericolo. Ha aggiunto che a suo avviso il comunismo deve essere contrastato essenzialmente nel campo politico, economico e anche culturale e psicologico.

Ho consentito su questo concetto ma ho tenuto a ribattere che la situazione interna non deve dare particolari preoccupazioni e ho affermato che l'esistenza di un esercito adeguato, capace di proteggere l'Italia contro una aggressione della Jugoslavia, rappresenta un potente fattore di tranquillità interna, nei riguardi delle masse incerte. Nel giudicare la situazione generale il gen. Wedemeyer si è dimostrato alquanto pessimista, considerando con preoccupazione i prossimi diciotto mesi.

IV. CoNVERSAZIONI VARIE. -L'ammiraglio Hillenkoetter, capo del servizio informazioni, si è dimostrato invece più ottimista, accennando anche a difficoltà interne della Russia nell'Ucraina e in genere in tutta la regione eurasiatica meridionale, oltre che alle resistenze che si manifestano in Polonia e all'atteggiamento di Tito. Egli giudica migliorata la situazione in Grecia, buona la situazione in Turchia, oberata per altro da un intenso sforzo finanziario. In Germania sarebbe prossima la proclamazione di un Governo della Trizonia. La Svezia starebbe orientandosi sempre più verso Occidente. La situazione in Cina viene giudicata gravemente compromessa; non è esclusa la formazione di un nuovo governo al quale gli U.S.A. sarebbero disposti a dare aiuto. Nei riguardi dell'Unione atlantica e della organizzazione della Europa occidentale, l'ammiraglio Hillenkoetter prevedeva decisioni importanti «nelle prossime settimane». -Durante il mio soggiorno a New York ho avuto un interessante incontro col generale Billotte, rappresentante francese presso lo O.N.U. per la parte militare. A quanto lascia intendere egli godrebbe di grande influenza presso i principali esponenti militari francesi, compreso il generale Revers. Si è dichiarato molto favorevole a uno stretto ravvicinamento italo-francese. Ha rilevato le indecisioni del ministro Ramadier, il quale temporeggia su importanti questioni. Mi ha esposto l'opinione che in Francia vi sia meno comunismo che in Italia, ma che colà vi sia per altro un Governo debole e instabile. A suo avviso la situazione volge in favore di de Gaulle. Si è dichiarato favorevole a contatti militari diretti italo-francesi, aggiungendo di aver già parlato in tal senso. Ha detto che il Patto di Bruxelles, militarmente, non ha alcun valore e che perciò, dietro suo consiglio, il generale Juin ha rifiutato di assumervi una carica. Ha auspicato l'ingresso dell'Italia nel Patto di Bruxelles e nell'Unione atlantica e dichiarato oltrepassate e meschine le preoccupazioni di alcuni ambienti france

si, i quali vedono nell'ingresso dell'Italia una diminuzione della quota parte di forniture americane.

Mi ha detto che, a suo avviso, occorrono per la difesa del Reno almeno 40 divisioni, di cui almeno 30 in copertura. Delle 40 divisioni 20 dovrebbero essere francesi. Attribuisce all'Italia la possibilità di contribuire alla difesa dell'Europa occidentale con una dozzina di divisioni, quanto si sposti la linea di difesa verso est, includendovi le Alpi settentrionali e tutto il territorio italiano.

Ha lamentato che in Francia venga lasciata scoperta la carica di capo di

S.M. della difesa dopo che il generale Juin è stato nominato residente generale nel Marocco.

Mi ha detto che gli Stati del Patto di Bruxelles stanno preparando le richieste di materiali per tre ipotesi: richieste immediate; richieste per un programma di due anni; richieste per un programma di cinque anni.

Lo Stato Maggiore U.S.A. starebbe preparando per suo conto il computo del fabbisogno dei singoli Stati europei. Esso intende tuttavia che ogni paese faccia quanto è possibile con i propri mezzi e non sarebbe disposto ad accogliere richieste esorbitanti.

Il Billotte sconsiglia di richiedere materiali completi per blocchi di divisioni. È molto favorevole alla restituzione di tutte le colonie all'Italia e consiglia di insistere anche per la Cirenaica.

Nel complesso il generale Billotte mi è sembrato un po' loquace, ma ben dotato di mezzi, franco, a noi favorevole. Non ho elementi per giudicare della sua attuale influenza, ma molto probabilmente egli appartiene al gruppo dei generali che, con largo seguito, occupano oggi i posti chiave (Juin-Revers-Koenig-Guillaume). Per inciso sembra che De Lattre de Tassigny abbia molte opposizioni e sia stato in qualche modo estromesso con la nuova destinazione. Altrettanto sarebbe avvenuto per Montgomery in Gran Bretagna .

-Il generale britannico Morgan, che fu già comandante delle truppe angloamericane nel teatro del Mediterraneo, trovasi attualmente a Washington come rappresentante inglese nel «Combined Staff» anglo-americano.

Egli era indisposto durante il mio primo soggiorno a Washington. Venni informato del suo desiderio di conferire con me e l'occasione fu fornita col pranzo offerto dal generale Wedemeyer. Il generale Morgan mi disse che l'Inghilterra è bene orientata verso l 'Italia, ma ha aggiunto che la perdita delle posizioni, nel Vicino Oriente, rende per essa necessario di avere altre basi nell'Africa settentrionale.

Ho risposto che a mio avviso tale necessità si può benissimo conciliare con la restituzione delle colonie all'Italia, mediante accordi particolari. Il generale Morgan mi è sembrato sinceramente amichevole. Non conosco tuttavia quale sia la sua reale influenza.

Il «Combined Staff» anglo-amenicano ha ormai perduto molta della sua importanza e, secondo quanto mi è stato accennato, il futuro organo militare combinato per l'Unione atlantica verrebbe costituito ex novo.

Devo rilevare che il generale Crawford, sottocapo di S.M. dell'Esercito britannico, da me conosciuto a un pranzo, si è dimostrato molto cortese ma riservato.

-Metto in particolare evidenza le accoglienze e le amichevoli dichiarazioni del cardinale Spellman, il quale ha voluto dare particolare rilievo a questa visita. Altrettanto da parte del mayor di New York, O'Dwyer, cattolico e in ottime relazioni col cardinale. Non posso non rilevare che nella colazione offerta, alla quale oltre al mayor e l'ambasciatore parteciparono il generale Pope, due generali e altri ufficiali americani, gli inglesi hanno fatto frequentemente le spese della conversazione.

-Per quanto riguarda la visita al generale Eisenhower, occorre tener presente che essa si è compiuta dopo che era stato dato annunzio del suo incarico come consigliere del ministro della difesa.

Qualcuno ha voluto vedere in tale designazione una specie di nomina a capo di

S.M. della difesa. Negli ambienti militari americani non si dava questa interpretazione. Anche la stampa parlava di incarico per ora temporaneo e rivolto in primo tempo al coordinamento dei bilanci militari per i nuovi aumenti richiesti sull'attuale grave carico di 147 miliardi.

Il generale Eisenhower ha gradito molto la coppa artistica di argento offertagli e ha ringraziato molto per le mie felicitazioni, dichiarandosi sempre pronto a dare la sua opera dove il presidente lo richiedesse.

L'ho orientato sulla nostra situazione e sulle nostre necessità e ho trovato in lui amichevoli sentimenti verso l'Italia. Mi ha fatto dono di un esemplare del suo libro recentemente pubblicato, con lusinghiera dedica e mi ha incaricato, recandomi in udienza dal Sommo Pontefice, di recargli il suo omaggio.

V. VISITE A CENTRI MILITARI E STABILIMENTI INDUSTRIALI6•

VI. Aggiungo alcune impressioni ricavate dalla mia visita: -L'Esercito americano ha assunto oggi parte cospicua nei confronti delle altre

forze armate. Il generale Bradley gode di grande ascendente anche nella Marina e nell'Aeronautica.

La visita ali' Arsenale fu particolarmente interessante, oltre che per la grandiosità degli impianti, per il duplice carattere dell'Arsenale (Centro Studi-collaudi e officine di produzione), per talune particolarità di lavorazione, per i nuovi tipi di carri in esperimento, per l'intensa attività di ripristino del materiale residuato di guerra. Le visite alle Scuole misero in luce l'imponente c modernissima attrezzatura didattica, la perfezione del metodo, la potenza dell'armamento, la cura dedicata alla preparazione addestrativa, il benessere di cui è circondato l 'Esercito.

Tutte le Scuole -Accademia di West Point compresa -sono sistemate in veri e propri centri militari, dove trovano pieno soddisfacimento tutte le esigenze dell'addestramento e le necessità di vita della truppa, dei quadri, delle famiglie. Valga l'esempio della Scuola corazzata di Fort Knox, costituente un centro di circa 35 mila abitanti, con un territorio di oltre 400 kmq. con capacità d'accantonamento per l 00 mila uomini, con 1500 appartamenti per i quadri con famiglia, con foresterie, teatri, campi sportivi, ospedali, banche, uffici postelegrafici, negozi di qualsiasi genere.

In occasione delle mie visite a Fort Knox e West Point furono organizzate due riviste con la partecipazione di tutti gli effettivi e, sia a Fort Knox che a Fort Benning furono compiute esercitazioni a fuoco: la prima con intervento di aerei.

Durante queste visite a carattere militare ho avuto conferma della attuale intensa attività formativa dei quadri e specializzati. Rilevo le seguenti notizie:

-l'Accademia di W est Point prepara anche gli ufficiali per l'Aeronautica -oltrechè per l 'Esercito -in attesa della creazione di apposita Accademia aeronautica. L'ambiente mi ha ottimamente impressionato, fatto riferimento alla prestanza e spirito militare dei cadetti, alla serietà degli studi, alla imponente attrezzatura.

-È entrato in funzione il considetto servizio generale, ossia il reclutamento di leva, iniziando lo con i cittadini non istruiti di 25 anni. Questo servizio mira essenzialmente ad aumentare le riserve istruite.

La forza dell'Esercito sta, oltre che nella potenza dell'armamento, nella perfetta attrezzatura didattica e nella capacità dei quadri. Gli ufficiali sono tutti dotati di larga esperienza, riferita anche a settori non militari.

Lo S.M. è bene sviluppato e specializzato. Vi è in esso un cosiddetto «ufficio piani» che segue sistematicamente la situazione nei vari settori geografici; traccia direttive; elabora piani con criteri di larga previdenza e a larga visione, nello spazio e nel tempo. È un vero ufficio di carattere politico-strategico. Uomini ed orientamenti di tale ufficio riscuotono tutta la considerazione del Dipartimento degli esteri.

-Tutte le autorità che ho avvicinate si sono dimostrate favorevoli all'Italia; e particolarmente favorevoli si sono dimostrate le autorità militari, ben comprese del valore strategico del nostro territorio e del contributo che il nostro Esercito può dare alla difesa europea.

Ho avuto però la sensazione che tra la conferenza preliminare ( 6 dicembre) e quella conclusiva (20 dicembre) si siano affermati criteri di maggiore precisazione rispetto a quelli iniziali.

Tale fatto potrebbe ascriversi o ad un tono di maggiore prudenza ispirato dal generale Wedemeyer, rientrato a Washington nell'intervallo tra le due conferenze, o ad intervento inglese volto a imporre il passaggio per il Patto di Bruxelles. Non escludo che sussistano tuttora dubbi sul nostro orientamento.

Ritengo perciò che una nostra decisione -ove sia stata fissata -debba essere sollecita, ad evitare di giungere in secondo tempo e di essere collocati in secondo piano. Un ripiegamento dell'Italia in questo momento non potrebbe che destare molti sospetti e avere conseguenze di grave portata.

-Sulla stabilità della nostra sicurezza interna persistono dubbi che sarebbe opportuno dissipare, illuminando meglio l'opinione pubblica americana sulla situazione italiana. L'esistenza di formazioni comuniste-disse testualmente il generale Schuyler nella conferenza del giorno 20 dicembre -e le armi da esse possedute non si conciliano con la sicurezza interna.

-Il problema delle forniture militari, risolta la questione politica, appare assicurato nel piano degli aiuti militari generali. È necessario però che l 'Italia dimostri di voler fare con i propri mezzi tutto ciò che è possibile, attuando un programma di produzione militare, specie di materiale-auto. La richiesta di materiali a carattere urgente, da giustificare con una situazione di emergenza interna, dovrebbe costituire un espediente a cui ricorrere solo previe intese e con le necessarie cautele.

-Il numero delle divisioni permanenti verrebbe portato, come prima tappa, al numero di 20. I materiali disponibili sarebbero molto abbondanti, a detta del generale Wedemeyer.

-Si sta riattivando la produzione bellica. Da notare che vengono revisionati a fondo e messi a nuovo alcuni tipi di carri armati usati durante la guerra. Intensa è l'attività per il perfezionamento dei materiali e per la creazione dei mezzi nuovi. Ampio sviluppo si pensa di dare, ad esempio, ai cannoni senza rinculo i quali, per la loro leggerezza e potenza, conferiscono alla fanteria una capacità tattica nettamente superiore rispetto all'antico.

In complesso si può affermare che l'esercito americano punta sempre sulla qualità, tanto in fatto di armamento quanto in fatto di addestramento».

Sottolineo l'interesse che lo S.M. americano dimostra all'aumento della nostra forza bilanciata, considerata come necessità inderogabile per non interrompere il nostro programma di riordinamento.

Tengo a mettere in evidenza tutto l'appoggio e tutte le cortesie ricevute dall'ambasciatore Tarchiani e dai suoi collaboratori, come pure dal console generale di New York.

In sintesi:

-L'ingresso dell'Italia nella combinazione politica occidentale è condizione preventiva per la fornitura dei materiali e per l'assistenza militare. Forniture e assistenza alle nazioni occidentali si inizierebbero presumibilmente nella primavera prossima.

-Gli interessi difensivi dell'Italia sarebbero tenuti in largo conto dopo le nostre decisioni politiche nel senso su indicato.

-La situazione interna dell'Italia viene considerata ancora non stabilizzata. Forniture urgenti di materiali potrebbero essere prese in considerazione soltanto in caso di necessità per ordine interno.

-Le decisioni dell'Italia sembrano attese a breve scadenza. Incertezze sul nostro contegno produrrebbero impressione molto sfavorevole sull'opinione americana. -Rilevate simpatie molte diffuse, specie negli ambienti militari.

3 1 In Archivio De Gasperi.

3 3 Su questo incontro vedi anche serie undicesima, vol. I, D. 704.

3 4 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 761.

3 5 Sui colloqui con Bradley, Wedemeyer e Hillenkoetter Marras aveva fornito alcune informazioni a Sforza con il memorandum del 28 dicembre 1948 (vedi serie undicesima, vol. I, D. 785).

3 6 Il testo di questo punto V è il seguente: «Intercalate alle conferenze e ai contatti di cui ho fatto cenno furono due visite a carattere industriale: alle officine automobilistiche Ford; all'Arsenale carri armati di Detroit; e tre visite a carattere strettamente militare: alla Scuola corazzati F ort Knox; alla Scuola di fanteria di Fort Benning; ali' Accademia di W est P o in t.

4

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 40/2. Roma, 3 gennaio 1949, ore 22.

Seguito mio 681 2 .

Dopo conferito col presidente del Consiglio autorizzo V.E. confermare nostra decisione intenderei cogli Stati Uniti per la difesa dell'Europa occidentale nell'interesse dell'indipendenza italiana e dell'Unione Europea.

Occorrendo che V.E. conosca tutti i nostri pensieri di fronte alla situazione interna e tutti i nostri doveri verso la nazione, le invio d'urgenza un breve memorandum3 in cui tutto è chiarito colla franchezza più assoluta.

Ella vedrà che non si tratta affatto di condizioni nel senso che da vari lati si insinuò ma di necessità di cui tener conto nell'interesse della nostra solidarietà

comune•

1951, Roma, Atlante, 1952, pp. 203-204.

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 786.

3 Vedi D. 15, Allegato.

4 Per la risposta vedi D. 6.

4 1 Ed. in CARLO SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi. La politica estera italiana dal 1947 al

5

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1/1. Parigi, 3 gennaio 19491•

Alla vigilia dell'inizio dei lavori delle commissioni per l'Unione doganale mi permetto fare presente alla E.V. alcune considerazioni:

l) Non so se il progetto redatto da Grazzi e Drouin sarà accettato dalla Commissione mista: ciò dipende in gran parte dalla pressione che il Governo francese farà sulla sua delegazione.

Ma è molto difficile, nonostante il relativo ottimismo dimostrato da Schuman, che esso possa essere accettato così come esso è dal Parlamento francese. In linea di massima, il Parlamento francese è favorevole all'Unione doganale, ma quando si tratta di scendere a problemi concreti, problemi che toccano interessi locali, sarà assai difficile potere raccogliere la maggioranza necessaria. Ne ho parlato recentemente con l'on. De Moustier, vice presidente della Commissione degli affari esteri, il quale è stato categorico: il progetto passerà a condizione che non ci sia niente di impegnativo e di concreto: egli conta, all'incirca, che vi saranno contrari, oltre ai comunisti, i deputati dell'Algeria e una parte rilevante dei deputati della Francia meridionale, per ragioni di concorrenza agricola. In particolare mi ha detto che la clausola che Grazzi, a giusta ragione, considera essenziale, quella dei pieni poteri ai Governi per la messa in esecuzione dell'Unione doganale non passerà mai al Parlamento francese. «Il Parlamento -mi ha detto -non accetterà mai una clausola che dia a delle persone come Alphand e Drouin dei poteri così estesi». Questo naturalmente a meno che il Governo Queuille o quello che all'epoca avrà il potere, metta sull'accettazione del progetto la questione di fiducia. Ma il Governo francese non metterà su questo la questione di fiducia.

Occorre ancora tener presente la situazione speciale del Consiglio della Repubblica dove tra comunisti e gaullisti hanno quasi la maggioranza assoluta. I gaullisti, quali che siano le loro effettive intenzioni al riguardo, non perderanno una occasione per mettere in scacco il Governo: d'altra parte, al momento attuale le relazioni fra gaullisti e Governo sono talmente tese che non mi sarebbe facile, a meno che sia Schuman stesso a chiedermelo (cercherò di persuader! o), cercare di indurii noi stessi a più miti consigli.

Ridotto in proporzioni assai meno impegnative di quanto sia il progetto attuale, esso può passare a condizione che il Governo francese si metta sul serio a lavorare opinione pubblica e Parlamento: cosa che a tutt'oggi esso non ha fatto.

Ho già richiamato la sua attenzione sull'argomento e continuo a farlo: sarà però bene che la nostra delegazione ponga ben chiaro ai colleghi francesi la questione: pensate che il vostro Parlamento ratificherà? In modo che, se ci dovessero essere delle sorprese, risulti chiaro dai processi verbali, che sono i francesi che si sono presi

tutta la responsabilità. Quello che è accaduto per l'accordo frontiere 2 ci autorizza perfettamente a mostrare un certo scetticismo circa le possibilità del Governo francese.

Dato questo, e quale che siano le assicurazioni che Schuman potrà darci, per quanto mi concerne non posso che fare tutte le mie riserve circa l'opportunità che il documento sia firmato il 25 gennaio da V.E., in forma solenne, con un apposito viaggio a Parigi. Spetta piuttosto a VE. che a me giudicare quali sarebbero le ripercussioni in Italia se un atto solennemente firmato dovesse poi essere respinto dal Parlamento francese: dubito però che esse sarebbero molto favorevoli: non fosse che a fini tattici mi domando se non sia meglio proporre che il progetto venga direttamente sottoposto al Parlamento, e firmato solo dopo una approvazione, almeno di principio, dalle due Camere francesi: per quanto ottimisti si possa essere -e non lo sono non vorrei correre rischi superflui. Ho detto non fosse altro che a fini tattici: questa insolita procedura, se adottata, toglierebbe infatti autorità all'iniziativa del Governo e il Parlamento, che finora si è sempre !agnato di essere insufficientemente consultato, potrebbe questa volta ritenere che il Governo non si impegna abbastanza.

2) Occorre seriamente affrontare la questione dei pagamenti italo-francesi. La questione è stata da me sollevata con il mio rapporto n. 20254 del l Onovembre 19483 : mi limito quindi a ripeterne i termini: tutto compreso i tecnici prevedono un disavanzo francese verso l 'Italia di quattordici miliardi di franchi: personalmente ritengo che i tecnici siano ottimisti e che il disavanzo francese si avvicinerà molto ai venti miliardi. Qualche cosa si potrà fare aumentando i nostri acquisti in Francia ma è difficile si possa colmare tutta la differenza: resta quindi l'alternativa: o finanziare noi le nostre esportazioni in Francia o ridurre le nostre vendite. Ma se non è possibile entrare nell'ordine di idee di finanziare noi le nostre esportazioni, avverrà questo: noi avremmo firmata e approvata l 'Unione doganale colla Francia e, a due mesi di distanza, saremo obbligati a ridurre a ben poco i nostri traffici colla Francia: senza contare l'eventualità che pure bisogna tener presente, che l'impossibilità di assicurare il pagamento delle rimesse degli emigranti possa provocare dei rimpatri in massa. È una questione molto seria e che sorpassa i poteri, non solo dei funzionari incaricati da una parte e dall'altra, ma direi anche quelli dei due Ministeri degli esteri.

Non so cosa sia stato fatto in Italia per affrontare questo problema, sul piano superiore: in Francia non è stato fatto niente, sebbene da parte nostra sia stato fatto tutto il possibile per smuovere i francesi. È del resto la situazione in cui si trova la Francia di fronte a tutta l'Europa e siccome, fino ad ora, le è riuscito di continuare questo stato di cose lasciando integralmente agli altri l'onere di finanziare il loro commercio d'esportazione in Francia, non vedono la ragione di scomodarsi.

Comunque è un problema serio e che bisogna avere risolto almeno in linea di principio ma seriamente prima di procedere alla conclusione di atti solenni. Altrimenti tutti e due i paesi ci copriamo di ridicolo di fronte all'opinione pubblica dei due paesi, e non meno di fronte all'estero, particolarmente all'America. Ed il ridicolo è una delle cose peggiori che possa capitare4 .

3 Non pubblicato.

4 Per la risposta vedi D. 40.

5 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

5 2 Vedi D. l.

6

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 73/6. Washington, 4 gennaio 1949, ore 19,32 (perv. ore 8 del 5).

Assicuro l'E.V. che ho eseguito la comunicazione di cui alla prima parte del telegramma n. 2 di V. E. 1 . Il Dipartimento di Stato se ne è mostrato assai lieto e terrà presente la suddetta comunicazione nel corso delle conversazioni che riprenderanno non appena tutti i rappresentanti dei Cinque avranno ricevuto le osservazioni dei Governi rispettivi in merito ai risultati già raggiunti. Quando mi sarà pervenuto l'annunciato memorandum, prenderò immediatamente gli opportuni contatti.

7

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 13/3. Santiago, 4 gennaio 1949 (perv. il 12).

Ho avuto una lunga conversazione con questo sottosegretario agli affari esteri, Manuel Trucco, tornato nei giorni scorsi da Parigi, dopo aver partecipato ai lavori dell'Assemblea dell'O.N.U. quale segretario generale della delegazione cilena (mio telegramma per corriere n. 010 del 6 settembre u.s.) 1 .

Il signor Trucco ha, innanzi tutto, tenuto a sottolineare meco l'atteggiamento di continua collaborazione con i nostri rappresentanti e di sincero appoggio ai punti di vista italiani mantenuto costantemente da tutta la delegazione cilena e da lui in particolare, diffondendosi a illustrarmi le ultime fasi, piuttosto movimentate, della battaglia sulle nostre ex colonie e insistendo, sopratutto, sulle vivacissime pressioni anche personali del delegato britannico e sulla fermezza dell'atteggiamento cileno. Del che lo ho ringraziato, felicitandolo per i risultati raggiunti.

Avendogli poi chiesto che previsioni potesse formulare sulle decisioni che la sessione primaverile dell'Assemblea sarà chiamata a prendere, mi ha detto che salvo nuovi eventi e a meno di un diretto accordo italo-britannico, che egli auspica come il mezzo più pratico (e, aggiungo io, meno imbarazzante per gli altri) per giungere a una soluzione favorevole egli pensa:

l) potersi considerare assicurata l'assegnazione all'Italia del fedecommesso sulla Somalia;

7 1 Non pubblicato.

2) essere probabile l'assegnazione alla Gran Bretagna del fedecommesso sulla Cirenaica;

3) esservi buone probabilità perché la Tripolitania sia affidata al trusteeship italiano, salvo eventuali accordi circa talune basi strategiche; consiglia a tale proposito di far di tutto per sfatare la voce messa in giro da fonte britannica dell'inevitabilità di conflitti locali con grave pericolo per l'ordine pubblico in caso di una decisione a noi favorevole;

4) vede invece con minore ottimismo l'assegnazione all'Italia anche dell'Eritrea,

o per lo meno di un'Eritrea non mutilata dei suoi porti e della sua capitale: a tale proposito mi ha segnalato l'abile, documentata e intelligente propaganda fatta dall'Etiopia, che insiste sopratutto, con le delegazioni estere, sull'argomento che già per due volte quella nostra colonia e i suoi porti sono serviti come principale base d'attacco contro di essa.

Molto dipenderà -ha concluso il Trucco -dal definitivo atteggiamento di Washington, che questa volta è sembrata decisa a sostenere le tesi britanniche, almeno nella loro sostanza, anche se nella questione del rinvio -che del resto non compromette il fondo della questione-ha votato contro la proposta inglese.

Come valutazione generale della situazione internazionale, il Trucco -che sei mesi fa era piuttosto ottimista -è tornato da Parigi assai pessimista; mi ha detto che tutto lo porta a credere nell'inevitabilità della guerra, a più o meno lunga scadenza. Basa la sua impressione sul fatto che -secondo la sua convinzione -l 'U.R.S.S. nella «guerra fredda» starebbe ogni giorno perdendo terreno e che un regime totalitario non può alla lunga ammettere di far passi indietro; di fronte al riarmo nordamericano e britannico, finirebbe quindi col provocare essa il conflitto più presto di quanto non si preveda.

Non ho elementi per giudicare se le impressioni del giovane sottosegretario agli esteri cileno possano aver qualche fondamento e se non facciano velo al suo giudizio le vivaci polemiche con i sovietici che la delegazione cilena ha dovuto sostenere nel corso delle riunioni di Parigi; ho ritenuto tuttavia di riferirle anche perché so essere il Trucco molto vicino agli ambienti nordamericani.

6 1 Vedi D. 4.

8

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 14/4. Santiago, 4 gennaio 1949 (perv. i/12).

Non appena in possesso dei telegrammi di V.E. n. 13724/c. e n. 39, rispettivamente del 6 e del 12 dicembre u.s. 1 , non mancai di intrattenere questo ministro degli

affari esteri, in occasione di una delle consuete udienze diplomatiche settimanali, sul noto «Protocollo di amicizia e di collaborazione» itala-argentino illustrandogliene il significato e la portata. Successivamente, non appena pervenutomene il testo (dispaccio ministeriale dell'li dicembre u.s., n. 20/32048/c.)2 , gliene consegnai copia, a complemento delle informazioni precedentemente fornitegli.

Il ministro Riesco mi ha vivamente ringraziato per l'amichevole comunicazione e ha mostrato di vivamente interessarsi a quanto gli venivo esponendo sulla falsa riga delle istruzioni di V.E. e di apprezzarne particolarmente lo spirito; mi si è confermata così l 'impressione che la nostra comunicazione sia giunta particolarmente opportuna, vuoi per la frammentarietà delle notizie che, almeno finora, questa Cancelleria aveva avuto in proposito, vuoi in relazione alla delicatezza dell'attuale fase dei rapporti cileno-argentini, che, per quanto sembrino aver superato il punto un po' critico al quale erano giunti un mese fa, rimangono sempre velati di una nube di reciproca diffidenza.

Il ministro Riesco ha mostrato di apprezzare particolarmente il nostro augurio di poter in seguito concludere accordi analoghi con altri paesi dell'America latina e ha aggiunto che, da parte sua, metteva allo studio la questione e si riservava di riprendere meco l'argomento.

Ho, dal canto mio, ritenuto per ora preferibile di non ulteriormente approfondire la cosa, sia per veder prima maturare le eventuali reazioni cilene, sia per !asciarmi in ogni caso la più ampia libertà di farla cadere o di riprenderla, a seconda delle intenzioni e delle istruzioni di V.E.

A mio subordinato giudizio, riterrei però che, qualora da parte cilena si tornasse in argomento, non converrebbe rinunziare alla possibilità di concertare anche con questo Governo un accordo del genere di quello firmato costà da V.E. e dal cancelliere argentino. E ciò non soltanto per il contenuto e per i possibili sviluppi concreti di un protocollo del genere, ma anche -oso dire -sopratutto per due aspetti positivi che esso, mi sembra, presenterebbe per noi nell'attuale momento: a) il vincolare, per quanto possibile, questo Governo a continuare in quell'atteggiamento di amicizia e di collaborazione assunto nei nostri riguardi specialmente nell 'ultima Assemblea delle Nazioni Unite, a proposito delle questioni del nostro ingresso nell'Organizzazione e, sopratutto, delle nostre colonie, e ciò anche in vista della sessione primaverile dell'Assemblea; b) un accordo col Cile, dopo quello con l'Argentina, sarebbe inoltre, ritengo, particolarmente ben visto in quei paesi latinoamericani (Brasile, ad esempio) che -per un complesso di cause -non guardano con speciale favore alla politica della Repubblica del Plata e al suo attuale regime e potrebbe quindi presentare un certo qual margine di utilità per equilibrare, nei nostri riguardi, le simpatie delle varie repubbliche di questo continente, che, grosso modo, sembra oggi diviso tra regimi militari e semi-dittatoriali e regimi democrati

ci: e il Cile -le cui intime relazioni con gli Stati Uniti sono ben note -si picca -a torto o a ragione-di essere un po' il portabandiera di questi ultimi e «contrario a ogni estremismo di destra o di sinistra». Né le cose cambierebbero sostanzialmente se le voci di complotti militari diretti a rovesciare l'attuale Governo

prendessero maggiore consistenza e sboccassero in un vero e proprio movimento insurrezionale: le ragioni della politica estera cilena sono permanenti e difficilmente muterebbe l'indirizzo del paese anche con un mutamento di regime.

Non so se di fronte a questi aspetti positivi possano esservene di negativi. Ad esempio: se un accordo del genere possa, ed, eventualmente, in che misura, urtare le suscettibilità di Buenos Aires. Non sembra però, almeno da qui, che eventuali lati negativi siano di valore tale da far scartare a priori la convenienza di un accordo.

Comunque, ho ritenuto mio dovere fornire a V.E. taluni elementi di giudizio, quali mi sono sommariamente apparsi dalla modesta visuale di questa sede, e pregherei l'E.V. volersi compiacere farmi conoscere se, nel caso da parte cilena mi si accennasse a qualcosa del genere, possa considerarmi autorizzato a continuare la conversazione, sempre, naturalmente, parlando a titolo personale e riservandomi di riferime per eventuali più concrete e definitive decisionP.

8 1 Non pubblicati: con essi si dava notizia dell'avvenuta firma, il 4 dicembre 1948, del Protocollo di amicizia e collaborazione italo-argentino illustrandone il significato e si invitavano gli ambasciatori a Rio de Janeiro e Santiago ad esprimere l'auspicio che accordi analoghi potessero essere conclusi con altri Stati latino-americani. Per il testo del Protocollo italo-argentino vedi MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l 'Italia e gli altri Stati, vol. LXVII, Roma, Istituto Poli grafico dello Stato, 1974, pp. 436-437.

8 2 Non pubblicato.

9

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 93/8. Roma, 5 gennaio 1949, part. ore 1,30 del6.

Per il console generale Romano.

I beni abbandonati nei territori ceduti alla Jugoslavia, secondo quanto comunica il Ministero del tesoro, ascendono ad un valore tra 80 e 90 miliardi, in base alle denuncie finora pervenute.

Sia perché le denuncie non possono essere ritenute complete, sia perché bisogna integrarle con dati in possesso dell'Ufficio beni italiani di Belgrado, sia perché sono stati adottati differenti criteri di valutazione, tali cifre vanno considerate con grande cautela.

Allo scopo di giungere ad una rapida soluzione della questione, la quale è connessa con altre per cui costà ed a Roma sono attualmente in corso trattative, V.S. è autorizzata a proporre che venga stabilito intorno alle cifre suindicate un plafond che fissi provvisoriamente l'ammontare dei beni italiani nei territori ceduti, così che esso diventi subito operante.

Una Commissione mista per la valutazione dei beni da effettuarsi in loco potrebbe fissare la cifra definitiva, in più o in meno, restando fermo che con l'intervento in detta Commissione di un arbitro neutro, da designarsi con la procedura prevista per le Commissioni di conciliazione di cui all'art. 83 del trattato di pace, sarebbero appianate in caso di disaccordo le relative divergenze.

Onde la Commissione di cui si tratta possa svolgere una equa valutazione entro un congruo periodo di tempo, V.S. vedrà quali garanzie convenga e sia possibile ottenere sin da ora.

Anche per la questione relativa ai beni nazionalizzati nel resto del territorio jugoslavo, V. S. riceverà una lettera che la autorizzi a trattare. Faccia però in modo da non appesantire o prolungare le trattative essenziali, che riguardano i beni nei territori ceduti, con tale questione, il cui abbinamento potrebbe essere pericoloso e che presenta aspetti sostanzialmente diversi.

8 3 Per la risposta vedi D. 96.

10

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 100/4. Parigi, 5 gennaio 1949, ore 20,45 (perv. ore 7,30 del 6). Suoi 968 e 11 .

Ho detto a Chauvel (tornato solo oggi da congedo) che voto Commissione parlamentare aveva prodotto Italia la più penosa impressione. Se la stampa ne aveva di nuovo parlato poco e con tendenza minimizzare era stato soltanto per pressioni ministro esteri, ma che reazione era stata ed era tuttora forte negli ambienti parlamentari. Reazione, la quale andava fino a mettere in dubbio veri sentimenti Governo e opinione pubblica francese in riavvicinamento con l'Italia, era motivata tre sostegni:

l) decisione Commissione era avvenuta pochi giorni dopo colloqui Cannes2 e pochi giorni prima riunione per Unione doganale: potevano quindi nascere dubbi sua intenzionalità; 2) pubblicità non necessaria data a decisione Commissione;

3) unanimità. Progetto era opera Bidault ma era stato approvato da Consiglio dei ministri: sembrava strano che nessuno dei rappresentanti partiti coalizione governativa avesse stimato necessario dire almeno una parola in difesa se non accordi stessi almeno loro spirito animatore.

Ad osservazione Chauvel che Governo francese era stato colto di sorpresa ho obiettato che questo era esatto ma che Governo francese sapeva che sorpresa era almeno teoricamente possibile e non aveva fatto nulla per evitarla. Del che ha convenuto pur scusando suo ministro.

Mi ha detto che Quai d'Orsay si preoccupava ora trovare soluzione in modo da darci larga soddisfazione.

Gli ho detto che era importante trovare soluzione per questione, ma che al momento attuale era più necessario urgente gesto da Governo francese che riuscisse modificare impressione assai sfavorevole per complesso relazioni italo-francesi che si era verificata. Unica soluzione possibile che io vedevo era dichiarazione da parte Schuman, dichiarazione che avrebbe potuto assumere varie forme, per esempio:

IO 1 Vedi D.l. 2 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 768.

l) pubblica dichiarazione Schuman; 2) intervista Schuman con giornalista italiano; 3) dichiarazione Schuman a me con autorizzazione per parte nostra pubblicarla.

Mi rendevo conto difficoltà in cui si trovava Schuman: ma era necessario egli si rendesse conto difficoltà in cui gesto Commissione aveva messo Governo italiano e necessità fare qualche cosa subito per riparare. Mi ha promesso parlame subito a Schuman che dovrebbe rientrare stanotte: ho anche ripetuto che desideravo vederlo personalmente con massima urgenza3 .

11

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 108/7. Parigi, 5 gennaio 1949, ore 22,10 (perv. ore 8,30 del 6).

Circa Patto atlantico Chauvel mi ha detto che questione estensione territoriale Patto dovrebbe venire discussa Washington nei prossimi due o tre giorni. Atteggiamento americano nei nostri riguardi continua essere tiepido, continuano dubbi concementi atteggiamento Governo e opinione pubblica italiana di cui precedentemente. Attualmente è solamente Francia che continua sostenere tesi necessità nostra adesione dal principio e nostra volontà farlo. Data mancanza nostre comunicazioni in proposito sia a inglesi che americani 1 , Governo francese ci fa presente che sarebbe difficile per lui continuare sue insistenze senza almeno avere da parte nostra nuova assicurazione che esso interpreta giustamente nostro punto di vista nel senso che noi desideriamo aderire Patto atlantico fin dal suo inizio e che riteniamo che tale politica sarà approvata da nostro Parlamento.

Oltre a richiedermi urgentemente tale assicurazione mi ha ripetuto suo urgente amichevole consiglio farci vivi direttamente Washington.

Mi ha assicurato che notizie a noi pervenute circa necessità passare per Patto Bruxelles sono prive di fondamento: secondo lui nostri informatori hanno scambiato ipotesi molto vagamente formulata con effettiva impostazione. A tutto oggi separazione netta fra Patto Bruxelles e Patto atlantico resta punto fondamentale Patto atlantico.

Circa procedura prevista mi ha detto che appena stabiliti principi essenziali Patto atlantico e paesi a cui deve essere diramato invito, dovrebbe procedersi comunicazione questi principi essenziali a paesi invitati per loro esame e per presentazione eventuali osservazioni: è prevista poi discussione finale con partecipazione tutti partecipanti.

Contemporaneamente a questi sondaggi esterni da parte americana si cominceranno consultazioni con capi politici Congresso e Senato in modo da poter aver presenti in future discussioni anche loro eventuali osservazioni.

lO 3 Vedi D.l4.

In generale americani sembrano desiderosi concludere presto.

Mi ha aggiunto che se noi lo desideriamo non ci sarebbe nessuna difficoltà a che nostra eventuale dichiarazione adesione restasse, per qualche tempo almeno, come riservata2 .

11 1 A Quaroni non era stata ancora data notizia del passo effettuato a Washington (vedi serie undicesima, vol. I, DD. 786 e 791).

12

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 111/6. Belgrado, 5 gennaio 1949, ore 21 (perv. ore 8,30 de/6). Telegramma ministeriale 31 .

Delegazioni Bastianetto e Romano inviano oggi telegramma su stato lavori2 .

Poiché appare che sino ad ora non sono stati raggiunti risultati concreti mi sembrerebbe opportuno dichiarare esplicitamente codesta delegazione jugoslava che sospendiamo per breve tempo trattative Roma in attesa maggiore sviluppo trattative Belgrado. Ciò non dovrebbe meravigliare jugoslavi date nostre ripetute dichiarazioni circa interdipendenza (dico interdipendenza) trattative3 .

13

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 16/1. Varsavia, 5 gennaio 1949 (perv. i! l 0).

Ieri, come ho già comunicato col mio telegramma-filo n. 11 , sono stato ricevuto da questo ministro degli esteri, appena rientrato a Varsavia dalle vacanze di NataleCapo d'Anno.

Dopo i consueti convenevoli e scambi di frasi di circostanza, il sig. Modzelewski mi ha chiesto notizie della situazione in Italia, con particolare riguardo alla produ-

Il 2 Per la risposta vedi D. 22.

2 Non pubblicato.

3 Per la risposta vedi D. 23. 13 1 Non pubblicato.

zione. Ho risposto che eravamo in piena ripresa e che essa era tanto più interessante in quanto si stava procedendo ad armonizzare la nostra produzione con l'apporto dei materiali di ogni genere che l'E.R.P. fa affluire in Italia.

A questo punto il ministro degli esteri, facendosi forse eco dei concetti espressi dall'on. Scoccimarro in occasione del Congresso di Varsavia, nonché delle notizie stampa, probabilmente attinte negli ambienti dell'Unità e sulle quali ho riferito a parte2, mi ha chiesto come mai esistessero in Italia tanti milioni di disoccupati ed a quali cause tale fenomeno dovesse attribuirsi. Ho replicato che l'attrezzatura della nostra industria ed il sistema della nostra economia nulla avevano a che vedere con il fenomeno della nostra disoccupazione. Si trattava semplicemente del fatto, ed egli come polacco poteva capirmi più di qualsiasi altro, che su un territorio equivalente a quello della Polonia, doveva vivere una popolazione molto vicina a 50 milioni di persone. E, prescindendo anche dalle risorse naturali, era poi da considerare che, contrariamente a quanto avveniva per la pianeggiante e fertile Polonia, molta parte del territorio italiano era inutilizzabile perché costituito da lunghissima fascia costiera, estese montagne e terreni geologicamente improduttivi.

Il parallelo deve essere apparso pienamente convincente al mio interlocutore che, abbandonando un certo qual tono inquisitorio che mi era sembrato egli avesse inizialmente assunto, si è addentrato nelle difficoltà che una così enorme massa di lavoratori incontrerebbe per essere sistemata all'estero. Ho fatto allora osservare che i mezzi di trasporto e le case si possono costruire e, se ben ricordavo, l'O.N.U., fra le sue tante commissioni, ne aveva anzi una chiamata dell'«Habitab>, che se ne occupava. Ma occorreva soprattutto che le maggiori potenze si persuadessero della necessità di risolvere un problema, men che italiano od europeo, che interessava la pacifica collaborazione fra tutti i popoli del mondo, ed occorreva inoltre che i paesi che maggiormente disponevano di territori da valorizzare, dimostrassero di volerli mettere effettivamente a disposizione del nostro potenziale lavoro per creare ricchezze di cui tutti avrebbero poi beneficiato.

Richiesto quali possibilità io vedessi in relazione ad una tale situazione, ho aggiunto che, in attesa che la soluzione venisse trovata sul piano internazionale-mondiale, sul quale l'Italia aveva già posto lo scottante problema, un immediato sia pur parziale sollievo avrebbe potuto venirci dalla restituzione, sotto qualsiasi forma, delle nostre colonie.

Il ministro degli esteri mi ha allora fatto varie domande sul funzionamento dei nostri accordi di emigrazione. Lo ho ragguagliato per la parte che mi risultava, accennando anche agli inconvenienti cui avevano dato luogo le interferenze di organismi sindacali, pervasi da spirito di parte. Il mio interlocutore mi ha spiegato che la materia lo interessava particolarmente per analogia di posizioni, dato che molti polacchi lavorano all'estero e, essendone richiesto, gli ho promesso che gli avrei fatto avere il testo delle disposizioni che, nelle nostre convenzioni con terzi Stati, regolano la protezione del nostro lavoro all'estero.

Il sig. Modzelewski mi ha quindi chiesto se ero a conoscenza che il suo Governo aveva rimesso a Roma un memorandum per cercare di porre su basi più realistiche gli scambi commerciali italo-polacchi. Ho risposto affermativamente, e, valendomi delle notizie opportunamente fornitemi da codesto Ministero 3 ho aggiunto che ero particolarmente lieto di annunciargli che il memorandum era stato oggetto di attento

3 Con Telespr. 43/8649 del 24 dicembre 1948, non pubblicato.

e benevolo esame da parte nostra e che il ministro Sforza anzi, il quale si era particolarmente interessato alla questione, aveva già sollecitato in conseguenza le competenti autorità tecniche. Per quanto mi concerneva, avrei fatto del mio meglio per agevolare una intesa che mi pareva quanto mai desiderabile e reciprocamente utile.

Il sig. Modzelewski si è dichiarato soddisfatto, aggiungendo che molto si poteva fare in questo campo, dato che le economie dei due paesi sono complementari.

In un altro campo si potrà fare molto, egli ha poi aggiunto con particolare calore, e cioè in quello culturale. Voi sapete, egli ha detto, dell'influenza che gli artisti italiani hanno esercitato in Polonia: si tratta di riprendere la tradizione.

A questo punto mi è sembrato opportuno accennare, dal canto mio, alla cura che avevo posta prima della mia partenza da Roma per accelerare la ricostruzione della nostra ambasciata, opera di un architetto italiano; de li'interesse che mi risultava che le autorità polacche portavano a che l'immobile conservasse il suo carattere primitivo; dilungandomi infine, anche se amplificando per necessità contingente, sui contatti da me stabiliti, prima della mia partenza, per cercare di creare le premesse per una nostra ripresa culturale in Polonia.

Il ministro degli affari esteri mi ha ringraziato e, dopo avermi espresso la sua soddisfazione per la commemorazione avvenuta recentemente a Milano per il 15omo anniversario della nascita del poeta polacco Mickiewicz, mi ha detto che avrebbe dato istruzioni al suo Dipartimento Stampa, anche nell'intento di attivare l'azione dei due Ministeri (dell'educazione nazionale e della cultura) che qui si occupano delle relazioni culturali in collaborazione col Ministero degli esteri. Come prima possibilità ha fatto anzi allusione alle commemorazioni di Chopin che avranno luogo nel corso di quest'anno in Polonia ed all'estero.

La conversazione, durata circa tre quarti d'ora ed iniziatasi come ho dianzi accennato su un tono alquanto inquisitorio, è andata a mano a mano diventando più calorosa, determinando un'atmosfera di reciproca simpatia e cordialità. Al momento di accomiatarci, il sig. Modzelewski mi ha detto che egli non vedeva che punti di coincidenza e che una collaborazione fra i nostri rispettivi paesi non avrebbe potuto che dare felici risultati.

12 1 Del 3 gennaio, con il quale Zoppi aveva richiesto di informare Bastianetto e Romano circa l'imminente conclusione delle trattative sulle navi da guerra e i macchinari R.O.M.S.A. in corso a Roma.

13 2 Non rinvenuto.

14

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 137-145/8-9. Parigi, 6 gennaio 1949, ore 20,18 (perv. ore 7,30 del 7). Mio4 1•

Ho spiegato a Schuman situazione creata in Italia da voto Commissione insistendo su necessità fare qualche cosa. Ha subito accettato come più semplice mia proposta di una sua dichiarazione fatta a me con autorizzazione per noi pubblicarla integralmente.

Trasmetto dichiarazione Schuman: «Ho tenuto, signor ambasciatore, a darle alcune spiegazioni in merito al voto della Commissione degli esteri sull'accordo franco-italiano per la rettifica di frontiera.

Il dibattito in Commissione non è stato pubblico ed il comunicato si limita a rendere noto il risultato dello scrutinio. Si trattava di un progetto di legge che non era suscettibile di essere emendato: non poteva che essere adottato o respinto in blocco, poiché l'accordo su cui il Parlamento è chiamato a pronunciarsi non può subire modifiche dinanzi al Parlamento. Voto negativo non significa affatto che colui che l'ha emesso sia ostile all'insieme dell'accordo.

L'accordo stesso tratta di varie modifiche della frontiera, critiche sono state rivolte, con argomenti ed insistenze molto variabili, su alcuni punti solamente. Sono convinto che un nuovo studio dell'insieme del problema porterà ad un accordo sui punti essenziali. Per questo ho l'intenzione di provocare personalmente un tale esame da parte di tutti i Dipartimenti ministeriali interessati onde tutte le obiezioni, che erano sorte tra la firma dell'accordo e l'esame da parte della Commissione, possano essere studiate in contraddittorio. In seguito sarò in grado di presentare al vostro Governo delle nuove proposte che -lo spero fermamente -formeranno la base di un regolamento per le due parti, tenendo fermo allo spirito informatore del vecchio accordo. Tengo inoltre a sottolineare che né il relatore né la Commissione hanno inteso mostrarsi ostili all'idea che ha ispirato l'accordo precedentemente concluso. Se vi sono state delle critiche esse hanno per oggetto soltanto dei dettagli tecnici e non la nostra comune volontà di un accomodamento amichevole»2 .

14 1 Vedi D. IO.

15

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. SEGRETA S.N. Roma, 6 gennaio 1949 1•

Le invio il preannunciato memorandum2 che stabilisce il nostro pensiero e le nostre intenzioni circa gli auspicati accordi per la pace e la sicurezza.

D'accordo col presidente del Consiglio lascio a lei di decidere se dame integralmente o no il testo. Noi troviamo che la comunicazione del testo -circa il quale occorre conservar costì il segreto -non può che provare quanto profonda è la nostra schiettezza e lealtà.

Se, dopo il mio telegramma n. 23 v'è stato un brevissimo ritardo nell'invio di questo documento, ciò dipese solo dall'attacco di influenza che mi colpì e di cui son appena guarito.

2 Vedi Allegato.

'Vedi D. 4.

Le accludo per sua personale conoscenza copia delle istruzioni che oggi stesso ho consegnato, circa i mandati, all'ambasciatore Gallarati Scotti al momento della sua partenza da Roma per Londra4 .

ALLEGATO

MEMORANDUM5

Roma, 6 gennaio 1949.

Quanto segue ha come scopo quasi esclusivo di far conoscere al Governo americano i nostri pensieri più intimi e l'autentico stato d'animo della opinione pubblica italiana di fronte alla riconosciuta necessità della più stretta collaborazione a difesa della pace e della libertà umana. Se queste informazioni e indicazioni renderanno ancora più rapida l'intesa che noi stimiamo necessaria cogli Stati Uniti e in genere coll'Occidente ne saremo felici. In ogni modo una candida espressione del nostro pensiero ci pareva un dovere verso il Governo e il popolo degli Stati Uniti cui tanto dobbiamo e coi quali l'immensa maggioranza della nazione italiana intende conservare e sviluppare i rapporti più intimi.

-l-

Di fronte a delle obbligazioni di carattere militare, il primo pensiero del popolo italiano è la constatazione che questo paese è il più esposto a un attacco del blocco orientale (e non solo del blocco ma anche, non è da escludersi, di un paese slavo che vedesse nell'attacco contro di noi il modo di riconciliarsi col Kremlino). Le limitazioni imposteci dal trattato di pace rendono più amara, nel popolo, questa constatazione.

Èquindi naturale che due siano le supreme preoccupazioni degli italiani: la pace e la sicurezza.

-2

Questo spiega esitazioni, dubbi e, presso taluni, aspirazioni a una neutralità che anche il 3 dicembre 1948 il presidente De Gasperi e il ministro Sforza dimostrarono nei loro discorsi al Parlamento essere una vana anzi pericolosa illusione6•

Di fronte a tali ombre e dubbiezze esiste il fatto luminoso e universalmente riconosciuto che l'Italia, tra i paesi prostrati dalla guerra, è quello che più energicamente si è ripreso affermando il suo attaccamento alle libertà democratiche e alla propria indipendenza, e affrontando con coraggio e successo il pericolo bolscevico. Gli uomini che dirigono il popolo italiano lo hanno animato e portato alla vittoria, risvegliando nella sua stragrande maggioranza il senso della nostra civiltà nazionale e universale e dando rilievo alla generosa assistenza degli Stati Uniti e allo spirito liberale che la ispira, creando una fede profonda nella democrazia americana.

D. 719, nota 2.

Il Governo italiano considera ancor oggi questi due sentimenti, accanto alla tendenza verso l'Unione Europea, come essenziali per la sua opera di ricostruzione italiana; ma esso sa anche di poter affermare che questo fatto non è semplicemente italiano, ma costituisce anche un notevole contributo alla difesa dell'Occidente.

[-3 -F

Della quale difesa è chiaro che premessa indispensabile è il rinsaldamento delle forze democratiche. Occorre quindi che le intese da noi desiderate cogli Stati Uniti portino nel tempo stesso a garantire la sicurezza delle frontiere e a consolidare all'interno un regime democratico libero.

Quale è in proposito la situazione in Italia?

Essa è regolata dal partito democristiano colla cooperazione di gruppi minori quali i socialdemocratici, i repubblicani storici e i liberali. Non tutti questi gruppi sono necessari per costituire una maggioranza; ma tale coalizione dà al Governo la impronta e l'efficacia di una democrazia su larga base la quale non esclude se non i partiti che tendono alla dittatura bolscevica. È perciò opportuno che un'ala socialista vi rappresenti possibilità di sviluppo anche in senso socialista, purché subordinato ai metodi della democrazia. Ora è naturale che tale frazione subisca più di ogni altra gli effetti della propaganda pseudo-pacifista e pseudoneutralista dei comunisti. Anche fuori degli stessi quadri di questa corrente democratico-socialista esistono spiriti sinceri che dinanzi alla dura realtà cercano rifugio in aspirazioni o affermazioni ideologiche.

Ciò spiega perché circa un mese fa nel dibattito parlamentare che si chiuse coll'approvazione della volontà di collaborazione coll'Occidente affermata dal Governo, sorsero differenze che il presidente De Gasperi dové con tatto comporre e dominare.

Si aggiunga il malumore anti-inglese pei mandati in Africa e per l'impressione diffusa -a torto, siamo convinti-in certi circoli che l'Inghilterra osteggiasse l'entrata dell'Italia nel Patto di Bruxelles, sia per interessi suoi, sia perché dubitasse ancora della vitalità e resistenza dell'Italia.

Di fronte al problema della sicurezza il gruppo Saragat apparve discorde. Saragat, convinto della necessità della sicurezza per l'Italia, si limitò a negare il suo assenso ad una nostra eventuale adesione al Patto di Bruxelles; ma altri oratori del suo gruppo si dichiarano contro qualsiasi impegno militare.

Le dichiarazioni finali con cui il presidente De Gasperi il 4 dicembre 1948 sintetizzò la linea del Governo di coalizione possono riassumersi così:

-amicizia, fiducia e gratitudine per gli Stati Uniti;

-rifiuto di ogni politica di isolamento, qualsiasi forma di neutralità essendo ormai impossibile;

-necessità della cooperazione europea, osservando che tutte le proposte Sforza tendono a questo scopo, prima fra esse l'Unione doganale italo-francese, solo esempio pratico di fattiva e concreta collaborazione europea proposto dopo la proclamazione del piano Marshall.

-4

Circa il patto di assistenza di Bruxelles il presidente De Gasperi dichiarò in quella occasione che esso non appariva lo strumento più adatto per accentrare tutte le forze occidentali, essendo esso stato lanciato come un patto di difesa contro un eventuale nuovo pericolo germanico, e avendo l'Italia una posizione più mediatrice in confronto della Germania.

La dichiarazione De Gasperi teneva per tal modo anche conto dell'atteggiamento Saragat, e in qualche misura di quello del suo gruppo.

Ma la situazione non è chiarita fra i membri più attivi del gruppo Saragat; a chiarirla è chiamato il congresso del partito che si terrà a Milano il 23 gennaio 1949. Senza esagerarne l'importanza, rileviamo che questo travaglio è in rapporto coi contatti fra i socialisti democratici italiani e i laburisti inglesi. Se questi agissero per una migliore intesa fra Inghilterra e Italia, ne risulterebbe più facile il consolidamento della pace sociale in Italia e la soluzione dei problemi di sicurezza.

-5

Si è creduto necessario esporre con tutta chiarezza questa situazione, perché risulti a Washington quanto erano lontani dal vero certi apprezzamenti esteri che prendevano il silenzio di Roma per una prova di dubbiezza circa la questione di massima. Si tratta invece della ricerca del modo migliore, essendo interesse di tutte le potenze democratiche, e non solo dell'Italia, di adottare pel raggiungimento del fine comune una procedura che raggiunga la sicurezza e la cooperazione occidentale rinvigorendo insieme la fusione delle forze democratiche dei paesi consociati, il che stabilirà fra essi una ancor più profonda solidarietà.

-6

Il Governo italiano è convinto che -come il ministro Sforza disse al Segretario Mashall il 19 ottobre 19488 in Roma -noi dobbiamo affermare la seguente necessità suprema per un paese che come il nostro è più esposto di ogni altro; e tenendo conto che la sicurezza dell'Italia del Nord significa anche la sicurezza strategica della Francia ed è cioè un interesse supernazionale: tale necessità suprema è che non vi sia iato fra i nostri impegni da un lato e garanzie di aiuto e riarmo dall'altro.

Dovrebbesi dunque prevedere fin d'ora:

-che tutto il territorio italiano fino al Territorio Libero di Trieste incluso, è compreso nella zona di difesa prevista;

-che l'entrata dell'Italia nel Consiglio europeo (sul che si è a Roma nel più cordiale contatto con Bevin) può fornire una ragione sufficiente per la sua appartenenza alla zona di sicurezza, senza ferire altri paesi mediterranei.

Frattanto l'Italia compirebbe uno sforzo definitivo per risolvere colla Gran Bretagna nel modo più conciliativo e pratico il problema dei mandati italiani in Africa, colla volontà che la collaborazione fra i due paesi diventi colà piena e fiduciosa. In questo senso il Governo ha dato istruzioni all'ambasciatore a Londra che a tale scopo fu chiamato a Roma e che riparte 1'8 corrente per Londra4 .

-7

Impegno di sicurezza e contemporanea partecipazione al Consiglio europeo costituirebbero una graduazione e articolazione di obblighi e di prestazioni che sembrano altamente augurabili, anche dal punto di vista della propaganda. (Si ricordi, infatti, che il blocco orientale è bensì un blocco, ma consiste in una serie di patti bilaterali).

Concludendo, ci occorrerebbe sapere al più presto se gli Stati Uniti assumerebbero di fronte all'Italia un impegno di assistenza per la sicurezza delle nostre frontiere e (nei limiti del trattato di pace) pel riarmo.

Attendendo la risposta e gli eventuali punti di vista americani, osserviamo sembrarci nell'interesse comune che gli scambi di idee non divengano oggetto di pubblici dibattiti prima dell'apertura di negoziati ufficiali e prima di poter dare una sensazione di massima che la sicurezza è raggiungibile.

Appena in possesso di tutti gli elementi che ci pervengano da Washington noi siamo pronti per una formulazione di proposte concrete su cui chiedere un voto del Parlamento.

14 2 Per il resoconto dettagliato di questo colloquio vedi D. 35.

15 1 Questo documento partì effettivamente da Roma per corriere diplomatico nel pomeriggio del 7 gennaio.

15 4 Vedi D. 16. 5 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 204-208. 6 Il 3 dicembre parlò Sforza, il 4 De Gasperi. Vedi serie undicesima, vol. I, D. 734, nota l e

15 7 Questo paragrafo non era stato numerato per evidente confusione con la numerazione della pagina al cui inizio esso si collocava, che era appunto la pagina 3. Questo spiega la precisazione di Tarchiani di cui al D. 50, secondo capoverso.

15 8 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 533.

16

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

«MEMORANDUM» 1• Roma, 6 gennaio 1949.

I. Il Governo italiano stima che si deve assolutamente liquidare quella somma di rancori, sospetti, risentimenti che ostacolano la piena cooperazione fra Inghilterra e Italia, sempre più indispensabile anche per la pace e difesa dell'Europa occidentale. Occorre affrontare con spirito di serena reciproca comprensione i problemi che sembrano dividerci.

Il. Il Governo italiano ha molto apprezzato l'invito rivoltogli da Bevin2 di una partecipazione al Consiglio europeo; l'ha apprezzato sopratutto per lo spirito con cui gli fu rivolto; ossia di primo passo a una più piena partecipazione dell'Italia all'Unione Europea. L'Italia desidera solo di non entrarvi a cose compiute e senza la possibilità di esprimere nel periodo di elaborazione il proprio pensiero. Il Governo italiano dichiara fin d'ora che partecipando al Consiglio europeo suo scopo essenziale di fronte all'Inghilterra sarà di facilitare e propugnare l'avvento di quella azione britannica di guida per una solidarietà europea di cui Sforza espresse le ragioni fin dall'ottobre 194 7 parlando al banchetto offerto gli da Bevin a Londra3 .

2 Vedi serie decima, vol. I, D. 749.

3 Sul viaggio di Sforza a Londra vedi serie decima, vol. VI.

III. Il Governo italiano accetta che il problema dei mandati italiani sia oggetto di un più oggettivo esame dalle due parti; per mostrare il suo buon volere invierà a Londra Manzini onde i punti di più difficile soluzione siano discussi da un punto positivo e pratico, secondo il desiderio di Bevin stesso. Si pongono qui alcuni punti base:

a) Per la Somalia: che la sostituzione dell'Amministrazione inglese possa esservi condotta nello spirito già sperimentato da accordi di reciproca comprensione e aiuto come accadde fra funzionari tipo Mason-Manzini, mirando sopratutto alla tranquillità fra le popolazioni locali.

b) Per la Tripolitania: che rapporti perfettamente leali esistano fra Italia e Gran Bretagna come fra Italia e mondo arabo per preparare la creazione di uno Stato tripolino che stabilirà coll'Italia un trattato di cooperazione da costituire la base contrattuale dei rapporti fra Italia e Tripolitania. (Tale concetto è stato comunicato a Cannes da Sforza a Schuman per riguardo di buon vicinato; e Schuman ha approvato)4 . Mai l'Italia potrebbe tornare in Tripolitania per forza di armi o per maneggio di forze locali ostili all'Inghilterra ed alla Francia. Anche per questo sarebbe però opportuno un periodo di preparazione come quello che si pratica in Somalia.

c) Per l 'Eritrea: il Governo italiano si potrebbe adattare solo a una formula di trusteeship internazionale di cui l'Italia facesse parte; «per esempio un mandato all'Unione Europea». Eliminato così ogni sospetto etiopico gli italiani potrebbero riprendere gradatamente il loro posto di lavoro in Abissinia, come da tanto tempo già fanno in Argentina o nel Brasile, cioè senza la più lontana mira di espansionismo politico. Problema vitale per gli italiani è quello de li'immigrazione e del lavoro. Inquadrando saggiamente il nostro ritorno in Africa in questo più generale problema del popolo l a v oratore italiano si assicurerebbe una costante pacifica collaborazione nel continente africano, togliendo ogni possibilità di speculazioni verbali a piccole minoranze avverse alle buone relazioni italo-britanniche.

IV. li Governo italiano desidera infine osservare che per esso i due problemi sua entrata nel Consiglio europeo e trattazione della questione dei mandati -vengono casualmente sul tappeto alle stesso momento. Il Governo italiano non vuol vedervi correlazione alcuna. Il problema dei mandati l'Italia vuol risolverlo coi contatti e coi criteri qui indicati; non altrimenti.

ALLEGATO

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

APPUNTO SEGRETO. [Roma, 6 gennaio 1949].

Eritrea. Il paese è abitato da italiani moltissimi dei quali vi sono anche nati ed è stato creato dagli italiani. Città come Asmara, Massaua e altre minori, sono completamente italiane.

Gli stessi indigeni, moltissimi dei quali non sono di razza abissina, sono ormai di civiltà assai superiore a quella degli etiopi di oltre confine. I territori che compongono l'Eritrea non sono stati tolti all'Etiopia e non appartennero mai all'Etiopia (se si eccettua una ristretta zona dell'altipiano ceduta da Menelik prima della guerra del 1895-96 e che lo stesso Menelik non reclamò dopo quella guerra).

In queste condizioni l'opinione pubblica italiana non potrebbe mai adattarsi a che l'Eritrea venisse annessa o ceduta in mandato ali 'Etiopia.

È anche da tener presente che in Eritrea esiste ancora un discreto margine per una ulteriore valorizzazione economica e che quindi si presta, anche per condizioni climatiche, ad una ulteriore emigrazione di italiani senza che siano a temersi per questo -come in Libia-reazioni sul tipo di quelle verificatesi in Palestina.

L'Italia resta fedele al principio della integrità dell'Eritrea (salvo la concessione dello sbocco al mare all'Etiopia mediante cessione di Assab) e rimane fedele al principio sancito nella Carta delle Nazioni Unite che i territori coloniali debbono essere avviati alla indipendenza. L'Italia intende quindi promuovere l'avviamento della Eritrea all'indipendenza e chiede di essere investita di tale compito. È disposta a dare all'Etiopia ogni garanzia che fosse ritenuta necessaria dalle Nazioni Unite.

Ove ciò si rivelasse di impossibile attuazione l'Italia sarebbe anche disposta ad esaminare una eventuale proposta per conferire il mandato sull'Eritrea all'Unione Europea, e ad esercitarlo in nome di tale Unione e col controllo e con l'assistenza di essa.

Tripolitania. A Cannes4 è stato constatato che le obiezioni da parte britannica a decidere l'immediato ritorno dell'Italia a Tripoli derivano sopratutto dal timore di reazioni da parte di elementi arabi locali ma che il Governo inglese non intende rimanere in Tripolitania né ha ragioni per opporsi ad un mandato italiano su quel territorio.

In conseguenza è stato fatto presente da parte italiana che si è disposti ad entrare in trattative con gli esponenti arabi per cercare di raggiungere un accordo per la immediata costituzione in Tripolitania di uno Stato, con relativa organizzazione. Questo Stato, alla cui costituzione e organizzazione l'Italia presterà il proprio appoggio e la propria collaborazione, stipulerà con l'Italia un trattato di cooperazione che costituirà la base contrattuale dei rapporti fra Italia e Tripolitania.

l francesi hanno aderito a questa formula.

Il Governo italiano è pertanto disposto ad iniziare tali negoziati. Esso ne terrà informato il Governo britannico. Occorre però che da parte degli agenti britannici in loco tali negoziati non vengano ostacolati. Dalle informazioni che abbiamo anche recenti, mentre il Governo di Londra assicura di non avere aspirazioni a rimanere in Tripolitania, risulta che in seno alla B.M.A. esistono notevoli divergenze di vedute e che parecchi ufficiali e funzionari continuano a fare propaganda fra gli arabi a favore di un mandato britannico. Sarebbe utile poter creare in Tripolitania una atmosfera di fiduciosa e leale collaborazione italo-britannica come è avvenuto in Somalia e poter dare agli arabi la sensazione che il Governo inglese non solo non fa ostacolo ad una intesa italo-araba nel senso sopra indicato, ma anzi la vede con favore e la incoraggia.

È però da tener presente che gli arabi (sopratutto i paesi arabi del Levante e la Lega araba) insistono perché sia mantenuta l'unità della Libia e difficilmente accetterebbero all'Assemblea dell'O.N.U. una soluzione basata sulla spartizione di quel territorio. Occorrerebbe quindi, d'accordo con Londra e con gli arabi, trovare una formula che si avvicini il più possibile alla tesi araba dell'unità della Libia tenendo conto degli interessi italiani in Tripolitania e britannici in Cirenaica; un vincolo federativo con due diversi trattati di assistenza potrebbe costituire la base per una favorevole soluzione che potrebbe anche essere raggiunta attraverso negoziati a tre con inglesi, italiani ed arabi.

16 1 Qui il ministro aggiunse a mano per «Gallarati Scotti» per indicare che trattavasi di istruzioni. Sforza inserì di suo pugno anche l'inciso che figura tra virgolette al punto III, c. Un'annotazione avverte: «Consegnato a G.S. alla sua partenza per Londra». Gallarati Scotti ritornò in sede il 9 gennaio. Insieme al presente documento gli venne consegnato anche l'appunto segreto che qui si pubblica in Allegato.

16 4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

17

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 11/10 Parigi, 6 gennaio 1949 1•

Ho detto a Chauvel, preannunciandogli che ne avrei parlato a Schuman2 (Schuman ama sapere quello di cui gli si va a parlare in modo da prepararsi alla conversazione), che i sondaggi che avevo potuto fare nell'ambiente parlamentare mi avevano portato alla conclusione che, contrariamente all'ottimismo mostrato da Schuman a Cannes3 , non era affatto sicuro che il progetto di Unione doganale passasse alla Camera francese senza troppe difficoltà. Era necessaria quindi un'azione seria e serrata del Governo, sia presso il Parlamento, sia presso la categorie interessate, sia attraverso la stampa, per spiegare e popolarizzare l 'Unione doganale. Tutto questo noi in Italia lo avevamo fatto, in Francia era stato fatto poco o niente.

Chauvel mi ha detto che condivideva questo mio punto di vista e che erano tre mesi che Io andava dicendo.

Gli ho aggiunto che per quanto mi concerneva ero assai reticente all'idea di far venire a Parigi V.E. a firmare l'accordo se non si fosse ragionevolmente sicuri che il Parlamento francese l'avrebbe accettato: dopo quanto era accaduto per l'accordo di frontiera4 le precauzioni non erano mai troppe: la crisi dell'accordo di frontiera potevamo sperare di superarla, ma non potevamo superarne una seconda: le sue ripercussioni sull'insieme dei rapporti italo-francesi avrebbero potuto essere assai gravi. Chauvel mi ha detto che era perfettamente d'accordo con me: «Ci farebbe fare un passo indietro invece di un passo avanti».

Mi ha detto che a suo avviso personale sarebbe stato bene, in ogni modo, prevedere qualche ritardo nella data prevista a Cannes, verso il 25 gennaio. Schuman doveva andare a Londra il 12 e vi sarebbe rimasto per quattro giorni: dopo doveva recarsi in Svizzera: il 25 avrebbe dovuto andare a Londra di nuovo per la riunione dei cinque ministri degli esteri: tutto questo gli lasciava per gennaio appena una diecina di giorni, staccati, a Parigi, probabilmente, anzi, certamente non sufficienti per il lavoro da farsi.

Gli ho risposto che ero d'accordo con lui e che valeva mille volte meglio rimandare la firma dell'accordo di qualche settimana che esporsi al rischio di vederlo rigettato. Gli ho detto che per essere sicuri si potevano prendere in esame varie alternative: sottoporlo prima alla Commissione degli esteri avrebbe significato un periodo di studi

2 Vedi D. 36.

3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

4 Vedi DD. l, IO e 14.

di qualche mese, cosa che, se non indispensabile, si doveva scartare. Si sarebbe potuto sottoporre il progetto al Parlamento per averne l'approvazione di massima prima di procedere alla firma: sarebbe stata la soluzione più sicura: si poteva però obbiettare che la mancata firma preventiva da parte dei Governi, avrebbe mostrato un'incertezza tale da compromettere l'approvazione parlamentare: il minimo però che bisognava chiedere era un impegno fermo da parte dei vari gruppi parlamentari di votare a favore del progetto in modo da essere sicuri, sufficientemente, della maggioranza.

Gli ho poi anche detto che bisognava, prima della firma dell'accordo, aver risolto il problema dei mezzi di pagamento. Gli ho ripetuto la situazione nei termini che V.E. conosce5: gli ho osservato che si trattava di questione che doveva essere oggetto di decisione dei due Governi, in quanto essa incideva sul lavoro di vari ministeri: ma che comunque si poteva approfittare della presenza a Parigi, per l'Unione doganale, dei principali direttori generali dei due paesi in modo da sviscerare il problema ed essere in grado di presentare ai due Governi delle soluzioni possibili. Gli ho anche detto che, data l'importanza del previsto sbilancio, era assurdo pensare, come si faceva nei riguardi di altri paesi, che la Francia potesse assume un atteggiamento sostanzialmente passivo lasciando all'altra parte di sbrogliarsi. Nel caso italiano questo era impossibile: bisognava partire dal punto di vista che la questione era grave, di capitale importanza, e che per risolverla occorrevano sacrifici almeno uguali dalle due parti.

Bisognava d'altra parte risolvere questa questione adesso: altrimenti rischiavamo di concludere oggi l'Unione doganale, e uno o due mesi dopo, arrivare alla sospensione pratica del traffico italo-francese, alla partenza dalla Francia di masse considerevoli dei nostri emigranti. Questo avrebbe coperto di ridicolo i due Governi e ne sarebbero potuto nascere delle crisi, anche di Governo, nei due paesi.

Chauvel si è dichiarato perfettamente d'accordo con me e mi ha promesso che ne avrebbe, per conto suo, intrattenuto Schuman, facendogli sentire l'importanza della questione6 .

17 1 Copia priva de li'indicazione della data di arrivo.

18

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 12/11. Parigi, 6 gennaio 19491•

Chauvel mi ha detto che la richiesta inglese di rinvio della riunione della Commissione dei saggi2 era dovuta in larga misura a questioni di politica interna inglese. Dalton era venuto a Parigi impressionato dalla campagna dell'opposizione scatenata

6 Per la risposta vedi D. 40. 18 1 Copia priva de !l'indicazione della data di arrivo. 2 Si riferisce al negoziato per l'istituzione del Consiglio d'Europa.

personalmente contro di lui, come contrario alla collaborazione europea: quindi preoccupato di non apparire quale l'opposizione lo rappresentava, era andato più in là delle istruzioni di Bevin nella questione dell'Assemblea. Non era escluso anche che, data la situazione di Dalton, di Dauphin e di Bevin, questi fosse anche animato da gelosie personali contro di lui.

In sostanza Bevin era riluttante ad accettare l'idea dell'Assemblea, sostenendo che delle due l'una, o era pleonastica, nel senso che non aveva nessun potere, o era pericolosa. Del che mi ha aggiunto di essere personalmente convinto.

La questione è uno degli argomenti che vanno discussi nel prossimo incontro di Londra (a proposito del quale mi ha detto che esso è inteso come un franco scambio di vedute, come quello avuto con V.E., dal quale non si debbono attendere cose sensazionali).

Da parte francese è stato fatto presente a Londra:

l) Francia intende che il frutto dei lavori della Commissione come che sia, debba essere sottoposto all'esame della riunione dei cinque ministri degli esteri: altrimenti si va finire ad aprile;

2) Governo francese non intende mutare prassi finora seguita, che cioè la sua commissione non ha istruzioni governative: è quindi libera di fare quello che crede;

3) Schuman sarà felicissimo di avere uno scambio di idee al riguardo con Bevin, previene però che non è sua intenzione di mettersi d'accordo con Bevin, per poi dare delle istruzioni comuni alle due delegazioni, né a esercitare una pressione sugli altri compartecipanti per farli aderire ad un piano comune franco-inglese.

Nel complesso Chauvel non era estremamente ottimista al riguardo ritenendo sia difficile da una parte fare accettare agli inglesi l'idea dell'Assemblea, e dall'altra fare rinunciare i grossi calibri francesi appunto all'idea dell'Assemblea.

17 5 Vedi D. 5.

19

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 03. Parigi, 6 gennaio 19491•

Ho messo al corrente Chauvel delle comunicazioni fatte da Bevin a GallaratF, e dei commenti degli uffici.

A sua volta Chauvel mi ha letto la parte concernente le colonie della lettera di invito rivolta da Bevin a Schuman (la lettera è un documento di almeno una decina di pagine e l'argomento delle nostre colonie è in prima e seconda pagina) che riferisco di memoria:

«Dobbiamo parlare della questione delle ex colonie italiane sulle quale i nostri punti di vista differiscono. Voi conoscete già bene le ragioni per cui noi non possiamo

191 Copia priva d eli' indicazione della data di arrivo. 2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 758.

rinunciare, nemmeno parzialmente alla Cirenaica. Ed abbiamo necessità che la questione sia risolta al più presto altrimenti non saremo in grado di dare il nostro contributo alla difesa di quel settore del Mediterraneo la cui importanza vi è nota.

Per quello che concerne la Tripolitania vi ripeto che l'Inghilterra non ha nessuna mira su di essa. Quanto al suo ritorno alla Italia dobbiamo tenere presenti le seguenti considerazioni:

l) noi siamo convinti che il ritorno dell'Italia in Tripolitania porterà delle reazioni nel mondo arabo: abbiamo già tante difficoltà e tanti problemi col mondo arabo che ci domandiamo se sia il caso di aggiungervene un altro;

2) noi dubitiamo che l'Italia abbia la possibilità materiale di assicurare a tempo le truppe necessarie per mantenere l'ordine in Tripolitania. Il Governo italiano ci ha dato fino ad ora soltanto delle assicurazioni di carattere generico. Data la leggerezza con cui il Governo italiano tratta molti problemi non ci possiamo contentare di queste assicurazioni di carattere generico: la questione deve essere esaminata a fondo dai tecnici;

3) noi riteniamo che la situazione in Tripolitania sia più complessa di quanto credete voi e di quanto crede il Governo italiano: temiamo che il Governo italiano persegua soltanto delle considerazione di puro prestigio e che, credendo di fargli un servigio, finiamo per metter lo di fronte a difficoltà che ne possono scuotere la fragile compagine;

4) sarà molto difficile persuadere gli americani ad accettare una soluzione italiana per la Tripolitania (commento di Chauvel: questo è tipico della duplicità di Bevin: l'opposizione americana è frutto di lunghi anni di bourrage de crane da parte inglese: e adesso ci vengono a prospettare una opposizione americana che è tutta di loro fabbricazione).

Noi conosciamo le vostre considerazioni e le vostre giuste preoccupazioni nei riguardi dell'Italia, delle quali ci preoccupiamo noi stessi. Ci auguriamo che possiamo trovare un punto di accordo poiché anche su questo punto è necessaria una politica comune dei due leading powers dell'Unione Occidentale».

La lettera non menziona l 'Eritrea. A questo riguardo Chauvel mi ha chiesto se noi avevamo parlato a Londra della nostra idea del mandato collettivo dell'Unione Europea per l'Eritrea: mi ha chiesto anche se questa idea, che VE. aveva espressa come personale sua, era poi stata accettata dal Governo italiano.

Mi ha chiesto poi se noi desideravamo che Schuman prospettasse questa idea a Londra. A Cannes3 era stato deciso che la parte francese si occupasse soprattutto di rappresentare presso inglesi ed americani le considerazioni di politica interna italiana che poteva essere più difficile per noi far valere per non essere accusati di fare dello chantage comunista. Tuttavia poteva essere utile per noi che una proposta del genere apparisse in Italia non come una proposta nostra ma come una proposta di altri: in qualsiasi caso, se noi lo desideravamo, Schuman era pronto a parlare a Bevin, sia come cosa sua personale, sia come cosa di cui si era discusso a Cannes.

Data imminenza partenza Schuman, gradirei su questo punto una risposta telegrafica4 .

193 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

4 Con T. s.n.d. 200/14 dellO gennaio Sforza rispose: «Sta bene. Con telespresso 3/48 [ritrasmissione del D. 16]le sono state comunicate istruzioni date a Gallarati Scotti che collimano con quanto prospettato a Cannes. Massigli potrebbe tenersi in contatto con nostro ambasciatore a Londra».

20

IL CONSOLE GENERALE AD INNSBRUCK, BIONDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 115/5/4. Innsbruck, 6 gennaio 1949 (perv. i/19).

Riferimento: Telegramma n. 4 del 6 corrente mese 1•

La particolare questione di cui al telegramma sopra indicato impone a questo Ufficio di riferire a codesto Ministero un po' dettagliatamente sulla situazione determinatasi nelle ultime settimane, sia per i suoi significativi aspetti, sia per le considerazioni che ne scaturiscono e che potrebbero suggerire a codesto Ministero iniziative di una certa importanza. L'andamento della revisione delle opzioni si è sviluppato, dall'inizio ad oggi, in tre fasi ben distinte: la prima, caratterizzata dall'affluenza consistente di domande di revoca delle opzioni per la cittadinanza germanica, durata ali' incirca sino al giugno 1948, la seconda, con un sensibile rallentamento del ritmo della presentazione delle domande, durata sino alla fine di novembre u.s., e la terza infine, che segna l'eccezionale ritmo con il quale giungono a quest'Ufficio le richieste di revoca dell'opzione per la Germania, ultima fase questa che coincide coll'appressarsi del termine utile fissato dal D.L. n. 23 del 2 febbraio 1948.

Queste tre fasi consentono tre diverse valorizzazioni delle riopzioni: la prima infatti riguarda coloro i quali non hanno avuto alcun bisogno di ponderare il pro ed il contro dell'atto che già da tempo avevano deciso di compiere. È la manifestazione di una volontà recisa e non influenzata, rappresenta l'espressione se non di un sentimento, sul quale nessuno si illude, di una decisione che non ha conosciuto tentennamenti di sorta.

La seconda fase interessa tutti gli altri i quali invece hanno ponderato, hanno vagliato tutti gli aspetti della questione che li riguardava ed infine hanno deciso liberamente e scientemente. Alla fine di novembre 1948 quest'Ufficio aveva complessivamente ricevute n. 4575 domande di riopzione per l'Italia.

Le sfere austriache interessate, le quali hanno sempre attentamente seguito l'andamento delle opzioni, a due mesi appena dalla scadenza del termine, hanno constatato, in base ai dati a loro disposizione, tempestivamente e metodicamente raccolti con un perfetto lavoro preventivo svolto molti mesi prima della promulgazione del

D.L. n. 23 del 2 febbraio 1948 che, grosso modo, circa la metà appena degli altoatesini del Tirolo-Vorarlberg avevano fatto uso del diritto alla riopzione.

I pensionati, gli impiegati delle Amministrazioni statali, regionali e comunali, i professionisti, commercianti, industriali, artigiani, tutti coloro insomma che avevano comunque una base economica, un'esistenza assicurata od un rapporto diretto di dipendenza con lo Stato austriaco tentennavano evidentemente, non sapevano decidersi e parte di essi anzi avevano già deciso intimamente di non correre alcun rischio e di sancire, con il riacquisto della cittadinanza austriaca, una

situazione di fatto che, tutto sommato, conveniva loro meglio per considerazioni materiali e sentimentali. La vigilanza austriaca, incessante ed attenta, non poteva non allarmarsi di tale situazione.

Una tale passività di una sì alta percentuale di altoatesini veniva a sconvolgere tutti i piani e tutte le macchinazioni in gestazione. Occorreva quindi correre ai ripari, usare misure energiche visto che tutte le esortazioni e gli incitamenti fatti in sordina non ottenevano il risultato sperato. Rapidamente si elaborò così un piano d'azione sfociato nei noti provvedimenti del Consiglio dei ministri del 2 novembre 1948 ed in una serie di riunioni organizzate dalla Lega degli altoatesini, svoltesi in tutti i grandi e piccoli centri del Tirolo-Vorarlberg, durante le quali venne imposta agli altoatesini la riopzione per l 'Italia. Ed a ben diritto si può parlare di una vera e propria imposizione. Perchè, forti della citata deliberazione del Consiglio dei ministri austriaco, tutti gli oratori in tutte le riunioni chiaramente fecero intendere agli altoatesini che, non rioptando per l'Italia, perdevano impiego, pensioni e cadevano nella posizione giuridica di apolidi. Gli effetti furono completi ed immediati. Si manifestarono subito con una eccezionale ressa agli sportelli di questo Ufficio di richieste di moduli di domanda di revoca dell'opzione e con un altrettanto eccezionale numero di simili richieste scritte.

Il numero delle domande pervenute dal l 0 dicembre ad oggi è stato di 121O e quello dei moduli distribuiti, che si tramuteranno entro il termine di scadenza in altrettante domande che perverranno, di n. 3800. Il quotidiano contatto con gli altoatesini consente di raccogliere commenti ed impressioni preziosi che non è però né facile, né possibile purtroppo di documentare.

Serenamente si può affermare che le domande pervenute dopo la pubblicazione delle note deliberazioni del Consiglio dei ministri non rappresentano più, come quelle delle due prime fasi anzi accennate, la manifestazione della libera volontà degli optanti e moralmente e giuridicamente sarebbero senz'altro passibili di una ben diversa «revisione». Si potrebbe obiettare che nessuna protesta è stata elevata da parte degli interessati. Si può però facilmente ribattere che la situazione particolare in cui è stata messa questa gente non la rende neppure possibile, a parte il fatto che educazione e carattere non sono tali da consentire più o meno rumorose reazioni.

Non risulta che da parte italiana si sia in alcun modo reagito contro questo strano procedimento austriaco. È mancato quindi a queste persone ogni e qualsiasi spunto ed aiuto morale per una reazione. Esse sono completamente in mano dell'Austria e l'atteggiamento di passività da parte italiana, non solo le ha scoraggiate, ma ha finito forse col persuaderle che l'Italia, concordando pienamente con l'atteggiamento austriaco, non è loro alleata. Ciò ha determinato una diffidenza anche nei riguardi di questo Ufficio con il risultato che intenzioni apertamente manifestate in un primo momento, vengono ora ritrattate. Nessuno si fida di fare dichiarazioni scritte o comunque di documentare l'intimo e reale atteggiamento nei riguardi della riopzione che, per le minacce e le pressioni delle autorità austriache, sono tenuti a richiedere. Queste premesse erano necessarie per giungere alla conclusione finale, e cioè che questo Ufficio non è in grado di poter chiedere la documentazione delle riserve verbalmente fatte dagli interessati, come richiesto nel telegramma indicato a riferimento.

Stando così le cose questo Ufficio sarebbe del subordinato parere che forse non sarebbe fuori luogo mettere pubblicamente in evidenza la campagna di pressioni e di minacce che le autorità austriache stanno svolgendo per influenzare gli altoatesini optanti a presentare domanda di revisione dell'opzione già fatta, campagna non dissimile da quella che nel 1939/40 fu organizzata dal Governo del Reich. Data la ristrettezza del tempo disponibile, questo Ufficio non può neppure facilmente, a parte l'impossibilità di agire per difetto di precise superiori autorizzazioni ed istruzioni, manovrare per provocare reazioni o comunque incoraggiare ed assumere formali impegni, agendo cioè in modo da provocare una libera e forte manifestazione di volontà da parte degli interessati, cosa questa che potrebbe forse essere più facilmente provocata da un'azione diretta da parte del Governo italiano, sulla base di quanto già fu fatto col promemoria presentato al ministro Schwarzenberg n eli' ottobre u.s. (allegato al telespresso ministeriale se gr. p o l.

n. 1442 del 15 ottobre u.s.)2; si potrebbe ora forse anche sollevare dubbi sulla validità delle domande presentate in questi ultimi tempi e provocarne la nullità per essere state presentate non liberamente, ma in seguito a pressioni e minacce delle autorità austriache, con provvedimenti e comunicati resi di pubblica ragione e con dichiarazioni fatte da persone responsabili in pubbliche riunioni. Giudicherà codesto Ministero se, sulla scorta delle considerazioni esposte e sulle conclusioni che riterrà di trame, esistano o meno elementi sufficienti per una tale decisione, la quale, presa anche in linea di principio, potrebbe, a mio subordinato parere, offrire pure il vantaggio di mettere l'Austria in imbarazzo, rendendo la più propensa e meglio disposta a trattare, e di provocare negli altoatesini interessati quella reazione che gran parte di essi cova nell'intimo del loro animo. Oggi si dice che nel 1939/40 gli altoatesini furono costretti ad optare e l'Austria ha sempre sostenuto questa tesi. Ora gli stessi altoatesini mormorano già di essere nuovamente costretti, come allora, e proprio da parte austriaca.

Non crede questo Ufficio che sia proprio nell'interesse dell'Italia che gli altoatesini, che avevano già optato per la Germania, e che quindi avranno dato prova palese della loro poca buona volontà di rimanere cittadini italiani, ritornino in massa nell' Alto Adige, come è nelle non celate intenzioni del Governo austriaco, e ciò al fine di creare una maggioranza etnica antitaliana nell'Alto Adige. Non sarebbe quindi forse contrario al buon diritto del Governo italiano, a difesa di questa campagna di imposizioni e di minacce contro chi non ha nessun desiderio né interesse di chiedere la revisione dell'opzione, di trovare il modo di far sapere che le domande presentate sotto il regime delle imposizioni e delle minacce da parte austriaca, potranno essere esaminate da parte del Governo italiano con criteri che potranno avvicinarsi ai reali ed effettivi desideri e sentimenti degli optanti stessi.

Ritengo opportuno unire alcuni ritagli di giornali di questi giorni ed alcune lettere qui pervenute da parte di altoatesini optanti sulla questione3 .

3 Non pubblicati. Con Telespr. 01999/5 del 2 febbraio Mazio rispose: «Nell'accusare ricevuta del telespresso surriferito il cui contenuto è stato portato a conoscenza della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell'interno si trasmette, per conoscenza, copia del pro-memoria consegnato da questo Ministero al ministro de li'Austria in data del 22 dicembre perché Vienna fosse tempestivamente edotta della gravità delle conseguenze giuridiche inerenti alle discriminazioni adottate nei confronti degli alto-atesini per indurii, anche se nolenti, a rioptare». Per il citato promemoria vedi serie undicesima, vol. I, D. 769.

20 1 Non pubblicato.

20 2 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 474.

21

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N. Roma, 7 gennaio 1949 [ore 15,30}'.

Decifri ella stessa.

Prima dell'arrivo o presentazione del memorandum sarebbe bene lei facesse ... sentire, come sua idea o anche mia personale, che un invito partecipare conversazioni Washington non ci porrebbe in alcuna difficoltà.

22

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 114/11. Roma, 7 gennaio 1949, ore 15,45.

Suo 71•

Non solo ella può assicurare costì che Governo francese interpreta esattamente nostro punto di vista ma può aggiungere che ieri abbiamo spedito per aereo all'ambasciata Washington memorandum affermante chiaramente nostro punto di vista2 .

Non abbiamo posto nel memoriale alcuna condizione ma insistito solo per nostra sicurezza secondo quanto dissi Marshall 19 ottobre3 . Dato ciò siamo sicuri nostra politica sarà approvata Parlamento4•

23

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 134/9. Roma, 7 gennaio 1949, ore 21,30.

Presente telegramma fa riferimento suo n. 61•

2 Vedi D. 15, Allegato. 3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 533. 4 Per la risposta vedi D. 30.

Pur rimanendo in discussione punti dettaglio note questioni in trattazione Roma sono ormai prossime favorevole soluzione. Informerò questo ministro Jugoslavia che non appena risolti su accennati punti dettaglio siamo pronti anche firmare accordi, ma che subordineremo all'entrata in vigore degli accordi in trattazione costà entrata vigore accordi firmati Roma. Per sua informazione e norma linguaggio comunico quanto precede.

21 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza perché questo telegramma non è compre,so nella raccolta dei T. in partenza da Roma ma solo nel registro dei telegrammi in arrivo a Washington. E probabile che sia partito alle ore 15,30 come il T. s.n.d. 115/5 del 7 gennaio che annunciava la effettiva spedizione del memorandum.

22 1 Vedi D. Il.

23 1 Vedi D. 12.

24

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. SEGRETO 3/24. Roma, 7 gennaio 1949.

Riferimento: Suo rapporto n. 11198/4257 del 17 dicembre u.s. 1 .

La questione di cui è oggetto 2 verrà ripresa nel periodo che ci separa dal l o aprile sulla base delle conversazioni da me avute a Cannes col ministro Schuman e di cui le viene trasmesso a parte il verbale3 .

Ella potrà quindi impostare su quelle basi conversazioni col Dipartimento di Stato tenendone al corrente il suo collega francese. Mi riservo inviarle ulteriori istruzioni di dettaglio4 , aggiungendo le istruzioni che sto per rilasciare all'ambasciatore Gallarati Scotti che riparte per Londra5 .

25

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A WASHINGTON, LUCIOLLI

L. PERSONALE l. Roma, 7 gennaio 19492 .

Scrivo a te per evitare alla mia lettera ogni carattere ufficiale o anche ufficioso sia pure attraverso la forma personale. Ma ritengo utile chiarire qualche cosa. Avrete ricevuto il memorandum. Ammetto che, a prima vista, possa avervi un poco deluso. Il ministro lo ha redatto, d'accordo col presidente del Consiglio, tenendo

2 «Questione colonie».

3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

4 Le parole che seguono sono state aggiunte a mano da Sforza.

5 Vedi D. 16.

2 Trasmessa con il medesimo corriere diplomatico con cui viaggiò il D. 15.

presente la situazione interna quale è venuta chiarendosi nelle discussioni condotte in questi giorni da De Gasperi e di cui avrete visto nei giornali. È un franco esposto di questa situazione ed è un documento che tiene conto anche della esigenza, che potrebbe diventare attuale un giorno, di essere reso pubblico o per lo meno comunicato anche in ristretti ambienti politici. In regime democratico e parlamentare non si può procedere diversamente.

Ma ciò che è importante è che -sul piano della politica internazionale -questo documento deve considerarsi come l'inizio del negoziato, inizio che avrà i suoi sviluppi al contatto dell'interlocutore americano e con le sue controproposte. In sostanza quel documento vi dice che, partendo dalle basi in esso contenute, siamo stati autorizzati ad aprire un negoziato. In ciò è il suo valore. Quindi a voi sta ora non polemizzare con noi, ma trattare costì e sviluppare3 .

24 1 Non pubblicato.

25 1 Autografa.

26

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 123/45. Washington, 7 gennaio 1949 1•

Come ho telegrafato in data 4 corrente2 , le comunicazioni che V.E. mi ha autorizzato a fare sono state accolte con vivo compiacimento dal Dipartimento di Stato, il quale apprezza in sommo grado la vigorosa azione che V.E. sta svolgendo per imprimere alla politica estera italiana un preciso carattere di collaborazione con le potenze occidentali.

Sono ora in attesa del preannunciato «memorandum» che fornirà la base della mia ulteriore azione qui. Frattanto, in relazione anche alle interessanti considerazioni svolte recentemente dall'ambasciatore a Parigi3 , trasmessemi per conoscenza, desidero «fare il punto» della situazione, quale si presenta vista da Washington.

Le conversazioni a sette riprenderanno (secondo quanto mi è stato detto) lunedì l O, sulla base delle osservazioni, che frattanto saranno pervenute dalle cinque capitali europee interessate, sui risultati raggiunti alla fine di dicembre. Ho motivo di supporre che, fra le ragioni del lieve ritardo nella ripresa delle conversazioni, vi sia l'attesa di eventuali decisioni italiane. Ormai i francesi (in seguito a quanto V.E. ha dichiarato al ministro Schuman)4 e gli americani sanno che il Governo italiano ha operato sul piano della politica interna in modo da consentirgli di aderire al Patto atlantico; ed attendono che ciò venga da noi confermato ufficialmente nelle singole capitali, onde rendere possibile la effettiva partecipazione italiana a detto Patto. Inoltre, l'atteg

2 Vedi D. 6.

3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 776.

4 Nell'incontro di Cannes: vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

giamento già assunto dai Governi di Washington e di Parigi in merito ali' eventuale adesione italiana non lascia dubbi sul favore con cui tale adesione sarebbe accolta da entrambi detti Governi, cosicché le riluttanze degli altri (Gran Bretagna e Benelux) non appaiono decisive ed anzi, secondo le ultime informazioni da me raccolte qui, tendono già ad affievolirsi. Debbo quindi ritenere non esservi ormai più incertezza né sul nostro desiderio di aderire né sulla possibilità ch'esso venga realizzato; ed è superfluo ch'io aggiunga quanto sono lieto di questo sviluppo della situazione, che V.E. ha saputo determinare, sormontando ostacoli politici e psicologici assai gravi.

Due punti di capitale importanza, a mio avviso, meritano ora di concentrare la nostra attenzione: il primo concerne la natura stessa del Patto e la nostra posizione rispetto agli altri contraenti; il secondo concerne la procedura dell'adesione al Patto e i rapporti fra esso e quello di Bruxelles.

Sul primo punto, finora, sappiamo soltanto che si tratta di una garanzia, fornita dagli Stati Uniti (compatibilmente con le loro norme costituzionali) e dal Canada agli Stati dcii' Europa occidentale, per assisterli nello sforzo di organizzare la loro difesa. Questa garanzia si concreterà in una serie di aiuti militari, destinata probabilmente a formare oggetto di accordi separati. È ovvio il nostro interesse a far sì che le clausole del Patto siano tali da porci nella posizione più favorevole, per quanto concerne la garanzia e gli aiuti, e sopratutto da porci in condizioni di perfetta parità, di diritto e di fatto, con gli altri contraenti. Ritengo che questi obiettivi saranno tanto più facilmente raggiunti quanto più presto saremo in grado di partecipare alle trattative. Infatti, a mano a mano che dalla formulazione dei principi generali si passa a quella del testo vero e proprio, diventa vieppiù difficile ottenere che eventuali nostri interessi particolari siano presi in considerazione; e, per converso, quanto più è ancora fluida la materia trattata, tanto più è facile contribuire a darle la forma voluta.

Per ciò che riguarda il secondo punto (procedura dell'adesione al Patto atlantico e rapporti fra questo e il Patto di Bruxelles) non ho elementi nuovi rispetto a quanto ho telegrafato e riferito nei giorni scorsi5 • In sostanza, a mio avviso, l'adesione anche al Patto di Bruxelles può essere per noi una questione di necessità o di opportunità.

Il determinarsi della prima o della seconda eventualità dipende dalla formula che sarà adottata, in sede di Patto atlantico, in materia di estensione ad altri Stati. Tutti i Governi che partecipano alle attuali trattative sono, per una ragione o per un'altra, contrari ad un eccessivo allargamento della zona destinata ad essere «coperta» dal Patto atlantico. Soprattutto sono ostili ad estenderla nel Mediterraneo, fino a comprendervi la Grecia e la Turchia, che viceversa, con ogni probabilità, avrebbero una crescente aspirazione ad esservi incluse. D'altra parte occorre fare in modo che l'Italia possa aderire al Patto, pur non affacciandosi sull'Atlantico. In che cosa l 'Italia si distingue dagli altri due paesi soprammenzionati? Politicamente, vi è una differenza di «peso», che appunto determina il diverso atteggiamento americano nei suoi confronti. Geograficamente vi è una continuità territoriale coi maggiori paesi dell'Europa occidentale, che manca nel caso della Grecia e della Turchia e che influisce soprattutto sull'atteggiamento francese. Occorre però trovare anche una formula giuridica e diplomatica, che giustifichi il differente trattamento e che offra anche in avvenire una difesa e una garanzia contro even

tuali tentativi di «allargamento». Ecco quindi delinearsi la formula: paesi che si affacciano sull'Atlantico e paesi che fanno parte dell'Unione di Bruxelles.

È incerto se questa formula sarà accolta tale e quale o se sarà sostituita da altra più elastica (ad esempio: «paesi che contribuiscono attivamente alla difesa dell'Europa occidentale» o qualcosa di simile, che non comporti una formale adesione al Patto di Bruxelles). Anche questo dipende dallo sviluppo delle trattative ed accentua il nostro interesse a partecipare ad esse al più presto.

Nel primo caso, la necessità di aderire al Patto di Bruxelles scaturirebbe dalle stipulazioni del Patto atlantico, quantunque gli Stati europei entrino in questo uti singufi. In tale eventualità, peraltro, ritengo che gli ostacoli di natura interna italiana potrebbero cadere, risultando evidente che l'adesione al Patto di Bruxelles è conditio sine qua non per l'auspicata adesione a quello atlantico.

Nel secondo caso, l'adesione sarebbe, ripeto, una questione di opportunità che potrebbe essere pienamente apprezzata soltanto costà. Ho già avuto occasione di esporre a V.E. (rapporto 10254/3807 del 17 novembre )6 i motivi che, da qui, mi sembrano consigliare l'adesione. Essi derivano principalmente dalla preoccupazione di garantire che l'Italia operi in condizioni di perfetta parità nell'ambito dell'organizzazione difensiva occidentale. Nel quadro del Patto atlantico, confesso che non vedrei alcun vantaggio nella formazione di diverse categorie di contraenti e tanto meno nella assegnazione dell'Italia ad una cerchia «esterna» se non «inferiore». Ciò infatti, mentre non comporterebbe per noi nessun minore «rischio» nel caso di complicazioni internazionali, comporterebbe forse minori garanzie. Pertanto sono lieto che gli americani si mostrino, in sostanza, sfavorevoli a questa idea. Per le stesse ragioni, temo che, anche in assenza di esplicite stipulazioni in tal senso nel Patto atlantico, i contraenti del Patto di Bruxelles acquistino, di fatto, una situazione di privilegio, quasi costituissero il «direttorio» dei paesi europei partecipanti al Patto atlantico. D'altra parte, poiché militarmente il Patto di Bruxelles non ha quasi altro valore effettivo che quello destinato ad essergli conferito dal Patto atlantico, è assai facile che esso si trasformi appunto in un vincolo politico, tale da legare più strettamente fra loro i principali esponenti del sistema difensivo occidentale.

Questa mia impressione mi sembra confortata dal fatto che fin da ora, in pratica, i cinque paesi dell'Unione occupano una posizione speciale in ogni iniziativa di carattere generale. Così, ad esempio, essi costituiscono attualmente il nucleo direttivo del movimento per l'unità europea; così, parimenti, quando si è cominciato a parlare di garanzie militari americane, essi per primi si son trovati a trattare in proposito con gli Stati Uniti. Pertanto, allo stesso modo che l'Italia, mercé l'azione diplomatica di V.E., si avvia con successo ad associarsi a quei paesi nelle due iniziative summenzionate, converrebbe che acquistasse titolo per partecipare a tutti i consigli dei Cinque, qualunque sia la veste sotto cui si riuniscono.

Comunque, il memorandum di V.E., nel chiarirmi il pensiero del Governo italiano sulla base di tutti gli elementi di giudizio in suo possesso, mi permetterà di esporre a mia volta qui con la massima franchezza i limiti in cui l'Italia può attualmente operare nel quadro dell'organizzazione occidentale.

25 3 Per la risposta vedi D. 75.

26 1 Copia privata dell'indicazione della data di arrivo.

26 5 Jbid. D. 775.

26 6 Ibid. D. 628.

27

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 215/85. Washington, 7 gennaio 19491•

Ho letto con molta attenzione l'interessante rapporto del 13 dicembre u.s. (telespresso ministeriale n. 3/2128/c., del 20 dicembre u.s.)2 col quale l'ambasciatore Quaroni ha riferito a V.E. sugli ultimi sviluppi della questione delle colonie italiane.

Condivido, in linea di massima, sia la valutazione, che il nostro rappresentante a Parigi fa della situazione -tanto più efficace ed utile in quanto egli ha avuto modo di seguire direttamente i lavori dell'O.N.U. e di avvicinare il maggior numero possibile di personalità estere responsabili -sia la conseguenza che egli trae dalla predetta ragionata valutazione. Col mio rapporto n. 1166114459 del 30 dicembre u.s. 3 ho infatti prospettato a V.E., sia pure su linee necessariamente generali, quali sarebbero le reazioni che ci potremmo attendere da parte americana qualora decidessimo di impostare la nuova fase della questione coloniale nel senso prospettato dall'ambasciatore Quaroni. Mi limiterò pertanto ad alcune poche osservazioni che vorrei venissero considerate integrative anziché polemiche.

Sono d'accordo con Quaroni circa l'opportunità di non perdere tempo nel definire un nostro atteggiamento che tragga profitto dalle vicende di Parigi. Posso anzi aggiungere che tale opportunità ci è stata anche suggerita dagli elementi a noi amici del Dipartimento di Stato (mi consenta V.E. di continuare ad adoperare questa espressione, perché non credo si possa mettere in dubbio che la Divisione Europa del Dipartimento di Stato, e in special modo l'Ufficio Italia, ci abbiano dato costanti e tangibili prove della loro amicizia). Nel sottolineare la convenienza di riprendere subito l'esame della questione non ci sono state date illusioni sulla possibilità di mutamenti neli'atteggiamento americano. Quanto Bolhen ha detto a Mascia (telespresso ministeriale 3/2159/c. del 23 dicembre u.s.)4 circa il peso esercitato dall'Ufficio del Medio Oriente sulla definitiva decisione degli Stati Uniti è purtroppo tuttora vero. Ci è stata però espressa la speranza che, prendendo lo spunto dalle favorevoli disposizioni per la Tripolitania contenute nella lettera di Lovett al presidente De GasperP, possa crearsi qualche sviluppo a noi favorevole per quanto riguarda quel territorio, sia mediante lo studio di nuove formule, sia per l'evoluzione della situazione generale.

Ho ripetutamente segnalato a V.E. le considerazioni militari che consigliavano e consigliano gli americani -nel loro stesso interesse -ad appoggiare le richieste inglesi sulla Cirenaica. Appunto però per l'importanza che qui si annette alla questione della Cirenaica e per il fatto che col possesso di essa si ritengono soddisfatti

2 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 740.

3 Non pubblicato.

4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 724.

5 lbid. D. 712.

-almeno in gran parte -gli interessi strategici americani, non escludesi che gli Stati Uniti potrebbero essere indotti a non negarci il ritorno in Tripolitania.

Sono le preoccupazioni, più o meno in buona fede, degli inglesi, la propaganda attivissima da essi svolta, le minacce di improvviso ritiro delle loro truppe dalla Tripolitania che hanno fatto e fanno tuttora esitare lo Stato Maggiore americano e l'Ufficio del Medio Oriente del Dipartimento di Stato. A ciò va anche aggiunto che da parte nostra, come giustamente osserva Quaroni, non si sono mai fomiti dettagli sia circa le assicurazioni che potevamo dare per la tranquillità e la sicurezza della Libia, sia per suffragare, con cifre, le nostre possibilità di emigrazione in quei territori. Abbiamo risposto con gli elementi logici, politici e sentimentali che avevamo a disposizione. Bisognerà ora poter rispondere con maggiori e più precisi elementi: tanto meglio se potremo presentarci con un progetto del tutto nuovo che, come ho detto, non potrà non soddisfare questi ambienti, portati ad accogliere con favore qualunque programma che acceleri il processo di indipendenza dei popoli coloniali. Ma è necessario che Londra non ostacoli questa nostra azione continuando o, peggio, rafforzando l'opera di propaganda a noi contraria. È appunto per questo che ritengo che la nostra opera di persuasione del Governo americano sul problema delle colonie, indubbiamente necessaria, debba essere, non solo fiancheggiata, ma addirittura preceduta da un franco, esauriente e, per quanto possibile, soddisfacente chiarimento delle nostre relazioni con Londra in tale materia.

Per quanto riguarda l'Eritrea l'ambasciatore Quaroni non è il solo a domandarsi quali siano le vere ragioni della opposizione americana: il Dipartimento stesso si è domandato che cosa sia successo a Parigi. La posizione del Dipartimento era -fino al momento delle dichiarazioni di Gross a Quaroni6 -quella a noi comunicata e cioè la cessione all'Etiopia di Assab e della Dancalia e il rinvio di un anno per tutto il resto. Marshall (di sua iniziativa, mi si dice; cedendo, senza una effettiva conoscenza della questione, al suggerimento di uno dei suoi collaboratori a Parigi, ritengo invece io), si è impegnato personalmente col ministro degli esteri abissino: sarà ora difficile fare macchina indietro tanto più che la parola d'ordine al Dipartimento è che la comunicazione del segretario di Stato è ormai un impegno del Governo. Concordo quindi con Quaroni nell'opportunità di cercare un nuovo metodo di soluzione del problema. Aggiungo che consigli più o meno analoghi ci sono stati dati da qualche funzionario del Dipartimento. Ci è stato detto che l'impegno preso da Marshall-per quanto deplorevole esso siaavrebbe avuto il benefico effetto di rafforzare la influenza americana ad Addis Abeba e che quindi noi si potrebbe cercare di ottenere, in un clima di riavvicinamento dell'Etiopia, quell'appoggio americano che ci è stato fino ad ora negato col motivo che era inutile parlare di ripresa delle relazioni italo-etiopiche finché vi era fra i due paesi lo scoglio della questione coloniale. A tale riguardo mi sarebbe molto utile conoscere quali siano le obiezioni di Cerulli al progetto di trattative dirette con l'Etiopia7•

Ma anche nel caso che si pensasse di seguire una via del genere confermo a

V.E. che ritengo che bisognerà prima superare l'ostacolo inglese. Qualunque nostro tentativo d'intesa diretta con gli etiopici, anche se eventualmente appoggiato dagli

7 Su questo punto Zoppi rispose con il D. 105.

americani, non sarà sufficiente a vincere le difficoltà che ci verranno create in !oca dagli agenti inglesi. Mi riferisco, tra l'altro, alla relazione del console Della Chiesa (telespresso ministeriale n. 3/2099 del 15 dic. u.sY nonché alle interessanti informazioni confidenziali trasmesse tempo fa dallo stesso ambasciatore Quaroni circa l'azione svolta dagli inglesi per impedire, impiegando anche «sanzioni» finanziarie, la nostra ripresa di relazioni con l'Etiopia.

Non ho mai nascosto a V.E. quali erano le difficoltà che incontravo qui e sono quindi d'accordo con Quaroni sulla necessità di continuare la nostra attiva azione a Washington, specie se essa potrà essere suffragata da nuovi argomenti. A questo proposito, ogni aiuto che potrà venire all'ambasciata da esperti o da documentazioni sarà certo benvenuto: tanto più che sin dall'inizio della mia missione qui ho segnalato la necessità che la questione -proprio per tener conto delle convinzioni americane al riguardo -venisse trattata, e non solo genericamente, su un piano differente dalle vecchie concezioni coloniali.

Pur condividendo l'opportunità di un parallelismo nei negoziati con Londra e Washington, quale suggerito da Quaroni, ritengo però che l'accento vada, almeno in un primo tempo, messo su Londra.

Più presto cominceremo, sia a Londra che a Washington, tanto meglio sarà.

27 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

27 6 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 640, nota l.

28

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, BELLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 39/9. Budapest, 7 gennaio 1949 (perv. il 10).

Riferimento: Telespresso n. 4518/840 in data 31 dicembre 1948 1•

Nella settimana che ha seguito l'arresto del cardinale Mindszenty il Governo ha dato l'impressione di voler raccogliere nel più breve tempo possibile i frutti del suo gesto di forza. È parso subito chiaro che la manovra governativa mirava ad un obbiettivo tattico immediato: il distacco del «caso Mindszenty» dal problema dei rapporti Stato-Chiesa. A questo scopo si è cercato di dimostrare all'opinione pubblica che da un lato il cardinale merita il discredito e l'atto di accusa elevato contro di lui, e dall'altro che il clero cattolico in Ungheria non è concorde nel giudicare l'operato del cardinale e vi è quindi la possibilità, ora, di venire ad una sistemazione dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa, poiché l'ostacolo rappresentato da Mindszenty è stato finalmente rimosso.

Per documentare il fondamento delle accuse elevate contro il Primate la stampa ha pubblicato una serie di comunicati, di «notizie di fonte competente» accompagnate dalla riproduzione fotografica di documenti rinvenuti nell'archivio segreto del car

dinale e presentati sotto titoli vistosi in prima pagina (vedi allegati) 2 . La campagna di stampa preme tanto al Governo che la pubblicazione del Vilàg, quotidiano del partito democratico, è stata sospesa per una settimana perché, a quanto sembra, le informazioni governative non erano presentate con sufficiente risalto.

Il materiale pubblicato fino ad oggi vorrebbe sopratutto documentare gli interventi del cardinale per ottenere che le autorità americane consegnassero al Pontefice la Corona di Santo Stefano, sottraendola alla disposizione dello Stato ungherese ed a presentarlo come un campione della reazione: così un suo pro-memoria relativo alla situazione agricola dopo la riforma terriera dovrebbe farlo apparire come un sostenitore dell'economia latifondista. La prosa equivoca dei comunicati governativi cercherebbe infatti di far credere che il cardinale avesse un interesse diretto a ripristinare il regime del latifondo in Ungheria, benché sia generalmente noto che il cardinale è figlio di poveri contadini e tutti conoscano la modestia e l'austerità della sua vita.

Ma il tentativo di liquidazione sul piano politico e morale del cardinale, isolandone il caso e colorando le accuse portate contro di lui con la vernice di un fittizio nazionalismo offeso, non costituisce che l'obiettivo tattico; il vero scopo del Governo è quello di giungere ad una sistemazione dei rapporti fra lo Stato ed una Chiesa asservita agli interessi del regime esistente in Ungheria. Perciò il Governo ha dato l'impressione di voler far presto, sfruttando il disorientamento generale prodotto dall'arresto di Mindszenty ed ha fatto invitare dal presidente del Consiglio i vescovi d'Ungheria ad una riunione con i rappresentanti dello Stato, per giungere ad un chiarimento generale (vedi rapporto in riferimento). Si è ugualmente voluto dare risalto alle parole pronunciate dal settantenne vicario cattolico Béla Witz nel presentare gli auguri di capodanno al presidente della Repubblica insieme ai dirigenti delle altre confessioni religiose. In realtà il Witz ha espresso soltanto la speranza che l'anno ora incominciato possa vedere la conciliazione tra lo Stato e la Chiesa in Ungheria. Ma sia dal contesto delle frasi pronunciate dal Witz e pubblicate nei giornali, sia dalla riproduzione del testo del discorso del Witz nel settimanale cattolico Uj Ember non sembra potersi dedurre che il vicario esprimesse più di un desiderio generico di conciliazione e tanto meno che il vicario parlasse a nome dell'Episcopato ungherese. Se questo era già un motivo per dubitare della possibilità di successo della manovra governativa tendente a forzare la mano all'Episcopato, il dubbio è cresciuto quando è stato pubblicato, con grande rilievo, un nuovo «comunicato di fonte competente» secondo il quale i rappresentanti del Governo e dell'Episcopato avrebbero iniziato trattative <<Ìn uno spirito di reciproca comprensione».

Sembra però che i vescovi non abbiamo aderito all'invito; il comunicato, infatti, si tiene deliberatamente nel vago senza dar nomi. Esso sembra più che altro destinato a creare l'impressione che le trattative siano state iniziate, mascherando l'irrigidimento dell'Episcopato che non è certo disposto a iniziare conversazioni finché perdura la situazione creata dall'arresto del cardinale.

Rientra anche nel quadro della manovra governativa la serie di dichiarazioni che la stampa pubblica quasi quotidianamente -di ecclesiastici sconosciuti in favore del comportamento del Governo verso la Chiesa e contrarie all'atteggiamento

tenuto dal cardinale, pregiudizievole sopratutto per gli interessi della Chiesa. Ma non è improbabile, dati i sistemi vigenti, che tali dichiarazioni siano se non addirittura fabbricate di sana pianta, per lo meno alterate.

La realtà è che in questi giorni il clero si è dimostrato compatto e solidale con il suo capo. Anche coloro che in passato avevano manifestato una certa perplessità di fronte alla intransigenza della sua politica, prospettandosene gli inconvenienti, ora tacciono.

28 1 Non pubblicato.

28 2 Non pubblicati.

29

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 173/4. Nanchino, 8 gennaio 1949, ore 16,30 (perv. ore 17).

Mio 11•

Radio ufficiosa comunista ha volto in derisione offerta pace di Chiang Kai-shek ed ha annunciato offensiva su Pechino e Tientsin. In effetti si sta combattendo sobborghi Tientsin cui aeroporto è sotto tiro artiglieria ed è stato lanciato ultimatum resa comandante in capo Pechino. In vallate Yang Tze Kiang guarnigione governativa Hsuehow trasferitasi al sud non ha potuto raggiungere fiume e se ne prevede resa per accerchiamento. Di altre truppe governative in tale zona si sta effettuando ripiegamento su sponda meridionale fiume in vista difesa Nanchino Shanghai. Si estende anche in alte sfere militari movimento per indurre Chiang Kai-shek abbandonare potere: ad approcci finora ufficiosamente fatti da elementi di questo Governo per mediazione internazionale non si attribuisce in questi ambienti diplomatici prospettive successo, almeno finché Mosca non vi si riveli favorevole.

30

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 184/18. Parigi, 8 gennaio 1949, ore 14,52 (perv. ore 17).

Suo 11 1• Chauvel mi ha espresso grande soddisfazione Governo francese per nostra decisione. Gradirebbe se possibile avere copia nostro memorandum.

30 1 Vedi D. 22.

Mi ha insistentemente consigliato dare comunicazione nostra decisione e nostro memorandum anche a Governo inglese con massima possibile sollecitudine: a suo avviso è molto importante che noi non diamo impressione volere saltare Inghilterra.

Sarebbe utile secondo lui che dessimo comunicazione nostra decisione, se preferiamo non fare troppo circolare memorandum, anche ad altri Stati partecipanti conferenza atlantica e particolarmente al Canada.

Mi ha aggiunto che in questi ultimi tempi si ha forte evoluzione nostro favore Governo Olanda, il quale, grato Francia per appoggio datole Indonesia, desidera esserle gradito e quindi è pronto anche lui appoggiare nostra ammissione solo che sia un poco lavorato oltre che dai francesi anche da noi.

Mi ha detto che questione Patto mediterraneo sta di nuovo tornando fuori: esso è stato oggetto conversazioni con rappresentanti inglesi L' Aja e Ankara da parte dei Governi locali.

Prevede che cambiamenti Dipartimento di Stato porteranno forzatamente qualche giorno ritardo ripresa conversazioni: sarebbe molto utile che noi ne approfittassimo per un certo lavoro diplomatico presso altre capitali interessate, specie Londra e Ottawa, nelle quali Governo francese è disposto aiutarci, solo che noi ne esprimiamo desiderio e gli facciamo conoscere quello che intendiamo fare 2 .

29 1 Vedi D. 2.

31

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 188/1. Oslo, 8 gennaio 1949, ore 16,16 (perv. ore 19,30).

Nessuna dichiarazione è stata diramata da parte Norvegia circa il convegno Scandinavia di Karlstad che è al centro dell'interesse locale. Presidente del Consiglio ha solo smentito ufficialmente che Norvegia abbia ricevuto invito americano aderire Patto atlantico.

Convegno in realtà pare sia stato tenuto per iniziativa Norvegia allo scopo evidente di uno scambio di vedute chiaro e completo con Svezia alla vigilia avvenimenti che più o meno presto porteranno certamente Norvegia e Danimarca ad una collaborazione attiva nella organizzazione occidentale.

Questi ambienti ufficiosi insistono nel mettere in rilievo che nessuna decisione definitiva sarà presa in materia sino a nuova riunione ministri scandinavi fissata per 20 corrente dopo cioè che commissione per problema difesa avrà presentato suo rapporto conclusivo.

30 2 Vedi anche D. 37. Per la risposta vedi D. 61.

32

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 200/10. Belgrado, 8 gennaio 1949, ore 20 (perv. ore 7,30 del 9).

Delegazione comunica:

«65. Telegramma ministeriale 8 del 5 gennaio 1 incrociatosi con mio telegramma 642 col quale informo che jugoslavi non hanno accolto principio di corrispondere un indennizzo per beni italiani territori ceduti ed hanno chiesto dimostrazione nostri diritti a pretender lo. Pertanto attuale stadio conversazioni non (dico non) consente avanzare subito cifre. Tuttavia tengo presente istruzioni impartite per attuarle momento opportuno che affretto quanto possibile. Segue telespresso urgente corriere partenza domani3 . Firmato Romano».

33

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

TELESPR. 0259/c. Roma, 8 gennaio 1949.

Riferimento: Rapporto Cattani del28 dicembre n. 1510 (qui unito in copia)1•

Ho letto le interessanti considerazioni del ministro Cattani sugli argomenti sopra indicati e poiché esse concernono sostanzialmente i nostri rapporti economici e per riflesso politici con la Francia e con la Gran Bretagna ho ritenuto opportuno fame parte a codesta ambasciata unitamente al mio pensiero in proposito.

La Unione doganale che andiamo perseguendo con la Francia e che riteniamo conforme all'interesse dell'Italia, della Francia e dell'Europa, non può, né deve essere considerata come diretta in alcun modo contro chicchessia e tanto meno contro l'Inghilterra. Ne discende che non solo la collaborazione italo-inglese, nel campo generale dei rapporti tra i due paesi e in quelli particolari in seno all'O.E.C.E. deve poter rimanere immutata ed essere possibilmente intensificata, ma che l'azione mediatrice svolta sinora dalla nostra delegazione all'O.E.C.E., per attutire e possibilmente comporre le divergenze anglo-francesi, potrà e dovrà trovare modo di esplicarsi a maggior ragione e con maggior successo quanto più i nostri rapporti economici con la Francia si svilup

2 Si tratta del T. 63 (trasmesso da Martino con T. 112/8 del5 gennaio) non pubblicato.

3 Non pubblicato.

peranno nel quadro dell'Unione doganale. Sarà la nostra un'azione che, già apprezzata da parte britannica, dovrà riuscire utile anche alla parte francese. Se sapremo continuare su tale via potremo anzi far maggiormente apprezzare a Londra la parte che potremo svolgere nel seno dell'Unione economica italo-francese e dimostrare al Governo britannico che sue eventuali diffidenze nei riguardi di essa sono infondate. Nel nostro pensiero del resto l'Unione economica italo-francese dovrà mirare anche ad una armonizzazione di interessi con l'area della sterlina ovviamente essenziale tanto per l'Italia quanto per la Francia. Né verranno perduti di vista, tanto sul piano dell'Unione italo-francese, quanto sul piano degli interessi comuni con l'area sterlina, gli sviluppi in senso cooperativo europeo dell'attività dell'O.E.C.E.

È poi da tener presente che all'Unione non potrà pervenirsi se non gradualmente e che vi sarà quindi tempo e modo di tener conto di tutti gli interessi in gioco contemperando con essi le varie esigenze prospettate. In questo senso parlerò, se necessario, ali' occasione, con Bevin.

Non mi sono mai nascosto che l'Unione economica con la Francia pone sul piano interno, come su quello internazionale, dei problemi anche delicati, che dovranno essere gradualmente risolti; il risolverli con capacità ed oculatezza è appunto il compito che ci attende.

L'ambasciata a Parigi vorrà trasmettere alla delegazione presso l'O.E.C.E. la presente comunicazione.

32 1 Vedi D. 9.

33 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 784.

34

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AI MINISTRI A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL CAIRO, FRACASSI, E A DAMASCO, CORTESE

TELESPR. 00304/c. Roma, 8 gennaio 1949.

Nel corso delle recenti conversazioni di Cannes 1 è stato proceduto anche ad uno scambio di idee in merito alla situazione del Medio Oriente ed alle direttive politiche cui si ispira l'azione dei Governi francese ed italiano in quel settore.

Da parte nostra è stato precisato agli interlocutori francesi che già molti mesi fa avevamo fatto conoscere al Governo di Londra il nostro pensiero in merito alla questione palestinese sottolineando che non avevamo obiezioni a che, mediante l'annessione della Palestina araba alla Transgiordania, il re Abdallah rafforzasse la sua posizione e indirettamente quella britannica in quanto consideriamo il consolidamento di questa come un interesse generale europeo e quindi anche italiano.

È stato precisato altresì che avevamo reso noto a Londra il nostro punto di vista circa l'ineluttabilità del riconoscimento dello stato di fatto creato dagli ebrei in quel territorio, marcando tuttavia il nostro interesse alla internazionalizzazione della città di Gerusalemme. Da parte francese si è convenuto nel riconoscere ormai inevitabile

l'esistenza di uno Stato ebraico in Palestina e si è convenuto altresì nel riconoscere la necessità della internazionalizzazione della città di Gerusalemme. Ci è stato detto anche che il re di Transgiordania sta trattando direttamente con il Governo di Israele e così pure stava facendo il Governo egiziano. Quanto al Governo libanese questo, non avendo voluto crearsi imbarazzi durante la Conferenza dell'U.N.E.S.C.O. a Beirut, aveva sottaciuto gli sconfinamenti ebrei ai propri confini, ma terminata la conferenza si era rivolto a Parigi per cercare appoggi nell'ottenere lo sgombero della modesta fascia di territorio di frontiera occupato dagli ebrei. Tutto questo sembrava avviare la questione palestinese verso una soluzione di accordi diretti sulla linea da noi preconizzata di compensi reciproci, nei quali il Governo francese da parte sua era d'accordo. Gli avvenimenti susseguitisi fra egiziani ed ebrei sembrano peraltro dimostrare che da parte dell'Egitto si persista in un atteggiamento negativo e suscettibile di pericolosi sviluppi.

Per quanto si riferisce alla Siria ed al Libano è stato constatato il comune interesse a salvaguardare l'indipendenza di questi due paesi almeno sino al limite in cui tale indipendenza è desiderata dai due Governi e da quelle popolazioni. Abbiamo sottolineato che comunque a quanto ci risulta non esistono nel Libano apprezzabili correnti, neanche nell'elemento arabo e musulmano, a favore di una Grande Siria.

Abbiamo messo al corrente i francesi dei nostri rapporti con lo Yemen e della recente missione colà del nostro ministro a Gedda2; come pure li abbiamo messi al corrente della ripresa dei nostri rapporti con l'Iraq3 , nel quale paese, abbiamo sottolineato, i nostri interessi sono principalmente commerciali.

Nei confronti dell'Egitto è stato constatato che le informazioni pervenute dalla legazione al Cairo collimano con quelle in possesso del Quai d'Orsay. Da parte nostra è stato marcato l'interesse che abbiamo alla sostituzione dell'attuale regime transitorio, succeduto a quello capitolare, con accordi di stabilimento, che diano piena sicurezza alle collettività straniere e ai loro interessi.

Siamo rimasti intesi che i rappresentanti italiano e francese in quei paesi si manterranno in contatto per utili scambi di idee.

34 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

35

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. l 7/15. Parigi, 8 gennaio 1949 1•

Schuman mi ha detto che, pur essendo rimasto assai dispiaciuto del gesto affrettato fatto dalla Commissione degli esteri2 , fino alla sua conversazione con Chauvel

3 lbid., D. 145. 35 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. l.

non si era reso completamente conto della reazione che esso aveva avuto in Italia. Gli ho spiegato a lungo le ragioni del risentimento italiano, e come la reazione leggera della stampa, che lo aveva indotto in errore, era stata dovuta soltanto all'azione svolta dal Governo italiano. Senza troppo esagerare, ho naturalmente calcate le tinte poiché volevo assicurarmi la sua dichiarazione per la quale, originariamente e sia pure per via indiretta, si era mostrato un po' riluttante. Ha alla fine accettato con buona grazia: la dichiarazione è stata dettata personalmente da lui in mia presenza3 .

Mi ha detto poi che conta prendere personalmente in mano la questione: adesso deve ritirare il progetto dalla Camera. Conta poi provocare una riunione dei parlamentari, dei consigli generali, dei ministeri e degli enti interessati per sentire le loro obiezioni e far loro presente il punto di vista del Governo francese e gli interessi politici connessi con la ratifica. Dopo di che riprenderà le trattative con noi, contando poterei dare soddisfazione per l'essenziale. Dato che egli mostrava di considerare come essenziale solo la centrale della Gran Scala gli ho fatto presente che questo non era esatto. La Francia aveva dichiarato, sia a noi che agli altri alleati, di volere come frontiera la linea spartiacque, cosa a cui noi stessi avevamo acceduto: in realtà la linea spartiacque era stata superata su tutta la linea, in modo da assicurare alla Francia tutte le posizioni dominanti e tutte le principali vie di accesso: si era così venuta a costituire una frontiera offensiva, e di sfiducia nei nostri riguardi. La reazione dell'opinione pubblica italiana alle modificazioni di frontiera era stata molto forte: il Governo italiano aveva fatto tutto il suo possibile per risalire la corrente, ma non sarei stato onesto se gli avessi nascosto che la ferita non era rimarginata. Non si potevano stabilire delle relazioni di fiducia fra i due paesi con una frontiera basata sulla sfiducia. Avendomi egli accennato alla poca importanza che hanno le considerazioni di frontiere in questi momenti di guerra atomica, gli ho detto che aveva perfettamente ragione: ma dal momento che mi aveva fatto intendere che lo Stato Maggiore francese e molti francesi con lui erano talmente imbecilli da dare importanza a posizioni ed a linee, non doveva meravigliarsi se anche lo Stato Maggiore italiano e molti italiani con lui si mostravano altrettanto imbecilli: «non c'è nulla nel trattato di pace, gli ho detto, che autorizzi soltanto lo Stato Maggiore francese ad essere idiota». Quello che l'accordo Bidault ci aveva concesso era solo al di sotto di quello che noi consideravamo il minimo necessario per rendere tutta la nuova sistemazione frontiera meno offensiva. Non era possibile il ridurre considerevolmente anche questo poco senza rendere la cosa tutta ridicola. Se per dare soddisfazione ai militari francesi fosse stato necessario fare qualche riduzione sul Moncenisio bisognava darci delle soddisfazioni altrove.

Schuman si è limitato a ringraziarmi per avergli spiegato con tutta franchezza il nostro punto di vista.

Passando adesso al punto di vista pratico, posso dire che, nonostante le proteste dell'Elettricità di Francia credo che la centrale di Gran Scala non sarà di nuovo messa in discussione: temo però che scompariranno praticamente le concessioni di territorio che ci erano state fatte sul Moncenisio. Per la rettifica di frontiera nella regione di Olivetta San Michele si tratterà soprattutto di dimostrare, documenti alla mano, se realmente gli oliveti in questione appartengono agli abitanti di Olivetta o

35 ·1 Vedi D. 14.

di Piena e che da questa documentazione di fatto, che bisognerebbe cominciare a mettere insieme fin da ora, e accuratamente, dipenderà se la rettifica concessaci potrà essere mantenuta o no. Per Clavières le cose resteranno come sono: forse lì si potrà ottenere quella piccola soddisfazione a nostro favore per il campo di golf che non si era potuta avere fino ad ora. Le altre piccole modificazioni non sembra abbiano sollevato discussioni.

Ma la questione più preoccupante è la seguente: la Commissione parlamentare ha osservato, e giustamente dal suo punto di vista, che il Quai d'Orsay non si era preoccupato di ottenere, in cambio delle rettifiche di frontiera, il riconoscimento da parte nostra della nuova frontiera. In altre parole che noi desistessimo dalla posizione di Diktat per accettare volontariamente la nuova frontiera.

Non che la cosa in sé abbia una grande importanza: se si dovessero domani realizzare delle circostanze per cui la Francia sia nella necessità di dover consentire una radicale modifica della nostra frontiera, non sarebbe certo il nostro eventuale riconoscimento di oggi che ce ne toglierebbe la possibilità. E, di rimando, se non si dovessero verificare queste circostanze, noi potremmo mantenere la nostra posizione di Diktat quanto ci pare, questo non cambierebbe la frontiera. Se non che, al momento in cui si iniziarono qui le conversazioni per la frontiera, il non accettare, in cambio, il riconoscimento era stato una delle condizioni sine qua non postemi da V.E.

Ora bisogna decidere se noi manteniamo questo non possumus poiché la questione sarà sollevata: e bisognerebbe che V.E. mi facesse sapere il suo punto di vista al più presto. La questione non è semplice: purtroppo le future conversazioni si svolgeranno non sotto forma segreta: se la questione ci viene posta, e se noi non l'accettiamo, è facile risponderei con l'accusa di irredentismo, col conseguente inasprimento di tutte le nostre relazioni. È ridicolo pensare che tutto questo si fa per Briga e per Tenda: ma colla facilità all'esagerazione sentimentale che è propria dei francesi, questi due buchi sono diventati adesso per una regione francese almeno, una specie di Alsazia Lorena. Se invece l'accettiamo, ci sarà dell'ira di Dio da noi.

Sperare che contro l'accettazione espressa nostra della nuova frontiera si possano avere da parte francese delle concessioni maggiori è fuori di questione: l'unica cosa che si potrebbe forse domandare da parte nostra, come contropartita a questa accettazione, ammesso che la cosa interessi, sarebbe una forma di smilitarizzazione della frontiera anche da parte francese, cosa che si potrebbe chiedere senza essere accusati di imperialismo in Francia e di scocciatori emeriti nel resto del mondo.

Comunque è tutta una questione che va studiata da parte nostra perché essa può diventare assai noiosa, e molto poco incoraggiante per le relazioni italo-francesi. l molti mesi in cui il Governo italiano, per ragioni sue, non ha potuto decidersi sulle proposte francesi originarie hanno creato un grosso pasticcio.

Mi è comunque, ripeto, necessario conoscere fin da adesso il pensiero di V.E. in proposito: è necessario per decidere se ci conviene premere i francesi per una nuova proposta e non piuttosto !asciarli prendere il loro tempo4 .

34 2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 739.

35 4 Quaroni riferì ulteriormente sull'argomento con i DD. 116 e 229. Per la risposta di Sforza vedi D. 387.

36

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 18/16. Parigi, 8 gennaio 19491•

Ho espresso molto chiaramente a Schuman le mie preoccupazioni circa l'atteggiamento del Parlamento francese di fronte al nostro progetto di Unione doganale. Da principio egli ha mantenuto la linea ottimistica da lui tenuta a Cannes2: ha poi chiamato il suo capo di Gabinetto politico per sentire il suo parere e questi si è mostrato molto più vicino alla mia tesi che a quella di Schuman.

La mia impressione, che, ripeto, gli ho detto chiaramente, è che il Parlamento francese è disposto ad approvare un progetto in cui praticamente non ci sia niente, al di fuori di una solenne dichiarazione di principio, e che si limiti a stabilire un meccanismo di funzionamento e delle tappe molto elastiche, concepite in modo da permettere al Parlamento, se vuole, di non fare niente. Per fare qualche cosa di più ~e, a mio avviso, gli ho detto che bisognerebbe fare qualche cosa di più se non si vuole cadere nel ridicolo di fronte alle nostre due opinioni pubbliche e di fronte all'opinione pubblica mondiale ~ci vuole una azione decisa sua, del Governo francese, sugli ambienti interessati, sia parlamentari che economici e sulla stampa. Da noi tutto questo era stato fatto: da parte francese non era stato fatto niente: questo me lo aveva riconosciuto lui stesso alcuni mesi addietro; doveva però riconoscere che nel frattempo si era continuato a fare niente.

Schuman mi ha riconosciuto che era stato effettivamente così, adducendo a sua scusa le molte occupazioni per l'O.N.U., lo sciopero e la crisi governativa in Francia: mi ha aggiunto poi che il Parlamento francese non si interessa di nulla che non sia immediato e che quindi una azione a lungo termine non avrebbe avuto nessuna utilità pratica. Gli ho detto che questo era esatto: ma che temevo appunto che le opposizioni all'Unione non si fossero manifestate fin che si riteneva che si trattasse di una idea di assai lontana esecuzione: ma che ora che i tempi si avvicinavano l'opposizione si faceva viva: era per questo tempo che anche il Governo francese si mettesse in movimento. Non gli ho nascosto che non ero affatto sicuro che molti dei suoi colleghi di Gabinetto avessero per l'Unione doganale lo stesso entusiasmo che aveva lui.

Quello che mi preoccupava era questo. Era bene che l'accordo fosse firmato solennemente dai due ministri degli esteri prima della sua presentazione ai Parlamenti. Ma, dopo l'esperienza dell'accordo di frontiera3 , sarebbe stato assai rischioso, e senz'altro pregiudizievole ai nostri rapporti, firmare l'accordo se non si era prima sicuri che esso sarebbe stato accettato dal Parlamento francese. Alla sua domanda circa il Parlamento italiano gli ho ricordato che V.E. a Cannes gli aveva date delle assicurazioni categoriche in materia: comunque, se questo gli era utile, avrei potuto

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

3 Vedi DD. l, IO, 14 e 35.

domandarne conferma. A sua richiesta di quello che sarebbe stato necessario fare da parte francese per darci questa sicurezza, gli ho detto che non spettava a noi dare consigli ad un parlamentare sperimentato come lui.

A noi ci bastava, evidentemente, la sua assicurazione precisa che il Parlamento avrebbe accettato. Alla sua osservazione che non si poteva mai prevedere con sicurezza totale quello che avrebbe fatto un Parlamento francese, gli ho detto che questo era esatto, ma fino ad un certo punto: poiché, come in altre occasioni, il Governo aveva avuto ragione del Parlamento ponendo la questione di fiducia, era questione appunto di sapere se il Governo francese, in caso, era pronto a mettere sull'accordo d'Unione doganale la questione di fiducia. Non mi ha risposto: si è limitato a dire che avrebbe intrapreso al più presto il suo lavoro parlamentare ed altro.

Gli ho fatto allora osservare che il suo programma di viaggi era piuttosto serrato: mi sembrava quindi che, almeno per il corrente mese di gennaio, il tempo che era a sua disposizione a Parigi era ben poco. Mi ha risposto che questo era esatto e che appunto per ciò che egli non era stato formale nel dare a VE. una risposta circa la data del 20 gennaio come possibile data della firma dell'accordo. Probabilmente sarebbe stato necessario prevedere una data più lontana, anche se non molto più lontana. Gli ho detto, che, per parte mia, era meglio di rimandare la firma dell'accordo di qualche settimana («non credo sia necessario tanto», mi ha interrotto) piuttosto che rischiare di fare la seconda dell'accordo delle frontiere.

Ho poi attirato la sua attenzione sulla nota questione della bilancia dei pagamenti. Gli ho fatto presente che la situazione era tale che se non si provvedeva d'urgenza si rischiava di fare oggi l'Unione doganale e arrivare domani alla sospensione pratica dei traffici commerciali fra Italia e Francia. A mio avviso -gli ho precisato che era un mio avviso personale-era assai rischioso procedere alla firma dell'accordo se non si era prima trovata la maniera di risolvere questa questione: altrimenti si rischiava di essere sommersi nel ridicolo. Ne ha convenuto, ma ha anche convenuto che, fino ad oggi, il Governo francese non aveva fatto gran che per studiare la questione. Attendeva adesso che il sottosegretario alle finanze fosse guarito per poterne trattare con lui: era questione di troppa importanza per poterla trattare soltanto sul piano funzionari. Sul che ho convenuto pur facendogli presente che occorreva approfittare del fatto che erano presenti a Parigi i principali capi servizi interessati, il che poteva permettere di meglio approfondire la questione.

Gli ho aggiunto che, per quello che concerneva l'emigrazione, eravamo perfettamente d'accordo per studiare tutti i possibili sistemi per impedire le frodi: ma che le idee dei servizi francesi sul problema in generale erano del tutto inaccettabili. Gli operai italiani venivano malvolentieri in Francia e non ci restavano volentieri perché erano mal pagati e perché l'ambiente generale era loro poco favorevole. Ci stavano soltanto perché, e fino a che, il lavoro in Francia dava loro la possibilità di inviare a casa le economie necessarie per mantenere la loro famiglia: se si volevano ridurre le loro possibilità di trasferta, gli italiani se ne sarebbero andati. Egualmente l'idea francese di risolvere la questione facendo venire qui le loro famiglie era ottima, e aveva tutto il nostro appoggio. Purtroppo però si trattava in gran parte di illusione: gli alloggi in Francia non c'erano o c'erano in misura irrisoria: non si potevano far venire le famiglie per metterle in campi di concentramento. Mi ha detto allora del piano francese per la costruzione di case: non gli ho detto che di questo piano ne ho sentito parlare da un anno e mezzo

senza che niente sia stato fatto: mi sono limitato a dirgli che, comunque, questo non avrebbe risolto il problema immediato. Da parte francese, ho continuato, si aveva un po' troppo l'atteggiamento di dire che, ammettendo l'emigrazione italiana i francesi ci facevano un grosso favore e che quindi tutti questi problemi li dovevamo risolvere noi. Ammettevo che il problema della bilancia dei pagamenti, di cui le rimesse emigranti erano solo una parte, era un problema grave e tale da domandare sacrifici, anche importanti, alle due parti: ritenevo di poter dire che il Governo italiano non si sarebbe rifiutato di fare la parte sua: ma bisognava anche che da parte francese si fosse disposti a fare altrettanto: la questione attualmente poteva essere risolta soltanto dal Governo: e bisognava anche che il Governo francese si mostrasse deciso in questo a farsi obbedire dai servizi, cosa che non si verificava sempre.

Schuman mi ha ripetuto di essere pienamente convinto della necessità e dell 'urgenza della cosa e che se ne sarebbe occupato personalmente.

Chauvel che ho visto la mattina seguente, in occasione di uno scambio di ratifiche, mi ha detto che Schuman era rimasto molto compreso dell'importanza di questo punto. Resta a vedere se, date tutte le altre preoccupazioni che ha, se ne occuperà quanto è necessario.

36 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 19/17. Parigi, 8 gennaio 19491•

Mio telegramma n. 18 dell' 8 corrente2 .

A complemento di quanto riferito telegraficamente e con la premessa che tutte le informazioni in proposito -dati gli impegni reciproci presi tra i negoziatori debbono essere considerate riservate, ho avuto al Quai d'Orsay le notizie seguenti sul punto in cui stanno le conversazioni sul Patto atlantico:

Il progetto del Patto è oramai pronto nella sua parte essenziale, si è superato cioè lo scoglio dell'intervento automatico e ci si è messi d'accordo su una formula che prevede l'intervento «immediato». Questa formula, oltre che alle esigenze delle norme costituzionali dei paesi partecipanti risponde anche alla realtà geografica che determina tutti questi patti di garanzia: l'America infatti, per quanto interessata alla sicurezza del continente europeo, non risente, alla pari di questo, la necessità di un intervento automatico contro un eventuale aggressore dall'est o dal centro dell'Europa. Ma la formula oggi adottata consente tuttavia di prendere, tra organi competenti, tutte quelle predisposizioni atte a rendere all'atto pratico, vale a dire non appena intervenga la decisione del Parlamento, la garanzia pienamente efficace: era il massimo che si poteva ottenere.

2 Vedi D. 30.

Tenendo sempre presente come criterio fondamentale dell'economia del Patto il criterio geografico oltre che politico, si hanno questi altri dati:

gli Stati Uniti sono interessati, dal punto di vista strategico ad alcuni «punti di appoggio»: le Azzorre, l'Irlanda, l'Islanda, la Groelandia. Questi punti determinano a loro volta i paesi che, dal punto di vista americano, sono essenziali alla costruzione del sistema di sicurezza atlantica in senso stretto. Ma è evidente che da un lato la realtà non può sic et simpliciter aderire a questo schema, e dall'altro che il problema strategico impostato su questi punti comporta degli sviluppi. Nel settore nordico i paesi che entrano così in considerazione sono la Norvegia e la Danimarca. Entrambe sono state messe al corrente, non si sa bene fino a che punto, del progetto del Patto attraverso i loro ambasciatori a Washington. Hanno fatto intendere che un invito in questo momento, vale a dire fino a quando le conversazioni militari a tre con la Svezia non siano concluse e concluse certamente in senso negativo, le porrebbe in difficoltà. È facile quindi che questo invito sia differito ed è anche probabile che, per non mettere in imbarazzo il Governo svedese, questo sia presentito per il tramite dei due altri paesi nordici.

Per quanto riguarda l'Irlanda, sono note le ragioni per cui, allo stato attuale delle cose, l 'invito non sarà fatto.

La posizione del Portogallo non è ancora ben definita: finora i francesi ritenevano che, essendo già legato con l'America per le Azzorre, non avesse alcun desiderio di aderire al Patto. Da parte inglese invece si afferma che il Portogallo desidererebbe questa adesione, e si ritiene che l'affermazione sia fatta a ragion veduta.

Passando ora ai territori per cui l'accordo non è stato ancora raggiunto, i francesi sostengono l 'inclusione dell'Africa del Nord e sperano di convincere gli americani (evidentemente questi non si disinteressano della zona, ma la fanno rientrare in un sistema diverso da quello del Patto atlantico). I cambiamenti di titolari al Dipartimento di Stato porteranno probabilmente qualche ritardo a una definizione che sembrava imminente, e i francesi si augurano di ricavare da questo ritardo qualche vantaggio per le loro tesi. (Circa il cambiamento degli uomini proposti alla direzione degli affari americani non si avevano a tutt'oggi al Quai idee chiare. Ci si augura la prevalenza di ambienti che non credano alla ineluttabilità di una guerra con l'U.R.S.S.).

Resta ora il caso dell'Italia. I francesi hanno sostenuto energicamente -così affermano -la sua inclusione nel sistema atlantico: per essere l'Italia elemento da cui non si può prescindere sia nei riguardi della difesa mediterranea e africana, sia in caso di offensiva diretta contro la Francia attraverso la Valle padana, sia per la stretta connessione dell'Italia con la difesa del cuore dell'Europa. Gli americani, che in un primo tempo si erano dimostrati molto favorevoli, ora sembravano incerti: si notava ancora una volta il disparere tra Direzione europea nettamente favorevole e Direzione africana sfavorevole in seno al Dipartimento di Stato. Lovett in un recente colloquio con Bonnet si era dimostrato reticente. Chi era sempre contraria era l'Inghilterra, forse in relazione anche essa alla supposta situazione interna italiana. Un nostro scambio di idee con Londra in proposito sarebbe certamente utile. Sul Benelux non c'era da fare troppo assegnamento, sebbene ultimamente, per le ragioni che ho già detto -mio telegramma citato-l'Olanda abbia manifestato il proposito di assecondare il punto di vista francese. In conclusione però non si tratterebbe di non includere l'Italia nel sistema, si tratterebbe di stabilire il quando, che da taluni si vorrebbe non immediato. Sulla sostanza delle cose nei riguardi dell'America non c'erano dubbi e il generale

Marras -gradirei sapere se ciò è esatto -dovrebbe aver riportato in Italia dalla sua visita in America assicurazioni precise circa il modo di rendere efficienti quelle modeste ma pur non trascurabili forze armate consentiteci del trattato di pace3 .

Grecia e Turchia, si sapeva, avevano protestato per la loro omissione dal Patto. I turchi avevano anzi compiuto un passo a Londra riuscendo ad ottenere una dichiarazione, scritta a quanto pare, che la sicurezza turca interessava i cinque del Patto di Bruxelles e che se ne sarebbe riparlato in sede di patto mediterraneo.

Questo del patto mediterraneo -in gestazione -è forse il fatto nuovo che dà la spiegazione di tante cose e che converrebbe chiarire: l'argomento si presta a essere trattato a parte.

37 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 210/161 . Washington, 9 gennaio 1949, ore 19,23 (perv. ore l O del!' Il?.

Ricevuto memorandum3 . Schietta descrizione, in esso contenuta, della nostra situazione politica e dello stato nostra opinione pubblica, a conferma di quanto via via abbiamo detto ad americani a Roma e qui anche recentemente, è assai utile per facilitare loro comprensione atteggiamento Governo italiano.

Circa parte conclusiva, in base anche a telegrammi di V.E. 681, 2, e senza numero del 7 corrente\ mi propongo, salvo contrarie istruzioni, interpretare come segue pensiero Governo italiano, nelle comunicazioni orali e nel memorandum che consegnerò Lovett (che resta in carica fino 20 corrente e cui mi propongo chiedere udienza per mercoledì)5:

l) situazione geografica italiana particolarmente esposta rende Governo, ambienti politici ed opinione pubblica estremamente sensibili a problema sicurezza;

2) pertanto Governo italiano vede con favore sua eventuale partecipazione Patto attualmente in discussione, destinato organizzare difesa politico-militare Occidente, nonché a relative trattative;

3) per motivo di cui al n. l, Governo medesimo gradirebbe da Stati Uniti confidenziale conferma che Patto in discussione è un accordo di garanzia politica e sicurezza militare, destinato applicarsi ad Italia, in caso sua adesione, alla identica stregua di altri paesi europei e includente in territorio italiano il Territorio Libero di Trieste;

2 Diramazione ritardata per chiesta ripetizione della seconda parte del telegramma (dal terzo capoverso).

3 Vedi D. 15, Allegato.

4 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 786 e, in questo volume, DD. 4 e 21.

5 Vedi DD. 50 e 59.

4) qualora tale precisazione pervenisse, Governo italiano sarebbe lieto mettere in moto, per partecipazione a Patto e a relative trattative, quella procedura che fosse per essere stabilita.

È mio dovere aggiungere che, a mio avviso, risposta americana non potrà superare seguenti limiti:

a) per quanto concerne garanzia che eventuale attacco Italia comporti intervento americano, il limite è quello imposto a Patto atlantico da note norme costituzionali americane;

b) per quanto concerne aspetti militari della garanzia, mi sembra naturale che essa, trattandosi di un patto che ha appunto per oggetto la difesa paesi Europa occidentale, miri alla difesa di tutto il territorio italiano, con la esplicita inclusione di Trieste; ma la formulazione dei piani strategici e dei programmi di riarmo nonché la concreta definizione di eventuali «linee» di difesa rientrano negli accordi tra Stati Maggiori, che costituiscono complemento necessario dell'accordo politico. (In proposito mi richiamo alle assicurazioni preliminari date a Marras)6 .

Così per clausole di garanzia politica come per loro addentellati con piani strategici, formulazione precisa del Patto è tuttora oggetto discussione e dipenderà da esito discussione stessa. Essenziale quindi è che l'Italia si trovi, sotto entrambi aspetti, sullo stesso identico piano degli altri. La qual cosa, a mio avviso, non appena fosse acquisita, comporterebbe di per sé inclusione nostro paese nella zona che Stati Uniti intendono difendere e cioè supererebbe timori che si nutrivano pochi mesi or sono a questo riguardo. Sarebbe così realizzata condizione preliminare per raggiungimento di quella sicurezza, che è obiettivo fondamentale della politica italiana, e si potrebbe passare alla fase concreta della organizzazione militare della difesa stessa.

37 3 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 719, 761, 762, 765, 785 e, in questo volume, D. 3.

38 1 Testo originale dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Washington.

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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE RISERVATO 49/03. Varsavia, 9 gennaio 1949 (perv. 17 gennaio).

Riferimento: Mio telegramma filo n. 21• Ieri, col cerimoniale d'uso, ho presentato le lettere che mi accreditano come ambasciatore straordinario e plenipotenziario presso questo presidente della Repubblica. In tale occasione ho pronunciato un'allocuzione, di cui trasmetto separatamente il testo a titolo documentario2 , nella quale ho portato l'accento soprattutto sull' analo

39 1 In pari data, non pubblicato. 2 Non pubblicato.

gia delle posizione storiche e sulla naturale simpatia che anima reciprocamente i due popoli, per far rilevare che italiani e polacchi hanno in loro stessi gli elementi necessari e sufficienti per intendersi, contribuendo al mantenimento della pace.

Il presidente della Repubblica, nel ringraziare, ha messo particolarmente in rilievo, dal canto suo, l'importanza della cultura nella costruzione del nuovo mondo-accennando anche al contributo che Italia e Polonia hanno sempre dato in questo campo nel corso dei secoli -ed il proposito di approfondire i reciproci rapporti economici. Il presidente poi, pur facendo una chiara allusione all'attuale momento politico accennando alle «difficoltà esistenti per la costruzione di un nuovo mondo veramente democratico», ha ripreso un motivo già da me adombrato per dire che i due popoli possono grandemente contribuire a stabilire l'opera della pace in uno spirito di giustizia e di sicurezza universali.

Nella conversazione che è seguita e che si è protratta, mi dicono, più a lungo del normale (esattamente 25 minuti), il presidente Bierut è tornato sui cennati argomenti del suo discorso precisando, a proposito degli scambi commerciali, che al carbone polacco dovrebbero far riscontro esportazioni italiane in Polonia delle industrie metallurgica, meccanica e navale. Lo ho assicurato naturalmente delle nostre migliori disposizioni al riguardo, riferendo, anche in questa occasione, dell'interessamento che il nostro ministro degli esteri aveva già avuto occasione di spiegare al riguardo.

Il signor Bierut ha toccato poi l'argomento, già precedentemente toccato dal suo ministro degli esteri3 , della disoccupazione in Italia. Ho brevemente riportato a lui quanto avevo già detto a Modzelewski, lì presente e che ci faceva da interprete. Poiché mi è sembrato che il presidente vi insistesse oltre il necessario, ho aggiunto che il fenomeno della disoccupazione in Italia potrebbe anche essere eliminato, considerate le vere cause che lo determinano, trasformando tutto il paese in un solo cantiere.

Il presidente si è dilungato infine sull'importanza del turismo in Italia. Ne ho convenuto ed ho ricordato che esso aveva sempre costituito una delle nostre sicure fonti di introito e di impiego di mano d'opera. Purtroppo, ho aggiunto, l'atmosfera internazionale non è la più propizia ad agevolare ed incrementare le correnti turistiche.

Il colloquio mi è apparso abbastanza interessante, men che per gli argomenti trattati, per una particolare atmosfera che si poteva percepire intorno a noi.

La conversazione, iniziatasi infatti, come tutte le conversazioni del genere, con un preambolo incolore, ha poi proseguito in modo che la pregiudiziale politica si sentiva sospesa nell'aria. Il ministro degli esteri ha fatto da interprete molto garbatamente, dimostrando tatto, sensibilità e saper fare diplomatico. Il presidente invece sembrava preoccupato di apparire quale «doveva» essere e soprattutto intento a controllarsi costantemente. Il signor Bierut, oltre a essere presidente della Repubblica è anche, com'è noto, presidente del Comitato centrale del Partito unito operaio, membro del Politburò, del Segretariato e dell'Orgburò del partito. Egli quindi è, oggi, la massima personalità politica in Polonia. Come uomo, ricorda il tipo del contadino sorridente ma furbo e quadrato, sagace e guardingo.

Ho avuto l'impressione che il colloquio si sarebbe forse svolto differentemente soprattutto se di fronte a lui non vi fosse stato il segretario generale del Ministero degli affari esteri, ambasciatore Wierbloski. Costui, che ha sempre accuratamente evi

tato di interloquire, era presente nonostante il cerimoniale non preveda una tale partecipazione. Egli è ebreo e mi è stato indicato come un comunista puro e convinto; istruito a Mosca e sposato con una comunista altrettanto pura, che dirige uno dei servizi di polizia al Ministero della sicurezza. Il signor Wierbloski, di cui non si conosce il vero nome originario, è riuscito a farsi temere anche per le sue relazioni personali e matrimoniali. Egli appartiene a quella categoria di uomini che evitano di guardare in viso il proprio interlocutore, pur avendo sempre pronto, come risposta preliminare, un sorriso impersonale ed indipendente dalla parte intima di se stesso. Dicono che egli sia l'eminenza grigia del Ministero degli esteri, in quanto longa manus di Berman, sottosegretario alla Presidenza, anch'egli membro del Politburò, reduce da Mosca e che viene considerato la personalità, forse, più influente del regime.

38 6 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 785 e, in questo volume D. 3.

39 3 Vedi D. 13.

40

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 202/15. Roma, 10 gennaio 1949, ore 21,30.

Suoi rapporti del 3 e 6 1• Opinione del relatore Commissione esteri non mi impressiona affatto perché il suo pessimismo è dettato anche dal desiderio di giustificare sua cattiva condotta.

Dando tuttavia necessario peso alle osservazioni di Chauvel potrei favorire rinvio firma purché, lungi dall'apparire sospettoso, nostro gesto sia consigliato per ragioni di lealtà e amicizia da codesto Governo.

Comunque faccia sentire Schuman che se egli si ritiene sicuro del voto io mi affiderei a lui. Intanto Tarchiani su mia istruzione2 solleciterà raccomandazioni americane a Schuman3 .

41

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 203/10. Roma, 10 gennaio 1949, ore 19,35.

Benché, come risulta anche da dichiarazioni fattemi a Cannes 1 , Schuman e Governo francese siano ormai decisi realizzare progetto Unione doganale italo

2 Vedi D. 41.

3 Per la risposta vedi D. 45.

francese e appaiono ottimisti circa approvazione Parlamento, ci risulta che, avvicinandosi momento decisione, affiorano in alcuni ceti interessati perplessità e remore che potrebbero trovare eco alla Camera e compromettere decisione favorevole. Per parte nostra abbiamo già fatto presente Parigi necessità di un'azione seria sia presso Parlamento, sia presso categoria interessata, sia nella stampa per popolarizzare progetto Unione2; tuttavia riterremmo utile che codesto Governo, che ambasciatore americano Parigi avrà certamente messo al corrente tale situazione, svolgesse analoga azione in vari ambienti governativi ed economico-finanziari francesi. Tale azione dovrebbe ovviamente apparire di iniziativa americana il che si giustifica del resto con interesse che codesto Governo viene da tempo dimostrando a tale questione anche in relazione sua politica aiuti per ricostruzione europea. Ne faccia anche interessare Hoffman3 .

40 1 Vedi DD. 5 e 17.

41 1 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 768.

42

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, l O gennaio 1949.

Come era stato previsto, i negoziati da svolgersi a Roma con gli jugoslavi, data anche la minore complessità degli argomenti in discussione, sono in procinto di essere conclusi. Non solo l'accordo è quasi definito sulle due questioni messe in discussione (R.O.M.S.A. e navi da guerra), ma si profila prossimo a raggiungersi anche su di una terza questione che da parte jugoslava si era richiesto di inserire nell'agenda dei lavori pur considerandola al di fuori del quadro del negoziato generale in corso a Roma e a Belgrado (navi jugoslave in acque italiane).

Pur trattandosi per noi, nelle suddette questioni, di dar seguito -in massimaa obblighi derivanti dal trattato di pace, siamo riusciti a limitare la portata, sia dal punto di vista degli oneri, sia da quello giuridico.

Infatti, nella questione delle navi da guerra si è ottenuta la dichiarazione secondo cui la consegna delle tre torpediniere avrà luogo come restituzione e non come bottino di guerra. Inoltre gli jugoslavi hanno accettato la lista di materiali di rispetto e munizioni da noi proposta, rinunciando a quella più vasta da essi richiesta. Per la

R.O.M.S.A. hanno accolto il principio che non si tratta di una restituzione cui saremmo tenuti in base all'ali. XIV del trattato (come in effetti sarebbe) il che evita di creare un importante precedente per questioni analoghe da trattarsi in seguito creando una buona base di discussione per gli impianti di Fiume il cui valore è di gran lunga superiore.

Nella questione delle navi jugoslave in acque italiane si profila una soluzione di carattere transattivo che potrebbe essere molto conveniente, sia per la impostazione

3 Per la risposta vedi D. 48.

giuridica, sia sotto l'aspetto pratico che si concreterebbe nella consegna di alcune delle navi reclamate e di una somma a forfait da impiegare in Italia per costruzioni navali.

Viceversa le discussioni a Belgrado per le questioni di nostro interesse (pesca e beni italiani nei territori ceduti) si trascinano e, specialmente sulla questione dei beni, non risulta ancora si sia raggiunta nemmeno una intesa di principio.

In queste condizioni, d'accordo con S.E. Brusasca, che coordina il negoziato di Roma per incarico di V.E., e col ministro Martino, ho convocato il ministro Ivekovic e gli ho ricordato che, per quanto le quattro questioni oggetto del negoziato non fossero giuridicamente o formalmente interdipendenti, ci eravamo messi d'accordo di trattarle parallelamente in vista di raggiungere un accordo parallelo e contemporaneo, e che la lentezza con cui si svolgevano i negoziati a Belgrado ci preoccupava ora seriamente perché non potevamo esporci, di fronte alla nostra opinione pubblica, a concedere quello che erano venuti a chiederci a Roma senza ottenere quanto eravamo andati a chiedere a Belgrado. Ho aggiunto che non intendevamo esercitare alcuna pressione, né tirare in lungo il negoziato di Roma e che nostra intenzione era di parafare gli accordi raggiunti a Roma mano a mano che sarebbero stati messi a punto, riservandoci di firmarli a Belgrado unitamente agli accordi attualmente in trattazione colà. Il ministro lvekovic ha reagito piuttosto vivacemente a questa comunicazione, ma non ha potuto che prenderne atto.

41 2 Vedi DD. 17 e 36.

43

L'AMBASCIATORE A V ARSA VIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 50/04. Varsavia, l O gennaio 1949 (perv. il l 8).

Riferimento: Telespresso n. 576111293 del 30 dicembre u.s. 1•

La situazione della Chiesa cattolica in Polonia sta diventando sempre più difficile. Anche qui la tattica di Mosca si sviluppa secondo le linee ormai note e tende a dividere il clero, rendere impotenti i sacerdoti e a convincere gli altri, con la paura o con le blandizie, ad accettare le condizioni ed i limiti che il Governo intende porre alle attività della Chiesa. È stata anche intensificata in questi ultimi tempi un'azione antireligiosa spicciola (in particolare in provincia): soppressione di crocifissi e immagini religiose, divieto ai sacerdoti di impartire l 'istruzione religiosa nelle scuole, sequestri di conventi, ecc.

Naturalmente si evita con cura di fare dei martiri politici. Quindi nessuna accusa di carattere politico è rivolta ai sacerdoti, ma bensì accuse di carattere morale ~ ogni giorno si legge sulla stampa di sacerdoti che sarebbero colpevoli di atti immorali o di frodi ~e, quando è possibile, accuse di collaborazione con i tedeschi. Fra coloro che sono minacciati di un processo per collaborazionismo vi sono anche i

vescovi di Czestochowa, Kielce e Sandomierz, per i quali già in dicembre il Governo aveva dichiarato di aver raccolto «prove» sufficienti.

La nomina del nuovo Primate nella persona dell'arcivescovo Wyszynski non è piaciuta al Governo, il quale avrebbe naturalmente preferito un uomo meno giovane e meno energico. Mons. Wyszynski gode invece fama di aver molto carattere e nessun timore delle responsabilità e la sua vita passata è considerata nei circoli cattolici inattaccabile anche dal punto di vista politico. (In ambienti governativi mi è stato già accennato invece che l'arcivescovo avrebbe tenuto un contegno «opportunistico» durante l'occupazione tedesca). Il Primate prenderà possesso della sua carica il6 febbraio. Frattanto le autorità polacche hanno dato alla stampa istruzioni di non parlare della sua nomina e preferiscono mantenere contatti con il vecchio cardinale Sapieha che per età e per temperamento sembrerebbe più disposto a compromessi. Il cardinale, pur non essendosi finora sbilanciato, ha però ricevuto tutti i messi che il Governo gli manda.

La minaccia -cui si è accennato più sopra -dell'arresto di tre vescovi, ed in generale l'intensificarsi della lotta contro la Chiesa hanno provocato ai primi di dicembre una riunione dell'Episcopato nella quale è stato discusso l'atteggiamento da tenere. Poiché qualche vescovo avrebbe manifestato il desiderio di tentare una conciliazione, veniva deciso di inviare i vescovi Choromanski e Dybek dal viceministro Wolski (incaricato delle questioni ecclesiastiche) per chiedere la ripresa delle trattative. Il passo non ha avuto successo per il rifiuto di Wolski.

In seguito al congresso di fusione dei due partiti ed al discorso del generale Zawadzki (vedi telespresso citato in riferimento) una nuova riunione è stata tenuta il 21 dicembre presso il cardinale Sapieha nella quale è stato concordato il testo di una lettera che il cardinale ha inviato al presidente Bierut. Nella lettera veniva rinnovata la richiesta di aprire trattative per la sistemazione dei rapporti fra Stato e Chiesa ed era fatto presente che, in caso di risposta negativa, l 'Episcopato sarebbe costretto a presentare la questione al popolo polacco.

Il presidente non ha tuttora risposto alla lettera. Se non lo farà entro il 25 gennaio, l'Episcopato ha deciso di riunirsi nuovamente in tale data e pubblicare una lettera pastorale -della quale si sta redigendo il testo -nella quale verrà riprodotta anche la lettera diretta al presidente.

Riferisco con rapporto a parte circa il curriculum vitae e la personalità del nuovo Primate1. Nel commentare la nomina il quotidiano cattolico ufficiale Slowo Powszechne afferma che la rapidità con cui essa è stata effettuata è dovuta all'«importanza del momento». «Il cattolicesimo in Polonia si trova di fronte a riforme indispensabili. Non è vero che tutto ciò che non è cattolico sia diabolico, né che tutto ciò che non è materialista sia automaticamente cattolico. Il cattolicesimo polacco ha bisogno di esser rinnovato e di uscire dal suo quadro ristretto». Mi riprometto di riferire più a lungo sull'interpretazione da dare a questo significativo accenno, non appena avrò compiuto la visita d'uso al Primate2 .

Segnalo infine che l'atteggiamento ufficiale del Governo polacco verso la Chiesa, nell'attuale momento di tensione, è stato pubblicamente espresso dal primo ministro Cyrankiewicz con le seguenti parole pronunciate nel suo discorso al Sejm sulla politica governativa il l O gennaio: «Il Governo si mantiene coerente nel suo atteggia

mento a favore della libertà di coscienza e di fede religiosa. In adesione a questo principio il Governo non ha intenzione di interferire negli affari interni della Chiesa o delle singole religioni. D'altro canto tuttavia, il Governo non tollererà l'atteggiamento aggressivo di singoli rappresentanti del clero specialmente del clero cattolico, né i loro tentativi di interferire negli affari dello Stato, e di avvalersi delle associazioni religiose per scopi non connessi con la religione, o di lotta politica contro il potere popolare e contro l'ordine legalmente stabilito nello Stato».

43 1 Non pubblicato.

43 2 Tale visita non ebbe luogo.

44

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 256/24. Parigi, 11 gennaio 1949, ore 19,20 (perv. ore 22).

Suo 141•

Mi sono inteso con Chauvel nel senso che Schuman, parlando con Bevin incontro Cannes2 , gli dirà aver potuto comprendere che da parte nostra si potrebbe accettare mandato collettivo per maggior parte Eritrea affidato ad Unione Europea, quando questa sarà un fatto, aggiungendo che da parte francese si potrebbe appoggiare una soluzione del genere qualora risulti impossibile averne altra a noi più favorevole.

45

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 257/25. Parigi, 11 gennaio 1949, ore 19,25 (perv. ore 22).

Suo 15 1•

Opinione relatore Commissione degli esteri non è soltanto dettata da cattiva coscienza ma da stato di fatto Parlamento francese: non è del resto da sole parole Moustier che ho formato mia opinione ma da contatti avuti con tutti i settori.

Confermo opinione già precedentemente espressa che Parlamento francese approverà progetto Unione doganale soltanto se ci sarà poco o nulla di concreto (sospensione

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768. 45 1 Vedi D. 40.

tariffe è poco più di un gesto) e anche questo a condizione che ci sia azione Governo francese presso Parlamento e categoria interessata che, a tutt'oggi, non c'è stata.

Quanto ho detto a Chauvel ed ho ripetuto Schuman2 è stato da parte mia dettato da constatazione stato di fatto Parlamento francese e da pensiero che era mio dovere evitare che si arrivi firma di un accordo che potrebbe essere poi non accettatto o considerevolmente modificato da Parlamento francese e ciò sopratutto in considerazione quelle che temevo potessero essere ripercussioni sul piano politica interna italiana di tali complicazioni.

44 1 Vedi D. 19, nota 4.

46

L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, VENTURINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 265-266/11-8. Bruxelles, 11 gennaio 1949, ore 20,38 (perv. ore 7 del 12Y,

Suo telespresso 1791 del 29 dicembre scorso2 . Mi sono intrattenuto con Spaak nel senso indicato nell'appunto su azione politica generale allegato al telespresso in riferimento.

Egli mi ha detto che in riunione Londra 26 corrente Consiglio consultivo Patto Bruxelles discuterà anche questione nostra eventuale partecipazione Patto atlantico, alla luce del più chiaro e deciso atteggiamento italiano.

Spaak mi ha chiesto a che punto stava questione nostre colonie ed ha nuovamente confermato suo punto di vista circa opportunità mettersi d'accordo direttamente con inglesi. Egli mi ha detto di avere insistito con loro su inconvenienti che nascerebbero qualora per aprile non sia stata trovata base intesa, dato che essi non possono sperare di ottenere all'O.N.U. maggioranza necessaria fare prevalere loro tesi.

47

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 269-270/14-12. Belgrado, 11 gennaio 1949, ore 22 (perv. ore 8 del 12).

Su suo invito, ho avuto oggi lunga conversazione con questo ministro affari esteri Kardely.

Egli ha lamentato avere avuto notizie da Roma che Governo italiano avrebbe intenzione non dare esecuzione accordi di Roma finché non siano concluse trattative pesca e beni nazionalizzati. Secondo Kardely, come risulterebbe da nota verbale a suo tempo presentata dal ministro Ivekovic a codesto Ministero riguardante accordi preliminari tra i due paesi, unitamente natura ed entità questioni, nonché diversa maturità loro soluzione, escluderebbe interdipendenza nella conclusione e nella soluzione stessa. Kardely ha concluso dicendo che tale atteggiamento Governo italiano minaccia tutte le questioni in trattazione. Ha proposto che sia data esecuzione a accordo Roma, il che faciliterebbe conclusione trattative Belgrado, le quali potrebbero altrimenti irrigidirsi sotto la pressione subordinazione esecuzione accordo Roma. Tono Kardely tuttavia è stato sempre moderato ed alla fine egli ha sottolineato desiderio superare ogni difficoltà.

Ho risposto che stesso fatto della proposta contemporaneità di trattare quattro questioni, nonché mie conversazioni in proposito con sig. Brilej, non dovevano lasciare luogo a dubbi circa interdipendenza quanto meno relativa.

D'altra parte modesti progressi trattative Belgrado non sono certo incoraggiamento per venire incontro proposta jugoslava. Ho accennato in proposito alle difficoltà contro cui urtano trattative in corso Belgrado, che finora non inducono a eccessivo ottimismo circa una soddisfacente e rapida soluzione. Ho pertanto detto che avrei riferito a codesto Ministero lamentele e proposta Kardely ma che anche ogni mio sforzo in favore tesi jugoslava era paralizzato da arretratezza fase trattative Belgrado.

Ho aggiunto che nei primi giorni prossima settimana sarò a Roma e che mi auguravo trattative conducessero nel frattempo a concreti risultati. Al termine conversazione sig. Brilej mi ha invitato a colloquio per domani per parlare sui «dettagli» della conversazione odierna. Mi riservo riferire 1•

45 2 Vedi DD. 17 e 36. 46 1 Il primo telegramma è pervenuto aJle ore 0,40 dell2. 2 Ritrasmetteva l 'appunto di Zoppi a Sforza deJI' Il dicembre per il quale vedi serie undicesima, vol. I, D. 737.

48

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 271/23. Washington, 11 gennaio 1949, ore 13,42 (perv. ore 8 de/12). Suo 10 1•

Ho stamane intrattenuto Hoffman in argomento. Mi ha assicurato suo migliore interessamento aggiungendo che, poiché è qui attesa venuta Harriman, ne riparleremo insieme fra qualche giorno affinché egli esplori modi più opportuni per manifestare ai francesi interessamento americano. Intratterrò anche Dipartimento2 .

47 1 Vedi D. 49. 48 1 Vedi D. 41. 2 Con T. 299/27 del 12 gennaio Tarchiani aggiunse: «Dipartimento di Stato fornitomi assicurazione suo interessamento».

49

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 305/16-17. Belgrado, 12 gennaio 1949, ore 21,13 (perv. ore 7,30 del 13). Mio telegramma n. 141•

In conversazione odierna Brilej è tornato su argomento di cui a conversazione Kardely. Ha nuovamente ribadito non (dico non) connessione varie pendenze ed ha ricordato conversazioni Zoppi-Ivekovic del 7 dicembre2 in cui ministro Zoppi avrebbe ammesso naturale lunghezza trattative pesca e beni nazionalizzati promettendo che macchinari

R.O.M.S.A. sarebbero stati trasferiti non appena sul problema pesca si fosse raggiunto accordo su principi base. Secondo Brilej intransigenza Governo italiano metterebbe in difficoltà esito tutte trattative in corso. Riaffermata tesi italiana, ho aggiunto che finora trattative Belgrado non danno adito speranza agevole soluzione e che quindi, anche stando versione jugoslava su predette conversazioni (conversazioni 7 dicembre), non si sarebbero verificati presupposti per dar corso asserita promessa ministro.

Nonostante tale dichiarazione, Brilej mi ha detto che delegazione jugoslava intende procedere lavori rapidamente. Ha detto però che esecuzione accordi Roma faciliterebbe conclusione lavori che trovano difficoltà legalizzazione ambienti interessati jugoslavi.

Ho risposto che prove buona volontà il Governo italiano ne ha date a ripetizione mentre da parte jugoslava sino ad ora vi sono state molte promesse. Alla preghiera di patrocinare tesi jugoslava in mia imminente visita a Roma, ho risposto, come ieri a Kardely, che le delegazioni jugoslave devono farci concessioni concrete nel corso presenti trattative.

A voce riferirò ampiamente su conversazioni che hanno toccato anche punti dettagli questioni attualmente in discussione Gradirei se possibile orientamento a mezzo telegrafo su contenuto mia lettera al ministro Zoppi in data 5 corrente3 .

50

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 311/28-29-30-31-32-33 1 . Washington, 12 gennaio 1949, part. ore 2,07 del13 (perv. ore 11,30).

Lovett, fortemente impegnato dalla discussione Commissione affari esteri Senato, mi ha fatto sapere che potrà ricevermi soltanto domani2 o dopodomani e che, visto

2 Verbale non pubblicato.

3 Non rinvenuto. 50 1 Testo originale dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Washington.

2 Vedi D. 59.

rapido sviluppo trattative Patto atlantico e conseguente urgenza annunciate comunicazioni italiane, avrebbe gradito che vedessi oggi Hickerson. Mi sono quindi recato da quest'ultimo che mi ha ricevuto in presenza Achilles, competente questioni Unione Occidentale, Dowling, capo dell'Ufficio Italia.

Ho consegnato ed illustrato ad Hickerson:

l) testo memorandum di V.E. salvo omissione ultimo paragrafo (indicato come paragrafo 7 nella copia qui pervenuta e che è in realtà il sesto)3 ;

2) appunto che, dopo aver riassunto descrizione della situazione politica italiana contenuta nel memorandum, espone punto di vista del Governo italiano, conformemente a quanto indicato mio telegramma 164 , anche alla luce dello scambio di telegrammi fra Roma Parigi di cui ai telespressi ministeriali n. 19/c. e 20/c. del 7 corrente5 .

Hickerson ha letto in mia presenza entrambi i documenti. Indi, nel confessarmi che Dipartimento di Stato era stato finora molto incerto sulle intenzioni e sulle possibilità del Governo italiano nei riguardi del Patto in discussione, mi ha ringraziato delle odierne comunicazioni, che presenterà a Lovett affinché questi possa rispondere al più presto. Frattanto mi ha chiesto seguenti chiarimenti:

l) L'Italia, se invitata, è oggi in grado di aderire sistema difensivo occidentale senza provocare crisi interne? Ho risposto di sì, illustrando le comunicazioni fattemi da V.E. nonché recenti manifestazioni di uomini politici, di associazioni, di partiti, di stampa, compresa dichiarazione di Saragat su esigenza della sicurezza.

2) L'Italia è disposta aderire Patto di Bruxelles per arrivare Patto atlantico? Ho esposto diffusamente ragioni, del resto chiaramente indicate nel memorandum, per le quali Governo italiano, pur non avendo pregiudiziali di massima contro Patto Bruxelles, ritiene che adesione a solo Patto atlantico sia più rispondente a concreta situazione odierna.

Hickerson, illustrandomi a sua volta motivi giuridici e logici che porterebbero a duplice adesione, mi ha quindi chiesto se accetteremmo di entrare in entrambi i Patti, qualora due adesioni fossero simultanee. Ho risposto ritenevo di sì, ma come soluzione subordinata e sempre che adesione Bruxelles scaturisse automaticamente da formulazione Patto atlantico. In proposito ho tenuto presente, oltre a dichiarata assenza di nostre pregiudiziali di massima contro Patto Bruxelles, stretti legami che infatti sorgerebbero tra Italia e Unione Occidentale in caso di una nostra adesione al Patto atlantico.

Achilles mi ha domandato da parte sua se Governo italiano preferirebbe essere invitato trattative Washington adesso o dopo che sia stata raggiunta unanimità negli ambienti politici italiani responsabili.

Ho risposto che Governo italiano ha ormai preso decisione favorevole adesione Patto atlantico e che pertanto sua partecipazione trattative, quanto più presto avrà inizio, tanto più darà soddisfazione a opinione pubblica.

4 Vedi D. 38.

5 Ritrasmissioni dei DD. 11 e 12. Per il testo completo di questo appunto vedi D. 70, Allegato.

Hickerson ha concluso conversazione confermando che i due documenti da me rimessigli saranno attentamente studiati e che Lovett mi risponderà personalmente al più presto6 .

Dopo colloquio con Hickerson ed altri contatti con Dipartimento di Stato, è mia impressione che Governo americano, dissipati dubbi non solo su intenzioni ma anche su possibilità Governo italiano circa Patto atlantico, consideri ormai scontata nostra partecipazione a Patto stesso. Ciò desta qui viva soddisfazione ed è ritenuto passo decisivo verso quella attiva partecipazione italiana a sistema difensivo occidentale, che è considerata ugualmente propizia per interessi generali pace e per sicurezza italiana.

Circa procedura si confida che, non appena il Dipartimento di Stato avrà dato assicurazione in merito a natura Patto atlantico, Governo italiano farà conoscere ad altri sei futuri contraenti sua favorevole disposizione aderire a detto sistema difensivo. Questa, sia pur generica, dichiarazione è tuttora ritenuta qui indispensabile, non potendo Stati Uniti da soli o insieme alla sola Francia attestare preciso atteggiamento italiano, di cui altri non abbiano diretta notizia.

A nostra dichiarazione seguirebbe naturalmente invito formale partecipare trattative.

Questo avverrebbe entro termini di tempo i più brevi possibili, i quali del resto, dato stadio avanzato trattative, non potrebbero in nessun caso essere tanto lunghi da porre in imbarazzo Governo italiano.

Circa connessione con Patto Bruxelles, si conferma che formula comportante duplice adesione deve essere considerata (ai sensi mio rapporto del 7 corrente n. 123/45)1 come espediente per giustificare adesione Italia Patto atlantico, quantunque non si affacci su tale Oceano, e per escludere a priori eventuali ulteriori non desiderate richieste di adesione.

È ancora possibile che si trovi formula diversa; ma, secondo risposte date da Dipartimento di Stato a esplicita domanda in tale senso, essa non potrebbe essere ricercata nella nostra partecipazione a Consiglio europeo. Infatti questo non è ancora operante e comunque ha natura diversa da Patto atlantico e Patto di Bruxelles che sono entrambi accordi politico-militari.

A mio avviso, reiterate assicurazioni francesi circa mancanza connessione fra i due Patti rispecchiano punto di vista di quel Governo e forse di altri Governi europei, che essi forse sperano tuttora far prevalere e che è probabilmente ispirato da desiderio trasformare di fatto Patto Bruxelles in vincolo politico preminente fra i cinque promotori del Patto atlantico.

Riferirò ulteriormente per corriere inviando copia appunto di cui al mio telegramma n. 28 8•

7 Vedi D. 26.

R Vedi D. 70. Per la risposta di Sforza vedi D. 64.

49 1 Vedi D. 47.

50 3 Vedi D. 15, nota 7.

50 6 Il verbale di Hickerson è edito in Foreign Relations of the United States, 1949, vol. IV, Western Europe, Washington, United States Govemment Printing Office, 1975, pp. 23-24. È da notare che quello indicato alla riga due da Hickerson come «memorandum» è l 'appunto di cui al punto 2 di questo documento, mentre il «second memorandum», che è menzionato alla quinta riga del verbale americano, è il memorandum italiano del 6 gennaio privo del punto 7.

51

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

TELESPR. SEGRETO 3/73/c. Roma, 12 gennaio 1949.

Le informazioni pervenute dall'ambasciata a Parigi e da talune rappresentanze nell'America latina durante i recenti dibattiti all'O.N.U. sulla questione coloniale-e di cui l'E.V. (S.V.) è stata tenuta al corrente-hanno messo in rilievo la tendenza di numerosi Governi del Sud-America, che pure ci prestano il loro appoggio, a considerare favorevolmente le rivendicazioni etiopiche sull'Eritrea. Tale tendenza, che ci è stata anche confermata dal ministro Schuman nel recente incontro a Cannes 1 , deriva-a quanto pare -da una generico sentimento di simpatia verso un paese che si presenta come vittima dell'aggressione fascista, ma deriva soprattutto dalla scarsa conoscenza che in codesti paesi si ha degli elementi fondamentali del problema eritreo. È quindi necessario che codesta rappresentanza proceda senza indugio a compiere opera di chiarificazione illustrando a codesto Governo tutti gli aspetti della questione ed evitare che, da errate premesse, possano essere tratte conseguenze che si rivelerebbero col tempo estremamente deleterie sotto ogni punto di vista. È innanzi tutto da porre bene in rilievo che i territori che compongono l'attuale Eritrea, nella massima parte, non appartennero mai ali'Etiopia e sono abitati da genti non etiopiche. Tutto il territorio costiero dal confine sudanese a quello della Somalia francese (Gibuti) comprendente le città di Massaua e Assab, è infatti abitato da popolazioni musulmane e fu in parte ceduto ali 'Italia dai sultane Ili locali in base a regolari trattati (1869), in parte acquisito ali'Italia attraverso pacifici accordi con l 'Egitto (1885) che aveva allora vaghi diritti sovrani in quelle zone. Tutta la zona nord-occidentale digradante verso il Sudan è pure essa abitata da popolazioni musulmane di razza non etiopica (le cui origini sono oggi ancora incerte) e fu acquisita d'accordo con l'Inghilterra ali' epoca della sistemazione dei territori sudanesi (1903). La sola parte dell'Eritrea che era dominata da capi feudali locali, che si riconoscevano vassalli del negus d'Etiopia, si riduce ad una ristretta zona dell'altopiano di cui la massima porzione venne acquistata dali 'Italia nel 1900 per cinque milioni di lire dali 'imperatore Menelik che cedette in base a regolare accordo i suoi diritti di sovranità.

È molto importante mettere in rilievo quanto precede perché una scarsa conoscenza della storia dell'Eritrea e dei rapporti italo-etiopici può far ritenere che quella colonia sia stata costituita con territori da noi tolti con la forza all'Etiopia il che non è. La guerra italo-etiopica (Adua 1896) fu susseguente alla costituzione della Eritrea e fu determinata dalla diversa interpretazione che da una parte e dall'altra si era data al Trattato di U ccialli del 1889, che il Governo italiano del tempo considerava un trattato di protettorato sull'Etiopia, protettorato che il negus Menelik non volle invece accettare.

L'Eritrea è quindi una creazione italiana e puramente italiana: essa possiede ora ad opera del lavoro e del capitale italiano una attrezzatura tecnica moderna che non ha riscontro alcuno in Etiopia e lo stesso grado di civiltà delle sue popolazioni indigene è di gran lunga superiore a quello delle popolazioni etiopiche. Inoltre vivono e lavorano in Eritrea decine di migliaia di italiani molti dei quali sono nati colà da genitori che vi sono pure nati. La grande massa di questi italiani abbandonerebbe certamente il paese e rientrerebbe come profuga in Italia qualora il territorio dovesse passare sotto la primitiva e inetta amministrazione di Addis Abeba giacché l 'Etiopia è il più arretrato di tutti i paesi del mondo. Si deve aggiungere che per le sue condizioni climatiche e per le possibilità di valorizzazione che ancora sussistono, l 'Eritrea si presta a ricevere ulteriori emigranti italiani senza che siano a temere -come è stato affacciato per la Libia -quelle reazioni proprie dei più evoluti paesi arabi che si sono per esempio manifestate in Palestina di fronte alla immigrazione ebraica.

Per tutte le ragioni su esposte e pel fatto che l'Eritrea è stata unita all'Italia da settanta anni di storia, la perdita di quel territorio, e a maggior ragione la sua annessione all'Etiopia, sarebbe risentita dagli italiani come una offesa alla civiltà e provocherebbe vivacissime reazioni contro l'O.N.U. e contro lo stesso Governo italiano, reazioni di cui non sarebbero prevedibili le conseguenze. Errerebbe nondimeno chi ritenesse che il popolo italiano non si rende contro della evoluzione dei tempi e delle nuove esigenze che tale evoluzione trae seco. Come altri popoli che lo hanno preceduto nell'attività coloniale e civilizzatrice nel mondo-e questo può essere più facilmente compreso dai paesi delle Repubbliche sud-americane -il popolo italiano sentirà la fierezza-a momento venuto-di aver dato vita ad una nuova entità statale che prenderà il proprio posto fra le libere nazioni del mondo e alla quale esso avrà dato l'impronta della propria civiltà. Ciò che l'Italia persegue in Eritrea, conformemente del resto ai principi stabiliti nella Carta delle Nazioni Unite, è quindi la creazione di una nazione indipendente a cui le stesse popolazioni italiane e autoctone di quel territorio aspirano. Su tale premessa, è fondata la richiesta del Governo italiano di promuovere e conseguire questo fine fornendo all'Eritrea la propria collaborazione.

L'Italia democratica che nutre verso l'Etiopia e il popolo etiopico sentimenti di amicizia e simpatia, si rende anche conto che possono tuttora permanere in quel paese sentimenti di incertezza lasciati dalla guerra mossa dal fascismo nel 193536 e per tranquillizzare tali eventuali preoccupazioni è disposta ad offrire e consentire tutte quelle garanzie che l'O.N.U. ritenesse di promuovere.

Così pure l'Italia, riconoscendo l'aspirazione etiopica ad un proprio sbocco al mare ha già fatto conoscere di non avere obiezioni alla cessione al negus del territorio di Assab.

Vorrà l'E.V. (S.V.) esporre in dettaglio-eventualmente anche mediante memorandum scritto -a codesto Governo le considerazioni che precedono e raccomandarle vivamente alla più attenta considerazione.

Vorrà aggiungere che siamo a disposizione di codesto Governo per qualsiasi ulteriore spiegazione e delucidazione e consegnare intanto la qui annessa carta geografica che potrà facilitare la comprensione di talune tra le precisazioni su esposte.

Si prega inoltre di volere, nei limiti del possibile, provvedere ad informare ed orientare opportunamente sulla questione, attraverso la stampa locale, l'opinione pubblica2 .

51 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

52

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 30/62. Parigi, 12 gennaio 19491•

L'on. Letourneau mi ha detto di aver intrattenuto avanti ieri, a sua richiesta, il ministro Schuman sulla situazione parlamentare nei riguardi dell'Unione doganale.

Mi ha detto di avergli riferito che l'opposizione sorda da parte di numerosi gruppi interessati si fa sempre più sentire. L'opinione del signor Letourneau è che se c'è realmente una pressione seria da parte del Governo e in particolare da parte del signor Schuman, la cosa può attualmente ancora passare. Mi ha detto che riteneva di aver convinto Schuman della necessità di svolgere un'azione di questo genere. Sempre parlando in tema di impressioni parlamentari, mi ha detto che a suo avviso il testo che dovrà essere presentato ai due Parlamenti, per quanto concerne la Francia, dovrebbe rispondere a due direttive generali in parte contraddittore. Da una parte, dare l'impressione al Parlamento francese e agli interessi che si nascondono dietro il Parlamento che non si vuole precipitare niente: che tutto sarà fatto per diminuire al massimo possibile le inevitabili ripercussioni dell'Unione doganale: dall'altra, bisogna dare l'impressione della ferma volontà politica da parte del Governo francese di arrivare a quest'Unione.

Le reticenze da parte delle categorie interessate -mi ha detto -si fanno sempre più precise certamente in Francia, probabilmente anche in Italia: se noi diamo l'impressione di essere decisi ad andare avanti coùte que coLite, gli interessati saranno spinti a trovare mediante accordi diretti fra di loro la maniera di salvaguardare i loro interessi: se invece si dà l'impressione che il Governo non è del tutto deciso, la loro azione si svilupperà nel senso di fare naufragare l 'Unione doganale. Gli ho risposto che condividevo perfettamente il suo pensiero e che per quanto ci riguardava noi eravamo disposti a andare anche molto avanti: ci occorreva di saper fin dove il Governo francese era disposto ad andare e fin dove aveva la possibilità di andare.

Mi ha detto poi che tenuto presenti gli impegni del Parlamento francese, era difficile che il progetto in questione potesse essere discusso al Parlamento francese molto prima di Pasqua. Riteneva che, tenendo conto degli impegni ali' estero di Schuman, sarebbero state necessarie da due a tre settimane di lavoro parlamentare attivo per poter preparare la firma: cioè a partire più o meno dalla fine del mese in corso. Fatto questo, sarebbe stato a suo avviso necessario di procedere alla firma in maniera da potere, nella seconda metà di febbraio, procedere al deposito del progetto presso le Commissioni parlamentari. Per quanto sollecitate, le Commissioni parlamentari avrebbero avuto bisogno di un certo tempo e bisognava evitare che, a forza di prendersi tempo, esse riuscissero a rimandare la discussione a dopo Pasqua. Qualora ciò fosse avvenuto, sempre tenendo conto del calendario del Parlamento, la discussione avrebbe finito per essere rinviata a ottobre. Egli si è !agnato con me che l'azione parlamentare da parte del Governo francese sia stata finora praticamente nulla. Il suo concetto -con cui mi sono dichiarato perfettamente d'accordo-è che bisogna cercare di far presto poiché più il tempo passa, più si dà la possibilità alle opposizioni di organizzarsi.

A mia richiesta, mi ha detto che egli non teme un rigetto puro e semplice del progetto che verrà presentato, ma qualche sua modifica nel senso di togliergli quanto di più concreto ci possa essere e un dilazionamento dell'esecuzione nel tempo in maniera da rendere la cosa più di apparenza che di sostanza. Egli mi ha promesso che avrebbe continuato a fare tutto il possibile per spingere il ministro Schuman e gli altri ministri interessati ali' azione.

51 2 Zoppi trasmise questo documento a Parigi, Washington e New York (Telespr. segreto 3/97/c. del 13 gennaio) aggiungendo che «sia nei colloqui di Cannes, sia nelle istruzioni date all'ambasciata a Londra, è stata anche affacciata la possibilità -in via transatti va -di sottoporre quella ex colonia ad un mandato della Unione Europea riservando naturalmente all'Italia una parte prevalente sia nell'amministrazione del paese sia nella sua valorizzazione economica». Con Telespr. segreto 3/141/c. del 17 gennaio il presente documento fu trasmesso all'ambasciata ad Ottawa e alle legazioni a Canberra e Pretoria. In pari data veniva inviato alle ambasciate ad Ankara, Nanchino, New Delhi e Teheran e alle legazioni a Beirut, Cairo, Damasco, Gedda e Karachi (Telespr. segreto 31142/c.), all'ambasciata a Bruxelles e alle legazioni ad Atene, Belgrado, Copenaghen, L'Aja, Lussemburgo, Osio e Stoccolma (Telespr. segreto 3/143/c.).

52 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

53

IL MINISTRO A BOGOTÀ, SECCO SU ARDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 51/14. Bogotà, 12 gennaio 1949 (perv. il 22).

Riferimento: A Tel espresso 20/3221 O/c. del 14 dicembre 1948 1• A riscontro del telespresso a riferimento, qui pervenuto solo il 31 dicembre, si ha l'onore di segnalare quanto segue:

La stampa colombiana-attentamente seguita da questa legazione -non ha riportato la notizia del Protocollo italo-argentino, la cui firma è stata appresa in questa legazione solo al giungere della rassegna stampa di codesto Ministero, e cioè con inevitabile ritardo.

Poiché questi quotidiani danno sempre il maggior rilievo all'attività politica del conte Sforza mi sorprese a suo tempo il silenzio della stampa colombiana, che mi parve da attribuire al servizio distribuzione delle agenzie A.P. e U.P.

La circostanza che le feste di fin d'anno coincidono qui con le vacanze annuali e pertanto la capitale si vuota fino a tutto gennaio, mi ha dato poche occasioni per intrattenermi della questione con questo Ministero, ciò che ad ogni modo farò appena possibile.

Avendo poi consultato l'ambasciatore argentino, il quale aveva notato la mancanza di ogni riferimento al Protocollo, ho convenuto con lui di pubblicare il testo nel bollettino che l'ambasciata distribuisce e che dovrebbe uscire in questa settimana. Questo mezzo mi è parso opportuno per portare a conoscenza di questo Ministero e del Corpo diplomatico l'avvenuto accordo, ciò che mi renderà più facile e naturale il parlame con chi del caso.

Ritengo infatti che l'idea di un analogo protocollo debba riuscire gradita a questo Governo il quale tiene molto al proprio prestigio internazionale ed ha ripetutamente dimostrato la sua simpatia verso l 'Italia. Tuttavia mi parrebbe desiderabile, per una più solida impostazione della proposta, attivare e se possibile conchiudere lo studio di varie intese particolari pendenti che offrirebbero al Protocollo una base più ampia.

Come è noto infatti a codesto Ministero non esiste oggi fra l'Italia e la Colombia nessun accordo di alcun genere per l'avvenuta denuncia di quelli preesistenti che non sono stati sostituiti. Sono invece in corso:

l) Accordo per l'equipollenza dei titoli scolastici il cui testo è stato trasmesso a codesto Ministero con telespresso n. 1174/280 18 agosto '48 1;

2) studio per un eventuale accordo di emigrazione;

3) nuovi accordi commerciali;

4) istituzione a Roma in una Academia bolivariana, argomento trattato con il Governo di Venezuela ma interessante tutti i paesi bolivariani, ed approvato con telegramma di codesto Ministero comunicato al Governo venezolano fino dal novembre 1947.

Sull'importanza intrinseca della conclusione di tali accordi ho già avuto l'onore di intrattenere codesto Ministero trattando dei singoli argomenti. Per ciascuno di essi mi sembra possibile -ove codesto Ministero lo giudichi opportuno -o definire addirittura l'intesa o addivenire ad accordi provvisori, in modo da creare una situazione di collaborazione dalla quale la stipulazione di un protocollo del tipo di quello italo-argentino sorgerebbe come una spontanea conseguenza2 .

53 1 ]\;on pubblicato.

54

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. PERSONALE S.N. Londra, 12 gennaio 1949.

Non ho potuto finora vedere Bevin a causa delle sue gravissime occupazioni e preoccupazioni di questi giorni. Ho ritenuto tuttavia fosse necessario metterlo al corrente delle direttive ricevute 1 , prima dei suoi colloqui con Schuman che giunge domani.

Sargent, dal quale avevo un appuntamento per oggi, si è improvvisamente ammalato d'influenza per cui sono stato invece ricevuto da Jebb. Ho ampiamente illustrato a quest'ultimo le linee generali del tuo memorandum in modo che Bevin ne fosse al corrente prima dei suoi prossimi colloqui con il ministro

54 1 Vedi D. 16.

degli esteri francese. Attendo a dare un dettagliato resoconto di questo colloquio dopo il mio incontro diretto con Bevin, che avrà luogo assai probabilmente ai primi della settimana prossima ossia dopo che egli avrà discusso dei nostri interessi con Schuman.

L'impressione prima di Jebb, ho notato, è stata assai favorevole. Per quanto si riferisce alla nostra partecipazione al Consiglio dell'Unione Europea ha senz'altro assicurato che il nostro intervento avrà luogo nel periodo preparatorio e di studio, ossia probabilmente subito dopo la riunione dei cinque ministri del 26 corrente. Egli mi ha fatto notare il grande effettivo vantaggio per l'Italia di partecipare al Consiglio nello spirito di perfetta parità con le altre nazioni partecipanti, come è espresso nel tuo memorandum.

Quanto alle colonie egli ha trovato di notevole importanza come base di possibili discussioni ed accordi le tue due idee: di uno Stato contrattuale italo-arabo per la Tripolitania e di un mandato dell'Unione Europea per l'Eritrea. Comprese l'utilità del mio tempestivo intervento prima dei colloqui Bevin-Schuman, affinché Bevin potesse prepararsi ai problemi che ci riguardano. Mi pareva che egli fosse sopratutto soddisfatto del tono generale con cui affrontiamo questo periodo di preparazione all'esame di così vitali interessi per le relazioni italo-inglesi e concluse augurandosi che finalmente potessimo trovare dei punti di accordo in uno spirito di buona intesa. Ho pensato bene di fare precedere alle notizie ufficiali che ti potrò dare nella settimana ventura, questo spunto di un primo contatto senza dubbio interessante. Sono sicuro che Jebb presenterà a Bevin con simpatia i nostri punti di vista, anche se non voglio darti una impressione di eccessivo ottimismo visto che, per le colonie, non è Jebb quello che conta.

Quanto al Patto atlantico egli mi lasciò intravedere che, per quanto risultava al Foreign Office, nello State Department le opinioni e tendenze riguardo alla nostra partecipazione immediata erano diverse; tuttavia l'Inghilterra, pur ritenendo non probabile una nostra accessione al Patto in una prima fase, non avrebbe posto pregiudiziali contro questa possibile soluzione se Francia e Stati Uniti avessero fatto pressioni in tal senso sull'Inghilterra.

53 2 Per la risposta vedi D. 340.

55

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 325/8. Londra, 13 gennaio 1949, ore l 0,44 (perv. ore 16,20).

Questione Tripolitania. Dato che questione figura tra le prime sull'agenda che Bevin e Schuman cominceranno a discutere stamani, Foreign Office desidera avere massima urgenza e precisione risposta seguenti tre domande che si riferiscono memorandum firmato da V.E. il 6 gennaio 1 :

l) nel memorandum si parla di un periodo di preparazione: s'intende con questo che Gran Bretagna rimarrebbe in Tripolitania durante la creazione di uno Stato tripolino?

2) È nostra intenzione trattare ritorno Italia in Tripolitania con singoli individui oppure con uno Stato tripolino o comunque con un organismo rappresentativo indigeno della cui creazione dovrebbero occuparsi gli inglesi?

3) Se la risposta alla domanda numero uno è affermativa è nostra intenzione che durante il periodo di prolungamento dell'Amministrazione britannica sia fatta una dichiarazione nel senso che l'Italia ad una data da stabilirsi succederà alla Gran Bretagna come potenza amministratrice?

Poiché Schuman è completamente impegnato nella serata di domani e riparte sabato mattina occorrerebbe che risposta pervenisse qui entro mattinata di domani in modo che Bevin abbia possibilità riparlarne con Schuman in modo concreto.

Sebbene si tratti di chiarimenti che Foreign Office chiede circa un nostro progetto è mia impressione che sulle linee accennate (prolungamento amministrazione britannica durante la creazione di un organismo indigeno rappresentativo col quale dovremo concludere trattative collaborazione; dichiarazione che Italia succederà Gran Bretagna come trustee per un periodo) gli inglesi vedano possibilità soluzione. È stato ripetuto esplicitamente che Gran Bretagna non vuole trusteeship Tripolitania e che situazione creatasi ultimi mesi (sfacelo Lega araba; chiarificazione nostra politica estera) rende più facile eventuale nostro ritorno. D'altra parte ritengono gli inglesi che personalità tripoline con quali siamo in contatto non abbiano alcuna autorità fuori dei centri cittadini e che il pericolo vero sia rappresentato dalle tribù beduine armate. Per questo la creazione di un organismo in cui i capi di queste tribù siano rappresentati e con cui si possa trattare sarebbe indispensabile2 .

55 1 Vedi D. 16.

56

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 300/11. Roma, 13 gennaio 1949, ore 21.

Suo 81•

A prima domanda:

Redigendo memorandum pensavamo piuttosto ad un periodo iniziale di preparazione temendo indiscreto un periodo comportante presenza Gran Bretagna anche dopo dichiarazione ufficiale del nostro mandato; stimavo bastasse una intensa leale collaborazione da ora fino alla dichiarazione; ma se la cessione dai britannici agli italiani avvenisse per zone graduali ne saremmo grati.

A seconda domanda: È nostra intenzione trattare con tutti quanti hanno influenza, lieti se avremo appoggio inglese che ci sarebbe prezioso.

56 1 Vedi D. 55.

A terza domanda:

Già espresso pensiero nella prima risposta. Ma poiché Foreign Office formula una domanda precisa suggeriremmo una successione alla occupazione britannica per zone successtve.

VE. può aggiungere che il progetto da noi studiato nelle linee generali e da concordarsi naturalmente con Governo britannico qualora esso entrasse ordine di idee da noi esposto, tenendo conto sue esigenze ed eventuali proposte modifiche, sarebbe seguente:

l) Governo italiano constata che popolazioni della Tripolitania aspirano a costituire uno Stato della Tripolitania e riconosce legittima tale aspirazione. 2) Governo italiano dà alla Tripolitania appoggio e collaborazione al fine di permettere immediata organizzazione tale Stato.

3) Come primo atto tale collaborazione si addiverrà alla elezione nelle forme democratiche di una assemblea generale della Tripolitania cui rappresentanti, da essa appositamente delegati, concorderanno col Governo italiano un «trattato di cooperazione» fra lo Stato italiano e lo Stato della Tripolitania. Questo trattato costituirà base rapporti tra due paesi, contemplerà modi e forme costituzione Stato Tripolitania e farà parte atto costitutivo detto Stato.

4) Assemblea generale di cui sopra sarà convocata alla data che verrà concordata con l'O.N.U. nel momento in cui Assemblea generale O.N.U. approverà progetto suindicato che le verrà sottoposto.

5) Sino al momento entrata in vigore trattato di cooperazione, amministrazione provvisoria Tripolitania sarà retta da un delegato del Governo italiano assistito da un consiglio composto per metà da membri scelti dal delegato stesso e per l'altra metà designati dai rappresentanti qualificati dalle comunità locali.

Circa domanda n. 2 aggiungerò che nel nostro pensiero progetto su esposto per sommi capi dovrebbe essere oggetto di un accordo fra Governo italiano ed altri governi interessati, nonché attuali esponenti comunità e capi locali per essere sottoposto ed approvato da O.N.U. Al momento insediamento amministrazione provvisoria delegato Governo italiano, amministrazione italiana succederebbe a quella britannica. Pacifico trapasso dovrebbe essere assicurato da preventivo accordo di massima sopra delineato con esponenti comunità locali ed approvato dall'O.N.U.

Ripeto che si tratta di progetto suscettibile essere modificato secondo eventuali suggerimenti Governo britannico dovendo essere attuato d'accordo con esso.

55 2 Per la risposta vedi D. 56.

57

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 323-324/9-1O. Nanchino, 13 gennaio 1949, ore 16, l O (perv. ore 14,30). Suo telespresso 26992 1•

Situazione circa trattato è la seguente:

Presentate fine ottobre ulteriori varianti tassativamente indicate da codesto Ministero, sopraggiunse primi novembre crisi di Governo. Ministro uscente ritenne aderire varianti proposte per articolo 7: non invece a variante proposta per articolo 6: non aveva comunque dopo dimissioni potuto firmare.

Insediatosi fine dicembre nuovo ministro ho accertato questo Governo aderirebbe apporre a scambio di note aggiuntivo due ulteriori articoli seguente tenore: l) nei riguardi proprietà immobiliare, diritto legalmente acquisito dai cittadini ciascuna parte contraente in territorio dell'altra prima di entrata in vigore trattato sarà rispettato; 2) in caso di espropriazione una indennità sarà pagata in condizioni non meno favorevoli di quelle applicabili ai cittadini dell'altra parte contraente o a quelli di qualsiasi terzo paese.

La prima clausola ci dà salvaguardia esplicita diritti acquisiti in ex concessione; la seconda corrisponde, anzi con maggiore ampiezza, a quanto specificatamente chiesto da codesto Ministero.

Tuttavia differenza formulazione rispetto nostra proposta ci dà possibilità prender tempo sotto pretesto esame amministrazioni interessate costì. In realtà sarebbe stato desiderabile affrontare futuri sviluppi qui con trattato in mano piuttosto che senza: ma situazione è giunta ormai a tal punto che stipulare oggi potrebbe apparire come atto solidarietà in extremis con parte soccombente, tale da pregiudicarci qui anzichè giovarci e cui opportunità politica si presterebbe essere discussa. A tali inconvenienti di stipulazione fatta oggi si contrappone possibilità, ma non ~ripeto ~con certezza, che trattato una volta perfezionato possa farsi valere qui in qualsiasi situazione. Non posso neppure dare assoluta assicurazione che trattato possa essere portato qui fino a ratifica. In queste circostanze firmare mi parrebbe quindi un azzardo2 .

57 1 Del 29 settembre 1948, non pubblicato.

58

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 335/30. Parigi, 13 gennaio 1949, ore 21,45 (perv. ore 7,30 del 14).

Mio n. 18 1•

Chauvel mi ha fatto chiamare stamane per dirmi che a suo telegramma per informarsi Washington risultati presso americani nostro memorandum2 , annunciatogli serata 8 corrente, Bonnet ha risposto che a tutto ieri 12 corrente nostra ambasciata non aveva ancora ricevuto memorandum e che quindi aveva fatto solo passo per annunciare arrivo memorandum.

2 Vedi D. 15, Allegato.

Non ho potuto che rispondergli che non avevo possibilità dargli alcuna spiegazione ma che mi sarei informato.

Chauvel mi ha detto che attualmente trattative Patto atlantico segnano punto di arresto perché da parte francese è stata sollevata questione necessità estendere garanzia anche a distretti algerini considerati territorio metropolitano. È stato fatto presente Washington che qualora garanzia americana non fosse estesa anche a questi dipartimenti algerini Governo potrebbe trovare opposizione forte e difficile superare in Parlamento.

Dovremmo secondo lui approfittare di questo leggero· rinvio per chiarire nostra posizione presso americani in modo che quando si verrà a discussione estensione Patto, sia Francia che Stati Uniti siano in grado di appoggiare in pieno nostra ammissione.

Mi ha soggiunto, per nostra riservata norma, che attuale momento Governo inglese è particolarmente ricettivo a suggerimenti e anche solo impressioni che gli vengono da Washington: sarebbe quindi momento assai propizio per superare con aiuto americano eventuali reticenze inglesi. Mi ha rinnovato richiesta conoscere testo nostro memorandum e consiglio pressante far conoscere, almeno in linea di massima, nostra decisione anche ad altri Governi interessati.

Immagino Governo italiano avrà ottime ragioni per non far conoscere nostro memorandum Governo francese: tengo però a fare presente che non credo sarebbe utile a questo stadio nostri rapporti dare qui anche sola impressione che noi trattiamo su questo argomento con americani senza tenerne informati francesP.

57 2 Per la risposta vedi D. 144.

58 1 Vedi D. 30.

59

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 345/34. Washington, 13 gennaio 1949, ore 21,16 (perv. ore 8,15 del 14).

Mi riferisco al mio telegramma n. 28 e seguenti 1•

Oggi sono stato ricevuto da Lovett. Egli mi ha detto di aver letto i documenti da me consegnati ad Hickerson e mi ha assicurato che mi darà una risposta al più presto e probabilmente ai primissimi giorni della prossima settimana. Quindi, nel confermarmi dichiarazioni di Hickerson, ha espresso il suo compiacimento per la decisione del nostro Governo.

58 3 Con T. s.n.d. 351/25 del 14 gennaio Sforza rispose:«Con corriere giovedì le è stato trasmesso, per comunicazione da farsi a Governo francese, riassunto memorandum che Tarchiani ha consegnato 12 u.s. a Dipartimento di Stato. Ne ho fatto anche cenno a Fouques. Reazioni Washington favorevoli ma ancora sommarie». Per tale comunicazione vedi D. 61.

59 1 Vedi D. 50.

60

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 344/35-36. Washington, 13 gennaio 1949, ore 21,17 (perv. ore 8,15 del/4).

Mi riferisco al mio telegramma n. 341 .

Mi risulta, da fonti diverse confidenzialissime e sicure, quanto segue:

l) Questo Dipartimento di Stato ritiene nostra richiesta di assicurazione preliminare riguardo natura progettato Patto non sollevi ostacoli sostanziali e pertanto, in pratica, considera sin da ora nostro passo come dichiarazione di favorevole disposizione ad aderire al Patto stesso;

2) Hickerson, nel corso dell'odierna riunione sostituti degli ambasciatori per trattative Patto, ha detto constargli confidenzialmente che nostro Governo aveva preso decisione di massima favorevole;

3) rappresentanti paesi europei, in relazione a ciò, cercheranno accertare al più presto prima reazione di massima dei rispettivi Governi, pure per approfittare della presenza a Londra di Schuman;

4) la riunione degli ambasciatori avrà luogo domani e certamente vi si discuterà pure la questione italiana;

5) il Dipartimento di Stato ha ricevuto da Roma informazioni sulla netta favorevole evoluzione dell'opinione pubblica e degli ambienti politici per l'inclusione del nostro paese nel sistema difensivo occidentale, ivi compreso eventualmente pure il Patto di Bruxelles.

Aggiungo che, in vista del rapidissimo sviluppo delle trattative, il Dipartimento di Stato, mentre da parte sua farà tutto il possibile onde accelerare sua risposta, vedrebbe con grande favore qualsiasi nostra comunicazione confidenziale agli altri sei Governi nel senso di dichiarare nostra disposizione di massima favorevole ad adesione Patto atlantico2 .

61

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A BRUXELLES, DIANA, E A OTTAWA, DI STEFANO, E AL MINISTRO A L'AJA, BOMBIERI

TELESPR. SEGRETO 50/07-51/01-52/01-54/01-53/021 . Roma, 13 gennaio 1949.

È stato inviato all'ambasciatore a Washington, che lo illustrerà in questi giorni al Governo americano, un memorandum2 che contiene una schietta descrizione dello

stato della nostra opinione pubblica e della posizione dell'Italia nei riguardi dell'organizzazione dell'Europa occidentale e del Patto atlantico. Il memorandum pone soprattutto in rilievo i punti seguenti:

l) la nostra situazione geografica e le limitazioni militari imposteci dal trattato di pace determinano naturalmente in Italia una viva preoccupazione di mantenere la pace e di garantire la nostra sicurezza;

2) in queste condizioni erano comprensibili i dubbi e, per taluni, le aspirazioni ad una neutralità dell'Italia che il presidente De Gasperi ed il ministro Sforza dimostrarono nei loro discorsi al Parlamento3 essere una vana anzi pericolosa illusione;

3) il Governo italiano è concorde sulla necessità di affrontare con coraggio il pericolo bolscevico e ne ha dato prova risvegliando nella stragrande maggioranza del popolo italiano il senso della nostra civiltà nazionale e universale e dando rilievo alla generosa assistenza degli Stati Uniti e allo spirito liberale che la ispira, creando una fede profonda nella democrazia americana;

4) in ogni caso il Governo italiano non ha dubbi che ogni politica di isolamento, qualsiasi forma di neutralità sono ormai impossibili. Si preoccupa soltanto, nel comune interesse di tutte le potenze democratiche, di adottare la procedura che meglio consenta di raggiungere la sicurezza e la cooperazione occidentale;

5) partendo da questa premessa il Governo italiano sottolinea tuttavia la necessità suprema che non vi sia iato tra i nostri impegni da un lato e le garanzie di aiuto e riarmo dall'altro. Il Governo italiano gradirebbe quindi da quello degli Stati Uniti la conferma che tutto il territorio italiano, compreso il Territorio Libero di Trieste, verrebbe incluso nella zona di difesa prevista. L'ingresso dell'Italia nel Consiglio europeo4 potrebbe fornire una ragione sufficiente per la sua appartenenza alla zona di sicurezza senza ferire altri paesi mediterranei.

V.E. è pregata di informare verbalmente codesto Governo, dando a tale comunicazione quel carattere strettamente confidenziale e preliminare che è stato conservato anche alle comunicazioni fatte a Washington in attesa dell'inizio delle trattative ufficiali che dovranno essere colà condotte5 .

l'ordine dei destinatari. Esso inoltre recava per Parigi il riferimento al D. 30 e per Londra il riferimento al Telespr. 27 segr. poi. del 7 gennaio. Con tale telespresso Zoppi aveva trasmesso a Gallarati Scotti il memorandum del 6 gennaio avvertendo subito dopo (L. riservata personale del 9 gennaio): «Tieni presente che te l'ho trasmesso di iniziativa mia personale della quale non ho ancora fatto cenno con il ministro. Ti prego perciò di non fame stato nei tuoi rapporti o telegrammi fino a che io non ti dia il via».

3 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 719, nota 2 e 734, nota l.

4 Si riferisce al costituendo Consiglio d'Europa.

5 Sulla copia inviata a Parigi Sforza annotò: «Oggi 13 ricevendo Fouques-Duparc gli ho fatto cenno, ma solo cenno, di quanto qui è detto. Gli ho invece parlato con franchezza della necessità che circa l'Unione doganale niente accada che peggiori la situazione». Sulla copia inviata a Londra egli appose la seguente annotazione: «Oggi 13 gennaio ricevendo Mallet gli ho fatto cenno, ma solo cenno, di quanto precede». Per le risposte al presente documento da Parigi, Londra, Bruxelles ed Ottawa, vedi rispettivamente i DD. 93, 109, 127 e 151, mentre esso non risulta pervenuto a l'Aja come si evince dalla comunicazione di Bombi eri del 20 gennaio (D. 11 0).

60 1 Vedi D. 59. 2 Quando pervenne questo telegramma la comunicazione era già stata fatta: vedi D. 61. 61 1 Questo telespresso fu spedito con distinti numeri di protocollo che vengono qui indicati secondo

61 2 Vedi D. 15, Allegato.

62

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 06. Parigi, 13 gennaio 19491•

Chauvel mi ha detto che è stata fissata la data del 18 per la riunione della Commissione degli esperti2 : sembra ormai sicuro che, comunque, un progetto magari con osservazioni maggioritarie e minoritarie sarà sottoposto al prossimo Consiglio dei ministri. Le discussioni preliminari che hanno avuto luogo con il Governo inglese, in preparazione della visita di Schuman, sembrerebbero aver ridotto l'opposizione inglese alla maniera di nomina dell'Assemblea. Mentre da parte francese e in genere dagli altri si preferisce che la nomina sia fatta dai Parlamenti, il Governo inglese insiste perché essa venga fatta dai Governi. La ragione è evidente: Bevin non vuole assolutamente che Churchill abbia il suo posto nell'Assemblea. Da parte francese è stato proposto che ogni Governo si riservasse il diritto di stabilire le modalità di nomina dell'Assemblea. Ma questo non quadra a Bevin perché scoprirebbe troppo il suo giuoco personale contro Churchill.

Chauvel mi ha detto ancora che Schuman si presenta a queste discussioni con una carta a suo vantaggio: fra le ragioni che erano state addotte da Bevin per rinviare la discussione del progetto c'era stato un presunto atteggiamento contrario da parte degli Stati Uniti i quali non avrebbero, secondo gli inglesi, desiderato che la creazione dell'Unione Europea coincidesse con la firma del Patto atlantico.

I francesi hanno fatto dei sondaggi in proposito a Washington e la risposta è stata al contrario molto precisa: non soltanto da parte americana non si teme nessuna interferenza, ma che anzi la creazione di una Unione Europea potrebbe facilitare i dibattiti relativi al Patto atlantico al Congresso americano. In questo modo, Schuman è in grado di dire amabilmente a Bevin che, una volta di più, Bevin gli ha mentito.

In genere, Chauvel mi ha detto che le conversazioni di Londra si annunciano difficili perché lo stato di salute di Bevin negli ultimi tempi è considerevolmente peggiorato e questo «non migliora il suo carattere».

63

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. 330/7. Roma, 14 gennaio 1949, ore 17.

Secondo informazioni Presidenza Consiglio1 affluenza riopzione segnerebbe in questi ultimi giorni, in conseguenza nota decisione austriaca 2 novembre,

forte aumento sino a portare totale complessivo a circa 80 per cento alto-atesini costà emigrati.

Pregasi telegrafare anzitutto se notizia sia esatta. In caso affermativo S.V. vorrà astenersi sino a nuovo ordine dall'inoltro a Bolzano tali domande che vanno sottoposte supplemento istruttoria diretta accertare se consenso non sia stato viziato da pressioni provvedimento austriaco.

Sulla questione, non appena accertato reale stato cose, verrà inviato un terzo promemoria questa legazione d'Austria2 . Seguiranno ulteriori istruzioni per S.V.3 .

62 1 Copia priva del! 'indicazione della data di arrivo. 2 Si riferisce al negoziato per l'«Unione Europea» cui poi si dette il nome di «Consiglio d'Europa». 63 1 Nota n. 58/36435/486 del12 gennaio, non pubblicata.

64

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETISSIMO 353/18. Roma, 14 gennaio 1949, ore 20.

Suoi 28-33 1• Prego V.E. trovar modo comunicare subito anche testo del finale paragrafo 7 del memorandum perché costituisce formula più significativa sia in essenza sia in procedura. E ciò tanto più che Dunn conosce testo intero del memorandum2• Prima di sottoporre Consiglio dei ministri decisione di entrare negoziato, presidente del Consiglio ed io dobbiamo sapere se Washington è disposta prestarci assistenza per difesa frontiera e per riarmo ed a quali condizioni. Data la nostra situazione politica e la dichiarazione al Parlamento circa Patto Bruxelles di cui anche al paragrafo 4 del memorandum noi desideriamo evitare automaticità adesione Bruxelles riservandoci esaminarla eventualmente in seconda fase. Oggi problema pregiudiziale è quello della sicurezza e degli impegni che significherebbe per noi. Prima di tale chiarimento ci sarebbe impossibile assumere delle generiche corresponsabilità. Su ciò dobbiamo essere chiarissimi. Se preferiamo Unione Europea a qualunque altro patto per raggiungere un sistema di difesa collettiva è perché crediamo urgente creare tale Unione che sola può accentuare la forza spirituale, necessaria anche pel morale della Germania, del desiderato vincolo politico occidentale. Ciò all'infuori del fatto che l'usare tale Unione eviterebbe le note obiezioni circa Patto di Bruxelles esistenti in Inghilterra ed in Italia.

Continuando a consigliare Unione Europea anche nell'interesse del prestigio morale degli Stati Uniti in Europa osservo che esisterebbe per l'Italia anche un'altra via: che noi siamo limitrofi di una potenza atlantica e che anzi il nostro nord forma un inscindibile tutto difensivo colla Francia3 .

63 2 Vedi D. 519. I due precedenti promemoria de12 ottobre e 22 dicembre 1948 sono pubblicati nel volume l di questa serie ai DD. 474 e 769. 3 Vedi D. 123. Per la risposta di Cosmelli al presente telegramma vedi D. 98. 64 1 Vedi D. 50. 2 Glielo aveva mostrato Sforza nel pomeriggio del IO gennaio. Vedi Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., p. 18.

65

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 358/20. Belgrado, 14 gennaio 1949, ore 14,30 (perv. ore 19,45).

Presa visione lettera ministro Zoppi 1 e dopo telefonata con Gabinetto, permettomi precisare quanto segue: l) andamento locali trattative e particolari circostanze di fatto rende necessaria mia venuta Roma. Bastianetto e Romano sono pienamente d'accordo; 2) convocazione Kardely e recenti miei colloqui in materia con Brilej, di cui miei telegrammi 14 e 162 , ricreano possibile deciso irrigidimento jugoslavo; 3) soltanto notizia mio viaggio Roma, che avevo deciso dopo notizia autorizzazione da parte ministro concessa di massima, ha indotto jugoslavi a continuare volenterosamente trattative. Capi delegazioni italiane confermano tali risultati; 4) periodo mia assenza costituirà quell'opportuno tempo di attesa durante il quale sarà possibile saggiare consistenza intenti in quantità e prendere decisioni in una fase ulteriore delle trattative; 5) assumo responsabilità valutazione locale suddette circostanze e pertanto, salvo precise istruzioni contrarie, arriverò Roma martedì3 .

Permettomi suggerire per mercoledì convocazione presso segretario generale dei funzionari S.E.T., Direzioni generali e Ministeri interessati.

66

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 370/11. Londra, 14 gennaio 1949, ore 20,14 (perv. ore 8 de/15).

Telegramma V.E. 11 1•

2 Vedi DD. 47 e 49.

3 Vedi D. 76, nota l.

Ho consegnato Foreign Office sunto nostre proposte. Queste, oltre essere probabilmente oggetto ulteriori conversazioni Bevin-Schuman, verranno studiate dagli uffici competenti che si riservano comunicarci loro osservazioni ed eventuali controproposte. Vedrò comunque Bevin lunedì2 . Prima reazione (comunicata a titolo del tutto personale) è stata seguente: «Proposta può essere unica base sulla quale voi potete rientrare Tripolitania senza gravi disordini a condizione avere sul posto forza necessaria per prevenirli. In altre parole: mentre senza accordo preventivo del genere di quello che prospettate, non potrete riprendere Tripolitania senza usare la forza, con accordo del genere, se tutto va bene, potrete rientrare Tripolitania senza usare la forza (almeno su grande scala) a condizione però di avere questa forza e dimostrarla. Progetto insomma non vi dispensa dall'avere forza necessaria (due divisioni, ecc.): può dispensarvi impiegarla in operazioni conquista o repressione».

È stato anche ulteriormente chiarito atteggiamento britannico circa Tripolitania come segue: «Gran Bretagna non vuole rimanere permanentemente Tripolitania e non vuole trusteeship. Nei riguardi Tripolitania politica britannica mira due scopi:

a) impedire che in Tripolitania si installino i sovietici o loro agenti comunque mascherati; b) evitare dover intraprendere operazioni militari per reprimere possibili disordini e sollevazioni qualora Tripolitania venisse assegnata trusteeship Italia.

Primo punto non ha bisogno commenti. Quanto al secondo, Gran Bretagna non ha nulla in contrario a che Italia abbia ancora trusteeship Tripolitania e non farà nulla per rendere più difficile situazione ed eventuale trapasso poteri: data presente situazione europea e mondiale, non può essere interesse britannico che vi siano in Italia come conseguenza incidenti nelle colonie, rivolgimenti politici, o comunque una situazione pericolosa. D'altra parte, anche se Governo britannico pensasse diversamente, opinione pubblica non tollererebbe mai che truppe inglesi venissero impiegate operazioni militari contro arabi per aiutare italiani; opinione pubblica non è oggi ostile Italia, nonostante guerra, ma ritornerebbe essere ostile se una situazione come quella suaccennata si verificasse. Occorre quindi evitare a tutti i costi questa eventualità. Si possono fare varie ipotesi:

l) disordini (che vanno al di là delle dimostrazioni controllabili con mezzi ordinari di polizia) si verifichino al momento annuncio assegnazione Tripolitania trusteeship Italia; in questo caso, se disordini assumessero proporzioni vera e propria rivolta armata, truppe inglesi si ritirerebbero su una o più teste di ponte sulla costa evacuando con sé coloni italiani (almeno quelli che sarebbero disposti partire). Noi dovremmo quindi procedere rioccupazione territorio.

2) Disordini e eventualmente rivolta armata scoppiano quando inglesi sono già partiti e nostra amministrazione (provvisoria o no) è sul posto. In tal caso noi dovremmo con nostre proprie forze sedare rivolta senza poterei attendere minima assistenza militare da parte inglese.

3) Oggi Tripolitania è tranquilla: ma è tranquilla soprattutto perché inglesi hanno sul posto numero sufficiente truppe scelte, così come miglioramento situazione in Somalia è dovuto fra l'altro al rinforzo della guarnigione (se vi fossero state truppe sufficienti incidenti Mogadiscio sarebbero stati evitati).

Qualunque sia piano italiano, è necessario dunque che Italia abbia pronte forze sufficienti stimate a un minimo due divisioni di buone truppe bene equipaggiate».

64 3 Per la risposta vedi D. 81.

65 1 Non rinvenuta, ma vedi D. 9. Per i successivi commenti di Martino vedi D. 90.

66 1 Vedi D. 56.

66 2 Lo vide mercoledì 19: vedi D. 109.

67

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 385/39. Washington, 14 gennaio 1949, ore 21,40 (perv. ore 9 de/15).

Mio n. 35 1• È stata effettivamente sollevata, in odierna riunione ambasciatori2 , eventuale adesione italiana.

Non si è pervenuti ad alcuna conclusione, perché rappresentanti paesi europei non avevano ancora ricevuto ulteriori istruzioni da rispettivi Governi. È stato oggi osservato, fra argomenti contrari adesione Italia, che paesi scandinavi, qualora essa adesione si verificasse, vedrebbero in ciò spostamento verso Mediterraneo del centro di gravità del sistema difensivo, e diventerebbero quindi, a loro volta, meno propensi aderirvi.

Martedì ambasciatori si riuniranno nuovamente3 .

68

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON L'AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, SANGRONIZ

PROMEMORIA. Roma, 14 gennaio 1949.

1114 gennaio ho ricevuto a sua richiesta l'ambasciatore di Spagna Sangroniz.

Egli mi ha detto che era in partenza per un breve congedo in Spagna dove avrebbe visto il generale Franco. Egli riteneva opportuno che si cercasse di fare qualcosa per scongelare le relazioni italo-spagnole, ed allo scopo avrebbe desiderato dare al Caudillo di viva voce qualche indicazione.

Gli ho risposto di fare al generale Franco la seguente comunicazione:

l) eravamo assai lieti di avere a Roma un ambasciatore spagnolo intelligente ed accorto come lui Sangroniz (l 'ho pregato di fare questa dichiarazione testualmente e senza modestia);

2) la soluzione della questione spagnola era insita nella evoluzione e nella realtà stessa della situazione internazionale; 3) dovevo dichiarargli con tutta lealtà che la posizione italiana era affiancata con quella britannica e si sarebbe sviluppata di pari passo con questa.

Avendomi Sangroniz chiesto se, qualora gli Stati Uniti modificassero il loro atteggiamento più rapidamente della Gran Bretagna, noi avremmo seguito l'evoluzione americana, gli ho risposto che non vedevo questa possibilità perché quella stessa lealtà che è a base della nostra politica estera e della presente dichiarazione ci imponeva di non dissociarci dall'atteggiamento britannico.

67 1 Vedi D. 60. 2 Il verbale americano della riunione è edito in Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 27-34. 3 Il 18 gennaio. Vedi D. 99.

69

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNT0 1 . Roma, 14 gennaio 1949.

Reduce dal Cairo è venuto a vedermi il ministro di Egitto. Si è scusato per il voto del delegato egiziano all'O.N.U. favorevole all'esame immediato della questione coloniale allegando a pretesto il fatto che al Governo egiziano continuano a pervenire notizie relative alla cattiva amministrazione britannica in Libia; il che lo induce ad accelerare una definitiva soluzione del problema. Gli ho risposto che per accelerare questa definitiva soluzione non occorre tanto accelerare le discussioni, che possono anzi provocare, se male preparate, maggiori contrasti ed ulteriori rinvii, ma porsi sul terreno della realtà e trovare con sacrifici reciproci delle soluzioni possibili che siano accolte dalla maggioranza. Siamo così venuti a riparlare della questione libica ed egli mi ha riproposto le tesi della unità di tutto quel territorio come Stato indipendente o se mai come mandato di uno Stato arabo. Gli ho detto ben chiaramente che queste tesi apparivano ormai fantastiche ed irrealizzabili, che l'Egitto non seguisse chimere come aveva fatto nel caso della Palestina con le conseguenze disastrose che tutti possono oggi constatare, ma si mettesse anche esso sul terreno della realtà nel suo proprio interesse ed in quello delle popolazioni libiche. Date le insistenze britanniche per un mandato sulla Cirenaica e dato l'appoggio che queste insistenze incontrano a Washington, a Parigi e negli stessi paesi dell'America latina che ci erano favorevoli per tutto il resto, il problema de !l'unità della Libia non si poteva ormai considerare se non in forma di un vincolo teorico da poter far valere in seguito quando fosse scaduto il periodo di mandato. Era anche chiaro che «l'unità» non era sentita dalle popolazioni interessate: infatti la Tripolitania ha dimostrato chiaramente di non voler essere sottoposta al senusso e quest'ultimo di fronte a tale atteggiamento ha preferito non procurarsi difficoltà ed ha dichiarato apertamente di volere limitare la

sua autorità alla Cirenaica. D'altra parte sarebbe impossibile non tener conto dello stato di fatto creato dalla presenza del senusso in Cirenaica e dall'appoggio che questi ha dagli inglesi. Gli ho quindi ripetuto che pur continuando a considerare l'unità della Libia come desiderabile, non avremmo commesso l'errore che gli arabi hanno commesso in Palestina insistendo per tale unità anche quando era evidente a tutti che tali insistenze avrebbero procurato lacrime e sangue.

Il ministro d'Egitto ha ancora insistito nel dire che con la Russia ed i suoi satelliti, gli Stati arabi ed orientali si sarebbe forse potuto raggiungere all'O.N.U. un numero di voti tale da bloccare le insistenze britanniche per la Cirenaica che conducevano alla rottura dell'unità libica. Gli ho risposto che è forse possibile ma che nello stesso tempo sarebbe stata bloccata dagli altri qualunque proposta diversa e che una soluzione della questione non si sarebbe mai potuta trovare contro l'Inghilterra e gli Stati Uniti, ma solo in collaborazione con essi. Gli ho ricordato che le nostre tesi per la Libia erano consistite in un primo tempo nella richiesta di un mandato italiano sull'intero territorio. Risultato impossibile ottenere soddisfazione su questa richiesta massima, nel corso della recente Assemblea dell'O.N.U. a Parigi, avevamo prospettato una soluzione di compromesso che mirasse a mantenere l'integrità del territorio con un riconoscimento degli interessi italiani in Tripolitania e britannici in Cirenaica. Questo progetto fallì non per colpa nostra e da un esame accurato dell'atteggiamento delle varie delegazioni a Parigi, si può ormai essere certi che fallirebbe nuovamente se riportato in identici termini alla prossima Assemblea dell'O.N.U. È sulle linee dello stesso progetto, pur tuttavia adattandolo alla realtà della situazione, che ricerchiamo attualmente una soluzione d'accordo con Londra e con gli arabi, mirando per parte nostra alla creazione in Tripolitania di uno Stato i tal o-arabo unito all'Italia da vincoli statutari. Nulla vieta che questo Stato abbia con la Cirenaica quegli eventuali legami che esso desiderasse se tale fosse anche il desiderio della Cirenaica.

69 1 Trasmesso con Telespr. segreto 31127/c. del 15 gennaio aiJe ambasciate a Londra, Parigi e Washington ed aiJa legazione al Cairo.

70

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 360/178. Washington, 14 gennaio 19491•

Ho l'onore di trasmettere qui unito in copia a V.E. l'appunto2 da me consegnato al signor Hickerson il 12 corrente, in accompagnamento del memorandum. Di quest'ultimo, come ho riferito col telegramma n. 283 , ho omesso soltanto l'ultimo paragrafo, il cui contenuto avevo contemplato nell'appunto, alla luce dei telegrammi diretti in questi ultimi giorni da V.E. all'ambasciatore Quaroni ed a me.

2 Vedi Allegato.

3 Vedi D. 50.

Farò tutto il possibile per accelerare la risposta del Dipartimento di Stato, il quale del resto è ansioso di darla non appena avrà avuto il tempo materiale di redigerla e di farla approvare dal signor Lovett. Tuttavia credo di potere prevedere fin d'ora che il suo contenuto sarà sostanzialmente positivo. Essa, infatti, confermerà che il Patto atlantico è un patto di mutua assistenza e garanzia, tale da far sì che l'eventuale attacco contro uno dei suoi membri sia considerato come rivolto contro tutti. Con ciò l 'Italia, se vi aderirà, entrerà automaticamente a far parte della zona che gli Stati Uniti intendono difendere in caso di conflitto.

Con l'adesione a siffatto accordo l'Italia avrà, a mio avviso, raggiunto il primo obbiettivo fondamentale della sua politica estera post-bellica: diventare, su un piede di dignità e di parità, parte integrante del sistema politico mediante il quale le maggiori potenze dell'Occidente intendono realizzare la massima reciproca solidarietà al fme di difendere la pace.

Attualmente, per quanto ci concerne, il fattore «tempo» mi sembra preminente. Pochi giorni ormai ci separano dalla data del l o febbraio, in cui i futuri contraenti del Patto contano di aver concluso le loro trattative. Da qui deriva, a mio avviso, l'urgenza di ricevere l'invito formale e, a tal fine, di far conoscere a tutti i Governi interessati quel che due di essi (Stati Uniti e Francia) ormai sanno già e cioè che tale invito sarebbe da noi favorevolmente accolto.

Aggiungo che, anche qualora disponessimo di un maggiore lasso di tempo potremmo difficilmente ottenere chiarimenti sostanzialmente diversi da quelli che ci sono stati finora e che ci saranno precisati nell'imminente risposta del signor Lovett. Infatti in pratica, a quanto sembra, il Patto atlantico assumerà formalmente il carattere di un normale accordo di reciproca assistenza. Il suo valore sostanziale deriverà dalla partecipazione degli Stati Uniti e dalle conseguenti separate intese inerenti ai piani strategici di difesa dell'Europa occidentale ed alle forniture militari ai paesi europei. Tra questi ultimi, quelli che si sono fatti promotori del Patto lavorano certamente (nell'interesse comune e quindi anche dell'Italia se si associerà a loro) per «impegnare» il più possibile gli Stati Uniti. Per quanto concerne gli interessi particolari dell'Italia, essi non possono essere difesi da nessuno tanto efficacemente quanto dall'Italia medesima, dapprima nelle trattative per il Patto e poi in quelle per la sua applicazione.

Per quanto concerne i rapporti fra il Patto atlantico e quello di Bruxelles, mi riferisco alle mie precedenti comunicazioni e, da ultimo, al mio telegramma n. 294 .

ALLEGATO

L'AMBASCIATA D'ITALIA A WASHINGTON AL DIPARTIMENTO DI STATO

MEMORANDUM. Washington, 12 gennaio 1949.

Il Governo degli Stati Uniti sa, per averla costantemente incoraggiata con la sua assistenza morale e materiale, che l'Italia persegue, fin dalla sua liberazione dal fascismo, una

politica ispirata dalla riconosciuta necessità della più stretta cooperazione a difesa della pace e della libertà umana. Questo intento ha determinato fra l'altro la sua domanda di ammissione alle Nazioni Unite, la sua attiva partecipazione a numerosi istituti internazionali, l'azione da essa svolta negli organismi creati per realizzare il generoso piano di aiuti americani all'Europa, il suo sforzo di attuare rapidamente l'unione economica con la Francia ed il suo contributo al movimento per l'unità europea.

I recenti sviluppi della situazione internazionale hanno condotto il Governo italiano ad esaminare nello stesso spirito il suo atteggiamento rispetto ai tentativi, attualmente in corso, di creare una più stretta ed efficace organizzazione difensiva, politica e militare, dei paesi occidentali.

L'ambasciata d'Italia a Washington ha ricevuto, nei riguardi di questa questione, istruzioni accompagnate da una descrizione particolareggiata della situazione politica italiana. Tale descrizione ha lo scopo di informare il Governo degli Stati Uniti, con assoluta franchezza, di tutti gli aspetti di detta situazione. Essa mette in rilievo che la posizione geografica dell'Italia la espone a rischi diretti particolarmente gravi nell'eventualità di complicazioni internazionali. Alla posizione geografica si aggiunge la estrema debolezza dell'apparato militare, anche in conseguenza delle limitazioni imposte, in materia di armamenti, dal trattato di pace. Pertanto il problema della pace e della sicurezza assume per l'Italia una importanza ed un 'urgenza più acuta che per ogni altro paese e costituisce l'obiettivo fondamentale della politica estera italiana.

In queste condizioni l'opinione pubblica e gli ambienti politici che sostengono il Governo, mentre sono sempre stati concordi sulla valutazione della posizione italiana nella lotta per la difesa della democrazia, sono apparsi diversamente orientati circa i mezzi migliori per realizzare la auspicata sicurezza e, in particolare, circa la possibilità che l'Italia assumesse impegni militari.

L'esistenza di una opinione di minoranza in merito alla via da seguire per raggiungere il comune obbiettivo è derivata dal fatto che in Italia il compito di ricostruire il paese secondo i principi della democrazia e di avviarlo verso la necessaria stabilità politica ed economica è affidato ad un Governo in cui, attorno al partito più numeroso, che è quello democristiano, sono rappresentate diverse tendenze. Il consolidamento delle istituzioni democratiche, che il popolo italiano coraggiosamente difende contro il pericolo bolscevico, dando con ciò il suo contributo alla salvaguardia degli ideali di libertà in tutto l'Occidente, è indubbiamente favorito dalla partecipazione al Governo di diversi partiti democratici, anche al di là di quanto sarebbe strettamente necessario per costituire una maggioranza parlamentare.

La situazione così descritta ha trovato espressione nel dibattito parlamentare svoltosi il mese scorso. La conclusione di esso ha fatto sì che il Governo italiano possa ripudiare ogni forma di isolamento ed auspicare una sempre più intensa partecipazione ad ogni strumento di cooperazione internazionale tendente a garantire la pace.

Pertanto il Governo italiano vedrebbe con favore la sua partecipazione ad un patto collettivo che comportasse una garanzia del suo territorio e, a tal fine, di assistenza militare da parte degli Stati Uniti in caso di aggressione non provocata. Intatti la partecipazione a tale patto porrebbe il territorio italiano, alla stessa stregua di quello degli altri paesi contraenti, nella sfera destinata a formare oggetto della progettata organizzazione difensiva, e contribuirebbe al tempo stesso alla comune difesa dell'Occidente ed al conseguimento della sicurezza italiana. Nel pensiero del Governo italiano, sempre ai fini della comune difesa, l'inclusione del Territorio Libero di Trieste nel territorio italiano, conformemente alla dichiarazione anglo-franco-americana del20 marzo 1948, dovrebbe essere esplicitamente menzionata.

Il Governo italiano sarebbe vivamente riconoscente a quello degli Stati Uniti di tutte le comunicazioni che questo potesse fargli sulla natura del Patto attualmente in discussione fra gli Stati Uniti, il Canada, la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio, l'Olanda e il Lussemburgo. Ciò perché, risultando confermato che la natura del Patto atlantico corrisponde a quella sopradescritta, il Governo medesimo sarebbe lieto di assicurare la partecipazione dell'Italia a detto accordo, fin dalla sua stipulazione, nonché alle relative trattative, con quella procedura che fosse per essere stabilita di comune intesa. Il Governo italiano si considera in grado di prevedere che siffatta politica incontrerebbe, oltre l'appoggio dell'opinione pubblica, anche l'approvazione del Parlamento.

70 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

70 4 Vedi nota 3. Per la risposta di Sforza vedi D. 115.

71

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 105/21. Beirut, 14 gennaio 1949 (perv. i/19).

Riferimento: Telegramma di VE. n. l del 13 corrente1 e rapporto n. 36/7 del l O gennaio corrente2 .

Questo ministro degli esteri mi ha detto che il Libano sta tentando di uscire dalla grave situazione in cui gli avvenimenti di Palestina lo hanno messo con una azione diretta ad ottenere la cooperazione, a tal fine, degli Stati orientali ed occidentali più interessati al regolamento della questione palestinese. Il Libano continuerà, per quanto possibile, la sua politica di intesa con l 'Egitto per evitare che esso, umiliato dagli eventi ed irritatissimo contro gli alleati arabi, non pensi, a Rodi, che a salvare se stesso abbandonando gli altri paesi vicini al loro destino. Il Governo di Beirut cerca in pari tempo, e con cura anche maggiore, di andare d'accordo con il Governo di Damasco, o meglio di sostenerlo con ogni mezzo, per tirarlo fuori dalla situazione di isolamento in cui si è andato cacciando a causa della politica degli ultimi anni e per evitare che cada in nuovi errori che si ripercuoterebbero fatalmente anche sul Libano. «Il fatto, egli ha detto, che in questo paese una buona metà della popolazione è musulmana e che essa reagisce sempre analogamente, o quasi, a quella siriana, ci obbliga a tener sempre un occhio aperto su quanto fa il nostro vicino cercando di influenzarlo per il meglio». «D'altronde sembra che il presidente siriano stia mettendo molta acqua nel suo vino e stia tentando di mutare la disastrosa politica xenofoba degli ultimi anni in una politica di comprensione verso l'Occidente e di sufficiente intesa con noi, avendo finalmente realizzato che siamo legati, per molte vitali questioni, allo stesso destino».

Frangié ha aggiunto che il Libano tenterà anche di tenere in piedi la Lega araba

o almeno ciò che resterà di essa dopo la presente crisi.

2 Non rinvenuto.

Avendogli chiesto se convenga al Libano di esporsi ulteriormente ai pregiudizi di quella politica della Lega che ha finito per mettere tutti, più o meno, i suoi membri in contrasto con le maggiori potenze estere, Frangié mi ha risposto che egli si rende conto degli svantaggi insiti nel continuare a mantenere in vita un organismo forzatamente incline a concezioni nazionalistiche se non xenofobe, ma che il Libano si sente maggiormente tutelato contro minacce del retroterra arabo se ha la possibilità di incontrare i suoi vicini in organismi collettivi, in seno ai quali gli sia dato di manovrare, piuttosto che in incontri ed in rapporti diretti, nei quali avrebbe sempre la peggio. Ha aggiunto che d'altronde il Governo di Beirut è deciso a tentar di ridar vita alla Lega araba a condizione che la politica della Lega sia radicalmente mutata con l'allontanamento di Azzam Pacha o almeno con l'istituzione di un controllo permanente della attività di quest'ultimo.

Per quanto si riferisce alla azione libanese diretta ad ottenere un interessamento occidentale in favore del Libano e della pace nel Medio Oriente, Frangié mi ha detto, anche in relazione al presente incontro fra Bevin e Schuman, che quest'ultimo si propone di intrattenere il suo collega inglese sulla situazione nel Medio Oriente e particolarmente sulle possibilità di chiarimento e di raccordo della politica dei due paesi. Egli mi ha confidenzialmente detto che Schuman chiederà nuovamente a Bevin il rispetto dello statu qua per quanto riguarda la Siria ed il Libano. In pari tempo il Governo francese farà un passo presso il Governo di Israele onde indurlo ad evacuare il territorio libanese occupato dalle truppe israelite ed a concedere favorevoli condizioni di pace per il Libano.

«È questo il massimo che la Francia può, nelle attuali condizioni, fare per noi. Se voi potrete affiancare ed appoggiare la sua azione ve ne saremo assai grati».

Egli mi ha poi intrattenuto a lungo della politica britannica nel Medio Oriente, ricordando quanto già da tempo si sa circa i fini ed i sistemi della azione di Londra in questa zona. Ha detto che tali fini e tali sistemi lasciano sempre perplessi, e francamente sospettosi, tutti coloro che amano qui l'indipendenza effettiva del loro paese, ma che in questi ultimi tempi, alla forzata luce delle amare esperienze palestinesi, ci si va qui rendendo conto della ineluttabilità della presenza inglese e, in relazione alla situazione generale, della necessità anche che la Gran Bretagna sia qui in posizione sufficientemente forte. In tali condizioni, egli ha soggiunto, «si va facendo sempre più strada un certo assenso pubblico ad intese con la Gran Bretagna, sopratutto se precedute da indispensabili chiarimenti». «A tal fine abbiamo parlato con franchezza agli inglesi facendo loro capire che il principale ostacolo a sincere intese tra i due paesi è rappresentato dal sospetto, anzi dalla preoccupazione, qui destata dalla politica londinese di appoggio a re Abdallah, di cui conoscete i fini espansionistici, che certo tendono a non risparmiare il Libano». «Abbiamo così detto agli inglesi che il meglio è nemico del bene e che avendo già essi una solida base nel nuovo "Regno di Trangiordania e Palestina" non si vede per quale ragione essi abbiano a perseguire il fine di una più grande formazione unitaria quale quella della Grande Siria». «Il giorno in cui al milione di sudditi transgiordano-palestinesi di re Abdallah avessero ad aggiungersi tre milioni di irrequieti siriani, la base medio-orientale che la Gran Bretagna desidera non sarebbe più sicura come essa l'intende».

Tutti questi ragionamenti non mancano né di logica né di abilità. E sono probabilmente destinati a far presa. Ma la realtà è pressante ed urgente: i vari Stati arabi si accingono, tutti, a seguire l'esempio egiziano ed a cercar di uscire per proprio conto dal ginepraio palestinese. E l'opinione pubblica comincia qui ad esser inquieta ed a temer che il Libano finisca per pagare più degli altri, se va così piano, le spese dell'avventura palestinese.

Frangié lo sa bene, così come lo sanno il Governo e la classe dirigente, ma, sia per ragioni di faccia, sia perché sorpresi dalla rapidità degli avvenimenti, sia infine per non urtare e disilludere di colpo l'opinione della parte musulmana della popolazione, essi cercano di farsi un po' pregare ed un po' incoraggiare a questa andata a Canossa. Soprattutto cercano di farsi raccomandare ed aiutare presso Gran Bretagna ed America, i due Grandi destinati in definitiva a tutto decidere.

È in tale quadro che si comprendono le sollecitazioni rivolte alla Francia ed a noi.

Ho già detto più sopra che cosa si è chiesto alla Francia e che cosa si accinge a fare il Governo di Parigi presso quello di Londra in occasione della visita di Schuman.

A noi si chiede, sullo stesso piede che alla Francia, e forse con maggiore fiducia, che si parli al Governo di Washington, che si faccia un passo presso lo State Department facendo presenti gli interessi, morali e materiali, che noi abbiamo nel Medio Oriente in genere ed in questo paese in particolare, onde ottenere che si consideri tutta l'opportunità, per la causa della pace generale e di quella mediterranea in particolare, del mantenimento dello statu quo libanese sia nei riguardi delle pretese israelite sia in quelle eventuali degli Stati arabi vicini. E si chiede infine che si faccia notare come un troppo duro trattamento del Libano ed una sua eccessiva umiliazione potrebbe provocare movimenti e disordini da parte dei musulmani del paese, con conseguenze incalcolabili su tutto l'equilibrio del Medio Oriente.

Buona parte dei distretti del sud è infatti oggi occupata dalle truppe di Israele, e ventottomila cittadini libanesi hanno dovuto abbandonare i loro villaggi e le loro case ed accodarsi ai centoventimila profughi palestinesi che già affollano le strade del Libano, con gravissime conseguenze per l'ordine interno, le finanze e la tranquillità del paese. Si deve inoltre ricordare che il Libano si è associato ben a malincuore alla avventura palestinese voluta dai suoi vicini arabi, dei quali non ha cessato, ad ogni momento, di temperare le impetuosità e le avventatezze. Durante una delle più importati sessioni del Consiglio della Lega araba, antecedente l'inizio delle operazioni militari vere e proprie in Palestina, il Libano ha in verità cercato con ogni mezzo, sebbene inutilmente, di evitare l'intervento degli eserciti arabi regolari e sopratutto la loro entrata in territorio palestinese. Deve oggi essergli dato atto di tale suo atteggiamento, che può essere invocato in favore di un equo regolamento della questione.

Tutto ciò mi ha detto il ministro degli esteri Frangié. Egli approva in pieno il più ampio interessamento italiano alla internazionalizzazione di Gerusalemme, alla questione dei Luoghi Santi, e quindi alla situazione generale dei cristiani nel Medio Oriente, situazione che comprende automaticamente quella di metà della popolazione libanese. E considera che le ovvie ragioni morali di tale interessamento unitamente a quelle dei nostri notevoli interessi materiali nel Libano rappresentano una ben solida base per un nostro amichevole intervento a Washington in favore di questo paese.

Ho detto al ministro Frangié che avrei subito esposto fedelmente tutto ciò a V.E.J.

Ho tuttavia aggiunto che mi sarei sentito più forte per rappresentare a V.E. i sentimenti libanesi se avessi in pari tempo potuto annunziare che il noto trattato di amicizia e di stabilimento da noi proposto tempo addietro sarebbe stato avviato a rapida conclusione.

Frangié mi ha subito risposto che l'esame preliminare del testo da noi proposto, esame che aveva subito qualche ritardo a causa delle circostanze, era stato ultimato, con qualche leggerissima variante e che il trattato sarebbe stato sottoposto alla approvazione del Consiglio dei ministri di ieri sera.

Questa mattina, subito dopo aver ricevuto il telegramma di V.E. n. l del 13 corrente, ho dato notizia al ministro Frangié ed al segretario generale Fuad Ammoun delle favorevoli disposizioni di massima del Governo italiano ed essi mi hanno pregato di trasmettere a V.E. i loro più caldi ringraziamenti.

Il presidente del Consiglio Riad El Solh mi ha poi, per parte sua, telefonato personalmente informandomi che il Consiglio dei ministri ha approvato, nella seduta di ieri sera, il progetto di trattato con l'Italia, incaricandomi di comunicare la notizia a V.E.

Il segretario generale del Ministero degli esteri mi ha subito dopo fatto pervenire il testo del trattato, con le lievi modifiche ad esso apportate, affinché sia trasmesso a V.E. Egli mi ha altresì pregato di sollecitare fin da ora l'invio dei pieni poteri al fine di procedere, appena ottenuto l'assenso di V.E. ed appena approvate, come egli confida, le lievi modifiche proposte, alla firma del trattato, che il Governo libanese desidererebbe abbia luogo a Beirut il più presto possibile.

Invio con separato rapporto n. 106/22 in data odierna il testo del trattato proposto4 .

71 1 In tale telegramma Zoppi osservava che la conclusione del trattato di amicizia e stabilimento italo-libanese avrebbe consolidato la posizione del Libano e dato ali 'Italia la possibilità di intervenire in suo favore.

72

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 106/22. Beirut, 14 gennaio 1949 (perv. i/19).

A seguito del mio telegramma n. l in data odierna1 e del mio rapporto

n. l 05/21, pure in data odierna2 , ho l'onore di inviare qui unito il testo definitivo del Trattato di amicizia e stabilimento che il Governo libanese propone di concludere fra l'Italia ed il Libano3 .

4 Vedi D. 72.

2 Vedi D. 71.

3 Non si pubblica.

Il testo riproduce quasi esattamente, con alcune varianti di pura forma, il progetto di trattato da noi presentato a questo Governo, ad eccezione delle disposizioni di cui agli articoli 5 e l O. Sono sopratutto le disposizioni di cui ali' art. 5 che questo presidente della Repubblica ha personalmente desiderato mutare. Esse si riferiscono agli acquisti immobiliari e specialmente terrieri. Come ho già a suo tempo riferito, il presidente della Repubblica ha dichiarato al riguardo: «Non sono gli acquisti da parte dell'Italia che noi temiamo, ma poiché il trattato con voi dovrà servire da modello per altri, particolarmente importanti per il Libano, desideriamo escludere fin da ora talune possibilità straniere in materia».

Il ministro degli esteri Frangié, che è stato il mio più valido e più efficiente alleato nell'opera qui svolta, non senza difficoltà, nei vari ambienti politici, per giungere alla conclusione del trattato, malgrado le sospettose suscettibilità di molti elementi locali e le gelosie di gruppi più particolarmente legati ad altre potenze, mi ha espresso la sua fiducia nella approvazione da parte di V.E. delle modifiche, veramente minime, apportate al trattato. Egli confida altresì che la firma del trattato abbia luogo, per molte ragioni di carattere attuale e locale, a Beirut al più presto.

La Convenzione giudiziaria e di regolamento giudiziario da noi presentata sarà pure sottoposta al più presto all'esame del Consiglio dei ministri e firmata subito dopo il Trattato di amicizia e stabilimento4 .

71 3 Con T. 4 73/2 del 19 gennaio Sforza rispondeva: «Dica a Frangié che comprendiamo situazione Libano e siamo pienamente d'accordo con quanto dettole», ed invitava Alessandrini ad informare il ministro degli esteri Iibanese del contenuto del D. 34.

72 1 Con tale telegramma Alessandrini riferiva che il Consiglio dei ministri libanese aveva approvato la conclusione del trattato di amicizia tra Italia e Libano e che se ne auspicava la firma a Beirut al più presto possibile.

73

IL MINISTRO A BUDAPEST, BENZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 154/21. Budapest, 14 gennaio 1949 (perv. il 17).

Il fatto nuovo nella situazione creatasi dall'arresto del cardinale Mindszenty è la sospensione delle trattative tra Episcopato e Governo. L'Episcopato ungherese il quale nel disorientamento del primo momento e sull'abbrivi o di una precedente autorizzazione del primate aveva firmato un parziale accordo finanziario, ha fatto sapere che per il momento non è in grado di proseguire le conversazioni sulle altre questioni in sospeso. Va segnalato per completare il «quadro» che tale comunicazione venne fatta, tra un rinfresco e l'altro, nel corso di una riunione, indetta l'8 gennaio appunto per tali conversazioni, dal presidente del Consiglio Dobi, accompagnato dai membri più autorevoli del Governo, alla quale arcivescovi e vescovi si recarono al completo.

Nessun altro comunicato è apparso sui fatti imputati al cardinale Mindszenty. Si ha comunque l'impressione, condivisa anche da alcuni miei colleghi, che si intenda porre in sordina l'accusa di spionaggio antisovietico che figurava tra i capi di imputazione nel primo comunicato ufficiale. È lecita la supposizione che il

Governo sovietico non desideri essere trascinato, in base ad imputazioni forse vaghe ed indiziarie, a prendere posizione su una questione che preferisce vedere risolta restando dietro le quinte.

Ai violenti articoli dei giornali governativi tra i quali, nel Szabad Nép, viene attaccato anche il presidente De Gasperi, i due settimanali cattolici d'opposizione Hazank (partito Barankovics) e Uj Ember (Episcopato) hanno opposto la loro flebile voce (vedi allegati) 1•

Il primo infatti si è contentato di affidare al Vaticano e all'Episcopato la responsabilità di risolvere il problema tra Chiesa e Stato; ed il secondo ad affermare il suo dolore sottolineando d'essere «al disopra dei partiti» ed invitando le masse cattoliche ad attendere con calma le disposizioni dell'Episcopato.

Nel contempo il Governo si è adoperato per ottenere consensi e simpatie negli ambienti protestanti; al vescovo calvinista Berecz Ryil è stato fatto tenere un radiodiscorso-riprodotto in tutti i giornali-in cui viene affermato che le libertà religiose sono interamente rispettate in Ungheria e che la democrazia ha dato aiuti morali e materiali alle Chiese. Il vescovo ha anche detto che i provvedimenti presi dalle autorità statali contro il capo della Chiesa cattolica denotano che questa ha perso la coscienza della propria missione divina lasciandosi trascinare da correnti politiche ormai superate.

Sul luogo di detenzione del cardinale e su ogni notizia relativa alla sua attuale esistenza viene mantenuto il più assoluto silenzio. La polizia ha negli scorsi giorni sottoposto ad interrogatori l'arcivescovo di Kalocsa e i vescovi di Székesfehérvàr, di Vàc e di Hajdudorog (quest'ultimo di rito greco-cattolico) i quali-secondo fonte attendibile-sarebbero stati invitati a dimettersi.

72 4 Per la risposta vedi D. 226.

74

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 292/37. Vienna, 14 gennaio 1949 (perv. i/17).

Riferimento: Dispacci di V.E. n. 18001 e 1801 2 del30 dicembre u.s.

La questione della cosiddetta apolidia degli optanti è assai vecchia e ha formato oggetto di così ripetute segnalazioni e considerazioni e proposte da parte di questo ufficio (tra l'altro mio rapporto 17 settembre n. 1827/1076 e telegramma 237 del21 ottobre

u.s.3 , nonché quanto fu osservato in relazione all'art. 18 della legge sulle opzioni e alla concessione dei passaporti) ed è così !ungi dall'essere stata posta dal comunicato del

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 792.

3 Non pubblicati.

Consiglio dei ministri austriaco del 27 novembre u.s. che non può essere fonte di una qualche sorpresa che sia occorsa la pubblicazione del medesimo e le segnalazioni dei rappresentanti della Lega degli altoatesini optanti (e che mirano in realtà in tutt'altra direzione) per riuscire a richiamarvi tardivamente l'attenzione degli organi competenti, quando ormai la intera operazione della revoca delle opzioni era alla vigilia della sua conclusione e l'andamento della medesima, assai diverso da quanto si supponeva e si temeva inizialmente, non giustificava neppure eccessive preoccupazioni.

Occorre anzi anche dire che in un certo senso i comunicati austriaci dell'agosto e del novembre con le deliberazioni ministeriali che annunciavano, venivano a trovarsi sulla linea della azione e delle tesi che erano state qui svolte (vedi tra l'altro il mio rapporto 994 del 20 agosto u.s. e i rapporti 17 e 24 dicembre u.s. n. 1431 e 1436 incrociatisi con i dispacci ministeriali sopracitati)3 .

Tralascio tuttavia una ulteriore rievocazione di precedenti, e venendo al contenuto più specifico dei due dispacci ministeriali del 30 dicembre u.s. sopracitati, faccio innanzi tutto presente che il testo tedesco del comunicato del 27 novembre è alquanto diverso e dà una impressione alquanto diversa della traduzione italiana che ne è stata fatta, e che sembra sia stata unicamente tenuta presente costì: allego nuovamente il testo tedesco del medesimo e una nuova traduzione3 . Il testo originale presenta d'altra parte non poche difficoltà perché ne siano rese in traduzione tutte le sfumature. V.E. potrà del resto giudicare direttamente confrontando i due testi.

Le comunicazioni di codesto Ministero al ministro Schwarzenberg4 , che hanno preceduto di quasi due settimane le istruzioni a me di esprimermi nello stesso senso presso questo Governo, hanno avuto ripercussioni in due direzioni diverse, e precisamente presso il Governo federale e presso l'Associazione degli optanti: per quest'ultima soprattutto in relazione alla voce che il Governo italiano presumeva invalide tutte le domande di revoca di opzioni presentate dopo il 2 novembre.

Al Ministero degli esteri, il rapporto Schwarzenberg vi aveva creato uno stato d'animo quasi di costernazione: dai collaboratori al ministro Gruber erano tutti sorpresi, amareggiati, con le supposizioni e illazioni le più azzardate su quelle che potevano essere le intenzioni reali che ispiravano il passo italiano, in primo luogo quella di voler invalidare tutte le opzioni presentate dopo il 2 novembre e in un certo senso riaprire tutta la questione delle opzioni con una messa in stato di accusa del Governo austriaco.

Di qui anche il più pessimistico sconforto sulla possibilità di veramente intendersi con noi, di chiudere la questione dell'Alto Adige ed esaurire l'applicazione dell'accordo di Parigi; tutte reazioni e deduzioni, che sia pure nella indubbia gravità di quanto io stesso vedevo scritto nel memorandum rimesso al ministro Schwarzenberg e, riflesso in parte nelle istruzioni che mi venivano date, anche con l'accenno di ricorrere eventualmente a istanze superiori a quelle del ministro Gruber, presso il cancelliere federale Figl e il vice cancelliere Scharf, mi apparivano come assolutamente esorbitanti, e quindi interpretando lo spirito generale che, giusta le istruzioni ripetutamente datemi costì e personalmente da V.E. sembra dover tuttora presiedere ai nostri rapporti con questo paese, mi sono adoperato del mio meglio per riportare tutto il quadro almeno a più giuste e realistiche proporzioni.

Persuasi così tutti, a cominciare dal ministro Gruber, a chiudere immediatamente la fase reattiva e polemica, modificando in conseguenza le istruzioni che in un primo momento erano state date al ministro Schwarzenberg, e che pertanto dovrebbero ormai limitarsi ad una comunicazione verbale, senza particolare accentuazione di tono, e ad esaminare con calma il problema specifico che aveva dato luogo alla reazione di Roma, richiamandomi anche a precedenti conversazioni avute qui in argomento5 .

In questa sede, ho avuto così visione in via personale dei verbali del Consiglio dei ministri che si sono occupati di tali questioni e allego il testo delle rispettive deliberazioni di cui solo la prima è stata pubblicata, ma entrambe sono note agli optanti (allegato n. 2 e 3)3; ho riavuto esposto il quadro generale giuridico e politico delle varie centinaia di migliaia di profughi di razza e lingua tedesca che sono affluiti in questo paese dai paesi danubiani, dalla Jugoslavia, dalla Cecoslovacchia, dalla stessa Germania e che hanno una situazione morale simile a quella dei sudtirolesi; della situazione particolare che era stata fatta invece ai sud tirolesi dalla deliberazione ministeriale del 29 agosto 1945; l'assicurazione dell'assoluta volontà del Governo austriaco di non esercitare pressioni, di non violentare la espressione di volontà degli optanti né la loro indipendente e libera decisione di optare o non optare, di restare in Austria o di ritornare in Alto Adige, e ciò per non aggravare la tragedia di cui questa gente è stata a suo tempo vittima e di cui nulla può neppure oggi scancellare completamente né il ricordo né le conseguenze; della ferma intenzione di tutto il Governo austriaco in tutti i suoi componenti e sfumature di pensiero di chiudere definitivamente la questione dell'Alto Adige, di liberarsi di questa palla di piombo che è stata sempre una pietra di intoppo ad un saldo e perdurante stato di buoni rapporti con l'Italia, ché nessuna occasione è considerata storicamente e politicamente più propizia di quella offerta attualmente dalla lungimirante politica del Governo italiano impersonato da V.E. e dal presidente De Gasperi.

Ed è per questo ordine di considerazioni che il memorandum rimesso a Schwarzenberg è stato accolto con sconforto e accoramento, quasi di un mutamento di direttiva da parte italiana, ed è anche per questo che il Governo austriaco aveva ultimamente deciso di respingere e resistere alle pressioni che sono state esercitate da varie parti perché venisse chiesto al Governo italiano il prolungamento del termine delle opzioni, e ciò sopratutto in vista e con la motivazione delle ancora non concluse, anzi appena e incertamente avviate trattative per le cosidette questioni patrimoniali; trattative che da varie parti vengono definite come un illecito mezzo di manovra e pressione italiana perché gli optanti non si valgano della facoltà di revoca, data la incertezza della sorte che li attende in Italia.

Tralascio, anche per non dilungarmi troppo oltre, molti dettagli e riassumendo ed integrando quanto già ebbi occasione di riferire con i ripetutamente citati rapporti del 17 e 24 dicembre u.s., mi è stato infine detto, che circa il problema specifico degli optanti potevo trasmettere costì la formale assicurazione che tutti gli optanti che sarebbero stati reintegrati nella cittadinanza italiana, sarebbero potuti rimanere praticamente indefinitamente in Austria, continuando la loro attività attuale e sarebbe

stata anzi aperta la via a rinunciare anche successivamente alla esercitata revoca di opzione e all'acquisto della cittadinanza austriaca.

Il 30 novembre il Consiglio dei ministri aveva preso una precisa deliberazione in proposito, e la soluzione interessava sopratutto gli impiegati di enti statali e parastatali per i quali è assai problematico, salvo casi isolati, il rimpiego in Italia e per cui se sia pure per il momento essi conservino il loro posto, malgrado la cittadinanza italiana, alla lunga diverrebbe più normale e regolare che finiscano per divenire giuridicamente cittadini austriaci.

Per tutti gli optanti che non opteranno, ed è comprensibile che molti non optino, e non solo perché una piccola minoranza di questi è gravata da precedenti nazisti, per cui l'art. 5 della legge italiana sulle opzioni prevede il loro respingimento della cittadinanza italiana (si tratta in definitiva di una modesta minoranza), ma perché essi ormai da circa dieci anni in Austria vi hanno stabilito il centro dei loro interessi professionali, morali e materiali, e magari non più giovani, non hanno il coraggio di riiniziare per la seconda volta nella loro vita un tale processo di riadattamento e di rinserimento in un altro paese, nessuno espellerà mai questi optanti che non hanno rioptato; nessuno li caccerà dai loro posti, anche se la loro condizione giuridica, e ciò in relazione alla complessa situazione sopraccennata dei profughi di lingua e razza tedesca, insolubile sopratutto finché dura il regime di occupazione, dovrà rimanere ancora temporaneamente incerta, ma non vi è dubbio che anche per tutti costoro è fin da ora aperta la via per l'acquisto della cittadinanza austriaca; non è possibile oggi parlare di una misura di ordine generale, di una concessione in massa della cittadinanza austriaca a tutti gli altoatesini che non opteranno, e ciò per le ragioni sopradette nonché per le considerazioni che per le stesse ragioni per cui noi abbiamo declinato di reintegrare nella cittadinanza italiana i più gravemente compromessi dal nazismo (vedi art. 5 succitato ), anche in Austria, nello spirito delle cosidette leggi di epurazione che ancora oggi, sia pure con progressiva attenuazione, fanno parte della legislazione e sono a base della politica austriaca, non può essere concessa indiscriminatamente la cittadinanza austriaca agli altoatesini più gravemente compromessi dal nazismo.

Il tempo sanerà molte cose ed è prevedibile che anche per questi sarà a un certo momento esercitato il talvolta così salutare metodo dell'oblio e del perdono.

Come ho avuto occasione di accennare con altro rapporto di giorni addietro, se vi saranno in queste ultime settimane, come vi sono state in novembre e dicembre, domande di revoca numericamente crescenti e vi sarà un afflusso finale, ciò è da attribuire soprattutto ad una prevista e in parte scontata situazione psicologica.

Molti sono coloro da tempo decisi all'opzione e con la domanda pronta; non l'avrebbero però presentata che alla vigilia della scadenza del termine. A mio avviso le decisioni erano ormai prese da tempo e ritengo che ormai qualsiasi più aperta dichiarazione dei Governi e promessa di eldoradi non avrebbe potuto esercitare qualche influenza che su un numero ristretto di casi per così dire marginali.

A ciò si aggiunge l'atmosfera così diversa e assai più realistica in cui si prospetta ormai il ritorno in Alto Adige sfrondato dell'alone sentimentale e propagandistico, e per cui abbiamo il fenomeno che i reduci dai cosiddetti «viaggi di ricognizione» portano per se stessi e per gli altri impressioni prevalentemente negative circa le reali possibilità di risistemazione in Alto Adige.

Dovrei ora fare cenno alla sostenibilità in sede giuridica, e sulla base della legge del 2 febbraio 1948, di una presunzione generica di invalidità della domanda di revoca di opzione come è stata prospettata nella nostra nota, concetto che del resto era stato in forma generica e non così specifica già adombrato in un precedente promemoria rimesso nell'ottobre costì al ministro Schwarzenberg6 .

Salvo una modifica legislativa della legge sulle opzioni che porterebbe lontano, ho l'impressione che vi siano difficoltà tecniche e giuridiche quasi insormontabili, e che l'eccezione non possa essere semmai che sollevata in sede politica, con conseguenza peraltro di così vasta e generale portata, che non saprei vedere come sarebbe possibile e come in definitiva potrebbe giovarci, anche per una evidente sproporzione con i fatti che l'hanno determinata, e i risultati che si potrebbero ottenere.

Ho già da principio accennato come il memorandum del 22 dicembre rimesso al ministro Schwarzenberg7 abbia avuto ripercussione assai profonda anche presso gli stessi optanti ai quali la notizia è rapidamente filtrata e i rappresentanti della Lega hanno mandato da me ad informarsi se la notizia era esatta e che cosa sarebbe accaduto.

Ai medesimi ho dato una ragionevole interpretazione della nostra nota del 22 dicembre, nonché illustrato la portata che è tendenziale, e non equivalente ad una eccezione di invalidità indiscriminata per tutte le revoche di opzioni presentate dopo il 2 novembre.

E ho colto questa occasione per anche naturalmente diffusamente illustrare quelle che si possono considerare le assicurazioni passate e presenti avute dal Governo austriaco circa lo stato giuridico degli optanti che non revocheranno la opzione e di tutti quelli che comunque risiederanno in Austria, naturalmente con quelle cautele e quei silenzi che mi sono apparsi più convenienti nel nostro interessé.

73 1 Non pubblicati.

74 1 Non pubblicato.

74 4 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 738 e 769.

74 5 Vedi D. 107.

75

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A WASHINGTON, LUCIOLLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATA PERSONALE 1 . Washington, 14 gennaio 1949 (perv. il 20).

Ti ringrazio della tua lettera in data 7 corrente2 , che ha molto contribuito a chiarire lo spirito del memorandum e quindi a consentirci di illustrarlo convenientemente qui. Come hai visto, abbiamo cercato di escludere dal nostro telegramma 163 ogni spunto polemico e di trarre da esso (con la formula «salvo contrarie istruzioni») una

7 Ibid., D. 769.

8 Per la risposta vedi D. 123.

2 Vedi D. 25.

3 Vedi D. 38.

conferma, che ci pareva necessaria, dell'esattezza della nostra interpretazione. Spero che la disavventura della cifra e gli inconvenienti delle «parafrasi» non ne abbiano alterato la chiarezza.

Non occorre ch'io ti dica quanto apprezziamo gli sforzi del ministro e di tutti voi, in mezzo alle difficoltà di politica interna che angustiano il Governo. Mi pare però che ormai siamo in vista del porto ...

In sostanza, cosa cerchiamo? Le maggiori garanzie possibili, per il caso di un conflitto, che certamente considereremmo come una immane sciagura e nel quale altrettanto certamente saremmo coinvolti contro la nostra volontà. Quali garanzie abbiamo adesso? Nessuna. Quali garanzie avremo aderendo al Patto atlantico? La garanzia che qualsiasi attacco contro di noi mette in gioco il meccanismo dell'assistenza americana. Mi pare che ciò rappresenti molto più di quel che si potesse sperare anche recentemente e mi pare che per il momento non si possa ottenere di più. L'entità degli aiuti, la determinazione delle linee strategiche di difesa e tutto il resto non possono scaturire se non dalle ulteriori discussioni politiche e tecniche, alle quali parteciperemo attivamente se saremo dentro e le cui conclusioni subiremo se saremo fuori. Il fatto, però, che gli americani desiderino la nostra partecipazione e che abbiano chiaramente parlato a Marras della linea del Piave4 è già una prova che l'Italia si trova già inclusa anche nei piani strategici definitivi. Del resto la nostra posizione non differisce da quella degli altri paesi europei interessati se non in ciò: che essi per scopi identici ai nostri si sforzano di «agganciare» l'America col Patto atlantico e noi, a causa della nostra strana situazione politica interna, entriamo nel Patto atlantico tirati per i capelli.

Per quanto riguarda il Patto di Bruxelles, ti assicuro che, malgrado la nostra opinione, già chiaramente espressa nei telegrammi e nei rapporti, secondo cui converrebbe aderire ad entrambi i patti, faremo tutto il possibile per difendere qui il principio della non adesione; ma, per le ragioni egualmente indicate nei telegrammi e rapporti, è assai probabile che l'adesione simultanea scaturisca dalla formulazione stessa del Patto atlantico. In questo caso, ti confesso che non vedo quali obiezioni logiche possano essere sollevate dai partiti politici. Infatti è chiaro che il Patto di Bruxelles assumerebbe tutt'altra natura che quella originaria e diventerebbe un vincolo essenzialmente politico fra i paesi europei garantiti dall'America.

Qui si insiste molto sulla necessità e sull'urgenza di una nostra presa di posizione presso le altre sei capitali. Anche su questo punto, mentre abbiamo doverosamente segnalato a voi i suggerimenti americani, abbiamo altrettanto doverosamente difeso il punto [di vista] di Roma, contrario a qualsiasi prematura compromissione. Sta di fatto, però, che ormai il nostro silenzio a Londra apparirebbe inspiegabile. Ormai abbiamo detto, chiaramente e da diversi giorni, agli Stati Uniti e alla Francia: «Un invito a partecipare alle trattative per il Patto atlantico sarebbe da noi accolto favorevolmente». Quale inconveniente ci sarebbe a dire la stessa cosa all'Inghilterra e agli altri paesi, coi quali dovremo collaborare, in un'atmosfera di cordialità, per le trattative e soprattutto per l'applicazione del Patto? Dopo le arcinote incertezze dei nostri circoli politici, il meno che l'Inghilterra e gli altri possono aspettarsi è di ricevere direttamente da noi la

dichiarazione di cui sopra. Dico «direttamente», non soltanto perché ciò appare conforme all'ordine naturale delle cose, ma anche perché gli Stati Uniti non intendono assumere in seno ai Sette il compito di esporre, loro, i nostri punti di vista.

Mi auguro che, quando questa lettera ti perverrà, anche questo scoglio sarà stato felicemente superato e che quindi quello che ti scrivo abbia un valore soltanto retrospettivo5 .

74 6 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 474.

75 1 Autografa.

75 4 Vedi serie undicesima, vol. l, DD. 719, 761, 762, 765, 785 e, in questo volume, D. 3.

76

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 370/21. Roma, 15 gennaio 1949, ore 17.

Presente telegramma fa seguito al telegramma n. 171 .

Sono stati chiariti a questo ministro di Jugoslavia e a presidente delegazione Jugoslavia a Roma i motivi per cui non possiamo che rinviare l'entrata in vigore degli accordi in trattazione a Roma, mentre siamo pronti a definirli e fissarli, ad un successivo scambio di note, il quale, non appena definite le intese che confidiamo poter raggiungere anche costà, avrebbe luogo per i singoli accordi di Roma e di Belgrado.

Da parte questo ministro di Jugoslavia e presidente delegazione jugoslava a Roma, pur mostrandosi notevole disappunto, non è stata esclusa possibilità accogliere tale procedura.

È già pronto, su basi suindicate per quanto riguarda entrata in vigore, accordo per consegna navi da guerra italiane. Nonostante difficoltà sorte in ultima seduta appare anche possibile una conclusione circa R.O.M.S.A. Non è stata ancora sviluppata, ma lo potrà essere presto se si prospettassero buoni risultati circa beni in territori ceduti, questione naviglio jugoslavo in acque italiane.

Sarebbe opportuno, in tali condizioni, che, ottenuta ormai ammissione (suo telegramma n. 15)2 principio indennizzo per beni optanti nazionalizzati o colpiti riforme agrarie, Romano avanzasse formale proposta, qualora non avesse ragioni particolari per non farlo o aspettare ancora a farlo, di affidare la valutazione dei beni italiani nei territori ceduti ad una commissione mista che agirebbe in loco con l'intesa che relative divergenze, in caso di disaccordo su questioni di massima, sarebbero risolte con

2 Del 12 gennaio, non pubblicato.

intervento di arbitro neutro da designarsi con procedura identica a quella prevista, art. 83 trattato di pace, per commissioni di conciliazione. In conformità art. 87 trattato resterebbero devolute quattro ambasciatori questioni relative interpretazione trattato stesso. Questa proposta che semplifica negoziato ci pare di natura tale da poter abbreviare trattative Romano. Da scambio lettere potrebbe risultare accordo relativo. Si dovrebbe insistere tuttavia, se possibile, affinché al nostro credito venisse subito riconosciuto un quantum del valore dei beni. Di quanto precede prego informare Romano.

75 5 La comunicazione ai Governi interessati era stata in effetti già fatta: vedi D. 61. In un foglio unito ali' originale di questa lettera Zoppi ha annotato: «Mirare ad ottenere una risposta pressappoco così: "Abbiamo letto il vostro memorandum e constatiamo che l'Italia, come tutti i paesi europei, si preoccupa del problema della propria sicurezza e della difesa del proprio territorio. Il Governo degli Stati Uniti è già in contatto per le stesse ragioni e allo stesso scopo con altri Governi europei, ed è a sua volta pronto ad associare anche il Governo italiano a tali contatti che hanno per fine l'organizzazione collettiva della sicurezza dell'Europa occidentale". Approvato dal ministro. Scritto a Luciolli». Questa ulteriore lettera di Zoppi a Lucio ili non è stata però rinvenuta.

76 1 Del 13 gennaio con il quale Zoppi aveva invitato Martino a rinviare la sua partenza.

77

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 405/2. Osio, 15 gennaio 1949, ore 15,35 (perv. ore 19,30).

Mio telegramma 11•

Fine lavori Comitato militare interscandinavo, coincidendo con noto annunzio da Washington secondo cui nessun aiuto militare potrebbe essere dato a paesi che non aderiscano al Patto atlantico2 , ha messo qui maggiormente in rilevo la divergenza fra punto di vista norvegese e svedese in materia e l'impossibilità di un patto regionale e militare scandinavo basato sulla neutralità dei tre paesi.

Questa opinione pubblica ritiene oramai per scontato che riunione a Copenaghen dei capi della politica estera scandinava fissata per il 22 corr. non potrà fare altro che prendere ufficialmente atto di tale divergenza. Con ciò sarebbe così giustificata la ripresa da parte Norvegia della sua piena libertà d'azione nei confronti della adesione al Patto atlantico.

78

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 406/3. Sofia, 15 gennaio 1949, ore 13,30 (perv. ore 19,30).

Apprendo da informazioni stampa che per difficoltà turche passaggio StrettP parte delle nostre navi da guerra verrebbe consegnata ai russi nel porto di Valona.

2 Vedi D. 91, nota 2.

Tenuto anche conto della perdurante interruzione dei nostri rapporti ufficiali con l'Albania, mi permetto suggerire di considerare se non sia possibile e conveniente cogliere questa occasione per interessare in via amichevole i russi per il rimpatrio dei nostri connazionali trattenuti colà.

Al riguardo osservo:

l) la dipendenza sempre maggiore di Tirana da Mosca fa prevedere che gli albanesi si assicureranno il benestare dei sovieti anche nella questione del rimpatrio degli italiani;

2) potrebbe interessare ai russi l'allontanamento dall'Albania di stranieri, testimoni della loro azione e capaci di critica verso tecnici e specialisti dell'U.R.S.S.;

3) sollecitato recentemente in proposito questo incaricato d'affari di Albania mi ha detto di non avere ancora istruzioni da Tirana circa il contenuto del mio telespresso del 7 dicembre scorso, n. 3162/184 72•

77 1 Vedi D. 31.

78 1 Su questo argomento vedi serie undicesima vol. I, DD. 742, 746, 756, 764, 774, 787.

79

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 415/42. Parigi, 15 gennaio 1949, ore 15,30 (perv. ore 8 del 16).

Come del resto accennato da V.E. nel suo 181 bisognerebbe attirare attenzione Washington su necessità che pressione americana si eserciti particolarmente su Parlamento francese.

Dopo mio ultimo colloquio con Schuman2 ed in attesa suo intervento personale che del resto mi consta già effettivamente predisposto per fine questo mese debbo riconoscere che da parte Governo francese si è cominciata svolgere attività abbastanza soddisfacente. Fra l'altro sono stati organizzati incontri nostra delegazione con vaste rappresentanze due Camere francesi a scopo divulgativo idea Unione doganale.

Rilevo questo poiché essendo sempre possibile che si venga alla fine a sapere che iniziativa intervento americano è stata provocata da noi è meglio che risulti comunque che noi abbiamo identificato vero ostacolo ossia Parlamento francese.

Si potrebbe dire ad americani che programma finanziario attuale Governo francese non (dico non) sarebbe mai passato Parlamento se non ci fosse stato fermissimo atteggiamento Bruce: che è stata appunto mancanza tale fermo atteggiamento che ha

permesso mancata accettazione piano Reynaud che ha poi portato così serie conseguenze su politica interna francese. Americani E.C.A. hanno di fronte Parlamento francese serie possibilità pressione solo che vogliano fame uso.

Necessità fermo e continuativo intervento americano è tanto più sentita in quanto se è esatto (come risultami anche da altre parti) quanto dettomi da Letoumeau3 che ratifica Parlamento francese non potrà avere luogo prima di Pasqua occorre tener presente che entro questo periodo dovranno aver luogo elezioni cantonali cui risultati possono modificare considerevolmente fisionomia politica francese. Anche se elezioni cantonali non porteranno necessità scioglimento Parlamento potranno facilmente provocare crisi governativa o comunque loro risultati influenzeranno atteggiamento partiti in seno Parlamento. Atmosfera elettorale non è più favorevole esame meno importante questione.

Troviamoci di fronte situazione complessa che può in buona parte sfuggire controllo Governo, che potrebbe rendere scarsa efficienza anche sua massima buona volontà. Influenza missione americana E.C.A. rappresenta in certo senso unico elemento stabilità su cui possasi realmente far conto.

Se Hoffinan e Harriman d'accordo in linea generale, per quello che concerne dettagli azione che può essere esercitata molto più utilmente da Bmce che non da Harriman, basterebbe che missione E.C.A. Francia ricevesse istruzioni da Washington prendere contatto con questa ambasciata che potrebbe fornire loro tutte possibili informazioni4 .

78 2 Jbid., D. 723. Guamaschelli tornò a riferire sulla questione con il D. 777 e informò infine (Telespr. 1505/901 dell7 giugno) su quanto comunicato dal medesimo interlocutore: «mi ha detto, a titolo personale, essere sua impressione che ormai la questione dei rimpatri dei connazionali ancora residenti in Albania contro la loro volontà sia in via di soluzione e mi ha aggiunto che ancor più facilmente potrà essere risolta tale questione quando vi sarà una rappresentanza italiana a Tirana».

79 1 T. 268/18 de112 gennaio con il quale erano state trasmesse a Quaroni le istruzioni di Sforza per Tarchiani e la relativa risposta, vedi DD. 41 e 48. 2 Vedi D. 36.

80

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 416/43 1 . Parigi, 15 gennaio 1949, ore 23,55 (perv. ore 8 del 16).

Schuman, rientrato da Londra stasera, mi ha fatto comunicare da Chauvel quanto segue:

l) Tripolitania: ha trovato atmosfera più favorevole: è stato deciso che Governi francese ed inglese sottoporranno questione a Washington per vedere se è possibile far cadere o~posizione americana di principio che inglesi continuano asserire essere categorica. E evidente che domanda sarà sottoposta a Washington da Francia in forma più pressante che non da parte Inghilterra.

4 Ritrasmesso a Washington (T. 398/20 del 17 gennaio) con la seguente frase iniziale: «Circa Unione doganale ambasciata Parigi telegrafa considerazioni che seguono e che pregola illustrare riservatamente a Dipartimento di Stato e a Hoffinan per loro norma di azione».

È previsto che qualora Washington rispondesse favorevolmente Governo italiano verrebbe invitato da Governi francese e inglese sottoporre in dettaglio: a) sue idee circa organizzazione pratica mandato; b) mezzi militari finanziari a sua disposizione per amministrazione e mantenimento ordine nel territorio. Da parte inglese si insiste che non è possibile contentarsi assicurazioni generiche ma che è necessario avere piani dettagliati precisi.

2) Eritrea: proposta avanzata da V. E. Cannes 2 è stata nettamente respinta da Bevin il quale ha insistito che impegni britannici non permettono rinunciare a cessione completa Eritrea ad Etiopia. Sarebbero concesse Italia serie garanzie per italiani residenti Eritrea e Italia dovrebbe essere aiutata concludere accordo per emigrazione italiana in Etiopia. Su questo punto accordo non è stato raggiunto. In pratica proposte britanniche si risolverebbero in negoziati diretti fra Italia ed Etiopia.

3) Unione Europea: accordo completo su immediata adesione Italia. Prossimi negoziati Parigi sia piano esperti che piano Governi si presumono tuttavia piuttosto difficili. Da parte inglese si ammette principio Assemblea ma con condizione che trattisi delegazione condotta da membro Governo che dovrebbe dirigerne voto. Accordo non raggiunto su questo punto.

4) Patto atlantico: Inghilterra mantiene suo atteggiamento riservato circa adesione immediata Italia appoggiandosi principalmente su difficoltà che questo creerebbe per Governo italiano e differenza opinioni in seno stesso Governo. Tuttavia impressione Schuman è molto definitamente che inglesi non farebbero seria resistenza di fronte preciso atteggiamento americano.

Schuman raccomanda quindi portare avanti con urgenza nostre trattative con Washington insistendo su opportunità che da parte nostra si dia a domanda americana risposta precisa senza riserve e che comunicazione egualmente molto precisa sia fatta al più presto a Londra3 .

79 3 Vedi D. 52.

80 1 Il primo punto del presente telegramma venne ritrasmesso a Washington (T. s.n.d. 396119 del 17 gennaio) con le seguenti istruzioni: «Conviene quindi V.E. inizi senz'altro contatti sulla base istruzioni date ad ambasciatore Londra (Telespresso ministeriale 3/24). Nostro progetto di massima circa Tripolitania le è stato comunicato con Telespresso 31124/c. del 15 corrente». Per i documenti citati vedi DD. 24 e 16.

81

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 421/42. Washington, 15 gennaio 1949, ore 21,24 (perv. ore 8 de/16).

Rispondo al telegramma di V.E. 18 1• Assicuro che non mancherò comunicare anche ultimo paragrafo memorandum a Dipartimento di Stato.

Segnalo ad ogni buon fine frattanto che nell'appunto consegnato a Hickerson insieme al memorandum di cui inviato copia ieri per aereo2 , patto cui Italia sarebbe eventualmente disposta aderire è così descritto: «Patto collettivo che comporti garanzia territorio italiano e, a tal fine, di assistenza militare da parte americana in caso di aggressione non provocata». Appunto continua precisando che territorio italiano dovrebbe entrare «alla stessa stregua di quello degli altri paesi contraenti nella sfera destinata formare oggetto progettata organizzazione difensiva».

Appunto aggiunge che inclusione Territorio Libero di Trieste nel territorio italiano «dovrebbe essere esplicitamente menzionata».

Questa ambasciata farà in modo che risposta americana sia quanto più possibile esplicita compatibilmente con probabili limitazioni di cui al mio 163 tenendo presente che Patto è tuttora in discussione e secondo quanto risulta finora, tralascerà questioni militari, destinate formare oggetto separati accordi. Ho inoltre qui riaffermato ancora oggi a Dipartimento di Stato punto di vista Governo italiano contrario aderire a Patto Bruxelles e non tralascerò insistere per eventuale ricorso ad altre ragioni di adesione, quali partecipazione Consiglio europeo e continuità territoriale con potenza atlantica. Circa Unione Europea peraltro prevale ancora qui opinione che essa non possa tempestivamente assumere carattere organizzazione difensiva politico-militare, tale da permettere agganciamento a Patto atlantico.

80 2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768. 3 Con T. s.n.d. 420/29 del 18 gennaio Zoppi, facendo riferimento al punto 4 di questo telegramma, ritrasmise a Quaroni la comunicazione inviata a Washington per la quale D. 87. 81 1 Vedi D. 64.

82

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. PERSONALE. Roma, 15 gennaio 1949.

Ricevo ora il telegramma di Grazzi trasmessomi con il suo numero 35 1 . Sono lieto di constatare che il suo contenuto contrasta con quello della corrispondenza da Parigi pubblicata ieri sul Popolo e con altre impressioni che avevamo qui ricevuto.

Mi sembra opportuno precisarle in via breve il mio pensiero sull'intera questione. L'Unione doganale italo-francese è a mio avviso un atto di politica non solo lungimirante ma altresì necessario per l'avvenire dei nostri due paesi. La meta che sta di fronte a noi giustifica la nostra lotta anche se spiega l'asperità della strada da percorrere.

Dobbiamo oggi e dovremo domani essere pronti a incontrare e eliminare resistenze da parte di quanti, nella loro miopi a, vedono l'albero e non la foresta, oppure sono impressionati dalla grandiosità stessa dell'opera e dalle conseguenti difficoltà di realizzazione.

3 Vedi D. 38.

Il Governo italiano è pronto e disposto a superare ogni interna resistenza. Quando avrà approvato si sentirà impegnato a fare approvare dal Parlamento. Parlerò al prossimo Consiglio dei ministri, martedì p.v., in questo senso.

Il problema si pone quindi dubbio soltanto dal lato francese, ed io mi rendo perfettamente conto delle sue giuste riserve, in quanto uno scacco dopo la firma porterebbe l'increscioso effetto di peggiorare le relazioni tra i due paesi. D'altra parte se abbiamo la possibilità di vincere titubanze ed esitazioni degli uomini di Governo francesi, ben inteso con una buona probabilità che non facciano marcia avanti oggi per poi fare marcia indietro domani, sono d'avviso che ci conviene farlo.

In tale senso va anche interpretata la frase del mio telegramma n. 152 , cui lei si riferisce quando mi informa di aver fatto presente che sono pronto a venire a Parigi se Schuman è pronto.

Mi rendo bene conto delle resistenze francesi che possono trovare una eco nel Parlamento, la cui posizione di fronte al Governo è del resto ben diversa da quella esistente in Italia. Sono però convinto che in gran parte l'approvazione del Parlamento dipenderà dall'impegno che il Governo metterà nel presentare il progetto. Data la difficoltà di agire sul Parlamento è sul Governo che dobbiamo puntare. È evidente che se Schuman si dichiara con noi, come ho detto nel mio telegramma, sicuro del voto, egli, nella sua qualità di ministro degli esteri, non può non sentirsi impegnato come persona e come Governo a fare tutto il possibile per fare approvare l 'Unione doganale dal Parlamento e per vincere le altre eventuali resistenze interne3 .

81 2 Vedi D. 70, Allegato.

82 1 Del 14 gennaio con il quale Grazzi aveva comunicato l'andamento soddisfacente delle riunioni per l'Unione doganale e la prevedibile conclusione delle stesse in tempi brevi. Infatti il 16 gennaio Grazzi fu in grado di trasmettere il progetto del trattato: vedi D. 85.

83

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 442/28. Belgrado, 16 gennaio 1949, ore 19 (perv. ore 8 del 17). Delegazione comunica:

«Telegramma n. 73. Scopo guadagnare tempo nelle trattative ho proposto apresidente jugoslavo di fissare in un documento impegnativo (scambio di lettere), allargandone la portata, l'accordo già intervenuto circa riconoscimento jugoslavo di un indennizzo per beni italiani nei territori ceduti di cui al mio rapporto n. 202/115 in data 15 corr. 1• Krulj mi ha fatto ora conoscere Governo jugoslavo essere disposto firmare tale lettera a condizione che accordi R.O.M.S.A. e navi da guerra entrino contemporaneamente in esecuzione. Krulj ha aggiunto che codesto ministro Ivekovic ha preso identica iniziativa, indipendentemente dalla mia, proponendo costà scambio Belgrado lettere impegnative circa indennizzo beni da collegarsi con esecuzione accordi romani. Potendo disporre scambio lettere sarebbe il seguente:

3 In un post scriptum Sforza ha aggiunto: «Costa, il presidente della Confindustria, agisce con raro calore nel nostro senso. Gli ho parlato a lungo; agisce come promise. Se ho tempo scriverò un articolo pel Corriere; in tal caso veda di farlo riprodurre nelle frasi essenziali». Per la risposta di Quaroni vedi D. 94. 83 1 Non pubblicato.

"Omissis. Governo jugoslavo accetta versare per i beni italiani sottoposti nazionalizzazione, riforma agraria, e altre misure restrittive, comprese quelle di cui articolo 79, paragrafo 6, lettera c, una equa indennità, in una somma globale, di cui l'ammontare e le modalità trasferimento saranno fissati ulteriori conversazioni tra due delegazioni". Prego istruzioni2 . Romano».

82 2 Vedi D. 40.

84

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, [16 gennaio 1949jl.

Con telegramma n. 13 dell'8 c.m. 2 l'ambasciata d'Italia a Washington ha riferito che al Dipartimento di Stato, dopo aver esaminato una proposta inglese per fissare la data delle elezioni a Trieste per maggio o giugno, si sarebbe invece del parere di indirle per settembre-ottobre.

Quest'ultima data è in sostanza quella da noi stessi indicata a Washington per il caso che -come appare ormai certo -per ragioni tecniche fosse impossibile indire i comizi in aprile.

Vi è comunque un altro aspetto della questione: il telegramma della nostra ambasciata, sebbene non faccia cenno del suggerimento esposto a V.E. dall'ambasciatore Dunn3 di rinunziare alle elezioni, sembra indicare per la sua stessa data in confronto a quella della comunicazione di Dunn che il suggerimento medesimo non sia stato accolto. Sarebbe comunque da appurare a Washington o presso lo stesso Dunn quale decisione sia stata adottata.

É vero che le elezioni rappresentano per noi un rischio enorme. Fatte in regime di occupazione straniera, diventano una prova internazionale di quello che noi abbiamo sempre asserito, cioè la italianità di Trieste; esse impongono perciò un'affermazione pienamente convincente con percentuali altissime, tali in ogni caso da compensare l'indubbia maggioranza slava nei comuni minori della Zona

A. Ed è vero anche, come ha rilevato l'ambasciatore Dunn, che le elezioni possono, in un certo senso, approfondire agli occhi di spettatori lontani il solco che divide la Zona A dalla Zona B; dico agli occhi di spettatori lontani, perché, nei fatti e sul luogo, tale separazione non potrebbe essere più completa. Ma a ciò è da osservare che l 'integrità giuridica dell'intero Territorio Libero di Trieste è già garantita, in senso negativo per noi, dal trattato di pace e, in senso positivo, dalla dichiarazione tripartita del 20 marzo. Comunque svantaggi e rischi sarebbero più che superati dalla difficilissima situazione nella quale verremmo posti qualora il

G.M.A. -dopo aver annunziate le elezioni con grande rilievo anche nell'ultimo

2 Non pubblicato.

3 Si riferisce al colloquio di Sforza con Dunn del27 dicembre1948 (vedi serie undicesima, vol. I,

D. 778), nel cui verbale tuttavia non figura l'argomento Trieste, oggetto di un breve promemoria separato.

rapporto trimestrale al Consiglio di sicurezza dell'O.N.U.-dovesse revocare sic et simpliciter la decisione di indire i comizi. Né appare d'altra parte facile trovare argomenti convincenti per giustificare di fronte ali'opinione pubblica un così brusco cambiamento di direttive.

Così stando le cose, sembra sia di nostra convenienza accettare il fatto elezioni, che non è stato da noi voluto ma che è unicamente iniziativa alleata; chiedere al

G.M.A. che concorra con le varie provvidenze suggerite dalla Missione italiana in Trieste (sistema elettorale, compilazione delle liste, composizione numerica dei consigli comunali ecc.) ad assicurare tanto l'assoluta libertà e sincerità della votazione quanto l'applicazione di criteri proporzionali quali si convengono alle zone mistilingui; esigere infine dai partiti italiani quella concordia di intenti e di unità d'azione di cui ora purtroppo non si vede traccia.

Qualora invece il suggerimento dell'ambasciatore Dunn dovesse veramente prevalere, sarebbe necessario studiare, insieme con gli anglo-americani, formule e provvedimenti atti a limitare al minimo le ripercussioni di una così scabrosa ritirata e sopratutto le illazioni pregiudizievoli per i nostri interessi.

Su quest'ultimo punto la Direzione generale si riserva di formulare, all'occorrenza, complete proposte4 .

83 2 Per la risposta vedi D. 97.

84 1 Il documento è privo di data ma i riferimenti in esso contenuti portano ad attribuirlo al 16 gennaio.

85

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

RELAZIONE. Parigi, 16 gennaio 19491 .

Ho l'onore di trasmettere a V.E. il progetto di trattato d'Unione doganale2 .

l) Come ella ricorderà, il protocollo che le venne mostrato a Cannes3 era uno scarno documento che a malapena poteva considerarsi uno schema. Avevo perciò preparato un controprogetto ben più ampio, ma, al mio arrivo, mi sono trovato di fronte ad un nuovo progetto francese, del tutto diverso e redatto in termini così vaghi ed imprecisi, che suonava piuttosto come una relazione d'accompagnamento di un testo che non come un atto impegnativo internazionale. Ho dovuto perciò iniziare la negoziazione ex novo, giungendo a risultati che mi pare possano soddisfare V.E. e il Governo, anche perché il progetto attuale ha riscosso il consenso dei nostri rappresentanti ministeriali e confederali qui presenti (la Confederazione generale del lavoro si è limitata alle solite riserve di principio), e perché, pur assumendosi degli impegni

2 Non pubblicato.

3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

concreti e precisi, vengono considerate in misura equa delle misure transitorie di adeguamento senza le quali gli interessati italiani e francesi avrebbero, a ragione, scatenata la più viva opposizione.

2) Premetto che il trattato tiene conto delle relazioni dei singoli Comitati (doganale, economico, diviso nelle sezioni industriale agricola e commercio estero, finanziario, lavoro, trasporti), ed anche delle conclusioni finali la cui redazione stiamo adesso ultimando. Naturalmente, le relazioni sono assai più dettagliate, e motivate con considerazioni tecniche concordate fra le parti per cui il contenuto e la portata economica del trattato non possono essere valutati appieno nelle cause che ispirano i singoli articoli, o nelle conseguenze che ne provengono, se non in relazione anche alla lettura accurata delle relazioni singole. Non abbiamo, tuttavia, voluto specificare nel trattato che le relazioni od i programmi che ne derivano formano parte integrante di esso, perché ciò avrebbe condotto nei Parlamentari ad una discussione ed una votazione interminabili su ogni singola linea dei programmi specifici; ci siamo quindi limitati a richiamarli nel preambolo, per porre in chiaro che il massimo conto era stato tenuto nei deliberata delle singole commissioni tecniche.

È stata mia cura di tenere costantemente presente l'importanza del problema del lavoro. A varie riprese è infatti affermato che la fusione progressiva dei due territori avverrà per mezzo della progressiva e simultanea liberazione da ogni ostacolo del movimento dei beni (merci e capitali) e delle persone. Anche a più riprese è richiamata la necessità dell'impiego razionale della mano d'opera e della necessità di raggiungere il più vasto impiego di essa (preambolo alinea 2, art. 6 alinea 2, art 15 alinea 3 ).

3) Una particolare menzione è stata fatta nel preambolo (alinea 2) degli scopi che l'Unione si prefigge, e cioè la diminuzione dei prezzi di costo e di vendita, l'elevazione del tenore di vita ed il pieno impiego della mano d'opera; e ciò per parare alle obiezioni che potrebbero sorgere, tanto da parte americana quanto ad opera di partiti politici circa una eventuale cartellizzazione delle industrie e le conseguenze di rialzo dei prezzi e di diminuzione di lavoro che ne risulterebbero.

Quanto alle misure di transizione è da osservare che impegni o troppo rigidi o troppo vaghi di fusione economica dei territori avrebbero egualmente potuto sollevare obiezioni da parte parlamentare, preoccupata nel primo caso di non avere assicurati sufficienti «paracadute» per attutire le conseguenze di troppo brusche rotture di equilibrio, e nel secondo, di non essere chiamata a discutere un atto di seri intendimenti e di portata precisa. Tali misure di transizione sono contenute nell'articolo 7, e consistono in tasse compensatrici che possono essere messe, d'accordo tra i due Governi, in casi eccezionali ed in via temporanea e provvisoria, per evitare conseguenze dannose, in relazione, più che alla abolizione dei dazi, alla diminuzione e soppressione delle restrizioni quantitative (contingenti, restrizioni valutarie, eccetera). Della formulazione dell'articolo sono pienamente soddisfatte sia la Confederazione dell'agricoltura, che avrebbe preferito in un primo tempo delle misure più dure e durature, che quella dell'industria, la quale particolarmente insisteva per la temporaneità ed eccezionalità delle misure stesse, che, sono convinto, elimineranno molti ostacoli che sarebbero inevitabilmente sorti durante le discussioni dei Parlamenti dei due paesi.

4) Passo adesso all'esame dei singoli articoli.

Preambolo. Esso richiama i successivi atti che stanno alla base della Unione nonché le relazioni della Commissione mista del dicembre '47 e della Commissione attuale, le quali dovranno pertanto essere distribuite ai Parlamenti insieme al trattato.

Art. l. L'unione doganale viene costituita giuridicamente ed internazionalmente dalla data dello scambio delle ratifiche. Essa si delinea sotto un duplice aspetto: unione tariffaria ed unione economica.

Artt. 2 e 3. L'unione tariffaria (istituzione di una tariffa comune nei riguardi dei terzi Stati ed abolizione dei dazi reciproci) dovrà essere totale e completa entro un anno dall'entrata in vigore del trattato.

Art. 4. Come di uso in tutte le unioni doganali, vengono mantenute le imposte di fabbricazione di carattere fiscale ed i diritti di accisa, che colpiscono quel ristrettissimo numero di merci che viene specificatamente elencato nel rapporto del Comitato finanziario. Vengono così ad essere difese talune produzioni (per esempio alcool e produzione olearia) che altrimenti sarebbero state sconvolte.

Art. 5. La ripartizione del gettito dei dazi comuni è rinviata, come d'uso, alle intese che le due parti stabiliranno direttamente.

Art. 6. Dall'inizio dell'applicazione del trattato si mette in moto la macchina dell'unione economica, la quale viene definita come consistente nell'abolizione delle restrizioni alla circolazione tra i due paesi tanto dei beni come delle persone. Quanto al termine di cui la fusione dei territori dovrà essere completa, sarebbe stato avventato lo stabilirlo in maniera ferma; esso invece sarà determinato, dopo due anni dall'inizio dell'applicazione, ad opera di quel Consiglio che di questa è incaricato, i due Governi suggerendo però e fin da adesso che il termine stesso in totale non superi i sei anni. Elasticità e rigidezza vengono quindi contemperate e, pur dando la sensazione che un termine, in principio, esiste, si constata che la sua fissazione non può essere trovata che attraverso la pratica.

Art. 7. Disciplina le misure eccezionali e temporanee di difesa contro bruschi turbamenti di equilibrio che deriverebbero da una fusione troppo rapida, sino a che i carichi finanziari dei due paesi non siano stati armonizzati ed in quanto le restrizioni quantitative vengono contemporaneamente diminuite e soppresse.

Art. 8. Consente il mantenimento dei monopoli (tabacchi e, per quanto riguarda noi, acquisto del grano, il che difende la nostra produzione cerealicola).

Art. 9. Istituisce il Consiglio dell'Unione doganale franco-italiana il quale sarà l'organo di applicazione pratica e progressiva dei due elementi, tariffario ed economico, che la compongono. L'idea che sta alla base, è che un ristrettissimo numero di persone debba avere in mano pur non costituendo né un Alto Commissariato né tanto meno un Ministero, la direzione effettiva e la responsabilità di tutte le misure da prendere e da sorvegliare nelle varie branche in cui l'amministrazione dello Stato si divide e nei vari settori della vita economica delle nazioni. Nelle conclusioni finali della Commissione mista viene specificata quale particolare competenza debbono avere nei vari rami i sette membri che fiancheggiano l'opera del delegato generale e del delegato aggiunto. Siamo partiti dal presupposto che il primo sia un uomo politico ed il secondo un alto funzionario che, non soggetto a crisi ministeriali, assicuri la continuità dei lavori, inevitabilmente assai complessi e comunque tali da impegnare totalmente l'attività dei componenti del comitato.

I francesi avrebbero desiderato un segretario generale comune e permanente. Non poca fatica ho impiegato per distruggere un simile progetto che verosimilmente avrebbe condotto ad un segretario generale francese ed alla sede permanente di esso in Francia che avrebbe ad ogni modo concentrato nelle mani di un solo tutti i poteri, diminuendo quelli dei due Comitati nazionali che uniti compongono il Consiglio, e creando astrazioni o frizioni con i ministri e con le amministrazioni.

Tuttavia, riconoscendo che una certa continuità di lavoro deve essere assicurata si è previsto l'art. 13, il quale determina che i due delegati aggiunti ed eventualmente altri membri si riuniscono il più frequentemente possibile. Ma la assoluta pariteticità dei due paesi viene assicurata, dalla alternativa della presidenza (art. l O); non fissazione a priori del luogo della prima riunione, poiché il primo anno di lavoro essendo il più importante, il paese in cui la sede sarebbe stata stabilita per prima si troverà in condizioni di favore e perciò la scelta del primo luogo e della prima presidenza è indeterminata e verrà presumibilmente lasciata alla sorte; dalla votazione all'unanimità; dalla autonomia del Consiglio nello stabilirsi il proprio regolamento interno; dalla istituzione di due funzionari di collegamento reciproco uno per ciascuna nazione (art. 12).

L'art. Il prevede che il Consiglio possa istituire delle Commissioni miste permanenti (ad esempio doganale per la formazione della tariffa doganale; economica per l'adeguamento dei piani a lungo termine, ecc.) ed a tal uopo servirsi tanto di funzionari, quanto di esperti, quanto di delegati delle organizzazioni professionali. In tal modo si tiene conto che i desideri di queste ultime abbiano applicazione, e che le categorie vive della vita economica diano un contributo attivo e permanente alla formazione dell'Unione, pure essendo inquadrate nel Consiglio ed alle dipendenze di questo.

L'art. 14 determina le attribuzioni speciali della sezione permanente; e l'art. 15 determina a sua volta, nella misura più larga e più comprensiva possibile, tutte le funzioni del Comitato, le quali assicurano la effettiva applicazione dell'Unione, il coordinamento del lavoro delle amministrazioni e delle associazioni di categoria, la formulazione delle norme legislative e l'adeguamento delle legislazioni, ecc.

Va osservato che tale articolo si inizia con l'affermazione che i poteri di decisione e di esecuzione sono riservati al Governo, dal che si potrebbe accusare il Consiglio di essere solo un organo consultivo, il cui parere deve essere in taluni casi escusso (alinea 5). Ma tale determinazione è necessaria. Né è supponibile che un Comitato internazionale dia ordini ai capi dei dicasteri e ai dicasteri stessi, né è ammissibile che il semi-comitato nazionale si ponga al disopra delle amministrazioni e possa non dico legiferare, ma emettere delle norme amministrative. Tutta l'organizzazione burocratica e legislativa dello Stato sarebbe sconvolta e si produrrebbero tali frizioni fra i ministri ed il Consiglio e fra i membri di questo ed i capi delle direzioni generali dei singoli Ministeri, che la intiera macchina si arresterebbe all'inizio del suo movimento.

So bene che anche la formazione e la funzionalità del Consiglio possono dar luogo a critiche. Ma ci siamo sforzati di dare alla sua attività un contenuto ben più pratico di quanto non abbia fatto il Benelux nella sua Convenzione e ci siamo anche preoccupati tanto della sensibilità viva dei due popoli latini quanto delle lezioni che la nostra esperienza di funzionari ci assegna. Siamo anzi convinti, noi ed i francesi che la formulazione prescelta faciliterà non solo l'approvazione parlamentare eliminando la possibilità di critiche ma faciliterà addirittura la funzionalità pratica e la

efficienza del Consiglio stesso. Il quale -inutile sottolineare -tanto funzionerà quanto meglio saranno scelti i componenti di esso.

L'art. 16 contiene una dizione che lascia adito a consentire che il delegato generale possa riferire al Consiglio dei ministri in Italia, se questo vorrà permetterlo, ed al Consiglio di Gabinetto in Francia. La frase che il delegato generale assicurerà il collegamento con il suo Governo e porterà a conoscenza di questo informazioni, dati, ecc. significa che il delegato generale viene ad assumere una posizione tutta speciale, sia elastica in se stessa sia in relazioni di criteri con i quali esso sarà prescelto.

Le clausole finali (artt. 17 e 18) contemplano l'arbitrato, l'approvazione parlamentare e l'entrata in vigore dopo lo scambio delle ratifiche.

V.E. mi consentirà di dirmi soddisfatto dei risultati raggiunti. Essi, specie se posti in relazione con le conclusioni finali che stiamo ultimando e con i singoli rapporti-programma, costituiscono degli impegni definitivi, ma sufficientemente elastici per facilitare da parte delle opinioni pubbliche e dei Parlamenti l'accettazione dell'Unione. Quanto al modo in cui essa verrà tradotta in atto è da ritenere sia il migliore che la difficoltà del compito e l'esperienza consentono e consigliano.

Mi permetto suggerire che il progetto di trattato venga con la massima urgenza distribuito, con la presente relazione se V.E. crede, alle amministrazioni dello Stato per essere esaminato in Consiglio dei ministri.

84 4 Annotazione autografa di Sforza: «Dunn mi dice che elezioni paiono decise. Quindi niente da fare. Ma farmi nota urgente per pres. Cons. circa necessità non perdere un minuto per fare unione naz. a Trieste». Vedi D. 101.

85 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

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IL MINISTRO A HELSINKI, RONCALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 52/27. Helsinki, 16 gennaio 19491•

La conferenza dei ministri ed esperti scandinavi ha sollevato molto interesse in questa opinione pubblica e stampa. Tale manifestazione, come pure quelle che ne deriveranno, vengono però considerate con calma obbiettiva e senza alcuna ansietà. Vengono ripresi gli argomenti già sollevati e trattati in occasione della precedente riunione scandinava dell'autunno scorso. Si riconosce che qualunque sia la causa occasionate di tale riunione e di quella di Oslo dell' 11 corrente i paesi scandinavi sono arrivati al punto di dovere precisare il loro futuro cammino, dato che si notano sempre più certe differenze fra l'atteggiamento della Svezia e quello degli altri paesi scandinavi.

Per quanto riguarda la Finlandia, il suo desiderio d'una Scandinavia neutrale è stato tanto spesso e così chiaramente rilevato che non occorre neppure ripeterlo ancora. Per rafforzare la convinzione che la neutralità della Scandinavia corrisponde meglio, alla lunga, ai reali interessi di questa, che qualsiasi altra politica che potrebbe soltanto avere vantaggi contingenti, ci si appoggia qui anche sulle recenti dichiarazioni di W. Lippmann, che ha messo in dubbio il vantaggio di trascinare i piccoli paesi nei blocchi delle grandi potenze.

La posizione delle Finlandia è fissata da accordi che, secondo i suoi principi, essa intende osservare: primo e logico interesse che essa ha è che tutti i paesi scandinavi rimangano comunque fuori del blocco occidentale, Patto atlantico od altro. Qualora ciò non sia possibile per ragioni di cui i soli paesi interessati sono giudici, conviene alla Finlandia che la Scandinavia si leghi con accordi difensivi propri, senza accedere ad impegni più larghi, la cui portata sarebbe difficile a valutare. Da un simile sistema difensivo, la Finlandia avrebbe tutto da guadagnare. Qualora neppure questo possa avvenire, se cioè alcuni degli Stati scandinavi per la loro posizione geografica, e, più ancora, per la dura esperienza subita, vedranno la loro sicurezza in un'adesione ad un determinato gruppo difensivo, l'interesse della Finlandia starebbe nel fatto che almeno la sola Svezia si mantenga indipendente da più vasti raggruppamenti di forze, tanto più che una associazione con questi la porterebbe, a differenza degli altri contraenti scandinavi, almeno nella prima fase d'un eventuale conflitto, a non poter contare su alcuna garanzia di effettivo soccorso.

Questo è il ragionamento che si fa qui. Questa la speranza e questo l'interesse della Finlandia che, in tale campo, non può che essere una modesta osservatrice, non avendo la minima possibilità d'influire sul corso degli avvenimenti.

Non manca chi attribuisce alla recente aumentata pressione sovietica sulla Finlandia, di cui riferisco altrove2 , il significato di avviso a nuora perché suocera intenda. Né ciò si potrebbe escludere. A questo proposito, si può ricordare l'accenno del primo ministro Fagerholm nel discorso dell' ll dicembre u.s. al fatto che l'atteggiamento neutrale fra gli opposti blocchi, tenuto finora dalla Svezia, è stato dovuto anche ad un riguardo, giustamente apprezzato in Finlandia, della delicata posizione di quest'ultima.

Tale è l'atteggiamento della Finlandia nei riguardi dei raggruppamenti in corso, quale esso risulta dalla stampa e dagli ambienti competenti, pur sempre abbottonatissimi. Atteggiamento tanto logico, del resto, da apparire quasi lapalissiano.

Il fatto evidente che la Finlandia non possa apertamente partecipare ad un accordo comunque diretto contro l'U.R.S.S., non significa però che essa debba automaticamente passare al di là della cortina di ferro, in caso di associazione più diretta della Svezia al raggruppamento occidentale. Il discorso di Fagerholm, da me citato, ha bensì lasciato comprendere che la Finlandia non può vedere con favore il Patto atlantico, non certo però per se stesso, ma per quel maggiore sospetto che esso getterebbe su quell'orientamento tradizionalmente occidentale che la Finlandia, o almeno i suoi ambienti migliori, non intendono abbandonare. Questo aspetto non è sfuggito alla stampa comunista, che considera infatti il discorso di Fagerholm come una manifestazione d'abile tattica contingente, diretta a neutralizzare la campagna antifinlandese attualmente in corso da parte della stampa e della radio sovietiche e non soltanto di queste. Mentre Fagerholm parla in questo senso, il ministro dell'agricoltura Raatikainen intriga ad Oslo in senso opposto (il ministro stesso si trovava infatti ad Oslo, come ho riferito, per un congresso riguardante questioni di pesca).

La stessa stampa comunista osserva inoltre, allo stesso riguardo, che la neutralità finirà per prevalere in Svezia, non soltanto per la volontà delle masse lavoratrici, ma anche perché non venga compromesso l'«amore» della Finlandia per l'Occidente che potrà così essere conservato anche con una Svezia partecipe di un'alleanza scandinava, due membri della quale facciano parte di un blocco diretto contro l'U.R.S.S.

La fiducia di un mantenimento della linea di condotta finora seguita da parte della Svezia, è stata confortata nei giorni scorsi dalla visita del ministro svedese della giustizia Herman Zetterberg, arrivato il 12 corrente per tenere una conferenza presso l'associazione dei giuristi, nelle cui dichiarazioni alla stampa, per altro assai vaghe, se ne è voluto vedere una conferma.

86 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

86 2 Telespr. 46/21 del 17 gennaio, non pubblicato.

87

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 412/23. Roma, 17 gennaio 1949, ore 20, 15.

Secondo informazioni date da Quai d'Orsay a Quaroni dopo colloquio Schuman-Bevin1, Inghilterra manterrebbe suo atteggiamento riservato circa immediata adesione Italia Patto atlantico appoggiandosi principalmente su nostre difficoltà ordine interno. V.E. può invece assicurare che ormai tutti i ministri sono concordi2 . In ogni modo impressione riportata da Schuman è che inglesi non farebbero seria resistenza di fronte preciso atteggiamento americano. Quai d'Orsay raccomanda quindi proseguire nostre trattative con Washington e dare risposta affermativa a un formale invito americano. Quanto precede per sua opportuna informazione.

Circa accenno a nostra risposta a Washington, provvedo precisare a Quai d'Orsay3 che abbiano praticamente iniziato costà i necessari scambi di vedute prospettando nostre necessità e che siamo in attesa risposta americana per esaminare eventuali osservazioni Dipartimento di Stato e proseguire senza ritardi le avviate conversazioni.

88

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 454/47. Parigi, 17 gennaio 1949, ore 14,15 (perv. ore 16,30). Suo 50/07 1.

Quai d'Orsay, pur rendendosi conto ragioni di principio nostro Governo, consiglierebbe non insistere su eventuale inclusione Territorio Libero Trieste in garanzia Patto atlantico.

Infatti secondo Quai d'Orsay richiesta estensione garanzia a territori in parte occupati da jugoslavi creerebbe problema particolarmente complesso e delicato e susciterebbe certamente serie perplessità in seno Congresso aggiungendo nelle attuali trattative nuovo elemento contro nostra partecipazione.

Quai d'Orsay ritiene d'altra parte garanzia non necessaria per quel che riguarda Zona A e inoperante per Zona B.

87 1 Vedi D. 80. 2 Tarchiani effettuò questa comunicazione lo stesso 17 gennaio con una lettera a Lovett il cui testo è edito in Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., p. 39. 3 Vedi D. 80, nota 3. 88 1 Vedi D. 61.

89

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 460/4. Osio, 17 gennaio 1949, ore 16,35 (perv. ore 18,46).

Da sicura fonte apprendo che Washington e Londra hanno ufficialmente comunicato l'altro ieri a questo Governo che Danimarca e Norvegia riceveranno formale invito partecipazione negoziati Patto atlantico che avrebbero inizio l 0 febbraio prossimo o giorni immediatamente successivi.

Cioè subito dopo termine nuova riunione dirigenti politica estera scandinava che avrebbe luogo Oslo su insistente richiesta della Svezia fine corrente mese in continuazione di quella di Copenaghen del 22 corrente.

Da parecchio tempo, come già riferito, decisione positiva Norvegia viene scontata.

90

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 461/29-30. Belgrado, 17 gennaio 1949, ore 14,10 (perv. ore 20).

In riferimento alla lettera ministro Zoppi 00451-5 del l O gennaio1 sulla quale intendevo intrattenermi diffusamente a voce, mi permetto sottoporre almeno seguenti considerazioni:

l) esperienza insegna che qui Commissioni miste per valutazione beni non (dico non) hanno mai funzionato. Non hanno nemmeno mai potuto fare indagini sul luogo;

2) ricorsi ad arbitro ai sensi art. 83 trattato di pace richiede lunga procedura. Inoltre, una volta nominata, o non riuscirebbe a svolgere compito oppure lo svolgerebbe in un periodo talmente lungo che la questione resterebbe praticamente accantonata senza nemmeno poter più attribuire lentezza a cattiva volontà al Governo jugoslavo;

3) soluzione problema manterrebbe carattere di ben più urgente attualità se stessa delegazione Romano (invece di una commissione mista) continuasse-almeno per alcun tempo -lavori dopo impegno da parte jugoslava di indennizzo beni;

4) a mio subordinato parere pare inopportuna richiesta somma (80 o 90 miliardi) soggetta variazioni ulteriori, sia perché non potrebbe essere accettata se non dopo lunga dimostrazione suo fondamento, sia perché, per quanto inferiore al reale valore dei beni, essa potrebbe oggi preoccupare Governo jugoslavo tanto da indurlo a recedere dal riconoscimento formale ed esplicito di indennizzo beni. Tale somma infatti supererebbe intero ammontare dovuto jugoslavi.

Con primo mezzo invierò più ampie considerazioni sopra suddetti miei deferenti rilievi2 •

90 1 Non rinvenuta ma vedi DD. 9 e 65.

91

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANl, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 488/49. Washington, 17 gennaio 1949, ore 19,42 (perv. ore 8,30 de/18).

Mio45 1• Ambasciatore Svezia, in procinto partire, mi ha detto che suo Governo è, e probabilmente rimarrà, contrario adesione Patto atlantico perché Svezia: l) è limitrofa

U.R.S.S. cosicché eventuali basi militari su suo territorio assumerebbero netto carattere minaccioso; 2) teme sua adesione provochi virtuale occupazione militare Finlandia da parte U.R.S.S. con diretta minaccia a Stoccolma da Isole Aland, nonché cattivo trattamento mezzo milione svedesi residenti detto Stato; 3) ha indipendenza economica tale da permetterle riarmo e difesa neutralità armata; 4) comprende opportunità adesione da parte paesi che non si trovano nelle condizioni anzidette e pertanto non tenterà opporsi adesione Patto atlantico da parte Norvegia e Danimarca.

Malgrado queste spiegazioni, Dipartimento continua a premere su Svezia per sua adesione, che contribuirebbe consolidare unione morale oltre che collaborazione politico-militare fra paesi europei.

A quanto mi è sembrato comprendere, Governo svedese si sforzerebbe realizzare con Stati Uniti tacita o espressa intesa secondo cui Svezia, nel quadro

accordi tra tre paesi scandinavi, produrrebbe per tutti e tre materiale bellico, che Norvegia e Danimarca pagherebbero con crediti americani. Peraltro siffatto sistema urta contro atteggiamento apertamente assunto da Dipartimento e di cui a mio telegramma 372 .

90 2 Per la risposta vedi D. 97.

91 1 Dal 15 gennaio, con il quale Tarchiani aveva comunicato che gli ambasciatori di Svezia e Danimarca erano stati chiamati nelle rispettive capitali per conferire sul Patto atlantico mentre l'ambasciatore di Norvegia non era partito a causa di impegni protocollari.

92

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 462/51. Washington, 17 gennaio 1949, ore 21,27 (perv. ore 10del18).

Mi riferisco mio n. 4 2 1 .

È stato presentato a Dipartimento di Stato ultimo paragrafo memorandum. Risposta è tuttora in elaborazione, e forse subirà qualche ritardo, sia per passaggio poteri da Lovett ad Acheson e cerimonia insediamento nuova Amministrazione, sia per possibili confidenziali consultazioni con altri contraenti.

Qui è stato nuovamente fatto presente da questa ambasciata necessità che risposta contenga esplicite assicurazioni richieste da nostro Governo. In via riservata e preliminare, Dipartimento di Stato ha espresso sua intenzione dare massima soddisfazione Italia, compatibilmente con testo del Patto, che non usa parola «garanzia» ma «mutua assistenza» e, come previsto, non contiene clausole militari, le quali saranno stipulate successivamente.

93

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 011. Parigi, 17 gennaio 1949 1•

Riferimento: Suoi n. 50/07 dell3 corrente2 e n. 71/c. del 15 corrente3 . Ho fatto subito mettere al corrente da uno dei miei collaboratori il Quai d'Orsay (Secrétariat des Conférences -Mr. Marjerie) del contenuto dei due telegrammi sopra

2 Vedi D. 61.

3 Ritrasmetteva alle ambasciate a Bruxelles, Londra, Ottawa, Parigi e alla legazione a L' Aja le comunicazioni di Tarchiani di cui ai DD. 60 e 67.

citati: al colloquio era presente anche il consigliere dell'ambasciata di Francia in Washington signor Bérard, arrivato in questi giorni.

Il Quai d'Orsay era già stato informato dal signor Bérard del passo effettuato da Tarchiani, ma ignorava ancora quali fossero le reazioni sia degli americani sia degli altri Governi interessati.

Circa il contenuto del nostro memorandum. il Quai d'Orsay ha fatto anzitutto l'osservazione che ho telegrafato circa il Territorio Libero di Trieste4: rilevando poi che noi non facevamo alcun cenno alle eventuali garanzie dei nostri territori africani.

Il Quai d'Orsay ha approvato tale nostro atteggiamento, in quanto, come il Territorio di Trieste, l'inclusione dei territori africani avrebbe assai complicato le cose. Gli stessi francesi si trovano in difficoltà per l 'inclusione dei loro possedimenti africani e si riservano di insistere a fondo solo per l'Algeria.

Certo, ha aggiunto il consigliere Bérard, bisogna da parte italiana cercare di evitare accuratamente tutto ciò che potrebbe far sorgere nuove difficoltà oltre a quelle non trascurabili già esistenti.

Bérard ha detto di essere rimasto sorpreso di constatare che gli americani siano ora così poco calorosi per la partecipazione italiana, quando erano stati essi i primi a sollevare la questione qualche mese fa5 . Egli ritiene che ciò sia dovuto non tanto a un intervento inglese quanto a preoccupazioni per le difficoltà che tuttora esistono per l'accettazione del Patto da parte dell'opinione pubblica americana e del Congresso; il Governo americano avrebbe cioè qualche timore che l'estensione della garanzia ad un paese non atlantico possa complicare le cose e scoraggiare i fautori del Patto in seno al Congresso.

Quanto all'atteggiamento inglese nei riguardi della nostra partecipazione Bérard non può dire che l'Inghilterra abbia esercitato una azione contraria per partito preso e per astio contro di noi; l 'Inghilterra ha solo finora manifestato delle obiezioni di carattere tecnico.

Per quel che riguarda gli sviluppi delle trattative in corso le notizie di cui è in possesso il Quai d'Orsay-e che il consigliere Bérard ha confermato-sono nel senso che i lavori sono già assai avanzati e che si è già in parte arrivati alla redazione finale del testo. Naturalmente siccome i rappresentanti dei vari Governi debbono per ogni questione consultarsi con i propri Governi, i lavori potranno durare ancora qualche settimana; il Patto tuttavia dovrebbe essere pronto per il principio di marzo ed approvato dal Congresso alla fine dello stesso mese.

Ciò non vuoi dire naturalmente che gli aiuti militari potrebbero cominciare immediatamente, l'approvazione del Patto atlantico non è che il presupposto dei successivi accordi di carattere finanziario e pratico per la realizzazione dei quali saranno

. . .

ancora necessan van mesi.

Circa gli aiuti militari all'Italia il consigliere Bérard aveva inteso dire, e credeva che anche il generale Marras fosse al corrente, che essi non potrebbero essere iniziati che in un secondo tempo, dato che gli aiuti ai partecipanti al Patto di Bruxelles dovrebbero avere la priorità. Gli Stati Maggiori dei partecipanti al Patto di Bruxelles

5 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 666.

hanno già presentato al Governo americano un elaborato e sistematico programma di insieme, che dovrebbe essere soddisfatto come prima cosa, riservandosi gli americani di provvedere in seguito agli aiuti militari all'Italia6•

91 2 Con tale telegramma (T. 386/37 del 14 gennaio) Tarchiani aveva reso note le dichiarazioni rilasciate alla stampa dal portavoce del Dipartimento di Stato: «che tali forniture dovranno essere riservate paesi associati con Stati Uniti d'America in accordi difesa collettiva».

92 1 Vedi D. 81.

93 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

93 4 Vedi D. 88.

94

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. 41/97. Parigi, 17 gennaio 1949.

La ringrazio della sua lettera del 15 gennaio1 .

Non è necessario le ripeta come io sia più che convinto della necessità della politica dell'Unione doganale.

Personalmente, come lei sa, vedo, in un primo tempo, soprattutto la importanza politica dell'Unione doganale. Se, in una certa misura, si è riusciti a sbloccare i rapporti italo-francesi dalla sterile situazione di reciproche recriminazioni su cui avrebbero potuto benissimo arenarsi, come è purtroppo accaduto verso altri paesi, ciò è stato dovuto, unicamente, all'idea dell'Unione doganale che ha permesso di trasportarli su un piano nuovo e costruttivo, che ha consentito di superare le non poche difficoltà che abbiamo incontrato sul nostro cammino. Come le ho già esposto, i rapporti franco-italiani sono, oggi, in certa misura, soddisfacenti, ma non ancora sufficientemente avanzati in profondità. La mia preoccupazione era, ed è, che noi, a cui le tristi vicende degli ultimi anni hanno aperto un po' gli occhi più che ad altri paesi, si volesse andare troppo avanti, urtando il tradizionale misoneismo dei francesi e gli interessi, veri o presunti, che l 'Unione potrebbe ledere. Questi interessi raramente si difendono apertamente, si difendono solleticando la corda nazionalista: così pur non avendone materialmente le prove, ho la sensazione ben netta che ali' incidente delle frontiere2 non siano stati estranei gli interessi contrari appunto all'Unione doganale. Nonostante tutto, spero che, superata la inevitabile crisi coloniale, ci riuscirà di sbloccare un poco anche i rapporti coll'Inghilterra, ma allo stato attuale delle cose, i rapporti della Francia, per instabili che essi siano, mi sembrano rappresentare in Europa il nostro unico punto di contatto con il mondo esterno: spero ella mi concederà che dicendo questo non mi lascio

2 Vedi DD. l, 10, 14 e 35.

trasportare, oltre l 'ammissibile, dali' errore ottico di tutti gli ambasciatori: sono perlomeno onestamente convinto che questo è anche l 'interesse del mio paese. Volevo, e vorrei evitare che, per far meglio, si rischiasse di guastare quel poco che c'è. Le dico questo perché non vorrei ci fossero degli equivoci su quanto ho scritto e telegrafato in questi ultimi tempi.

Questo ci poneva nelle negoziazioni attuali di fronte a esigenze contraddittorie: da una parte bisognava evitare di fare un atto del tutto privo di contenuto: dall'altra evitare di metterei dentro troppo, il che avrebbe inevitabilmente portato al suo rigetto dal Parlamento. Può essere che il progetto dovrà subire ancora qualche modificazione sia in sede governativa che parlamentare francese, ma nel complesso mi sembra buono. Esso si limita in realtà a creare lo strumento che dovrà fare l'Unione doganale: ma comunque mi sembra essere abbastanza concreto, senza in realtà avere niente di concreto. Per cui non credo si avranno difficoltà insormontabili al Parlamento francese.

Ho l'impressione che lei abbia trovato che il mio linguaggio con Chauvel prima e con Schuman dopo3 sia stato un po' troppo duro. L'ho fatto perché ho ritenuto che fosse necessario mettere Schuman un po' seriamente di fronte alla sua responsabilità. Vede, per l'affare delle frontiere è esatto che Schuman è stato colto di sorpresa; ma, sia detto fra di noi, avrebbe potuto anche evitare di essere colto di sorpresa (non per la sostanza ma per la forma) se se ne fosse realmente occupato subito. E volevo evitare di avere la seconda.

Credo di essere riuscito a quello che volevo, perché in realtà il Governo francese si sta movendo; discretamente controllo la sua azione presso il Parlamento e posso assicurarle che si stanno agitando. Ho visto un momento Schuman oggi prima della sua partenza per Berna e mi ha detto che, al suo ritorno da Londra, ci metteremo d'accordo per dividerci un po' i compiti in Parlamento, presso quei partiti e gruppi presso i quali il Governo francese si trova più imbarazzato a parlare. Tengo ad assicurarla che sto, da parte mia, facendo tutto il possibile, ma la questione essendo importante e delicata, ci tenevo a che la mia azione sul piano parlamentare si svolgesse parallelamente a quella del Governo e non in forma estranea alla sua.

Credo che ci vorrà un po' di tempo prima che si possa essere ragionevolmente sicuri, ma credo parimenti che, salvo un sempre possibile coup de queue du diable, si riuscirà a portare in porto l'atto.

Le difficoltà vere cominceranno dopo, quando si tratterà di evitare che l'Unione doganale italo-francese diventi, come il Benelux, una apparenza senza sostanza.

Sono molto contento di quello che lei mi dice di Costa: il suo apposite number francese lavora sì, ma è un po' indietro della mano.

Torno a raccomandarle la questione della bilancia dei pagamenti per cui ci vuole una decisione del Governo italiano e del C.I.R.: altrimenti cadiamo nel ridicolo.

93 6 In una lettera a Zoppi in pari data (n. 44/100) Quaroni aggiunse: «Nel colloquio che abbiamo avuto col Quai d'Orsay circa il Patto atlantico e su cui ti riferisco col mio telespresso urgente odierno, il consigliere della ambasciata di Francia a Washington, signor Bérard, ha chiesto se il memorandum era stato presentato da Tarchiani a Lovett o a Hickerson. Egli ha spiegato che domandava questo perché le reazioni di Hickerson vanno prese con qualche riserva; Hickerson è una cortesissima persona che non sa dire di no a nessuno; quando egli dice "sì con molto piacere" ciò equivale a "forse se non sorgono difficoltà". È questo un elemento, che secondo lui, non va trascurato nel giudicare l'importanza delle reazioni che potrà eventualmente avere lo State Department nei confronti del nostro memorandum».

94 1 Vedi D. 82.

94 3 Vedi DD. 17 e 36.

95

IL MINISTRO A BOGOTÀ, SECCO SUARDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 276/76. Bogotà, 17 gennaio 1949 (perv. il 23).

In conformità delle istruzioni ricevute1 ho consegnato ieri a questo ministro degli esteri la carta della Eritrea, trasmessa da codesto Ministero accompagnata da un memorandum per documentare gli elementi della questione e illustrare la nostra tesi.

Il ministro Zuleta Angel ha tenuto, amichevolmente, ad interrompermi per dirmi che gradiva la comunicazione ma desiderava assicurarmi subito che il Governo colombiano ha aderito in pieno alla tesi italiana circa tutte le antiche colonie e non soltanto per la Eritrea. Il delegato colombiano presso le Nazioni Unite ha ricevuto istruzioni precise e minuziose affinché in aprile appoggi integralmente le aspirazioni italiane così per i territori in Africa orientale come per quelli mediterranei.

Per questi ultimi le istruzioni dicono che la Colombia è disposta a consentire nelle richieste britanniche per lo stretto necessario alla organizzazione delle basi militari occorrenti alla difesa del Mediterraneo, ma nulla di più.

Ciò detto, per assoluta tranquillità del Governo italiano, il ministro ha voluto comunicarmi che in tale senso era stato interessato anche dal legato pontificio cardinal Micara, a nome della Santa Sede perché -sono le parole del cardinale -«essa trova giuste le tesi del Governo italiano».

L'argomento è stato trattato anche con il presidente della Repubblica il quale ha preso personale impegno verso il Papa di appoggiare le aspirazioni italiane.

Benché la sostanza di queste comunicazioni sia già nota a codesto Ministero, la forma così solenne ed impegnativa con la quale il presidente Ospina Perez ha accolto i suggerimenti del legato pontificio costituisce, secondo il subordinato parere di questa legazione, una interessante e gradevole aggiunta.

Per quanto ho l'onore di riferire e per l'orientamento generale dell'opinione pubblica, mi sembra che veramente si possa contare in modo assoluto sull'appoggio colombiano. Ciò non mi tratterrà dall'insistere nell'azione intrapresa, ricorrendo specialmente alla nota cattolica che ha dato finora così buoni risultati.

96

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI

T. 446/3. Roma, 18 gennaio 1949, ore 23.

Suo 4 del 4 corrente 1•

96 1 Vedi D. 8.

Riteniamo effettivamente utile n eli' attuale fase della nostra situazione internazionale che vengano conclusi prossimamente con paesi latino-americani accordi analoghi al Protocollo italo-argentino amicizia e collaborazione qui firmato 4 dicembre scorso.

Ella può pertanto svolgere opportuna azione in tal senso in conformità istruzioni di cui mio telegramma 13724 del6 dicembre scorso2 .

95 1 Vedi D. 51.

97

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 450/27. Roma, 18 gennaio 1949, part. ore l del 19.

Suoi telegrammi n. 28, 29 e 30 1 .

È stato comunicato delegazione jugoslava che siamo pronti legare entrata in vigore di uno solo degli accordi in trattazione a Roma (quello per consegna navi da guerra, oppure quello per R.O.M.S.A., che sono virtualmente conclusi) con esecuzione accordo per pesca. Altri due accordi resterebbero legati entrata in vigore intesa di principio per beni italiani nei territori ceduti e nazionalizzazioni da conseguirsi nel quadro già realizzato da Romano completato in conformità telegramma questo Ministero n. 21 del 15 corrente2 .

Prego agire in tal senso ed informare Romano per sua opportuna norma, aggiungendo che circa il quantum che ci dovrebbe essere subito riconosciuto si regoli in modo da non allarmare gli jugoslavi con richieste assai elevate, ma che non consenta neanche una cifra eccessivamente simbolica, che possa in seguito costituire precedente per quanto accettata con tutte le riserve del caso. Da parte nostra si ritiene che l'importo di 20 miliardi potrebbe essere un punto di partenza, con tutte le riserve del caso, per una definitiva valutazione in !oca.

V. S. vorrà far presente che formula da noi proposta consente rapida soluzione anche questioni costà trattate da Romano e che, in linea di massima, siamo pronti accettarla da parte nostra anche per questioni naviglio jugoslavo in acque italiane qui in trattazione.

Non sembra che vi siano argomenti sufficienti per giustificare un rifiuto di tale nostra proposta.

Qualora, come V.S. prospetta con suoi telegrammi n. 29-30, commissione richiesta non riuscisse in seguito svolgere suo compito, anche a noi sarebbe facile analogo atteggiamento in altre questioni di interesse jugoslavo3 .

2 Vedi D. 76.

3 Per la risposta vedi D. 121.

96 2 Vedi D. 8, nota l.

97 1 Vedi DD. 83 e 90.

98

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 530117. Vienna, 18 gennaio 1949, ore 23,50 (perv. ore 7,30 de/19). Suo 7 e mio rapporto 37 1 .

Domande presentate da l o gennaio fino a ieri sera incluso presso tutti gli uffici in Austria sono 2175 per complessive persone 5396. Tali dati vanno sommati a quelli che già ho comunicato con ultimo corriere riferentisi fine dicembre scorso. Pericolo attuale è stato sempre previsto e anche per questo vennero indicati vari accorgimenti e iniziative per, almeno in parte e nei limiti del possibile, scoraggiarlo. Certamente vi è una connessione con cosiddetta decisione austriaca ... 2 volenterosi ma sarebbe assolutamente arbitrario ed erroneo individuare in medesima causa prevalente e ancora più esclusiva. È superfluo ripetere analisi situazione. Mi limiterò soltanto ad esempio dire che a partire dal gennaio una aperta spinta maggiore, ed anche qui mai esclusiva, può essere osservata in stato di assoluta euforia che nota delegazione optanti recatasi Roma ha qui riportato. Come ho potuto in questi ultimi giorni direttamente constatare e accertare essi hanno diffuso, in base accoglienze avute costì, l'impressione di una nostra presunta tendenza di simpatia e appoggio a rivendicazioni economiche finanziarie contro il Governo austriaco, di cui noto promemoria, sensazione che, vista resistenza ormai decisamente evasiva Governo austriaco circa cambio e trasferimento moneta, se soluzione eventuale favorevole potrà realizzarsi, ciò non potrà avvenire che per iniziativa Governo italiano e a favore optanti italiani, e che ad ogni modo, vista ormai impossibilità vengano accordate proroghe termine, esercizio revoca opzioni offra in definitiva maggior vantaggio, e non precluda neppure una diversa soluzione avvenire pretese di acquisto cittadinanza austriaca.

Da tutti questi elementi, e sono soltanto alcuni, V.E. potrà giudicare come situazione sia complessa specie in questa fase conclusiva e come sia sempre arduo prevedere effettive ripercussioni che può avere qualsiasi gesto o decisione, e come possano queste essere talvolta anche inaspettate.

Come ho già indicato in altra sede, occorre anche ormai guardare a quella che dovrà essere la nostra politica dopo il 4 febbraio, con la quale data la questione opzioni è lungi, a mio avviso, dall'essere chiusa e misurare ogni gesto attuale in relazione alle prossime nuove situazioni che dobbiamo controllare e indirizzare secondo nostri chiari fini.

E tutto questo a prescindere da considerazioni, a mio avviso, assai serie, di politica non solo itala-austriaca ma europea e anzi generale.

Resto comunque in attesa istruzionP.

2 Gruppo mancante.

3 Vedi D. 123.

Avverto infine circa trasmissione domande Bolzano questa avviene presso a poco normalmente dopo un periodo più o meno lungo da data presentazione per prescritta istruttoria nonché per ragioni di diversa autenticità4 .

98 1 Vedi DD. 63 e 74.

99

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 531!56. Washington, 18 gennaio 1949, ore 20, 12 (perv. ore 7,30 de/19).

Mi riferisco miei telegrammi 39 e 51 1•

Quanto segue mi risulta da informazioni confidenziali:

Oggi ha avuto luogo riunione sette sostituiti capi missione sotto presidenza Hickerson. Discutendosi questione Italia quest'ultimo ha esplicitamente dichiarato che salvo diverse istruzioni nuovo segretario di Stato (che riteneva da escludere), Stati Uniti intendono che Italia sia ammessa aderire Patto atlantico. Questione sarà espressamente trattata a Londra venerdì [21] in riunione esperti militari2 .

100

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, NEW DELHI E TEHERAN E ALLE LEGAZIONI A BEIRUT, CAIRO, DAMASCO, GEDDA E KARACHI

TELESPR. SEGRETO 3/156/c. 1• Roma, 18 gennaio 1949.

In tutto il periodo nel quale da parte nostra si perorò -sia nei confronti delle quattro potenze, sia in quelli dell'O.N.U.-il buon fondamento della nostra richiesta di continuare in Libia l'opera di civilizzazione intrapresa, il Governo italiano ebbe cura, accanto ai contatti ufficiali con le singole Cancellerie estere, di curare anche

2 Ritrasmesso con T. s.n.d. 471/17 (Londra) 33 (Parigi) del 19 gennaio.

I00 1 Con Telespr. segreto 3/225/c. del 22 gennaio Zoppi trasmise questo documento a Parigi, Washington e New York informando dell'avvenuta diramazione dello stesso alle altre rappresentanze accreditate presso le Nazioni Unite. Con Telespr. segreto 3/23 Ile. del 24 gennaio il documento veniva inviato all'ambasciata a Bruxelles e alle legazioni ad Atene, Belgrado, Copenaghen, Dublino, L' Aja, Lussemburgo, Osio e Stoccolma.

una graduale ripresa di contatti con gli esponenti delle popolazioni arabe locali, e con quelli più rappresentativi del mondo arabo in generale. Tali contatti furono sempre improntati a spirito leale e amichevole e valsero a stabilire che, se vivo è negli ambienti musulmani, soprattutto nel Medio Oriente, il desiderio di promuovere l'emancipazione dai regimi coloniali, dall'altro lato nessuna animosità esiste nei riguardi dell'Italia e degli italiani, ma vivo sentimento di simpatia e di gratitudine per quanto l'Italia ha fatto nelle ex colonie, e vivo desiderio di poter continuare una collaborazione italo-araba che così concreti risultati aveva dato nel passato.

È, per altro, noto a codesta rappresentanza come sia stato in passato opposto da parte britannica, su informazioni fomite dalle autorità militari in Tripolitania, alla nostra richiesta di trusteeship in quel paese, l'obiezione che una decisione in tal senso avrebbe potuto provocare vive reazioni, e ciò tanto più nella ignoranza dei nostri intendimenti in merito alla organizzazione da darsi al territorio, tenute presenti le aspirazioni delle popolazioni locali sostenute dalle correnti nazionaliste diffuse nel mondo arabo. Poiché tali intendimenti -come del resto è stato più volte esplicitamente dichiarato anche da parte di esponenti responsabili del Governo italiano collimano in realtà con le comprensibili esigenze delle popolazioni interessate, e poiché dai sondaggi sinora seguiti e dai su accennati contatti è emerso che non dovrebbero sussistere difficoltà insormontabili ad un accordo italo-arabo per una comune collaborazione alla valorizzazione economica e alla organizzazione politica della Tripolitania, V.S. vorrà intrattenere al riguardo codesto Governo in relazione ai lavori della prossima Assemblea delle Nazioni Unite facendo presente che, nel periodo che ci separa appunto da tali lavori, intendiamo ricercare con le popolazioni arabe della Tripolitania e con gli Stati arabi una soluzione concordata della questione.

La S.V. vorrà premettere che, come avevamo del resto previsto, i Quattro-cui in base al trattato di pace era stato deferito l'esame della questione -non hanno potuto mettersi d'accordo; che l'Assemblea generale delle N.U. si è rivelata essere un organo poco adatto per risolvere questo delicato e complicato problema; che è facile prevedere che, qualora non vi sia un accordo preventivo tra i maggiori interessati cioè: inglesi, italiani ed arabi -nessuna delle rispettive tesi potrà conseguire alla prossima sessione di Lake Success la maggioranza di due terzi necessaria perché la raccomandazione dell'Assemblea acquisti valore esecutivo; e che quindi, se tale accordo non interviene, vi è il pericolo di un indefinito protrarsi dell'attuale stato provvisorio che tanto deleterio si è rivelato anche per le popolazioni locali.

Per realizzare questo accordo è necessario che tutti gli interessati consentano a fare qualche concessione. Il Governo italiano è pronto a dame l'esempio non insistendo sulla tesi massima previamente avanzata ed è disposto a concordare un progetto per il futuro assetto della Tripolitania.

Si accenna qui particolarmente alla Tripolitania, perché, per quanto il principio dell'unità della Libia ci stia a cuore non meno che agli arabi, dobbiamo ammetterese vogliamo rimanere aderenti alla realtà-che esso non è, nella presente situazione, integralmente realizzabile. Gli attuali progetti inglesi relativi alla Cirenaica hannoper ragioni contingenti a tutti note-il consenso di molti Stati: ignorare ciò equivarrebbe escludere ogni possibilità di accordo. Mentre d'altra parte il pensare di voler ricostituire l'unità della Libia incardinandola su un Governo pastorale e teocratico, quale quello dei senussi, sarebbe un assurdo storico e politico, in assoluto contrasto con le aspirazioni delle popolazioni della Tripolitania e con il loro grado di evoluzione sociale: esse infatti lo hanno già respinto e il senusso per parte sua vi ha già rinunciato. Ciò naturalmente non significa che si debba rinunciare per l'avvenire a tale principio e che non si possano fin da ora prendere delle misure dirette a facilitare un graduale processo di unificazione, sia attraverso intese per mantenere simiglianza di ordinamenti interni, sia per mezzo di legami di carattere federativo.

Per quanto dunque riguarda la Tripolitania, il Governo italiano sarebbe favorevole ad un progetto per la costituzione e la organizzazione di un libero Stato italo-arabo, nel cui governo e nella cui amministrazione sia assicurata una giusta partecipazione delle varie comunità secondo la loro importanza numerica, economica e sociale; Stato che sia legato all'Italia, in regime contrattuale, da un «Trattato di cooperazione».

La nostra proposta si basa sul concetto che le popolazioni della Tripolitania aspirano a costituirsi in Stato della Tripolitania e che l'Italia riconosce legittima tale aspirazione ed è disposta a dare alle popolazioni stesse la propria collaborazione per la immediata costituzione di detto Stato. D'altra parte quest'ultimo, anche per ragioni economiche, non può sussistere senza l'appoggio dell'Italia cui è legato da tanti noti vincoli.

I termini del suaccennato «Trattato di cooperazione» verrebbero concordati tra il Governo italiano e le rappresentanze qualificate delle popolazioni interessate. Sarebbe da prevedersi un breve periodo di regime transitorio durante il quale avverrebbe la scelta di tali rappresentanti, la stesura e l 'approvazione del trattato e la costituzione dello Stato.

Su queste basi stiamo negoziando.

Nel portare quanto precede a conoscenza di codesto Governo nella forma che riterrà più adatta, la S.V. potrà aggiungere che il Governo italiano apprezzerà in modo particolare se gli Stati aderenti della Lega araba vorranno da parte loro creare in ogni luogo e circostanza atmosfera favorevole alla progettata intesa fra l'Italia e la Tripolitania, intesa che, nel noto spirito, si inquadra nella nostra politica di sincera amicizia con tutti gli Stati arabi2 .

98 4 Con successivo T. 796/27 del 26 gennaio Cosmelli aggiunse: «Ad ogni buon fine comunico dati ad oggi incluso: complessive domande 12.908, persone 32 mila. Situazione psicologica permane quale da me segnalata e mi sembra difficile possa ormai subire mutamento».

99 1 Vedi DD. 67 e 92.

101

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 18 gennaio 1949.

ELEZIONI AMMINISTRATIVE A TRIESTE

Le elezioni amministrative a Trieste saranno indette per i primi di giugno se prevale la tesi britannica, per settembre-ottobre se prevale quella nord-americana. In

s.n.d. 1248/c. del 17 febbraio, vedi i DD. 306, 343, 348, 383 e 454. Carrobio inoltre comunicò ulteriori notizie il 30 marzo (vedi D. 670) mentre non risulta una risposta telegrafica da Karachi.

ogni caso per i primi di febbraio è attesa la pubblicazione della legge elettorale triestina che praticamente aprirà la campagna. Tanto a Washington e Londra quanto a Trieste e Roma (attraverso contatti di esponenti del G.M.A. con la Presidenza del Consiglio) si è cercato e si cerca ancora di dare soluzione a noi favorevole ad alcune questioni tecniche che la legge medesima dovrà regolare.

Vi sono tuttavia alcuni aspetti politici che vanno considerati con urgenza dal Governo e dai partiti che ne hanno la responsabilità, in modo che si possa al più presto passare a una fase di attiva preparazione e organizzazione delle elezioni.

Risulta che i partiti comunisti e sloveni fanno di tutto per evitare che le elezioni assumano aspetto e portata politica nazionale. Essi cercano, cioè, di presentarle sotto un profilo di normale amministrazione, dando nei loro programmi rilievo a problemi tecnici, sociali ed economici. Tutto fa ritenere che sarebbe grave errore accettare una tale impostazione, la quale finirebbe con lo sminuire il vero significato della consultazione agli occhi degli elettori presso i quali già l'impressione di un diminuito pericolo slavo e comunista sembra incoraggiare un atteggiamento passivo se non assenteista. Sta di fatto invece che le elezioni triestine, fatte in regime di occupazione straniera, diventano una prova internazionale dell'italianità di Trieste, ed impongono per ciò un'affermazione pienamente convincente con percentuali altissime, tali in ogni caso da compensare la maggioranza slava nei comuni minori della Zona A del T. L. T.

Conseguenza dell'impostazione politica delle elezioni è che il problema della lista <<Unica» e della sua maggiore o minore comprensività va esaminato da un punto di vista puramente nazionale e non -come accade attualmente a Trieste -in funzione di interessi particolari di partito. La nostra rappresentanza in quella città riferisce che, in favore di una lista unica nazionale, si sono esplicitamente pronunziati i repubblicani, liberali e qualunquisti; tendenzialmente contrari sembrano i socialisti; incerta la democrazia cristiana. Nei circoli politici che non fanno parte della Giunta dei partiti l'idea di una lista nazionale viene caldeggiata da associazioni che non hanno coloritura politica, oltre che dai monarchici e dal M.S.I. Si nota in sostanza un notevole progresso nel senso unitario nazionale, progresso dovuto più che altro ai risultati che la mancata unità dei partiti italiani ha dato nelle elezioni di Gorizia e in quelle altoatesine. Ma siamo ancora ben lontani dall'effettiva realizzazione di un «blocco», sia perché non si è ancora pronunziata la Democrazia cristiana, che è il raggruppamento più forte, sia perché i modi di intendere la conformazione della lista unica nazionale rispecchiano, in qualche caso, punti di vista monopolistici che, ove prevalessero, porterebbero all'esclusione, non solo dei comunisti, ma anche di raggruppamenti nazionali localmente importanti, acuendo così le lotte intestine nel campo italiano.

Come che sia, le elezioni di Trieste non possono essere lasciate all'incerto gioco dei gruppi politici locali, e le decisioni sulla presentazione di una lista unica e sulla combinazione più vantaggiosa di liste vanno prese dagli organi responsabili di Governo e dalle direzioni centrali dei partiti.

Si rappresenta pertanto l'opportunità di predisporre, fin d'ora, quell'azione concorde di tutti i gruppi italiani che dovrebbe svolgersi, a suo tempo, in piena luce per poter meglio sfruttare i punti deboli degli avversari (comunisti, sloveni e indipendentisti filotitini). La Presidenza del Consiglio, in contatto con il Ministero degli affari esteri, potrebbe preparare un piano di azione comprendente, in primo luogo, la conclusione di accordi definitivi fra i vari partiti circa la lista o le liste, in guisa da

sbarazzare subito il terreno di tutto ciò che già li divide e li può dividere, e creare le condizioni più favorevoli per una unitaria propaganda nazionale.

Si ricorda infine che, fra gli altri problemi organizzativi di una certa urgenza, vi è lo stanziamento di uno speciale fondo per le spese elettorali triestine, nonché l'invio a Trieste di un incaricato della Presidenza del Consiglio cui aspetterà quell'azione coordinatrice locale dei contatti coi partiti che la rappresentanza in quella città -per la sua speciale posizione -non può direttamente svolgere.

100 2 Per le risposte da Ankara e Il Cairo vedi DD. 221 e 142, per le altre, sollecitate con il T.

102

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 16/05. Varsavia, 18 gennaio 1948 (perv. il 26).

In questi giorni ho completato il giro delle visite alle più eminenti personalità polacche. Ho riferito, di volta in volta, sui miei colloqui col presidente della Repubblica e col ministro degli esteri 1; successivamente ho visitato il presidente del Consiglio, il sottosegretario alla Presidenza, il segretario generale del Ministero degli esteri, il ministro dell'industria e commercio e il presidente del Sejm. Mentre per la parte di dettaglio relativa a questi due ultimi mi riferisco alle comunicazioni da me separatamente fatte per specifica competenza di materia, mi corre l'obbligo di dire qui, in linea generale, che ho trovato presso queste sfere dirigenti il maggior interessamento nei nostri riguardi ed il più vivo desiderio di intensificare i rapporti nei due campi che offrono reali possibilità e cioè il culturale e quello degli scambi commerciali. Tutti coloro con i quali ho parlato hanno, in varia misura, insistito su questi due punti e ciò mi fa supporre che sia stata passata una specie di parola d'ordine.

Il presidente del Consiglio, analogamente a quanto si era precedentemente verificato col presidente della Repubblica, ha iniziato il suo dire con molta cautela, soppesando ogni parola e dandomi la chiara impressione che, prima di tradurre verbalmente il suo pensiero, egli lo passasse al vaglio del!' opportunità politica. Però, a differenza di quello che avevo potuto constatare nei riguardi del signor Bierut, a mano a mano che la conversazione (durata oltre mezz'ora) procedeva, il signor Cyrankiewicz si animava e diveniva più affabile e più cordiale. Egli è apparso più profondamente polacco, più sensibile e pertanto l'auspicata intensificazione dei rapporti col nostro paese egli la sente anche per affinità di temperamento.

Il suo sottosegretario è stato ancora più esplicito. Egli mi ha detto che, indipendentemente da quelle che possono essere le attuali transitorie difficoltà, occorre intensificare le nostre relazioni, oltre che commerciali anche e particolarmente culturali. Il signor Berman è sceso in dettagli, parlando del successo che alcuni film italia

ni avevano avuto in Polonia ed auspicando uno scambio non solo nel campo cinematografico, ma anche in quelli del teatro e della letteratura. Mi ha detto che avrebbe sollecitato il Ministero della cultura polacco di preparare opportuni elementi in relazione alla visita che io farò colà in un secondo tempo. È superfluo che io illustri la personalità del signor Berman, sul quale questa ambasciata ha avuto occasione di riferire frequentemente ed ampiamente. Basterà dire, qui, che egli è tuttora l'uomo di Mosca a Varsavia ed infatti è l'unico che si muova con disinvoltura e che parli liberamente; può considerarsi il primo dei tre uomini (insieme a Bierut e Mine) che oggi contano maggiormente in Polonia.

La conversazione del signor Wierbloski, segretario generale al Ministero degli esteri e sul quale ho già avuto occasione di fare un accenno nel mio telespresso urgente n. 03 del 9 gennaio2 , è stato invece molto meno spigliato. Egli è un comunista puro, forse fanatico, ma appare afflitto da un complesso di inferiorità che lo rende poco naturale ed insidioso. Anche egli ha toccato i due argomenti cui ho dianzi accennato e, poiché il nostro incontro aveva luogo la mattina del giorno in cui fu a Varsavia firmato l'accordo commerciale anglo-polacco, egli si valse della circostanza per sottolineare l'importanza di un atto concluso con la maggiore potenza dell'Europa occidentale e per un volume di scambi, egli disse, «superiore a quello con la Russia». Quest'ultima asserzione non è proprio esatta, ma corrisponde al desiderio qui diffuso di far credere che il regime vigente in Polonia non fa discriminazioni quando si tratta di relazioni non prettamente politiche.

Concludendo, mi permetto di esprimere il subordinato avviso che non convenga lasciar cadere queste sollecitazioni che qui ci sono state fatte, in modo così univoco e chiaro, per quel che il nostro paese maggiormente vale e cioè per l'Italia della libertà, della cultura e dei traffici.

102 1 Vedi DD. 13 e 39.

103

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 50/29 BIS. Osio, 18 gennaio 19491•

Con mia separata corrispondenza2 ho informato V.E. degli sviluppi principali della situazione politica in Norvegia per quanto concerne i rapporti di questo paese con i suoi vicini scandinavi da una parte, con le potenze occidentali dall'altra parte.

Faccio ora qui appresso il punto di tale situazione alla data odierna.

Tre avvenimenti principali hanno qui attirato la attenzione generale nelle due ultime settimane: il Convegno di Karlstad, la riunione finale del Comitato di difesa

103 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 747 e, in questo volume, DD. 31 e 77.

interscandinavo, la dichiarazione statunitense che rifiuta aiuti militari ai paesi che non aderiranno al Patto atlantico3 . Attorno a questi tre avvenimenti si è svolta l'attività politica del Governo di Osio, e si è concentrato ogni interesse di questa stampa e di questa opinione pubblica. Anche l'uomo della strada norvegese che, in genere, non molto conosce i problemi della politica estera e di conseguenza poco li dibatte e ancora meno li giudica, è stato forzato, direi, ad uscire dalle sua ignoranza, ed a constatare che in questo gennaio 1949 gli uomini al timone delle barca dello Stato hanno giocato e giocano una carta decisiva per l'avvenire prossimo del paese. E mai, come in questo caso specifico, il vieto paragone del timone e della nave sembrano così appropriati, in quanto questo popolo di marinai sa e comprende che fattore predominante nelle considerazioni del Governo è proprio l'avvenire delle molte e molte centinaia di navi norvegesi che formano i più che quattro milioni di tonnellate di una flotta mercantile che si vanta di essere la terza del mondo. Mai come in questo momento la frase che suona lievemente pretenziosa e che afferma essere la Norvegia una piccola potenza a terra, ma una grande potenza sui mari, ha preso maggiore risalto ed ha corrisposto, sino ad un certo punto, a verità. Avviandosi infatti, a passi sempre più accelerati verso la adesione finale al Patto atlantico, decidendo di staccarsi, così, dalla politica di neutralità proclamata dalla vicina Svezia, il Governo di Osio altro non ha fatto, in linea predominante, che decidere della sorte di una marina mercantile che navigando in tutti i mari del mondo, presso nessun altra potenza potrebbe trovare aiuto e protezione se non negli Stati Uniti d'America.

Vedendo le cose predominantemente sotto un simile punto di vista -ed io ho cercato di evidenziarlo a V.E. da varie riprese-la condotta politica della Norvegia risulta chiara e senza possibilità di equivoci. E risultano chiari altresì i motivi per cui, superando ogni ragione di solidarietà regionale, questo paese sta in questi giorni staccando, almeno temporaneamente, le proprie sorti da quelle della vicina, più grossa e maggiormente armata Svezia.

Non desidero con ciò escludere che anche altri motivi abbiano contribuito, e stiano contribuendo, alla decisione norvegese. La tradizionale amicizia, specialmente economica, con l'Inghilterra, ed il fatto che a Londra come ad Osio vi sono al potere Governi socialisti, la posizione geografica di un paese che dalla sua punta estrema al sud, sino a quella più a settentrione ha le sue coste tutte ad Occidente; i pochissimi contatti avuti nella sua storia con la Russia e con l'Oriente di fronte ad una Svezia che sul Baltico e al di là del Baltico ha trovato glorie militari e di commercio; l'ammirazione quasi senza fine per gli Stati Uniti di America dove vivono quasi altrettanti norvegesi che nella madre patria; la mentalità antitotalitaria dei governanti e delle masse. Sono tutti, questi, elementi che non hanno mancato di entrare in linea di conto, ma che, nella bilancia delle decisioni hanno pesato, complessivamente, molto di meno dell'altro, unico, a cui ho accennato più sopra.

Su quanto è avvenuto a Karlstad riferisco con rapporto a parte4 nel quale espongo anche, con qualche dettaglio, l'atteggiamento tenuto dalla Norvegia in quel convegno.

4 Non pubblicato.

Hanno seguito poi le riunioni finali della Commissione interscandinava per i problemi della difesa, il cui rapporto finale dovrà essere discusso, come è noto, alla riunione di Copenaghen del 22 corrente fra i capi della politica estera dei tre paesi.

Al momento in cui terminavano i lavori della predetta Commissione è venuta la dichiarazione di Washington, secondo cui nessun aiuto militare potrà essere dato ai paesi che non aderiranno al Patto atlantico.

Qui si è detto ed affermato che tale dichiarazione è stata emanata in precipua funzione scandinava, allo scopo evidente di rafforzare ancora di più l'azione norvegese e togliere alla Svezia ogni illusione di potere, allo stesso momento, mantenere la propria neutralità ed ottenere forniture di armi che le fossero necessarie. Questo ambasciatore d'America mi ha fatto comprendere, senza però dichiararmelo apertamente, che egli aveva molto influito su Washington perché la dichiarazione venisse emanata.

Comunque siano le cose, ad ogni modo, essa è stata come il punto fermo a tutto quanto si era venuto svolgendo sinora. E qui nessuno ormai più dubita che, nella riunione di Copenaghen del 22, o al massimo nell'altra riunione che seguirà a quella di Copenaghen e che avverrebbe ad Oslo a fine mese, le strade della Norvegia e della Danimarca da una parte, e quelle della Svezia dall'altra, divergeranno. I norvegesi si augurano che esse non rimangano tali molto a lungo. Ma non credono troppo a tale evenienza.

102 2 Vedi D. 39.

103 3 Vedi D. 91, nota 2.

104

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 564/21. Vienna, 19 gennaio 1949, part. ore 0,20 de/20 (perv. ore 7,30).

Ad integrazione di quanto già riferito con mio 17 di ieri 1 mi risulta che influisca su optanti in senso esercizio diritto revoca notizia diffusasi soprattutto Innsbruck che eventuale futuro acquisto cittadinanza austriaca sarà facilitato o magari esclusivamente accordato a coloro che comunque revocano ora opzione; si delinea sempre più apprezzamento che presentazione domanda lascia aperte almeno due porte, mentre omessa presentazione ne chiude almeno una.

Per quanto un poco tardiva, riprendendo proposta già da me formulata in autunno scorso, prospetto eventualità di qualche notizia ed informazione oppurtunamente presentate da pubblicare a Bolzano che ristabilisca fatti e magari accenni che Governo austriaco è impegnato moralmente, anche per assicurazioni dateci, che cittadinanza austriaca sarà sempre aperta anche optanti che omettono revoca, essendo assurda loro apolidia.

l 04 1 Vedi D. 98.

105

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. SEGRETA 3/176. Roma, 19 gennaio 1949.

Rispondo al quesito da te posto a pagina 4 del tuo rapporto n. 215/85 del 7 gennaio1• Cernili esprime così il suo pensiero: «Una trattativa diretta tra Italia ed Etiopia sul problema territoriale eritreo incontra a mio parere le seguenti principali difficoltà:

a) il Governo etiopico è direttamente controllato dai britannici, particolarmente nella sua politica estera (il Ministero degli esteri etiopico ha un politica! adviser britannico). Perciò un negoziato con l'Etiopia, se fatto isolatamente, non porterebbe che ai risultati che Londra volesse. Nel momento attuale, dato quanto si sa dell'atteggiamento britannico, il negoziato diretto servirebbe piuttosto a dare al Foreign Office un nuovo forte argomento in appoggio al suo rifiuto per l 'Eritrea.

b) In una trattativa diretta con l'Etiopia l 'unico atout in nostro favore, relativamente, potrebbero essere i sentimenti personali del negus, che cerca in qualche modo di procurarsi contatti fuori del cerchio che lo circonda. Ma, nel caso di un negoziato per l'Eritrea, anche questa situazione giocherebbe contro di noi, perché il negus non vorrebbe né potrebbe mai correre il rischio -nella sua situazione attuale -di farsi accusare di essere «rinunciatario» nei nostri confronti. Ciò inevitabilmente gli impedirebbe ogni azione moderatrice a nostro vantaggio. Un no di Londra costituisce perciò un limite cui il negus non potrebbe contrapporre un suo sì, nemmeno parziale. Altrimenti darebbe ai suoi avversari all'interno proprio l'arma che essi cercano; e Hailé Sellasié è troppo abile per farlo.

Piuttosto la situazione per l'Eritrea, sin quando permane particolarmente complicata per l'atteggiamento negativo di Londra, può offrirei in aprile-come possibile espediente -un rinvio, da ottenere sulla base di un invio colà di commissione di studio dell'O.N.U., o, nella peggiore ipotesi, su di una formula analoga a quella studiata a Parigi di concerto con i latino-americani: rinvio di alcuni mesi con delega dell'Assemblea ali 'Italia ed ali 'Etiopia di cercare una soluzione con un negoziato diretto i cui risultati, positivi o negativi, siano soggetti all'esame ed alla approvazione finale de !l'Assemblea.

Quest'ultima possibilità, voglio dire meglio, questo espediente procedurale, ci verrebbe precluso se noi avessimo già allora tentato, con esito negativo, il negoziato diretto con l'Etiopia. È evidente che la delega dell'Assemblea, e soprattutto il rinvio, ci porrebbe allora in condizioni differenti nei confronti di Addis Abeba e sopratutto di Londra».

Aggiungo da parte mia che i progetti di emigrazione in Etiopia sono illusori se considerati su vasta scala come si vorrebbe: sono «fumo» come ebbe a dire Quaroni agli americani a Parigi. Avrebbero qualche consistenza se in Etiopia vigesse il regime

capitolare come in Egitto nel secolo scorso e sino a pochi anni fa; fu infatti all'ombra di quel regime che l'Egitto poté svilupparsi e prosperare per l'intervento massiccio di capitali, tecnici e lavoratori europei. Ma in balia degli etiopi chi va a rischiare?

105 1 Vedi D. 27.

106

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PRETORIA, JANNELLI

L. PERSONALE SEGRETA 3/184. Roma, 19 gennaio 1949.

Col te l espresso n. 141 /c. del 17 c.m. 1 ti sono state comunicate le nostre istruzioni in merito alla questione eritrea.

Confido che gli argomenti addotti oltre quelli a suo tempo avanzati siano abbastanza efficaci costì. Ma noi speriamo che il Governo sud-africano non solo ci dia ragione, ma si adoperi per sostenere presso altri le nostre tesi. Il consolidare l'elemento bianco in Africa è interesse vitale di codesto paese e non so se i recenti moti di Durban possano rafforzare, indirettamente, il nostro pladge. Richiamo la tua attenzione anche sul nostro telespresso n. 3/ 172/c. del 19 corrente2 .

L'azione che potrà svolgere il Sud Africa è tanto più utile in quanto, dopo il colloquio Schuman-Bevin3 , il Quai d'Orsay ci ha informato che le proposte concordate a Cannes4 sono state nettamente respinte da Bevin il quale ha dichiarato che gli impegni britannici non gli permettono di rinunciare alle cessione completa dell'Eritrea all'Etiopia, mentre verrebbe concesso all'Italia una garanzia per gli italiani residenti in Eritrea(?) e l'Italia dovrebbe essere aiutata a negoziare un accordo per emigrazione in Etiopia (?).

Per tuo orientamento le proposte concordate a Cannes sono quelle contenute nel telespresso n. 141/c. e in più prevedevano, pel caso si rivelasse impossibile un mandato italiano, un mandato dell'Unione Europea (di prossima costituzione e di cui faremo parte) con prevalenza italiana nell'amministrazione e nella valorizzazione economica del paese. Questa «subordinata» non figura per evidenti motivi tattici, nelle prime istruzioni che sono state diramate col telegramma citato. Ora risulterebbe che Bevin avrebbe rifiutato anche questa subordinata che poi è una soluzione escogitata ed appoggiata dai conservatori inglesi e sostenuta dallo stesso Eden.

Il paese non potrà mai digerire senza gravi ripercussioni la attribuzione all'Etiopia di un territorio civile come l'Eritrea e che ciò sia di danno per la stessa Eritrea incomincia ad affiorare anche negli ambienti militari britannici dell'Asmara a quanto mi dice Manzini che è stato colà per qualche giorno. Se il Governo di Londra dovesse persistere in questo nonsense bisognerà almeno cercare di guadagnare tempo e se mai, prima che l'irreparabile si compia, far mandare una nuova Commissione d'inchiesta

2 Non rinvenuto.

3 Vedi D. 80.

4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

(questa volta dell'O.N.U.) per accertare la situazione: il Governo sud-africano potrebbe quindi, in caso si arrivasse a tanto, aiutarci a momento opportuno in questo senso.

Ti ho comunicato tutto ciò per orientarti sin da ora sulla delicata situazione.

106 1 Vedi D. 51, nota 2.

107

LA LEGAZIONE D'AUSTRIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 25-REs1 . Roma, 19 gennaio 1949.

Il Governo austriaco tiene ad assicurare agli optanti altoatesini, nella loro decisione sulla riopzione, la libertà di scelta di valersi del diritto di riopzione o di non far uso di tale diritto; tuttavia, una assicurazione di carattere generale, nel senso di conferire la cittadinanza austriaca a quegli optanti altoatesini che non si valgano del diritto di riopzione, significherebbe in molti casi di trattenerli indirettamente dal far uso del diritto di riopzione.

Il Governo austriaco non si considera in grado di dare una assicurazione generale concernente il conferimento della cittadinanza agli altoatesini anche per altre ragioni.

In primo luogo l'Austria non è legalmente obbligata ad una simile assicurazione; in quanto lo scopo dell'Accordo di Parigi era di rimediare, almeno in via giuridica, alle conseguenze dell'espatrio avvenuto in modo così moralmente riprovevole e di rendere giuridicamente possibile agli altoatesini il ritorno al loro paese d'origine. Da ciò non può però farsi derivare una obbligazione legale dell'Austria di concedere in toto la propria cittadinanza agli optanti che non rimpatriano.

Inoltre, altri gruppi di popolazione di madrelingua tedesca degli Stati successori, fattisi assai numerosi nei recenti anni, potrebbero collegare ad una simile assicurazione fatta agli altoatesini la loro pretesa d'essere anch'essi naturalizzati in blocco, e ciò tanto più che essi non hanno, come gli altoatesini, la possibilità di ritornare in patria.

Infine non si può ragionevolmente pretendere dall'Austria, anche per motivi politici, di riassumere indiscriminatamente nell'ambito della propria cittadinanza tutti gli optanti altoatesini, in quanto che molti di essi non faranno uso del proprio diritto di riopzione perché prevedono di venir considerati dall'Italia come elementi indesiderabili, e che a loro verrà negata la reintegrazione nella cittadinanza italiana. Fra di essi vi saranno elementi evidentemente affetti da nazismo, i quali non possono vantare alcuna morale pretesa di naturalizzazione nella Repubblica democratica austriaca da essi finora tanto combattuta.

Che però l'Austria abbia già fatto valere finora la massima benevolenza nel tra ttamento degli altoatesini, si può dedurre fra l'altro:

a) dalla deliberazione del Consiglio dei ministri del 29 agosto 1945, che disponeva l'equiparazione degli altoatesini con gli austriaci e che assicura ora già da tre anni agli immigranti altoatesini una posizione insolitamente privilegiata di fronte a tutti i residenti che non sono cittadini austriaci;

b) dal fatto che gli altoatesini sono stati assunti in gran numero in servizi pubblici e che a loro sono state liquidate sotto forma di anticipi, pensioni, assicurazioni sociali, sussidii, benché non esistesse al riguardo alcuna costrittiva obbligazione legale.

Il Governo austriaco si adopererà a trovare, anche per quegli altoatesini che non abbiano fatto uso alcuno della possibilità di riopzione o di cui la riopzione non sia stata ammessa, e in quanto essi vogliano rimanere in Austria, un regolamento equo ed umano dal quale non verrebbe esclusa in alcun modo la possibilità di naturalizzazioni individuali; ma per le ragioni suesposte, non si vede in grado di assumersi l'obbligo di una naturalizzazione in loto dei medesimi.

l 07 1 Trasmesso da Schwarzenberg a Zoppi con lettera del 20 gennaio, non pubblicata.

108

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 579-580-583/59-60-61. Parigi, 20 gennaio 1949, ore 12,50 (perv. ore 15,45).

In base comunicazioni di cui al suo telegramma 29 1 ho avuto varie conversazioni Quai d'Orsay fra cui con Chauvel. Mi è stato detto:

l) ripetuto consiglio non insistere per questione Trieste che, date complicazioni che solleverebbe, può rafforzare obiezioni nostra inclusione;

2) nostro memorandum, se nella sua forma completa non differisce da riassunto comunicato qui, non corrisponde esattamente stato delle cose. Garanzia americana nei limiti ammessi da Costituzione è parte integrante Patto atlantico: non potrebbe quindi esservi distanza di tempo fra nostro impegno e garanzia americana. Per quello che concerne riarmo, esso potrà invece avere principio effettivo solo dopo stanziamento fondi da parte Congresso e dopo accordi intervenuti con Stati Maggiori singoli Stati: dovrà quindi inevitabilmente passare del tempo fra firma accordi e inizio effettivo riarmo;

3) mentre si trova onesta e ragionevole esposizione nostre difficoltà non sembra qui abbastanza esplicita nostra volontà aderire Patto atlantico;

4) esso sembrerebbe indicare ostilità di principio Patto Bruxelles che qui si considera inopportuna. Patti atlantico e Bruxelles sono, a tutt'oggi, due cose diverse ma qui si considera linea di condotta più consona nostro interesse sia quella di mostrarci pronti aderire anche Patto Bruxelles lasciando eventualmente ad alcuni suoi firmatari responsabilità dichiararsi contrari nostra inclusione.

Nel complesso francesi ritengono che impostando questione come apparirebbe da nostro memorandum noi perdiamo tempo prezioso e che potrebbe essere decisivo. A loro avviso sarebbe stato molto meglio noi avessimo fatto dichiarazione precisa che

se invitati aderiremo e che sollecitiamo invito. Se accettati noi entreremo nella discussione del Patto e potremo direttamente e meglio sostenere nostro punto di vista.

Da parte francese si continua ad essere meno sicuri atteggiamento americano di quanto non sembri esserlo nostra ambasciata Washington. Essi constatano che presentazione nostro memorandum non sembra, a tutt'oggi, aver considerevolmente mutato atteggiamento americano che continua non troppo caloroso e poco deciso.

Francesi trovano che nostro atteggiamento dà ancora troppo impressione che noi siamo solo disposti subire invito mentre sarebbe ormai necessario che lo sollecitassimo e molto chiaramente. Trovano che commettiamo grave errore tattica continuare conservare silenzio nei riguardi Londra e anche altri interessati2 .

Tutte queste osservazioni francesi sono fatte partendo presupposto noi desideriamo e ci conviene-come pensano francesi-essere nel Patto atlantico fin dall'inizio.

Dato che anche inglesi non si oppongono alla nostra inclusione ma fanno solo questione opportunità che questo avvenga adesso, francesi temono che, se si perdono questi giorni decisivi è facile si passi aggiornamento nostra inclusione il che ci rimanderebbe calende greche e rischierebbe respingerei verso futuro problematico e secondario Patto mediterraneo.

Francesi si rendono perfettamente conto difficoltà delicatezza nostra situazione interna: hanno però impressione che noi li lasciamo praticamente soli combattere nostra battaglia, non ci diamo sufficientemente da fare e teniamo poco o nessuno conto loro consigli e questo produce qui certa irritazione.

Dato che francesi, essendo dentro trattativa, conoscono situazione indubbiamente meglio di noi e non mi sembra che sia oggi possibile dubitare, in questa determinata questione, loro buona volontà nostro riguardo, mi permetto consigliare tenere in molto seria considerazione questi loro consigli.

108 1 Vedi D. 80, nota 3.

109

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 586/161 . Londra, 20 gennaio 1949, ore 12, l O (perv. ore 16,30).

Ho avuto iersera colloquio con Bevin e ne riassumo punti principali che mi riservo commentare ulteriormente2 .

2 Vedi D. 165.

l) Gli ho confermato che Governo italiano accoglierà molto favorevolmente invito partecipare Consiglio europeo e prendere parte non appena possibile lavori preparatori. V.E. aveva apprezzato che Bevin personalmente avesse sin dall'inizio pensato alla necessità di nostra presenza.

Bevin mi ha risposto che quantunque conversazioni con francesi non avessero ancora potuto produrre formula comune, sperava che una base di intesa avrebbe potuto raggiungersi prossime discussioni a cinque e che in ogni modo nostra associazione lavori non sarebbe stata ritardata. Minori differenze forma non avrebbero comunque impedito ingresso dell'Italia che avrebbe anzi potuto collaborare al loro componimento.

Bevin mostra di annettere grande importanza nostra partecipazione Consiglio europeo nel quale, egli dice, potrebbero essere discussi e avviati a soluzione problemi che ci interessano maggiormente.

2) Sulle linee indicate nel te lespresso ministeriale 51/0 P gli ho illustrato portata nostro memorandum a Washington sul Patto atlantico.

Bevin ha rilevato come Patto fosse tuttora in discussione in America. Per quanto concerne noi non era chiaro a Londra sino a che punto Washington intendesse effettivamente patrocinare immediata partecipazione Italia; Bevin per parte sua ha espresso opinione che, dato che Patto atlantico non potrà per un certo tempo fornire aiuto efficace, potrebbe essere preferibile anche nel nostro interesse differire nostro ingresso. (In vista di ciò occorrerebbe chiarire in modo inequivocabile intenzioni Washington).

3) Tripolitania: Bevin ha confermato che non era intenzione britannica opporsi in principio nostro ritorno; aveva esaminato nostro progetto e, mentre si riserva di chiederci di precisarlo ulteriormente, voleva essere sicuro che Stati Uniti avrebbero acconsentito a una soluzione per Tripolitania concordata tra Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia anziché insistere su rinvio indeterminato della questione a favore del quale si sono pronunciati sino dall'agosto scorso informandone Governo italiano con memorandum di codesto incaricato d'affari americano dell4 agosto4 .

(Mi parrebbe quindi necessario chiarire anche questo punto con Washington in relazione a quanto è stato a suo tempo detto a Tarchiani da Lovett circa eventuale accordo itala-britannico come da telegramma ministeriale 431 )5 .

4) Eritrea: gli ho ripetuto vari argomenti che rendevano per noi inconcepibile assegnazione mandato anche parziale all'Etiopia accennandogli tra l'altro idea trusteeship internazionale.

Bevin non mi ha nascosto serie difficoltà del problema accentuando che a suo modo di vedere punto veramente importante consisterebbe nel trovare formula per una completa pacificazione con l'Etiopia che possa essere feconda per il lavoro italiano che gli risulta colà molto desiderato. Ha comunque mostrato di prendere argomenti da me esposti maggiore considerazione e si è proposto ristudiare il problema con ogni buona volontà.

4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 329, Allegato.

5 T. s.n.d. 13719/431 (Londra) 923 (Parigi) del 6 dicembre 1948, ritrasmetteva il T. 970 da

Washington per il quale vedi serie undicesima, vol. I, D. 712, nota 4.

Da questo scambio di vedute con Bevin risulta evidente che conversazioni con Schuman (il quale non sembra abbia particolarmente insistito per discutere a fondo o per trovare una base concreta d'intesa su problemi che ci interessano) non hanno modificato atteggiamento del Governo britannico sui problemi suddetti. Tocca quindi a noi continuare trattative dirette tenendo presente una volta di più che presa di posizione precisa degli Stati Uniti non solo nei contatti confidenziali con noi ma anche nei confronti della Gran Bretagna è essenziale.

l08 2 Su questo punto Zoppi replicò a Quaroni con lettera segreta 3/197 in pari data: «Credo vi sia un malinteso. Come ti abbiamo comunicato con telegramma n. 29 (inviato uguale anche a Londra) [vedi D. 80, nota 3] con la presentazione del nostro memorandum a Washington abbiamo praticamente iniziato il negoziato. Quanto a Parigi, a Londra e a Bruxelles abbiamo comunicato il contenuto del memorandum [vedi D. 61], se questo fu illustrato a Londra con qualche ritardo ciò dipese soltanto dal fatto che solo ieri Bevin ha potuto ricevere Gallarati Scotti [vedi D. l 09]. Tarchiani sa già che un invito non ci troverebbe né impreparati, né in difficoltà».

109 1 I primi due punti del presente telegramma vennero ritrasmessi con T. s.n.d. 547 del 21 gennaio a Parigi (n. 38) e a Washington (n. 35) con l'aggiunta, solo per Washington, delle seguenti istruzioni: «Circa Patto atlantico segnalo che, anche secondo dirette informazioni Quai d'Orsay a nostra ambasciata, interessamento americano per nostra immediata partecipazione sarebbe tiepido. Per quanto riguarda colonie si fa comunicazione a parte». Tarchiani rispose subito (D. 126).

109 3 Vedi D. 61.

110

IL MINISTRO A L' AJA, BOMB IERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 605/7-8. L'Aja, 20 gennaio 1949, ore 19,35 (perv. ore 8 del 21).

Ricevuto in data 18 corrente telespresso di V.E. 71 del 15 corrente1 , non essendo stato possibile in contrarmi subito col ministro affari esteri Stikker [ho visto] oggi direttore generale affari politici secondo le istruzioni di V.E. illustrando diffusamente contenuto memorandum.

Direttore generale ministro plenipotenziario Boon, che tratta personalmente la questione, mi ha assicurato:

l) che Governo olandese vede con favore collaborazione Italia con le potenze occidentali;

2) Olanda è favorevole adesione dell'Italia al Patto atlantico; trattasi soltanto trovare una formula sufficientemente elastica che permetta ad essa di inserirvisi senza addossarle oneri troppo gravi incompatibili con la sua attuale situazione determinata dal trattato di pace;

3) Governo olandese non aveva preso circa tale formula alcuna decisione perché sarebbe stata studiata con le altre potenze Patto Bruxelles nella riunione che avrà luogo 21 corrente a Londra del Comitato permanente per prendere decisioni comuni e dare disposizioni uniformi agli ambasciatori a Washington;

4) da parte Olanda si è favorevoli ammissioni Italia nel Consiglio europeo e tale opinione è stata comunicata al Comitato di Parigi;

5) atteggiamento Olanda per inclusione Italia nel Patto Bruxelles sta lasciando intendere partecipazione italiana possa essere utile, dato carattere dello stesso, anche se debba limitarsi alla forma meno impegnativa.

Ho potuto notare notevole progresso neli'atteggiamento Olanda nei nostri riguardi e vivo interesse ad una partecipazione italiana alla politica occidentale, perché si guarda qui ora all'Italia con rinnovata fiducia. Boon mi ha anche chiesto se Governo italiano aveva domandato di partecipare al Patto occidentale, ho risposto

11 O1 Vedi D. 93, nota 3.

attenendomi direttive contenute appunto Zoppi dell' 11 dicembre2 non avendo altri elementi al riguardo, pure ricevuto 18 corrente.

111

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 625/16. Gerusalemme, 20 gennaio 1949, ore 17 (perv. ore 12,20 de/21).

Secondo comunicato agenzia stampa diramato stanotte Governo francese disposto riconoscere de facto Israele subordinato conclusione formale accordo salvaguardia interessi francesi entro territorio nuovo Stato. Richieste Governo francese concernono evacuazione restituzione stabilimenti religiosi missionari ospedalieri scolastici; riconoscimento loro esistenza legale; garanzia loro libero funzionamento; mantenimento diritti prerogative esenzioni tributarie godute in base trattati e accordi al primo agosto 1914 e rispettate da mandato britannico; risarcimento danni causati istituzioni e proprietà francesi durante occupazione truppe Israele.

Stessa richiesta potrà servire di base eventuali trattative nostro Governo cui converrebbe aggiungere restituzione tutti beni italiani sequestrati da amministrazione britannica nel 1940 e detenuti custodia ebrei oggetto miei rapporti ... esecuzione trattato; diritto cittadini italiani partiti durante operazioni militari di ritornare liberamente Israele rientrando possesso loro beni e, in attesa negoziare futuro trattato di commercio e navigazione e di stabilitimento, impegno assicurare cittadini italiani in Israele e reciprocamente cittadini Israele in Italia in esercizio diritti civili, materia lavoro, esercizio professioni mestieri previsti oneri tributari ecc., trattamento accordato persone fisiche giuridiche appartenenti nazione più favorita 1 .

Mi riservo ulteriori comunicazioni.

112

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 016. Parigi, 20 gennaio 1949 1•

Mio telegramma n. 43 del 15 corrente2 .

In tre sedute il Comitato dei Cinque per gli studi sull'Unione Europea è pervenuto a un punto morto ed ha deciso di aggiornare i suoi lavori senza raggiungere alcun accordo.

2 Vedi D. 80.

Si sapeva già (vedi mio sopracitato), in base ai recenti colloqui di Schuman con Bevin, che il Governo inglese manteneva serie riserve circa la composizione dell' Assemblea e che quindi i negoziati a Parigi sarebbero stati piuttosto difficili. Ma a Parigi ci si è trovati di fronte a un progetto inglese quasi totalmente nuovo, che non poteva assolutamente essere accettato perché troppo lontano dalle idee degli altri quattro partecipanti al Comitato di studio.

Gli inglesi, allontanandosi definitivamente dal progetto della Sottocommissione, hanno proposto che -a parte il Consiglio dei ministri che rimane inalterato l'Assemblea sia sostituita da una «Conferenza» composta da delegazioni di nomina governativa e dirette da un ministro. In tale Conferenza che si riunirebbe una volta all'anno per una sessione di tre settimane, i delegati dovrebbero votare in blocco, ad ogni paese cioè verrebbe assegnata una certa quota di delegati e di voti proporzionata all'importanza del paese stesso ma ogni delegato sarebbe tenuto a votare globalmente con gli altri secondo le istruzioni del ministro che capeggia la delegazione.

Il progetto inglese comprenderebbe poi la costituzione di un certo numero di sottocomitati per studiare le differenti questioni che possono sorgere nel quadro dell'Unione Occidentale.

È evidente, mi è stato detto al Quai d'Orsay, che tale progetto troppo si discosta sia dalle idee francesi sul Parlamento europeo, sia dal progetto a cui si era giunti, per poter essere preso come base di discussione. Soprattutto il sistema di voto nella Conferenza, se fosse accettato, significherebbe la fine di qualsiasi speranza per un Parlamento europeo.

Ciò stante la questione viene dal Comitato di studio rinviata al Consiglio dei cinque ministri degli esteri il 25 corrente il quale si troverà quindi di fronte a una proposta di maggioranza, che è il progetto della Sottocommissione (a noi comunicato a Cannes), a cui Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo rimangono fedeli e un progetto inglese di cui ho tracciato sopra le linee generali.

Per quanto sia troppo presto per ben ponderare le conseguenze della decisione che è stata presa poche ore fa dal Comitato dei Cinque, al Quai d'Orsay vi era stamane disillusione e scoraggiamento, constatandosi l'inutilità degli sforzi compiuti da vari mesi e dubitandosi assai che, data l'ostinazione inglese, il Consiglio dei cinque ministri degli esteri riesca a trovare una soddisfacente formula di conciliazione3 .

110 2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 737.

111 1 Per la risposta vedi D. 132.

112 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

113

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 535/249. Washington, 20 gennaio 19491•

Come ho riferito col telegramma in data 17 corrente2 , le cerimonie della «Inauguration» ed il mutamento di titolare del Dipartimento di Stato ritarderanno

2 Vedi D. 92.

di qualche giorno le comunicazioni da noi richieste al Governo degli Stati Uniti in merito al Patto atlantico. Frattanto il Dipartimento di Stato sta consultando in proposito, in via confidenziale, gli altri Governi interessati. Questi, da parte loro (come da mio telegramma del 18 c.m_)3 si concerteranno a Londra oggi, venerdì. La seduta di Londra avrà per oggetto non tanto la risposta al Governo italiano sulle precisazioni da noi chieste in merito alla natura dello stipulando accordo, quanto la questione sostanziale della partecipazione italiana all'accordo medesimo. Infatti la precisa dichiarazione fatta da Hickerson nella seduta di martedì, secondo cui gli Stati Uniti patrocinano il «full membership» dell'Italia, pone gli altri Governi nella necessità di prendere chiaramente posizione. Secondo informazioni confidenziali qui raccolte, la Francia mantiene un atteggiamento nettamente favorevole e l 'Inghilterra, pur confermando le note obbiezioni, è già, in cuor suo, «rassegnata all'inevitabile».

Circa la formula, mediante la quale l'Italia avrebbe titolo per partecipare al Patto atlantico, non vi è, in sostanza, nulla di nuovo rispetto a quanto da me riferito a suo tempo. Una recente accentuazione del desiderio della Turchia di aderire al Patto rafforzerebbe la tendenza ad adottare una formula che escluda esplicitamente siffatta adesione. Pertanto apparirebbe tuttora molto probabile l'«agganciamento» al Patto di Bruxelles. D'altra parte, considerata la riluttanza del Governo italiano ad aderire a questo Patto, si starebbe attentamente studiando l' «agganciamento» al Consiglio europeo, malgrado gli inconvenienti che questa formula presenta secondo il Governo di Washington.

112 3 VediancheD.ll6.

113 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

114

IL MINISTRO A BERNA, REALE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1/301/112. Berna, 20 gennaio 1949 (perv. il 25).

Riferimento: Mio rapporto n. 1/288/103 del 20 gennaio 1949 1•

Da informazioni avute dal ministro Zehnder, capo degli affari politici, mi risulta che, in un colloquio molto cordiale durato due ore, il ministro degli affari esteri francese, sig. Schuman, ed il capo del Dipartimento politico avrebbero passato in rassegna sia i problemi generali della politica europea che quelli particolari alla Svizzera e alla Francia. Il consigliere federale Petitpierre, che aveva già avuto occasione di conoscere il ministro Schuman a Parigi, alcuni mesi fa, in occasione di un soggiorno privato in quella città, ha voluto essere informato dello stato dei vari negoziati internazionali ai quali la Francia partecipa e dei progetti di Unione Europea. D'altra parte i due uomini di Stato hanno discusso di alcuni problemi che da lungo tempo non

114 1 Non pubblicato.

hanno trovato una soluzione ed in particolare di quelli concernenti le indennità per industrie di proprietà svizzera nazionalizzate, la revisione di processi e di sentenze contro cittadini svizzeri accusati di collaborazionismo e di attività pro-naziste durante la guerra, alcuni dei quali sono stati condannati a morte o a molti anni di carcere, e i relativi indennizzi per i danni subìti, provvedimenti fiscali e penali per violazione di leggi valutarie da parte di cittadini svizzeri. Il ministro Schuman ha dato assicurazioni che le richieste svizzere sarebbero state benevolmente riconsiderate.

Un problema infine che ha formato oggetto di discussione è stato quello dell'aerodromo di Basilea che, come è noto, trovasi in territorio francese e per il quale da parte svizzera si richiede una garanzia di demilitarizzazione.

Destituite di fondamento risultano invece da queste informazioni e da altre degne di fede le notizie pubblicate da qualche giornale francese come l'Aurore France Libre circa un tentativo da parte del Governo francese per ottenere una più stretta collaborazione svizzera nel campo economico o per persuadere il Governo elvetico a far partecipare il proprio paese ali 'Unione doganale con la Francia e l 'Italia. (A giudicare del resto de li 'inverosimiglianza della pubblicazione del giornale francese sta il fatto che esso attribuisce un simile tentativo, che sarebbe fallito, anche al conte Sforza).

113 3 Vedi D. 99.

115

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 552/36. Roma, 21 gennaio 1949, ore 24.

Risposta da parte codesto Governo a nostro memorandum, quale accennata nel rapporto di V.E. 360/178 del 14 gennaio1 , prima pagina, sarebbe da noi considerata soddisfacente e favorevole per successivo sviluppo conversazioni.

116

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 630-626/63-64. Parigi, 21 gennaio 1949, ore 12,40 (perv. ore 16,30).

Schuman mi ha detto che Commissione per Unione Europea non è riuscita far deflettere Dalton da sue proposte che non (dico non) sono accettabili per delegazione francese. È stato tuttavia deciso che risultato lavori Commissione sarà presentato Consiglio dei cinque ministri sotto forma rapporto maggioranza e minoranza.

Mi ha detto che terminate ieri consultazioni con Governi interessati poteva annunciarmi che stesso Consiglio deciderà alla unanimità invitare Italia partecipare ulteriori lavori Commissione. Motivazione sarà che Cinque non essendo riusciti mettersi d'accordo, si è deciso invitare altre potenze che si aveva in animo chiamare partecipare Unione nella speranza che esse riescano trovare formula compromesso.

Mi ha aggiunto che invito ci sarà fatto da Bevin: egli ha molto insistito su questo punto e Schuman ha ceduto ritenendo che questo possa anche giovare miglioramento rapporti anglo-italiani.

Mi ha chiesto tenere notizia, per il momento, strettamente riservata.

Schuman mi ha detto che domani presiederà personalmente prima riunione Commissione incaricata studiare questione modifiche frontiera. Di questo sarà data comunicazione stampa intendendo egli dare impressione Parlamento, opinione pubblica francese ed anche Italia che Governo francese non (dico non) ha intenzione rinunciare suo progetto.

Mi ha detto che probabilmente gli sarà necessario del tempo ma che è fermamente deciso condurre in porto questione. Se voto Commissione è stata spiacevole sorpresa per Italia è Governo francese che è direttamente colpito ed è quindi suo debito d'onore riparare quanto è stato fatto.

115 1 Vedi D. 70.

117

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 627-635-636/65-66-67. Parigi, 21 gennaio 1949, ore 16,30 (perv. ore 19,30). Suo33 1 .

Questo Ministero esteri mi ha dato seguenti precisazioni su seduta sostituti 18 corrente. Messa in discussione questione partecipazione Italia al Patto atlantico, delegato Canada si è dichiarato contrario insistendo su difficoltà esistenti. Delegato americano ha dichiarato che suo Governo desidera Italia partecipi come membro originario al Patto; Italia dovrà però precedentemente aderire o a Patto di Bruxelles o a Federazione europea. Delegato britannico si è mantenuto vago. Delegato francese si è felicitato che Governo americano condivida tesi che Governo francese ha fin da principio sostenuta. In via generale e in base ad altre informazioni questo Ministero esteri ritiene che situazione sia alquanto migliorata.

Per quanto riguarda Benelux, malgrado sua tendenza mantenere accordi ristretti per non finire, con inclusione più importanti paesi, alla coda, si può sperare una evoluzione in nostro favore. In particolare Spaak si è espresso in senso favorevole nostra partecipazione in colloquio con ambasciatore di Francia a Bruxelles2• Olanda e Lussemburgo seguiranno.

Gran Bretagna rimane propensa a limited membership per Italia nel senso che più che farla entrare come membro originario e con parità di diritti Inghilterra vor

rebbe coprire Italia con dichiarazione di garanzia senza obblighi da parte nostra. Vi sono però ora delle esitazioni che costituiscono di già un progresso.

Quanto all'America essa sembra oramai acquisita. Desidera però che l'Italia entri preventivamente o in Patto Bruxelles o in Federazione europea. Ragione tale desiderio sarebbe facilitare accettazione partecipazione italiana da parte Congresso: una volta che Italia partecipi già all'una o all'altra organizzazione occidentale si potrà facilmente sostenere che essa non possa essere esclusa da Patto atlantico. Non è ancora ben chiaro al Ministero esteri francese se Governo americano insista per l'una o per l'altra organizzazione.

Se America chiedesse nostra partecipazione solo a Federazione europea cosa non dovrebbe presentare difficoltà. E vero, osserva Quai d'Orsay, che progetto Federazione è ora, come è noto, a un punto morto ma per contentare Governo americano potrebbe forse bastare partecipazione italiana a lavori di studio, partecipazione che dovrebbe essere cosa fatta dopo riunione cinque ministri esteri 25 corrente.

Se invece America chiedesse partecipazione italiana a Patto Bruxelles vi potrebbero esserci evidentemente delle difficoltà sia per nostra ostilità tale Patto sia per nota opposizione di Benelux e Inghilterra. Ma, continua Quai d'Orsay, anche in tal caso si potrebbe trovare soluzione: si ricorda che Patto Bruxelles ammette anche possibilità adesione limitata; si potrebbe quindi studiare tale formula per noi, una formula cioè che servisse a fare cadere riserve Benelux e inglesi e facilitasse compito nostro Governo.

Quanto a riunione esperti militari di cui al telegramma sopraccitato, questo Ministero esteri crede doversi trattare riunione Stato Maggiore americano perché, malgrado insistenze fatte, americani non hanno finora consentito a indire riunioni esperti militari sette paesi mentre sono in corso conversazioni diplomatiche.

Quai d'Orsay raccomanda tenere riservatissime informazioni che ci fornisce dato desiderio americano mantenere ultra-segrete conversazioni Patto atlantico.

117 1 Vedi D. 99, nota 2. 2 Vedi D. 153.

118

IL DELEGATO PRESSO L'O.E.C.E., CARACCIOLO DI SAN VITO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 641/14-15. Parigi, 21 gennaio 1949, ore 22,20 (perv. ore 8 del 22). Seguito mio 7 1 .

Ho preso contatto in questi giorni con delegazioni francese e britannica allo scopo sentire loro idee circa ripresa lavori O.E.C.E. Pensiero predette delegazioni, maturato anche a seguito recenti conversazioni Bruxelles (di cui al mio telegramma surriferito) e ultima visita Schuman a Londra, può riassumersi in seguente calendario più adatto che viene adesso comunicato a Marjolin a Washington:

l) 15 febbraio riunione nove ministri i quali discuterebbero eventuali riforme da apportare struttura organizzazione O.E.C.E. in seno alla quale, tra l'altro, Spaak esporrebbe sua idea, già da me precedentemente accennata, relativa a creazione di un steering committee comprendente Benelux (Spaak) Regno Unito (Bevin o Cripps) un ministro designato dal Governo italiano, Francia (Schuman), Scandinavia (un ministro svedese). Tale progetto non è peraltro ancora ben definito e incontrerebbe già l'opposizione di qualche delegazione che equivoca questo steering committee una inutile duplicazione del Comitato esecutivo.

2) n17 febbraio Consiglio dei Diciannove allivello ministri che oltre approvazione rapporto interinale dovrebbe discutere il lavoro preparato dai Nove. Anche sulla utilità di questa riunione vengono affacciati dei dubbi trovandosi che ordine del giorno, privato della discussione centrale commissione lungo termine, non giustifichi disturbo e spostamento ministri. Comunque decisione finale rimane a Spaak il quale dovrebbe lanciare convocazioni relative a Cinque, pur riservandosi confermarci appena possibile date suindicate, ulteriore conferma potrebbesi frattanto aver tramite nostra ambasciata Bruxelles.

Circa poi lo studio, previsto dall'ultima riunione del Consiglio, che le varie delegazioni si erano impegnate di compiere all'interno dei loro paesi entro il 31 corrente sulla revisione dei loro piani e l'adattamento dei medesimi a quelli degli altri partecipanti, mi risulta che il Regno Unito non prevede terminarlo prima del 15 febbraio e presumibilmente anzi verso la fine dell'entrante mese. Analogo è lo stato dei lavori in Francia su cui ho riferito con telegramma n. 132 . Ambedue questi paesi intendono quindi inviare all'O.E.C.E. per il 31 corrente risposta interlocutoria che approverà rapporto interinale aggiungendo che lavori studio proseguono.

Sarei grato comunicarmi quale è al riguardo pensiero nostra delegazione alla quale prego trasmettere presente telegramma3 .

118 1 Dal 12 gennaio, con il quale Caracciolo aveva fornito notizie circa le conversazioni tra inglesi e belgi sull'eventuale riforma organizzativa dell'O.E.C.E.

119

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 651/6. Madrid, 21 gennaio 1949, ore 22,45 (perv. ore 8 del 22).

Seguito mio telespresso urgente 01 del 12 correntente1•

Nonostante sottosegretario commercio estero Tomas Sufier mi avesse lasciato intendere che i più importanti affari reciprocità fra Italia e Spagna avrebbero ancora potuto essere approvati, mi risulta esser stato praticamente messo fermo a quasi tutto intercambio italo-spagnolo.

3 Dall'esame della corrispondenza telegrafica non è stata rinvenuta una risposta a questo documento.

Allo scopo sentire anche opinione ambienti interessati, mi sono intrattenuto della questione con Consiglio questa Camera commercio. Opinione prevalsa, che condivido anche per opportunità generale, è che a Italia convenga non rifiutare applicazione nuovo cambio importazione esportazione ma condizionarne accettazione e mantenimento regime affari reciprocità previsto da accordo vigente. Questa ed altre questioni, quali per esempio adozione misure che permettano normale funzionamento clearing, potrebbero formare oggetto di una eventuale riunione commissione mista.

Sarò grato V.E. se vorrà farmi pervenire cortesi istruzioni al riguardo2 .

118 2 Pari data non pubblicato.

119 1 Non pubblicato.

120

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI

L. PERSONALE SEGRETA 3/2101 . Roma, 21 gennaio 1949.

Nell'ambito del problema coloniale la questione della Eritrea è quella che, in questo momento, si presenta per noi meno favorevolmente.

Con telespresso circolare 12 corrente n. 3/7Y abbiamo cercato di illustrare il nostro punto di vista mettendo in risalto l'assurdo antistorico e antipolitico che sarebbe il dare questa regione all'Etiopia. Tuttavia rimane il fatto che in molti paesi, anche se disposti in massima a favorire le aspirazioni italiane, non troviamo sufficiente comprensione per quanto riguarda l'Eritrea; ciò è sopratutto dovuto alla ignoranza dei dati storici, geografici ed economici relativi a tale questione e ad alcuni preconcetti residuati dalla nostra campagna in Etiopia. È necessario perciò combattere tale ignoranza e tali preconcetti.

Tra i paesi che hanno maggiormente bisogno di essere illuminati è anche il Messico.

L'ambasciatore Padilla Nervo, pur confermando di aver ricevuto generiche istruzioni di appoggiare le richieste italiane e pur dichiarandosi fervente amico dell'Italia, è stato, durante i lavori dell'ultima Assemblea generale dell'O.N.U. a Parigi, fra i vari delegati latino-americani uno dei più freddi e dei meno comprensivi a tale riguardo. Nella riunione del gruppo sud-americano egli giunse infatti a sostenere essere giusto che l 'Eritrea venisse «restituita» ali 'Etiopia, e fu solo dopo molte pressioni (esercitate specialmente dal delegato argentino Arce) che egli consentì ad associarsi alla decisione della maggioranza del gruppo che cercava, attraverso il rinvio, di evitare che almeno per il momento la questione venisse pregiudicata.

2 Vedi D. 51.

Padilla Nervo gode di una notevole autorità personale in seno agli ambienti dell'O.N.U.; tra i sudamericani, dopo gli esponenti dell'Argentina e del Brasile, è forse quello che ha maggiore influenza e maggiore ascendente. Mascia a Washington farà il possibile per illuminarlo e per convincerlo; occorre però opportunamente lavorare anche costà.

Dopo tutte le dichiarazioni fatteci, noi saremmo in diritto di attenderci dal Messico che non solo esso si adegui all'atteggiamento della maggioranza dei paesi sud-americani, ma che in seno al suo gruppo si adoperi per sostenere la nostra tesi; e ciò anche perché la sua situazione politica ed economica lo mettono in grado, meglio di tante altre Repubbliche latino-americane, di resistere ad eventuali pressioni anglosassoni.

Il pericolo maggiore che in questo momento si presenta per l'Eritrea è che essa venga ceduta al negus. Occorre che Governi ed opinione pubblica dei paesi che saranno chiamati a decidere delle sue sorti si rendano ben conto di cosa ciò realmente significherebbe e delle responsabilità che si assumerebbero con una tale soluzione.

L'Eritrea è oggi -mercè i nostri sforzi, i nostri sacrifici e i nostri capitali largamente profusi in settanta anni di intenso lavoro -un paese che, sia dal punto di vista economico come da quello politico e sociale, è indiscutibilmente di gran lunga superiore all'Etiopia. Dare alla Etiopia tale regione -che non le è mai appartenutaequivarrebbe non solo voler distruggere tutto ciò che la civiltà latina vi ha realizzato, ma lasciare popolazioni già sufficientemente evolute in balia di una amministrazione primitiva e corrotta.

Un argomento a cui i messicani non dovrebbero essere del tutto insensibili è quello della solidarietà latina, di fronte al pericolo che popolazioni bianche vengano sottoposte ali 'incontrollabile amministrazione di un paese come l 'Etiopia, che è il più arretrato del mondo. In Eritrea, infatti vivono varie diecine di migliaia di italiani (erano settanta mila prima della guerra) che rappresentano il migliore veicolo della civiltà e l'elemento propulsore di ogni forma di attività del paese: sottomettere costoro all'arbitrario e dispotico governo di qualche ras, sarebbe un nonsenso analogo a quello che si sarebbe perpetrato facendo amministrare il Messico, dopo un secolo di civilizzazione europea, dai più arretrati rappresentanti delle razze aborigene locali. Se si fosse ragionato qualche secolo fa, come si vorrebbe ora ragionare per l'Eritrea non esisterebbe quel magnifico frutto della latinità e della civiltà che è il Sud-America!

Il grado di evoluzione sociale e politica raggiunto dalla maggioranza delle popolazioni eritree le rende degne di vivere in regime libero e di partecipare direttamente all'amministrazione del paese. Di ciò noi siamo i primi ad essere convinti, ed ispirandoci a tale convincimento intenderemmo fare di questo paese un libero Stato italo-eritreo che, anche se per il momento ancora bisognoso di tutela, potrebbe essere in non lungo tempo portato gradualmente in condizione di poter aspirare ad una completa indipendenza. Si avrebbe così in Africa il primo esempio di uno Stato misto sviluppato e alimentato dalla civiltà latina.

Con il telespresso sopra citato abbiamo riassunto il punto di vista e le aspirazioni italiane. Ove non fosse possibile ottenere la necessaria maggioranza per un mandato italiano sull'Eritrea (tolto naturalmente lo sbocco al mare etiopico ad Assab per il quale abbiamo più volte dichiarato di non avere difficoltà); pensiamo che si possa

salvare la situazione e le nostre posizioni in Eritrea attraverso una amministrazione fiduciaria affidata alla Unione Europea, amministrazione in cui l 'Italia dovrebbe avere, per forza di cose, una parte preponderante. Questa idea è stata esposta ai francesi nell'incontro di Cannes3 ed è stata dai francesi pienamente approvata.

Per tuo personale orientamento aggiungo che, qualora non fosse possibile raccogliere alla prossima Assemblea all'O.N.U. la maggioranza necessaria né sulla nostra prima aspirazione, né su questa ultima subordinata, dovremo cercare di fare ogni sforzo per ottenere il rinvio di ogni decisione sulla Eritrea, in modo da non pregiudicare l'avvenire, e ottenere che nel frattempo venga inviata sul posto dalle Nazioni Unite una commissione d'inchiesta costituita da elementi neutrali, per documentarsi obiettivamente sulla reale situazione del paese, sui reali desideri delle popolazioni e sulle capacità dell'Etiopia ad amministrarle.

119 2 Vedi D. 231.

120 1 Lettera analoga fu inviata da Zoppi il 24 gennaio al ministro a La Paz, Giardini (n. 3/228), al ministro a L'Avana, Fecia di Cossato (n. 3/229), e ai rappresentanti a Caracas, Lima, Montevideo, Bogotà. Guatemala. Manila e Quito (n. 3/234/c.). Con L. 3/293 del 29 gennaio Zoppi la inviò anche ad Arpesani, a Buenos Aires.

121

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 172/95. Belgrado, 21 gennaio 1949 (perv. il 27).

Riferimento: Seguito mio telegramma n. 391•

Dopo avere ricevuto il telegramma ministeriale n. 272 , ho chiesto di parlare con questo ministro degli esteri, Kardelj. Egli mi ha fissato l'appuntamento per ieri, giovedì, alle 18. La conversazione è durata due ore e mezzo. Era presente anche il signor Brilej, che è presidente della delegazione jugoslava che tratta la questione della pesca.

Devo notare che, nei giorni precedenti e la mattina stessa di giovedì, egli era dato al Ministero degli esteri come «malato», tanto che la nostra delegazione della pesca da alcuni giorni non ha più potuto incontrarsi con quella jugoslava.

L'andamento della conversazione con Kardelj è riferito nel sommario della conversazione stessa che allego3 . Mi limito perciò a pochi rilievi.

Sin dalle prime battute della conversazione, ho trovato la situazione assai diversa dalla prevista. Infatti, Kardelj ha contestato che costì la delegazione jugoslava potesse avere proposto di dare esecuzione agli accordi di Roma in compenso della soluzione del problema della pesca.

Inoltre, da principio, Kardelj è stato molto risoluto nell'affermare che il Governo jugoslavo non poteva accettare la tesi italiana della interdipendenza delle trattative. È stato soltanto dopo la mia altrettanto netta affermazione che il Governo italiano non poteva accedere alla richiesta jugoslava, perché oramai la questio

2 Vedi D. 97.

1 Non pubblicato.

ne pesca è diventata una prova di paragone sulla effettiva buona volontà jugoslava, che Kardelj mi ha detto che egli si riservava una risposta definitiva, dovendo consultare il suo Governo.

Questo atteggiamento può autorizzare a pensare che questo Governo sia in realtà riluttante a rompere le trattative in corso, il che manifestamente verrebbe a creare una situazione di disagio di durata imprevedibile fra i due paesi.

D'altra parte non si può deflettere dal nostro punto di vista, perché si rischierebbe di fare il gioco più o meno voluto degli jugoslavi. Occorre infatti vigilare attentamente sulla seguente circostanza. Sino ad ora, ed anche dopo l'ultimo colloquio con Brilej, avevo tratto la convinzione che questo Governo, mentre avrebbe alla fine cercato di raggiungere la conclusione dell'accordo sulla pesca prima dell'esecuzione degli accordi di Roma, fosse preoccupato della questione dei beni nazionalizzati, la cui soluzione non si presentava, anche per motivi obbiettivi, agevole e pronta.

Dal colloquio di ieri ho invece avuto l'impressione di una preoccupazione per la soluzione del problema della pesca. Kardelj mi ha detto che il vero motivo per cui il Governo jugoslavo chiede l'anticipata esecuzione degli accordi di Roma avrebbe lo scopo di superare le difficoltà opposte all'interno alla conclusione dell'accordo sulla pesca.

Ora a me è sorto il dubbio che le difficoltà ci siano veramente (me ne aveva parlato in precedenza anche Brilej), ma che forse non sono superabili nemmeno se accedessimo al desiderio jugoslavo. Ho cioè il dubbio che qui si tema di non riuscire a concludere l'accordo tanto facilmente o per lo meno in termini tali da poter accontentare la nostra delegazione.

La stessa sospensione delle conversazioni delle delegazioni della pesca (anche se è stata vera la malattia di Brilej) fa sorgere dubbi in proposito.

È perciò che mi parrebbe allo stato attuale pericoloso venir meno alla nostra presa di posizione: si correrebbe il rischio o di rimandare la soluzione del problema della pesca alle candele greche, o di dover accettare una soluzione insoddisfacente.

La disputa nella questione della interdipendenza della conclusione e della esecuzione degli accordi in corso, lungi per ora dall'essere superata, ha manifestamente costituito l'oggetto principale della conversazione, facendo diventare subordinata la discussione sulle proposte da me avanzate per la soluzione, per ora parziale, del problema dei beni nazionalizzati.

Kardelj ha sopra tutto insistito per respingere la proposta dell'arbitro neutro e, dati i motivi da lui esposti, credo su questo punto il Governo jugoslavo irremovibile.

Kardelj ha concluso la conversazione promettendomi di informarmi sulle decisioni del suo Governo. Non ho idea di quando mi sarà fatta questa comunicazione che, immediatamente, trasmetterò a codesto Ministero4 . Può darsi che essa sia fatta anche attraverso dirette istruzioni al ministro jugoslavo o alla delegazione jugoslava a Roma sotto forme di nuove proposte. In tal caso prego informarmi sollecitamente per mia norma di comportamento e di linguaggio5 .

Vedi D. 131.

120 3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

121 1 Pari data, con esso Martino aveva anticipato le notizie contenute nel presente telespresso.

121 4 Vedi D. 196.

122

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 92/30. Stoccolma, 21 gennaio 1949 (perv. il 26).

Faccio seguito al mio telegramma in argomento 1•

Secondo quanto mi risulta da ottima fonte, l'incontro di Karlstad sarebbe stato provocato da un passo del Dipartimento di Stato che, senza rappresentare ancora un invito a partecipare al Patto atlantico, tendeva a sondare in proposito le intenzioni dei Governi danese e norvegese. Nessun contatto del genere ha invece avuto luogo a Washington con quell'ambasciatore di Svezia, ritenendosi che l'atteggiamento svedese non potesse nemmeno giustificare un preliminare scambio di idee. Avevo notato infatti che, dopo l'esito delle elezioni e risultate infondate le voci di dimissioni di Undèn che avevano circolato subito dopo, a quest'ambasciata degli Stati Uniti, lungi dall'esercitare quelle pressioni di cui si era molto parlato in passato, quasi si ostentava disinteresse di fronte alle ripetute proclamazioni di neutralità della Svezia. Lo Stato Maggiore americano si sarebbe infatti recentemente convinto (così almeno si è fatto sapere qui) che in caso di conflitto l'importanza strategica della Svezia risulterebbe assai relativa, mentre sarebbe indispensabile disporre delle basi norvegesi e di quelle danesi per controllare l'Oceano Artico e chiudere il Baltico. Non so se questa tesi non sia piuttosto dettata dalla necessità di adattarsi ad una situazione che è parsa definitivamente compromessa per effetto della neutralità svedese, o se si pensi di più facilmente attrarre o piegare la Svezia facendole sentire l'isolamento in cui verrebbe a trovarsi in caso di adesione della Norvegia e della Danimarca al Patto atlantico. Comunque, evidentemente in quest'ultimo ordine di idee, il Governo americano si affrettava a smentire immediatamente l'interpretazione data da questa stampa2 , in sede di discussione di un Patto scandinavo di difesa, alle dichiarazioni di Truman, che cioè sarebbe stata lasciata aperta la possibilità di forniture di armi anche a quei paesi che non avessero aderito al Patto atlantico.

Da quanto mi risulta, subito dopo Karlstad si era convinti a quest'ambasciata d'America che la Svezia si sarebbe presentata a Copenaghen per sostenere la sua tesi intransigente: un compromesso con la tesi norvegese sembrava impossibile e l'isolamento svedese si dava quasi per certo. Lo spettro dell'isolamento si dev'essere effettivamente affacciato alla mente di qualche svedese, perché nell'ambiente del Ministero degli affari esteri si è ammesso che qualche dubbio cominciava a farsi strada sull'opportunità di spingere la neutralità tanto oltre da farla praticamente dipendere dal solo buonvolere della Russia.

Nel frattempo ha avuto luogo ad Oslo la riunione, regolarmente prevista per il 14 scorso, del Comitato nordico di difesa, dalle cui conclusioni -mantenute segre

2 Vedi D. 91, nota 2.

tissime -dipendeva, secondo il programma originale, il giudizio sulla possibilità di una collaborazione scandinava sul piano politico (mio telespresso n. 2037/652 del 7 novembre )3 . Si tratta di una riunione di tecnici che questa volta è passata quasi inosservata, tanto l'interesse sollevato da quella di Karlstad e l'attesa per quella di Copenaghen.

A fornire indizi ormai decisi sull'ordine del giorno di questo imminente incontro sono sopraggiunte le dichiarazioni fatte ill8 corrente alla Camera da questo ministro degli esteri Undèn il quale ha precisato il suo pensiero sui termini dell'alleanza difensiva nordica da lui proposta a Karlstad, che rappresenta il fine alla cui realizzazione tenderanno ormai tutti gli sforzi della delegazione svedese.

Premessa indispensabile sarà, secondo Undèn, che l'alleanza si mantenga fuori dai due gruppi di potenze mondiali, la qual cosa esclude, sempre secondo l'idea di Undèn, che Norvegia e Danimarca possano aderire al Patto atlantico od assumere impegni analoghi.

Un'alleanza siffatta, ha detto Undèn, già costituisce di per sé una deviazione dallo stretto concetto di neutralità poiché implica che la Svezia, in caso di aggressione a danno dell'integrità di uno degli altri due, verrebbe a trovarsi automaticamente in un conflitto. Dal punto di vista opposto l'alleanza difensiva scandinava significa che la Scandinavia verrebbe considerata come un'unica unità rispetto ai belligeranti.

Undèn, cioè, premesso nuovamente che «la stragrande maggioranza dell'opinione svedese è per la politica della neutralità» «neutralità, naturalmente, (egli dichiara per la prima volta) con le modificazioni derivanti dallo statuto delle Nazioni Unite», ammette di aver fatte delle concessioni, allontanandosi dalla propria intransigenza per dar luogo all'automaticità della difesa reciproca; e chiede che le altre due parti apportino un loro contributo rinunciando a prendere impegni nei confronti delle potenze occidentali. Egli dice finalmente di sperare che, se realizzata, «quest'alleanza difensiva scandinava possa un poco alla volta venire accettata dovunque nel mondo ed approvata e compresa per quello che intende di essere: un contributo al mantenimento della pace». Quanto gravi siano le sue preoccupazioni su questo punto è comprovato dal fatto che i quattro ambasciatori svedesi a Washington, Londra, Parigi e Mosca sono stati convocati d'urgenza e giunti ieri a Stoccolma per essere consultati nella preparazione e durante i lavori della Conferenza di Copenaghen.

Se la stessa speranza fosse fondatamente nutrita a Osio ed a Copenaghen, molto verosimilmente si potrebbe considerare l'alleanza un fatto compiuto, perché non pregiudicare la solidarietà scandinava, che ha certo molto peso sull'opinione pubblica dei tre paesi, ed affermare la propria neutralità, senza imbattersi in nemici o perdere amicizie, non può non allettare una razza così fondamentalmente pacifica come quella scandinava: tenendo presente, per maggiore chiarezza, che quando Undèn si riferisce al mondo at large ha in mente il giudizio del Cremlino con i temuti riflessi sulla Finlandia, laddove nelle altre due capitali viene rivolto il pensiero ad Occidente ed al Patto atlantico. Senonché gli elementi di cui dispongo fanno pensare che Norvegia e Danimarca, messe al bivio, non vorranno rinunciare agli aiuti americani, più prossimi e meno aleatori di quelli svedesi, mentre, a giudicare dall'atteggiamento dell'organo

comunista di Stoccolma, l'alleanza scandinava ha già incorso nella scomunica di Mosca, la quale sa di poter tanto più contare su di un genuino desiderio di neutralità della Svezia quanto minori vincoli essa stringa con gli altri due vicini, totalmente soggetti, come li considera, all'influenza anglo-americana.

A questo punto vien fatto di chiederci se non convenga agli Stati Uniti di favorire l'alternativa dell'alleanza scandinava che, indipendentemente dai principi democratici che la ispirerebbero, verrebbe a collocarsi virtualmente a fianco delle Potenze occidentali non foss'altro attraverso il solo provvedimento della standardizzazione delle armi. Da un punto di vista puramente politico sembrerebbe di dover essere, con la maggioranza degli svedesi, per l'affermativa; ma è probabile che dal punto di vista strategico si pensi a Washington di dover disporre senza indugio, in caso di conflitto, di basi scandinave di partenza; ed allora l'adesione della Norvegia e della Danimarca al Patto atlantico diventa una necessità ineluttabile, non potendosi ammettere una violazione della loro neutralità per iniziativa anglo-americana. È perché si dà maggior peso a quest'ultime considerazioni che negli ambienti vicini a quest'ambasciata d'America non si condivide l'ottimismo di Undèn sulle possibilità di successo della sua proposta. E pertanto sostanziali divergenze sul fronte politico della Scandinavia non potrebbero essere evitate che in apparenza, attraverso delle formule vuote di contenuto, mentre potrebbe soltanto consolidarsi ed accentuarsi, per consenso unanime, la collaborazione sul terreno economico, culturale e tecnico.

Allego a titolo di documentazione:

l) traduzione di un articolo apparso sullo Svenska Dagbladet del 16 gennaio che, a quanto mi è stato autorevolmente assicurato a questo Ministero degli affari esteri, rappresenta con esattezza la situazione, com'è vista da Stoccolma, fino a quella data;

2) un appunto redatto da un mio collaboratore a seguito di un colloquio con personalità politiche locali; 3) traduzione del testo integrale delle dichiarazioni fatte il 18 corr. alla Camera dal ministro degli affari esteri Undèn4 .

122 1 T. 647/8 del 21 gennaio, non pubblicato.

122 3 Non pubblicato.

123

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. S.N.D. 584115. Roma, 22 gennaio 1949, ore 23,30.

Suo rapporto n. 3 7 del 14 gennaio u.s. e suo telegramma n. 17 e seguenti 1• Circa sostanza questione constato che, nonostante le molte complessità e sottigliezze formali segnalate da VE., valutazione fatta da questo Ministero del provvedi

123 1 Vedi DD. 74, 98 e 104.

mento preso da Governo austriaco in data 2 novembre, coincide pienamente con quella registrata sul luogo da console generale Innsbruck con suo rapporto del6 gennaio2 .

Schwarzenberg ha fatto ieri comunicazione verbale3 la quale, purtroppo, non contiene alcuna delle assicurazioni fomite a V.S., bensì conferma che Governo austriaco non è in grado dare alcuna assicurazione circa concessione nazionalità austriaca ai non optanti. Nuovo provvedimento del 30 novembre lungi dal rappresentare correttivo di quello del 2 novembre, come viene sostenuto, ne aggrava anzi effetto sospingendo verso revoca opzione larga categoria di coloro che per ragioni economiche o sentimentali non desiderano cittadinanza italiana bensì quella austriaca.

Del resto non è mai stata nostra intenzione chiedere formale riconoscimento diritto ottenere cittadinanza austriaca per non optanti. Né possiamo ammettere che difesa Accordi Parigi su terreno giuridicamente e moralmente ineccepibile possa turbare buoni rapporti itala-austriaci che vogliamo mantenere su base lealtà e franchezza reciproca. Ma riteniamo che provvedimenti presi da codesto Governo, revocando status provvisorio, tolgano a masse optanti ogni libertà di scelta e giustifichino ampiamente un più oculato esame delle singole domande presentate in questi ultimi tempi. Pertanto, mentre si provvede tradurre in atto giusto suggerimento avanzato da

V.S. con suo telegramma n. 21, ella vorrà esprimersi nel senso suindicato fiancheggiando azione svolta a Roma.

Inoltre, in attesa nuove istruzioni4 si conferma necessità trattenere uffici istanze posteriori 2 novembre per supplemento inchiesta.

ALLEGATO

APPUNTO PERSONALE DEL MINISTRO SCHWARZENBERG

Par l'accord de Gasperi-Gruber du 5 septembre 1946 le Gouvernement Italien s'était décidé de réparer une injustice commise par l es Gouvernements nazistes de l'Allemagne et fasciste de l'Italie, injustice qui consistait à obliger une grande partie de la population sudtyrolienne à quitter son domicile. Tandis que le Gouvernement ltalien dans l'accord de Paris s'était engagé de reviser dans un esprit d'equité et de largeur de vue la question des options résultant de l' accord Hitler -Mussolini, le Gouvernement Autrichien n'a assumé à aucun moment une obligation quelconque quant à la nationalité future des optants pas plus qu'au sujet de leur traitement. Ni l'accord de Paris ni le décret-loi italien de février 1948 concernant les optants permet la supposition que le Gouvernement Autrichien ait assumé des obligations quant au statut future des sudtyroliens émigrés lesquels ne désirent point profiter des possibilités leur offertes parla loi en vue de réopter pour l'Italie mais qui préfèrent rester en Autriche. Or, on peut difficilement interpréter les obligations assumées par le Gouvernement Italien dans l 'accord de Paris ou en d'autres engagements

3 Nel colloquio con Zoppi del 21 gennaio. La traccia seguita da Schwarzenberg per l'esposizione orale della nota di cui al D. 107 è pubblicata in Allegato. Una nota sul documento avverte che essa fu «dimenticata» a Palazzo Chigi da Schwarzenberg.

4 Vedi D. 216.

comme justifiant sa demande, adressée récemment au Gouvemement Autrichien, d'octroyer la nationalité autrichienne à tous !es optants ne rentrant pas en Italie. De faire à ces non-optants en promettant la nationalité autrichienne une situation privilégiée à l'égard des autres résidants étrangers en Autriche constituerait une demande susceptible à réduire sensiblement le nombre des personnes désireux de réopter. Le Gouvemement Autrichien n'est pas en mesure de donner une assurance quant à l'octroi de la nationalité autrichienne à tous !es non-optants e.a. aussi pour la raison qu'il placerait ainsi dans un état d'inferiorité le grand nombre de tous les «Volksdeutsche» provenant de Yougoslavie, Hongrie et Tchécoslovaquie lesquels se sont réfugiés sur territoire autrichien; à eux aussi le Gouvemement Autrichien regrette de ne pas pouvoir promettre sans autre et globalement la nationalité autrichienne et cela au dépit du fait que cette catégorie de «Volksdeutsche» ne dispose pas de la possibilité de rentrer à son ancien domicile.

Lors des négociations précédentes le décret italien concemant la réoption (5 février 1948) les négociateurs autrichiens ont pu gagner la certitude que la grande majorité des optants résidant a l'éntranger seront, aux termes de l'accord de Paris, à nouveau incorporés dans la nationalité i tali enne à l' «exception d'un n ombre restreint de personnes à exclure pour des raisons individuelles». Aussi, durant ces négociations l'idéé n'est jamais venue aux négociateurs autrichiens que les optants se trouveraient placés devant une seule alternative, celle de devoir choisir seulement entre la nationalité autrichienne et la nationalité italienne. Le Gouvemement regrette de ne pas pouvoir accepter la thèse italienne que le but de l'accord de Paris est de permettre aux optants de choisir librement, à l'exclusion de toute autre possibilité entre la nationalité autrichienne et la nationalité italienne; le sens de l'accord était différant et visait, avant tout, la réintégration de la vaste majorité des optants dans la nationalité italienne. Il est vrai que l 'arrèté du Conseil des ministres autrichiens du 29 aoùt 1945 a réservé aux optants en Autriche une position privilégiée à l'égard des autres ressortissants étrangers. Le but de cet arreté cependant, n'a été que de mitiger le sort des sudtyroliens qui s'étaient etablies en Autriche.

Cet arrèté ne signifiait guère une légalisation de l'établissement définitif en Autriche de ces sudtyroliens, ni une promesse de l'octroi de la nationalité autrichienne. Au contraire, l'arrèté en question ne fut considéreé qu 'un règlement pro viso ire pour la période pendant laquelle la question de la nationalité des optants restait en suspens. Cette période de suspens et d'incertitude devait trouver sa fin avec la publication et l'application du decret italien concemant !es optants, application que le Gouvemement Autrichien espère inspirée d'une grande largeur de vue.

Le Gouvemement Autrichien s'est abstenue de toute mesure susceptibles de préjuger la nationalité des sudtyroliens émigrés et propre d' entraver leur liberté absolue d' opter ou de ne pas opter. Le nouveau arrèté du Conseil des Ministres du 2 novembre 1948 n'a que confirmé ce point de vue: il ne constitue aucune innovation. Le Gouvemement Autrichien ne comprend pas comment cet arrèté du Conseil des Ministres a pu conduire à une interprétation différente et erronée. Cette erreur provient peut ètre du fait susindiqué que le Gouvernement Italien voit le problème sous l'angle «choix entre !es nationalités autrichiennes et italiennes», tandis que le problème est déterminé pour l'Autriche par la question «option ou non-option».

A l'avis du Gouvernement Autrichien ce point de vue italien n'est encré ni dans les termes ni dans l'esprit de l'accord de Paris. Si l'arrèté du Conseil des Ministres du 2 novembre 1948 constitue une innovation c'est seulement dans le sens d'une nouvelle refutation d'une erreur nouvellement surgie, celle d'une

interpretation des accords existant entre les deux pays, interprétation que le Gouvemement Autrichien ne condivise guère.

Il n'était nullement dans l'intention du Gouvemment Autrichien d'empirer par l'arrèté du Conseil des Ministres du 2 novembre 1948 la situation des sudtyrolines résidants en Autriche; il s'agissait uniquement de clarifier leurs situation, clarification devenue d'autant plus nécessaire, car l'impossibilité pour beaucoup de sudtyroliens de s'orienter sur les perspectives résultants d'une réoption pour l'Italie était de nature de les faire bercer dans des illusions. Sans vouloir pour cela !es obliger de se décider dans un sens ou dans un autre il fallait préciser que !es sudtyroliens émigrés ne possédaient pas et n'avaient jamais possédé un droit à la nationalité autrichienne. Ce serait une erreur de voir dans cette mise au point une innovasion.

Le fait que le sudtyroliens renoncant à leur droit d'opter, n'étaient de ce fait plus au bénéfice de l'ancien arrèté du Conseil des Ministres (aout 1945) n 'apportai t aucun fai t nouveau, ce fai t ne constituait qu 'une conséquence directe et logique du règlement de la situation d'attente dans laquelle l es sudtyroliens se trouvaient à l'étranger avant la publication du décret italien concemant !es optants. Il n'était guère possible de laisser !es sudtyroliens à la longue dans l'illusion qu'ils pouvaient ètre mis sans restriction au bénéfice des avantages réservés à des ressortissants autrichiens, comme admission aux services publiques, pension etc. Il n'est pas loisible de taxer comme exercice d'une influence, d'une pression, le seui désir d'orienter les intéressés sur la situation du fait et sur la procédure. Au contraire, il serait plut6t loisible d'entrevoir l'exercice d'une influence sur la libre décision des optants dans le fait que du coté italien les dispositions administratives concemant la réintégration des optants furent serieusement retardées. À l 'heure actuelle, c'est à dire 3 semaines avant le demier délai pour l es options, ces dispositions n'ont pas encore été prises.

Or, de ces dispositions administratives dépend, en général, la future existence en Italie de chaque optant individuel; opter sans pouvoir connaìtre le sort qui l'attend équivaut pour de nombreux optants à se précipiter dans le vide.

Si l'arrèté du Conseil des Ministres du 2 novembre 1948 ne constituait qu'une mise au point, qu'une définition d'une situation déjà existante, un nouvel arrèté du Conseil des Ministres du 2 novembre est susceptible d'apporter au Gouvemenent Italien une preuve supplémentaire que le Gouvemement autrichien ne désire aucunement influer sur la libre décision des optants ou, encore moins, les mettre sous pression.

Le te x te de cet arrèté est transmis séparément. Il comprend des facilités pour l' obtention de la nationalité autrichienne pour les cas où un optant n'obtenait pas la nationalité italienne. Cet arrèté vajusqu'à permettre des facilités pour l'obtention de la nationalité autrichienne de la part de personnes lequelles, tout en ayant réacquis la nationalité italienne, se seraient vus dans l'impossibilité de transférer leur domicile en Italie.

Il est difficile de fournir une meilleure preuve de la bonne volonté du Gouvernement autrichien et de se conformer au désir d'équité et de largeur de vue désirées par l'accord de Paris.

Le Gouvernement autrichien croit donc, en attirant l'attention du Gouvernement italien sur la teneur de ce nouvel arrèté du Conseil des Ministres pouvoir espérer que le Gouvernenent italien, par des décisions qu'il a laissé entendre à la fin de son Memorandum du 2 octobre 1948 ne placera pas le Gouvernement autrichien dans la necessité de ne plus pouvoir reconnaìtre les mesures prises du coté italien comme correspondant aux engagements pris par l'accord de Paris.

122 4 I documenti allegati non si pubblicano.

123 2 Vedi D. 20.

124

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 643/19. Nanchino, 22 gennaio 1949, ore 20,50 (perv. ore 20).

Ambasciatori britannico ed americano mi hanno ripetuto proposta restare. Nell'informare rispettivi Governi invito cinese trasferirsi Canton hanno concordemente espresso avviso contrario ed attendono istruzioni. Il primo appare il più deciso a restare: traspare in lui anche personale desiderio ripagare questo Governo di manifestazioni antibritanniche scorso anno culminate incendio consolato appunto Canton 1•

125

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 674/6. Osio, 22 gennaio 1949, ore 17,20 (perv. ore 20).

Questo ministro affari esteri mi ha detto ieri che partiva per Copenaghen molto scettico circa possibilità una conciliazione colà fra tesi svedese e norvegese circa Patto atlantico.

Ove svedesi avessero insistito, egli era anche pronto (sopratutto per ragioni politica interna) ad aderire ad un passo comune scandinavo a Washington tendente a chiedere se un patto difensivo regionale scandinavo possa allo stato attuale essere conciliabile con adesione al Patto atlantico della Norvegia o anche della Danimarca ma non della Svezia. Ministro non si faceva al riguardo ora nessuna illusione sull'esito favorevole di un simile passo.

126

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 677/69. Washington, 22 gennaio 1949, ore 14,40 (perv. ore 20).

Ripeto quanto comunicato con mio telegramma 562 aggiungendo (come già riferito rapporto 535/249)3 che dichiarazione americana fatta Hickerson a tutti rappresentanti sei potenze (e di cui questi presero atto impegnandosi informare rispettivi Governi) fu assolutamente esplicita per «full membership for Italy»4 .

124 1 Con T. s.n.d. 602/3 del 24 gennaio, ore 11,35, Sforza rispose: «Sono d'avviso che V.E. rimanga costà regolando sua condotta su quella maggioranza rappresentanti principali potenze».

126 1 Vedi D. 109, nota l.

127

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 690/17-18. Bruxelles, 22 gennaio 1949, ore 21,10 (perv. ore 8 del 23).

Telespresso di V.E. n. 52/01 del 13 corrente'. Spaak aveva avuto da Washington conoscenza del nostro memorandum e riteneva doveroso formulare tre osservazioni:

l) memorandum sembra tradire ancora qualche esitazione e dimostrare scarso entusiasmo.

2) Solleva problemi riarmo italiano (benché ricordi che presidente De Gasperi gli abbia detto che nei limiti consentiti dal trattato vi siano fino ad ora possibilità soddisfacenti).

3) Accoglimento richieste garanzia circa Trieste presenta delicato problema giuridico ed eventuale complicazione con U.R.S.S.

Egli ha aggiunto che partecipazione Italia al Patto atlantico comporta riesame di tutti progetti militari e ripropone problema garanzia all'Africa mediterranea alla quale Belgio non è favorevole a meno che garanzia venisse estesa anche Congo.

Spaak ha detto che questione ha formato da tempo oggetto di studio in seno Comitato permanente di Londra e nelle riunioni ambasciatori a Washington, generando qualche confusione perché due organismi non sono sempre esattamente al corrente dell'andamento delle conversazioni.

Ha poi insinuato sembrargli che questione fosse trattata quasi fosse di solo interesse italo-americano mentre altri non sarebbero stati sempre sollecitamente ed esaurientemente informati. In conclusione Spaak ha detto che egli era stato sempre favorevole ad un patto limitato all'Atlantico settentrionale (cinque potenze di Bruxelles, Stati Uniti e Canada), con l'aggiunta tuttavia di una clausola che prevedesse garanzia ed assistenza per tutte le potenze indistintamente che fanno parte piano Marshall.

3 Vedi D. 113.

4 Zoppi ritrasmise questo telegramma a Bruxelles, L' Aja, Londra, Ottawa e Parigi

(T. s.n.d. 626/c. del 24 gennaio) con la seguente formula sintetica: «Ambasciatore Washington riferisce

che dichiarazione Hickerson fu esplicita per "full membership for Italy"». 127 1 Vedi D. 61.

Nelle sue conversazioni e nelle istruzioni impartite di recente agli ambasciatori belgi egli aveva però esplicitamente aggiunto «che qualora Italia manifestasse suo effettivo desiderio di partecipare Patto e Governo italiano dichiarasse essere unanime in tale proposito e che simile partecipazione rafforzerebbe sua posizione interna e possibilità lotta contro pericolo comunista, allora non si sarebbe potuto a meno tener conto atteggiamento italiano e rivedere l'intera questione in tutti suoi aspetti politico-militari».

Negli stessi termini egli si proponeva esprimersi di nuovo nella prossima riunione di Londra che avrà inizio mercoledì [il 26] e mi chiedeva se il Governo italiano fosse stato in grado di fare sollecitamente una esplicita dichiarazione nel senso sopraindicato.

Qualora ciò fosse stato fatto, ed egli ne venisse tempestivamente informato prima della sua partenza per Londra, che avrà luogo mercoledì mattina, Spaak mi assicurava che si sarebbe adoperato in senso a noi favorevole e per sormontare eventuali possibili reticenze inglesi2 .

126 2 Vedi D. 99.

128

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 689-685/19-20. Bruxelles, 22 gennaio 1949, ore 21,10 (perv. ore 8 del 23). Miei telegrammi 17 e 181•

Mentre sono andato da Spaak, Venturini ha avuto colloquio con questo direttore generale affari politici il quale gli ha espresso all'incirca le stesse obiezioni che Spaak mi ha fatto.

Negli scorsi giorni Venturini aveva parlato della questione con suo collega francese che era già a conoscenza dubbi belgi e gli aveva detto aver riportato impressione occorresse agire su Spaak perché a Londra francesi non si ritrovassero isolati.

La ben nota ambizione di Spaak e suo desiderio di giocare ruolo di primo piano potrebbe consigliarci di dimostrargli che non intendiamo affatto tenerlo in disparte ma che anzi facciamo affidamento sul suo prestigio e capacità facendogli quindi pervenire chiarimenti circa dubbi da lui manifestati ed invitandolo associarsi ad azione francese.

Direttore generale affari politici ha detto a Venturini che Belgio è deciso appoggiare tesi francese in questione nostre colonie.

Egli ha aggiunto che peraltro Spaak si preoccupa fondatezza tesi che noi non saremmo in grado garantire ordine pubblico in Tripolitania ed ha incaricato ambasciatore belga Roma di chiederci schiarimenti e delucidazioni per permettergli in imminente riunione Londra di controbattere con dati precisi probabili obiezioni inglesi2•

127 2 Per la risposta vedi D. 136. 128 1 Vedi D. 127. 2 Per la risposta vedi D. 135.

129

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 594/40. Roma, 23 gennaio 1949, ore 13,10.

Da fonte francese 1 si apprende in via riservatissima che in seduta 18 corrente dedicata a questione partecipazione italiana Patto atlantico delegato canadese si è dichiarato contrario insistendo su «difficoltà esistenti». Ho telegrafato Ottawa2 chiedendo di accertare di quali difficoltà si tratti e dando istruzioni chiarire atteggiamento italiano che non dovrebbe ormai dare luogo alcuna incertezza.

Delegato americano ha dichiarato invece Stati Uniti desiderano partecipazione Italia come membro originario ma che dovremmo prima aderire o al Patto Bruxelles

o Federazione europea. Richiesta sarebbe motivata desiderio facilitare accettazione nostra partecipazione da parte Congresso. Non è ben chiaro al Quai d'Orsay se Stati Uniti insistono per l'una o l'altra organizzazione.

Gran Bretagna sarebbe propensa a un «limited membership» che copra Italia con dichiarazione di garanzia senza obblighi da parte nostra. Tesi inglese non sarebbe evidentemente gradita.

Quanto a Benelux, benché permangano sue riserve, si potrebbe contare su evoluzione in nostro favore 3 .

130

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. S.N.D. 598/1. Roma, 23 gennaio 1949, ore 15,40.

Suo rapporto 3817/1274 1•

V.E. avrà nel frattempo ricevuto telespresso urgente 54/0 V Da fonte francese si apprende 3 che in seduta 18 corrente a Washington, dedicata esame partecipazione Italia Patto atlantico, delegato canadese si è dichiarato contrario, allegando «difficoltà esistenti».

Pregola accertare di quali difficoltà si tratti. Per quanto riguarda atteggiamento italiano faccia presente che con memorandum consegnato 12 corrente Governo ame

2 Vedi D. 130.

3 Per la risposta vedi D. 150.

2 Vedi D. 61.

3 Vedi D. 117.

ricano e comunicazioni successive fatte agli altri Governi interessati consideriamo iniziati contatti in vista partecipare accordi sicurezza. Attendiamo perciò anche da codesto Governo stessa comprensione spiegata da Governo americano4 .

129 1 Vedi D. 117.

130 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 797.

131

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A BELGRADO, MARTINO

T. 599/33. Roma, 23 gennaio 1949, ore 12.

Sottosegretario Pavlic e questo ministro Jugoslavia Ivekovic sono partiti ieri sera per Belgrado. Trattative di Roma, secondo Pavlic, saranno qui continuate da delegazione diretta da vice-presidente Yvancevic. Resta sempre riservata questione entrata in vigore accordi. Nostro punto di vista resta quello noto V.S. Ministro Pavlic, dopo aver accennato desiderio jugoslavo di ottenere entrata in vigore immediata accordi per navi guerra e R.O.M.S.A., subordinando quella circa naviglio jugoslavo in acque italiane ad accordo pesca, ciò che avrebbe lasciato scoperta questione per noi massima importanza relativa beni italiani, ha accennato possibilità entrata in vigore accordi pesca,

R.O.M.S.A. e navi da guerra italiane, subordinando questione naviglio jugoslavo a quella beni italiani. È stato risposto confermando nostro punto di vista: pesca e navi guerra, oppure pesca e R.O.M.S.A.; beni italiani ed altre due questioni.

Pavlic ha fatto intendere che Governo jugoslavo non accetterebbe arbitro neutro per valutazione sul posto, ma non escluderebbe Commissione itala-jugoslava.

Gli è stato fatto comprendere che non saremmo alieni rinunziare arbitro neutro per valutazione sul posto che potrebbe essere fatta solo da Commissione italo-jugoslava, purché Governo jugoslavo accettasse detto arbitro neutro in caso di dissenso su questioni di principio, fra cui criteri di valutazione.

Prima di partire Pavlic, che ha sempre mostrato ottima disposizione e larghe vedute, ha avuto colloquio con on. Brusasca che gli ha confermato e spiegato nostro intento di non fare concessioni senza attenerne nello stesso interesse rapporti itala-jugoslavi.

Quanto precede per opportuna norma V. S. e Romano.

132

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. 600/4. Roma, 23 gennaio 1949, ore 16,45.

Mi riferisco mia lettera del 12 gennaio1•

132 1 Non rinvenuto.

S.V. è pregata iniziare subito sondaggi in vista conclusione di un accordo per riconoscimento de facto simile a quello stipulato con Francia e con aggiunte da lei proposte2. Faccia presente in questa occasione che disposizioni Governo italiano furono già da me comunicate a Cantoni3 e che soltanto sua mancata partenza ha ritardato inizio trattative.

130 4 Per la risposta vedi D. 151.

133

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 221/84. Atene, 23 gennaio 1949 (perv. il 31).

I dettagli d'una crisi locale di Governo poco possono interessare V.E., tuttavia con i miei telegrammi n. 9, 12, 13 e 15 1 ho voluto anticipare alcune informazioni interlocutorie per rendere il clima in cui si è svolta in questi giorni più che una crisi di Governo, una vera e propria crisi nella vita politica del paese per il rapido maturare degli elementi conclusivi d'una lotta che da oltre quattro anni dura disarticolando la Grecia.

Per rendere evidente la gravità della situazione due sono i soggetti sui quali dovrei ora riferire: il paese, il Governo.

Dico «il paese» intendendo con ciò i dati essenziali e concreti del problema; cioè le condizioni della Grecia, economico-sociali e militari. Per l'importanza però degli elementi da porre in rilievo mi riservo di fare questo con un prossimo rapporto2 in cui sarà tenuto in particolare riguardo l'elemento militare che, per i suoi aspetti contingenti, riassume gli altri due ed è, nell'oggi, decisivo. Mi limito per ora a segnalare che la situazione «economico-sociale» e militare presenta sintomi veramente allarmanti e vengo a parlare del secondo soggetto: il Governo.

La crisi, non del Governo, ma del sistema di governo, è in atto da vari mesi. In aprile scorso se ne ebbero le prime manifestazioni. L'uccisione di Ladas arrestò allora il processo. l comunisti, che, come sempre, seguono passo a passo gli sviluppi della situazione negli ambienti che vogliono dominare, sapevano che Ladas, per la sua integrità ed intelligenza, politicamente non pregiudicata, era l'uomo che al momento opportuno sarebbe stato forse capace di dominare il bizantinismo rissoso greco ed imporsi alla crisi del sistema; perciò lo soppressero. Il delitto diede lì per lì tal contraccolpo che soffocò il manifestarsi di quello che nell'ombra covava (mio telespresso n. 1219/393 del5 maggio u.s.)3 .

Venne poi la vittoria del Grammos che, con le speranze a cui essa dava adito, consolidava una fiduciosa attesa e si ebbe da parte di alcuni elementi più sani un ten

3 Si riferisce al presidente dell'Unione Comunità Israelitiche.

2 R. segreto 550/208 del 23 febbraio, non pubblicato.

3 Non pubblicato.

tativo di affrontare radicalmente la situazione, iniziativa che però rimase allo stato di tentativo perché sopravvennero le discussioni dell'O.N.U. che fermarono tutto.

Il cattivo andamento poi dei lavori a Parigi sul problema greco, diede all'opposizione nuovi incentivi per attaccare Tsaldaris, addebitando l'insuccesso alla delegazione da lui presieduta e dominata da elementi populisti. L'insuccesso di Tsaldaris però viene ad essere l'elemento occasionale, non quello determinante la crisi del novembre scorso acuitasi al punto di mettere in piena luce lo stato di dissolvimento in cui si trova ora la Grecia. A questo proposito vale qui la pena di risalire brevemente all'origine dell'attuale situazione politica del paese.

L'equivoco elettorale del marzo 1946 non solo contrappose il paese legale al paese reale ma fece nascere un Parlamento in cui, falsate le basi dei rapporti politici, se anche i greci non fossero stati greci, impossibile sarebbe stato per chiunque di governare.

I populisti, per l'equivoca contrapposizione «monarchia o bolscevismo», usciti vittoriosi da simili elezioni, forti del «numero» (che non ha mai corrisposto alla realtà e comunque non è certo oggi più vero) s'imposero e da oltre tre anni dominano la vita politica dentro e fuori il Parlamento.

Tutte le combinazioni furono tentate per superare questa situazione. Dopo la combinazione Maximos, venne quella Sofulis e nell'unione al Governo dei due partiti storici-liberale e populista-si sperò in una collaborazione che mirasse esclusivamente a vincere la guerra civile ogni giorno più violenta e soprattutto violentemente devastatrice e scardinatrice.

Ma anche questa collaborazione al Governo non poteva essere che illusoria. L'equivoco elettorale passando dal paese al Parlamento e da questo al Governo sempre operava le stesse nefaste conseguenze. Né era possibile rimediare con nuove elezioni a cui la guera civile non permetteva nemmeno di pensare. Così in seno allo stesso Governo si riprodusse ancora più insanabile il conflitto ed impossibile la collaborazione che, inquinata da dissidi e gelosie, era sterile di fronte agli impellenti e gravi problemi che il paese doveva affrontare.

I liberali, minoranza nel Governo ed impotenti in una Amministrazione infeudata ai populisti, si ribellarono; il partito liberale si scisse, la maggior parte passò con Venizelos che voleva la testa dei populisti e per questo motivo sin dall'agosto scorso entrò in aperto conflitto persino con Sofulis. In questo contrasto, Sofulis, o per ragioni di innata o senile moderazione, o perché premuto dalla Corona, o per opportunismo temporeggiatore, o per tema del peggio, forse un po' per tutte queste cose, parteggiò, entro certi limiti per Tsaldaris, da cui il conflitto nel partito liberale che condusse dapprima a far ritardare la crisi da agosto a novembre sin quando cioè per la rottura del partito liberale il Governo fu costretto a dimettersi e Tsaldaris dovette precipitosamente tornare da Parigi per il faticoso rimpasto che infine sfociò nel «mezzo voto» di maggioranza del 21 novembre u.s. e condusse alla chiusura della Camera al l 0 febbraio (mio telegramma per corriere

n. 063 del 22 novembre u.s. )3 .

Ma il nuovo Governo che allora si formò era solo una battuta d'aspetto mentre s'aggravava la situazione nel paese mano a mano che si avvicinava il termine di riapertura della Camera fissata al l 0 febbraio.

I populisti-per dominare-s'ostinavano intorno alloro stendardo: il «numero» ed il dissidio fra populisti e liberali giunse così ad un punto tale che ad un certo momento tutti i liberali seguirono Venizelos, e Sofulis, sia pure per un momento, restò solo (mio telegramma n. 12 del 15 corrente)3 .

Nessuna soluzione d'altronde era possibile anche perché i sei partiti di opposizione, fuori del giuoco «liberal-populista», minavano ogni tentativo di accordo. Si giunse pei suddetti intercorsi all'impasse di questi ultimi giorni.

In tale situazione d'insanabile dissidio intervenne il fatto nuovo che dimostra come il paese si trovi ad una svolta della sua storia e non in un'ordinaria crisi governativa.

Infatti il re, verso la metà di gennaio, mentre la crisi si trascinava pietosamente, partì per il fronte nel Peloponneso e si trattenne circa una settimana fra i soldati. Si diceva che sarebbe tornato quando i partiti avessero trovato una vita d'uscita. Invece anticipò il suo ritorno e, per la prima volta da che assunse al trono, manifestò inaspettamente la volontà di imporsi al Parlamento convocando d'improvviso in Assemblea i capi partito ed ex primi ministri per legger loro un vero e proprio ultimatum (V. allegato )3 .

Tsaldaris dal canto suo altrettanto inaspettatamente e prima ancora che il re pubblicamente si manifestasse, cede sul terreno politico, abbassa lo stendardo populista del «numero», viene a patti con Papandreu e Canellopulos e prima ancora che il re parli cede addirittura a Venizelos, di modo che la sera prima dell'Assemblea il partito liberale d'improvviso riunificato (mio telegramma n. 13 del 16 corr.)3 pone fine al dissidio fra Sofulis e Venizelos, che, per la resa di Tsaldaris, aveva ormai perduto ogni significato.

I quattro capi-partito, Venizelos (Sofulis), Tsaldaris, Papandreu e Canellopulos, il 15 corr., alla vigilia della convocata Assemblea, alle 22 di sera, si recano a Tatoi e chiedono di essere ricevuti dal re che all'indomani deve leggere il suo «ultimatum».

Il re rifiuta di vederli ed essi gli notificano per iscritto il proprio accordo di formare un Governo sorretto dai loro 250 seguaci parlamentari e presieduto dal liberale ex-deputato Diomidis che aveva accettato; nel quale Governo Tsaldaris rinuncia alla supremazia ed alla vice-presidenza.

L'indomani il re, noncurante dell'accordo intervenuto e come sopra notificatogli, legge il messaggio ali' Assemblea ed impone la formazione d 'un Governo di tutti i partiti esistenti alla Camera minacciando altrimenti la formazione di un suo Governo.

Nell'Assemblea Papandreu insorge qualificando incostituzionale la proposta del re di fronte all'accordo già intervenuto per la formazione d'un Governo di larga maggioranza parlamentare.

Alla Camera si riuniscono la notte stessa i capi-partito e, per quanto impressionati dal favore con il quale l'opinione pubblica aveva accolto l'intervento del re, non rinunciano ad esprimere la loro opposizione alla strana iniziativa della Corona.

L'ultimatum viene prorogato di 24 ore e finalmente il re si persuade a nominare l'attuale Governo in cui Papandreu ha rifiutato di entrare ed al quale, su richiesta del re, si aggiunge invece Markezinis -(capo del «Nuovo Partito» ligio e direi quasi strumento della Corona che dichiara di ubbidire al re ma di non assumere un Ministero, evidentemente per non impegnarsi troppo e compromettersi) -e Papagos che assume la carica di generalissimo con pieni poteri sull'esercito nelle «zone di contatto» (miei telespressi n. 242/94 del 21 corr. e n. 220/83 del 23 corr-)4.

Cosa è mai successo per motivare la condotta del re, la mollata di Tsaldaris e l'atteggiamento dei partiti?

Siamo purtroppo nel campo delle ipotesi perché nessuno parla, il che dimostra che tanto più serio è il motivo nascosto. Da tempo, vuoi per la mancanza di combattività, vuoi per molti segni piccoli ma sintomatici, l'Esercito lascia dubbiosi su quanto in realtà stia covando sotto il rigore dell'inquadramento militare. È perciò logico pensare che il re al fronte deve avere visto e sentito qualcosa d'inaspettatamente nuovo. Tempo addietro, in ottobre u.s., i generali comandanti delle Forze armate greche -non chiamati -vennero ad Atene e nessuno seppe mai cosa dissero a Sofulis con cui vollero collegialmente conferire. È poi intervenuta Karditsa a cui fa seguito Naussa e il cannoneggiamento di Salonicco ed infine ora il rovescio gravissimo di Carpenissi (mio telespresso urgente segreto n. 06)3 .

La stessa fucilazione di Chrissicopulos (ricco giovine renitente doloso di leva, di cui al mio telespresso n. 218/81 del 22 corr_)3 condannato se non ingiustamente certo esageratamente a morte, mi risulta essere stata imposta dagli ufficiali che hanno messo il re nella necessità di andare contro il parere del Consiglio di grazia. Mi risulta anzi che da parte del ministro della guerra si è esitato se dare delle punizioni a quegli ufficiali che per la forma di questa specie di pronunciamento hanno messo per la prima volta apertamente l'Esercito contro il Governo.

Nel campo delle illazioni è quindi logico pensare che il re si aspetti un movimento militare e che la visita al fronte lo abbia confermato nel sospetto. Spera di prevenirlo, imbrigliarlo ed eventualmente mettercisi alla testa. Da qui il suo improvviso ed inatteso atteggiamento, l'<<Ultimatum» al Parlamento e la mollata di Tsaldaris.

La immediata reazione parlamentare, specie di Papandreu, ha d'altra parte intimorito il sovrano che si è perciò persuaso a far macchina indietro, e contentarsi per ora di ripiegare su questo nuovo Governo, in cui inserisce, per suo controllo, due sue fidate pedine (Papagos alla testa d eli 'Esercito e Markezinis nel Gabinetto) e spera in un secondo momento di mettere il Parlamento fuori legge. Già il Governo richiesto dali 'ultimatum del re con tutti gli otto rissosi partite Ili del Parlamento greco (Turcovassilis con dieci deputati) era un Governo che in un simile grave momento non poteva nemmeno sperare di governare ed era perciò un evidente tentativo del re di esautorare ora e per sempre il Parlamento additandolo al pubblico nella sua impotenza.

Papandreu (a cui era stato assegnato il Ministero della guerra ridotto a zero dalla nomina di Papagos) si è appartato con la scusa di antagonismi con Sofulis e di incompatibilità con Papagos. Evidentemente invece egli si è appartato perché giudica che l'attuale Gabinetto sia una soluzione transitoria e vuole tenersi fuori sperando essere in un secondo tempo l'ostacolo alla dittatura ed il titolare del potere.

Mi riserbo di riferire anche sulle ripercussioni che l'attuale soluzione avrà negli ambienti politici e specie nella Camera alla sua imminente riapertura.

Per ora intanto per lumeggiare e lasciare a V.E. il vaglio della durata e consistenza di simile Governo mi limito a richiamare l'attenzione su quanto già riferito (col mio succitato telespresso urgente n. 03 del 20 corr. ), cioè sul diritto che il partito populista e per esso Tsaldaris, si è riservato circa il controllo delle bozze del giornale ufficiale. Il controllo cioè del Prato oggetto di patteggiamento basiliare per la formazione di un Governo!

Ritengo comunque mio dovere segnalare che sotto una calma apparente ristabilitasi dopo i gravi avvenimenti intercorsi e che ho qui accennati, la situazione permane grave (mio telespresso urgente n. 06) ed è nell'animo di tutti la persuasione che si avvii verso soluzioni conclusive di una situazione che non può durare a lungo e ciò intendo scrivere con speciale riferimento a quanto verbalmente ebbi l'onore di dire di persona a V. E. durante il mio recente soggiorno a Roma.

132 2 Vedi D. 111.

133 1 Rispettivamente dell2, 15, 16 e 20 gennaio, non pubblicati.

133 4 Non pubblicati.

134

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI

T. S.N.D. 603/1. Roma, 24 gennaio 1949, ore 13,10.

Informi in via confidenziale codesto Governo che, con memorandum consegnato da ambasciatore Tarchiani a Dipartimento di Stato il 12 corrente1 , abbiamo esposto punto di vista Governo italiano circa Patto atlantico, confermando essere disposti partecipare sistema che consenta raggiungere sicurezza cooperazione occidentale2 .

135

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA

T. S.N.D. 614/9. Roma, 24 gennaio 1949, ore 14,30.

Suo 201 .

Preoccupazioni che tornando in Tripolitania non saremmo in grado garantirvi ordine pubblico sono infondate: abbiamo già fatto sapere inglesi che per tale eventualità possiamo approntare unità equivalenti due divisioni ed adeguate forze polizia. Tutto però lascia prevedere non vi sarà bisogno impiegare tali forze perché situazione Tripolitania si è venuta in questi ultimi tempi sensibilmente migliorando nei nostri riguardi (come risulta anche da recenti elezioni municipali) e perché progettati accordi diretti tra noi ed esponenti popolazioni locali dànno affidamento che non vi sarebbe alcuna reazione.

Prego insistere con Spaak perché basandosi su quanto precede controbatta eventuali obiezioni inglesi e si faccia sostenitore nostro punto di vista.

2 Per la risposta vedi D. 161. 135 1 Vedi D. 128.

134 1 Vedi D. 50.

136

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA

T. S.N.D. 627/10. Roma, 24 gennaio 1949, ore 23.

Suoi 17 e seguenti 1•

A punto primo: impressione erronea. Trattasi di impostazione preliminare a negoziato che comporta chiarifiche. Memorandum2 era rivolto America perché decisione americani è pregiudiziale e anche perché risponde a un suo previo passo. È con stile semplice che memorandum esprime la più meditata decisione. La erronea impressione può essere stata suscitata (fuori che a Washington) dalla dettagliata franchezza con cui volemmo spiegare Governo americano perché esitammo a lungo ad accogliere certe sue anteriori aperture.

A punto secondo: nessun bisogno di sollevare problema revisione. A punto terzo: in definizione frontiera un documento italiano non poteva non considerare Trieste.

Memorandum doveva prima essere diretto a Governo americano, ma ne abbiamo dato tosto conoscenza ad altri Governi europei interessati e tra questi a Governo belga3 .

Istruzioni Spaak agli ambasciatori descrivono situazione e gliene siamo grati. Unanimità Governo esiste ed è garantita da tutti i partiti anti-comunisti; decisione finale contribuirà rinforzarli. Dica a Spaak che presidente del Consiglio ed io gli saremo grati di quanto colla sua eccezionale autorità potrà fare per sormontare eventuali ostacoli4 .

137

IL MINISTRO A L' AJA, BO MBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 729/9. L'Aja, 24 gennaio 1949, ore 16,30 (perv. ore 7 del 25).

Apprendo da questo Ministero degli affari esteri che nella riunione del Comitato permanente Londra 21 corrente si è deciso in via di massima in senso favorevole alla inclusione dell'Italia nel Patto atlantico, mentre è stata scartata possibilità accesso al Patto occidentale. Istruzioni all'ambasciata olandese a Washington sono in corso elaborazione. Mi è stato detto che 27 corrente Consiglio dei ministri affari esteri del

2 Vedi D. 15, Allegato.

3 Vedi D. 61.

4 Per la risposta vedi D. 160.

Patto Bruxelles discuterà nuovamente questione italiana in relazione Patto di alleanza atlantica e Consiglio Europa 1•

136 1 Vedi D. 127.

138

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 734/9. Stoccolma, 24 gennaio 1949, ore 19,10 (perv. ore 7,30 del 25 ).

Faccio seguito al mio telegramma n. 81•

La personalità svedese le cui opinioni riferisco, perché connesse con le trattative, mi ha detto ritenere che la Danimarca e sopmttutto la Norvegia finiranno con aderire Patto atlantico. Viceversa non prevede alcun mutamento nell'attitudine svedese. La Svezia per ora non avrebbe da temere conseguenze sfavorevoli dal proprio

isolamento essendo il solo paese ragionevolmente armato nel Nord e forse in Europa, mentre, anche in caso di adesione svedese al Patto, aiuti americani non potrebbero essere comunque immediati. Attesa chiarimento situazione che potrebbe tra un anno offrire pratica soluzione, la Svezia quindi non avrebbe nulla da perdere.

Pur lamentando l'atteggiamento svedese il Governo britannico avrebbe dimostrato molta comprensione.

139

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 736-737/75-76. Washington, 24 gennaio 1949, ore 21,10 (perv. ore 8 del 25).

Riferimento miei 56 e 691•

Secondo confidenzia1issime informazioni e da diverse fonti è stamane qui pervenuta da Londra risposta cinque paesi Unione Occidentale in seguito riunione avuta luogo colà venerdì [21].

La Francia si è dichiarata favorevole adesione Italia tanto a Patto atlantico quanto a quello di Bruxelles. Gli altri quattro si sono dichiarati contrari ad entrambe le adesioni, aggiungendo però che, per quanto riguarda Patto atlantico, di fronte espressa volontà Stati Uniti, non manterranno loro opposizione.

Mi propongo accertare al più presto atteggiamento che Governo americano si proponga assumere in conseguenza tale comunicazione dei Cinque, nonché sollecitare risposta a nostro memorandum. Segnalo frattanto che, secondo altre confidenziali notizie, Dipartimento di Stato considera così matura situazione da far sperare che Italia possa ricevere entro una settimana assicurazione nostro punto di vista e invito formale2 .

Da confidenzialissime informazioni, punti tuttora in discussione Patto atlantico concernerebbero:

l) qualche particolare del preambolo;

2) durata Patto (20 o 50 anni);

3) richiesta della Francia che Algeria sia considerata parte territorio metropolitano;

4) luogo firma (Washington, Ottawa o Bermude) e procedura relativa.

Riunione sostituti capi missione cui seguirà riunione ambasciatori presieduta da Acheson si prevede prossima. Quest'ultima sarà probabilmente ritardata in attesa decisione paesi scandinavi, i cui rappresentanti si riuniranno 29 corrente a Osio.

137 1 Con T. s.n.d. 693/49 del 26 gennaio Zoppi ntrasmetteva a Washington il presente telegramma aggiugendo: «Nostre rappresentanze paesi Unione Occidentale sono state informate contenuto suo telegramma n. 75 [vedi D. 139] ed invitate agire sui rispettivi Governi per ottenere un più chiaro atteggiamento in nostro favore».

138 1 Non pubblicato, ma vedi D. 122.

139 1 Vedi DD. 99 e 126.

140

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 777/77. Washington, 24 gennaio 1949, ore 21,44 (perv. ore 6 del 25).

Acheson ha assunto ufficialmente sue funzioni. Mi propongo naturalmente vederlo prossimamente. Peraltro, poiché desidero intrattenerlo principalmente su questione colonie secondo linee risultanti da ultime comunicazioni ministeriali, non ho ancora chiesto udienza. Infatti mi è stata confermata opportunità attendere prossimi sviluppi questione adesione italiana Patto atlantico, dopo i quali, a quanto è stato espressamente aggiunto, atmosfera sarà certamente più favorevole.

141

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATA PERSONALE 145. Beirut, 24 gennaio 1949.

Mi riferisco alla tua lettera n. 00436/1 del l Ogennaio1 relativa al trattato di amicizia con il Libano.

Anch'io mi ero astenuto, per ovvie ragioni, dal dire alcunché ai francesi circa il trattato. Poiché, tuttavia, il giorno 15 corrente, cioè quando le trattative erano già state felicemente ultimate, la stampa libanese ha riportato una notizia della «Agence France Presse» da Roma relativa alle trattative stesse, ho ritenuto opportuno di approfittare di uno dei frequenti colloqui che ho con il ministro di Francia, conte Armand du Chayla (con il quale intrattengo rapporti veramente amichevoli), per dirgli del trattato stesso. Gli ho detto, appunto come tu mi consigli, che esso era inteso a rafforzare l'indipendenza libanese ed ho messo particolarmente in luce il suo carattere normale «di stabilimento» dei rapporti, specialmente commerciali e di navigazione, che abbiamo con questo paese.

Du Chayla ha detto che si rendeva perfettamente conto della cosa e che egli non aveva, sopratutto perché si tratta del! 'Italia e di una legazione amica, «alcuna suscettibilità» in materia.

Credo che personalmente sia sincero. Ma ritengo anch'io che a Parigi non gradiranno molto la cosa. Mentre infatti mi viene detto che anche la Francia e gli Stati Uniti (e credo anche l'U.R.S.S.) hanno da tempo proposto al Libano la conclusione di trattati analoghi, mi si conferma che in parecchi ambienti stranieri, o libanesi ad essi legati, non si è certo visto con entusiasmo il fatto che l'Italia sia stata la prima ad ottenere dal Libano un trattato del genere.

Come ho già riferito, dobbiamo molto per ciò, al presidente El Khoury, a Riad Solh e sopratutto a Frangié. Sarebbe certo bene trovare il modo di testimoniare loro, in modo particolare, il nostro apprezzamento.

Ti sarò grato se mi vorrai inviare il più presto possibile le istruzioni definitive circa la firma del trattato2 possibilmente senza apportare modificazioni al testo proposto dai libanesi poiché un riesame di esso, anche per varianti minime, riporterebbe il trattato di fronte agli organi tecnici, con tutte le conseguenze ed i ritardi orientali che ne deriverebbero.

Ti ringrazio per le costanti e pronte direttive sempre datemi in questa iniziativa.

139 2 Per la risposta di Sforza a questa prima parte del telegramma vedi D. 146.

141 1 Il testo della lettera era il seguente: «Non ho ritenuto di informare i francesi delle trattative in corso col Libano per un trattato di amicizia. Non so se lo sappiano. Comunque non me ne hanno parlato. Certamente non sarà cosa che farà loro molto piacere quando lo sapranno. Ritengo si potrà loro dire qualche giorno prima della conclusione delle trattative presentando la cosa come rientrante nella politica di rafforzamento dell'indipendenza libanese e dei suoi rapporti con l'Occidente sulla cui opportunità ci siamo trovati, noi e i francesi, d'accordo».

142

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 315. Il Cairo, 24 gennaio 1949.

Faccio seguito alla mia lettera n. 296 del 21 corrente'.

Ho visto oggi il sottosegretario agli esteri Hassouna Pacha, il quale ha incominciato col dirmi di aver ricevuto il rapporto di Hakki Bey sulla sua conversazione con te circa la questione dell'ambasciata, confermandomi che fino ad oggi egli aveva evitato di comunicare al re la nostra risposta dilatoria. Dopo quanto gli

142 1 Non rinvenuto.

aveva riferito codesto ministro di Egitto, non poteva più tenere la questione per sé come aveva fatto finora. Temeva una reazione sfavorevole da parte del sovrano, e gliene rincresceva.

Gli ho risposto che contavo sui suoi buoni uffici per spiegare al sovrano gli esatti termini della questione; tanto più che venivo ad intrattenerlo di un problema ben più importante, che concerne interessi concreti dei due paesi, e che è opportuno venga discusso in un'atmosfera di reciproca comprensione e fiducia, e cioè della questione della Libia.

Gli ho poi illustrato il nostro punto di vista, come risulta anche dal tuo telespresso n. 3/156/c., del 18 gennaio2 , servendomi delle stesse argomentazioni da te usate nel tuo colloquio con Hakki Bey (telespresso ministeriale n. 3/127/c., del 15 gennaio )3 . Il sottosegretario mi ha dapprima ripetuto quanto del resto ti è stato già detto da codesto ministro di Egitto, e cioè che la tesi del suo Governo è sempre quella della necessità di assicurare alla Libia l 'unità e l 'indipendenza. Gli ho riposto chiaramente che se il Governo egiziano si irrigidiva su questa posizione, era inutile di continuare a discorrere, ed ho cercato di dimostrargli gli inconvenienti che deriveranno all'Egitto ed agli arabi se non sapranno modificare i loro atteggiamenti teorici, non più rispondenti alla realtà della situazione.

Dopo avergli ricordato l'impressione sfavorevole prodotta in Italia dal voto dell'Egitto a Parigi contrario al rinvio della discussione, ho detto al sottosegretario che mi auguravo che il Governo egiziano si sarebbe persuaso della convenienza di porsi su un terreno concreto.

Una soluzione preventivamente concordata tra l'Italia e gli Stati arabi, in particolare con l 'Egitto, per raggiungere la prospettata intesa tra Italia e Tripolitania, potrebbe aprire la via ad una collaborazione durevole e feconda in tutti i campi.

Hassouna mi ha chiesto chiarimenti in merito alla progettata costituzione dello Stato indipendente in Tripolitania. Mi ha dato lettura del rapporto di codesto ministro di Egitto sul suo colloquio con te, ed ha mostrato particolare interesse per la distinzione tra il legame che dovrebbe unire lo Stato tripolitano con l 'Italia, di carattere prevalentemente economico, a differenza di quello tra Inghilterra e Cirenaica, che sarebbe invece di natura politica e strategica. Per poter tuttavia approfondire la possibilità di una intesa con noi, mi ha chiesto di esporgli un progetto dettagliato per la costituzione del nuovo Stato. Gli ho risposto che mi erano noti soltanto dei punti di massima, e gli ho rimesso un appunto contenente i paragrafi l), 2) e 3) dell'allegato alla tua lettera n. 3/55 del lO gennaio1 come materia di discussione.

Il sottosegratario mi ha promesso di intrattenerne il presidente del Consiglio e si è riservato di farmi poi conoscere il suo pensiero. Ti terrò al corrente dell'eventuale seguito.

3 Vedi D. 69, nota l.

141 2 Vedi DD. 219 e 232.

142 2 VediD.IOO.

143

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. PERSONALE 646/22. Roma, 25 gennaio 1949, ore 13,40.

Si insiste molto con De Gasperi perché si rechi imminente sessione Movimento europeo Bruxelles. Ti sarei grato far sapere confidenzialmente Bevin che egli, pur recandosi là a titolo personale, non dimenticherebbe un sol momento usare massimo riguardo verso punti di vista cui Bevin si interessa1 .

144

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA

T. 648/4. Roma, 25 gennaio 1949, ore 19,15.

Questo Ministero 1 considera risolta ogni divergenza relativa schema trattato ad eccezione definitiva formulazione art. 6 in quanto ritiene essenziale che i due articoli che il Governo cinese propone figurino nelle note aggiuntive, siano inseriti nel contesto dell'accordo perché non possa in nessun caso essere attribuito ad essi carattere di transitorietà.

Non appare chiaro inoltre se art. 2 proposte note aggiuntive si riferisca alle proprietà immobiliari acquistate anche successivamente ali' entrata in vigore del trattato, ovvero soltanto a quelle acquisite anteriormente, alle quali ultime si riferirebbe l 'art. l delle note aggiuntive. L'art. 2 non sarebbe accettabile se inteso nel secondo senso restrittivo.

D'altra parte la disposizione che prevede l'indennità in caso di espropriazione è di carattere generale e perciò deve figurare nel testo del trattato, giusta prassi seguita trattati analoghi.

Per quanto concerne opportunità politica concludere accordo, ritiensi che preoccupazione da lei adombrata che tale atto appaia gesto solidarietà con parte soccombente, sia soverchiata da evidente vantaggio pratico presentarsi di fronte qualsiasi governo vincitore in qualità di Treaty Power con diritti già acquisiti nell 'interesse nostre collettività.

Si prega pertanto V. S. voler procedere, se possibile, definizione accordo su basi indicate, semprechè situazione lo consenta2 .

144 1 Risponde al D. 57. 2 Vedi D. 437.

143 1 Per la risposta vedi D. 234.

145

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. 649/5. Roma, 25 gennaio 1949, ore 19,30.

Notifichi a Tel Aviv che con nota diramata ieri alla stampa1 abbiamo chiarito di avere sin dall'ottobre scorso (nomina Campanella) avviato relazioni di fatto con quel Governo e che è prossima l'apertura colà di una rappresentanza diplomatica. S'intendono con ciò stabiliti rapporti de facto fra due Governi. Provvederemo invio nuovo rappresentante (di cui mi riservo telegrafare nome) non appena concordate intese di cui al telegramma di questo Ministero n. 42 , che potrebbero essere firmate a Tel Aviv da rappresentante suddetto.

146

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 661/45. Roma, 25 gennaio 1949, ore 20,30.

Suo 75 1•

Per sua norma le confermo che risposta del Dipartimento di Stato nel senso da noi considerato soddisfacente (mio telegramma 36)2 ci consentirebbe rispondere subito affermativamente ad eventuale invito. Nostro memorandum, come ho comunicato a Spaak3 in risposta ad alcuni chiarimenti da lui richiesti, esprime infatti nostra «meditata decisione» in tal senso. Ho anche chiarito a Spaak che tale memorandum era necessario come impostazione preliminare negoziato e fu indirizzato a codesto Governo

2 Vedi D. 132.

2 Vedi D. 115.

3 Vedi D. 136.

perché decisione americana è pregiudiziale, ed anche perchè risponde ad un passo precedente del Dipartimento di Stato al quale tenevamo spiegare lealmente motivi per cui avevamo per qualche tempo esitato ad accogliere sue aperture anteriori.

145 1 Il testo della nota, come telegrafato da Soardi a Silimbani (T. 716/8 del 26 gennaio) era il seguente: «Per quanto riguarda Italia osservasi Palazzo Chigi che fin dal l o ottobre 1948 Governo italiano aveva avviato con Stato Israele relazioni di fatto con invio colà rappresentante consolare ed è in preparazione elevazione rango superiore quella nostra rappresentanza. Transgiordania riconosciuta ufficialmente da Italia 30 dicembre 1947. Finora rapporti con quel Governo mantenuti tramite console generale Gerusalemme, ma è prossima costituzione rappresentanza diplomatica in Amman. Circa problema palestinese è sempre stata opinione Governo italiano, comunicata a suo tempo vari Governi interessati, che soluzione così complessa questione non poteva trovarsi se non partendo da realtà di fatto ormai insopprimibile e promuovendo intese che assicurassero anche Stati arabi confinanti con territorio ex mandato palestinese riconoscimento loro naturali legittimi interessi. Negoziati per tali intese sono in corso ed è augurabile che vari paesi interessati proseguano su questa via. Quanto situazione Gerusalemme Governo italiano da tempo espressosi senso favorevole raccomandazione Assemblea generale Nazioni Unite novembre 1947 per internaziona1izzazione quella città».

146 1 Vedi D. 139.

147

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 764/18. Londra, 25 gennaio 1949, ore 14,40 (perv. ore 19,40)

In conversazione avuta stamane al Foreign Office è stato detto che opposizione Bevin nostra adesione Patto atlantico era dettata in buona parte da timore ripercussioni situazione interna italiana soprattutto nel P.S.L.I. Un esponente di questo partito avrebbe dichiarato recentemente ad un membro del Gabinetto britannico di passaggio in Italia che adesione Italia Patto atlantico avrebbe provocato grave crisi partito posto dinnanzi dilemma uscire dal Governo o dividersi. Se Governo italiano era ora deciso all'unanimità in favore Patto atlantico cadeva principale obiezione britannica. Obiezione relativa Grecia e Turchia (rapporto di questa ambasciata 6100/2625 del 28 dicembre) 1 era anch'essa superabile oggi dato che Stati Uniti erano pronti fare dichiarazione (che dovrebbe essere contemporanea firma Patto atlantico) garantendo sicurezza due paesi: a tale dichiarazione si associerebbe Gran Bretagna. Si hanno ancora qui dubbi circa effettiva intenzione Governo Stati Uniti sottoporre Congresso Patto molto vasto: comunque se Stati Uniti sono decisi includervi Italia Governo britannico non (dico non) si opporrà2 .

148

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 765/7. Oslo, 25 gennaio 1949, ore 17,46 (perv. ore 19,40).

Comunicato diramato ieri Copenaghen conferma quanto dettomi da questo ministro degli affari esteri e da me riferito con telegramma 61 .

2 Per la risposta vedi D. 156. 148 1 Vedi D. 125.

Interpretazione data qui al comunicato stesso è la seguente:

l) Esso non costituisce nessun concreto passo avanti per una conciliazione dei punti di vista svedese e norvegese. Ma contemporaneamente può essere ritenuto sintomatico il fatto che nel testo sia stato omesso alcun cenno alla tesi svedese della «neutralità» e vi si parla invece di «difesa della libertà della indipendenza e della democrazia» contro ogni aggressore.

2) Importanza del comunicato è principalmente nel fatto che testo chiarisce in maniera inequivoca di fronte opinioni pubbliche dei tre paesi la reale posizione di essi nei riguardi Patto atlantico.

3) Che qualunque possano essere deliberazioni della prossima riunione di Oslo, decisione definitiva spetta oramai chiaramente a Washington e che Washington ha già espresso suo parere con la dichiarazione di alcuni giorni fa2 .

147 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 783.

149

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 772-773-774/74-75-76. Parigi, 25 gennaio 1949, ore 22 (perv. ore 2 del 26).

Schuman mi ha detto che questione ammissione Italia Patto atlantico sarà certamente discussa riunione cinque ministri degli esteri ma che, a meno che ci siano notizie nuove da Washington, discussione resterà piuttosto sul piano teorico.

Sua impressione personale da ultimi contatti con Bevin (con riserva facili suoi bruschi cambiamenti), è che egli non (dico non) vi è favorevole: sua posizione è stata però ritenuta reticente e non contraria: Schuman pensa che Bevin vuole evitare presa posizione netta americana che lo obbligherebbe sconfessarsi. Tutto dipende quindi da atteggiamento Washington.

Circa quest'ultimo mi ha detto che notizie anche recenti mostrano cambiamento favorevole nei nostri riguardi sia nell'elemento civile che, ancor più, in quello militare. Va però tenuto presente che quanto risulta fino adesso resta sul piano Hickersonconsiglieri: a causa cambiamenti intervenuti al Dipartimento Stato le conversazioni sul piano superiore sono interrotte da circa due settimane ed attendesi loro ripresa da un giorno all'altro. Qualche cosa di più preciso e definitivo su atteggiamento americano non lo si potrà sapere che quando si saranno pronunciate le istanze superiori.

Sempre con questa riserva egli ritiene che nostra adesione ad Unione Europea dovrebbe essere sufficiente, senza necessità adesione Patto Bruxelles, pur non potendo escludere che questo anche diventi necessario: questo lo preoccupava più che altro per atteggiamento Governo italiano e mi ha assicurato che da parte francese si farà il possibile per evitarlo.

Ritiene che con invito Italia e paesi scandinavi e nonostante divergenze ancora esistenti fra punti vista inglese e francese, Unione Europea possa considerarsi come entrata sua fase conclusiva, anche se saranno necessarie ulteriori messe a punto e che quindi essa dovrebbe bastare agli scopi che sono stati accennati da americani.

Circa Unione Europea Schuman mi ha detto non avere impressione che inglesi abbiano detta loro ultima parola. Opinione degli altri quattro è unanime e questione è andata tanto oltre che sarebbe difficile per inglesi farla naufragare. Resta del resto sempre formula che ogni Governo può regolare a suo modo nomina delegazione ed anche procedura suo voto in Assemblea.

Ritiene che potremmo ricevere invito anche nel corso presente settimana: sul principio invito Italia e paesi scandinavi tutti sono d'accordo; resta solo stabilire procedura invito.

Mi ha detto che ritiene poco probabile che ulteriori discussioni abbiano luogo sul piano esperti: esse avranno più probabilmente luogo sul piano Governi e quindi delegazioni invitate prendere parte negoziati dovranno essere governative e non di personalità indipendenti come fatto da Francia fino ad ora.

Non ha idea precisa circa possibile data riunione conferenza allargata ma è sua intenzione che essa abbia luogo al più presto.

Circa Unione doganale Schuman ha detto che a suo ritorno da Londra inizierà consultazioni capi gruppi parlamentari e Commissioni in modo da potersi rendere conto approssimazione sufficiente reazioni parlamentari. Se reazione generale sarà favorevole, come egli spera, pensa che firma potrebbe aver luogo fra circa tre settimane.

148 2 Vedi D. 91, nota 2.

150

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 788-786-785/80-81-821• Washington, 25 gennaio 1949, ore 23,35 (perv. ore 9 del 26). Mio 752 . Oggi ho visto Hickerson.

Egli si è scusato circa ritardo risposta a nostro memorandum, motivato feste inaugurazione e da recente assunzione Acheson, il quale desidera esaminare la questione personalmente. Ha soggiunto che per stessa ragione non poteva ancora farmi ufficialmente nessuna comunicazione in merito nostra adesione. Tuttavia mi ha confidenzialmente lasciato intendere che decisione a noi favorevole dipende ormai soltanto da Governo americano, il quale si pronunzierà definitivamente molto presto.

Circa la formula atta a consentire adesione, Hickerson mi ha detto che, scartata ormai quasi certamente adesione a Patto Bruxelles, a causa concorde riluttanza nostra e dei contraenti detto Patto, si sta studiando altra soluzione ed in modo particolare, per venire incontro a nostri suggerimenti, qualche formula connessa con Consiglio europeo (ad esempio dichiarazione a sette che prenda atto nostra decisione partecipare a detto Consiglio).

Infine Hickerson mi ha confermato che nel progettato Patto non (dico non) vi saranno diverse categorie di membri e sarà quindi assicurata Italia perfetta parità.

Suo telegramma 403 .

Opposizione canadese sembra derivasse essenzialmente da riluttanza estendere a Mediterraneo zona coperta da Patto atlantico. Opposizione stessa, a quanto mi risulta da odierno colloquio con Hickerson e da altre fonti, è stata superata soprattutto a seguito di netto atteggiamento favorevole assunto da elementi cattolici canadesi.

Mio rapporto 514/228 del 20 correnté

Da odierno colloquio con Hickerson e da altra fonte mi risulta che, di fronte a rinnovata insistenza Turchia Grecia ed Iran per essere inclusi nel sistema Patto atlantico, è qui allo studio progetto di dichiarazione di protezione che, senza giungere a garanzie previste da Patto medesimo, dia soddisfazione detti paesi.

Circa paesi scandinavi si è in attesa decisione quei Governi e si prevede adesione Norvegia e forse Danimarca.

150 1 Testo originale dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Washington. 2 Vedi D. 139.

151

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 813-809/2-3. Ottawa, 25 gennaio 1949, part. ore 5,33 del 26 (perv. ore 22).

Telegramma di VE. n. 11•

In lunga conversazione ieri sera ho fatto a questo ministro esteri comunicazione verbale di cui al te l espresso urgente 2 (pervenutomi soltanto sabato )3• Sono quindi passato argomenti telegramma di VE. tacendo fonte ed ho fatto espresso riferimento a sperati sviluppi rapporti tra nostri due paesi.

Riassumo quanto dettomi da Pearson in risposta anche mie incalzanti domande.

In maniera piuttosto imbarazzata e confusa, sembrando quasi riferirsi passato senza tuttavia escludere presente, Pearson ha ricordato che anno scorso, in prima fase trattative, Canada non era stato favorevole nostra partecipazione Patto nord-atlantico. E ciò per dubbio e perplessità concernente:

4 Non pubblicato.

2 Vedi D. 61.

3 Il 22 gennaio.

l) riflessi e ripercussioni internazionali. Ha al riguardo menzionato fattore geografico regionale, Italia non essendo Stato atlantico; nostra situazione militare per trattato pace; recriminazioni Stati esclusi, ecc. Ha accennato alternative di cui altro telegramma4 .

2) Riflessi interni canadesi, questo Governo temendo sfavorevoli reazioni parte opinione pubblica perché alcuni ambienti erano ancora restii nostra partecipazione mentre altri erano rimasti «isolazionisti». (Quest'anno dovrebbero farsi in Canada nuove elezioni politiche).

Ho controbattuto punto per punto affermazioni Pearson né egli per parte sua ha tenuto ad insistervi.

In contrapposto alle predette enunciazioni alquanto vaghe e generiche egli è stato categorico e preciso nell'informarmi che questo Governo aveva posto nelle trattative di Washington seguenti principi da cui non intendeva deflettere:

a) Canada non intendeva dare garanzia unilaterale ma chiedeva piena reciprocità: se Canada fosse stato aggredito tutti i partecipanti patto sarebbero dovuti entrare immediatamente in guerra.

b) Canada era risolutamente contrario includere nella sfera d'azione del Patto territori coloniali Africa settentrionale. Molto a malincuore, di fronte insistenze francesi appoggiate da altri, aveva ceduto per alcuni detti territori facenti parte amministrativamente Francia metropolitana. Ma Canada non intendeva fare nessuna altra eccezione, non volendo assolutamente essere trascinato o coinvolto in conseguenze di carattere coloniale.

Ho obiettato che attualmente in Africa del Nord partecipavamo solo amministrazione Tangeri, città atlantica. Egli ha contrapposto propria convinzione che tra poco Italia sarebbe tornata in Africa del Nord, ciò che avrebbe posto problema. Ha però finito per ammettere che tale questione esorbitava da attuale fase trattative Patto.

Nella serrata ma amichevole conversazione, varie volte Pearson ha tuttavia affermato che Governo italiano «non doveva avere motivi di preoccupazione per atteggiamento canadese». Secondo lui, qualora Francia, Inghilterra e Stati Uniti, ovvero maggioranza nazioni partecipanti trattative, si fossero espresse per immediata inclusione Italia, Canada non avrebbe affacciato precedenti dubbi e perplessità.

Ebbe anche un accenno che in massima Parigi, Londra e Washington sarebbero già d'accordo e favorevoli circa nostra partecipazione. Al che rilevai che il Governo e il popolo italiano sarebbero stati lietissimi adesione inglese a posizione americana e francese che fondatamente sapevamo del tutto favorevole. E gli chiesi se gli constasse che Londra avesse ormai superato suoi ostacoli accennati dalla stampa, ché in merito mancavo di informazioni. Egli in sostanza non precisò.

Gli sottolineai infine che, nel presentare a Washington memorandum, Governo italiano, oltre preminenti considerazioni di principio, aveva tenuto ben presente gli insistenti appelli pervenutigli dagli Stati Uniti oltre che dalla Francia. Ove fossero sopraggiunti seri impedimenti, difficoltà di Roma sarebbero andate solo a

vantaggio estremisti e quinte colonne ossia proprio a pieno danno delle finalità accordi sicurezza e della cooperazione Occidente. Ecco anche perché Governo italiano attendeva da Ottawa stessa comprensione di Washington. Pearson mostrò rendersi conto di queste ragioni. Su questa parte colloquio riferirò altri particolari per corriere5 .

150 3 VediD.129.

151 1 Vedi D. 130.

151 4 Vedi D. 162.

152

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 25 gennaio 1949.

Allego un appunto della Direzione generale degli affari economici relativo alla prossima ripresa di trattative commerciali con la Spagna1 .

L'ambasciatore Sangroniz è venuto giorni fa a lamentare -del resto in modo molto amichevole -che i rapporti politici fra Italia e Spagna permangano così «freddi» e rischino di deteriorarsi ancora di più. Egli sottolinea che la Francia ha in Madrid un «delegato» con rango di ministro, che la Gran Bretagna, pur avendo un incaricato d'affari, mantiene intensi contatti con tutti gli ambienti spagnoli specie quelli economici e finanziari che sono vecchi clienti della City, e che gli Stati Uniti continuano ad inviare missioni varie e personalità politiche e militari a Madrid. Questi paesi dànno l'impressione di aver dovuto a malincuore subire un'imposizione dell'O.N.U., ma di voler fare di tutto per attutirne gli effetti; e Parigi e Washington lasciano anche intendere che, se non fosse per Bevin e per il suo partito, avrebbero già ripreso relazioni diplomatiche normali. L'Italia invece, dice Sangroniz, si è spontaneamente associata alla decisione dell'O.N.U. mentre non ne era tenuta giuridicamente, e non avendo in Spagna quel complesso di interessi e relazioni che vi hanno francesi, inglesi ed americani e che loro consentono di «tener calde» le loro posizioni, si estranea sempre più, politicamente, da quel paese nonostante la comunità di razza, religione ecc. Sangroniz mi ha detto che il presidente De Gasperi gli avrebbe più volte manifestato il desiderio di voler «risolvere» questa questione.

Gli ho esposto la situazione quale vista da Roma in rapporto anche allo schieramento dei partiti di Governo. L'ambasciatore suggerisce che si potrebbe da parte nostra nominare un ambasciatore a Madrid ed attendere ad inviarlo. Gli ho fatto osservare che questa mi pareva la meno felice di tutte le soluzioni: infatti la «nomina» avrebbe creato difficoltà di politica interna e ci avrebbe in certo qual modo dissociato dall'atteggiamento formale assunto da noi allineandoci alle altre capitali. Il non far partire l'ambasciatore, una volta nominato, avrebbe poi dato l'impressione

152 1 Non rinvenuto.

di una ritirata del Governo di fronte alle immancabili reazioni dei partiti di sinistra e comunque gli spagnoli troverebbero ancor meno soddisfacente della attuale la situazione che si verrebbe a creare.

Sembrerebbe comunque opportuno scongelare l'attuale situazione dei rapporti italo-spagnoli, anche per evitare il pericolo di !asciarci troppo sopravanzare da altri in un paese mediterraneo nel quale siamo venuti costituendo notevoli interessi (che potrebbero essere anche sviluppati). Sembra che l'occasione potrebbe essere offerta dalle trattative di cui all'unito appunto: esse si inizieranno a Roma, ma nulla vieta che vengano concluse a Madrid e che per l'occasione si invii colà, per la firma, una personalità che possa ristabilire qualche contatto e «riscaldare» l'ambiente.

151 5 Dispaccio non rinvenuto.

153

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 024. Parigi, 25 gennaio 1949 1•

Riferimento: Miei nn. 65, 66 e 672 .

Il Quai d'Orsay, precisandomi quanto mi aveva accennato circa il colloquio Spaak-Hautecloque di cui ai sopracitati, mi ha detto che Spaak avrebbe osservato che il memorandum da noi presentato sembrerebbe riflettere ancora delle perplessità da parte del nostro Governo e che l 'inclusione di Trieste nel territorio da garantire costituirebbe un serio inconveniente.

Hautecloque avrebbe per conto suo contestato il carattere esitante del nostro memorandum, insistendo perché la tendenza belga che si delinea oramai favorevole alla nostra partecipazione si confermi e si sviluppi. A Hautecloque sarebbe anche sembrato di riscontrare un certo rincrescimento personale da parte di Spaak per essere stato da noi tenuto alquanto in disparte nelle trattative per il Patto atlantico.

Il Quai d'Orsay ritiene che Spaak col denunciare le perplessità del nostro memorandum voglia in realtà coprire le sue proprie esitazioni, ma consiglierebbe in ogni caso di non negligere né Spaak né il ministro degli esteri lussemburghese, ambedue personalità di importanza superiore a quelle dei loro rispettivi paesi e dotate di alcune suscettibilità.

Infine anche in relazione a quanto ha detto Spaak a Hautecloque il Quai d'Orsay insiste sulla questione di Trieste di cui ai miei telegrammi sopracitati, questione che ritiene importante e tale da poter creare seri ostacoli.

2 VediD.117.

153 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

154

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 88/237. Parigi, 25 gennaio 19491•

Dato che, da quanto mi ha detto Schuman2 , ed ha confermato Bevin a Gallarati3 , è da attendersi che nel corso di questa stessa settimana noi saremo invitati a prendere parte ai lavori per l'Unione Europea, bisogna che cominciamo a pensare a chi manderemo a rappresentare l 'Italia nella Commissione preparatoria. Anche se, come è poco probabile, i cinque ministri degli esteri riuscissero a mettersi d'accordo sui principi base, il progetto è ancora in parte fluido: quindi noi dovremo partecipare, come del resto previsto in certa misura almeno, anche ai lavori di preparazione.

Per quanto poco sostanziale sia attualmente l'Unione Europea, l'avvenimento ha per noi una certa importanza perché significa un primo modesto reingresso italiano nel concerto politico europeo. E se, come è probabile, il dissidio franco-britannico non sarà, a Londra, intieramente composto, non è del tutto una cortesia francese quello che mi ha detto Schuman, di sperare cioè che l'Italia possa fare opera da paciere fra i due contendenti. Non è necessario che faccia rilevare a V.E. come, se ci riuscissimo, il nostro reingresso nella politica europea verrebbe a realizzarsi con un certo éclat. Vale quindi la pena, per lo meno, di tentare.

Premetto che non è facile. Di tutti quelli che, on high leve! almeno, si occupano dell'Unione Europea, in Francia ed in Inghilterra, nessuno realmente ci crede: ne parlano con grande convinzione ed entusiasmo, ma in realtà perseguono fini nazionali e personali o tutti e due: è una conferenza sulla castità tenuta in un bordello.

Francia ed Inghilterra sarebbero disposte ad accettare una Unione Europea a condizione di esserne, ognuna, il centro: il conflitto teorico fra Consiglio ed Assemblea, è in realtà un conflitto di interessi personali. Bevin e compagni vogliono arrangiare le cose in modo che Churchill, almeno fino ad una problematica vittoria del partito conservatore alle prossime elezioni inglesi, non possa prendere parte ai lavori dell'Unione. La delegazione francese, composta in gran parte di persone che non hanno più molte possibilità di tornare al Governo e comunque politicamente largamente sorpassate dagli avvenimenti, vuole invece manovrare in modo da assicurare ai suoi componenti una funzione sfruttabile ai fini della réclame personale.

Ho tenuto ad attirare l'attenzione di V.E. su questo punto perché esso è importante. A differenza della Francia e dell'Inghilterra da noi, questa è almeno la mia impressione, all'Unione Europea ci si crede realmente. Questo è un bene: ma bisogna che i nostri rappresentanti sappiano che i francesi e gli inglesi con cui hanno a che fare si interessano pochissimo dei veri interessi europei, ma soltanto dei loro interessi nazionali e personali. Se non si tiene ben presente questo elemento di fatto, ogni

2 Vedi D. 149.

3 Vedi D. 109.

nostro tentativo di mediazione rischia di fallire in partenza. Quindi minore rettorica possibile, meno piani grandiosi possibili, e non cercare di mettere il tutto su nuove basi. Altrimenti rischiamo di avere un grande successo di effetto nella stampa italiana ed un fiasco completo su terreno della realtà.

Schuman sembra pensare che ormai il periodo expert indépendant sia chiuso, e che, quale sia il margine di divergenze, le future discussioni avranno luogo sul piano Governi: e le delegazioni saranno quindi governative. Bisogna quindi sceglierle avendo in vista la futura organizzazione dell'Unione Europea.

Le idee francesi al riguardo non sono ancora del tutto precise. Si prevede che la delegazione sarà comunque presieduta dal ministro degli esteri (in qualche caso dal presidente del Consiglio) e che analogamente a quanto avviene per le N azioni Unite egli potrà essere assistito anche da altre personalità politiche: potrà essere utile prevedere anche l'eventualità di un delegato permanente che, come per il caso dell'O.N.U., sarà nella maggior parte dei casi un funzionario del ministero degli esteri. Bisognerà anche prevedere la composizione del futuro Segretariato permanente. Suppongo che, analogamente a quanto è stato fatto per il piano Marshall, nella composizione del Segretariato si terrà presente una certa distribuzione per nazionalità, ma che, in larga misura, le nomine saranno fatte sulla base di designazione personale. Per creare l'atmosfera necessaria sarà, più che opportuno, necessario che per lo meno quello che dovrà essere il funzionario italiano più elevato in grado del Segretariato faccia parte della delegazione iniziale in modo che quando faremo il suo nome, egli sia già conosciuto e si sia fatto apprezzare. E siccome non sappiamo quale grado ci sarà riservato (certo non quello di segretario generale e potrà essere anche dubbio quello di segretario generale aggiunto) sarà bene che a questo scopo inviamo qui una certa gamma di funzionari di vario grado che possano servire a tutte le eventualità.

È bene tener presente che per tutto questo abbiamo bisogno di gente in gamba e che abbia una conoscenza perfetta del francese e dell'inglese: il francese solo non basta.

Per il caso che, nonostante le previsioni, si debba ancora avere qualche riunione di esperti penso che sarebbe bene che la nostra delegazione, al pari di quella inglese, fosse governativa e munita di istruzioni governative. Dato l'ambiente della Commissione, credo sarebbe assai pericoloso, ai fini di quello che può essere il nostro interesse anche politico, avere una delegazione libera di fare e di dire quello che viene in testa ai suoi membri, come la francese.

Mi permetterei di sottoporre l'opportunità che sempre in questa eventualità anche noi mettessimo in questa nostra delegazione anche un ex ambasciatore, analogamente a quanto hanno fatto francesi e inglesi, di quelli che sono maggiormente conosciuti, persone per esempio come Rosso o Cerruti.

Sarebbe anche indispensabile nell'uno come nell'altro caso scegliere i nostri delegati di piano superiore fra persone che parlino veramente bene il francese e che conoscano almeno sufficientemente l'inglese. Attualmente il sistema seguito nella Commissione è che si parla o in francese od in inglese, ma senza traduttore visto che tutti i presenti comprendono anche l'altra lingua: se per conseguenza dell'arrivo degli italiani si dovesse istituire la traduzione, per esempio dall'inglese, ci metteremmo subito nella posizione di seccatori.

154 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

155

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES, LONDRA, OTTAWA E PARIGI E ALLA LEGAZIONE A L'AJA

T. S.N.D. 679/c. Roma, 26gennaio 1949, ore 18,15.

Ambasciata Washington riferisce 1 che 24 corrente sarebbe pervenuta Dipartimento di Stato risposta cinque paesi Unione Occidentale concordata in riunione Londra del2l gennaio. Mentre Francia si è dichiarata favorevole nostra partecipazione sia Patto atlantico sia Patto Bruxelles, gli altri quattro sarebbero contrari entrambe adesioni ma disposti per Patto atlantico non opporsi di fronte espressa volontà Stati Uniti.

Ambasciata Washington riferisce inoltre che secondo altre informazioni ricevute Dipartimento di Stato litcrrebbe che Italia potrebbe mmai ricevere invito formale entro una settimana. Ho risposto a Washington quanto segue: (lipetere telegramma per Washington n. 45f

156

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 713/27. Roma, 26 gennaio 1949, ore 21.

Suo 181•

Come ho fatto comunicare a Spaak2 che ci aveva chiesto alcuni chiarimenti circa nostro memorandum (vedi nostro telespresso urgente 134/c. del 25 corrente)3 unanimità Governo esiste ed è garantita da tutti i partiti anticomunisti.

Dica quindi costì che confidiamo in comprensivo atteggiamento inglese a nostro favore.

157

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AJETA, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS

T. 175/4. Roma, 2 6 gennaio 194 9, ore 2 3, 15.

Stamane segretario generale ha consegnato questo ambasciatore di Polonia promemoria di risposta circa situazione generale scambi italo-polacchi e nota verbale relativa modalità acquisto carbone competenza gennaio-febbraio 1949. Predetti promemoria e nota verbale, che si fa riserva inviare per corliere, sono stati favorevolmente accolti.

2 Vedi D. 146.

2 Vedi D. 136.

3 Ritrasmetteva a Londra, Washington, Parigi, Ottawa e L' Aja i DD. 127, 128 prima parte e 136.

Circa negoziati per accordo commerciale è stata indicata data inizio terza decade febbraio p.v. per precedenti impegni funzionari competenti Ministeri. È stato invece comunicato che siamo pronti ricevere collaboratore ministro Mine, che sembra essere ministro Rose, per scambio idee circa futuri negoziati.

155 1 Vedi D. 139

156 1 Vedi D. 147.

158

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. 875113. Roma, 26 gennaio 1949, ore 15.

Ad inizio note conversazioni italo-greche, delegazione italiana ha espresso, come precedentemente prospettato a ministri Capsalis e Doxiadis, desiderio Governo italiano vedere chiarito, in corso presenti trattative e più vasto quadro cooperazione economica italo-greca, tutte questioni economiche dipendenti da trattato pace. Doxiadis manifestata comprensione punto vista italiano, pur facendo presente non essere autorizzato trattare complesse questioni che avrebbero dovuto, a suo parere, comprendere anche problemi d'interesse greco come quelli derivanti art. 78, anticipo Banca Grecia spese occupazione (questione che appare superata), ecc.

Gli è stato risposto che chiarimento intero complesso questioni potrebbe anche essere di principio e che non appena [raggiunto] potrebbero essere ripresi, in sede valutazione beni sia per art. 79 che per allegato XIV, lavori già in atto costà.

È stato precisato da parte nostra che parte essenziale trattative dovrebbe essere dedicata art. 74 mentre altre questioni verrebbero esaminate subito dopo. Delegazione ellenica dovrebbe, in tal caso, farsi raggiungere da qualche altro elemento al corrente conversazioni costì in corso. A tal fine sarebbe sufficiente presenza a Roma Palierachis.

Doxiadis, che in attesa nuova riunione plenaria fissata per lunedì prossimo recasi Atene conferire, ha assicurato che si sarebbe costà adoperato per ottenere adesione suo Governo nostre richieste. A tal fine si è anche ripromesso prendere contatto con S.V.

Trasmetto corriere per opportuna conoscenza S.V. copia progetto greco accordo cooperazione economica ed altri elementi 1•

159

IL MINISTRO A COPENHAGEN, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 770/3. Copenhagen, 26 gennaio 1949, ore 13,05 (perv. ore 24).

Ampie discussioni e lunghe trattative Conferenza Copenaghen improntate grande franchezza reciproca fiducia avrebbero, secondo informazioni attendibili, messo a

!58 1 Non pubblicato.

punto situazione seguente: patto di difesa Scandinavia avente carattere regionale nel quadro Nazioni Unite sarebbe possibile se si verificasse condizione posta dalla Svezia che patto stesso non deve essere legato al Patto atlantico o altri patti analoghi di alleanza con terze potenze e se si verificasse condizione posta dalla Norvegia che patto Scandinavia venisse considerato favorevolmente dal Governo americano e questo assicurasse fornitura d'armi con priorità e aiuti diretti in caso di aggressione contro uno dei tre paesi.

Progetto svedese di una comunicazione preventiva da far pervenire al Governo di Washington per conoscerne atteggiamento sarebbe stato respinto dalla delegazione norvegese; controprogetto Norvegia non è stato a sua volta accettato dalla delegazione svedese. Accordo da raggiungersi per la formulazione di tale comunicazione sarebbe oggetto prossima conferenza scandinava di Osio.

160

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 805/21. Bruxelles, 26 gennaio 1949, ore 13,58 (perv. ore 16,30). Telegramma di V.E. 101 .

Spaak ha molto apprezzato mia comunicazione ed ha confermato suo favorevole atteggiamento come già dichiaratomi. In modo analogo egli si è espresso con questi ambasciatori di Francia e degli Stati Uniti che l 'hanno egualmente intrattenuto ieri sullo stesso argomento.

161

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 820/1. Lussemburgo, 26 gennaio 1949, ore 20,45 (perv. ore 8 del 27).

Mi sono espresso con questo presidente del Governo, essendo assente il ministro degli affari esteri, secondo le istruzioni di cui al telegramma V.E. 11• Dupong se ne è mostrato soddisfatto. Mi ha detto che certamente io sapevo che vi erano state

delle difficoltà da parte degli inglesi che avevano messo questione in relazione problema delle nostre colonie. Supponeva peraltro, dopo incontro Schuman-Bevin2 , attitudine inglese più accomodante. Comunque lui stesso aveva a suo tempo fatto sapere a locali rappresentanti britannico e nordamericano che avevano fatto passi comuni (appoggiati debolmente da americani) che anche Governo Lussemburgo non (dico non) condivideva tesi inglese circa nostre colonie specialmente per quanto concerne Tripolitania. Credeva pertanto che Governo britannico non avrebbe potuto prescindere del tutto da attitudine suoi alleati. Ha concluso dicendo essere convinto che una soluzione soddisfacente sarebbe stata trovata, nel comune interesse, per partecipazione Italia Patto atlantico e che comunque V.E. avrebbe potuto contare su simpatia ed appoggio Lussemburgo.

160 1 Vedi D. 136. 161 1 Vedi D. 134.

162

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 834/4. Ottawa, 26 gennaio 1949, pari. ore 2,41 del 27 (perv. ore 13,40).

Mio telegramma 2, punto primo 1 .

A proposito dubbi e perplessità elevati dal Canada anno scorso in quella fase trattative di Washington, Pearson mi disse che tuttavia questo Governo era già allora consapevole che occorresse comunque provvedere con qualche adatto modo esigenze nostra sicurezza.

Enumerò varie alternative, tra le quali una eventuale dichiarazione anglo-franco-americana di garanzia per il caso aggressione; nostro previo inserimento Unione Occidentale; ecc.

Obiettai che queste alternative sembravano superate da contatti iniziati a Washington in seguito nostro memorandum. Né egli vi insisté.

Successivamente Pearson accennò a formula attualmente allo studio che creerebbe una speciale categoria di Stati «associati» al Patto atlantico; menzionò Svezia ed accennò che forse formula avrebbe potuto applicarsi anche a Grecia. Non rilevai possibile allusione.

Circa infine notizia di cui telegramma V.E.2 relativo dichiarazione contraria delegato canadese in seduta Washington 18 corrente, Pearson se ne mostrò sorpreso. Tendeva escludere esservi esservi stato in questo periodo riunione ambasciatori e tanto meno consultazione di Governi. Secondo lui, noti dubbi canadesi erano stati esposti precedentemente nostra conversazione 28 dicembre u.s. riferì

162 1 Vedi D. 151. 2 Vedi D. 130.

ta in mio rapporto 12743 (e che egli in sostanza aveva ben presente donde suo evidente imbarazzo).

Mi assicurò che avrebbe subito controllato la notizia e telefonato al più presto una risposta precisa. Mi pregava intanto astenermi telegrafare V.E.

Riferirò dettagliatamente su questione con primo corriere4 .

161 2 Vedi D. 80.

163

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 833/5. Ottawa, 26 gennaio, part. ore 2,41 del 27 (perv. ore 13,30).

Mio telegramma 4 ultima parte 1•

Sottosegretario esteri mi ha ora telefonato, per incarico Pearson, per informarmi che note dichiarazioni contrarie 18 corrente Washington2 non erano state fatte in conferenza ambasciatori ma da un funzionario canadese partecipante una riunione esperti. Questi si era richiamato a «dubbi» canadesi elevati anno scorso di cui a precedenti telegrammi.

Pearson mi prega assicurare l'E.V. che «Canada non intende insistere oltre (press ji1rther) sui dubbi che il suo rappresentante a Washington aveva previamente espresso.

164

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO URGENTE 389/203. Londra, 26 gennaio 1949 (perv. il 30).

Mio telegramma 11 1 .

Il consigliere di questa ambasciata ha chiesto stamane a Clutton (African Department) precisazioni circa l'opinione del Foreign Office sulle proposte da noi presentate relativamente alla Tripolitania.

4 Riferì invece lo stesso 26 gennaio, vedi D. 163. 163 1 Vedi D. 162. 2 Vedi D. 130. 164 1 Vedi D. 66.

Clutton ha risposto:

«Come Bevin ha detto all'ambasciatore2 le proposte sono troppo vaghe per poter formulare un'opinione o tanto meno servire come base per discussioni. Ci occorrerebbe sapere con precisione:

l) quale sarebbe la forma della risoluzione che dovrebbe essere sottoposta per l'approvazione all'Assemblea delle N azioni Unite (questo concerne anche le modalità per il trapasso da un'amministrazione all'altra);

2) quali sarebbero le grandi linee del trattato di cooperazione tra Italia e Tripolitania e della Costituzione del futuro Stato tripolino; in particolare, se l 'Italia pensi a una amministrazione prevalentemente araba o italiana;

3) se l'Italia prevede inviare in Tripolitania altri emigranti oltre ai coloni che vi erano originariamente stabiliti e che hanno dovuto abbandonare la Tripolitania in seguito alla guerra. (Il Foreign Oflìce ritiene che questo sia un punto di importanza fondamentale in quanto se noi avessimo l'intenzione di mandare nuovi coloni in Tripolitania la cosa susciterebbe viva opposizione in Tripolitania stessa e ali'Assemblea delle Nazioni Unite). In attesa di potersi formare un'idea precisa sulle proposte italiane, l'atteggiamento del Governo britannico circa la Tripolitania rimane quello del rinvio».

Anzilotti ha fatto osservare che il rinvio non è una soluzione, che la sorte della Tripolitania deve essere pure decisa, che è stato riconosciuto dalla Commissione d'inchiesta che la Tripolitania non è ancora matura per l'indipendenza, e che quindi deve essere deciso prima o poi chi dovrà guidare la Tripolitania verso questa futura indipendenza.

Clutton ha ammesso tutto questo ma ha ripetuto che finché il Governo britannico non venga a conoscenza di una proposta che gli sembri accettabile la sua posizione rimane per ora quella del rinvio. Naturalmente qualsiasi informazione supplementare circa le forze che noi intenderemo mandare in Tripolitania, dettagli circa il trapasso dell'amministrazione e eventualmente circa le personalità in Tripolitania con cui vorremmo trattare sarebbe opportuna. Per quanto riguarda un eventuale trapasso di poteri, il Foreign Office desidera sapere se intenderemmo assumere l'amministrazione di tutta la Tripolitania in un periodo relativamente breve o per fasi successive. Su questo ultimo punto Anzilotti ha potuto accennare al fatto che la presa di possesso per fasi successive sarebbe stata quella da noi preferita. A ciò Clutton ha risposto che non ritiene che tale soluzione sia accettabile al Governo britannico.

Ritengo che alle domande di Clutton convenga rispondere al più presto, presentando al Forcign Office un progetto completo: questo servirà se non altro a costringere gli inglesi a continuare a discutere su un piano concreto la questione della Tripolitania che sembra fuori dubbio essi preferirebbero ancora rinviare per almeno un anno.

Non sono ancora in grado di dire se il desiderio di questo rinvio sia ispirato soltanto dall'intenzione di ottenere nel frattempo da noi una rinuncia esplicita e assicurazioni precise per quanto riguarda la Cirenaica, oppure dalla speranza di ottenere questa sicurezza della Cirenaica con una diversa sistemazione della Tripolitania.

Mi sembra che la preoccupazione che non si formi in una Tripolitania sotto controllo italiano un movimento irredentista per la Cirenaica possa spiegare in buona parte anche il desiderio inglese di limitare il più possibile il numero dei nostri coloni che dovrebbero istallarsi laggiù.

Resto comunque in attesa di un progetto che dovrebbe essere il più dettagliato possibile, dato che, come ho detto sopra, è nostro interesse mantenere in vita le discussioni su un piano concreto3 .

162 3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 797.

164 2 Vedi D. 165.

165

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 391/205. Londra, 26 gennaio 1949 (perv. il 30).

Ritengo utile riferire più in esteso circa il mio colloquio del 19 corr. con Bevin, che già ho riassunto con telegramma n. 161•

Il colloquio è durato dalle ore 16,20 alle 17,35. Esso fu improntato alla maggiore cordialità e chiarezza. Bevin era già stato preparato su quanto doveva essere argomento del discorso da mie precedenti conversazioni specialmente con Jebb e Mayhew.

Unione dell'Europa occidentale. Come già io avevo espresso a Jebb 2 , riferii al ministro degli affari esteri il punto di vista di V.E. e del Governo italiano esprimendo il compiacimento che dalla parte della Gran Bretagna fosse venuto il primo invito a una partecipazione e cooperazione politica attraverso il Consiglio dell'Europa occidentale e ripetendo quanto era stato apprezzato sopratutto lo spirito con cui tale invito ci era stato rivolto, ossia come primo passo verso una più piena partecipazione dell'Italia alla Unione Europea. Bevin mostrò di gradire molto il riconoscimento italiano a questa sua idea. Mi disse che nelle discussioni in corso di Parigi sarebbero probabilmente rimaste alcune differenze tra il punto di vista francese e quello inglese ma che tali differenze avrebbero a suo parere dovuto appianarsi (in quel momento ebbi l'impressione che in seguito ai colloqui Schuman egli si facesse qualche illusione sulla maggiore facilità di tale componimento) e che in ogni modo tali differenze non vedeva che fossero di natura tale da impedire una discussione sulla sostanza, discussione a cui l'Italia avrebbe dovuto certamente partecipare insieme con le altre nazioni invitate (accennando alle nazioni scandinave). Mi disse anche che riteneva che la sede proposta di Strasburgo, per la sua posizione centrale ne Il'Europa, dovesse essere di soddisfazione comune (anche questa proposta mi parve concordata con Schuman).

2 Vedi D. 54.

Patto atlantico. Gli feci subito osservare che la posizione ormai dichiarata apertamente che l 'Italia apparteneva alla Europa occidentale, e la sua accettazione all'invito a fare parte del Consiglio europeo, mettevano il nostro paese di fronte ai rischi e pericoli che ne derivavano per il fatto stesso di appartenere geograficamente e politicamente all'Europa occidentale e perciò esso doveva affrontare i problemi che derivavano da questo fatto, ossia quello della difesa dai pericoli dell' aggressione e del riarmo nei limiti del trattato di pace. A questo proposito commentai con tutta ampiezza e precisione il punto di vista espresso da V.E. nel memorandum inviato a Washington3 .

Insistetti con speciale cura sui due punti:

l) di politica interna, esponendo quanto la situazione si fosse evoluta nelle ultime settimane dal vago senso di neutralità che poteva avere illuso anche uomini politici di alta considerazione fino a strati abbastanza estesi dell'opinione pubblica e che ormai potevasi ritenere superata. Il Governo italiano era in massima concorde che una politica di isolamento e di neutralità era pericolosa ed impossibile;

2) di sicurezza, che solo ci poteva essere data da una garanzia che non lasciasse l'Italia in una posizione tale da diventare il punto più vulnerabile della difesa europea per cui essa rappresentasse proprio nel centro del Mediterraneo una specie di vuoto indifeso e pericoloso per tutti.

Egli allora mi rispose che la questione della partecipazione dell'Italia al Patto atlantico era in discussione a Washington ma che a lui non risultava che da parte degli Stati Uniti d'America ci fosse in proposito una decisione sicura già presa; che non gli risultava essere nella intenzione degli Stati Uniti di fare pressioni sull'Italia né che vi fosse unità di vedute tra le varie correnti che si interessavano al Patto atlantico, mentre gli sembrava che in taluni dirigenti della politica americana la preoccupazione principale fosse quella di dare un carattere sostanzialmente politico al Patto per servirsene a scopi politici. Questa era la corrente più favorevole ad un invito all'Italia. Vi era d'altra parte una visione più positiva che si preoccupava delle possibilità reali di riarmare l'Europa occidentale e che si metteva di fronte ai problemi di responsabilità e di possibilità. Per quanto riguardava il nostro paese e la sua partecipazione al Patto atlantico, pur non essendo contrario in linea di principio, egli era piuttosto incline verso questa corrente; riteneva pericoloso da parte nostra un gesto di carattere essenzialmente politico senza una netta visione delle responsabilità cui andavamo incontro e della reale possibilità di partecipare al più presto all'effettivo riarmo che ci era indispensabile e che di fatto non avrebbe potuto giungerci che con necessaria lentezza.

Alle sue considerazioni opposi tutti gli argomenti già concordati con V.E., facendogli osservare che il suo punto di vista dava una certa ragione alla opinione diffusa in Italia che la sola Inghilterra si opponesse alla nostra partecipazione al Patto atlantico.

A ciò Bevin replicò che innanzi tutto qualora, come gli era parso capire dalle mie parole, si ritenesse in Italia che la Gran Bretagna e soltanto la Gran Bretagna si opponesse alla nostra partecipazione al Patto atlantico, ciò sarebbe «most regrettable and most unfaim. Confidenzialmente riteneva che in parte dipendesse dal desiderio di altri

(mi parve accennasse agli Stati Uniti) che non desiderando perdere le simpatie politiche da parte dell'opinione pubblica italiana, attribuivano alla Gran Bretagna tutto ciò che era meno gradevole rispondere direttamente. Il Governo inglese aveva preso l'iniziativa per la nostra partecipazione al nuovo Consiglio europeo pensando appunto che attraverso esso noi potessimo giungere ad altri accordi o combinazioni. Del resto il Patto atlantico non era stato, a quanto gli risultava, ancora del tutto definito tra i paesi originari ossia Stati Uniti e Canada. Arrivare al Patto atlantico attraverso il Trattato di Bruxelles gli sembrava «practically impossible». Non era per minore simpatia verso l'Italia che l'Inghilterra si opponeva alla nostra entrata al Patto di Bruxelles, ma perché gli impegni reciproci assunti tra le cinque potenze rendevano tecnicamente difficile la procedura e l'Inghilterra non avrebbe potuto aderire a tale allargamento di sua iniziativa e senza la partecipazione del Commonwealth. Inoltre il Trattato di Bruxelles avrebbe implicato per l'Italia impegni da non considerare alla leggera. La stessa Gran Bretagna, con una economia stremata da due guerre vittoriose combattute dal primo all'ultimo giorno delle ostilità, aveva assunto sacrifici ed impegni per il futuro che rappresentavano un peso considerevole per il popolo inglese. L'Inghilterra dopo tante dolorose esperienze era sempre più prudente e restia a impegnarsi in patti di cui era difficile misurare la portata, le responsabilità e le sorprese. Sorridendo osservò che questa politica che a noi poteva sembrare tutta pratica, positiva, terra a terra, era il risultato della sua personale formazione in seno alle Trade Unions dove i problemi non si possono mai porre che su una base realisti ca e si risolvono a passi lenti e progressivi.

Ritornando tuttavia sulla nostra possibile adesione al Patto atlantico desiderai conchiudere che mi pareva errato di credere che la nostra partecipazione ad esso interessasse l'Italia più di quello che non dovesse premere a tutta l'Unione Occidentale e agli Stati Uniti in primo luogo: una difesa della Francia era incomprensibile senza la difesa del!' Italia che se era nazione che, in stretto senso della parola, non poteva definirsi atlantica, era però geograficamente e strategicamente legata in modo indubbio agli interessi atlantici non meno della Francia e del Belgio. La valle del Po era via aperta alle invasioni verso il cuore dell'Europa occidentale, per cui il credere di lasciare per un periodo indeterminato l'Italia abbandonata a sé come «terra di nessuno» era un errore che poteva costare assai caro a tutto l'Occidente e al mondo. La mia impressione è che nella sua resistenza a comprendere la necessità della partecipazione dell'Italia al Patto atlantico vi fosse da parte di Bevin oltre al timore che allargandosi la base delle garanzie americane diminuissero le armi sufficienti per la difesa del nucleo centrale, rappresentato dalle nazioni appartenenti al Patto di Bruxelles, anche un preconcetto di carattere politico riguardo al modo di concepire l'Unione Occidentale che ho ragione di credere emergerà dalle posizioni di Healey al Congresso del P.S.L.

Passando alle colonie: Somalia. Le difficoltà di ordine politico mi sembrano ormai superate. Bevin trova che bisogna affrettare i tempi per quanto riguarda i problemi pratici del trapasso e mi pare trovi giusto il punto di vista (della ambasciata d'Inghilterra a Roma) che le questioni di carattere militare di dettaglio siano trattate a Roma stessa dove le discussioni e soluzioni possono essere più rapide. Tripo/itania. Bcvin riconferma ancora una volta nel modo più esplicito che l'Inghilterra non ha nessuna mira propria su tale colonia e nessuna preconcetta oppo

sizione all'intervento italiano, ma vi è una pregiudiziale (che tocca ancora a noi risolvere) e che fu oggetto delle conversazioni Bevin-Schuman, ossia la precisa posizione degli Stati Uniti in rapporto alla Tripolitania. Conversazioni italo-inglesi sull 'argomento sono naturalmente subordinate alla necessità che l'America dichiari di recedere dalle direttive prese circa le nostre colonie e di cui l 'Italia era stata messa al corrente fin dall'agosto scorso4 . Da allora non risulta che gli Stati Uniti abbiano receduto dalle dichiarazioni comunicateci. È indispensabile una chiarificazione piena su questo punto per poter procedere a quattro: Italia, Inghilterra, Francia e Stati Uniti, allo studio di una forma di Stato contrattuale (quale proposto da V.E.) secondo una formula che dovrà essere esaminata e chiarita, poiché molte parti del nostro primo progetto gli sembrano ancora vaghe. (Secondo mie informazioni confidenziali le conversazioni Schuman-Bevin sulla sorte della Tripolitania si sono appunto arrestate di fronte a questa ambiguità americana manifestata anche durante le trattative del progetto Massigli. Francia e Inghilterra avrebbero chiesto a Washington una risposta chiara e definitiva in proposito per presentare poi collettivamente all'Italia le domande di maggiori precisazioni circa il nostro piano di Stato italo-arabo. Da parte nostra è comunque necessario controllare a Washington i passi franco-inglesi ed insistere perché ci si dica direttamente quali sono le intenzioni degli Stati Uniti assicurandoci la possibilità di una intesa con le altre due nazioni interessate e di trattative preliminari con gli inglesi e con gli arabi per le quali non vi è tempo da perdere.)

Eritrea. Ho fatto presente a Bevin che da parte di V.E. era stata indicata la via per una soluzione internazionale del grave problema. Bevin mi rispose che egli temeva che attraverso una soluzione internazionale si potessero aprire le porte a una penetrazione diretta o indiretta alla Russia sovietica ossia al comunismo. Risposi che mi pareva assai azzardato di credere che si potesse ovviare a tale eventualità dando l'Eritrea in mano al negus senza un controllo delle nazioni occidentali. Ritenevo anzi che una soluzione del genere di quella prospettata da Marshall aprisse largamente le porte dell'Etiopia a tutte le influenze più indesiderabili, tanto più che la Russia già lavorava segretamente in Abissinia. A questa ragione non si oppose. Insistei sulla gravità politica di una soluzione offensiva per il prestigio e la dignità italiana e non certo favorevole allo spirito del! 'Unione Occidentale. In questo sapevo di interpretare in modo indubbio il pensiero di V.E., del presidente del Consiglio e del presidente della Repubblica. Una equa soluzione per l'Eritrea avrebbe rappresentato una reale pacificazione tra noi e l'Etiopia~ come già gli avevo detto nell'ultimo colloquio5 ~ ed evitato un fatale attrito tra gli elementi discordi e parimenti insofferenti di una ingiustificata dominazione etiopica, con conseguenze che avrebbero potuto essere gravissime nel tempo e complicare gli stessi rapporti di collaborazione europea. Gli ponevo di fronte con particolare evidenza la situazione delle città di Massaua e di Asmara che erano il vero centro vitale dell'Eritrea e la chiave dei commerci con l'Etiopia e il cui carattere di italianità non poteva essere soppresso in alcun modo. Un errore nella loro destinazione poteva significare una catena di triboli e di attriti attraverso decenni di cui la storia di questo secolo aveva esempi analoghi ammonitori.

5 lbid, D. 758.

Bevin mi assicurò che avrebbe riesaminato il problema e studiato una formula ma che la soluzione si era intanto complicata (mi pare alludesse alle promesse di Marshall). Da parte sua consigliava l'Italia a riconsiderare i grandi vantaggi di una soluzione di completa pacificazione con l'Etiopia che riaprisse non solo l'Eritrea al lavoro italiano. Risposi che ero persuasissimo che il problema essenziale nostro ritornando in Africa era quello della mano d'opera ma che a questo punto era ormai necessario studiare in proposito una soluzione in concreto che potesse controbilanciare i nostri sacrifici.

Avendo egli accennato alla difficoltà che vi era stata di giungere tra Inghilterra e Italia a un accordo sul problema delle nostre colonie «per non avere noi mai voluto dire una parola sicura circa il destino della Cirenaica» io controbattei che non ci era stato mai possibile dirla date le esitazioni da parte inglese su tutto il resto e che questo grave sacrificio non poteva inquadrarsi che in una soluzione più generale di tutti i punti controversi. Mi pareva d'altronde che al punto attuale delle cose l'Italia avesse da parte sua fatto tutto il possibile per giungere a una chiarificazione e per mettersi sulla via di accordi positivi.

Credo che in questo colloquio con Bevin io abbia, nello spirito delle direttive datemi da V.E.6 , segnato chiaramente i limiti della nostra condiscendenza a trattare e le basi positive su cui potremmo trovare un accordo e studiare soluzioni pratiche.

Ora tocca alla Gran Bretagna di dimostrare la sua buona volontà e lealtà nel trattare i singoli punti delle questioni che non possono essere rimandate per tempo indefinito e con scuse dilatorie.

164 3 Vedi D. 211.

165 1 VediD.109.

165 3 Si intende nella sintesi di esso inviata a Londra: vedi D. 61.

165 4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 329.

166

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 392/206. Londra, 26 gennaio 1949 (perv. il 30).

Ho ripreso ieri con Sargent l'argomento delle colonie, facendo seguito a quanto avevo espresso il 19 corrente a Bevi n 1•

In linea generale Sargent è d'accordo sulla necessità di evitare che si giunga ali' Assemblea generale di Lake Success nelle stesse posizioni di negativo antagonismo che sono state mantenute ali' Assemblea di Parigi e ammise che era già un notevole progresso il fatto che da parte italiana ci si fosse decisi ad abbordare i problemi sul terreno positivo. Gli ho fatto osservare come da parte nostra si fosse fatto il primo passo e si fosse già data prova di buona volontà col presentare proposte che mi sembravano indubbiamente costruttive; attendevamo ora che uguale buona volontà ci

166 1 Vedi DD. 109 e 165.

venisse mostrata da parte inglese ed ero convinto che molte delle difficoltà esistenti avrebbero potuto essere superate da una sincera collaborazione, così come era stato possibile rendere normale con un lavoro comune l'atmosfera in Somalia, pur dopo i tragici avvenimenti di Mogadiscio2 .

Sargent è allora venuto al particolare: per la Somalia non ha avuto da aggiungere a quanto è già noto; per la Tripolitania mi ha ripetuto, come già dettomi da Bevin, che il Foreign Office non si sentiva di poter senz'altro trattare prima di avere accertato esattamente se l'atteggiamento americano si fosse modificato dalla tesi del rinvio per almeno un anno sulla quale si era fissato sin dall'agosto scorso. Il nostro progetto gli sembrava comunque da precisare maggiormente: gli ho fatto presente che era stato da noi presentato a grandi linee come base preliminare; che era naturalmente passibile di tutte quelle modifiche che le discussioni anglo-italiane e gli eventuali suggerimenti americani o francesi avessero potuto rendere opportune e che quello che volevamo sapere era se da parte inglese si voleva discuterne seriamente. Sargent ha replicato che ciò potrà essere deciso appunto dopo che sia noto il pensiero di Washington.

Per l'Eritrea mi ha confermato l'avversione del Foreign Office a una soluzione del trusteeship internazionale, che sarebbe complicata e che aprirebbe la porta a una possibile futura infiltrazione comunista. Come già a Bevin, ho risposto anche a Sargent che non mi sembrava che una annessione dell'Eritrea all'Etiopia offrisse maggiori garanzie di un trusteeship internazionale contro infiltrazioni comuniste e gli ho fatto osservare come non fosse esatto che tutta l'opinione pubblica britannica fosse in favore delle pretese etiopiche: lo stesso Eden, parlando come esponente dei conservatori, si era dichiarato per un trusteeship europeo e non vedevo perché non si dovesse tentare di ricercare una soluzione su queste linee. Mi rispose che ad ogni modo la cosa non era ancora decisa ma che gli sembrava fosse più facile trovare formule internazionali per garantire la difesa degli esistenti interessi italiani, che non una soluzione di vero e proprio trusteeship internazionale.

Riferisco separatamente sulla conversazione avuta stamani da Anzilotti al Foreign Office con Clutton3 .

165 6 Vedi D. 16.

167

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. PERSONALE SEGRETA. Londra, 26 gennaio 1949.

Fui questa mattina a trovare Lord Jowitt col quale ebbi un colloquio riservatissimo che mi pare però assai importante e che riferisco subito quasi allegandolo

3 Vedi D. 164.

ai miei rapporti ufficiali. Lord Jowitt è veramente nostro amico e ha preso a cuore fervidamente i nostri punti di vista e le speranze di riannodare, su basi concrete, i buoni rapporti tra Italia e Inghilterra poiché di essi egli tratta personalmente con Bevin come Lord Cancelliere. Egli può essere il migliore mediatore e interprete dei nostri reciproci pensieri.

Ti riferisco i punti salienti del suo discorso.

Egli è in complesso ottimista (a mio parere anche troppo) sulla soluzione favorevole circa le difficoltà che ancora ci dividono, specialmente per quanto riguarda le nostre colonie. Dice tuttavia che il problema più grave sta nel trovare una formula per l'Eritrea, tanto più che la soluzione di questo problema significa moltissimo per la nostra politica interna, e perciò indirettamente anche per tutta la nostra politica di cooperazione europea. Comprende come non è possibile a Inghilterra, Stati Uniti e Francia ignorare quale sarebbe la ripercussione di una soluzione offensiva per l'Italia e quale forza essa darebbe ai nostri comunisti contro il Governo, con inevitabile indebolimento del Governo e del regime democratico italiano.

Perciò egli ci avverte confidenzialmente:

l) che la questione Eritrea è tuttora allo stato fluido e perciò è trattabile purché da parte nostra ci sia larga comprensione della complessità del problema;

2) che sarebbe opportuna una immediata chiarificazione, anche su questo punto, da parte degli Stati Uniti d'America e una loro amichevole pressione sull'Inghilterra. Tale pressione mi sembra sarebbe accolta dali' Inghilterra come un aiuto;

3) che gli è sembrato che riguardo all'Eritrea le posizioni prese dalla Francia a nostro favore fossero piuttosto fredde e non abbastanza amichevoli. Occorrerebbe quindi anche da parte francese un più vivo interessamento pari a quello che essi dimostrano per la Tripolitania.

Questi sono naturalmente suggerimenti mormorati nell'orecchio da un amico. Ma è indispensabile tu li abbia presenti e sappia quale via mi è aperta per altre eventuali comunicazioni riservatissime.

166 2 Vedi serie decima, vol. VII.

168

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A L'AJA, BOMBIERI

T. S.N.D. 719/8. Roma, 27 gennaio 1949, ore 14.

Informazioni da Washington di cui telegramma ministeriale n. 679 1 contrastano con quanto riferito da V.E. con telegramma n. 92 . Pregasi pertanto sollecitare un più

2 Vedi D. 137.

chiaro atteggiamento di codesto Governo in favore nostra partecipazione al Patto atlantico in relazione anche a prossima riunione Consiglio ministri affari esteri3 .

168 1 Vedi D. 155.

169

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 835/79. Parigi, 27 gennaio 1949, ore 13,45 (perv. ore 15,30).

Suo 679/c. 1•

Couve mi informa che segnalazione Washington non è formalmente esatta.

Effettivamente il 21 corrente si è discusso a Londra adesione Italia due Patti e mentre solo Francia si è dichiarata favorevole gli altri si sono dichiarati in principio contrari ma in sostanza disposti seguire intenzioni America per Patto atlantico e, mi ha aggiunto Couve, anche per Patto Bruxelles se America insiste molto e noi facciamo espressamente cadere nostre riserve.

Ma risultato questa discussione non (ripeto non) è stata portata ufficialmente a conoscenza Governo Washington nemmeno da Governo francese. Governo americano ne è venuto a conoscenza per informazioni suoi rappresentanti all'estero.

170

IL MINISTRO A DAMASCO, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 839/4. Damasco, 27 gennaio 1949, ore 14,30 (perv. ore 17,45).

Telespressi ministeriali 3/142/c. 1 , 3/156/c.2 , 3/54/c.3•

Ho avuto appena possibile con Azem presidente del Consiglio e ministro degli affari esteri lunghissime conversazioni in cui ho esaurientemente illustrato quanto dai telespressi sopraindicati, soffermandomi su ragioni di diritto, di opportunità politica e di urgenza. Azem si è vivamente interessato ed ha proposto a giorni una riunione a tre con Fares El Khouri rappresentante Siria O.N.U.

"Vedi D. 100.

3 Non rinvenuto.

168 3 Per la risposta vedi D. 183.

169 1 VediD.155.

170 1 Vedi D. 51, nota 2.

171

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 856/10. Stoccolma, 27 gennaio 1949, ore 15,20 (perv. ore 8 del 28). Mi riferisco al mio telegramma n. 91 .

Da sicura fonte tanto danese che svedese apprendo che situazione verificatasi Copenaghen deve essere giudicata con «cauto pessimismo» intendendosi che salvo imprevedibili sviluppi, divergenza punti di vista norvegese e svedese si è rivelata doversi ritenere insormontabile. Obiezioni mosse da Unden, che a differenza degli svedesi il delegato norvegese non poteva far valere l'opinione del Parlamento di Osio il quale non era stato preventivamente consultato, sembra avere poco più di un valore puramente tattico.

Anche se gli U.S.A. si impegnassero a non considerare una alleanza definitiva scandinava sulla base della neutralità, come incompatibile con le forniture militari americane ragionevoli per quantità qualità e tempo, le garanzie che la Norvegia considera come indispensabile ottenere dall'Occidente vanno molto oltre l'elasticità che la Svezia è disposta a consentire alla propria neutralità. Senza contare che non si hanno a Stoccolma indizi che l'America possa o voglia agevolare un'alleanza scandinava del genere di quella qui contemplata.

172

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 861/20. Londra, 27 gennaio 1949, ore 21,20 (perv. ore 8 del 28).

Mi sono intrattenuto oggi sul Patto atlantico con questo incaricato affari Stati Uniti anche per accertare quali impressioni, dopo mio colloquio con Bevin1 , americani avessero potuto raccogliere presso Governo britannico circa atteggiamento di quest'ultimo nella questione nostra adesione al Patto.

Mi ha subito chiesto se ero al corrente dei timori che Saragat avrebbe a suo tempo espressi a Noel-Baker (mio 18)2 e se potevo confermare che Governo italiano è pronto accettare eventuale invito per Patto atlantico. Gli ho potuto rispondere in base telegramma V.E. 273 che in tale questione nostro Governo è unanime.

Holmes ha ripetuto essere vivo interesse Stati Uniti evitare isolamento Italia e vederne consolidata posizione in Europa occidentale, con partecipazione Consiglio europeo e Patto atlantico: ha notato negli ultimi giorni notevole mutamento psicolo

2 Vedi D. 147.

3 Vedi D. 156.

gico nell'atteggiamento britannico e ritiene che nelle discussioni tra paesi Unione Bruxelles verrà in questi giorni deciso non ostacolare nostra adesione Patto atlantico.

171 1 Vedi D. 138.

172 1 Vedi D. 165.

173

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 862/90. Washington, 27 gennaio 1949, ore 22,03 (perv. ore 8 del 28). Riferimento mio 80 1 .

Acheson non ha potuto ancora impartire istruzioni a uffici circa risposta nostro memorandum. Frattanto Dipartimento di Stato, ritenendo che ritardo dipenda soltanto da desiderio segretario di Stato di esaminare personalmente la questione, ha confermato i seguenti punti, espressamente autorizzando questa ambasciata a comunicarli

V.E. come pensiero Governo americano:

l) Patto in discussione risponde requisiti indicati da Governo italiano essendo effettivamente accordo di mutua assistenza;

2) per quanto concerne mutua assistenza paesi contraenti saranno tutti sullo stesso piano mentre saranno chiamati a contribuire alla comune difesa in proporzione forze rispettive;

3) finché dura occupazione alleata, eventuale attacco Trieste sarebbe considerato come rivolto a Gran Bretagna e Stati Uniti; dopo ritiro truppe alleate, inclusione o esclusione Trieste da territorio italiano dipenderà da attribuzione sovranità territorio.

Circa ultimo punto ricordo che Dipartimento di Stato ha confermato validità dichiarazione 20 marzo 19482 anche recentissimamente3 .

174

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 871/25. Gerusalemme, 27 gennaio 1949, ore 20 (perv. ore 9,30 del 28).

Ministro degli affari esteri Shertok non ha potuto ricevermi Tel Aviv stamane perché ancora indisposto causa fatiche elezioni ma aveva dato incarico direttore affari politici, da me bene conosciuto, col quale ho avuto esauriente colloquio.

2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

3 Con T. s.n.d. 878/92, pari data, Tarchiani comunicò di aver appreso dal Dipartimento di Stato che nel prossimo rapporto del Governo militare alleato al Consiglio di sicurezza sarebbe stata fatta esplicita menzione dell'opportunità della restituzione del T.L.T. all'Italia.

Ti sarò grato se potrai orientare opportunamente questi corrispondenti anche dando loro, quando tu lo giudichi opportuno, notizie da parte italiana che ristabiliscano l'equilibrio dei fatti.

173 1 Vedi D. 150.

177

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 89/260. Parigi, 27 gennaio 1949 (perv. il 29).

Ho letto con molto interesse quanto l'ambasciata in Washington ha comunicato sulla questione delle colonie'.

Parlando con tutta franchezza c'è un solo punto su cui mi sembra di non essere del tutto d'accordo con Tarchiani, ed è quando egli sostiene che la questione va risolta esclusivamente o quasi a Londra. L'impressione ben netta che io ho riportata dai miei contatti parigini con gli americani, da Marshall, Bohlen fino giù ad Utter, è, come ho riferito a V.E.2 , che in realtà l'opposizione americana sia più difficile a superare che non quella inglese.

Mentre gli inglesi, in larga misura, preferirebbero non vederci ritornare in Africa, quella del Nord soprattutto, gli americani, in sé, non avrebbero nessuna difficoltà a che noi ci tornassimo: ci si oppongono perché ritengono che questo nostro ritorno possa essere una fonte di guai gravi per loro, ma soprattutto per noi. Le obiezioni americane ci sono state dette molto chiaramente: peso finanziario troppo grave per un bilancio traballante come il nostro: dubbio sulla possibilità per noi di distrarre dal fronte interno le due divisioni che sono necessarie al mantenimento de li'ordine ed alla sicurezza dei loro campi di aviazione: sottoestimazione da parte nostra delle difficoltà interne locali a cui andiamo incontro. Mi sono limitato a ripetere le principali.

Ora queste obiezioni sono serie, perché per lo meno per quello che concerne le prime due, sarebbe arduo asserire che sono difficoltà che non esistono: ed occorre anche aggiungere che fino ad oggi non mi sembra che sia stato fatto molto da parte nostra per mostrare agli americani, fatti alla mano, che esse sono poco o nulla fondate.

Nonostante le ripetute affermazioni del Dipartimento di Stato, quello che io temo è che noi sul piano politico riusciamo, con il concorso francese, a condurre gli inglesi a più miti consigli sulla questione della Tripolitania, per esempio: e che dopo convinti gli inglesi, la cui opposizione ripeto è in maggior misura politica, ci troviamo di fronte ad una opposizione americana assai più difficile a smuovere perché basata su di una concezione tutta loro di quello che è realmente utile per noi.

2 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 640, 648, 706 e 740.

Ritengo-del resto sono stato anche io a sollecitarla-che la soluzione Stato arabo legato a noi con legami contrattuali sia di natura da facilitare molto il suo accoglimento a Londra ed a Washington. Ho però l'impressione -V.E. vorrà scusarmi se mi sbaglio che da parte nostra ci sia ancora qualche eccessivo ottimismo circa la possibilità di cavarcela con dei tour di passe passe per quello che concerne la parte militare e finanziaria. Temo cioè, per dire le cose come sono, che si pensi di poter dire a inglesi ed americani: sì, abbiamo i soldati ed i danari, e chi va poi a vedere se ce li abbiamo realmente?

Questa impostazione può essere assai pericolosa. Non conosco la Tripolitania, ma conosco sufficientemente l'Oriente per potermi permettere di dire che la preparazione politica e diplomatica sul posto è sempre una incognita. Il Governo inglese potrà aiutarci quanto si vuole ma è difficile che esso riesca a controllare tutti i suoi agenti locali. Credo che gli inglesi esagerino quando dicono che succederà l'ira di Dio in Tripolitania al nostro ritorno, ma temo che esageriamo anche noi quando diciamo, o pensiamo, che son tutti pronti a riceverei a braccia aperte. V.E. si ricorderà, per sua esperienza diretta, che anche nel 1911 tutto il lavoro di preparazione politica era stato fatto a perfezione3: e poi abbiamo avuto Sciara Sciat: e questo per non citare altri esempi più recenti e meno democratici. Sono quindi portato a credere che, sostanzialmente, gli inglesi hanno ragione quando ci dicono che l 'unica maniera di evitare torbidi grossi, sia proprio quella di portare subito, a piè d'opera, delle forze tali da togliere ogni velleità di tentare. La fase carabinieri, forze di polizia, forze indigene verrà dopo: potrà forse venire anche molto rapidamente: ma penso che voler cominciare da quella sia esporci a dei rischi troppo grandi.

Il mondo non è più quello di ieri: noi siamo sempre, di fronte all'opinione pubblica mondiale, gli ex fascisti, gli ex aggressori, quelli degli ex metodi di Graziani -che non sono niente di peggio dei metodi usati da francesi ed inglesi in condizioni analoghe, ma che hanno lo svantaggio di essere stati adoperati in tempi molto recenti. Se noi dovessimo andare incontro a delle grosse rivolte -e questo con buona pace dei funzionari specializzati è sempre possibile in un paese dove gli indigeni ci hanno visto in fuga -a parte le spese che comporterebbe, e le ripercussioni all'interno, questo avrebbe certamente delle forti ripercussioni all'O.N.U., nell'opinione pubblica americana (vedi esempio Indonesia), e noi abbiamo anche se non realmente per colpa nostra un record troppo nero per poter rischiare di aggiungercene ancora. Per carità quindi non scherziamo col fuoco.

Specialmente con gli americani poi, bisogna che ci presentiamo bene agguerriti a sostenere l'esame del carico finanziario che tutto questo comporterà per noi. Il bilancio italiano è una cosa che oggi interessa gli americani in primo luogo, e non vorrei che ad un certo punto tutto quello che noi potremo avere fatto a Londra dovesse naufragare a Washington per il carico che esso può rappresentare per il bilancio italiano.

Non nego che un accordo con Londra non sia di prima importanza e necessità: evidente che se noi non troveremo una formula accettabile da Londra, non potremo certo contare sugli americani per forzare la mano di Londra. È vero anche che un diverso atteggiamento inglese potrebbe disporre più favorevolmente a noi la divisione Medio Oriente e forse anche i militari americani. Ma non è meno vero che gli inglesi non si sarebbero lanciati tanto avanti se non fossero stati sicuri dell'appog

177 1 Vedi D. 27.

177 3 Vedi serie quarta, voli. V-VI e VII-VIII.

180

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 899/25. Nanchino, 28 gennaio 1949, ore 19,55 (perv. ore 19,15).

Ambasciatore U.S.A. ricevuto ieri istruzioni non (dico non) aderire invito questo Governo spostarsi Canton. Posizione rappresentanze grandi potenze occidentali può considerarsi quindi ormai fissata.

Invierò colà a giorni funzionario regolandomi su circostanze e atteggiamento altre rappresentanze 1 .

181

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 907/95. Washington, 28 gennaio 1949, ore 12,33 (perv. ore 8 del 29).

Mio 63 1•

In contatti nuovamente avuti con Dipartimento circa progettata Unione doganale italo-francese è stata notata qualche perplessità circa intensificazione cartelli che Unione potrebbe comportare.

Sulla base punto tre rapporto Grazzi a V.E. 2 , per cui tempestivo invio ringrazio, si è già cercato dissipare tale perplessità ponendo in evidenza alinea due preambolo Trattato.

In vista approfondito studio ora in corso presso Dipartimento ed E.C.A. circa passi da compiere a Parigi, gradirei se possibile più ampi elementi circa questione cartelli nel quadro Unione da utilizzare eventualmente in contatti con questi Uffici3 .

menti e programmi in discussione che su essenziali difficoltà previste».

2 Vedi D. 85.

3 Con T. 800/54 del 29 gennaio Grazzi fornì gli elementi richiesti ribadendo la decisione di

entrambi i Governi di non consentire la costituzione di cartelli.

180 1 Con il T. 943/26 del giorno seguente Fenoaltea precisò che avrebbe inviato a Canton il consigliere C ippico. 181 1 Del 19 gennaio, con il quale Tarchiani aveva richiesto notizie più dettagliate sia su «docu

182

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 912/27. Gerusalemme, 28 gennaio 1949, ore 23 (perv. ore 8 del 29). Mio telegramma n. 251•

Ministro degli affari esteri Shertok mi ha fatto pervenire tarda sera messaggio seguente con preghiera trasmissione V.E. ed intesa che nessuna pubblicazione relativa argomenti trattati verrà per ora effettuata.

«Governo provvisorio Israele ha studiato promemoria presentato Silimbani il quale espone principali questioni che interessano Governo italiano allo stadio attuale sue relazioni con Israele.

Governo Israele sarà lieto negoziare con Governo italiano scopo pervenire accordo sui punti esposti promemoria. Per quanto concerne stabilimenti religiosi, missionari, ospedali, insegnamento, resta inteso che ogni misura discriminatoria sarà ritirata e che loro esistenza e funzionamento continuativo saranno assicurati».

Promemoria sopracitato comprendeva questioni menzionate mio telegramma n. 162 . Per esclusione misure discriminatorie devesi intendere applicazione nostre istituzioni stesso regime che verrà concordato per le istituzioni dipendenti Vaticano ed altri paesi. Ciò si riferisce principalmente Francia la quale ottenne da Governo turco concessione diritti privilegio per tutte istituzioni cattoliche Palestina in base Trattato Mitilene 1901 e successivo accordo complementare 1913.

Per ragioni tecniche seguito presente telegramma verrà trasmesso domani3 .

183

IL MINISTRO A L' AJA, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 914/11. L'Aja, 28 gennaio 1949, ore 19,18 (perv. ore 8 del 29).

Direttore generale affari politici di questo Ministero degli affari esteri mi ha dato oggi seguenti chiarimenti 1:

2 Vedi D. 111.

3 Vedi D. 191. 183 1 Risponde al D. 168.

A seguito e conclusione delle numerose conversazioni avute col Dipartimento di Stato circa la questione della partecipazione italiana alla elaborazione del progetto per la amministrazione internazionale di Gerusalemme ed all'amministrazione stessa, questa ambasciata ha rimesso, in data 18 corrente, al Dipartimento di Stato, opportunamente illustrandolo, un memorandum (all. 1)2 riassuntivo dei nostri punti di vista sull'argomento.

In data odierna il Dipartimento di Stato ha consegnato a questa ambasciata un promemoria di risposta di cui si allega copia (all. 2)2 .

Nel promemoria è detto che il Governo degli Stati Uniti ha preso in favorevole considerazione il desiderio italiano. Tuttavia, poiché in base alla mozione adottata dell'Assemblea delle Nazioni Unite l' 11 dicembre u.s. spetta alla Commissione di conciliazione il compito di preparare dettagliate raccomandazioni circa l'argomento in oggetto alla quarta sessione regolare dell'Assemblea generale dell'O.N.U., il Dipartimento di Stato ritiene opportuno che il Governo italiano faccia presente il proprio punto di vista alla Commissione di conciliazione che ha ora sede a Gerusalemme.

Il Governo degli Stati Uniti ha impartito istruzioni al suo rappresentante nella Commissione di conciliazione di appoggiare una proposta in base alla quale la Commissione prenda conoscenza, per il tramite del nostro rappresentante a Gerusalemme, del progetto che il Governo italiano riterrà opportuno presentare alla Commissione di conciliazione.

Il Dipartimento dichiara inoltre di non essere pel momento in grado di esprimere un giudizio sulla possibilità o meno di adottare per Gerusalemme un regime che si modelli su quello di Tangeri. Tuttavia, alla luce delle raccomandazioni che potranno essere fatte dalla Commissione di conciliazione, il Governo americano sarà a suo tempo lieto di prendere in considerazione il parere espresso dal Governo italiano a tale proposito.

Verbalmente ci è stato aggiunto che il rappresentante americano, signor Ethridge, che conta giungere a Gerusalemme entro la prima decade di febbraio, ha ricevuto istruzioni di rendersi efficace interprete presso i rappresentanti francese e turco della Commissione di conciliazione del desiderio italiano e ci è stato raccomandato che il nostro rappresentante a Gerusalemme si mantenga in contatto con il predetto signor Ethridge. Il Dipartimento informerà inoltre del nostro passo, e della risposta dataci, le ambasciate americane a Parigi e ad Ankara per le opportune comunicazioni a quei Governi. Ci è stato amichevolmente suggerito che da parte nostra si provveda ad interessare alla cosa i Governi turco e francese.

Da parte di questa ambasciata si è risposto che ci risultava che eravamo in proposito in costante contatto col Governo di Parigi e che da tempo avevamo fatto presenti ad Ankara le nostre vedute generali sull'argomento. Avremmo tuttavia trasmesso a codesto Ministero l'amichevole suggerimento del Dipartimento.

Per quanto riguarda la questione specifica del futuro di Gerusalemme, al Dipartimento permane l'atteggiamento di attesa già ripetutamente segnalato. Si è potuto però notare ancora una volta una certa tendenza a favorire un progetto ridotto di protezione internazionale, che importi per le Nazioni Unite il minimo di responsabilità amministrativa e di peso finanziario.

182 1 Vedi D. 174.

187

IL MINISTRO A PRAGA, VANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 162/109. Praga, 28 gennaio 1949 (perv. il 31). Mio rapporto n. 97/67 del18 gennaio u.s. 1 .

Alcuni organi di stampa estera, nel riportare la notizia dell'udienza concessa giorni or sono dal presidente Gottwald ad alcuni rappresentanti dell'Episcopato cecoslovacco, hanno valutato l'avvenimento come un sintomo di migliorati rapporti tra Chiesa e Stato in Cecoslovacchia.

Questi giornali non tralasciavano di aggiungere, tuttavia, che nulla era trapelato della materia del colloquio.

Ora, effettivamente vi è stata, mercoledì 19 corrente, la prevista conversazione durata circa un'ora e mezza tra il presidente Gottwald ed una delegazione dell'Episcopato cecoslovacco, conversazione preceduta il giorno prima da una riunione dei vescovi della Repubblica. In essa la delegazione ha riaffermato al presidente l'intenzione dei vescovi della Chiesa di lavorare ai fini della pace e per il benessere del paese ed ha domandato, poi, perché mai lo Stato si accanisse tanto a perseguitare in tutti i campi la Chiesa. A sostegno di tale affermazione la delegazione ha illustrato tutta la recente azione del regime contro le scuole, la stampa e le organizzazioni cattoliche.

Il presidente Gottwald ha obbiettato, quanto al primo punto, che la legge sulle scuole era stata sospesa; obbiezione che i vescovi hanno immediatamente smentita con dati di fatto.

Il presidente ha detto d'ignorare i fatti addotti ed è quindi passato a recriminazioni generiche sull'attività reazionaria di certi circoli religiosi e del Vaticano ed ha rimproverato ai vescovi di perseguire quei sacerdoti che collaborano col regime e di non mostrare invece alcuna severità per quelli ad esso ostili. Concludendo, ha invitato la delegazione a porre per iscritto i suoi desideri ed a comunicarli oltre che a lui anche al presidente del Consiglio Zapotocki ed al ministro della giustizia Cepicka, perché egli, Gottwald, «non aveva competenza per intervenire direttamente nella quistione».

Praticamente, dunque, la conversazione s'è conclusa senza alcun risultato. Né risultato concreto, né manifestazioni di propositi più concilianti per l'avvenire. l vescovi assumono, anzi, che dall'abboccamento è risultata chiara la volontà di negare la verità c di persistere per la via intrapresa. In tal senso i circoli vicini all'Episcopato sono scettici e prevedono giorni peggiori per la Chiesa e per i cattolici (monsignor Beran, che ebbi occasione di incontrare ieri, mi apparve sfiduciato e l'ottimismo degli scorsi giorni era del tutto svanito).

In connessione con l 'udienza della delegazione vescovi le va posta anche quella accordata il 21 corrente -cioè due giorni dopo -da Gottwald al ministro per la unificazione Srobar (slovacco ed in cuor suo ostile al regime). Lo Srobar, a

Lista unica o liste separate. Baldwin ha dimostrato molto interesse al problema, ed ha chiesto la mia opinione. Ho risposto che consideravo auspicabile un fronte unico di tutti gli italiani, ma che la realizzazione di esso presentava non poche difficoltà. Mi ha domandato allora se il mettere insieme, nella medesima lista, gente di sinistra e di destra, non potrebbe influenzare sfavorevolmente certi ambienti, specialmente quelli operai. Ho replicato che la preoccupazione era certamente fondata, ma che, d'altra parte, il mancato accordo fra i partiti italiani, potrebbe dar luogo a delle astensioni in altri ambienti.

(Come ti ho già riferito, l'idea del «blocco» pare che stia guadagnando terreno. I liberali, i qualunquisti e il P.R.I. vi sono favorevoli, apertamente i primi due, ma sostanzialmente anche il terzo. La Democrazia cristiana continua a riservarsi, il che è naturale, essendo il partito più forte, quello che, in definitiva, farà pendere la bilancia nell'un senso o nell'altro. Decisamente contrario sarebbe, invece, il Partito socialista, il quale pensa, o si illude, di poter conquistare, se solo, o alleato, tutt'al più, coi repubblicani, imponenti suffragi. Per il «blocco» si sono altresì dichiarate alcune organizzazioni «apartitiche», quali la Compagnia dei volontari giuliani, gli Esuli chersini, i Deportati antifascisti. Il problema si sta ormai presentando, all'opinione pubblica, vivo e attuale. Ma purtroppo nessuna voce da Roma si è fatta ancora sentire. Che cosa fa Innocenti? Da quasi due mesi egli non è più tornato a Trieste, e non ha più dato segno di sé, mentre il tempo incalza, e qui vi è bisogno di qualcuno che, investito della necessaria autorità e fornito dei mezzi necessari, raccolga le file della situazione, renda noti i desideri di Roma, consigli ed esorti. Tutte cose che non può e non deve fare il sottoscritto, per le tante ragioni ben note).

Numero dei consiglieri. Come ricorderai, era stato proposto al G .M.A. di aumentare i seggi di Trieste (da 60 a 80) e di diminuire quelli dei Comuni minori: ciò per evitare che, giudicando il risultato elettorale dal numero dei seggi conquistati, anzichè da quello dei voti, se ne possa ricavare l'erronea impressione di un successo sloveno. Semplice questione di ottica, e tuttavia di una certa importanza. Basti, infatti, pensare che, mentre a Trieste i consiglieri sarebbero 60 su 200 mila elettori, negli altri cinque Comuni, dove gli elettori sono circa 16 mila (quasi tutti slavi), i consiglieri saranno altrettanti.

Il G.M.A., pur riconoscendo il fondamento della proposta, pare che non abbia voluto aderirvi, per non discostarsi troppo dalla legge italiana e per non prestare il fianco alle critiche degli avversari, In compenso, avrebbe deciso di aderire ad un'altra proposta, quella di tenere le elezioni in date diverse, prima a Trieste e poi nei Comuni minori.

Della questione mi ha ora parlato Baldwin, di sua iniziativa. Anch'egli è del parere che convenga accrescere il numero degli amministratori triestini, e conta di far riaprire la discussione in seno al prossimo «Council». Naturalmente, l 'ho vivamente incoraggiato.

Bilinguismo. Sono venuto io in argomento, richiamandomi ad una recente conversazione con il generale Airey nel corso della quale ero stato pregato di studiare la questione e di sottoporgli qualche eventuale proposta.

Il G.M.A. è preoccupato che le operazioni elettorali abbiano a svolgersi nella più perfetta regolarità e nel rispetto delle esigenze della minoranza slava: ciò ad evitare le solite proteste all'O.N.U., che potrebbero giungere fino ad una formale richiesta di annullamento della consultazione. Il G.M.A. pensa, fra l'altro, che gli atti connessi con le operazioni elettorali (manifesti e istruzioni emananti dall'autorità, certificati elettorali, schede elettorali ecc.) debbano portare oltre alla dicitura italiana, anche quella slovena.

Resta peraltro inteso (e il G.M.A. l'ha confermato ufficialmente più volte) che nella Zona vi è tuttora una sola lingua ufficiale, l'italiana, e che la dicitura slovena non avrebbe che il valore di una traduzione, a vantaggio di coloro che non comprendono il nostro idioma.

Quest'ultima precisazione semplifica il problema, ma non lo risolve. Infatti, se non vi saranno difficoltà nei Comuni periferici (dove già vengono emesse carte d'identità bilingui), e così del pari per gli atti emananti dalla Prefettura (organo del Governo, il quale non può che obbedire alle superiori istruzioni), il G.M.A. si scontrerà inevitabilmente con l'atteggiamento negativo del Comune di Trieste.

(È chiaro che il generale Airey gradirebbe un nostro intervento presso la Giunta comunale. Ma a parte il fatto che con ogni probabilità non otterremmo nulla, mi domando se un siffatto intervento sia opportuno, data la sensibilità morbosa dei triestini in questa materia, e tenuto anche conto che presteremmo, in definitiva, un appoggio alla creazione di un pericoloso precedente. Vorrei tanto, caro Guidotti, che tu mi facessi sapere il tuo avviso su questa grossa e delicata questione, e ti sarò anche grato se, parlando con Baldwin, gli chiarirai, come ho cercato di far io, la necessità di procedere con prudenza).

Zona B e jugolire. Come sai, il pro f. De Castro, dopo aver conferito con te, con Conti e con d'Ajeta, ha voluto raccomandare il suo progetto a questi due consiglieri politici. Giorni or sono, Sullivan ha fatto indirettamente sapere che avrebbe desiderato che l'iniziativa fosse lasciata cadere. Mi sono perciò preoccupato di conoscere anche le reazioni di Baldwin. Sono identiche. Egli ha trovato il progetto di notevole interesse, ma non crede che sia il caso, nella presente situazione, di darvi un seguito.

Ancora poche parole. In un occasionale incontro con il generale Airey, questi si è dichiarato spiacente che la pubblicazione del suo ultimo rapporto trimestrale abbia dovuto subire un ritardo. Ciò sarebbe stato causato da certe perplessità americane circa la data delle elezioni che, nel predetto rapporto, veniva indicata per la fine di maggio o i primi di giugno. Queste perplessità, egli ha aggiunto, sono state ora superate.

Ho appreso poi, indirettamente, che Airey sarebbe seccato per il viaggio di Dulci e Coen. A suo avviso, i due pellegrini non meritavano tutta l'importanza che si è loro data in America, ed ha lamentato che siano stati ricevuti da alti funzionari del Dipartimento di Stato. Tanto più, avrebbe concluso, che ai colloqui era presente anche Joyce, il quale passa per un esperto di cose triestine, ma che «delle cose triestine non ha capito mai nulla». La quale frase, se effettivamente pronunciata, avvalora l'ipotesi che fra Airey e Joyce non corressero, da ultimo, rapporti troppo cordiali e che Airey abbia avuto motivo di dispiacersi dell'azione qui svolta da Joyce, al punto, forse, di sollecitarne la sostituzione 1•

187 1 Non pubblicato.

188 1 Per la risposta vedi D. 241.

189

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATA PERSONALE S.N. Washington, 28 gennaio 1949.

Come hai visto, anche il fantasma del Patto di Bruxelles si è quasi completamente dileguato, conformemente ai vostri desideri.

Ti confermo quanto ti ho scritto nella mia lettera del 14 1 e cioè che, pur esponendo a voi la nostra opinione favorevole alla doppia adesione, non abbiamo mai mancato di prospettare qui il contrario atteggiamento del Governo.

Ti assicuro, inoltre, che non parleremo più di Patto di Bruxelles, se non nella misura in cui ce ne parleranno gli americani. Consentimi, però, di credere che la contraddizione fra quanto riferivamo noi e quanto riferivano le altre ambasciate in Europa circa la connessione fra i due patti non derivava da un nostro «chiodo fisso», bensì dal fatto che la Francia e l'Inghilterra non desideravano la nostra adesione all'Unione Occidentale, proprio per le ragioni che inducevano noi a considerare tale adesione come propizia. Ho visto che Berard (il consigliere dell'ambasciata di Francia a Washington, attualmente a Parigi) ha affermato che i paesi dell'Unione Occidentale avranno la precedenza nelle forniture militari, da stabilirsi negli accordi tecnici complementari del Patto atlantico. Io non credo affatto che gli americani si siano impegnati in tal senso e credo invece che siano ben disposti verso di noi anche in questo campo. Del resto, ciò sembra confermato dalle dichiarazioni a suo tempo fatte a Marras2 . Tuttavia le dichiarazioni di Berard sono, a mio avviso, un primo sintomo del pericolo che quei paesi approfittino della nostra esclusione dal Patto di Bruxelles per cercare di assumere una posizione preminente fra i contraenti del Patto atlantico. Questo pericolo è esattamente quello a noi segnalato fin dal novembre scorso3 , cioè non appena si è delineata la distinzione fra il Patto atlantico e quello di Bruxelles; ma, come tu ben dici, è bene che di queste cose Roma si convinca da sé.

190

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER TELEFONO 923/22. Londra, 29 gennaio 1949, ore 13,25.

Telegramma ministeriale 24 1•

2 Vedi serie undicesima, vol. l, DD. 719, 761, 762, 765, 785 e, in questo volume, D. 3.

3 Jbid., D. 628.

Sir Stafford Cripps mi ha convocato stamane per farmi seguente comunicazione che desiderava fosse da me trasmessa a codesto ministero prima che fosse formalmente annunciata: «Il Comitato dei Nove incaricato all'ultima riunione del Consiglio

O.E.C.E. di studiare opportuna riforma nell'organizzazione, raccomanderà al Consiglio del 17 febbraio prossimo: l) che sia nominato un gruppo di quattro consiglieri che assistano il presidente nel lavoro dell 'O.E.C.E. negli intervalli tra le riunioni del Consiglio; 2) che i quattro consiglieri siano designati da Francia Gran Bretagna Italia e un paese scandinavo, probabilmente Svezia; 3) il gruppo suddetti consiglieri dovrà dare la direttiva politica a tutto il movimento per la cooperazione economica europea e dovrebbe riunirsi a Parigi per almeno una settimana ogni tre mesi o più spesso qualora necessario; 4) il Consiglio dei Diciannove dovrebbe riunirsi ogni trimestre per esaminare le relazioni presentate dal presidente e dal gruppo consultivo di cui sopra».

Sir Stafford Cripps ha aggiunto che sarà lui stesso il rappresentante britannico nel nuovo gruppo consultivo e che Schuman rappresenterà la Francia. Mi ha indicato che si ritiene opportuno che rappresentante italiano sia persona di indubbia competenza tecnica e di prestigio e mi ha lasciato comprendere in via del tutto confidenziale che designazione ministro Lombardo sarebbe opportuna e gradita.

Cripps ha tenuto a sottolineare la grande simpatia con la quale nelle conversazioni in argomento con Schuman e Spaak era stata unanimemente riconosciuta importanza e necessità partecipazione Italia.

189 1 Lettera che, tuttavia, era partita a firma del consigliere Luciolli, vedi D. 75.

190 1 Del 25 gennaio , con il quale d'Ajeta aveva informato che il 15 febbraio si sarebbe riunito il Comitato ristretto dell'O.E.C.E. per discutere della riforma dell'organizzazione, e che le sue conclusioni sarebbero state presentate al Consiglio dei Diciannove del 17 febbraio.

191

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 924/28. Gerusalemme, 29 gennaio 1949, ore 12 (perv. ore 13,45). Seguito telegramma 27 1•

Non ho potuto recarmi immediatamente Tel Aviv per discutere lettera Shertok e richiedere maggiori impegni precisione essendo incominciato sabato tradizionale rigidamente osservato. Manca sopratutto promessa rispetto diritti acquisiti da istituzioni italiane; risarcimento danni sofferti proprietà italiane in seguito occupazioni saccheggi forze armate Israele; restituzione sollecita beni sequestrati Gran Bretagna 1940.

Repentina evoluzione politica inglese, precipitoso riconoscimento cui seguono frettolosamente altri paesi hanno creato Tel Aviv atmosfera euforia presunzione sicurezza nella quale nostre richieste come quelle francesi perdono parte notevole loro peso e valore. Senza tale corsa al riconoscimento, Governo Israele sarebbe stato pronto trattare e far concessioni. Complesse delicate materie diritti storici e gravi arbitrii commessi da Israele inizio ostilità richiedevano ponderato esame e preventivi accordi.

Comunque data situazione da noi non creata mi sforzerò ottenere massimo possibile valendomi ultime istruzioni che V.E. vorrà impartirmi2 .

191 1 Vedi D. 182.

192

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 927-928/85-86. Parigi, 29 gennaio 1949, ore 13,45 (perv. ore 16,30).

Paris, tornato stamane da Londra, mi ha detto che riluttanze inglesi essendo state quasi completamente superate progetto francese per l'Unione Europea è stato quasi integralmente accettato. Mentre mi riservo inviare primo corriere dettagli informo fin da ora che, a quanto mi ha detto Paris, Comitato permanente Bruxelles è stato incaricato redigere progetto Unione sulle istruzioni concordate a Londra da cinque ministri degli esteri; progetto non potrà essere molto dissimile da quello a noi consegnato a Cannes1 . Quando progetto sarà pronto verrà fatto invito ufficiale a Italia e presumibilmente anche a Irlanda e Stati scandinavi-se sondaggi diplomatici che si faranno presso questi ultimi su loro intenzioni daranno risultati favorevoli-per partecipare Conferenza a carattere diplomatico onde mettere progetto al punto e dare vita a Unione.

Paris suppone che compilazione progetto potrà prendere una settimana o dieci giorni e che Conferenza potrebbe avere luogo fine febbraio o primi marzo; non si sa ancora chi farà invito e dove si terrà Conferenza.

Paris mi ha detto che, pur non avendo partecipato conversazioni Patto atlantico, sua impressione è che in convegno Londra si sia riusciti rimuovere riserve inglesi per nostra partecipazione Patto atlantico, per cui non dovrebbe esserci oramai difficoltà, considerandosi sufficiente nostra partecipazione Unione Europea per adempimento condizione desiderata da America.

193

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 934/6. Copenaghen, 29 gennaio 1949, ore 13,50 (perv. ore 17).

Governo danese, mentre intende spiegare fino all'ultimo azione mediatrice tra posizioni divergenti Svezia e Norvegia, non sembra più disposto, come lo era fmo alla Confe

192 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

renza di Copenaghen, a solidalizzarsi con Norvegia qualora questa aderisse al Patto atlantico in seguito al fallimento, ritenuto più che probabile, delle trattative in corso per un patto scandinavo. Una più meditata valutazione situazione internazionale e scandinava in particolare, esitazioni e perplessità maggiori partiti danesi a vincolare proprio paese ad alleanze extra scandinave, convinzione che armamento americano non potrebbe essere concesso Danimarca con priorità su altri paesi che aderiranno Patto atlantico inducono questo Governo, qualora la Norvegia aderisse al patto stesso, a rimanere a fianco della Svezia dalla quale si assicurerebbe il maggiore possibile rifornimento di armi.

191 2 Vedi D. 204.

194

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 935/19. Mosca, 29 gennaio 1949, ore 16,30 (perv. ore 17).

Lunga dichiarazione Ministero esteri sovietico sul Patto nord-atlantico è pubblicata stamane da tutta la stampa sovietica integralmente e in grande rilievo. Conformemente anche ad impressioni altre rappresentanze diplomatiche più direttamente interessate, ritengo che il documento rimanga nei limiti di uno dei tanti atti della guerra psicologica in corso e non abbia alcuna particolare conseguenza nella effettiva azione politica sovietica. Si tratta di una comprensibile reazione polemica alla pubblicazione del Dipartimento di Stato ed alla campagna americana destinata preparare quella opinione pubblica alla partecipazione al Patto atlantico. In sostanza i sovietici riconfermano la loro direttiva costantemente contraria ad ogni blocco comunque da loro non controllato e pur nella asprezza del linguaggio non mancano di riaffermare la loro politica di pace e la loro fedeltà alle Nazioni Unite. Il documento ha principale scopo di propaganda e cioè quello di mantenere sotto pressione opinione pubblica interna agitando un pericolo di aggressione cui realmente questo Governo non crede e soprattutto di influenzare quelle estere nella speranza se non di impedire almeno di rendere più lungo e più malagevole il cammino verso conclusione del Patto atlantico.

195

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 944/9. Oslo, 29 gennaio 1949, ore 16,15 (perv. ore 22).

Atteggiamento positivo dei quattro paesi nordici nei riguardi della progettata Unione Europea, di cui fra l'altro al comunicato di ieri della riunione dei ministri

degli esteri, non costituisce -per quanto riguarda Norvegia -nessun passo avanti nella considerazione generale di quel problema. Essa rimane per il momento quale da me accennata nel mio rapporto n. 22 del 13 corrente1•

196

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 945/50-51. Belgrado, 29 gennaio 1949, ore 21,45 (perv. ore 5,30 del 30). Delegazione comunica:

«Telegramma 38 1 . Rapporto n. 214/22 in data 27 gennaio2 . Ho avuto nuovo lungo colloquio con presidente delegazione jugoslava Merlj il quale mi ha detto:

l) che era autorizzato da Kardely comunicarmi che nostra proposta circa arbitro neutrale non può essere accettata;

2) che commissione mista non è gradita Governo jugoslavo perché (mi ha lasciato [intendere]) dovrebbe operare in territorio ceduto. Tuttavia, desiderando evitare rifiuto da parte del suo Governo, mi ha pregato che venga esaminata possibilità modificare nostre proposte nel senso che attuale conferenza valuterebbe qui singoli beni in base a documenti con ausiliari tecnici che si recherebbero sul posto in caso di necessità;

3) che il Governo jugoslavo è disposto assumere impegno riconoscere acconti sul valore beni nazionalizzati territorio ceduto, lasciando interamente scoperti beni riforma agraria e confische, con l'evidente scopo diminuire ammontare acconti stessi. Circa tale ammontare Governo jugoslavo desidera avanzare quanto prima proposte espresse ex nova. Avendo Merlj a mia domanda accennato che potrebbe trattarsi di qualche milione di dollari gli ho risposto che questa base mi sembra del tutto insufficiente. Egli si è riservato indicarmi cifre precise;

4) che tali punti formerebbero oggetto di scambi di lettere, chiudendosi così prima fase trattazione questione. Segue telespresso urgente2 che arriverà corriere martedì mattina. Romano».

195 1 Non rinvenuto, ma vedi D. 203. 196 1 Del 20 gennaio, con il quale Romano aveva trasmesso la richiesta jugoslava degli elenchi dei beni statali e parastatali situati nei territori ceduti. 2 Non pubblicato.

197

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 948/23. Londra, 29 gennaio 1949, ore 20 (perv. ore 7,15 de/30).

Sono stato stamani da McNeil che ha voluto, presente Jebb, confermare soddisfazione Governo britannico per unanimità con quale è stato deciso nella seduta di ieri ministri esteri Unione Bruxelles invitare Italia partecipare Consiglio europeo ed Assemblea. Invito formale ci perverrà al più presto, non appena risoluzione sarà stata perfezionata nei dettagli tecnici. Ho confermato nostra accettazione prendendo atto con compiacimento della comunicazione a nome V. E. 1 .

McNeil è quindi venuto a parlare Patto atlantico. Gli ho ripetuto contenuto telegramma di V.E. 272 che già avevo ritenuto opportuno far conoscere competenti uffici Foreign Office prima della seduta di ieri. McNeil ha sottolineato che esitazioni britanniche circa nostra immediata inclusione Patto erano esclusivamente carattere tecnico come espressomi da Bevin: riconfermava però in modo esplicito che, di fronte eventuale invito americano e unanimità nostro Governo nell'accettare, Gran Bretagna non solo non si sarebbe opposta, ma sarebbe stata ben lieta vedere Italia partecipare al Patto.

Nel tono di McNeil come in quello di Cripps nel colloquio di poche ore prima (mio 22)3 era palese desiderio mettere in evidenza parte presa da Governo britannico in queste decisioni a noi favorevoli.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL POPOLO ITALIANO

RADIOMESSAGGI04 . 29 gennaio 1949, sera.

Uomini e donne d'Italia,

Voi avete appreso ieri la costituzione dell'Unione Europea, la formazione del Consiglio europeo che ne sarà l'anima e la guida, e l'invito all'Italia non solo di fame parte, uguale fra uguali, ma di entrare subito nei contatti definitivi che daranno l'ultimo tocco alla grande idea.

Di tutto ciò voi dovete esser lieti ed orgogliosi come europei, come italiani, come amici veri della pace. Una terza guerra mondiale significherebbe la distruzione dell'Europa; e questo pericolo non può essere allontanato che dall'unione di un'Europa aperta a tutti gli uomini liberi e pacifici.

Al nostro popolo che dato prova di una vitalità che lo ha rapidamente sollevato dai disastri di una guerra che esso non volle, io auguro ch'esso si acquisti presto il solo primato che alla lunga conta: quello delle idee. Come acquistarlo? Affermandoci araldi di quell'Unione Europea che tanto più sarà sicura del suo avvenire quanto più eliminerà formule assolutistiche e preconcetti. La storia è come un fiume che si apre le vie verso il mare; sappiamo dove il fiume sboccherà ma non attraverso quali pianure.

A noi basti sapere oggi che questa è l'ora dell'Europa. Anche i popoli dai nomi più carichi di gloria come il francese, l'inglese, l'italiano saliranno nell'ammirazione del mondo intero se mostreranno comprendere i loro doveri verso la maggior patria comune troppo a lungo misconosciuta.

Non crediate italiani, che queste sono utopie. Anche Mazzini fu irriso come utopista quanto predicava l'unità politica del nostro paese. Non credere all'Europa significa guardare indietro. E i popoli che guardano indietro sono perduti.

È anche perché vogliamo che questa nostra Italia continui all'infinito la storia ricca di tante glorie, che noi esprimiamo il voto ardente ch'essa si guadagni presto un posto d'onore fra i creatori de li'organizzata Europa democratica di domani.

Poiché la mia voce passerà al di là delle Alpi, permettetemi che prima di finire esprima qui i ringraziamenti più cordiali ai ministri degli affari esteri che si trovarono tatti concordi nel chiedere l'arrivo della libera Italia in mezzo a loro.

197 1 La sera del 29 Sforza pronunciò alla radio il messaggio che si pubblica in allegato. 2 Vedi D. 156. 3 Vedi D. 190. 4 Originale autografo.

198

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 949/99. Washington, 29 gennaio 1949, ore 21,59 (perv. ore 7,15 de/30).

In via strettamente confidenziale, apprendo Jebb comunicato ad ambasciatore Stati Uniti Londra che Cinque sono d'accordo, ove America lo desideri, per nostra partecipazione Patto atlantico. Dipartimento di Stato conta darmi risposta ufficiale prossima settimana, dato che desiderio americano fu già esplicitamente espresso 1•

199

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, SOARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 29 gennaio 1949.

Il ministro d'Austria è venuto stamani a conferire con me circa il contenuto della lettera n. 119 a lui indirizzata in data 27 corrente dal segretario generale 1•

Schwarzenberg desiderava in sostanza sapere se l'eventuale adesione da parte del Governo austriaco al nostro desiderio che venissero rese pubbliche le assicurazioni già forniteci di un regolamento equo ed umano per quelli fra gli originari altoatesini che non intendano né lasciare l'Austria, né revocare l'opzione avrebbe fatto cadere le «riserve» da noi formulate con il promemoria del22 dicembre s.a. 2 , in relazione alle note decisioni adottate dal Consiglio dei ministri di Vienna in data 2 novembre s.a. Ho spiegato a Schwarzenberg che il nostro promemoria del 22 dicembre non aveva fatto riserve di sorta, ma si era limitato a richiamare lealmente l'attenzione del Governo austriaco, «a scanso di equivoci», sulle conseguenze che le misure da esso adottate il 2 novembre nei riguardi degli optanti residenti in Austria avrebbero potuto avere, alla luce dei principi generali informanti il nostro diritto in materia di cittadinanza, nella valutazione, da parte degli organi competenti, delle domande di revoca delle opzioni formulate dopo tale data.

Ho rilevato che, come era noto a lui stesso, dette misure avevano già sortito l'effetto desiderato da parte austriaca di aumentare molto considerevolmente l'afflusso delle domande di revoca e che pertanto qualsiasi pubblica assicurazione data dal Governo austriaco alla vigilia del4 febbraio (termine per la presentazione delle domande) non avrebbe oramai più valso a mutare la situazione da noi rappresentata con il promemoria suddetto.

La richiesta di pubbliche assicurazioni avanzata con la lettera del27 gennaio aveva invece per obbiettivo di calmare l'apprensione suscitata dai provvedimenti austriaci in molti altoatesini desiderosi di rimanere in Austria e di conservarvi le situazioni da essi acquisite. Tale nostro desiderio era fondato, oltreché su generici principi di umanità, sull'interesse comune all'Italia ed all'Austria di porre fine alle numerose reazioni e discussioni provocate in Austria e in Alto Adige, nonché sulla stampa e negli ambienti parlamentari italiani, dalle decisioni del 2 novembre e da quelle successive del 30 novembre.

Nel corso della conversazione Schwarzenberg ammise che, sino a novembre, il numero delle domande di riopzione era stato minimo e che era salito ultimamente a circa 11 mila: ed io osservai che 11 mila domande, riferite non ad individui, ma a capi famiglia, porterebbero a circa 30 mila il numero complessivo delle persone candidate al ritorno in Alto Adige.

Nel ringraziarmi dei chiarimenti fornitigli, Schwarzenberg mi assicurò che avrebbe interessato subito il suo Governo nel senso da noi richiesto, ma mi pregò insistentemente di invitare il nostro ministro a Vienna ad appoggiare i nostri punti di vista con maggiore energia al fme di dissipare l'impressione di Gruber che egli, Schwarzenberg, sostenesse le nostre tesi con un vigore superiore a quello spiegato dalla nostra rappresentanza in Austria.

198 1 Ritrasmesso alle ambasciate a Bruxelles, Londra, Ottawa e Parigi ed alle legazioni a L' Aja e Lussemburgo con il T. s.n.d. 825/c. del 30 gennaio.

199 1 Non pubblicata: la lettera di Zoppi rispondeva a quella inviatagli da Schwarzenberg per trasmettergli il D. 107.

200

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 275/58. Montevideo, 29 gennaio 1949 (perv. il 5 febbraio).

Fin dai primi contatti con questo Ministero degli affari esteri, mi è sembrato che le cortesi allusioni a rapporti sempre migliori che mi venivano rivolte potes

sero avere qualche obiettivo concreto e prossimo. Le prime precisazioni non si sono fatte attendere.

Il signor Ariosto Gonzales, direttore generale degli affari economici, uno dei funzionari più apprezzati ed influenti e che è anche in stretto contatto con il circolo del presidente, mi ha a lungo parlato del nostro trattato di amicizia, commercio e navigazione con gli Stati Uniti e, a titolo di evidente sondaggio, ha espresso l'augurio che Italia e Uruguay possano presto arrivare alla conclusione di un accordo ugualmente vasto. Pur senza dare adito ad alcuna speranza sul merito, mi sono guardato dal provocare l'impressione di respingere a priori l'avance. Se pur mi poteva sembrare che la proposta fosse sproporzionata all'importanza di questo paese, non potevo dimenticare il nostro interesse a riscaldare la cordialità dei rapporti con l 'Uruguay in un momento in cui abbiamo tanto bisogno dell'appoggio sudamericano, né potevo dimenticare le istruzioni di V. E. dopo il protocollo di amicizia con l'Argentina; così mi sono tenuto su di un piano di generica cortesia rispondendo che, personalmente, ritenevo che il mio Governo avrebbe sempre esaminato con cordiale interesse tutto ciò che potesse valere a stringere maggiormente i legami tra i nostri paesi.

Pochi giorni dopo, il signor Gonzales, approfittando di una delle conversazioni che ho desiderato di avere con lui in relazione ai nostri scambi commerciali (di cui ho riferito già e di cui mi riservo di riferire ancora a parte) ritornava nuovamente sull'argomento e, sempre richiamando, come prototipo, il nostro trattato con gli Stati Uniti e aggiungendo di avere a fondo esaminato la questione con il presidente, mi dichiarava esplicitamente che il suo Governo avrebbe desiderato di entrare in trattative con noi per la conclusione di un vasto accordo di commercio e di amicizia. Aggiungeva che questo desiderio corrispondeva anche a una convenienza in quanto un trattato con noi avrebbe potuto facilitare la conclusione di altro analogo con gli Stati Uniti che volle farmi credere essere nei voti. Confermando la impressione precedentemente espressa, ho lasciato intendere al signor Gonzales che avrei gradito qualche maggiore indicazione su di una proposta che era stata l'oggetto di così autorevole esame e su i motivi che l'avevano ispirata. Provavo anche qualche meraviglia-che ho appena lasciata sospettare -per il fatto che il ministro degli esteri aveva conservato e conservava con me il più scrupoloso silenzio su questo argomento, per quanto sapessi che il signor Castellanos si apparta spesso e volentieri e lascia che i suoi funzionari migliori lavorino anche oltre i limiti rigidi delle rispettive competenze.

Ed ecco che il signor Gonzales, stamane, in una conversazione cui ha tenuto a dare il tono di grande segretezza, ha dimostrato di avere ben compreso il mio pensiero e mi ha fatto le ampie dichiarazioni che qui riassumo nei seguenti punti:

l) l'Uruguay desidera di addivenire con l'Italia a due separati trattati: il primo dei quali dovrebbe essere un «Tratado de soluciones pacificas de conflictos internacionales (arbitraje)», il secondo un «Tratado de amistad, comercio y navigacion».

2) L'Uruguay ritiene che trattati di tal genere con l 'Italia rafforzerebbero la sua posizione nelle trattative per quello che è già chiamato a fare (Stati Uniti) o per quelli che può essere chiamato a fare (ad esempio Argentina) in opposte direzioni. (Osservo che in un primo tempo il Gonzales, ad arte, aveva voluto !asciarmi credere che il desiderato trattato con l'Italia avrebbe giovato come precedente per la convenzione di un accordo che si desiderava di andare a fare con gli Stati Uniti).

3) Poiché le conversazioni per un trattato con gli Stati Uniti sono già da tempo iniziate e già si discute su testi e contro testi e poiché gli Stati Uniti dimostrano una certa fretta di concludere, questo Ministero desidererebbe di avere, con una certa sollecitudine, una nostra risposta sia pure ufficiosa circa la sua proposta pure officiosa e di massima.

4) Il signor Gonzales mi ha assicurato che il ministro era al corrente delle sue conversazioni con me e che, se lo avessi desiderato, avrebbe pregato il signor Castellanos di confermarmelo. A mia richiesta, mi ha dichiarato che io ero libero, parlando

o scrivendo al ministro, di riferirmi alle nostre conversazioni.

Credo ora opportuno un breve commento ai suesposti punti, perché esso potrà illustrare i motivi che dirigono il paese uruguayano.

Dalla conversazione di stamane, dove io ho cercato di spingermi il più lontano possibile nell'indagine sui rapporti di questo paese con gli altri Stati americani, ho ricevuta la netta impressione che la proposta che ci viene fatta faccia parte del gioco di influenze e di difese che pare divenire ogni giorno più serrato.

Se non cado in errore, l'Uruguay teme una dominazione economica del Nord America e teme ancor più di diventare la vittima di analoghi tentativi di invasione economica, che potrebbero essere anche corroborati da qualche pretesa o pressione d'ordine politico, da parte dell'Argentina.

Quanto siano giustificati questi timori non posso dire e del resto, agli effetti di questo commento, è sufficiente che esistano. In proposito tuttavia potrei aggiungere che -secondo il signor Gonzales che esponeva evidentemente un generale convincimento del suo Governo -gli Stati Uniti annetterebbero tanto interesse al loro trattato con l'Uruguay, non perché questo paese rappresenti un mercato importante, ma perché lo stipulando trattato dovrebbe servire di precedente per facilitare la conclusione di analoghi accordi con altri Stati sudamericani che più interessano (Perù, Bolivia, Venezuela ed altri Stati equatoriali). Il prestigio morale e la posizione dell'Uruguay nell'Organizzazione degli Stati americani, darebbero valore a questo precedente, che non si esclude possa anche venire «commerciatO>> da questo Governo in quanto si rimanga dentro certi limiti che non si vorrebbero superare. Nei confronti deli'Argentina si tratta soprattutto di una difesa da improvvise pretese nel campo economico che diventerebbero tanto più probabili quando fossero fatte notevoli concessioni agli Stati Uniti, tenuto conto della politica di prestigio di Peròn e si tratterebbe anche, a mio modo di vedere, di un nuovo effetto di quel timore vago, ma diffuso e profondo, che desta qui l'irrequieto vicino.

Ora, due sono i punti che l'Uruguay non è disposto a concedere agli Stati Uniti oggi, all'Argentina, eventualmente, domani: l) l'assoluta libertà di entrata e di uscita nel suo territorio dei capitali americani; 2) lo stato giuridico delle persone e dei beni americani che si vorrebbe regolato dalla legge di origine, sia pure di fronte a una illusoria reciprocità.

L'Uruguay invece non è disposto a superare i seguenti limiti: l) diritto di decidere sull'entrata e sull'uscita dei capitali secondo la tesi già vivacemente sostenuta a Bogotà (e ciò a difesa soprattutto contro i capitali che per la loro importanza

o per la natura degli investimenti potrebbero sconvolgere l'economia del paese e anche a difesa contro i pur pericolosi capitali-rondinella; 2) parità assoluta degli stranieri e dei nazionali di fronte alla legge: cioè a dire, sottomissione degli stranieri alla legge uruguayana, adito alle Corti internazionali nel solo caso di denegata giustizia, ma insindacabilità dei provvedimenti delle ordinarie Autorità giudiziarie e amministrative del luogo.

Gli Stati Uniti esercitano la maggiore pressione per ottenere dall'Uruguay le due concessioni sopra indicate, per il motivo già detto che intendono poi di servirsi del precedente per più facilmente ottenerle anche dai paesi dove possono costituire una formidabile arma economica. L'Uruguay si irrigidisce perché vorrebbe difendersi dall'invadente economia nordamericana ed anche e sopra tutto da una immancabile reazione argentina che seguirebbe alle sue concessioni. La discussione è diventata serrata.

In tale situazione questo Governo pensa che un trattato con una grande potenza europea, del tutto analogo a quello che farà con gli Stati Uniti e altrettanto vasto, potrebbe giovare come mezzo di difesa, sia in via generale, perché ristabilirebbe un certo equilibrio allacciando l 'Uruguay anche ad una potenza europea, sia in via specifica, perché faciliterebbe le trattative con gli Stati Uniti servendo di esempio pratico di attualità e quasi di precedente e attenuando gli effetti di certi privilegi che non sarebbero più esclusivi.

Per attuare questo piano il Governo uruguayano preferirebbe rivolgersi ali 'Italia, non solo in ragione delle simpatie e della fiducia per l'avvenire che essa ispira (così Gonzales) ma anche per via di esclusione, dopo di avere cioè considerato che la Gran Bretagna ha una situazione troppo speciale negli scambi commerciali uruguayani e anche nei rapporti internazionali nei confronti degli Stati Uniti e che la Francia non dà soverchio affidamento soprattutto per il suo sviluppo industriale e commerciale (così ancora Gonzales; io però dubito che, per la Francia, vi entri anche qualche malcontento per l'esecuzione veramente sans géne che essa ha dato al suo nuovo accordo di commercio).

Se mi è lecito farlo, esprimerò a V.E. la mia impressione che la proposta uruguayana potrebbe riservarci qualche interessante vantaggio. Uno, immediato, potrebbe consistere n eli' estensione a noi di quelle speciali preferenze (oltre i limiti del nostro attuale trattato di commercio e della garanzia della relativa clausola della nazione più favorita) che l'Uruguay volesse o dovesse concedere agli Stati Uniti.

Poi le richieste trattative potrebbero stabilire un clima più favorevole ad un nuovo necessario regolamento dei nostri scambi commerciali che languono in causa dei sopravvenuti mutamenti nella situazione economica e valutaria dell 'Uruguay, un clima più favorevole anche all'avvio di una certa emigrazione per la quale non si è ancora usciti dal cerchio delle dichiarazioni di cortesia. Inversamente, un nostro sia pur cortese rifiuto potrebbe raffreddare l'ambiente e render più arduo il conseguimento di quegli scopi.

Ma è soprattutto in un campo più vasto, nel quadro cioè della nostra politica verso gli Stati del Sud America e dei nostri grandi problemi internazionali che mi pare che questo, sia pur modesto, avvenimento possa avere la sua importanza. Mi basti di ricordare la necessità di favorire un più deciso atteggiamento dell'Uruguay a nostro favore nella questione delle colonie e l'altra necessità subordinata di impedire qualche sbandamento alla prossima Assemblea delle N azioni Unite, sbandamento che potrebbe essere provocato dali' improvviso affermarsi di qualche tendenza sentimentale in pro dell'Etiopia (non per nulla l'Etiopia ha inviato anche qui nei passati giorni una missione speciale; mio telespresso n. 232/48 del25 corr.)1•

Non arrivo a dire che di una nostra adesione alla proposta uruguayana noi possiamo costituire un mezzo di pressione ma mi pare che, con ogni probabilità, potremo farcene un argomento di persuasione per rendere più favorevole l'ambiente e un motivo di simpatia e salvaguardia di un improvviso disinteresse per le nostre aspirazioni.

Ma, d'altra parte, V.E. vorrà credere che mi rendo ben conto che la richiesta di questo Governo -su cui mi sono diffuso, perché, per Montevideo, è questione importante-non può essere che un particolare del grande quadro della nostra politica e può subire i riflessi di nostri altri ben più interessanti rapporti. Non mi resta pertanto che pregare V.E. di volermi impartire le sue istruzioni per fissare il mio atteggiamento nel seguito che, alla richiesta in questione, non possiamo non dare2 .

199 2 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 769.

201

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 034. Parigi, 29 gennaio 1949 1•

Riferimento: Mio telegramma odierno 852 .

Le direttive che i cinque ministri degli esteri hanno concordato e hanno impartito all'organismo permanente del Patto di Bruxelles per la redazione del progetto dell'Unione Europea sono, a quanto mi è stato detto dal Quai d'Orsay, le seguenti:

Al lato del Consiglio dei ministri -che non subisce cambiamenti nei confronti del primitivo progetto -viene costituito un «Corpo consultativo» di un centinaio di membri. Ogni paese è libero di scegliere la delegazione che invierà al Corpo consultativo nella maniera che riterrà più opportuna, rimanendo inteso che ne siano esclusi i comunisti.

I delegati dei vari paesi votano individualmente -e non in blocco, come era stato da prima richiesto dall'Inghilterra-e le decisioni del Corpo consultativo vengono prese a maggioranza dei due terzi.

Il Corpo consultativo non ha limitazione di competenza, con la sola eccezione del settore militare, e può anche prendere iniziative alla maggioranza di due terzi. Tuttavia l'ordine del giorno, dopo essere stato votato alla maggioranza di due terzi, deve essere preventivamente approvato dal Consiglio dei ministri; non è stato ancora deciso se questo decida alla maggioranza semplice o alla maggioranza dei due terzi.

Il Corpo consultativo si riunirà una volta all'anno per una sessione di un mese. Non è stato ancora deciso quale aliquota di rappresentanti verrà assegnata a ciascun paese; si suppone che per i maggiori paesi si aggirerà intorno ai 15 deputati.

2 Per la risposta vedi D. 310.

2 Vedi D. 192.

200 1 Non rinvenuto.

201 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

202

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 146/46. Assunzione, 29 gennaio 1949 (perv. il 22 febbraio).

Riferimento e seguito mio te1espresso n. 142/45 in data 28 gennaio 1949 1•

Questo ministro degli affari esteri è rimasto oltremodo lusingato della nota con la quale, come ho avuto l'onore di informare col telespresso in riferimento, gli ho espresso la nostra riconoscenza per il valido atteggiamento a nostro favore assunto dal delegato del Paraguay alla Assemblea dell'O.N.U. a proposito della ammissione dell'Italia fra le Nazioni Unite.

Egli mi ha detto che avrebbe comunicato la mia nota al presidente della Repubblica e che ne avrebbe inviato copia al delegato del Paraguay a Parigi.

Ho colto l'occasione della mia conversazione per far scivolare la conversazione sulle nostre colonie. Il ministro O'Leary mi ha detto che non era ammissibile sostenere una tesi diversa da quella italiana per il ritorno delle colonie all'amministrazione fiduciaria italiana e parlando dell'Eritrea egli mi ha detto testualmente che l'Eritrea nulla aveva da fare con l'Etiopia e che l'Eritrea doveva essere considerata quale terra italiana e che nella prossima seduta d'aprile egli ripeterà istruzioni in tal senso al delegato paraguayano in Parigi.

203

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 156/53. Osio, 29 gennaio 1949 (perv. i/14 febbraio).

Ha avuto luogo ieri, 28 corrente, una delle periodiche riunioni dei ministri degli esteri scandinavi, destinata, come è noto, a coordinare la politica dei quattro Stati nordici (Danimarca, Islanda, Norvegia e Svezia) specie nei riguardi dell'O.N.U. e delle conferenze internazionali. Tale riunione non va confusa con quella apertasi stamani fra Danimarca, Norvegia e Svezia, senza l'Islanda, e destinata a prendere in esame il complesso problema della creazione o meno di un patto regionale scandinavo e della adesione o meno dei tre paesi al Patto atlantico. Su quanto verrà deciso in tale seconda riunione mi riservo riferire con corrispondenza a parte.

Il comunicato diramato alla fine della riunione di ieri tratta dei seguenti argomenti:

l) Prossima Assemblea del! 'O.N.U. I quattro ministri degli esteri hanno scambiato informazioni e pareri sui vari argomenti all'ordine del giorno dell'Assemblea ed hanno constatato il loro accordo di massima in merito alle quistioni di primaria importanza. Hanno deciso che le quattro delegazioni a Lake Success manterranno fra loro stretti contatti e scambieranno i rispettivi punti di vista prima di prendere un atteggiamento definitivo in merito ai singoli problemi.

2) Israele. I quattro ministri hanno dichiarato di essere disposti a riconoscere de facto il nuovo Stato nel prossimo avvenire.

3) Unione Europea. I ministri hanno avuto un provvisorio scambio di idee e pareri circa la proposta creazione di un consiglio consultivo e di una assemblea europea, «secondo quanto è attualmente in discussione fra un gruppo di Stati del continente». Sono rimasti d'accordo di assumere, in linea di principio, un atteggiamento positivo di fronte all'idea, ma di attendere un formale invito da parte degli Stati che hanno preso l'iniziativa, prima di definire maggiormente in dettaglio il proprio punto di vista.

Circa il n. l è degno di rilievo il fatto che il comunicato di ieri è meno impegnativo, in materia di discussioni all'O.N.U., di quelli analoghi precedenti. Si tratta, questa volta, di «comune identità di vedute nelle quistioni più importanti», ma di nessun impegno di votare identicamente.

Il riconoscimento de facto di Israele, ora annunciato, era in realtà già scontato da qualche giorno, dopo l'analogo provvedimento inglese. Circa il problema dell'Unione Europea confermo il mio telegramma n. 9 in data odierna 1• Per quanto riguarda la Norvegia «l'atteggiamento favorevole», di cui parla il comunicato, nulla cambia. Questo paese, per ragioni varie da me già riferite e che stimo superfluo stare a ripetere, non è maturo per prendere una parte veramente attiva nella realizzazione dell'idea di una Unione Europea. Esso si accoderà agli altri paesi occidentali, perché sa di non potersene esimere. Ma da ciò ad una reale comprensione della utilità, sotto ogni punto di vista, della Unione, il passo è ancora lungo, perché la fase del nazionalismo qui, non che superata, è ancora in stato di evoluzione e, direi quasi, di progresso.

202 1 Con il quale Ferrante aveva espresso la convinzione che l'atteggiamento del delegato paraguayano all'O.N.U. avrebbe continuato ad essere favorevole all'Italia sia in materia di ammissione all'O.N.U. che in materia coloniale.

204

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. S.N.D. 827/10. Roma, 30 gennaio 1949, ore 15,30.

Suoi 27 e 28 1•

Ella potrà cercare insistere per formulazione che copra maggior numero possibile nostri interessi in particolare per risarcimento danni sofferti in seguito conflitto palestinese e per clausola nazione più favorita come da punti primo e secondo del

204 1 Vedi DD. 182 e 191.

telegramma ambasciata Parigi che le trasmetto a parte2• Potrà invece esser lasciata da parte per ora questione beni sequestrati da Inghilterra per la quale abbiamo contropartita in notevoli crediti palestinesi in Italia.

203 1 Vedi D. 195.

205

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 958/20. Mosca, 30 gennaio 1949, part. ore 2,51 del 31 (perv. ore 7,20). Mio telegramma 191 .

Dichiarazioni Stalin fatte stasera a giornalista Smith rispondono a domande da questi inviategli il 27 corrente. Poiché d'altronde Stalin riceve continuamente analoghe interrogazioni evidentemente egli ha scelto come ha voluto i quesiti più opportuni ed il momento delle risposte.

Si ritiene qui che le sue dichiarazioni del tutto generiche pur non impegnando a nulla vogliano apparire come un correttivo al duro comunicato di ieri sul Patto atlantico ed al passo di Atanasiev ad Oslo2 .

Comunicato e passo potevano anche nel loro insieme essere interpretati come un irrigidimento sovietico ed un abbandono definitivo di ogni speranza di accordo. Intervento tenderebbe appunto a rettificare tale possibile impressione. I sovieti cioè, pur rimanendo fermi sulle loro direttive essenziali e nemici irriducibili di ogni forma di blocco a loro estraneo, non intendono assumere la responsabilità di rifiutare a priori il loro contributo ad una eventuale distensione ed al contrario vogliono apparirne promotori quanto meno ai loro fini tattici.

206

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 97/39. Nanchino, 30 gennaio 1949 (perv. il 22 febbraio).

Con la «pace locale» conclusasi il 22 corrente, l'assedio di Pechino si è concluso dopo quaranta memorabili giornate. Assedio e condizioni di pace hanno ambedue presen

2 Vedi D. 245.

tato numerosi aspetti singolari e allo stesso tempo tipici di questo paese. Circa l'assedio basterà notare che durante tutta la sua durata si sono svolte trattative tra comunisti e nazionalisti, che agenti rossi installati nella città hanno potuto continuare ad usare una propria stazione radio per comunicare con i propri capi e ciò con il consenso del comandante la guarnigione nazionale, che i rossi hanno continuato a rifornire la popolazione di luce e di acqua dopo essersi impossessati delle centrali elettriche ed installazioni idriche della città, e che a parte l'occasionate lancio di qualche proiettile di piccolo calibro-si calcola un centinaio di colpi in tutto-nell'abitato, quasi come monito di ciò che le artiglierie comuniste avrebbero potuto fare qualora avessero voluto in pieno aprire il fuoco, città e popolazione sono in complesso state risparmiate con soli lievissimi danni. Circa le condizioni di pace con le quali veniva posto fine all'assedio mercè quella che è una resa di fatto ma non di nome, è da notare che esse sono contenute in un «accordo» su tredici punti il quale appare privo o quasi di durezza e non porta traccia di spirito di vendetta del vincitore. Esso prevede: la cessazione immediata delle ostilità, il trasporto e lo stanziamento della guarnigione governativa a vari punti della periferia a scopi di «riorganizzazione», la nomina di delegati delle due parti con creazione di un <<Ufficio misto» politico e militare depositario localmente di ogni autorità durante «il periodo di transizione», la continuazione del funzionamento di amministrazione provinciale, uffici pubblici e scuole fino a nuovo ordine da parte dell'ufficio misto, e così pure della circolazione della moneta governativa, la protezione dei consolati e delle proprietà e persone degli stranieri a Pechino, garanzia della libertà di culto, continuazione della pubblicazione dei giornali tenuti però a rinnovare la licenza e soggetti alla censura che verrà «più tardi» stabilita; continuazione delle comunicazioni postali, telegrafiche e telefoniche con il resto della Cina.

Queste le condizioni nelle quali si è svolto l'assedio ed alle quali è avvenuta la resa di Pechino. L'accordo, nel quale non viene menzionata una sola volta la parola «resa», viene qui giudicato come un capolavoro nell'arte di «salvare la faccia» alla quale i cinesi non temono certo di trovare altrove maestri. E, pur non essendovi dubbi che l'amministrazione cosidetta mista è tale soltanto di nome, e che essa durerà soltanto sino a quando la parte vincitrice avrà deciso essa sola circa la forma nuova e definitiva di amministrazione che dovrà venire successivamente instaurata -fino a tanto cioè che i comunisti troveranno utile far durare il «periodo di transizione» -per il momento il fatto resta che da Pechino si può comunicare col mondo esterno (intendo dire con la Cina nazionalista: non si può ancora telefonare o telegrafare a città della Cina comunista; ma si può uscire dalla città, percorrere alcuni chilometri a piedi e, secondo notizie di questi giorni, recarsi senza difficoltà a Tientsin); che il trapasso di autorità sta avvenendo in modo così privo di scosse da non avere quasi manifestazioni visibili all'interno della città; che qualche aeroplano ha potuto recarvisi da Nanchino e Shanghai e ripartime (e Li Tsung-jen vi ha mandato, senza dame pubblica notizia, emissari personali in vista di un contatto con i comunisti); e che lo stesso Fu Tso-y (che comandava, come è noto, le forze nazionaliste del Nord) il cui nome figurava fra i primi nella prima lista dei «criminali di guerra» pubblicata dai comunisti, è oggi uno dei sei membri della Giunta mista preposta alla amministrazione di Pechino nel periodo di transizione.

Da quando la partita apparve perduta Fu Tso-y -che si considerava il più efficiente fra i generali nazionalisti e quello fornito delle migliori truppe -ritirò tutti i suoi soldati entro le mura di Pechino, facendo assegnamento sulla riluttanza dei comunisti a danneggiare l'antica capitale; «non è Fu Tso-y-qui si disse -che difende Pechino: è Pechino che difende Fu Tso-y». La sensazione che egli stesse negoziando per conto suo con i comunisti -o almeno cercasse di farsi dei meriti presso di loro si ebbe qui fin da quando lo si vide abbandonare importanti centri militari e industriali (Kalgan, Tangshan e altri) non solo senza combattere ma con l'evidente cura di !asciarli ai comunisti intatti (a Kalgan si redassero perfino gli inventari); poi tirò le cose in lungo finché il ritiro di Chiang Kai-shek «per rendere possibile la pace» non gli consentì di firmare la resa senza rendersi colpevole di fellonia. Quanto ai comunisti, non si sa che cosa essi abbiano promesso a Fu Tso-y, oltre al salvamento di faccia e, si pensa, alla cancellazione dalla lista dei «criminali di guerra». L'accordo ha, comunque, consentito loro di liquidare il problema militare di Pechino senza dover né prender di forza la città né continuare ad immobilizzare truppe per assediarla. Del resto, è possibile che i comunisti non abbiano fretta di metter fine al periodo di transizione, di includere cioè ostensibilmente Pechino nella zona di loro diretto dominio: questa specie di città neutra è loro comoda per avere contatti con emissari nazionalisti senza ancora compromettersi ufficialmente in trattative di pace; inoltre, installati a Pechino dovranno rivelare se intendono, come apparrebbe dalle loro più recenti manifestazioni, proclamare un «governo democratico» ex nova da contrapporre a quello in fuga a Canton, o se intendono invece, come sembrava la loro linea fino ad ora, non contrapporre governo a governo ma forzare il Kuomintang ad un negoziato che, con il minimo di concessioni da parte loro, dia loro in eredità il governo legale della Cina con il suo apparato amministrativo e la sua personalità internazionale.

Intanto, l'accordo di Pechino ha anche un interessante valore indicativo. Esso vuoi essere un precedente. Esso mostra l'intento dei comunisti di indurre i governatori di provincia, i comandanti d'armate, le autorità municipali che dipendono dal governo nazionalista -e le rispettive popolazioni -a concludere con essi altrettante paci separate.

204 2 Il testo dei due punti, come telegrafato a Silimbani (T. 828/11) era il seguente: «i) Nota con cui Governo israeliano, in attesa conclusione ulteriori accordi, riconosce diritti stabilimenti francesi e si impegna rispettare loro situazione di fatto, nonché accordare maggiori concessioni eventualmente riconosciute stabilimenti altri paesi: 2) Nota con cui Governo israeliano impegnasi indennizzare danni eventualmente subiti da stabilimenti francesi per azione sue truppe». 205 1 Vedi D. 194.

207

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. S.N.D. 847/12. Roma, 31 gennaio 1949, ore 23.

Telegramma ministeriale l O1 .

Per orientamento di V.S, si comunicano seguenti notizie fomite verbalmente da signor Stem. Codesto Governo non (dico non) sarebbe disposto cambiare testo lettera di cui a suo telegramma 272 . In occasione riconoscimento da parte della Francia rappresentante israeliano Parigi avrebbe per altro rimesso due lettere al Governo francese. Nella prima Governo T el Aviv si sarebbe dichiarato «pronto entrare in negoziati tenendo in considerazione privilegi goduti dalla Francia in passato nonché quelli che verranno accordati

2 Vedi D. 182.

in futuro ad altri paesi». Nella seconda sarebbe stato assunto vero e proprio impegno indennizzare danni subiti da stabilimenti francesi in seguito azione truppe israeliane.

Sarebbe ovviamente indifferente per noi lasciare intatto testo lettera propostaci qualora impegni che desideriamo fossero compresi in una seconda lettera come fu fatto per la Francia3 .

207 1 Vedi D. 204.

208

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 968/11. Osio, 31 gennaio 1949, ore 16,50 (perv. ore 19,30).

Risultato negativo della conferenza per un patto militare scandinavo era quasi, come noto, già scontato da tempo. Non ha destato in conseguenza nessuna sensazione e viene accettato come una necessità, a cui Norvegia non poteva sottrarsi. Circa collaborazione futura tra tre, di cui al comunicato finale, mi riferisco al mio rapporto del3 dicembre 1 .

Una certa sensazione ha destato invece nota russa2 .

Essa ha mancato al suo scopo principale, di influire cioè con una larvata minaccia sui negoziati in corso tra i tre paesi, perché è stata consegnata nel pomeriggio del sabato 29 corrente quando cioè negoziati avevano praticamente preso termine dopo prima riunione mattina e tre delegazioni erano oramai solo alla ricerca di un testo di comunicato che potesse salvare le apparenze con la affermazione di una continuata solidarietà scandinava al di fuori questioni militari.

Unica vera preoccupazione qui è che richieste sovietiche di informazioni circa eventuali basi agli U.S.A., in conseguenza Patto atlantico possano preludere ad una riapertura della questione delle Svalbard.

Politica generale e nota russa saranno discusse in settimana al Parlamento dove Governo è sicuro della unanimità meno voto comunisti3 .

209

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 970/90. Parigi, 31 gennaio 1949, ore 12,20 (perv. ore 22).

2 Vedi D. 212.

3 Vedi D. 245.

Su conversazioni di Londra circa Patto atlantico delegati francesi di ritorno stamane Parigi mi hanno dato seguenti informazioni: Schuman, avendo iniziato discussioni affermando non esser concepibile costituzione associazione difensiva occidentale senza Italia, non ha incontrato resistenza. Cinque ministri hanno concordemente constatato che in seguito passi italiani e dato atteggiamento americano non sussistevano difficoltà per inclusione Italia.

Ci è stato precisato trattarsi di una «constatazione» e non di una «decisione». Francesi si apprestano tuttavia a informame americani ritenendo che inglesi facciano altrettanto.

D'altra parte, essendo stati francesi ed inglesi informati dal Governo americano che questo desiderava preventiva partecipazione Italia ad Unione Europea, i Cinque hanno constatato che anche tale condizione era stata soddisfatta. Per contro Cinque hanno unanimemente fatto opposizione per estensione garanzia a territorio Trieste anche perché non desiderano, soprattutto inglesi, irritare Jugoslavia in questo momento.

Nelle conversazioni a cinque non è stata fatta parola della questione coloniale.

207 3 Per la risposta vedi D. 217.

208 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 708.

209 1 Vedi D. 192.

210

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER TELEFONO 975/2. Lussemburgo, 31 gennaio 1949, ore 19,48.

Telegramma di V.E. 825/c.1•

Questo ministro degli affari esteri, rientrato ieri da Londra, mi ha detto che per partecipazione Italia Patto atlantico conclusioni dei Cinque sono state favorevoli e che decisione è orami effettivamente in mano U.S.A. Bech mi ha pregato considerare sue parole come assolutamente confidenziali2.

211

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

TELESPR. SEGRETO 3/300. Roma, 31 gennaio 1949.

Rapporto di V.E. n. 392/206 del 26 gennaio 1•

2 Con successivo T. s.n.d. 1001/4 del JD febbraio Formentini aggiungeva: «Questo ministro degli affari esteri mi ha detto, a titolo strettamente confidenziale, che durante riunione dei Cinque Londra atmosfera nei riguardi nostro paese è stata in complesso buonissima. Ragione per cui Italia non è stata menzionata nel comunicato finale va ricercata nell'opportunità di non urtare troppo non solo paesi scandinavi ma anche Grecia e Turchia che hanno avanzato richiesta partecipare Unione Europea».

Il rapporto sopra indicato di V.E. modifica sensibilmente l'impressione suscitata dal colloquio Anzilotti-Clutton2 , che sembrava allontanarsi dallo spirito della sua prima conversazione con Bevin (rapporto di V.E. n. 391/205)3 .

Le informazioni date da Clutton al consigliere di codesta ambasciata non sembrerebbero infatti incoraggianti come dal colloquio fra l'E.V. ed il ministro Bevin era parso pur lecito poter sperare. Esse davano quasi l'impressione che i nostri sforzi per ricercare una base d'intesa con la Gran Bretagna sulla questione non fossero stati adeguatamente apprezzati. Sono invece lieto di constatare che anche sir Orme Sargent considera indispensabile usufruire del tempo a nostra disposizione sino alla prossima Assemblea dell'O.N.U. per evitare in quella occasione un nuovo confronto fra due tesi opposte, come è avvenuto a Parigi.

Sembra a noi che i principi enunciati nel memorandum recato costì da V.E.4 e sviluppati nel successivo telegramma n. 11 del 13 gennaio5 siano sufficienti a dare prova delle nostre intenzioni e della linea di condotta che intendiamo seguire. Su tali principi -che qui di seguito vengono ulteriormente chiariti -dovrebbero pertanto, a nostro avviso, iniziarsi le conversazioni tanto con gli arabi, quanto con il F oreign Office. Nostro scopo è di concordare con gli arabi un modus vivendi che dirima le difficoltà temute da parte britannica e confidiamo che il Governo britannico sia disposto ad incoraggiare questo tentativo che dovrà togliere di mezzo una questione che pesa sui rapporti tra i due paesi e che la stessa Gran Bretagna non vede, altrimenti, facilmente solubile.

Le nostre proposte sono da interpretarsi nel senso che noi intendiamo negoziare con i maggiori esponenti della Tripolitania, in vista del raggiungimento di un accordo preliminare. il quale dovrebbe fissare alcuni punti fondamentali e cioè:

l) l'Italia prende atto che le popolazioni della Tripolitania aspirano a costituirsi in Stato della Tripolitania, riconosce legittima tale aspirazione, e si dichiara disposta ad aiutare la Tripolitania a darsi una organizzazione statale immediata.

2) Questo Stato avrà una propria Costituzione concordata col Governo italiano e approvata dalle Nazioni Unite e i suoi rapporti con l'Italia saranno regolati da un «trattato di cooperazione» che sarà pure approvato dalle Nazioni Unite.

3) Il primo di detti atti (la Costituzione) contemplerà la forma istituzionale dello Stato; la sua organizzazione politica e amministrativa; la partecipazione delle popolazioni, italiane, arabe ed ebree, con parità di doveri e diritti, allo Stato stesso; la formazione, la costituzione e i poteri delle assemblee legislative e di quelle municipali; l'organizzazione amministrativa del territorio; i diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino, i suoi doveri verso lo Stato, ecc. ecc. Il secondo di tali atti (Trattato di cooperazione con l'Italia) regolerà i rapporti tra l'Italia e lo Stato della Tripolitania; in particolare la forma e la misura dell'assistenza che l'Italia darà alla costituzione, allo sviluppo ed all'amministrazione del nuovo Stato in ogni ramo della sua attività; i rapporti economici fra questo Stato e l 'Italia; la difesa e l'ordine pubblico; la situazione degli enti di valorizzazione economica e bancari creati dall'Italia, ecc. ecc.

3 Vedi D. 165.

4 Vedi D. 16.

5 Vedi D. 56.

4) La Costituzione dello Stato della Tripolitania e il Trattato di cooperazione con l'Italia verranno concordati fra il Governo italiano ed una rappresentanza qualificata delle popolazioni della Tripolitania. A tal fine verrà proceduto come segue:

a) dopo che l'accordo preliminare che fissa i principi su indicati sarà stato approvato dalle due parti e dali' Assemblea delle Nazioni Unite, il Governo italiano sostituirà l'attuale Amministrazione militare britannica, e terrà provvisoriamente il governo del paese senza nulla variare nella organizzazione data al paese stesso dalla presente Amministrazione militare britannica. Le modalità del trapasso saranno concordate col Governo britannico. Il Governo italiano sarà rappresentato sul posto da un proprio «delegato» il quale, sino alla nomina dell'Assemblea di cui al comma b), sarà assistito da un Comitato consultivo composto di membri designati dalle amministrazioni municipali della Tripolitania in proporzione da convenirsi.

b) Compito di questa Amministrazione provvisoria sarà quello di indire ed assicurare il libero svolgimento di elezioni generali per la nomina di una Assemblea generale della Tripolitania la quale designerà i propri delegati per negoziare col Governo italiano gli atti di cui al punto 2. La stessa Assemblea generale ratificherà poi gli atti medesimi.

c) Non appena entrati in vigore tali atti, l'Amministrazione provvisoria del Governo italiano passerà i poteri al Governo e agli organi che entreranno in funzione secondo previsto nella Costituzione dello Stato della Tripolitania.

Questo «accordo preliminare», come indicato al punto 4 comma a), dovrebbe venire sottoposto all'Assemblea generale delle Nazioni Unite che con la sua approvazione ne autorizzerebbe la messa in esecuzione (si risponde qui al primo quesito di Clutton). La Assemblea delle Nazioni Unite dovrà approvarlo nella sua prossima sessione contemporaneamente alle sue decisioni relative al restante territorio libico. Nulla osta che, nell'approvare tale accordo preliminare e nell'autorizzarne la messa in esecuzione, l'Assemblea delle Nazioni Unite fissi la data in cui dovranno aver luogo le elezioni per l'Assemblea generale della Tripolitania (di cui al sopracitato punto 4 comma b).

Ove per ragioni varie lo si ritenesse più opportuno, l'accordo preliminare sopra delineato, anziché la forma di un accordo fra l'Italia e arabi approvato dalle Nazioni Unite, potrebbe anche assumere la forma di un accordo (impegno) fra l 'Italia e le Nazioni Unite alle quali verrebbe presentato dal Governo italiano e raccomandato dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dagli Stati Uniti. In tal caso riteniamo che converrebbe tuttavia assicurarsi l'adesione di alcune fra le più rappresentative e influenti personalità della Tripolitania.

Le grandi linee dell'amministrazione dello Stato della Tripolitania e del Trattato di cooperazione sono indicate al punto 3 del progetto di accordo preliminare. Noi pensiamo alla formazione di uno Stato autonomo arabo-italiano che si governi da sé. I limiti della nostra assistenza saranno liberamente negoziati e fissati nel Trattato di cooperazione (si risponde al secondo quesito di Clutton).

Non prevediamo di inviare in Tripolitania altri emigranti: ci riserviamo di chiedere nel corso dei negoziati con gli arabi che sia ammesso il principio del ritorno di quelli che vi risiedevano stabilmente prima della guerra. (Si risponde qui al terzo quesito di Clutton). (Beninteso ciò non comprende l'eventuale arrivo di individui che si rechino in Tripolitania per lanciare affari o creare industrie; ma perfino in tal caso faremo ciò di intesa cogli arabi, e nell'evidente interesse dei commerci da creare).

L'amministrazione provvisoria italiana, prevista al punto 4, commi a) e b) dovrà naturalmente poter disporre, per il mantenimento dell'ordine pubblico, di forze militari adeguate che sostituirebbero quelle britanniche. Tali forze sono state calcolate (vedi telespresso 3/255 del 26 u.s.)6 come segue: tre raggruppamenti tattici ciascuno composto di un reggimento di fanteria motorizzato (o di un reggimento corazzato) e dalle relative unità di artiglieri, genio, collegamenti e servizi. Un gruppo e un battaglione mobile di carabinieri.

Per quanto concerne la questione delle basi aeree della Mellaha lasceremmo al Governo nordamericano di suggerirei la formula che riterrà più adatta.

Come indicato nel telegramma n. Il le nostre proposte sono aperte ad ogni osservazione e suggerimento che abbia carattere costruttivo, che sia cioè inteso a migliorarle. Per questo desideriamo esaminarle e discuterle con gli esperti britannici e facciamo assegnamento anche sulla esperienza da essi acquisita in materia. Riteniamo però indispensabile, per la riuscita di ogni progetto del genere, che da parte dei rappresentanti britannici in loco non si faccia opera di opposizione, ma piuttosto si lasci comprendere che il Governo inglese vede con favore l'intenzione italiana per il raggiungimento di una diretta intesa7 .

210 1 Vedi D. 198, nota l.

211 1 Vedi D. 166.

211 2 Vedi D. 164.

212

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 250/77. Mosca, 31 gennaio 1949 (perv. i/14 febbraio).

Accanto alla costituzione della Unione economica fra i paesi dell'orbita sovietica, di cui riferisco a parte 1 , la presa di posizione sovietica verso il Patto atlantico costituisce l'avvenimento di politica estera più notevole della seconda quindicina di gennaio in questa Unione. Finora tale presa di posizione si è manifestata con la lunga dichiarazione del Ministero degli affari esteri, resa nota il 29 gennaio2 , e con più concreto passo diplomatico compiuto dall'ambasciatore sovietico a Oslo ed annunciato ieri, 30 gennaio.

Esprimo, in via di prima approssimazione, qualche impressione mia e degli ambienti diplomatici, su motivi, contenuto, scopo e significato di questa recente azione diplomatica sovietica.

7 Per la risposta vedi D. 239.

2 Vedi D. 194.

La dichiarazione del Ministero degli affari esteri si riferisce ufficialmente ad una pubblicazione dello State Department del 14 gennaio (qui ancora non conosciuta, nemmeno a questa ambasciata degli Stati Uniti) riguardante il Patto atlantico, ed è prospettata come una risposta a questa pubblicazione. Indubbiamente, quest'ultima ha dato occasione alla solenne ed ampia manifestazione polemica di ieri; ma è altrettanto chiaro che la reazione sovietica è determinata essenzialmente dal fatto stesso che il Patto atlantico sembra essere oramai in via di imminente conclusione, più che dalle ragioni pubbliche ed ufficiali colle quali lo State Department ha creduto di annunciarlo. A questo proposito ritengo abbiano influito sulle attuali mosse sovietiche anche le dichiarazioni di Truman nel suo discorso del 21 gennaio. Questo discorso è stato commentato piuttosto aspramente dalla stampa sovietica, e considerato come una riconferma della volontà degli Stati Uniti di condurre una politica di predominio mondiale attraverso una quadruplice strada: il controllo dell'O.N.U., la continuazione del piano Marshall, la conclusione del Patto atlantico, e infine una nuova forma di colonialismo, mascherato sotto la formula dell'aiuto alle aree arretrate. In tale senso si è espresso M. Marinin sulla Pravda del 26 gennaio, mentre il noto giornalista Leontiev in una delle periodiche conferenze al Politecnico circa la situazione internazionale (27 gennaio) ha svolto analoghe considerazioni mettendo l'accento specialmente sui riferimenti di Truman al Patto atlantico. L'attacco sovietico va dunque messo in rapporto a tutto questo insieme di manifestazioni della politica nord-americana.

Nel suo contenuto, la lunga, pesante dichiarazione sovietica, vista nelle sue linee essenziali, presenta un certo squilibrio e quasi una contraddizione fra l'esposizione polemica e le conclusioni. La parte polemica è violenta e sembrerebbe avere quasi implicazioni minacciose. I due argomenti essenziali che vi si svolgono sono questi: sia l'Unione Occidentale sia il Patto atlantico hanno un carattere decisamente aggressivo e mirano al predominio mondiale anglo-americano; entrambi sono poi contrari allo statuto e allo spirito dell'O.N.U. Le possibili implicazioni di simile impostazione avrebbero potuto essere assai più gravi di quelle che invece non sono state. Di fronte ad una politica aggressiva, ad alleanze aggressive la risposta congrua è la riserva della mano libera per prevenire e rintuzzare con ogni mezzo la temuta aggressione; chi afferma di temere l'aggressione altrui, di solito tende a giustificare l'attacco proprio. Dire poi che lo statuto dell'O.N.U. è stato grossolanamente violato da alleanze militari offensive falsamente prospettate come innocui patti regionali, potrebbe essere la logica premessa per giustificare domani un abbandono dell'Organizzazione ormai svuotata di serio contenuto: con tutte le gravi conseguenze per la pace mondiale che ne deriverebbero.

Viceversa, le conclusioni che il comunicato sovietico trae dalle sue piuttosto gravi premesse, sono relativamente innocue: consistono in primo luogo in una riaffermazione della sua politica di pace e della volontà di lottare col fronte dei popoli amanti la pace, ed in secondo luogo in una nuova assicurazione di fedeltà all'Organizzazione delle Nazioni Unite.

È certo difficile indagare la vera riposta intenzione che anima questo contrasto fra premesse e conclusioni, ed ogni tentativo di coordinarle logicamente sarebbe vano, anche perché simile alternativa di proposizioni minacciose e di proposizioni pacifiche è destinata volutamente a generare incertezze, a intimorire ed a rassicurare insieme: giacché i sovietici, se da un lato non hanno attualmente intenzione di muoversi, dall'altro hanno tutto l'interesse a mantenere il mondo avversario in stato di perenne incertezza e di inquietudine.

Ciò risponde pure a quello che è probabilmente lo scopo immediato della attuale azione, quello cioè di disturbare il Patto atlantico nella sua formazione, creando incertezze e timore fra i numerosi Stati che dovrebbero parteciparvi. A questo scopo le parole forti, la vaga prospettiva di gravi conseguenze valgono specialmente ad aumentare le preoccupazioni e ad animare la volontà dei partiti comunisti e di tutte le varie sfumature di opinione pubblica filocomunista, socialista o semplicemente tentennante e pacifista dei paesi occidentali. È a questa opinione pubblica, più ancora che a quella interna sovietica, che il manifesto di ieri è diretto; esso dovrebbe fornire una nuova base per l'azione che i partiti comunisti dovranno svolgere nei rispettivi paesi, nel tentativo di riunire tutti gli amici della pace in una azione sabotatrice del Patto atlantico.

Questo scopo di intimidazione e di sabotaggio è reso più evidente e più concreto dal passo dell'ambasciatore Atanasiev verso il Governo di Oslo; che è in sostanza la trasposizione in sede diplomatica pratica di quel che il comunicato del Ministero degli esteri ha voluto fare, sul piano della propaganda mondiale. I sovietici sanno di toccare qui uno dei punti più delicati del possibile schieramento a loro ostile; punto delicato per i sovietici stessi, data la contiguità della Norvegia coll'U.R.S.S., e delicato per le potenze occidentali, date le incertezze e i dissensi tuttora esistenti nel blocco scandinavo a proposito del suo schieramento ad Occidente. La recente conferenza di Karlstad è stata seguita da questa stampa con la massima attenzione, e le sue conclusioni piuttosto contraddittorie, oscure e poco convincenti hanno evidentemente offerto ai sovietici una ottima occasione per intervenire nel momento più critico, nella speranza di far sì che, se non proprio i norvegesi, almeno gli svedesi siano per riflesso intimoriti della loro larvata minaccia, e indotti a persistere nella loro attuale cauta linea di condotta.

Azione di disturbo e di intimidazione, questo appare dunque il significato più appariscente della nuova mossa sovietica, nei suoi vari aspetti propagandistici e diplomatici.

Naturalmente, essa induce pure a riflettere circa il suo significato più largo, relativo all'orientamento attuale della politica estera sovietica in generale; proprio nel momento in cui l'opinione pubblica meno ostile ai sovietici parlava di appeasement, di offensiva di pace da parte di Mosca; quando dal lato americano la riconferma di Truman e la nomina di Acheson parevano offrire la speranza di un nuovo invito alle trattative dirette; quando i discorsi di Cachin e di Togliatti offrivano qualche appiglio per giustificare una simile aspettativa; quando i sovietici avevano aderito a riaprire le trattative per l'Austria ed erano intervenuti per la prima volta alla conferenza mondiale del grano: quale senso veniva ad assumere la brusca condanna sovietica al Patto atlantico, la aperta denuncia della politica americana quale politica aggressiva diretta al predominio mondiale?

Come se questi elementi di incertezza non fossero sufficienti a rendere difficile la interpretazione, è intervenuta ieri sera la intervista di Stalin col signor Smith dell'Intemational News Service, tempestivamente calcolata per dare un colpo alla botte dopo il colpo al cerchio costituito della offensiva contro il Patto atlantico; ed ha cagionato a tutta prima in questi ambienti, è facile immaginare, perplessità e disorientamento. Si è detto: Stalin ha voluto attenuare la sgradevole impressione che il duro attacco del giorno precedente poteva aver suscitato nella opinione pubblica mondiale, e questa è stata la prima impressione, da me trasmessa col telegramma n. 20 del 30 corr.3

Non mi pare si possa dire che questa impressione sia errata, essa risponde anzi alla più immediata evidenza, ma non credo inutile precisare alquanto la connessione fra questi atti di apparenze contrastanti. Anche qui occorre distinguere, fra gli scopi immediati e voluti e gli effetti secondari e talora non voluti della azione diplomatica sovietica, la quale è sempre calcolatissima, ma non è detto che sia sempre psicologicamente fine e rispondente allo scopo.

Per ciò che riguarda il senso ed il fine immediato, non vi è nulla di illogico dal punto di vista sovietico in questa successione di atti, i quali rispondono rigidamente a una medesima concezione polemica, e a un medesimo fine immediato. I sovietici, interpretando (a modo loro) il Patto atlantico come una alleanza aggressiva, l'hanno attaccato violentemente, e nello stesso tempo per bocca di Stalin si sono riaffermati disposti a trattare per un accordo: non vi è nulla di contraddittorio in questa posizione, anche perché la conclusione del comunicato del 29 gennaio riaffermava proprio quella volontà di pace, che Stalin a sua volta ha ribadito.

Condannare la politica aggressiva altrui e riaffermare la politica pacifica propria, questo è normale, specialmente per i sovietici.

Naturalmente, dal punto di vista psicologico la cosa non è così semplice, e ben diverso il tono, ostile e minaccioso, del comunicato del Ministero degli esteri da quello bonario e quasi serafico di Stalin; sotto questo punto di vista vi è stato un vero e proprio alternarsi di doccia fredda e calda. Ma che questo non deve stupire, se lo si intende nel quadro di quella azione di disturbo e di intimidazione contro le alleanze dei paesi occidentali, che è il fine immediato del!' attuale tattica sovietica. Allo scopo di mettere alla prova i nervi dell'opinione pubblica e delle nazioni minori, questa alternativa di minacce e di sorrisi appartiene a metodi abituali e noti; ad esempio, ad ostacolare la conclusione del blocco scandinavo, mentre l'azione intimidatoria può trattenere gli uni, la speranza di distensione può convincere gli altri della inutilità di misure militari immediate.

Fin qui dunque non vi è ragione alcuna di vera sorpresa né di disorientamento, per una successione di atti che appaiono ispirati ad una medesima convinzione e diretti a un medesimo scopo.

Ciò non toglie però che, se si dovesse fare il bilancio finale del risultato di questa azione diplomatica, dovrebbe dirsi che essa non riuscirà certo a smuovere gli americani, irrigidirà gli inglesi, e per quel che riguarda gli attori minori e l'opinione pubblica, essa darà più una sensazione di inquietudine che un senso di rinnovata sicurezza. Si è ormai abituati agli interventi patemi di Stalin, al suo sorriso e alla sua parola semplice che sfiora le difficoltà e fa apparire tutto agevole; ho l'impressione che questa volta il suo intervento non basterà a dissipare l 'impressione negativa determinata dal brusco attacco lanciato da Molotov contro gli occidentali.

Vi è da domandarsi se i sovietici lo sanno e se Io vogliono, o se si tratta invece di un effetto involontario della loro spesso eccessiva angolosità e insufficienza

di valutazione della psicologia occidentale. È difficile dirlo: ma un fatto sembra certo, ed è che i sovietici, pur continuando a parlare di pace e ad offrire rami d'ulivo a mezzo di Stalin, appaiono sfiduciati e delusi circa la concreta possibilità di arrivare ad una distensione. A questo proposito non ho che da riallacciarmi a quanto ho accennato in principio, circa le loro acri reazioni ai primi discorsi di Truman dopo la sua rielezione. In fin dei conti, anche quando offrono una tregua, i sovietici non perdono certo la loro durezza, e se anche sono disposti a cedere un poco, vogliono che gli occidentali cedano quanto loro e più di loro. Questa possibilità di mutue concessioni pareva sussistere dopo che Truman, saldamente rimesso in sella, sembrava libero di fare una sua politica meno bipartisan, e più bonaria e popolare. Non è che i sovietici si illudessero molto; ma certo rimanevano in una posizione di attesa, sia pure molto guardinga. Da Truman non giunse invece alcuna parola, nemmeno generica, che lasciasse sperare in una qualsiasi sua flessione; e ciò certamente ha influito sulla linea di condotta sovietica ... Mi è stato detto che nel recente congresso del partito comunista dell'Azerbaijan, a Baku, quel segretario di partito non esitò, nel suo discorso ufficiale, a qualificare insolenti le parole dell'ultimo discorso di Truman: questo risentimento non può essere che ispirato, ed è certo significativo.

Cosicché, pur potendosi logicamente connettere tutte queste ultime manifestazioni della guerra dei nervi da parte sovietica, si deve pur concludere, senza tema di peccare di pessimismo, ch'esse segnano un certo peggioramento sulla precedente situazione, deludono parecchie rosee aspettative e valgono più come segno di diffidente inquietudine che come indizio di schiarita.

211 6 Indirizzato alle ambasciate a Parigi, Washington, Londra e Bruxelles, ritrasmetteva una nota del capo di Stato Maggiore dell'Esercito, gen. Marras, e un suo promemoria all'addetto militare degli Stati Uniti a Roma relativo alle forze con le quali l'Italia intenderebbe procedere alla rioccupazione di Tripolitania, Eritrea e Somalia.

212 1 Vedi D. 224.

212 3 Vedi D. 205.

213

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 105/47. Nanchino, 31 gennaio 1949 (perv. il 22 febbraio).

La posizione di Chiang Kai-shek è ancora equivoca: si è «ritirato», ma non dimesso; più decisivo della formula da lui usata è il fatto che l'assunzione del vice presidente non ha avuto luogo in base alla norma costituzionale che prevede il caso di vacanza della carica, ma in base a quella che provvede per il caso in cui il presidente non possa adempiere alle sue funzioni. Legalmente, quindi, Chiang potrebbe riprendere la sua carica quando volesse. Politicamente, gli si attribuisce, con ogni verosimiglianza, l'intenzione di rientrare sulla scena quando la campagna per la pace appaia definitivamente fallita per organizzare una estrema resistenza -anche in forma di guerriglia -nelle province meridionali. Alla vigilia di ritirarsi ha nominato governatore di Formosa il fido Cheng-cheng -l'ex capo di Stato Maggiore-vi ha mandato il suo proprio figlio a dirigervi il Kuomintang locale, e vi ha concentrato i comandi aviatori e le riserve metalliche.

Li Tsung-jen ha annunciato una politica di grandi riforme, libertà di stampa, liberazione dei detenuti politici, riammissione della Lega democratica già bandita, ha anche ordinato la liberazione di Chang Hsueh-lian «il giovane maresciallo», figlio di Chang Hso-lin) relegato a Formosa dopo l'incidente di Sian del '36 (e sarà interessante vedere se la liberazione avrà luogo veramente, ciò indicando se gli ordini che Li Tsung-jen emana ancora da Nanchino sono eseguiti a Formosa). È un tentativo dell'ultima ora di allargare la base politica nazionalista, di crearsi adesioni popolari fra gli intellettuali e di impressionare l'opinione pubblica americana con un esperimento di liberalismo. Ma è un tentativo tardivo: finora Li non è riuscito ad arrestare il processo di dissoluzione psicologica e politica (oltre che militare) in corso: i contatti con la Lega democratica e con Madame Sun Yat-sen, la riammissione nel Kuomintang del generale Li Chi-sen -già esule a Hongkong e che ora si trova nella Cina del nord per partecipare alla conferenza politica consultiva che i comunisti intendono organizzarvi -appaiono sopratutto intesi a trovare un ponte per trattare con i comunisti.

Nanchino sotto la nuova presidenza di Li Tsung-jen ha continuato le offerte di pace, spingendosi sino in fondo per rovesciare sui comunisti la responsabilità dell'intransigenza e della continuazione della guerra. Si diede corso alla nomina -che Chiang aveva bloccato-di una commissione di cinque persone (fra cui Shao Li-tse, ex-ambasciatore a Mosca, Chiang Ching-chung, governatore di Lanchow nel nordovest, che si pronunciarono sempre per un accordo con i comunisti, e l'ex premier Chang-chun) e ci si dichiarò pronti a mandarla a Yenan o dovunque i comunisti avessero voluto riceverla. I comunisti non raccogliendo l'offerta, Li Tsung-jen ha fatto un altro passo: ha dichiarato pubblicamente di essere pronto a negoziare sulla base degli otto punti di Mao Tse-tung purché i comunisti cessino il fuoco. I comunisti hanno risposto con una tattica dilatoria: hanno fatto passare dei giorni, poi hanno fatto eccezione ad uno dei membri della Commissione perché appartenente a «gruppi reazionari» poi ad un altro perché compreso nella loro lista di «criminali di guerra» poi -senza mai rigettare l 'idea stessa di trattare, né pronunciare ancora le parole «resa incondizionata» -hanno detto che accettare gli otto punti come base di discussione sta bene: ma il Governo deve «dare prove della sua sincerità»: revocare il trasferimento della capitale a Canton, rimettere in prigione il generale giapponese Okamura recentemente assolto, arrestare i «criminali di guerra» (cominciando da Chiang Kai-shek: non si dice se Li Tsung-jen debba anche arrestare se stesso). Intanto le loro truppe hanno continuato ad avanzare e da un giorno all'altro saranno allo Yangtze.

Secondo le stime più attendibili, ai nazionalisti non rimangono, come veri corpi di esercito organizzati, che 500-600 mila uomini, di cui 150 mila circa nella zona Nanchino-Shanghai (ma sono considerate truppe scadenti) e 200-250 mila uomini circa nella zona di Hankow (una metà dei quali si considerano buone truppe; sono i soldati di Pai Chung-hsi che egli sta trasportando sulla riva meridionale del fiume: le sole truppe su cui Li Tsung-jen può personalmente contare per i suoi legami con P ai Chung-si); l 00 mila uomini circa nelle varie province meridionali. Vi sono in più 200-250 mila soldati circa nel nord-ovest musulmano (le truppe della famiglia dei warlords Ma): truppe con le quali i comunisti dovrebbero fare i conti quando volessero invadere quelle province, ma non truppe su cui il Governo centrale possa contare o di cui possa disporre la dislocazione a sud dello Yangtse. Da ottobre ad oggi la pessima strategia nazionalista, l'accavallarsi di ordini contraddittori (quelli dei comandi locali, quelli dello Stato Maggiore, quelli del Ministero della difesa e, infine, quelli personali di Chiang Kai-shek) la mancanza di combattività delle truppe, il collasso morale dei quadri determinato dall'atteggiamento americano con la certezza che ne è derivata che la causa governativa era perduta, l'incapacità di eseguire con successo manovre di ripiegamento sono costate a Nanchino non soltanto la perdita di città e territori, che in Cina vorrebbe dir poco, ma la perdita di un'armata dopo l'altra, quasi sempre per accerchiamento. Quanto all'aviazione essa non ha mai, salvo che nella prima fase della battaglia di Hsuchow, seriamente combattuto, i piloti mantenendosi sempre a tali altezze da non potere né colpire né essere colpiti. Di fronte alle truppe nazionaliste che dovrebbero difendere la valle dello Yangtze stanno le truppe comuniste della Cina centrale press'a poco in egual numero, ma enormemente superiori come spirito; ed in più vi sono le truppe di Linpiao, reclutate in Manciuria e operanti nel nord Cina. La superiorità militare dei comunisti è dunque oramai decisiva. Con tutto ciò un esercito che avesse volontà di combattere, appoggiato efficacemente dalla marina e dall'aviazione, che i comunisti non hanno, potrebbe opporre una difesa sulla linea dello Yangtze che desse al Governo il tempo di effettuare nuovi reclutamenti nella Cina meridionale e lo mettesse in grado di negoziare con qualche carta in mano. Allo stato attuale delle cose, e del morale delle truppe, questa probabilità non c'è. Il piano dei nazionalisti del resto non sembra neppure essere la difesa sul fiume, se non con azioni di retroguardia, ma l'abbandono della valle dello Yangtze, disponendo le truppe residue a semicerchio con centro a Nanchang per proteggere, aiutate dalla natura del terreno e dalla mancanza delle vie di comunicazione, gli accessi alla Cina meridionale spostandone una parte a Canton stessa per proteggere il Governo da infiltrazioni o insurrezioni comuniste locali. Intanto i comunisti fanno abilmente giocare l'arma delle inclusioni od esclusioni nella loro lista di «criminali di guerra» per accelerare la disintegrazione di quanto resta dell'esercito e dell'amministrazione governativa. Politicamente Li Tsung-jen, che nelle speranze degli americani doveva essere l'uomo delle riforme ed intorno al quale-quando lo aiutarono a diventare vice presidente -gli americani speravano potesse costituirsi un nucleo più popolare e progressivo di Chiang Kai-shek (e più docile nei loro confronti), non sembra riuscire a mobilitare in suo favore delle forze che gli consentano di evitare la scelta fra due estremi: o capitolare completamente, accettando tutto quello che i comunisti gli chiedono cominciando con la liquidazione delle frazioni conservative del Kuomintang,

o andare a Canton per continuare la resistenza e necessariamente identificarsi con quelle frazioni per quel tempo che la resistenza potrà continuare e anzi con ogni probabilità riaprendo la via a Chiang Kai-shek.

Fino a ieri egli ha esitato a dare il suo suggello alla decisione del Governo di trasferimento a Canton. Intanto il primo ministro Sung F o, il ministro degli esteri e quasi tutti gli altri sono scomparsi da Nanchino. Li Tsung-jen è ancora qui; e ha indirizzato ieri un messaggio diretto e personale a Mao Tse-tung chiedendo di nominare, senz'altro indugio, una Commissione per incontrare i delegati del Governo dovunque i comunisti vogliano, riaffermando la sincerità del Governo nel volere la pace e -per quel che riguarda le relazioni con l'estero -la volontà di amicizia con qualsiasi paese che voglia assistere la Cina nel riconquistare la pace e nella ricostruzione del paese; ricorda che con Sun Yat-sen i due partiti lavorarono uniti (quest'idea del ritorno di un Kuomintang «epurato», in un unico partito o fronte con i comunisti si attribuisce alla vedova di Sun Yat-sen) e riafferma che il Governo è pronto ad accettare gli otto punti di Mao come base delle conversazioni, ma che è irragionevole per una delle due parti chiedere ali' altra di eseguire determinate misure prima che le conversazioni si inizino.

Sebbene la situazione muti rapidamente, si ha in questo momento l'impressione che questo sia l'ultimo atto della campagna di pace da parte governativa; se i comunisti non lo raccoglieranno, Li Tsung-jen, che è oramai a Nanchino senza i suoi ministri, è probabile vada anche lui a Canton.

In effetti i comunisti sembrano progressivamente meno interessati ad una pace negoziata: senza chiudere la porta all'idea di trattative, senza avere ancora pronunciato la parola «resa», sembrano bensì interessati a trattative di pace separata con autorità e comandi locali come hanno fatto a Pechino, ma sembrano sempre meno interessati a un negoziato politico col Governo in quanto tale. Ci si può domandare perché dovrebbero esserlo. La partita è oramai vinta, anche se ad essi ci vorrà parecchio tempo per occupare tutto il territorio. L'atteggiamento americano non sembra presentare più incognite per loro. Le carte in mano ai nazionalisti per negoziare sono quindi oramai ben poca cosa. Si potrebbero indicare come segue gli elementi che potrebbero ancora indurre i comunisti ad una pace negoziata, ad assumere cioè il potere con un formale crisma di legalità: l) non apparire -di fronte alla campagna di pace dei nazionalisti -come i responsabili della continuazione della guerra: ma non è un elemento decisivo: ed essi lo eludono ricorrendo a sistemi dilatori, accusando i nazionalisti di malafede, chiedendo delle «prove di sincerità» che i nazionalisti non possono dare senza mettersi totalmente nelle loro mani, infine mostrandosi disposti bensì a trattative di pace ma, come sopra accennato, di pace separata con singoli comandi e autorità regionali; 2) risparmiarsi lo sforzo di dover conquistare militarmente tutte le province meridionali ed occidentali: finché il Governo ha delle truppe questo elemento sussiste; ma non è più tale da indurii a pagare un negoziato con delle concessioni sostanziali; in più non è un elemento sicuro perché, quand'anche i comunisti fossero diventati Governo col crisma di Li Tsung-jen, resistenze locali rimarrebbero sopratutto nel nord-ovest musulmano, probabilmente anche nel sud-ovest (Yunnan), e forse nel sud vi sarebbe anche resistenza più o meno bene organizzata, guidata da Chiang Kai-shek che in tale eventualità si rifugierebbe probabilmente a Formosa in una posizione che ricorderebbe quella di de Gaulle. Lo stesso argomento vale anche per l'accesso che un crisma di legalità darebbe loro alle riserve metalliche, alla marina ed all'aviazione; 3) il più certo vantaggio di un accesso al potere per via di negoziato dovrebbe essere la certezza del riconoscimento internazionale, con ciò che esso comporta: e cioè la possibilità di ereditare la posizione della Cina come membro permanente del Consiglio di sicurezza e come potenza cui dev'essere attribuita Formosa. Ma la decisione degli ambasciatori occidentali di rimanere a Nanchino dà oramai ai comunisti la certezza che il riconoscimento verrà comunque. Fino ad ora i comunisti malgrado l'entità dei territori e delle popolazioni sotto il loro controllo-si erano astenuti dal proclamarsi governo, avevano organizzato amministrazioni provinciali ma non un governo vero e proprio, e i loro proclami erano sempre proclami di partito e mai di governo: e si pensava appunto che la loro mira fosse non di contrapporre Governo a Governo ma di forzare gli uomini di Nanchino a cedere loro il Governo legale internazionalmente riconosciuto della Cina. La tendenza che sembra delinearsi in questi giorni -e le prossime settimane mostreranno se si tratta di manovra per diminuire il prezzo da pagare a Li Tsung-jen, o di direttiva oramai stabilita -è invece quella di non raccogliere seriamente le profferte di Nanchino, di metter su un Governo «democratico di coalizione» probabilmente a Pechino-o, dopo averla occupata, a Nanchino-e procedere militarmente alla liquidazione del Governo legale in fuga a Canton.

214

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 103/275. Parigi, 31 gennaio 19491•

Il risultato dei sondaggi che ho fatti in questi giorni negli ambienti parlamentari francesi, mi porta a concludere che se il Governo francese farà quel minimo sforzo che ha promesso e che, onestamente debbo dire, sta facendo, il progetto di Unione doganale quale redatto dalla Commissione2 , sarà accettato dal Parlamento.

Bisogna naturalmente fare la riserva degli imprevisti: due sono gli imprevisti prevedibili: le elezioni cantonali che per forza di cose dovranno avere luogo fra la firma e la ratifica del Trattato (da parte francese) e che possono provocare crisi gravi nelle posizioni dei partiti politici francesi (sebbene abbia avuto delle assicurazioni in proposito anche dai gaullisti): l'altro è la possibilità, sempre presente, di crisi governativa, nel qual caso tutto sarebbe da ricominciare.

Nei miei contatti col Parlamento e col Governo francese ho accennato alla opportunità che, in vista della situazione assai differente in Italia ed in Francia, la ratifica parlamentare italiana abbia luogo subito dopo la ratifica francese, considerazione che è stata trovata giustissima: l'ho fatta a titolo personale: sarà il Governo italiano a decidere se sia il caso di accettarla o no.

Tutto questo parte dal presupposto che da noi non ci saranno difficoltà: per questo mi baso su quanto ebbe a dirmi sia V.E. che il presidente del Consiglio. Ma VE. vorrà scusare la mia franchezza se le dico, che, recentemente, ci sono state alcune manifestazioni da parte italiana che mi portano a chiedermi a che punto realmente sono le cose da noi. Vorrei specificare: queste manifestazioni sono: le richieste del Ministero del lavoro in materia di emigrazione; le riserve del Ministero dell'agricoltura all'accordo raggiunto con tante difficoltà fra i due viticoltori; la reazione più che sfavorevole dei Ministeri delle finanze e del commercio estero ad alcune mie proposte per alleviare le difficoltà dei pagamenti italo-francesi. Non voglio fare qui la critica di queste riserve od opposizioni: voglio !imitarmi a dire che, di fronte a problemi concreti, mi sembra che da parte italiana, come da parte francese, non si sia veramente disposti a considerare tanti problemi concreti sotto un punto di vista differente, ossia sotto il punto di vista della costituenda Unione doganale. Arriviamo alla conclusione dell'Unione doganale ma non c'è la mentalità dell'Unione doganale. E prima di procedere oltre bisognerà vedere di formare questa mentalità d'Unione

2 Vedi D. 85.

doganale: e non sarà facile chiedere ai francesi di formarsi loro questa mentalità se non siamo noi stessi pronti a formarcela.

Tornando ai francesi, non sarei onesto se non dicessi che il progetto passerà perché, sostanzialmente, non c'è niente. C'è una dichiarazione di intenzioni, la ripetizione in forma solenne, e con consacrazione parlamentare, di quanto veniamo dicendo da più di un anno: uno scadenzario, ossia un programma, completo, ma non impegnativo e la creazione di un organo che sarà incaricato di dare vita e contenuto a tutte le buone intenzioni. Occorre dire che se si fosse tentato di dare all'atto di unione un contenuto più concreto, esso non sarebbe stato accettato dal Parlamento francese: quindi il compito del futuro organo non sarà semplice. La unificazione tariffaria sarà relativamente facile, la equiparazione di alcuni rami delle due legislazioni sarà assai meno facile, ma tuttavia possibile. Il resto è nelle mani di Dio: non perdiamo di vista l'esempio di Benelux.

Ma di questo lontano avvenire è inutile e presuntuoso parlarne oggi: il punto su cui volevo attirare l'attenzione di V.E. è un'altro.

L'Unione doganale italo-francese è stata ed è a tutt'oggi un fatto essenzialmente politico. Il grande pericolo che minacciava i rapporti italo-francesi, dopo la guerra, è che essi si cristallizzassero su posizioni di recriminazioni reciproche, come, purtroppo, è avvenuto con l'Inghilterra; si era già su questa strada: la sua idea dell'Unione doganale ha fortunatamente servito a sbloccarli e a metterli su di un terreno nuovo e costruttivo. Se i rapporti italo-francesi sono quelli che sono oggi, abbastanza soddisfacenti, pur con tutte le riserve di cui al mio rapporto n. 41197 del 17 corrente3 , lo si deve esclusivamente all'idea dell'Unione doganale e al parlare che se ne è fatto.

Ora per me, e senza esagerarne né la solidità, né la portata, i rapporti italo-francesi sono oggi per noi di una certa importanza. Noi siamo oggi isolati e soli, abbiamo ancora, ben visibile all'estero, sulla fronte il marchio di ex nemici; non possiamo considerare buoni rapporti nel senso vero della parola l'atteggiamento di benevola condiscendenza che hanno gli Stati Uniti verso di noi. I rapporti italo-francesi sono praticamente l'unico contatto politico che noi abbiano col mondo esterno, l 'unico spiraglio appena socchiuso del muro che ci circonda. Essi possono servirei per superarlo, ma oggi, ripeto, sono l 'unica cosa che abbiamo e non bisogna metterli a repentaglio. Bisogna cioè che l 'Unione doganale possa, per tutto il tempo che ciò sia necessario, e che può essere ancora lungo, continuare a funzionare da stimolante per i rapporti italo-francesi. Questo suo aspetto politico per me primeggia su tutto: per cui, voglia scusarmi il mio paradosso, se per poter continuare a parlare di Unione doganale fosse necessario di non farla, non bisognerebbe esitare un momento a non farla.

Questo mio paradosso non è poi tanto un paradosso in quanto che se oggi noi volessimo realmente fare l'Unione doganale, di Unione doganale non se ne parlerebbe più. I grandi interessi francesi sono molto più smaliziati dei nostri: i nostri, opponendosi all'Unione doganale, si appellerebbero apertamente ai loro interessi lesi, i francesi si difenderebbero invece lanciando una campagna sciovinistica antiitaliana, ossia guastando i nostri rapporti politici.

Diffidenza francese ce n'è molta: un importante parlamentare francese, ex e probabilmente futuro ministro, e sincero amico dell'Italia, mi diceva qualche giorno

addietro: ma l'Italia che cosa si attende dall'Unione doganale? Essa sa bene che la Francia non è una soluzione del problema della superpopolazione italiana, che la Francia non è un mercato per la produzione italiana, che la Francia e per molti anni non avrà capitali da investire in Italia. E quando gli ho spiegato del mio meglio le nostre finalità superiori mi ha chiesto: possibile che voi vi contentiate di così poco per voi? Riferisco questo come abbastanza tipico dell'atteggiamento francese. È il nostro entusiasmo, il nostro slancio -parlo del Governo e di una parte almeno della nostra opinione pubblica -che eccita le diffidenze dei francesi: sostanzialmente meschini, calcolatori, piccoli borghesi come sono, i francesi non capiscono negli altri slanci disinteressati: pensano a cosa c'è dietro.

Di questa diffidenza francese bisogna che teniamo seriamente conto nell'opera di propaganda che si dovrà fare, in Italia pure, per preparare l'accettazione dell'atto. Parliamo pure quanto si vuole della sua importanza per il trionfo della libertà, della democrazia, di un passo verso l 'Unione Europea, di tutto quello che è metafisico insomma: ma facciamo bene attenzione a non parlare di problemi concreti.

Soprattutto attenzione dobbiamo fare a non parlare dell'emigrazione. l francesi sentono la possibile pressione di questa enorme massa demografica: temono che se un giorno, a seguito dell'Unione doganale, le barriere attualmente esistenti dovessero crollare fra i due paesi, la Francia sarebbe sommersa dalla massa italiana. Questo temono, e diffidano tutti, dal contadino, dall'operaio al presidente della Repubblica, con la possibile eccezione di qualche datore di lavoro, molto poco progressista, allettato dalla illusione di mano d'opera a bassissimo mercato. I francesi sono disposti ad ammettere un rivolo ben controllato di emigrazione, ma non vogliono un torrente.

Capisco che questo è molto difficile per noi, poiché è precisamente lo sbocco alla nostra emigrazione che ci alletta nell'Unione doganale con la Francia: che è sulle possibilità di emigrazione che è stata basata buona parte della nostra propaganda interna per l 'Unione. Finché la cosa era lontana ciò poteva andare bene: ma oggi che siamo di fronte alla realtà bisogna andarci molto piano.

Per ragioni interne nostre anche: possibilità effettive di emigrazione nostra in Francia, almeno in quantità considerevoli, oggi non ce ne sono: si rischia quindi di vedersi smentiti dai fatti a brevissima scadenza. Ragioni francesi soprattutto perché qualsiasi nostra troppo grande insistenza sul fattore emigrazione obbligherebbe il Governo francese, di fronte al suo Parlamento, a delle smentite o a delle assicurazioni il cui risultato potrebbe essere disastroso in Italia.

Può essere che se si verificano certe determinate circostanze noi riusciamo effettivamente a mandare in Francia forti quantitativi di italiani; ma ciò ci riuscirà tanto più facilmente quanto meno ne parleremo: e soprattutto se ci decideremo invece di supplicare, come abbiamo fatto finora, i francesi di accogliere i nostri, ad aspettare con un po' di pazienza che siano i francesi a chiederceli.

È egualmente necessario per quello che concerne i francesi -e probabilmente anche per quello che concerne gli italiani -che si diano da parte nostra tutte le assicurazioni (parlo di quello che si dirà o si scriverà in pubblico) che non si correrà troppo, che si procederà con saggia gradualità, che non si rivoluzioneranno interessi precostituiti. Il Governo francese sarà obbligato a farlo; se non lo facessimo noi tutti rileverebbero la differenza di tono fra i due paesi, e comunque questa differenza di tono, da parte nostra, aumenterebbe le diffidenze francesi, e potrebbe obbligare il Governo ad assicurazioni restrittive.

È opportuno, in altre parole che la propaganda per l'accettazione dell'Unione da parte nostra sia fatta sul terreno della rettorica pura evitando i problemi concreti, e soprattutto evitando di menzionare l'emigrazione: altrimenti rischiamo di compromettere il tutto.

E last but not least, bisogna che prima di arrivare ad atti conclusivi abbiamo prese delle decisioni per risolvere il problema dei pagamenti fra Italia e Francia. Problema non facile a risolversi soprattutto se non ci rassegniamo a guardare questo problema con larghezza di vedute e spirito anche di sacrificio. Altrimenti rischiamo di cadere nel ridicolo: e il ridicolo in Italia e in Francia uccide uomini e cose.

Per quello che ci sarà da fare dopo, Io si vedrà. Mi limito a segnalare solo la necessità, nell'interesse dei rapporti italo-francesi di considerare, con la firma e la ratifica dell'atto, chiuso il periodo dei colpi d'effetto fra Italia e Francia. Se non vogliamo far correre dei rischi troppo gravi ai rapporti italo-francesi, i successi è bene che ci asteniamo dal cercarli sul terreno dei rapporti fra Italia e Francia.

214 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

214 3 Vedi D. 94.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 104/276. Parigi, 31 gennaio 1949 1•

Ho letto con molta attenzione l'interessante rapporto unito al telespresso ministeriale n. 0259/c. dell'8 gennaio2 . Il ministro Cattani solleva due questioni della massima importanza:

l) Che cosa intendono realmente gli americani per cooperazione europea. Sono perfettamente d'accordo con lui quando egli dice che ci sono a questo riguardo varie opinioni americane, e che, soprattutto, le idee americane non sono ancora ben precisate.

Credo che egli abbia ragione di dire che è più degli altri il Dipartimento di Stato che si preoccupa di avere qualche cosa di tangibile da presentare al Congresso per riuscire più facilmente a far mandare giù la nuova franche del piano Marshall. Ma credo anche che abbia ragione quando dice che gli americani di qui -anche la missione europea E.C.A.-si preoccupano dell'apparenza e poco assai della sostanza: e che anzi, il giorno in cui dali' apparenza passeremo alla sostanza, potremmo trovarci di fronte a tendenze, o anche ad esigenze americane, proprio nel senso contrario a quello che si dice oggi. Così come si delineano le cose -tanto per fare un esempio -la cooperazione europea potrebbe finire in un'autarchia europea, cosa che certo non è nelle intenzioni americane. È da rilevare che quanto noi possiamo dire si riferisce a

2 Vedi D. 33.

impressioni derivate da contatti con gli americani di qui: quali siano le vere opinioni di Washington, ammesso che Washington ne abbia, non è certo possibile di dirlo a Parigi.

Questo vale anche per l'Unione doganale franco-italiana. Non so cosa ne sia stato fatto a Washington: certo è che qui a Parigi gli americani si sono grandemente interessati all'Unione doganale franco-italiana. Ma se ne sono interessati solo in quanto window dressing: ci hanno visto qualche cosa di tangibile da portare al Congresso, come successo dell'E.C.A., o come prova della buona volontà degli europei: e nulla più. È singolare che gli americani, i quali si interessano di tutto, vogliono essere informati in dettaglio di tutto, qui a Parigi, sia presso di noi che presso i francesi non si sono mai interessati di seguire dappresso i lavori delle due Commissioni, i problemi che l'Unione solleva, le difficoltà che essa incontra. Quale sarà la loro attitudine di fronte a questioni concrete, non lo so.

Cito un fatto: noi abbiamo molte volte fatto presente ai francesi che bisognerebbe, nel clima dell'Unione doganale, in molti casi stabilire una precedenza discriminatoria fra i due paesi. Da parte francese ci si risponde e giustamente che attualmente ciò non è possibile perché la Carta dell'Avana impedisce dei trattamenti discriminatori: abbiamo prima bisogno dell'atto legislativo dell'Unione doganale: una volta avuto questo atto, sempre basandoci sulla Carta dell'Avana, potremo stabilire una serie di misure preferenziali, o discriminatorie come dir si voglia, fra i due paesi. Ora io non sono affatto sicuro che il giorno in cui noi ci presenteremo con queste misure discriminatorie non incontreremo una forte misura di opposizione americana.

Egualmente, il giorno in cui noi decidessimo di alterare il cambio franco-lira, basandoci sull'atmosfera dell'Unione doganale, non sono affatto sicuro che non incontreremo dell'opposizione americana.

Che il giorno in cui avremo firmato il nostro atto di Unione doganale, i francesi e noi avremo un bel bravo dagli americani non ne dubito. Ma non dobbiamo sperare di averne, in conseguenza, una situazione di favore presso Washington: se i francesi pensano che con l'Unione doganale essi riusciranno ad allentare la pressione che essi subiscono attualmente per rivedere tutto il loro programma di consumi e di produzione, si sbagliano. Egualmente ci sbagliamo noi se noi crediamo che avendo fatto l'Unione doganale, si allenterà la pressione che subiamo dagli americani per mettere la nostra casa in ordine.

Così pure non dobbiamo meravigliarci se all'indomani della firma dell'Unione, quando porremo mano ad alcune misure del genere di quelle cui ho accennato, noi vedremo gli americani mobilitare se stessi e forse tutto l'O.E.C.E. per impedirci di farlo: e che se noi terremo duro ci vedremo accusare, dopo gli osannah, di essere dei sabotatori della collaborazione europea. È una delle tante manifestazioni della logica,

o se si vuole meglio, della mancanza di logica americana che è per noi tanto sconcertante, ma alla quale dovremmo ormai essere abituati. 2) Quali sono le ripercussioni dell'Unione doganale italo-francese sulla cooperazione europea.

Su questo argomento confesso che anche io, fino a qualche tempo addietro, ero portato a credere che l'Unione franco-italiana avrebbe potuto costituire un considerevole passo avanti verso questa Unione. Adesso dopo avere seguito da presso tutto il complesso di problemi sollevati dal piano a lungo termine, non me ne sento più tanto sicuro. Ciò dipende anche in larga misura da come potrà essere fatta l'Unione doganale. Se l'Unione doganale potesse essere fatta sotto forma liberale, nel senso di creare con un atto d'impero un mercato unico fra i due paesi, in modo che gli economicamente deboli o artificiali, nel complesso dei due paesi, dovessero venire eliminati dal libero giuoco delle forze economiche, si verrebbe, dopo il necessario sconquasso, a creare una zona economicamente più sana di quanto non lo siano le due attuali zone: e questo sarebbe indiscutibilmente un passo avanti verso la cooperazione europea. Ma l 'Unione doganale, se sarà fatta, non sarà fatta così: sarà fatta al contrario, in larga misura almeno, cercando in tutti i modi di salvare, per ragioni evidenti, le attività economicamente deboli o artificiali dei due paesi: in questo caso essa non avrà praticamente nessun risultato utile e forse un risultato dannoso ai fini dell'Unione Europea.

Per me porrei il problema in altri termini. Come dice giustamente Cattani, i singoli piani a lungo termine hanno il grosso difetto di essere stati redatti senza tener conto di quello che fanno gli altri. Praticamente tutti i principali paesi europei vogliono aumentare le stesse industrie, aumentare le stesse esportazioni: ora i mercati di esportazione sono gli stessi, non c'è posto in essi per tutte le espansioni desiderate dai vari paesi europei. Ci vorrà quindi un riadattamento ed una distribuzione di compiti fra i vari paesi europei, distribuzione dei compiti che dovrà, in larghissima misura almeno, tener conto dell'economicità di certe produzione in certi determinati paesi. Sarà un lavoro non facile, che creerà delle altissime strida, specie nei paesi, e noi fra gli altri, che dovranno essere sacrificati: ma d'altra parte o si riesce, ed allora il piano Marshall ha delle chances di riuscire, o non ci si riesce, ed allora il piano Marshall è fallito. Ma se ci si riesce, l'Unione economica europea è fatta, non nel senso un po' appariscente come si pensa da qualcuno, ma di fatto, perché si sarà creata un tale interpenetrazione economica che sarebbe poi difficile rompere. Ma in questo caso l'Unione doganale italo-francese potrebbe trovarsi superata dai fatti: nel caso contrario ben poca importanza, altro che a parole, essa potrà avere sull'integrazione europea. Bisognerà quindi attendere gli sviluppi che tutto questo potrà avere nei prossimi mesi per vederci un po' più chiaro.

Altro punto importante, per me, del rapporto Cattani sono le sue considerazioni sulle incidenze dell'Unione doganale sui rapporti italo-britannici.

Non ho il minimo dubbio sulle nostre intenzioni, quando V.E. dice: «(l'Unione doganale) non può, né deve essere considerata come diretta in alcun modo contro chicchessia e tanto meno contro l 'Inghilterra». Ma non importa solo che queste siano le nostre intenzioni: è non meno importante che gli altri, e nella fattispecie l'Inghilterra, ne siano altrettanto persuasi. Ora che gli inglesi ne siano persuasi mi permetto di dubitarne.

Persuaderli di questo sarà tanto più difficile in quanto, sia detto fra di noi, è indubbio che l'Unione doganale franco-italiana è in un certo senso anti-inglese, o se si vuoi meglio, anti-anglosassone. Quale è stata una delle idee fondamentali che hanno spinto i due Governi a questo passo ardito e difficile? La constatazione che Italia e Francia, in questo mondo di oggi, di fronte ad americani ed inglesi erano ridotte a contare poco o nulla, e la speranza che coniugando le loro forze, o le loro debolezze, essi avrebbero potuto difendersi un po' meno peggio che separati. Ora non c'è una cosa che dia ai nervi ai più forti che il vedere i deboli cercare di mettersi insieme per difendersi.

Non sarò certo io a chiedere che noi rinunciamo a quello che può essere-pur senza farsi troppe illusioni sulle sue possibilità -uno dei vantaggi, anche per noi, dell'Unione doganale. Si tratta naturalmente di impostazione e di misura.

I rapporti fra inglesi e francesi sono molto complessi: da oltre quarant'anni sono alleati e non si possono soffrire: ma a questo stato di cose ci sono abituati tutti e due e quindi di crisi in crisi un certo aggiustamento si trova. I nostri rapporti con l'Inghilterra sono invece, attualmente, francamente cattivi. Non meno delicata la nostra situazione è resa dal fatto che i nostri interessi economici non sempre coincidono con quelli francesi, e qualche volta, anzi, sono più vicini a quelli britannici. È tutta questione di equilibrio, di misura, di rendersi conto esatto di quello che l'Unione doganale può dare e di quello che essa non può dare.

L'Unione doganale è ancora da venire: il patto probabilmente lo firmeremo, ma il patto, tale quale esso è non è che una dichiarazione di buone intenzioni. Se l'Unione itala-francese riuscirà a diventare qualche cosa di più concreto che il Benelux, che a tutt'oggi, esiste solo sulla carta, dipende da tante e diverse circostanze che sarebbe oggi pazzesco fare delle previsioni sia ottimiste che pessimiste. Gli inglesi oggi, a quanto posso giudicare da reazioni, anche recenti di questa ambasciata, non lo credono una cosa seria, e non mi sembra abbiano tendenza a prenderlo molto sul serio: lo considerano una manifestazione tipicamente latina. Il giorno in cui i fatti dimostrassero loro che si sbagliano, non sarà certo domani ed avremo il tempo di vedere cosa fare.

Di immediato per quello che concerne i rapporti italo-inglesi e da prendere in seria considerazione, è la nostra situazione nelle prossime discussioni in seno all'O.E.C.E. del programma a lungo termine. I francesi hanno delle serie intenzioni di costituire il fronte unico, appunto nell'atmosfera dell'Unione doganale: Alphand, qualche giorno addietro, mi ha manifestato la sua intenzione di venire a Roma per parlarne appunto con i nostri dirigenti: e molti di loro, Alphand fra i primi, intendono per fronte unico farci agire da pattuglia di punta. Si tratterà per noi di una manovra abbastanza delicata: i francesi hanno ed avranno molto da difendersi: ma anche noi. Bisognerà quindi che noi mettiamo bene i punti sugli i e troviamo la maniera di riserbarci una certa libertà d'azione, primo per evitare di avere sì l'appoggio dei francesi ma di avere per contro tutto il peso, ben più grave, degli inglesi sulle nostre spalle; secondo, per non rischiare che dopo di esserci ben spinti avanti per i francesi, francesi ed inglesi finiscano per mettersi d'accordo lasciando noi nella peste.

Non bisogna, secondo me, dimenticare che un miglioramento dei rapporti italoinglesi è per noi almeno altrettanto importante che mantenere e consolidare i rapporti itala-francesi: una certa collaborazione nel campo O.E.C.E. è uno dei pochi punti su cui siano possibili dei contatti con gli inglesi senza che ci si debba per forza bisticciare: ne abbiamo tanto pochi che non conviene abbandonarlo. Ciò ci impone una delicata situazione di equilibrio, che è nelle intenzioni di V.E. ma che, all'atto pratico, ed a misura del complicarsi dei dibattiti, diventa anzi più facile enunciare che mettere in pratica.

In questo possibile e per me auspicabile riavvicinamento itala-britannico non vedo niente di incompatibile con il riavvicinamento italo-francese: anzi esso avrebbe -come ho detto-il vantaggio di togliere a questo riavvicinamento itala-francese quella sua punta anti-inglese: più forte da noi che in Francia, la quale non fa che introdurvi un elemento equivoco e alla fine dannoso agli stessi rapporti itala-francesi, poiché né l'uno né l'altro, anche se messi insieme, siamo in grado di imporci all'Inghilterra. Lo si poteva pensare quando poteva sembrare possibile che Francia ed Italia, appoggiate all'America, potessero servirsi, nei riguardi della Inghilterra, della pressione americana. L'esperienza oggi ci ha mostrato che questo è impossibile: l'Am erica considera l 'Inghilterra come l 'unico punto fermo in Europa e, messa al bivio, si appoggierà sempre all'Inghilterra.

Noi ci siamo trovati di fronte al difficile compito di riinventare l'orientamento della politica estera italiana dopo il disastro del 1943, disastro che ha seguito non soltanto il crollo della politica estera fascista, ma quello di tutta la politica estera italiana, dal 1861 ai giorni nostri. Quale è stata in sostanza questa nostra politica, eredità del resto della politica del Piemonte? La politica del giuoco fra le rivalità altrui. Dopo il disastro abbiamo cercato di giuocare fra Occidente e Russia: abbiamo poi cercato di giuocare fra Inghilterra ed America, fra Francia ed Inghilterra: dobbiamo oggi riconoscere che questa politica di giuoco si è dimostrata impossibile ed ha condotto alla nostra situazione attuale che è, se la guardiamo senza illusione, di quasi completo isolamento. Non vorrei che quanto scrivo sia interpretato come una critica alla nostra politica estera: esitazioni, tentennamenti, errori erano e sono necessari per trovare la strada buona. Confesso onestamente che anche io, ad un certo momento, ho creduto che l 'una e l'altra di queste politiche fossero possibili: se sono arrivato alle conclusioni a cui arrivo oggi è soltanto perché l'esperienza di Mosca mi ha convito che il giuoco fra Oriente ed Occidente è impossibile; e l'esperienza di Parigi mi ha convinto che il giuoco nell'interno dell'Occidente è anche esso impossibile, e per lo meno non fruttuoso.

Una vera politica estera italiana non sarà possibile, e nella misura in cui essa sarà possibile, che il giorno in cui saremo riusciti a dare al nostro paese quel minimo di efficienza, nel campo economico, politico, militare che è indispensabile per contare qualche cosa, sia pure poco, ma qualche cosa. Pensare che con l'abilità, con la furberia, col bluffdiciamo pure, sia possibile sostituirsi alle nostre debolezze purtroppo note a tutti è una pericolosa illusione: la politica estera italiana la si può solo preparare, adesso, e solo sul nostro piano interno. Nella posizione che noi abbiamo oggi non possiamo fare che due cose: accettare francamente, senza riserve, senza arrière-pensées la nostra posizione di paese occidentale con tutte le conseguenze che questo comporta; secondo: fare il possibile, nel campo occidentale, di stare bene con tutti, nella misura in cui gli altri ce lo permettono, senza cercare,

o piuttosto senza darci l'aria di cercare-poiché in realtà la nostra politica estera è molto meno machiavellesca di quello che possa sembrare e non abbiamo la minima intenzione di fare molte cose che ci vengono attribuite-di giuocare sulle altrui rivalità.

Se a questo riavvicinamento alla Francia che è la meta del l 'Unione doganale si accompagnerà un certo riavvicinamento con l'Inghilterra, sarà tanto meglio per tutti. E se noi riusciremo ad entrare nell'Unione Europea, nel Patto atlantico o nel Patto di Bruxelles o in quello che si vuole, in rapporti passabili con la Francia e con l'Inghilterra potremo forse svolgervi una funzione modesta ma utile di paciere -non di onesto courtier. Nella maggior parte delle questioni che separano o possono separare Italia, Francia e Inghilterra noi o non abbiamo un interesse diretto o per la situazione nostra speciale, abbiamo dei punti di contatto col punto di vista dell'uno come con quello dell'altro: possiamo quindi cercare, nelle piccole cose, di proporre delle formule intermedie e guadagnarci così, poco per volta, la posizione e la reputazione di uno Stato serio e sostanzialmente tranquillo. Posizione che è necessario guadagnare se vogliamo, un giorno, poter tornare a contare qualche piccola cosa nel mondo: posizione che è necessario guadagnarci se noi vogliamo arrivare realmente a qualche realizzazione di revisione del trattato che è possibile. E questa politica modesta ma utile moralmente, difficile in quanto non monetabile sotto forma di successi concreti di fronte all'opinione pubblica italiana se non a lunghissima scadenza, potrà anche essere il più efficace contributo che noi possiamo portare sia all'Unione Europea sia alla pace, problemi tutti e due che ci stanno tanto a cuore.

215 1 Copia priva d eli 'indicazione della data di arrivo.

216

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. S.N.D. 868/22. Roma, l o febbraio 1949, ore 23.

Questo ministro d'Austria, che aveva a nostra richiesta proposto a suo Governo fare dichiarazione atta almeno tranquillizzare optanti allarmati da noto provvedimento de12 novembre' ha oggi comunicato, per incarico di Gruber, che Governo austriaco non ha nulla da aggiungere a comunicazione di cui al nostro telegramma n. 152 e considera questione chiusa.

Mi sono quindi visto costretto dichiarare a Schwarzenberg che, di fronte così scarso spirito comprensione da parte Governo austriaco, non vedevo possibilità per noi far recedere Presidenza del Consiglio da punto di vista già espresso che tutte domande presentate posteriormente 2 novembre siano da considerarsi viziate nel consenso. Predetta Presidenza del Consiglio esaminerà nella sua competenza provvedimenti da adottare per l'esame delle domande stesse3 .

Faccia costì analoga comunicazione4 .

217

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1007/29. Gerusalemme, l o febbraio 1949, ore 12 (perv. ore 23). Telegramma di V.E. n. 121 .

2 Vedi D. 123.

3 Vedi D. 304.

4 Per la risposta vedi D. 233. 217 1 Vedi D. 207.

Colloquio con direttore affari politici Hirsch, trovato appunto nelle disposizioni spirito riferite Stern. Hirsch esordito essere in possesso ultime informazioni ricevute da Stern e susseguenti istruzioni proprio ministro esteri. Sostiene che inserzione lettera base oppure seconda lettera tre nostri principi: collaborazione esistenti istituzioni italiane, evacuazione restituzione istituzioni occupate non appena possibile, risarcimento dei danni sofferti proprietari italiani in seguito occupazione, significa entrare in merito trattative ulteriori già assicurate prima(!) dal telegramma di VE. A mie cortesi obiezioni e fondate argomentazioni Hirsch è rimasto fermo sua tesi, concedendo solo poter dichiarare ufficialmente che Governo Israele è d'accordo nostri tre principi dei quali sarà tenuto conto future trattative. Riferendosi precedente procedura francese, Hirsch affermato che note scambiate prima del riconoscimento contenevano assicurazioni analoghe quelle a noi date. Chiestogli se ero autorizzato riferire questo a mio Governo, Hirsch risposto evasivamente lasciando supporre non aver detto intera verità. Conclusione rimessa domani mattina in colloqui fissati con Shertok.

Tengo riserva proposta ricevere lettera contenente tre assicurazioni anche generiche dopo riconoscimento formale. Traggo impressione si voglia speculare: su congiuntura, poco concedendo Italia per risparmiare più tardi su Francia avente questioni analoghe; su nostro presunto disagio per ritardo riconoscimento e per il fatto che l'Italia non possiede ancora voce e voto Nazioni Unite [utile] servire interessi Israele2 .

216 1 Vedi D. 199.

218

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1009/92. Parigi, l 0 febbraio 1949, ore 21,30 (perv. ore 8 del 2).

Schuman mi ha detto 1 di essere stato informato da Fouques-Duparc che

V.E. non (dico non) sarebbe favorevole venuta Roma a capo delegazione francese per pagamenti Letournau e che preferirebbe invece ministro di Gabinetto poiché da parte nostra si ha intenzione nominare ministro Saragat a capo nostra delegazione.

Schuman mi ha detto che se noi ci teniamo potrebbe inviare Roma ministro Gabinetto; ma solo ministro che è completamente al corrente dei problemi

è ministro Finanze il quale non può assentarsi. Dovrebbe nominare a capo delegazione ministro il quale non ne sa niente e quindi non sarebbe nessuna utilità per negoziato.

Schuman si è reso conto importanza problemi pagamenti, ha preso in mano personalmente questione e voleva inviare Letournau ex ministro e persona di grande influenza politica il quale è perfettamente al corrente problema, ne ha discusso con tutti, è preparato a fondo. Ritiene quindi sia persona e metodo più adatto per condurre a termine questione.

Aggiungo come mia impressione che Schuman cambierebbe nomina se noi insistiamo ma che se ne dispiacerebbe. Letournau il quale fra l 'altro ha in mano la cosa e sta facendo efficacemente preparazione parlamentare se la prenderebbe a male: tutte cose che se possibile sarebbe bene evitare.

Pregherei farmi avere se possibile risposta telegrafica urgente2 .

217 2 Con T. s.n.d. 897/14 del 2 febbraio Zoppi rispose: «Niente in contrario a che assicurazioni relative tre punti menzionati in suo telegramma non (dico non) figurino in lettera base ove fosse possibile registrarli in qualche forma o fame comunque stato, sia contemporaneamente, sia anche dopo scambio lettere base. Mi riservo telegrafare progetto nostra lettera».

218 1 Quaroni, in procinto di recarsi a Roma, riferì sugli argomenti di natura politica trattati nel colloquio con Schuman con quattro telespressi datati 2 febbraio, pubblicati al D. 229.

219

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1012/7. Beirut, JO febbraio 1949, ore 22 (perv. ore 8 del 2).

Governo Libano ha accettato che firma del Trattato di amicizia abbia luogo a Roma 1 .

Con tale accettazione esso ha superato, per farci cosa grata, qualche esitazione determinata dal desiderio non urtare, per quanto è possibile, suscettibilità altre potenze. Ancora una volta ministro Hamid Frangié, al quale ho francamente rappresentato interesse per i due paesi sottolineandone importanza Trattato, ci ha dato prove di amicizia ... 2 doveva presidente della Repubblica dare suo assenso per firma a Roma.

Tanto presidente Riad Solh quanto ministro Frangié si trovano però nella assoluta impossibilità lasciare Beirut in questo momento veramente cruciale per l'avvenire del Libano.

Governo Libano propone pertanto che trattato sia firmato a Roma da ministro Libano, Khoury bey, con cerimonia alla quale esso è lieto sia dato significativo rilievo. A tale scopo Governo Libano è pronto inviare ministro Khoury lettera credenziali di ambasciatore straordinario.

Prego V.E. volersi compiacere telegrafarmi se proposta Libano può essere accettata3 .

2 Gruppo mancante.

3 Per la risposta vedi D. 232.

218 2 Manca una risposta telegrafica.

219 1 Con L. 92 segr. poi. del 20 gennaio Guidotti aveva avanzato l'ipotesi che la firma del trattato avesse luogo a Roma.

220

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1016/105. Washington, l o febbraio 1949, ore 20,24 (perv. ore 8 de/2).

Mio n. 901•

Oggi ha avuto luogo riunione sostituti capi missione. È stato, nel corso di essa, chiesto con insistenza a Hickerson di adoperarsi per ripresa sollecita lavori Patto atlantico. Nel fare presente che il ritardo è determinato solo da desiderio segretario di Stato impadronirsi della materia e presiedere personalmente prossima riunione ambasciatori, Hickerson ha lasciato sperare che riunione potrà essere convocata entro questa settimana.

Essa avrà probabilmente per oggetto anche ammissione Italia, circa la quale Dipartimento di Stato ritiene che non vi siano più dubbi. Dipartimento di Stato ritiene probabile, benché non certa, adesione Danimarca, oltre Norvegia, malgrado fallimento conferenza scandinava.

221

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPRESSO. Ankara, 1° febbraio 1949 1•

Ho parlato a lungo col ministro Sadak -che fra partecipazione ali' Assemblea di Parigi e crisi ministeriale non vedevo da un pezzo-dei nostri interessi africani. In conformità alle istruzioni di V.E. gli ho in particolare illustrato il punto di vista italiano nei confronti dell'Eritrea, !asciandogli, a maggior chiarimento, la carta cortesemente trasmessami da codesto Ministero con telespresso n. 31142/c. del 17 gennaio2 . Tornerò fra qualche giorno con lui sullo stesso argomento3 , nei termini prescrittimi con susseguente telespresso n. 3/156/c.\ che ho ricevuto soltanto venerdì scorso, 28, e le cui grandi linee mi erano del resto, per precedenti comunicazioni, già note. Ho sopra

2 Vedi D. 51, nota 2.

3 Lo fece !'8 febbraio intrattenendo nuovamente Sadak al quale disse in particolare: «Sarebbe ottima cosa se anche per gli interessi italiani in Africa la Turchia si adoperasse presso gli Stati arabi, col peso che le proviene dalla sua autorità di potenza islamica e dal suo disinteresse, per creare attorno alla progettata intesa fra Italia e Tripolitania una atmosfera propizia».

4 Vedi D. l 00.

tutto insistito sull'interesse fondamentale della Turchia alla stabilità mediterranea, che -è sciocco farsi illusioni -non può essere raggiunta se non attraverso un'equa e ragionevole soluzione dei nostri problemi africani, quale appunto gli prospettavo.

Anche la Francia è d'altra parte legata alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti da vincoli certamente più complessi e più vasti di quelli che leghino quelle potenze alla Turchia, ma ciò non le ha affatto impedito di adottare nei confronti di quei problemi punti di vista e iniziative indipendenti. Mi auguravo che la Turchia facesse altrettanto.

Il nostro progetto di costituire ed organizzare in Tripolitania un libero Stato italo-arabo, legato a noi da un trattato di cooperazione, si inquadrava poi perfettamente in quelle che sono oggi le relazioni fra la Turchia e il mondo arabo ed io molto speravo che egli Sadak, volesse, in quanto tale, appoggiarlo presso gli Stati aderenti alla Lega araba, creandogli attorno quell'atmosfera favorevole di cui l'appoggio turco indubbiamente agevolerebbe la formazione.

Il ministro Sadak ha ascoltato attentamente la mia esposizione. Ha promesso che vi avrebbe pensato su e riflettuto con ogni buona volontà di venirci incontro. Mi ha chiesto a un certo punto se io ritenessi che una soluzione che ci fosse favorevole sia della questione africana, sia del nostro riarmo, potesse agevolare la conclusione di un qualche accordo mediterraneo. Sicché, posta la questione in questi termini, non potevo che rispondergli che può perfettamente darsi che ciò avvenga e che anzi lo ritenevo personalmente probabile.

220 1 Vedi D. 173.

221 1 Copia priva dell'indicazione del numero di protocollo e della data di arrivo.

222

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 39/01. Bruxelles, JD febbraio 19491•

Ho visto segretario generale barone de Gruben al suo ritorno dalla recente riunione di Londra. Egli si è dimostrato compiaciuto per l'accordo facilmente raggiunto a riguardo della creazione di un Consiglio europeo e per l'invito di partecipazione rivolto all'Italia. Ha detto che la decisione era stata presa all'unanimità e che di essa si faceva esplicita menzione nel primo progetto di comunicato-stampa. Tale menzione era stata poi tolta, sembrando poco riguardoso per il Governo italiano che di una decisione di tanta importanza esso ne apprendesse notizia a mezzo di un comunicato-stampa.

Segretario generale mi ha detto che la delegazione belga si era invero recata a Londra poco ottimista circa la questione del Consiglio europeo ma che l'accordo era stato facilmente raggiunto grazie alla buona volontà e spirito di conciliazione dimostrati da tutti; egli sembrava ora tanto ottimista dal ritenere non escluso che al momento della prossima riunione a Bruxelles della conferenza del Movimento federale europeo (25 corrente) la costituzione del Consiglio europeo potesse essere già un

fatto compiuto. Segretario generale ha infine detto che circa la sede del Consiglio europeo non era stata fatta parola a Londra e, come tutti i belgi, ha manifestato sua scarsa simpatia per l'eventuale scelta di Strasburgo.

De Gruben è stato invece assai più riservato a riguardo delle conversazioni relative al Patto atlantico e della partecipazione dell'Italia. Ho riportato l'impressione che esitazioni siano state manifestate da più di una parte e che Spaak, pur mantenendo promesse dateci, di esaminare cioè con favorevole disposizione la questione quando fosse stato confermato il desiderio dell'America e l'esplicita decisione dell'Italia, non si sia peraltro adoperato con molto calore, ed abbia prestato orecchio alle obiezioni che certamente saranno state formulate. De Gruben mi ha ripetuto infatti argomento della questione della difesa del Mediterraneo e della soverchia estensione territoriale del Patto: ha accennato che a Londra si era parlato non solo dell'Italia, ma anche della Grecia (sulle cui aspettative questo ministro di Grecia aveva di recente richiamato l'attenzione di Spaak), della Turchia e perfino dell'Iran. Parlando a titolo personale, egli si poneva il quesito quale sarebbe stata la reazione dell'opinione pubblica belga invitata ad assumere impegni tanto estesi e dinanzi alla prospettiva dell'eventuale impiego di truppe belghe in lontane regioni. Ho osservato che simili preoccupazioni non sembravano di attualità poiché, secondo le notizie in mio possesso, si prevedeva pel momento soltanto la partecipazione de li 'Italia, e la questione sembrava tanto bene avviata che nei giornali già si faceva il nome del generale americano che sarebbe stato posto a capo dell'organizzazione difensiva in Europa ed incaricato del coordinamento con le potenze del Patto di Bruxelles. Il segretario generale ha allora detto che il problema dei rapporti e del collegamento fra le potenze del Patto di Bruxelles e quelle del Patto atlantico costituiva un problema importante e delicato; le potenze del Patto di Bruxelles non intendono rinunciare agli speciali legami stipulati col Patto di Bruxelles, anche in considerazione del fatto che esso stabilisce la loro collaborazione non solo nel campo militare, ma anche in quello economico, sociale, culturale, ecc., questioni che non entravano invece negli scopi del Patto atlantico.

222 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

223

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 493/245. Londra, l o febbraio 19491•

Ritengo che i miei due colloqui del giorno 29 gennaio con sir Stafford Cripps e con McNeil e Jebb2 abbiano avuto un intenzionale collegamento e un notevole significato chiarificatore e di definitiva presa di posizione da parte del Governo inglese a nostro riguardo, tale che non può sfuggire a un attento esame. Con quei due colloqui, a poche ore di distanza l 'uno dali' altro, si scioglievano alcune reticenze mostrate da

2 Vedi DD. 190 e 197.

Bevin nel colloquio del giorno 193 e si segnava anche, senza voleme esagerare l'importanza, un notevole progresso nelle relazioni tra i due paesi che superava la resistenza passiva, caratterizzante dal 18 aprile '48 i rapporti diplomatici tra Londra e Roma.

In questi colloqui qualche cosa si è al fine sciolto, l'atmosfera morale si è mutata, un chiarimento da lungo tempo atteso ha avuto luogo. All'Inghilterra premeva dirci al più presto (chiusi appena i lavori del Comitato consultivo del Patto di Bruxelles) che essa non era rimasta né ostile né passiva nelle conversazioni con Schuman e Spaak riguardo alla nostra partecipazione alla Europa occidentale, ma era anzi venuta incontro alle nostre aspirazioni con sincerità e desiderio di più stretta collaborazione.

I punti salienti delle comunicazioni inglesi, e per cui possiamo avere ragione di compiacimento, sono i seguenti:

l) la comunicazione di sir Stafford Cripps, fattami con particolare cordialità verso il nostro paese e il Governo italiano, della proposta per la partecipazione dell'Italia al gruppo consultivo di quattro consiglieri che assistano il presidente nella «direzione politica» dell'O.E.C.E. Egli mi ha fatto notare che mentre la preparazione tecnica an the working groundnell'O.E.C.E. era stata assai buona, il momento era maturo per passare dal periodo degli studi a quello «dell'azione e della esecuzione» per cui si imponeva un rimaneggiamento e la creazione di un organismo centrale ristretto a pochi e che, godendo di tutta la possibile autorità, per competenza e prestigio, desse le direttive politiche per l'attuazione pratica dei piani stabiliti e componesse le inevitabili divergenze tra i vari interessi degli Stati partecipanti. Il rappresentante italiano, che avrebbe dovuto perciò avere valore tecnico e alto prestigio internazionale, era chiamato a collaborare a parità di responsabilità e di autorità con la Francia, l'Inghilterra e un paese scandinavo nella massima organizzazione per la cooperazione economica dell'Europa occidentale nella quale l'Inghilterra sarebbe stata rappresentata da Cripps.

2) Ogni divergenza fondamentale essendo superata tra Francia e Inghilterra, la porta del Consiglio di Europa ci era aperta. L'invito e l'accettazione nostra erano quindi questioni formali di procedura che avrebbero richiesto solo alcune settimane. Di fatto noi ne facevamo già parte. E fame parte voleva dire partecipare nella pienezza alla vita politica dell'Europa occidentale. Bevin sopratutto aveva sempre insistito con me sul valore fondamentale di questa nostra partecipazione alla grande politica europea attraverso il Consiglio di Europa rivendicandone a sé la prima idea.

3) In risposta al memorandum di V.E. da me esposto a Bevin3 nel mio colloquio circa il Patto atlantico, McNeil dichiarava esplicitamente che se le altre nazioni erano consenzienti l'Inghilterra, le cui esitazioni avevano avuto carattere essenzialmente tecnico (e dubitativo aggiungerei, quanto a possibili complicazioni della nostra politica in rapporto alle posizioni assunte da Saragat), non aveva alcuna contrarietà a che ci fosse rivolto l'invito di partecipazione al Patto atlantico e a che noi ne facessimo parte.

Chiariti questi tre punti mi pare dunque che si possa constatare un definitivo passo avanti nella posizione dell'Italia che, esclusa dall'O.N.U. per volontà della Russia, entra in situazione di parità nella direzione delle due maggiori organizzazioni dell'Europa

occidentale per precisa volontà della stessa Inghilterra mentre d'altro Iato cade, almeno da parte inglese, una pregiudiziale opposizione alla sua eventuale partecipazione alla organizzazione difensiva-strategico-militare rappresentata dal Patto atlantico.

4) Rimane aperto il nostro problema coloniale. Anche su questo punto però le dichiarazioni di McNeil sono state esplicite. Egli ha detto (in evidente risposta al mio colloquio con Bevin) che mentre le difficoltà per la Tripolitania, anch'esse assai complesse, erano risolvibili, riteneva che da parte inglese fosse leale avvertirci subito come per l'Eritrea non era prevedibile una soluzione diversa da quella già prospettata.

McNeil ci pregava di riconsiderare il problema oggettivamente anche dal punto di vista di politica generale e nella luce di quanto Bevin mi aveva detto nel nostro colloquio. Egli era sempre pronto tuttavia a ridiscutere e riesaminare con noi la questione a fondo e a studiare nostri punti di vista e proposte di una soluzione, non essendo affatto nelle intenzioni inglesi di giungere al l o aprile in situazione di conflitto più o meno palese. Ancora una volta però egli insisteva che la soluzione del problema eritreo non dipendeva unicamente da buona o cattiva volontà inglese, e che in Inghilterra stessa il Governo non avrebbe potuto accondiscendere ad una soluzione d'accordo con noi che sentisse non accettabile dal Parlamento e dali' opinione pubblica inglese. Però da parole sue, e da quelle stesse di Bevin e Sargent, mi sembra che il problema eritreo è ancora allo stato fluido e che una nostra proposta non offensiva per l'Etiopia, inquadrata nei nostri interessi di lavoro e accettabile e appoggiata da Stati Uniti e Francia potrebbe risolvere questo delicato punto di resistenza. In ogni modo però l'intero problema coloniale mi pare si presenti sotto ben diversa luce dopo che tutta la politica di V.E. in questi ultimi mesi ci ha condotto sulla via di ben più ampie soluzioni dei reali interessi italiani che sono quelli di una piena partecipazione alla grande politica mondiale.

223 1 Copia priva del! 'indicazione della data di arrivo.

223 3 Vedi D. 165.

224

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BR OSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 251/78. Mosca, l o febbraio 19491•

Unisco per documentazione la traduzione italiana del comunicato ufficiale sovietico del 25 gennaio2 , col quale fu annunciata la costituzione del Consiglio di mutua assistenza economica fra la Bulgaria, l'Ungheria, la Polonia, la Rumania, l'U.R.S.S. e la Cecoslovacchia (fra i paesi di democrazia progressiva, soltanto l'Albania, oltre naturalmente la Jugoslavia, non ne fa parte).

Debbo aggiungere che finora non sono apparsi a Mosca commenti illustrativi dell'avvenimento, mentre la stampa sovietica si è limitata a registrare, con una certa evidenza, i primi commenti apparsi nei paesi alleati. Tali commenti sono, natura!

2 Non si pubblica.

mente, favorevoli ed a parte le generiche espressioni di compiacimento, sono in essi da rilevare due considerazioni:

a) tutti, più o meno-ed anche questo era facilmente prevedibile-contrappongono il sistema adottato dall'U.R.S.S. al sistema del piano Marshall, mettendo in evidenza che questo ultimo lederebbe la sovranità degli Stati finanziati, mentre il nuovo Consiglio metterebbe tutti gli Stati componenti in situazione di assoluta parità.

b) Taluni (ad es. il giornale Fronte della Patria di Sofia) mettono in rilievo che il Consiglio servirà a «creare una economia sociale pianificata nell'Europa orientale>> mettendo così in maggiore evidenza una delle finalità peculiari del nuovo orgamsmo.

A questo proposito, ritengo utile riferire l'interpretazione data all'avvenimento da parte di questa ambasciata degli Stati Uniti, così come essa è stata trasmessa a Washington, secondo ho appreso da fonte sicura.

Secondo tale ambasciata, l'accordo attuale avrebbe una grandissima importanza nello sviluppo del collegamento economico e politico fra U.R.S.S. e Stati satelliti; esso sarebbe il risultato di un'opera preparatoria in corso da lungo tempo, ed avrebbe costituito il principale oggetto delle riunioni svoltesi sulla fine dell'anno scorso a Soci quando vi convennero, presso Stalin, la Pauker, Rakosi, Dimitrov e Gottwald. La portata del Consiglio attualmente creato non consisterebbe soltanto nella formale attuazione di un piano Molotov quale contrapposto al piano Marshall: questo sarebbe soltanto un aspetto esteriore, polemico dell'organismo ora costituito. La sua funzione reale sarebbe più importante: col Consiglio di mutua assistenza economica si sarebbe attuato un vero e proprio pieno inserimento delle economie dei paesi satelliti nella economia pianificata sovietica. Dal punto di vista economico, in sostanza, le repubbliche della democrazia progressiva avrebbero perso ogni autonomia e sarebbero divenute elementi della pianificazione sovietica, né più né meno che le repubbliche stesse dell'U.R.S.S. Rimarrebbe loro la formale sovranità politica, ed una conseguente formale indipendenza economica, cui non corrisponderebbe più una reale sostanza. Questo importante passo sarebbe stato ritenuto necessario per coordinare strettamente tutte le risorse economiche del campo comunista, al fine soprattutto di sfruttame adeguatamente il potenziale bellico. Si sarebbe oggi all'inizio di una nuova, seconda fase della politica economica sovietica, dopo la seconda guerra mondiale: dal 1945 al 1948, l'autonomia economica dei vari paesi era ritenuta necessaria ed utile, non essendo ancora raggiunto il necessario livellamento dei vari sistemi economici e sociali, e del tenore di vita. Questo stadio sarebbe ormai in fase di superamento, e con la seconda fase apertasi ora, si passerebbe ad un sistema che considererebbe le varie economie come un tutto e distribuirebbe fra esse le risorse e le funzioni. D'ora innanzi quindi il funzionamento del complesso economico dell'Europa orientale non dovrebbe essere più misurato col metro di chi considera i rapporti economici di Stati indipendenti, se pure amici; ma unicamente con quello di chi assiste all'azione di una economia unica, centralizzata e soltanto relativamente ed apparentemente articolata. Tale importante mutamento dovrebbe avere i suoi riflessi anche sul piano monetario. Finora si è avuto soltanto a questo riguardo il fenomeno, del tutto esteriore, che negli ultimi accordi economici, sovietico-polacco e sovietico-rumeno, il plafond degli scambi fu valutato per la prima volta in rubli; ma a questi segni puramente esteriori dovrebbe far seguito abbastanza presto un qualche provvedimento monetario più sostanziale, diretto a dare al rublo un valore internazionale effettivo, almeno nell'ambito della zona della democrazia progressiva. Ciò importerebbe ancora, di conseguenza, che la speranza di reali, serii, indipendenti rapporti economici internazionali fra l'Occidente e i paesi di tale zona dovrebbe considerarsi definitivamente tramontata, e tutte le assicurazioni e gli affidamenti dati al riguardo dai rappresentanti dei paesi satelliti, specialmente per il tramite della Commissione economica per l'Europa (quella di Myrdal) dovrebbero considerarsi come illusione o inganno.

Questo è l'apprezzamento dei diplomatici nord-americani, i quali, posso aggiungere, Ii hanno fatti seguire da una serie di consigli al loro Governo, diretti ad ottenere un rafforzamento ed un irrigidimento della politica economica americana nei riguardi dell'U.R.S.S. e dei paesi satelliti; più stretto controllo delle esportazioni verso quei paesi, più attenta politica monetaria, controllo ed impedimento delle esportazioni illegali che ancora si verificano, specialmente verso la Cecoslovacchia, blocco di ogni importazione da quei paesi stessi di cose non strettamente necessarie dietro corrispettivo di dollari, ecc. ecc.

Fino a che punto questi apprezzamenti sono esatti? Non è facile dirlo: essi corrispondono non ad informazioni dirette, ma a valutazioni induttive, suscettibili di discussione. Soltanto fra qualche tempo, seguendo gli sviluppi della nuova organizzazione e l'andamento dei rapporti economici fra gli Stati componenti, si potranno riunire elementi concreti idonei a confermarli, a smentirli o a rettificarli.

Fin d'ora, direi che l'apprezzamento nord-americano si può considerare esatto, ma più in quanto esprime una tendenza, che una attuale realtà. Mi pare infatti indubitabile che Io scopo ultimo di simili unioni economiche fra paesi di economia pianificata, e specialmente fra paesi dominati dall'influenza politica di uno Stato potentemente accentratore come l'U.R.S.S., non può essere altro che la creazione di una più ampia zona entro la quale gli scambi economici si verifichino, non già secondo liberi accordi, ma in conformità alle esigenze di una distribuzione di lavoro imposta dal centro. Fra le critiche mosse da Tito, nel calore della sua polemica col Cominform, ai sovietici, ho letto quella che, fra i paesi comunisti, gli scambi internazionali si andavano ancora svolgendo secondo i criteri capitalistici. Questa critica esprimeva l'esigenza di un superamento, ed è verso questo superamento che deve fatalmente indirizzarsi I' economia coordinata dei paesi marxisti; l'attuale Consiglio è praticamente una risposta all'appunto di Tito, o meglio la soddisfazione della medesima esigenza. Si deve aggiungere, nello stesso senso, che Io sviluppo autonomo delle economie pianificate dei singoli paesi di democrazia progressiva non avrebbe potuto non slittare verso il risultato inevitabile di un moltiplicarsi di autarchie: il che avrebbe voluto anche dire, dal punto di vista economico e politico, possibilità e desiderio di indipendenza, sia pure nella onorata miseria. Un organismo plurinazionale avente fini di facilitare, come il Consiglio ora creato, lo scambio del mutuo aiuto «in materie prime, prodotti alimentari, macchine, impianti, ecc.» non può non implicare, entro tale quadro, una pianificazione delle rispettive esigenze e possibilità; se questo è già in parte vero in applicazione del piano Marshall, lo è a ben maggior ragione quando gli Stati contraenti sono degli Stati a economia rigidamente diretta. Bisognerebbe aggiungere che, sotto questo aspetto, il fenomeno era previsto e non appare una sorpresa: quando si conchiuse l'accordo economico ceco-sovietico si suppose subito il suo inquadramento in più ampi accordi economici ceco-germano-polacchi. A breve distanza di tempo è venuto fuori questo Consiglio che è per estensione diverso e più ampio, ma risponde alle medesime necessità di coordinamento del mondo economico dell'Europa orientale.

Se tutto ciò è esatto ed è naturale come tendenza, andrei tuttavia adagio ad ammettere che possa considerarsi già vero oggi come realizzazione. È da notare che gli ultimi accordi economici conosciuti, ceco-sovietico, polacco-sovietico, rumenosovietico, sono fondati (specialmente i primi due) sul metodo del finanziamento da parte dell'U.R.S.S. ai rispettivi paesi satelliti. Se veramente si dovesse domani realizzare una rigida pianificazione internazionale, nella quale i satelliti assumessero il ruolo delle attuali repubbliche dell'U.R.S.S., i mezzi tecnici diventerebbero diversi, ed anche gli apparenti accordi commerciali dovrebbero assumere altre caratteristiche. D'altro lato, se l'attuale Consiglio dovesse realizzare questa pianificazione accentrata, dovrebbe avere un organismo direttivo permanente, con tutta {'robabilità un reparto o direzione della stessa Direzione del piano dell'U.R.S.S. E chiaro che questa organizzazione non sarebbe né semplice né facile. Per ora, ufficialmente almeno, non se ne parla, e il comunicato accenna soltanto a riunioni periodiche, tenute a turno nelle capitali dei varii Stati componenti.

Questi rilievi non sono evidentemente decisivi, perché, se anche si arrivasse nella sostanza a questa sottomissione pianificata delle economie dei satelliti al Gosplan di Mosca, esteriormente ciò non apparirebbe, fino a che la sovranità loro fosse almeno rispettata formalmente. Ma tutto l'insieme dell'attuale situazione dà a pensare che l'interpretazione dei nord-americani di Mosca pecchi un pochino per eccesso, e dia per attuato ciò che è semplicemente la meta che si vuol raggiungere. Quasi per antitesi polemica, mentre Mosca vanta la pretesa eguaglianza e parità che sarebbe a base del suo accordo, i rappresentanti di Washington le rinfacciano che, sotto l'apparenza dell'uguaglianza dei diritti, l'U.R.S.S. ha instaurato invece un sistema di economia internazionale centralizzata che sopprime davvero ogni indipendenza, oggi quella economica e domani anche quella politica.

In linea di prospettiva non si può negare che Washington ha indubbiamente ragione; e che certamente e senza confronto più stretti sono i legami che vincolano fin da oggi gli Stati di democrazia progressiva a Mosca, di quelli che legano i paesi d'Europa agli Stati Uniti in conseguenza dell'aiuto economico che ne ricevono coll'E.R.P.

Per ciò che riguarda invece la realizzazione pratica di questa tendenza, come ho detto, bisognerà concretamente seguire gli sviluppi avvenire, e misurare allora l'entità dei passi che si andranno facendo verso l 'unificazione delle varie economie pianificate dell'Europa orientale. Fin da ora, bisogna ammettere che il Consiglio testé creato ha una grande importanza non soltanto economica, ma anche politica. Esso segna un nuovo irrigidimento dei legami fra gli Stati del blocco orientale, e per conseguenza un nuovo distacco loro dal mondo occidentale; l'autarchia che si attenuerà nei loro riguardi interni, si accentuerà fra il loro blocco e il blocco contrapposto.

Come sul piano politico l'Unione Sovietica leva la testa e sfida il Patto atlantico, sul piano economico essa accentua, nella sua sfida al piano Marshall, l'unificazione della propria zona sotto il suo sempre più diretto controllo. Giacché non vi è bisogno di dire che, in un convegno di eguali in cui sieda l'Unione Sovietica accanto ai piccoli Stati dell'Europa centro-orientale, l'eguaglianza di diritto è un puro mito; e come nella Commissione del Danubio, così ora nel nuovo Consiglio, troncando sempre più i rapporti coll'Occidente, gli Stati satelliti sacrificano in proporzione ogni loro possibilità di effettiva parità nei riguardi del! 'Unione Sovietica. Non si sa ancora quando la segreteria permanente del nuovo Consiglio potrà essere insediata presso il Gosplan, ma si sa fin d'ora che la sua generale politica economica sarà senz'altro diretta dal Politburò.

224 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

225

LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NoTA 244/36435/537. Roma, JOfebbraio 1949.

Il promemoria rimesso il 22 dicembre s.a. 1 da codesto Ministero alla legazione d'Austria metteva in evidenza, corrispondentemente anche alle segnalazioni di questa Presidenza, la gravissima influenza esercitata, in danno della spontaneità delle domande di riacquisto della cittadinanza italiana da parte degli alto-atesini residenti in Austria, dal deliberato del Consiglio dei ministri austriaco del 2 novembre 1948.

Non è superfluo ricordare che del deliberato non fu dato al Governo italiano nessuna notizia, neppure sommaria, in occasione della visita del ministro Gruber a Roma2 , e che esso fu pubblicato soltanto dopo il suo ritorno in Austria.

È infatti evidente che la compressione o l'inibizione della libertà di decisione degli optanti, quale è risultata dal predetto deliberato, venuto a dare espressione concreta e ufficiale alla ben nota azione svolta dali' Aussenstelle di Innsbruck, è in aperto contrasto con i più basilari principi rispettati in ogni ordinamento democratico, oltre che con le ripetute assicurazioni verbalmente date a suo tempo dalla delegazione guidata dal ministro Leitmeier; e ciò mentre il Governo italiano ha già per parte sua dimostrato i propri intendimenti di umana comprensione verso i rioptanti, com 'è stato ancora recentemente confermato nel corso delle recenti conversazioni con la delegazione capeggiata dal ministro Versbach.

Le conseguenze della pressione esercitata in Austria sugli alto-atesini colà residenti non han tardato a verificarsi; e si sono manifestate com'è noto, nell'accelerato afflusso delle domande, i cui presentatori in molti casi hanno manifestato alle autorità consolari italiane il desiderio di vederle respinte.

È pertanto fermo avviso di questa Presidenza che sia ormai necessario sviluppare e precisare formalmente le conclusioni accennate nel ricordato promemoria 22 dicembre, chiedendo anche al Governo austriaco di far luogo a sostanziale revisione del proprio deliberato al fine di eliminare ogni elemento coercitivo della libertà di decisione dei singoli. Ad una soddisfacente risoluzione del Governo austriaco al riguardo potrà seguire la fissazione di un termine entro il quale gli interessati saranno ammessi a presentare una nuova domanda.

Ove il Governo austriaco non ritenesse di accogliere questo nostro punto di vista, il Governo italiano dovrà riservarsi ogni decisione circa l'esito da dare alle domande

2 Jbid., DD. 586 e 621.

di riopzione in questione che, come si è detto, sono state -almeno in parte -effettuate sotto la pressione del deliberato del Consiglio dei ministri di Vienna. Si resta in attesa di conoscere l'ulteriore azione che codesto Ministero sarà per svolgere in tali sensi3 .

225 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 769.

226

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI

T. 876/5. Roma, 2 febbraio 1949, ore 14.

Telespresso di V.S. n. 22 1•

Tutte le modifiche sono accettate. Occorre tuttavia precisare che paragrafo D proposto dai libanesi è da aggiungersi e non da sostituirsi al paragrafo D articolo 13 nostro schema. Inoltre è inusitato in trattati di questo genere definire limite acque territoriali come viene fatto in paragrafo F articolo 27 secondo modifica proposta da libanesi. Occorrerebbe perciò o ristabilire nostra dicitura, che consente in realtà al Libano fissare propri limiti a sua discrezione, oppure sopprimere addirittura paragrafo stesso.

Si è provveduto ad informare per corriere nostre rappresentanze Ankara Atene Cairo Damasco Londra Parigi2 per opportune comunicazioni rispettivi Governi. Converrebbe pertanto firma avesse luogo non prima fine prossima settimana.

Invio a parte pieni poteri telegrafici3•

227

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 884/63. Roma, 2febbraio 1949, ore 19,30.

Foreign Office, sollecitato accelerare scambi idee per Tripolitania sulla base nostre proposte, informa non poter far ciò prima di conoscere punto di vista Dipartimento di Stato che non ha ancora risposto 1• Anche Quai d'Orsay suggerisce sollecitare avviso americano che ritiene determinante.

Ritengo quindi non convenga procrastinare ulteriormente trattazione costì tale argomento conformemente istruzioni impartitele2 .

Circa nota obiezione nostra impossibilità controllare situazione militare in Tripolitania richiamo attenzione V.E. su telespresso 255 del 25 gennaio3 e sulle assicurazioni date da gen. Marras a col. Willhems4 .

225 3 Con il Telespr. 16/02209 del 4 febbraio Soardi rispose segnalando gli interventi effettuati sia presso Schwarzenberg (vedi D. 199) che presso il Governo austriaco (vedi D. 216). 226 1 Vedi D. 72. 2 Con il Telespr. urgente 137/c. in pari data diretto alle rappresentanze sopra indicate ad eccezione dell'ambasciata di Londra per la quale non si è rinvenuta una analoga comunicazione. 3 Per la risposta vedi D. 238. 227 1 Vedi DD. 165 e 166.

228

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. l035/l09. Washington, 2febbraio 1949, ore 21,07 (perv. ore 8 del 3). Suo 63 1•

Avevo già chiesto udienza Acheson. Questi tuttavia non potrà vedermi prima di qualche giorno, a causa suo desiderio studiare preventivamente principali questioni in corso. Aggiungo che anche ambasciata di Francia, pur avendo chiesto udienza da diversi giorni per trattare, fra l'altro, problema ex colonie italiane, non la ha ancora ottenuta per la stessa ragione.

D'altra parte, nell'attuale fase, nessun altro al Dipartimento di Stato è in grado assumere atteggiamento sia pure in linea preliminare.

Non mancherò appena possibile trattare a fondo questione valendomi anche argomento ricordato secondo capoverso telegramma ministeriale citato.

229

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 037-039-043-044. Parigi, 2 febbraio 1949 (perv. il 4).

Schuman di sua iniziativa mi ha detto che non dimentica che il Governo francese è impegnato verso di noi per la questione della rettifica delle frontiere 1• Purtroppo la questione è stata impostata male e tutto è da rifare. L'ha studiata a fondo personalmente, ha inteso l'opinione di tutti e adesso ha un'idea chiara di quello che bisogna

3 Vedi D. 211, nota 6.

4 Per la risposta vedi D. 228. 228 1 Vedi D. 227. 229 1 Vedi D. 35.

fare. È necessario che il Governo italiano abbia fiducia in lui e gli lasci tutta la latitudine circa la scelta del momento opportuno per varare la cosa.

Gli ho detto, a titolo personale, che non ritenevo da parte nostra si sarebbe voluto assumere posizione di creditori intransigenti. Ci erano preziose le sue intenzioni ed il suo interessamento e non era certo il Governo italiano che avrebbe voluto creargli degli imbarazzi. Non era necessario che gli ricordassi però che la questione pur essendo piccola aveva un'importanza morale non indifferente. Mi ha assicurato che se ne rendeva perfettamente conto ed era stato per questo che ne aveva parlato2 .

Circa il Patto atlantico Schuman mi ha detto che non ci è stata una vera discussione sulla questione italiana poiché, in forza della precedente preparazione diplomatica, nessuno aveva più l'intenzione di opporsi seriamente.

Se ne è parlato a coté e in forma del tutto soddisfacente per noi. Come decisione ufficiale, per quello che ci concerneva, si doveva pure considerare l'accettazione unanime del principio della nostra entrata nell'Unione Europea: poiché gli americani avevano posta come condizione all'entrata dell'Italia nel Patto atlantico la nostra ammissione all'Unione Europea, l'ammetterci equivaleva consentire alla nostra inclusione nel Patto atlantico.

Si è molto compiaciuto di quanto gli ho detto circa il mutato atteggiamento del Canada.

Nel complesso considera che la battaglia è stata meno dura di quanto egli si immaginasse: mi ha detto che è stato molto opportuno il nostro intervento presso le varie capitali del Benelux: era una piccola soddisfazione morale che bisognava dare.

Mi ha detto che a causa del cambiamento di amministrazione, le conversazioni di Washington subiscono un tempo di arresto: che il principio dell'estensione del Patto all'Algeria, sul piano inferiore, sembra avere fatto buon progresso, almeno nel senso che gli americani si sono resi conto dell'impossibilità francese di fare altrimenti.

A mia richiesta mi ha detto che non prevede, per il nostro caso dei cambiamenti americani dell'ultima ora. Suppone che potremmo ricevere l'invito al partecipare alle conversazioni preliminari anche nel corso del mese.

Schuman mi ha detto di essere molto soddisfatto dell'approvazione dell'Unione da parte del Consiglio economico, nonostante la lotta a fondo ingaggiata dalla

C.G.T. L'opposizione comunista ha avuto l'effetto che egli sperava, ossia di coalizzare, in favore dell'Unione tutti i non comunisti. Il Parlamento avrebbe dovuto comunque chiedere il parere del Consiglio economico: è bene che esso sia stato dato già prima e con molta rapidità. Questo impegna molte categorie che avrebbe potuto fare delle resistenze.

Circa la firma mi ha detto che essa potrebbe aver luogo verso il l O marzo. Prima è impossibile: non ci sarebbe il tempo necessario di presentare i rapporti alle varie commissioni e questo è necessario per un'approvazione preliminare: almeno dieci giorni saranno occupati del resto dalle conversazioni di Roma sul problema dei pagamenti ed egli non intende presentare l'atto di Unione al Parlamento se prima non si sia risolta tale questione. Ritiene che le istruzioni di Letourneau saranno sufficienti a promuovere una soluzione soddisfacente.

Circa la ratifica da parte del Parlamento francese mi ha detto che, in vista delle elezioni cantonali, delle vacanze di Pasqua, è difficile attendersi che essa possa avere luogo prima del l O maggio. Mi ha detto che sarebbe bene che la discussione nei due Parlamenti avesse luogo contemporaneamente per non dare l'impressione che uno dei due paesi ha più fretta dell'altro.

Circa il futuro organo da creare, mi ha detto essere dell'opinione che convenga mettervi a capo un importante parlamentare (ritengo che abbia in mente Letoumeau) ma di non fame, nemmeno indirettamente, un membro del Governo: e ciò per sottrarlo alle vicende ministeriali. Suo sostituto dovrebbe essere un altissimo funzionario (ha in mente Drouin). Per le varie commissioni si dovrebbe stabilire caso per caso, se convenga formarle di funzionari, di categorie interessate o di parlamentari: suppone che per parte francese si dovrà comunque fare larga parte ai parlamentari, soprattutto per quello che riguarda l'unione economica propriamente detta.

Mi ha detto di avere molto insistito sul concetto che la commissione precedente ha terminati i suoi lavori, perché intende comporre la nuova diversamente: chiesto di precisare mi ha detto che ne debbono essere categoricamente esclusi i rappresentanti della C.G.T.

Schuman mi ha detto di essere molto soddisfatto del risultato della conferenza di Londra. Ha molto contribuito al successo il fatto che Bevin era appena uscito da un dibattito parlamentare abbastanza difficile per lui (la Palestina) e non sarebbe stato in grado di esporsi all'accusa di avere sabotato l'Unione Europea.

Gli inglesi avevano ceduto sul principio dell'Assemblea, insistendo soltanto a chiamarla «Corpo consultativo», sul diritto, sia pure limitato, di iniziativa dell' Assemblea, sul voto individuale.

Gli altri avevano ceduto ammettendo che ogni paese fosse libero di designare i suoi rappresentanti all'Assemblea nella maniera che ritenesse più opportuna, sulla limitazione dei membri dell'Assemblea a cento, sulla riduzione delle sedute dell' Assemblea ad una all'anno col limite massimo di durata di un mese.

Gli invitati, oltre a noi sono i tre paesi scandinavi e l'Irlanda. Per l'Irlanda si presume che essa solleverà la questione dell'unità dell'isola, questione che nessuno ha l'intenzione di mettere nemmeno in discussione. Per i paesi scandinavi, si scontava una risposta negativa della Svezia ma si pensava all'adesione della Norvegia e della Danimarca: adesso, dopo la nota russa contro l'Unione Europea, e le minaccie appena larvate che essa contiene nei riguardi della Norvegia, si dubita dell'adesione anche di queste due. Per cui praticamente il solo membro che si aggiunge ai cinque di Bruxelles potrebbe essere l'Italia. Mi ha detto che era intenzione sia francese che inglese di menzionare nel comunicato l'invito all'Italia a parte, data la sua adesione già nota, in modo da far apparire come l'Italia era già da quel momento membro dell'Unione Europea: ma ci si è dovuto rinunciare per l'opposizione del Benelux che non ha voluto ammettere questa situazione privilegiata dell'Italia; è l'ultima resistenza di forma e il pretesto è stato che i paesi scandinavi avrebbero potuto offendersi e trovame un nuovo pretesto per non adesione. Pro bono pacis non si è insistito, ma questo non toglie che a tutti i fini utili dobbiamo considerarci già membri dell'Unione.

Non poteva precisarmi quanto sarebbero durati i lavori della Conferenza degli ambasciatori, che deve, oltre a dare forma più precisa alle decisioni di principio dei cinque ministri, stabilire la procedura ufficiale per gli inviti ulteriori: suppone che possiamo contare di ricevere l'invito verso il 15. Ha tenuto a dirmi che non saremo messi di fronte ad un testo definitivo, ma soltanto ad uno schema che è ancora aperto a tutte le idee: particolarmente è stato lasciato aperto tutto quello che riguarda l'organizzazione del Segretariato permanente, la sede del «Consiglio dell'Europa» (mi ha detto che personalmente sarebbe felice fosse scelta Strasburgo ma che la questione non è stata ulteriormente trattata). La prima questione che dovrà essere discussa fra i nuovi e vecchi partecipanti, sarà dove, quando, e su che livello tenere la prossima conferenza relativa all'Unione. Mi ha precisato che una proposta inglese di riunire di nuovo il Comitato degli esperti è stata bocciata e resta inteso che la prossima riunione sarà sul piano diplomatico e governativo, e non sul piano esperti. Suppone la riunione difficilmente potrebbe tenersi prima della fine del mese.

A mia richiesta mi ha precisato che non esiste un articolo espresso che elimina i comunisti dall'Assemblea, ma che la cosa è implicita.

La sua conclusione è che quanto è stato fatto va considerato soddisfacente: esso è meno di quanto avrebbero voluto alcuni idealisti, ma è molto più di quanto si potesse sperare dato l'originario atteggiamento inglese. «Si è creato un quadro nel quale possiamo, se vogliamo, creare l'Unione Europea: adesso sta a noi il procedere alla realizzazione».

227 2 Vedi D. 24.

229 2 Per la risposta di Sforza su questo punto vedi D. 387.

230

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1032/434. Was hington, 2 febbraio 194 91 .

Mio telespresso n. 784/342 del28 gennaio u.s. 2 •

La risposta della Norvegia alla nota sovietica sulla questione della sua partecipazione al Patto atlantico, nonostante il più assoluto riserbo ufficiale, è stata accolta qui con evidente soddisfazione. Al Dipartimento di Stato si esprimeva al riguardo vivo compiacimento per il modo in cui il Governo norvegese aveva abilmente saputo conciliare la sostanza, pienamente negativa, della sua comunicazione con la forma, redatta in termini tali da non aggravare oltre il necessario i rapporti tra i due paesi.

Con il telegramma n. l 06 in data l o febbraio 3 , ho trasmesso a codesto Ministero alcune dichiarazioni fatte in proposito dal portavoce ufficiale del Dipartimento, Mc Dermott, nelle quali si esprime la speranza che il Governo americano possa pre

2 Vedi D. 185.

3 Non pubblicato.

sto essere in grado di discutere la questione del Patto atlantico «non solo con la Norvegia ma anche con altri paesi» e si ribadisce il noto atteggiamento per il quale l'assistenza militare americana andrà solo a quei paesi che «collaborano con gli Stati Uniti per il mantenimento della pace e della sicurezza».

A tale riguardo è interessante rilevare che funzionari del Dipartimento, con riferimento a quella parte della risposta norvegese che tratta della questione delle basi, hanno dichiarato, sia pur ufficiosamente, che il Governo americano non ha né esplicitamente né implicitamente richiesto alla Norvegia di mettere a disposizione basi sul suo territorio quale suo apporto alla progettata alleanza e che questa lascerà libero ciascun paese di decidere quale potrà essere in questo campo il suo contributo tenuto conto delle sue possibilità politiche e giuridiche.

Per quanto concerne il fallimento della Conferenza di Osio, il suo insuccesso era qui talmente scontato (mio te l espresso in riferimento) che non ha prodotto sensazione. Mentre si è registrato con vivissimo compiacimento il risoluto atteggiamento tenuto dal Governo norvegese, nonostante le intimidazioni di cui è oggetto da parte sovietica, si mostra di ritenere che la Danimarca possa essere in definitiva indotta a seguire l'esempio norvegese, sviluppo questo ritenuto qui sommamente auspicabile ai fini della effettiva organizzazione difensiva delle vie atlantiche.

Secondo informazioni da Osio, peraltro, il Governo norvegese, prima di prendere la decisione finale e formale di aderire al Patto, intende richiedere ulteriori chiarimenti su taluni aspetti di esso.

230 1 Copia priva de li'indicazione della data di arrivo.

231

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA

T. 904/6. Roma, 3 febbraio 1949, ore 21.

Seguito conversazioni avute con ambasciatore di Spagna1 , Direzione generale affari economici ha provveduto informare consigliere commerciale ambasciata stessa che da parte italiana, in relazione anche a quanto riferito dalla S.V. sia sui recenti provvedimenti valutari che sulle buone disposizioni manifestate costà, si vedeva con favore riunione Commissione mista per riattivare intercambio tra i due paesi, ora assai scarso per vari motivi.

È vivo desiderio da parte italiana che conversazioni abbiano luogo prossimamente a Roma. Si suggerisce in linea di massima mese di maggio.

Nell'informare di quanto sopra codesto Ministero degli esteri, S.V. vorrà rilevare in maniera opportuna sincere intenzioni che ci animano nell'accingersi alle trattative in questione e come da esse ci attendiamo positivi risultati, che, ove raggiunti, potranno essere reciprocamente posti in giusto rilievo.

231 1 VediD.I52.

232

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI

T. 915/6. Roma, 3 febbraio 1949, ore 22.

Suo 71•

Sono ben lieto firmare trattato con questo ministro del Libano. Tuttavia da sue precedenti comunicazioni, confermate anche da Khoury bey, ho tratto impressione che ministro Frangié e presidente Consiglio sarebbero anche più lieti firma potesse avvenire costì. Comprendo loro desiderio, trattandosi primo accordo del genere concluso da uno Stato arabo, che firma abbia luogo nella capitale detto Stato. Lasciamo quindi a codesto Governo decisione finale. Ove firma avvenisse costì potrebbe farsi luogo a Roma scambio ratifiche e viceversa2•

233

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1062/36. Vienna, 3 febbraio 194 9, ore 12 (perv. ore 16). Suo n. 22 1•

Ho fatto comunicazione prescritta. Ho l 'impressione che Schwarzenberg stesso non avesse ancora riferito.

Mi è stato chiesto se nostra dichiarazione equivalesse annullamento tutte le domande revoca dopo 2 novembre e che cosa potesse significare provvedimento preannunziato. Ho risposto che non avevo alcun altro elemento né informazione oltre quanto letteralmente comunicavo. Visto che me lo chiedevano, a titolo di cortesia e assolutamente personale, potevo dare una probabile interpretazione di stretto diritto a nostra formale eccezione. Non nullità ipso jure domande presentate ma presunzione generica di vizio nel consenso e, ergo, annullabilità ove vizio fosse provato. Non potevo fare nessuna supposizione circa cosidetto onere della prova e circa contenuto e forma provvedimento allo studio preannunciato.

In corso lunga conversazione che ne è seguita, in cui ho ripreso e illustrato varie tesi e argomenti in discussione mi è stato anche chiesto se ritenessi potesse giovare a chiarificare un comunicato esplicativo. Ho detto che era quello che avevo tra l'altro chiesto al ministro Gruber e già allora mi appariva tardivo. Ora eravamo a tre giorni

2 Con T. 1114/9 del 4 febbraio Alessandrini trasmise i ringraziamenti di Frangié per la disponibilità mostrata dal Governo italiano e confermò la scelta di Beirut per la firma del trattato e di Roma per lo scambio delle relative ratifiche. 233 1 Vedi D. 216.

da scadenza termine utile revoca opzioni e anche in presenza [manca] non potevo esprimere nessuna opmwne.

Mi è stato aggiunto che effettivamente occorre assenso ministro Gruber, che aveva ieri fatto sapere avrebbe lasciato stamane Vienna per Parigi Londra col rincrescimento non potermi rivedere prima partenza, ciò che rendeva anche difficile una decisione immediata2 .

232 1 Vedi D. 219.

234

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. l 080/28. Londra, 3 febbraio 1949, ore 20,30 (perv. ore 8 de/4). Telegramma di V. E. 22 1 .

Nel colloquio del 192 Bevin mi disse esser lieto aver saputo da Roma che idee di De Gasperi su problema collaborazione europea erano assai simili alle sue; seguito successive conversazioni con McNeil non ho quindi voluto sottolineare eventuale viaggio Bruxelles del presidente del Consiglio per non complicare le cose proprio quando mi si confermava invito al Consiglio europeo ed anche per evitare dare impressione chiedere un suggerimento.

È comunque da tener presente nota diffidenza Governo laburista nei confronti iniziative Movimento europeo: se partecipazione De Gasperi è indispensabile, reazioni laburiste saranno naturalmente determinate dal tono e contenuto sue eventuali dichiarazioni.

235

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 1090/30. Gerusalemme, 3 febbraio 1949, ore 12 (perv. ore 10,30 de/4).

Miei telegrammi n. 27 e n. 291 .

Ho l'onore comunicare favorevole conclusione accordo. In seguito esauriente colloquio ministro degli affari esteri Shertok, ottenuta inserzione testo primitiva lettera, dopo periodo contenente promessa negoziare accordo, seguente frase: «Governo Israele conferma intenzione evacuare restituire istituzioni italiane occupate, non

2 Vedi D. 165. 235 1 Vedi DD. 182 e 217.

appena situazione militare lo consenta, e si impegna risarcire danni sofferti da istituzioni e proprietà italiane in seguito ad occupazione truppe». Inoltre nell'ultimo periodo relativo regime stabilimenti missionari ospedalieri ecc. inserita frase: «Resta inteso che sarà tenuto conto dei diritti esistenti».

Sono già in possesso lettera impegnativa modificata, completa e firmata, che trasmetto corriere odierno via mare.

Resto in attesa approvazione VE. per accusare [ricevuta] ripetendo testo ed esprimere accordo. Dopo di che presenterei nota oppure lettera a nome del Governo italiano per formale riconoscimento del Governo Israele secondo le istruzioni di VE.

Eventuale nostro comunicato ufficiale prego voler evitare accenno trattative fra due Governi. Ministro degli affari esteri Shertok mi ha pregato trasmettere espressioni sentimenti cordiali deferente amicizia gratitudine Italia ed omaggi personali S.E. conte Sforza2 .

233 2 Per il colloquio con Gruber vedi D. 366. 234 1 Vedi D. 143.

236

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 939/65. Roma, 4 febbraio 194 9, ore 15.

Suo 109 1•

Ad ogni buon fine la informo che le ho inviato oggi mia lettera2 relativa questione Eritrea sul cui contenuto, anche per suggerimento confidenziale Dunn, è necessario VE. intrattenga personalmente Acheson. Frattanto, essendo urgente iniziare negoziati con inglesi e arabi VE. potrà sollecitare subito risposta americana circa Tripolitania (mio 63) 3 presso Uffici Dipartimento4 .

237

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1110/115. Was hington, 4 febbraio 194 9, ore 21,2 5 (perv. ore 8 del 5).

Telegramma ministeriale n. 65 1•

2 Vedi D. 240.

3 Vedi D. 227.

4 Per la risposta vedi D. 237.

In attesa lettera2 annunciatami che, probabilmente, arriverà lunedì o martedì, insisto per udienza Acheson. Peraltro questi ancora non ha visto alcun ambasciatore, e desidera, ancora per qualche giorno, dedicarsi allo studio principali questioni in corso.

Questione coloniale frattanto nei contatti uffici è stata preliminarmente prospettata secondo istruzioni V.E., onde colloquio con Acheson sia preparato opportunamente ed abbia ogni concretezza possibile3 .

23 5 2 Per la risposta vedi D. 24 7.

236 1 Vedi D. 228.

237 1 Vedi D. 236.

238

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. lll3/8. Beirut, 4 febbraio 1949, ore 22 (perv. ore 8 del 5).

Telegramma ministeriale n. 5 del 2 corrente 1 .

Governo Libano accetta che paragrafo D da noi proposto sia inserito art. l3. Paragrafo D dello schema libanese diventa così paragrafo E dello stesso articolo. Esso chiede tuttavia scambio di lettere riservate in cui i «territori aventi statuto giuridico internazionalmente riconosciuto» indicati nel nostro paragrafo D (e che esso ritiene si riferisca allo Stato Libero di Trieste) siano specificatamente menzionati. Oltre scambio di lettere con menzione Trieste, esso è pronto accettare anche altre lettere con specificazione altri territori.

Governo Libano accetta inoltre che sia ristabilita nostra dicitura paragrafo F art. 27. Esso è infine pienamente meco su nostro schema convenzione conciliazione e regolamento giudiziario. Prego VE. volersi compiacere istruzioni telegrafiche2 •

239

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. lllS/29. Londra, 4 febbraio 1949, ore 19,50 (perv. ore 8 del 5).

Ho preso atto del contenuto del telespresso 3/300 del 31 gennaio1 in base al quale continuerò le conversazioni col F oreign Office.

3 Per il seguito vedi D. 254.

2 Per la risposta vedi D. 262.

Data la ristrettezza del tempo, mi sembrerebbe necessario chiarire sin da ora in che modo noi intendiamo all'atto pratico iniziare e condurre negoziati con gli arabi.

Se questo richiedesse l'invio di nostri delegati in Tripolitania sarebbe urgente cercare di ottenere subito il consenso del Governo britannico, indicando nella relativa richiesta i nominativi dei delegati.

Prego volermi dare urgente risposta2 .

237 2 Vedi D. 240.

238 1 Vedi D. 226.

239 1 Vedi D. 211.

240

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. SEGRETA PERSONALE 3/337. Roma, 4 febbraio 1949.

Dunn è venuto a vedermi per dirmi che la questione «Eritrea» è tuttora posta al Dipartimento di Stato in termini del tutto contrari alle nostre tesi e che, dopo quanto ha fatto per cercare di modificare il punto di vista americano, egli non ritiene di poter nuovamente insistere. Mi ha quindi suggerito di scrivere una lettera personale ad Acheson. Gli ho risposto che non credo molto nell'efficacia delle lettere personali le quali vengono generalmente rimesse agli uffici per trattazione e risposta e che, implicando risposta scritta, rischiano poi di compromettere ancor più ogni possibilità di revisione dei punti di vista in esse espressi. Tuttavia se lei lo ritenesse veramente utile, la scriverò.

Ho piuttosto mostrato a Dunn la mia preferenza ad incaricare lei di intrattenere personalmente, a nome di De Gasperi e mio, Acheson su questa questione. Ho chiesto a Dunn se credesse che il segretario di Stato, pure occupato nella trattazione di tanti problemi di interesse fondamentale, avrebbe avuto il tempo di intrattenersi con l'ambasciatore d'Italia su di una questione che è per noi -è vero -molto importante, ma che lo è tuttavia meno per gli Stati Uniti. Dunn mi ha risposto in senso affermativo e quindi la invito, facendosi forte di tutte le argomentazioni già espostele (veda allegato elenco documentato)1 di chiedere al nuovo segretario di Stato di voler consentire a riesaminare il problema.

Ella può ripetere che noi ci rendiamo perfettamente conto del temperamento tendenzialmente anticoloniale dell'opinione pubblica america, così come del fatto che l'epoca coloniale volge al tramonto: tuttavia ciò non giustifica a nostro avviso una annessione dell'Eritrea all'Etiopia, bensì, se mai, l'avviamento dell'Eritrea all'autonomia e all'indipendenza; ed è appunto per preparare ciò che abbiamo proposto un mandato dell'Unione Europea su quel territorio. L'Eritrea non ha mai appartenuto all'Etiopia, all'infuori di una ristretta fascia presso il confine attuale sull'altipiano che fu venduto da Menelik e di cui lo stesso Menelik non chiese, dopo Adua, la restituzione. L'Eritrea non è abitata da genti etiopiche. L'Eritrea è oggi molto più civile e progredita dell'Etio

pia che-se non lo si può dire pubblicamente occorre tuttavia riconoscerlo francamente-è il più arretrato di tutti i paesi del mondo. Coloro che desiderano l'annessione all'Etiopia sono in Eritrea una minoranza; e la maggioranza della popolazione difende il principio dell'unità del territorio ed è contraria alla sua spartizione. Le opere costruite dagli italiani in Etiopia sono ora, sotto quella amministrazione, in rapido deperimento: la stessa sorte toccherebbe all'Eritrea. Il paese andrebbe incontro a gravi disordini e a progressiva rovina e il frutto di settanta anni di lavoro italiano (europeo) andrebbe in breve volger di tempo perduto. Gli italiani non possono convincersi che un paese di alta civiltà come l'America possa consentire o addirittura assumere l'iniziativa di proporre e sostenere che tale sorte tocchi a città europee come Asmara, Massaua, Cheren, Agordat e altre, e che una creazione della civiltà bianca per cui essi hanno profuso sangue, lavoro e denaro, debba andare annullata. Ne fanno una questione di moralità politica internazionale, prima ancora di fame una questione nazionale.

E questo dovrebbe avvenire proprio mentre diveniamo membri della Unione Europea e a breve distanza dalla nostra ormai probabile inclusione nel Patto atlantico: come potrebbe il Governo giustificare e spiegare un simile affronto?

Noi siamo convinti che sia necessario un più maturo esame della questione, prima che sia troppo tardi e prima che ci si abbia a pentire di decisioni prese troppo affrettatamente. Occorrerebbe almeno approfondire quali siano i reali e sinceri desideri delle popolazioni, mediante una inchiesta imparziale e indipendente che dovrebbe essere condotta dall'O.N.U., e occorrerebbe anche accertare se l'Etiopia, cui già riesce impossibile valorizzare le sue stesse risorse e modemizzare la sua stessa organizzazione amministrativa, economica e sociale interna, sia in grado non solo di far progredire, ma anche di mantenere al livello di civiltà già raggiunto, un paese come l'Eritrea. Su queste basi si potrebbe almeno differire una decisione e aprire la via a una sistemazione che tenga conto dei reali interessi delle popolazioni, bianche ed indigene, di quel territorio e che risparmi dalla rovina l'opera di civiltà compiuta dall'Italia e di cui il popolo italiano è giustamente fiero e geloso.

Se ella crede potrà anche, dopo avergliele illustrate, lasciare queste considerazioni ad Acheson sotto forma di appunto, e come mio messaggio personale.

Non in tale messaggio ma a voce lei può ben aggiungere che un movimento d'opinione sul passaggio dell'Eritrea all'Etiopia è il solo che potrebbe indebolire il Governo. Si vuole ciò costì? Non è evidente che si può e deve trovare una formula che non ci ferisca2?

239 2 Vedi D. 246.

240 1 Non pubblicato: conteneva gli estremi di tutte le comunicazioni e ritrasmissioni dirette a Washington relative all'Eritrea.

241

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI

L. Roma, 4 febbraio 1949.

Rispondo alla tua lettera n. 600 del 28 gennaio 1•

Ho veduto Baldwin e siamo rimasti d'accordo sui seguenti punti: l) Data delle elezioni. Non è più dubbio che le elezioni si faranno e si faranno in giugno. Un anticipo a maggio, al quale tu accenni, sembra da scartarsi. Su questa data siamo oramai tutti d'accordo, a Washington, a Londra, a Trieste e qui a Roma con Innocenti. 2) Dichiarazione politica per Trieste. Baldwin, di suo, non me ne avrebbe parlato. L'ho tirato io sull'argomento, ma è rimasto vago. È però nettamente del parere che, se dichiarazione ci deve essere, deve anche contenere la promessa, e più che la promessa l'indicazione, di ulteriori progressi sulla strada dell' autonomia. Comunque, è evidente che la questione può essere discussa utilmente a Trieste ma può essere trattata soltanto a Washington. Scriveremo all'ambasciatore2 e ti farò mandare copia della lettera. Saranno graditi tuoi suggerimenti concreti. 3) Lista unica. Sulla questione lista unica o liste separate Baldwin ha ancora an open mind. Ma noi qui ci orientiamo decisamente verso la lista unica, naturalmente se si può fare. Ragioni: amara lezione dell'Alto Adige; difficoltà tecniche e politiche della distribuzione dei fondi, cioè della misurazione della dose, a varie liste; scarsa fiducia, e anche scarsa esperienza politica degli elettori triestini, nei vari partiti, nella Giunta d'intesa e nelle schermaglie ideologiche. Il dilemma Trieste è semplificato sino a termini di giardino d'infanzia, e si presta perciò idealmente alla lista unica. Innocenti ne ha già parlato al presidente che si è convinto della necessità. Non appena la questione sarà stata decisa, Innocenti assicura che verrà a Trieste. A te, rappresentante del Ministero degli affari esteri, consiglierei personalmente di tenerti piuttosto lontano dalla questione. È la Presidenza del Consiglio cui spetta di impegnarsi a fondo. 4) Numero dei consiglieri. Baldwin non è certo che la cosa si possa fare. Però mi ha promesso di appoggiare la proposta, piuttosto nel senso di diminuire il numero dei seggi per i piccoli Comuni che di aumentare quello dei seggi per Trieste. Occorrerà seguire la cosa, se veramente interessa, costà. 5) Bilinguismo. Sono perfettamente d'accordo con te e con la formula da te proposta. Cioè: bilinguismo limitato strettamente agli atti e documenti elettorali; menzione di tale limitazione nel preambolo del manifesto col quale verranno indette le elezioni. Baldwin ha aggiunto di suo che il generale Airey potrebbe inoltre fare una dichiarazione alla stampa precisando che questo non è un change ofpolicy. Subito dopo il colloquio con Baldwin ho parlato con Miani. Mi son fatto cioè dare l'assicurazione esplicita che avrebbe accettato il bilinguismo nei termini su esposti. Ti prego di comunicarlo a Baldwin, da parte mia, a cui avevo promesso una risposta. Date le ben note abitudini triestine occorre sorvegliare che Miani non si rimangi la parola data. 6) Zona B e jugolire. Non ne ho parlato con Baldwin. Sono però del parere che la proposta non ci interessa realmente, o quanto meno non vale la pena di affrontare per così poco una lotta perdente con il Tesoro. A D'Ajeta ho consigliato di

mostrarsi conciliante con De Castro e di promettergli che la proposta sarebbe stata inoltrata. Basta non sudare sette camicie per essere sicuri che si arenerà al primo tavolino della Ragioneria generale.

240 2 Quest'ultimo capoverso è stato aggiunto a mano da Sforza. Per la risposta vedi D. 298. 241 1 Vedi D. 188.

241 2 Vedi D. 386.

242

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO l 056/458. Washington, 4 febbraio 19491•

Non tralascio di insistere presso il Dipartimento perché una risposta scritta al nostro memorandum, a conferma di quanto il Dipartimento ha autorizzato verbalmente a comunicare a VE. fin dal 27 gennaio (mio telegramma n. 90)2 , ci venga data al più presto e perché essa sia secondo le linee da noi desiderate.

Il segretario di Stato non ha ancora completato lo studio dei documenti relativi ai negoziati per il Patto atlantico, studio che egli intende sia il più accurato possibile dato che egli accentrerà d'ora innanzi direttamente nelle sue mani la condotta delle conversazioni.

Come ho riferito col mio telegramma odierno3 la riunione che Acheson sperava tenere con i rappresentanti dei Cinque di Bruxelles e con l'ambasciatore del Canada entro la corrente settimana è stata rinviata alla prossima per permettere appunto al segretario di Stato di portare a termine tale studio.

Secondo talune voci sarebbe intenzione di Acheson, prima di procedere più innanzi nei negoziati e prima di estenderne la cerchia ad altri paesi, di discutere più a fondo la questione con i leaders del Congresso ai quali furono già fornite da Lovett informazioni generiche. Una volta assicurata attraverso i suoi maggiori esponenti l'approvazione di massima da parte Congresso dell'attuale progetto, i termini generali di questo verrebbero comunicati ai paesi destinati ad essere invitati ad aderire al Patto.

Qualora le predette intenzioni del segretario di Stato risultassero confermate, si prospetterebbe pertanto una procedura in due tempi, di cui il primo corrisponderebbe in sostanza, per la parte generale, a quella risposta preliminare che è stata da noi richiesta mediante la presentazione del nostro memorandum.

Nonostante quindi le apparenze, che potrebbero dare la sensazione di un qualche rallentamento, è questa invece una fase di intensa ed attiva preparazione del negoziato generale in vista di una sua più agevole e rapida conclusione.

2 Vedi D. 173.

3 T. s.n.d. Il 09/114 con il quale Tarchiani, nel segnalare il rinvio della riunione in argomento, comunicò altresì che la firma era prevista per metà marzo a Washington, Bermuda o Ottawa.

242 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

243

IL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 240/53. Guatemala, 4 febbraio 1949 (perv. il 2 marzo).

Con riferimento al telegramma di codesto Ministero n. 2 in data 27 gennaio

u.s. 1 , ho l'onore d'informare che la notifica del nostro riconoscimento del nuovo Governo del Salvador è stata accolta con cordialissime espressioni di apprezzamento.

Il gen. Pennaroli, reggente del nostro consolato a San Salvador che avevo incaricato di sondare l'opinione dell'attuale ministro degli affari esteri salvadoregno sull'opportunità di addivenire ad uno scambio di note per il ristabilimento dello stato di pace, invece della conclusione di un trattato (mio telespresso n. 1332/288 dell'8 settembre '48)2 , data la situazione politica del paese, mi ha testè fatto conoscere che il ministro trovò molto opportuna la proposta e lo ha assicurato che gli avrebbe dato una risposta definitiva al più presto.

Pertanto ho l'onore di pregare codesto Ministero di voler sospendere il corso che eventualmente si avesse voluto dare al telespresso di cui sopra, riservandomi di far conoscere, appena possibile, il seguito delle trattative3 .

244

IL MINISTRO A HELSINKI, RONCALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 126/46. Helsinki, 4 febbraio 1949 (perv. il16).

Notevole interesse ha suscitato in questi ambienti economici la formulazione di un piano d'aiuti entro il blocco orientale, in funzione di contrappeso al piano Marshall, che ha formato lo scopo della riunione a Mosca dei satelliti, Jugoslavia esclusa.

L'eventuale realizzazione di tale progetto, secondo il pensiero del governatore della Banca di Finlandia, quale mi risulta da notizie riservate, interesserebbe assai i circoli finlandesi competenti, in vista specialmente del recente vasto accordo commerciale, e del fatto che la Finlandia non ha potuto, per le note ragioni, aderire al piano Marshall.

Non si presenta ora, per la Finlandia, la questione di partecipare o meno al cosiddetto «piano Molotov», al quale essa, che non fa parte del blocco satellite, non è

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 396.

3 Per il seguito della questione vedi D. 364.

stata naturalmente invitata. Ma non si potrebbe escludere che la questione si presenti più tardi, almeno nella forma di una più stretta collaborazione economica con i paesi del blocco orientale, anche per non perdere quelli che sono i vantaggi de li'accordo stipulato con l'U.R.S.S.

243 1 Con tale telegramma Sforza aveva autorizzato la notifica del riconoscimento italiano del nuovo Governo del Salvador.

245

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 170/60. Osio, 4 febbraio 1949 (perv. il 14).

Con la mia corrispondenza telegrafica dei giorni scorsi ho informato VE. delle ripercussioni qui verificatesi a seguito degli avvenimenti che hanno, in queste ultime due settimane, tenuta la Norvegia e la Scandinavia alla ribalta della scena politica internazionale.

La discussione ampia ed esauriente svoltasi ieri allo Storting norvegese, ed il voto di fiducia unanime -salvo che da parte della frazione comunista -accordato al Governo dal Parlamento, hanno chiuso la parentesi di intensa attività politica qui verificatasi. Consacrata ora ufficialmente la propria futura partecipazione al Patto atlantico, altro non rimane oggi, alla Norvegia, che attendere l'invito a prender parte direttamente ai negoziati per quel patto. L'invito, secondo le notizie assunte qui, non dovrebbe tardare molto; come ho informato in precedenza 1 , i due ambasciatori di America e d'Inghilterra avevano avuto l'incarico, subito dopo Copenaghen, di comunicare al Governo di Osio che esso sarebbe pervenuto immediatamente dopo il l o febbraio, non appena cioè la decisione della Norvegia fosse stata ufficialmente approvata dagli organi parlamentari competenti.

La stampa internazionale si è occupata in maniera così ampia degli avvenimenti qui svoltisi e dei soliti noti argomenti che credo superfluo stare a riprendere la cronaca. Come documentazione di archivio ricordo che il Convegno delle tre delegazioni scandinave ad Osio si è svolto ufficialmente nei giorni di sabato e domenica 29 e 30 gennaio. La nota dell'Unione Sovietica chiedente chiarimenti sulla politica norvegese di partecipazione al Patto atlantico è stata qui presentata il sabato 29 gennaio nel pomeriggio2. Il comunicato ufficiale del Convegno interscandinavo che ha consacrato le differenze dei punti di vista fra i tre Governi è stato diramato alla stampa nel pomeriggio del 30 gennaio. La risposta norvegese alla nota sovietica è stata consegnata da questo ministro degli esteri all'ambasciatore di Russia nel pomeriggio del l o febbraio.

La decisione norvegese di aderire al Patto atlantico e di rinunciare così sia alla politica di neutralità e di isolamento scandinavo propugnata dalla Svezia, sia alla

2 Vedi D. 212.

decisione di un patto regionale nordico, quale la Svezia aveva proposto in un secondo tempo, era già da troppo tempo scontata per aver destato qui anche la minima sensazione. La opinione pubblica locale ha accettato tutto ciò come una necessità a cui era impossibile sottrarsi: senza eccessivo entusiasmo, ma con la ferma determinazione di giocare la carta scelta sino in fondo e senza ulteriori esitazioni.

I comunisti locali non hanno mancato, naturalmente, di agitarsi, e hanno tentato in ogni maniera di intorbidare le acque. Hanno fatto comizi per la pace in tutte le principali città, hanno chiamato a raccolta tutte le forze di cui disponevano, hanno dimostrato in cortei, hanno circolato opuscoli e manifesti. Va però aggiunto che, ad uno spettatore obiettivo, la loro propaganda è sembrata come mancante di convinzione, e quindi senza mordente. A leggere gli articoli e ad ascoltare i discorsi dei capi comunisti si aveva veramente l'impressione che essi fossero asciutti o pronunciati come per un dovere, o come per una imposizione dall'alto. Forse ciò è dovuto al fatto che manca fra i comunisti norvegesi una personalità preponderante che possa imporsi per profondità di fede, e mancano inoltre anche dei veri «tecnici» della agitazione politica. Ne risulta quasi una certa ingenuità nella esposizione della tesi sostenuta, e riesce quindi molto facile ai socialisti e alla destra affermare e provare che i comunisti locali altro non fanno che scrivere o dire in norvegese idee e concetti che vengono loro suggeriti dall'estero. Persino l'articolo di commento pubblicato dall'organo comunista Friheten alla nota russa è stato di una debolezza veramente sorprendente.

Anche però in seno al partito socialista governativo, non sono mancati tentativi da parte di uomini politici isolati di controbattere la politica occidentale del ministro degli esteri Lange. Nello stesso Parlamento tre deputati -fra cui l'ex ministro dell'istruzione Forstevoll, uscito dal Gabinetto pochi mesi fa appunto per dissensi sulla politica estera -hanno esposto le loro idee contrarie alla adesione al Patto atlantico. Va però notato che essi hanno fatto ciò non per sostenere, come i comunisti, una tesi filo-russa, ma per esporre le loro convinzioni neutraliste e dirette a non rompere la solidarietà scandinava. Essi sono considerati qui come i die hard della collaborazione con la Svezia ad ogni costo che è specialmente viva in alcune regioni del Nord, sopratutto per ragioni di comunanza di interessi economi

ci. Alla resa dei conti, però, non si sono spinti sino a rompere la disciplina del Partito, ed hanno finito per votare col Governo.

Chi esce rafforzato nella propria posizione, dagli avvenimenti della scorsa settimana, è il ministro degli affari esteri, signor Lange, che è l 'uomo politico norvegese che ha maggiormente voluto, e che si è coraggiosamente battuto, per l'indirizzo occidentale di questo paese, e per l'abbandono della politica di neutralità che era stata alla base delle direttive norvegesi dall'epoca del distacco definitivo dalla Svezia nel1905.

Ad un paese dove, sino a non molto tempo fa, si pensava quasi unicamente che la migliore politica estera per la Norvegia fosse quella di non averne affatto, egli ha saputo imporre-e fino ad un certo punto anche dimostrare-che una simile affermazione era non solo inesatta ma anche controproducente e che la solidarietà con le altre potenze occidentali era l'unica che potesse servire agli interessi morali e materiali della Norvegia. Il signor Lange-a parte la sua intelligenza e la sua preparazione tecnica -è un uomo convinto della sua tesi ed in buona fede. Il paese ha tenuto conto specialmente di queste sue due qualità per seguirlo ed appoggiarlo.

245 1 Vedi D. 89.

246

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 966/35. Roma, 5 febbraio 1949, ore 15.

Suo 29 1•

Avuto accordo britannico su linea da noi proposta (o concordato accordo con Governo britannico dopo eventuali suggerimenti) sarebbe nostra intenzione prendere ufficiosamente contatti in Tripolitania con maggiori esponenti quelle popolazioni chiarendo loro nostro programma per attenerne accettazione di massima. Questo compito potrebbe essere assolto da Galimberti, secondato da altra persona pratica ambiente arabo che manderemmo da qui, e secondato altresì da generico atteggiamento favorevole B.M.A. che dia arabi sensazione inglesi incoraggiano accordo. Nel corso predetti contatti verrebbe anche chiarito dove e come e con chi accordo preliminare di cui telespresso del 31 gennaio2 (che dovrà essere sottoposto Assemblea O.N.U.) potrà essere formalmente negoziato e concretato.

247

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. S.N.D. 967/15. Roma, 5 febbraio 1949, ore 16.

Suo telegramma n. 301• Mi compiaccio con V.S. per soddisfacente conclusione trattative e pregola ringraziare e ricambiare codesto ministro affari esteri sue cortesi espressioni. Ella potrà accusare ricevuta e dichiararsi d'accordo nella forma da lei indicata. Per quanto riguarda lettera relativa riconoscimento de facto potrebbe essere così formulata:

«Mi onoro adempiere gradito incarico portare conoscenza V.E. che Governo Repubblica italiana ha deciso di riconoscere de facto lo Stato d'Israele. Allo scopo di allacciare amichevoli relazioni col Governo d'Israele il Governo italiano nominerà quanto prima a Te! Aviv un rappresentante diplomatico di cui mi riservo di farle conoscere il nome, ed è pronto a ricevere a Roma un analogo rappresentante d'Israele».

Pregola telegrafare non appena avvenuto scambio lettere riconoscimento precisando giorno e ora pubblicazione costà comunicato ufficiale che verrà diramato contemporaneamente anche qua. Testo comunicato, già concordato con rappresentante Israele, è il seguente:

2 Vedi D. 211.

«Riconoscimento de facto d'Israele già deciso da Governo italiano sino dal 25 gennaio u.s. è stato perfezionato mediante scambio lettere che ha avuto luogo Tel Aviv il ... tra il ministro affari esteri israeliano sig. Moshe Shertok ed il console generale Italia Gerusalemme Giacomo Silimbani» 2 .

246 1 Vedi D. 239.

247 1 Vedi D. 235.

248

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1154/14. Oslo, 5febbraio 1949, ore 18,10 (perv. ore 7, 15 del 6).

Questo ministro affari esteri partito oggi pomeriggio per Washington accompagnato da capo maggioranza parlamentare e dal sottosegretario di Stato per la difesa. Iniziativa viaggio è stata presa quasi improvvisamente ieri ed è evidentemente dovuta a desiderio di chiedere ed ottenere ulteriori dettagli circa posizione specialmente militare della Norvegia nel futuro Patto atlantico.

Ministro mi ha detto ieri che, pur potendo in definitiva asserire che nota sovietica ha finito per giovargli dal punto di vista di politica interna, egli rimaneva alquanto preoccupato dal fatto che, sino al momento in cui mi parlava, stampa e radio russa non avessero ancora dato notizia di avvenuta consegna della nota di risposta norvegese. Ciò lo portava a supporre che Mosca possa avere in preparazione una controrisposta con cui mantenere la questione ancora aperta. Mi ha aggiunto di non escludere che prossima eventuale mossa sovietica possa essere intesa a riaprire in una maniera o nell'altra questione basi alle Svalbard il che non potrebbe non creare qualche complicazione.

249

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 1143/15 1 . Oslo, 5febbraio 1949, ore 16,15 (perv. ore 19, 35).

In merito a viaggio Washington di questo ministro esteri riferisco che, secondo informazioni che non mi è possibile però controllare, non sarebbe escluso che nel

corso conversazioni che avranno luogo colà, sottosegretario di Stato difesa norvegese abbia ad esporre, ed anche con una certa enfasi, parere contrario di queste autorità militari ad una ammissione dell'Italia nel Patto atlantico basato principalmente su desiderio di non vedere allargata al Mediterraneo responsabilità militare dei paesi aderenti. Non dovrebbe essere esclusa da questo atteggiamento influenza inglese. Ministro esteri non mi ha mai accennato né direttamente e nemmeno indirettamente ad una eventuale opposizione norvegese di carattere politico alla ammissione dell'Italia.

Pur potendo mie informazioni risultare in definitiva non completamente esatte, ne riferisco come elemento di esame da parte di codesto Ministero e dell'ambasciata Washington.

24 7 2 Con T. s.n.d. 1191134 del 7 febbraio Silimbani rispose: «Scambio di lettere redatte secondo le istruzioni V.E. avvenuto stamane. Pubblicazione comunicato ufficiale avverrà Tel Aviv domani sera 8 corrente alle 18 ora locale, ore 19 italiana. Preciso che testo documenti acclusi porta riconoscimento de facto Governo di Israele come sempre indicato e non (dico non) Stato Israele cui territorio deve essere ancora definito e delimitato».

249 1 Ritrasmesso a Washington con T. 1004/68 del6 febbraio. Per la risposta di Tarchiani vedi D. 256.

250

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 387/70. Montevideo, 5 febbraio 1949 (perv. il 9).

Mi permetto di richiamare la mia lettera al segretario generale in data 29 gennaio n. 276/591 .

Ho avuto una lunga conversazione con questo ministro degli affari esteri sul tema della nostre colonie. Ho potuto così non solo richiamare i principali argomenti già precedentemente esposti da questa rappresentanza e diffusamente esaminati nelle diverse pubblicazioni consegnate, ma ho avuto modo di trattare, sottolineare e commentare le considerazioni e i propositi sui due punti di maggiore interesse, Eritrea e Tripolitania, che mi sono stati comunicati recentemente da codesto Ministero (specialmente con i telespressi 3/73/c. del 12 gennaio e 3/156/c. del 18 gennaio e con la lettera del segretario generale n. 3/234/c. del24 gennaio)2 .

Il ministro Castellanos ha prestato la maggiore attenzione alle mie parole così da invogliarmi a dare qualche vivacità e una certa «coloritura» al discorso, nell'intendimento di attirare la sua attenzione sui punti principali del promemoria che portavo con me.

Mi sembra interessante ricordare che avevo appena incominciato a parlare dell'Eritrea che il ministro mi chiedeva se l'Etiopia avrebbe o no avuto uno sbocco al mare. Questa interruzione del compassatissimo ministro degli esteri ha rivelato -a mio modo di vedere-un'opinione ben radicata in lui, e altrettanto mi pare di dover dire dell'espressione soddisfatta con la quale il mio interlocutore ha accolto la mia risposta circa la nostra intenzione di cedere Assab.

Nel mio esposto ho creduto bene di fermarmi al punto di vista e alle aspirazioni indicate nel telespresso ministeriale richiamato n. 3173/c. che costituiscono la conclusione principale della lettera del segretario generale del 24 gennaio. Non ho voluto subito discendere alla prima subordinata, pure indicata nella citata lettera, per non screditare la principale: vi discenderò, se del caso, quando avrò conosciuto la prima reazione provocata dal mio colloquio e dal mio promemoria.

Alla fine del colloquio, il ministro ha tenuto a ringraziarmi ripetutamente delle comunicazioni che gli ero venuto facendo e ha voluto assicurarmi che avrebbe attentamente esaminato il promemoria.

Ma, questa volta, occorreva fare un passo innanzi. Ho così ripetuto al ministro l'apprezzamento del Governo e dell'opinione pubblica italiana per l'atteggiamento tenuto dall'Uruguay all'ultima sessione di Parigi delle Nazioni Unite, ho una volta ancora confermata la nostra fiducia circa l'appoggio che l'Uruguay ci vorrà dare a Lake Success (sottolineando che a noi sembrava che i sentimenti di amicizia si alleassero alle ragioni di giustizia e di equità per giungere alla stessa soluzione) e ho espressa la speranza che l'Uruguay faccia sentire la sua voce e conoscere le sue favorevoli impressioni per i nostri propositi e per le nostre tesi tra le nazioni latino-americane.

Il signor Castellanos, che assentiva col capo con aria soddisfatta finché parlavo del nostro gradimento per l'appoggio datoci a Parigi, ha continuato a sorridere con espressione benevola e quasi d'intesa quando ho sottolineato la nostra fiducia per il prossimo atteggiamento uruguayano a Lake Success, ha finalmente preso le parola quando sono passato a manifestare la speranza per una certa azione dell'Uruguay nel gruppo delle consorelle. Egli mi ha detto che io ero troppo al corrente ormai della situazione sud-americana per non comprendere che la voce dell 'Uruguay non è forte e non può sempre farsi udire ed ha aggiunto, a spiegazione, che il popolo dell'Uruguay chiede di non essere mai compromesso in questioni che non lo colpiscono direttamente e profondamente. Detto questo, quasi come premessa limite, mi ha calorosamente ripetuto che le simpatie della popolazione uruguayana per noi sono così radicate e diffuse che il Governo non solo può, secondo il proprio sentimento, ma deve, come interprete dell'opinione pubblica, considerare con la maggiore attenzione e simpatia le nostre richieste continuando nella via seguita fino ad ora. Ha concluso ripetendo che avrebbe esaminato con molta cura il mio promemoria e che ne avrebbe trattato in seno al Governo onde essere in grado di dare tempestivamente alla delegazione uruguayana istruzioni precise.

Il signor Castellanos è uomo che, nei limiti di una perfetta educazione e pur comprendendo rapidamente e profondamente, preferisce il gesto alla parola. Credo che lo trovi meno compromettente. Dai suoi gesti, dalle sue espressioni e finalmente dalle sue dichiarazioni ho avuta confermata la impressione che ho già tratteggiata nella mia lettera al segretario generale del 29 gennaio u.s.

Questo paese e questo Governo ci sono sinceramente amici: sentimentalmente e spiritualmente ci sono favorevoli. Ma l 'Uruguay non prenderà una posizione in aperto contrasto con il «Grande» americano e neppure desidera assumere una posizione che lo metta troppo in vista. È una politica che vorrebbe essere a noi pienamente favorevole ma che allo stesso tempo vuole essere di prudenza: una politica di casa, tanto più comprensibile in un piccolo paese che, a torto o a ragione, scruta spesso l'orizzante con qualche apprensione. Esagerando un poco, per render l'idea, direi che l'Uruguay sarà, nell'orchestra, un suonatore che suonerà di gran cuore la nostra canzone, ma che non si opporrà decisamente a chi tiene la bacchetta e non vorrà assumere la parte di primo violino.

Penso che, se questa impressione mi verrà confermata durante la mia azione che continuerò a svolgere assiduamente, potrebbe essere utile interessare più largamente gli ambienti politici e la stampa. In linea pratica, questo è il meglio che possa farsi qui: offrire motivi e argomenti alle ottime disposizioni per noi, così che il Governo si senta rafforzato e incoraggiato nel suo atteggiamento da una opinione più diffusa e riflettuta. Ma, come ho già scritto, anche la stampa vuole essere prudente: e delle nostre colonie parlerà soltanto come di uno dei problemi italiani e nel quadro più vasto di una descrizione della vita italiana, del pensiero e dei bisogni dell'Italia del dopo guerra.

Mi permetto di allegare copia del promemoria che ho lasciato a questo ministro degli affari esterP.

250 1 Riferiva sui passi che Tacoli aveva compiuto e su quelli che si riproponeva di compiere per ottenere un più concreto appoggio dell'Uruguay alla causa delle colonie italiane. 2 Vedi DD. 51, 100 e 120 nota l.

251

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

PROMEMORIA. New York, 5 febbraio 19491•

In una conversazione avuta ieri con l'ambasciatore Carlos Holguin Lavalle, delegato permanente del Perù, svoltasi in un'atmosfera di cordiale amicizia, ho creduto opportuno fargli presente quanto dolorosamente eravamo rimasti sorpresi dall'indeciso atteggiamento tenuto dalla delegazione peruviana a Parigi nei riguardi della questione delle nostre colonie. È vero-ho aggiunto-che nel corso dell' Assemblea vi era stato un radicale cambiamento di governo a Lima e che il ministro degli esteri allora a Parigi era stato improvvisamente sostituito. Speravo quindi che il nuovo Governo peruviano, nel lasso di tempo concesso tra la prima e la seconda parte dell'Assemblea, avrebbe avuto il tempo di riconsiderare la questione assumendo quell'atteggiamento a noi favorevole che era stato preso in un primo tempo.

Lavalle ha ammesso che vi erano stati ondeggiamenti, determinati sopratutto dalla mancanza di istruzioni, e mi ha consigliato, riservatamente ed amichevolmente, di far fare dalla forte comunità di origine italiana di Lima delle efficaci pressioni sul Ministero degli affari esteri.

L'ho ringraziato del suggerimento e gli ho detto che speravamo in aprile di presentarci a Lake Success con un accordo comune tra tutti gli interessati. Poiché tuttavia vi poteva essere qualche esitazione nei riguardi del problema eritreo, ho tenuto a fornirgli tutti gli elementi di fatto che potevano tornargli utili per la comprensione esatta di questa intricata questione.

251 1 Trasmesso dalla stesso Mascia a Roma con Telespr. 146 de li'Il febbraio, pervenuto il 16.

Egli si è dimostrato molto interessato e mi ha pregato di inviargli un promemoria che gli potesse servire di base per una comunicazione che intendeva inviare a Lima.

Ho avuto l 'impressione che egli personalmente fosse molto bene orientato nei nostri riguardi, ma che non era ben sicuro di quello che avrebbe potuto essere l'atteggiamento finale del suo Governo. Mi ha detto che erano state esercitate a Lima delle fortissime pressioni da parte dell'Inghilterra e che noi dovevamo controbatterie specialmente mettendo in azione quello che di più forte avevamo nel nostro giuoco, e cioè le comunità di origine italiana.

250 3 Non pubblicato.

252

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1170/24. Mosca, 6febbraio 1949, ore 14,40 (perv. ore 14).

In questi giorni la stampa sovietica ha continuato a svolgere propaganda sullo scambio telegrammi con Kingsbury Smith specialmente mediante larga riproduzione commenti stranieri. Stamane tale campagna continua ed inoltre editoriale Pravda ampiamente analizza il rifiuto americano a concludere il cosiddetto patto della pace sforzandosi dimostrare che esistenza O.N.U. non è più sufficiente di fronte successiva costituzione blocchi occidentali cosiddetti aggressivi. Tutto ciò continua ad essere interpretato qui come pura propaganda diretta specialmente verso opinione pubblica più incerta dei paesi esteri. Qualche apprensione rimaneva invece circa il settore scandinavo ove taluno temeva che i passi verso Governo norvegese preludessero a qualche misura concreta sovietici specialmente riguardo Finlandia. Non ritengo tale preoccupazione giustificata perché così facendo comprometterebbero gravemente atteggiamento prudente Svezia spingendola verso Occidente. Oggi risposta sovietica a Governo norvegese è pubblicata interamente questa stampa e con offerta patto di non aggressione sembra diretta a costringere Norvegia, nel caso come tutto fa credere la rifiuti, ad astenersi ugualmente da entrata Patto atlantico. Quest'ultimo sembra dunque finora obiettivo diretto attuale azione sovietica verso settore scandinavo. Mi riservo ulteriori informazioni.

253

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N .D. 1198/31. Londra, 7febbraio 1949, ore 21,33 (perv. ore 8 del! '8).

A seguito del comunicato diramato iersera dal segretario generale della Commissione permanente Trattato Bruxelles circa note raccomandazioni per Consiglio europeo, Massigli è venuto oggi a comunicarmi a nome della Commissione stessa che Gran Bretagna e Belgio sono state incaricate sondare paesi scandinavi Danimarca e Islanda per conoscerne intenzioni in merito eventuale partecipazione Consiglio.

Massigli era incaricato farmi sapere che si era ritenuto inutile tale sondaggio nei riguardi Italia, dato che nostra favorevole risposta è già acquisita.

Ha aggiunto che invito formale ci verrà ufficialmente rimesso tra una quindicina di giorni assieme al progetto costituzione Consiglio.

254

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1206/127. Washington, 7 febbraio 1949, ore 23 (perv. ore 9 dell'B).

Mio n. 1151•

Ho sollecitato, ricevuta lettera V.E.2 , udienza Acheson. Peraltro questi non ha ancora veduto rappresentanti stranieri, neppure per questioni urgenti, come è il mio caso e quello di Bonnet.

Continuo frattanto lavoro preparatorio presso uffici, dai quali tuttavia non attendo per ora nulla più che generiche dichiarazioni di buona volontà, sia perché Dipartimento di Stato, in questi giorni, nessuno è in grado assumere atteggiamento determinato su questioni importanti, sia perché ritengo opportuno che nuova fase ufficiale discussioni problema ex colonie italiane sia da me direttamente impostata con segretario di Stato3 .

255

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1207/128. Washington, 7 febbraio 1949, ore 23,03 (perv. ore 9,10 dell'B).

Seguito mio n. 123 1•

2 Vedi D. 240.

3 Per il seguito vedi D. 269.

Traggo impressione, da informazioni confidenziali raccolte presso Dipartimento Stato, che trattative per Patto atlantico possano subire qualche ritardo, in quanto sondaggi questi giorni tra segretario Stato ed esponenti parlamentari hanno rivelato necessità precisazioni, cui segretario di Stato intende procedere onde accertarsi che, a suo tempo, Patto venga approvato dal Congresso a forte maggioranza.

Allo stesso motivo devesi attribuire ritardo risposta nostro memorandum. Infatti mentre viene confermato che attuale draft è redatto sulle linee da me indicate a suo tempo (impegno di mutua assistenza, secondo cui eventuale attacco contro uno dei membri viene considerato attacco contro tutti), Dipartimento di Stato non è in grado di dare alcuna conferma ufficiale sulla natura precisa del Patto, prima che situazione suddetta sia compiutamente chiarita. Da parte questa ambasciata è stata nuovamente ed ampiamente illustrata opportunità che al più presto possibile venga data risposta.

254 1 Vedi D. 237.

255 1 Pari data, con il quale Tarchiani aveva comunicato il rinvio al giorno 8 della riunione degli ambasciatori con Acheson.

256

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1208-1200/129-130. Washington, 7febbraio 1949, ore 23,03 (perv. ore 8 del/'8).

Suo 68 1•

Ho personalmente illustrato a questo ambasciatore Norvegia posizione Italia nei riguardi Patto atlantico, insistendo specialmente su motivi che rendono nostra adesione vantaggiosa dal punto di vita generale nonché sul fatto che ormai tutti i sette paesi promotori appaiono favorevoli a tale adesione.

Ambasciatore Norvegia mi ha detto non constargli che da parte suo Governo vi sia alcuna opposizione a tale riguardo. Peraltro qualche sua reticenza, nonché accenni a difficoltà di politica interna ed infine sua sorpresa di fronte a mia affermazione che anche la Gran Bretagna è ormai disposta a nostra inclusione mi hanno dato impressione che notizie segnalate da Oslo siano fondate. Ho quindi pregato ambasciatore di prospettare dettagliatamente situazione a Lange e egli mi ha promesso di farlo.

Secondo informazioni confidenziali Dipartimento Stato colloqui ministro affari esteri norvegese hanno per ora attinenza più con speciale posizione Norvegia nei riguardi U.R.S.S. che con contenuto vero e proprio del Patto atlantico. Infatti, circa quest'ultimo, per ragioni su cui riferisco a parte2 , Acheson non è in

2 Con T. s.n.d. 1242/137 dell'8 febbraio Tarchiani comunicò:«Al Dipartimento di Stato si conferma che, malgrado speciale situazione in cui trovasi Norvegia, Governo americano non può dare a Lange nessuna garanzia e nemmeno fornirgli elementi circa natura del Patto, oltre quelli generici già dati a noi. Pertanto, considerato desiderio Acheson approfondire preparazione in seno al Congresso prima di fare qualsiasi ulteriore mossa, si prevede che soggiorno ministro affari esteri norvegese si prolungherà».

grado fare a Lange comunicazioni esaurienti. Quanto sopra sembra aver trovato del resto conferma in dichiarazioni Lange alla stampa dopo odierna udienza Acheson, secondo le quali:

l) colloquio ha avuto carattere «preliminare» mentre in seguito egli spera raccogliere informazioni più dettagliate su natura progettato Patto; 2) Norvegia non (dico non) è stata ancora invitata partecipare trattative Patto medesimo.

Lange ha inoltre polemizzato con Governo sovietico, asserendo che risposta norvegese a nota concernente eventualità concessione basi militari a Stati Uniti era pienamente esauriente.

Al Dipartimento Stato prevale finora opinione che Norvegia respingerà proposta sovietica patto di non aggressione, facendo rilevare che impegno di non ricorrere alla guerra è compreso nello Statuto delle Nazioni Unite.

256 1 Vedi D. 249, nota l.

257

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 354/123. Atene, 7 febbraio 1949 (perv. il 17).

Dopo un dibattito protrattosi per quattro giorni, la Camera ha votato la fiducia al nuovo governo a grande maggioranza: 296 votanti, 245 voti favorevoli, 50 contrari e uno astenuto. Hanno votato contro i deputati nazionali-liberali (Gonatàs), i nazionalisti (Zervas), il gruppo di Turcovassilis, tre indipendenti e due populisti.

Il dibattito ha avuto inizio martedì con una lunga dichiarazione ministeriale letta da Sofulis con voce debole e incerta: ne trasmetto in allegato il testo1 . Essa ha passato in esame tutti i settori della vita nazionale greca e si è intrattenuta particolarmente sul problema delle riforme sociali, problema che ogni giorno diventa più acuto. Se il Governo manterrà le promesse fatte in sede parlamentare, dimostrerà di essersi finalmente convinto che la ribellione affonda le sue radici non solo nei territori oltre frontiera ma anche sul suolo nazionale. Realtà che mi sembra indubbia e che condiziona ovviamente i metodi da seguire per reprimere la ribellione.

Nel campo dei rapporti internazionali Sofulis, dopo aver fatto i rituali elogi degli Stati Uniti e dell'Inghilterra e le accuse non meno rituali, ma in tono assai moderato, ai paesi confinanti, si è limitato a menzionare singolarmente solo la Turchia e l'Italia; nessun accenno alla Francia e-cosa più significativa dopo gli eccessivi entusiasmi di ieri-all'Egitto o altro paese arabo.

Sull'Italia si è espresso nei seguenti termini:

«Dopo la liquidazione delle questioni sorte in seguito alla guerra con l'Italia, il Governo greco ha proceduto con animo sincero alla firma di un patto d'amicizia con l'Italia il 5 novembre 1948 a San Remo 2• Nessun contrasto ci divide dalla nuova Italia ed è nostro sincero desiderio di collaborare sempre e in pieno accordo con essa nel nuovo periodo che si apre davanti a noi».

Successivamente e per tre giorni -cui a volte si sono aggiunte le notti -ha parlato un forte numero di deputati, pochissimi dei quali, in verità, hanno saputo portare un contributo personale ed originale alla discussione. L'opposizione si è battuta principalmente contro la richiesta della sospensione dei lavori parlamentari per quattro mesi, questione abbinata dal Governo a quella di fiducia; senza esito, tuttavia, poiché il dibattito si è chiuso col risultato sopra riferito.

Il Governo si è così assunto tutte le responsabilità degli avvenimenti dei prossimi quattro mesi, quattro mesi che potrebbero essere decisivi per la democrazia in Grecia.

257 1 Non pubblicato.

258

IL MINISTRO A BOGOTÀ, SECCO SU ARDO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. SEGRETA 189. Bogotà, 7febbraio 1949 (perv. il 22).

A pronto riscontro delle tue istruzioni del 24 gennaio (3/234/c.) 1 devo dirti che il Congresso eucaristico di Cali, con il suo prolungamento nella visita a Bogotà del cardinale Micara, ha talmente assorbito fino ad oggi questo Ministero degli esteri, che soltanto in settimana potrò presentare gli elementi del caso sulla questione eritrea.

Ma appunto al Congresso ho potuto avvicinare il cardinale e appoggiare anche all'autorità della Santa Sede la nostra causa presso il Governo colombiano. Gli ho infatti rappresentato il pericolo che gli interessi religiosi in Eritrea correrebbero nel caso del passaggio al negus, e mostrato il servizio United Press sulla penetrazione sovietica in Etiopia, aggiungendo al riguardo altre informazioni avute in Venezuela da italiani da poco giunti dall'Africa.

L'ho infine informato delle ottime disposizioni verso di noi del Governo colombiano, ma del pericolo che esso possa cedere, anche incidentalmente, a suggestioni contrarie, come è avvenuto a Parigi, da parte di Urdaneta Arbelaez. Conoscendo quanto questo delegato colombiano sia sensibile agli interessi della Chiesa ho chiesto che nel modo più discreto ed opportuno gli venga rappresentato il desiderio della Santa Sede perché ad ogni modo sia appoggiata la tesi italiana circa l'avvenire dell'Eritrea.

A questo passo mi sono indotto -prima di sapere attraverso i giornali di ieri

dei colloqui che Urdaneta ha avuto a Roma e con il conte Sforza e in Vaticano in considerazione della posizione politica particolarissima di cui gode l'Urdaneta, e che gli permette eventuali libertà anche di fronte ad istruzioni precise del suo Governo. Io stesso infatti avevo letto le istruzioni inviategli a Parigi, per la cortesia di un funzionario amico.

Ma appunto la situazione politica di Urdaneta Arbelaez, che assai facilmente sarà il candidato dei conservatori per la Presidenza, l'anno venturo, lo rende più accessibile ad eventuali suggerimenti della Santa Sede.

Il cardinale ha mostrato subito la maggiore comprensione, e ieri sera in occasione del pranzo di addio nella nuova nunziatura, ha avuto un colloquio di mezz'ora con il ministro degli esteri Zuleta Angel, nel corso del quale gli ha illustrato il punto di vista della Santa Sede a rinforzo della nostra tesi. Il ministro, nell'aderire alla sollecitazione, ha concluso con queste testuali parole: «l desideri della Santa Sede sono ordini per la Colombia».

La nunziatura nel riferirmi quanto sopra mi ha autorizzato a darne comunicazione al Ministero. Il cardinale, nel suo ultimo commiato questa mattina, ha tenuto a confermarmi la piena solidarietà della Santa Sede e la efficacia dell'impegno assunto da questo ministro.

Sebbene i contatti avuti da Urdaneta con il Ministero a Roma diminuiscano l'importanza di quanto ti riferisco, mi sembra tuttavia che questo nuovo solenne impegno accresca per Mascia la sicurezza sul voto colombiano a Lake Success.

Per ovvie ragioni durante il Congresso mi sono astenuto dal trattare questo argomento con i vescovi venezuelani i vi convenuti (e che mi hanno fatto molte feste in ricordo del comune lavoro per l'emigrazione) né con i vescovi peruviani, quasi tutti francescani o salesiani, e cioè a noi accessibili.

Ti segnalo però, per eventuale norma di Cassinis e di Cicconardi, che essi potrebbero particolarmente in questo momento influire sui nuovi Governi del Perù e del Venezuela, in senso a noi favorevole, ove ciò fosse utile, in aggiunta all'azione della Santa Sede.

Sempre al Congresso ho trovato padre Pierantoni, superiore generale dei francescani, il quale, assente dall'Italia da alcuni mesi non era al corrente delle più recenti notizie di Libia e di Somalia, ma mi ha detto che l'amministrazione inglese in Cirenaica ha chiesto l'invio di vari sacerdoti. Sapendo che nell945, come vice presidente della ftalica Gens, ho dovuto seguire le vicende delle nostre missioni in Oriente avrebbe voluto dirmi di più, ma durante la sua assenza da Roma gli affari delle Provincie sono trattati esclusivamente alla Curia francescana.

Riassumendo, e con riserva di comunicarti l'esisto dei passi che compierò presso questo Ministero, ritengo che per parte della Colombia non occorrerà arrivare alle posizioni di seconda linea alle quali accenni, come peggiore ipotesi, nelle tue istruzioni 2•

257 2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 595. Il testo del trattato è pubblicato in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati, vol. LXVII, cit., pp. 274-290.

258 1 Vedi D. 120, nota l.

258 2 Il presente documento venne ritrasmesso alle ambasciate presso la Santa Sede, a Caracas e Lima e all'osservatore italiano all'ON.U. con Telespr. segretissimo 3/607/c. del24 febbraio.

259

IL MINISTRO A L' AJA, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 396/80. L'Aja, 7febbraio 1949 (perv. il 14).

Il ministro degli affari esteri Stikker ha pronunciato il 4 corrente alla Camera Bassa degli Stati Generali il suo primo discorso, dacchè nello scorso luglio assunse la direzione della politica estera dei Paesi Bassi. Egli varie volte aveva rinviato le sue dichiarazioni, pendenti le trattative con la Repubblica di Giokia e poi l'azione di polizia. Non potendo da una parte sottrarsi a parlare in sede di discussione del bilancio del suo Ministero e non volendo -e forse non potendo -dire qualcosa di positivo circa la questione indonesiana, egli ha trattato i vari argomenti, rimandando la predetta questione alla discussione sul bilancio delle Terre d'Oltremare.

Il discorso di Stikker, che è ministro per la prima volta, non ha avuto nulla di personale e di saliente; non si è discostato dalla consuetudinaria esposizione di carattere prettamente burocratico. Ci si poteva attendere qualcosa di più da questo ministro che non appartiene alla burocrazia (come la maggior parte dei membri del Gabinetto) e che invece è un dinamico uomo di affari abituato ai contatti commerciali internazionali.

Forse l'attuale delicatissimo momento della politica estera olandese per lo spinoso problema indonesiano entrato nella fase acuta, lo ha consigliato a limitarsi ad una pura e semplice «esposizione incolore». l punti principali sono i seguenti:

l) Organizzazione amministrativa: riconosce la necessità di un miglioramento finanziario dei funzionari all'interno ed all'estero: riduzione di personale. Difende l'opera delle rappresentanze olandesi all'estero.

Quanto ai servizi di informazione, cui erano state rivolte acerbe critiche -specialmente per la questione indonesiana -ha messo in rilievo le difficoltà di poter influire sulla opinione pubblica straniera, sopratutto quella nord-americana, e mette in rilievo che tuttavia un certo mutamento in favore della causa olandese è stato ottenuto.

2) Situazione internazionale dell'Olanda: rileva che la nuova posizione internazionale del paese dopo la seconda guerra mondiale non è ancora compresa dalla popolazione la quale trova difficoltà ad adattarvisi. L'amarezza della nazione per l'atteggiamento mondiale nella questione indonesiana non deve portarla ad estraniarsi dalla convivenza internazionale in cui è entrata. Perciò nessuna idea del Governo di uscire da l'O.N.U.: anzi fermo proposito di collaborare sia nel campo politico che economico con tutti i popoli sulla base della riconosciuta ed indiscutibile loro interdipendenza. Di essa è espressione il Patto atlantico, oltre che l'Unione Occidentale e tutti gli organismi di collaborazione economica. Il Governo olandese spera che molti paesi si uniranno al Patto atlantico, il cui scopo è quello di rafforzare il mantenimento della pace.

3) Germania: ha rilevato le conseguenze dannose per l 'Europa di una scissione della Germania: la necessità di una ripresa economica di essa con una successiva adesione all'Unione Europea. Poco ha detto sull'assetto della Ruhr: ma ha sottolineato l 'utilità del Consiglio di sicurezza militare, pur giudicandolo insufficiente per prevenire un eventuale riarmo tedesco. Quanto alle correzioni di frontiera ha assicurato che l'Olanda intende discuterne in sede di negoziati del trattato di pace: quelle correzioni di cui si discorre attualmente sono irrilevanti spostamenti di carattere tecnico.

4) Unione Occidentale: contesta come infondate le proteste elevate da taluni deputati contro l'atteggiamento dei paesi partecipanti al Patto di Bruxelles nelle questioni riguardanti l'Olanda, definito contrario all'alleanza. Il Patto non implica l'obbligo dei contraenti di approvare tutto ciò che fa uno di essi: Francia e Belgio hanno dato appoggio all'Olanda ed anche da parte inglese v'è stata comprensione del punto di vista olandese.

5) Ha accennato al riconoscimento dello Stato di Israele, agli avvenimenti in Ungheria, Grecia e Spagna. Pur deplorando quanto avviene in questi tre ultimi paesi, il Governo non intende far passi diretti che costituirebbero un'ingerenza nella sfera della sovranità nazionale altrui.

In materia dei rapporti col Belgio, ha dichiarato di non poter fare alcuna comunicazione circa la questione dei porti di Anversa e di Rotterdam.

6) Unione Europea: ha espresso la soddisfazione del Governo per i risultati raggiunti che forse potranno concretarsi solo entro alcuni mesi: la procedura di nomina dei delegati olandesi per gli organismi previsti non è stata ancora fissata: essa sarà oggetto di studio congiunto da parte del Governo e della Camera. In risposta ad analoga interrogazione del capo della frazione parlamentare laburista, Goes van Naters, accennò al prossimo invito che sarà fatto all'Italia.

Sulle dichiarazioni del ministro la discussione è stata scarsa e fiacca; ciò che dimostra ancora una volta quanto la partecipazione di questa opinione pubblica ai problemi internazionali sia poco sentita, come lo stesso ministro ha sentito il bisogno di rilevare nel suo discorso.

Uno degli organi più importanti, il liberale Rotterdamsche Courant ha definito questo discorso «Una arida prosa burocratica, che difficilmente poteva imprimersi nella immaginazione degli ascoltatori». Commento notevole, se si considera che questo giornale è l'esponente del partito cui appartiene l'on. Stikker.

260

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. PERSONALE SEGRETA 1 . Londra, 7 febbraio 1949.

Oggi è venuto da me Massigli2 . Abbiamo parlato a lungo della questione delle nostre colonie trovandoci pienamente concordi. Solo egli è piuttosto inquieto circa il silenzio degli U.S.A., che alla domanda della Francia e dell'Inghilterra non hanno

2 Vedi anche D. 253.

ancora dato una risposta. Intanto le settimane passano, il l o aprile si avvicina. Come giungere anche solo a una intesa preliminare con arabi e inglesi, se gli americani si ostinassero in un atteggiamento di attesismo passivo? Domani vedrò McNeiP al quale esporrò il tuo piano di Stato contrattuale tripolino, che mi sembra una ottima base di discussioni e chiarimenti se vi sono da parte britannica intenzioni leali di trattare. Ma il silenzio degli Stati Uniti può essere una buona scusa per insabbiare una questione non del tutto gradevole anche agli inglesi. Bisogna perciò riuscire a strappare una parola definitiva a Washington. Ricordo le parole di Lord Jowitt e un suo suggerimento che gli itala-americani (bene ispirati e diretti) potessero fare qualche utile pressione per un chiarimento sulle reali intenzioni americane a nostro riguardo. Ma è un'arma pericolosa e delicata. Noi non abbiamo le penetranti abilità di Israele.

260 1 Autografo.

261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE LEGAZIONI A COPENAGHEN, DUBLINO, OSLO E STOCCOLMA

T. S.N.D. l 029/c. Roma, 8 febbraio 1949, ore 12.

Siamo stati confidenzialmente informati che sono in corso costì sondaggi per conoscere se codesto Governo aderirebbe ad un invito a partecipare al Consiglio dell'Europa. Come noto noi abbiamo già assicurato nostra partecipazione 1 . Dica a codesto ministro affari esteri che l'Italia vedrebbe con molto favore partecipazione di codesto paese al Consiglio stesso e si augura che invito ad esso rivolto verrà accettato 2 .

262

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI

T. 1038/8. Roma, 8 febbraio 1949, ore 16.

Suoi n. 8 e n. 91 . Frase «Territori aventi statuto giuridico internazionalmente riconosciuto» concerne Territorio Libero Trieste ed eventualità futura attribuzione mandati africani. Per

2 Per le risposte da Dublino, Osio e Stoccolma vedi rispettivamente DD. 270, 271 e 282.

ovvie ragioni opportunità politica Territorio Trieste non è stato più da noi menzionato nel testo o con riferimento simili clausole trattati internazionali (neppure in quello con l'U.R.S.S.) dopo nota dichiarazione tripartita 20 marzo s.a. in favore restituzione territorio stesso all'Italia2 . Altrettanto inopportuna appare per altri motivi specifica menzione mandati in Africa. Non possiamo d'altra parte non considerare situazione attualmente esistente Trieste né escludere quella che si verificherebbe qualora ottenessimo amministrazione fiduciaria territori africani.

Pregasi pertanto voler vivamente insistere per far recedere codesto Governo da sua richiesta cui accoglimento potrebbe risolversi a nostro danno, sia nei rapporti col Libano come in quelli con altri paesi a cui favore giochi clausola nazione più favorita.

Nulla osterebbe tuttavia accoglimento richiesta libanese di scambio lettere riservate se e quando si realizzasse eventualità sopra accennata nei riguardi territori africani. Approvasi data prevista da V.S. per la firma per cui le vengono trasmessi pieni poteri. Seguiranno appena possibile pieni poteri anche per convenzione conciliazione regolamento giudiziario3 .

260 3 Vedi D. 265.

261 1 Vedi D. 165.

262 1 Vedi D. 238 e D. 232, nota 2.

263

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1229/8. Ottawa, 8febbraio 1949, ore 22,36 (perv. ore 7 del 9). Mio telegramma 71•

Mi viene confermato che nel programma conversazioni che questo primo ministro avrà a Washington 12 corrente con Truman ecc., è espressamente incluso Patto atlantico. Mi risulta confidenzialmente che Saint Laurent vorrebbe sopratutto discutere inserimento industria canadese nei progetti armamenti americani. Poiché qui riprendono circolare, anche Dipartimento esteri, voci interessate circa pretese indecisioni americane riguardo nostra immediata partecipazione Patto, sarebbe molto opportuno che Dipartimento di Stato approfittasse occasione per informare direttamente Saint Laurent suoi noti intendimenti2 . Ove ciò non fosse possibile per brevità visita, almeno questo ambasciatore americano (che accompagna primo ministro) potrebbe essere incaricato da Dipartimento di esprimersi al ritorno in tal senso. Per parte mia ne interesso ambasciatore.

3 Con T. 1287/10 del lO febbraio Alessandrini dichiarò superate le difficoltà circa la frase in discussione e confermò la data del 15 per la cerimonia solenne della finna. Il testo del trattato è edito in Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati, vol. LXVIII, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1974,pp.98-117. 263 1 Vedi D. 175.

2 Tarchiani riferì su questa visita e sui passi effettuati in proposito con i DD. 267 e 30 l.

262 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

264

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1235/33. Londra, 8 febbraio 1949, ore 20,20 (perv. ore 7 del 9). Mio 281.

Nel parlarmi stamane del Consiglio europeo, Jebb mi ha espresso soddisfazione Governo britannico per importanza che anche in Italia è stata data alle decisioni raggiunte e alla nostra partecipazione. Ha tratto da ciò occasione per riferirsi anche alle attività del Movimento europeo e all'eventuale viaggio a Bruxelles presidente De Gasperi: premettendo non voler escludere a priori che anche dalle varie iniziative non ufficiali possa in definitiva venir fuori qualche cosa di buono per unità europea, ha confermato che Governo britannico è però ansioso evitare che tali iniziative confondano idee per quanto riguarda Consiglio europeo.

Con molta discrezione mi ha fatto capire, anche a nome di Bevin, che data quasi contemporaneità della sessione Movimento europeo e delle prime riunioni della Conferenza per il Consiglio, sarebbe spiacevole se partecipazione De Gasperi ai lavori Movimento svalutasse nei confronti dell'opinione pubblica la portata del Consiglio. Sarebbe anche preferibile secondo Jebb che De Gasperi cercasse assistere inaugurazione lavori per quest'ultimo2 .

265

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1234/34. Londra, 8 febbraio 1949, ore 20,20 (perv. ore 7 del 9).

Ho intrattenuto lungamente McNeil sul progetto per Tripolitania !asciandogli una esposizione scritta sulla base telespresso di VE. 3/3001 .

Pur senza discuterne sostanza McNeil ha osservato che progetto nella forma attuale offre finalmente una base di discussione; lo avrebbe subito sottoposto a Bevin e ci avrebbe fatto chiedere dagli uffici eventuali ulteriori chiarimenti. Mi ha chiesto poi se già avessimo portato il progetto a conoscenza di «altri amici come Francia e Stati Uniti»: ciò sarebbe stato a suo avviso opportuno, ma era rimasto invece sorpre

2 Per la risposta vedi D. 279. 265 1Vedi D. 211.

so nel sentirsi chiedere in questi giorni informazioni in proposito dall'ambasciatore d'Egitto che sembrava essere al corrente dei nostri propositi. Per quanto riguarda particolarmente Stati Uniti gli risultava che essi fossero tuttora favorevoli ad un rinvio (a tale proposito Massigli mi aveva detto iersera non essere pervenuta a Parigi alcuna risposta da Washington): sarebbe stato bene sollecitare anche da parte nostra.

Gli ho chiesto allora a titolo personale se, in assenza specifica intesa con americani o nel caso risultasse impossibile perfezionare un accordo preliminare prima dell'Assemblea generale Nazioni Unite, si sarebbe egualmente potuto giungere ad una risoluzione di massima (a noi favorevole) in tale sede. A ciò McNeil ha risposto che non vedeva alcuna alternativa alle seguenti due possibilità: accordo tra Italia Gran Bretagna Stati Uniti e Francia da presentare alle Nazioni Unite ovvero rinvio che lasci la questione impregiudicata.

Ho insistito che ci premeva intanto di poter discutere la questione apertamente e di essere sicuri che nostro tentativo ricercare soluzione con gli arabi sarebbe stato secondato da favorevole atteggiamento britannico; come già si era dimostrato in Somalia, anche in Tripolitania la possibilità di intesa e di evitare disordini dipendeva molto dal buon volere di tutti gli interessati. Gli ho citato le attività del capitano Tower di cui alla lettera del segretario generale 3/3222 come esempio degli episodi da evitare. McNeil si è mostrato grato della segnalazione in merito alla quale intende indagare seriamente. Ho assicurato per parte mia che anche eventuali segnalazioni britanniche su nostri elementi in Tripolitania sarebbero state da noi prese in seria considerazione: ad ogni modo una riprova del nostro corretto modo di agire si era già avuta durante recenti elezioni a Tripoli, cui risultato (che indicava chiare possibilità di accordi con popolazione araba) era per noi tanto più significativo in quanto non vi era stata da parte nostra alcuna interferenza.

264 1 Vedi D. 234.

266

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1239/134. Washington, 8 febbraio 1949, ore 23,15 (perv. ore 8 del 9). Miei 123 e 128 1•

Questo pomeriggio ha avuto luogo prevista riunione2 .

Acheson ha dichiarato che, prima sua assunzione, Congresso era stato tenuto molto sommariamente al corrente circa clausole progettato Patto, cosic

ché egli, volendo invece preparare accuratamente terreno in vista approvazione a forte maggioranza Patto medesimo, si era imbattuto in diverse difficoltà e richieste di precisazioni. È seguita lunga discussione su clausole che hanno dato luogo a tali richieste.

Acheson ha successivamente esposto situazione delicata nella quale trovasi Norvegia, a causa atteggiamento sovietico nonché solidarietà scandinava, ed ha dichiarato che atteggiamento Norvegia non potrà essere chiarito prima di qualche giorno.

Ambasciatore di Franca ha infine sollevato questione Italia affinché si prendesse atto che i cinque Governi europei si erano a Londra dichiarati favorevoli sua adesione conformemente posizione già nettamente assunta dagli Stati Uniti. Rappresentante britannico ha a questo punto dichiarato che in realtà nulla era stato stabilito a tale riguardo e che decisione doveva essere concordata a Washington. Bonnet ha replicato con fermezza. Acheson ha dichiarato che di ciò si sarebbe parlato nella prossima seduta ed ha sciolto la riunione. Peraltro, a causa persistenti difficoltà con Congresso, prossima seduta non appare imminente3 .

265 2 Del 2 febbraio, riferiva informazioni confidenziali circa tentativi di agenti britannici di suscitare disordini in Tripolitania. 266 1 Vedi D. 255. 2 Si riferisce alla dodicesima riunione degli «Exploratory talks on security» il cui verbale americano è edito in Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 73-88.

267

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 1263/139. Washington, 9febbraio 1949, ore 23,04 (perv. ore 8 dellO).

Primo ministro Canada è qui atteso per il 12. Quantunque egli si proponga principalmente interessare questo Governo a sviluppare commesse americane ad industria Canada nel piano riarmo europeo, è probabile che tratti anche questione Patto atlantico. A tale riguardo segnalo che, secondo informazioni confidenziali qui raccolte, Canada, per pressioni britanniche, assumerebbe nuovamente atteggiamento non favorevole ad inclusione Italia. Considerata influenza che cattolici Canada hanno recentemente esercitato a nostro favore (vedi mio 81) 1 interesserò subito locali personalità cattoliche. Riferisco quanto precede a V.E. anche per eventuali interventi da costà2•

266 3 Con T. s.n.d. 1243/138 in pari data Tarchiani telegrafava ancora: «Ambasciatore di Francia risultami aver telegrafato suo Governo segnalando nuova implicita opposizione britannica nella seduta odierna e chiedendo conferma della decisione dei cinque paesi europei, intervenuta a Londra, per l'inclusione dell'Italia nel Consiglio europeo come condizione sufficiente per la sua adesione al Patto atlantico». Sulla riunione Tarchiani continuò a riferire con il D. 268.

267 1 Vedi D. 150. 2 Questo telegramma fu ritrasmesso a Gallarati Scotti e Di Stefano con T. s.n.d. 1111/41 (Londra) 3 (Ottawa) del 10 febbraio, ore 18.

268

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1264-1280/]40-141. Washington, 9febbraio 1949, ore 23,09 (perv. ore 8 dellO). Mio telegramma n. 1341 .

In seguito ulteriori confidenzialissime informazioni, le difficoltà menzionate da Acheson ieri concernerebbero molte clausole del draft, che ormai si ritenevano acquisite. Tale situazione devesi attribuire non solo alle obiezioni sollevate da personalità parlamentari, ma altresì dal fatto che lo stesso Acheson, non avendo partecipato alle trattative precedenti, è meno preparato a controbattere obiezioni medesime.

Sarebbe stata, fra l'altro, rimessa in discussione la questione dell'Algeria. Oltre a ciò, laddove il Patto prevede che in caso di attacco contro uno dei contraenti gli altri intraprendano eventualmente «azione militare», è stata chiesta da parlamentari la cancellazione della parola «militare».

Delegazioni europee, su questo e su altri punti, hanno assunto un atteggiamento assai fermo, rilevando inoltre il grave pregiudizio derivante da nuove discussioni e conseguenti ritardi. L'ambasciatore di Francia è giunto fino a lasciare capire che la Francia non (dico non) intende concludere Patto a qualunque costo e che, al contrario, qualora il Patto stesso non tenga conto suoi fondamentali interessi, essa potrebbe lasciar cadere le trattative.

Per quanto concerne la Scandinavia è stata unanimemente messa in rilievo utilità adesione della Danimarca e della Norvegia.

Circa l'Italia, divergenza franco-inglese può riassumersi nel modo seguente: Bonnet, dietro precise istruzioni suo Governo, afferma che l'ammissione del nostro paese al Consiglio europeo è stata decisa a Londra onde permettere inclusione nel Patto atlantico e che questione pertanto è già risolta. Invece il rappresentante inglese ha affermato che l'assenso degli altri paesi a Londra era stato subordinato ad una precisa presa di posizione a Washington.

Ricordo che Hickerson, 18 gennaio2 , sia pure con riserva di eventuale diversa decisione del nuovo segretario di Stato, aveva già adottato netta posizione e che questione era stata esaminata fra i Cinque a Londra, in seguito appunto ad una sua dichiarazione. Sopravvenute difficoltà di carattere generale riguardanti progettato Patto hanno fatto sì che Acheson non abbia potuto prendere ieri definitivo atteggiamento circa nostro paese, riservandosi di farlo in prossima seduta. Sarà mia cura insistere perché ciò avvenga. Informazioni raccolte concordano, del resto, nel far ritenere che atteggiamento finale del segretario di Stato dovrebbe coincidere con quello assunto in precedenza.

268 1 Vedi D. 266. 2 Vedi D. 99.

269

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1266/142-143. Washington, 9 febbraio 1949, ore 23,09 (perv. ore 8 del l 0).

In attesa vedere Acheson, ho redatto memorandum 1 , che gli consegnerò e che espone punto di vista italiano su questione ex colonie secondo istruzioni di V.E.2 . Ho redatto altresì due appunti\ da allegare al memorandum, contenenti maggiori dettagli rispettivamente circa Eritrea e Tripolitania.

Ne l corso dei passi non formali, di cui a mie precedenti comunicazioni 3 effettuate presso diversi uffici Dipartimento (Bohlen, Hickerson, Divisione Africa, Ufficio Italia) concetti contenuti nei suddetti documenti sono stati esposti diffusamente. A tali passi non è seguita finora nessuna reazione chiara perché, come ho già riferito, nessuno intende assumere atteggiamento definito prima che Acheson si sia pronunciato e perché tutti escludono che questi si pronunci prima di avere condotto molto innanzi trattative Patto atlantico. Tuttavia ritengo opportuno riassumere qui di seguito, con ogni possibile riserva, informazioni preliminari raccolte nei contatti di cui sopra.

Circa Tripolitania, progettata costituzione Stato autonomo incontra generica simpatia. Pertanto, qualora atteggiamento britannico continuasse evolvere favorevolmente, Governo americano potrebbe vederla, in linea di principio, con favore.

Tuttavia possibilità di realizzarla rimarrebbe strettamente subordinata a dettagliata tempestiva dimostrazione che Italia è in grado evitare disordini locali e sostenere oneri finanziari derivanti da esecuzione progetto.

Per quanto concerne Eritrea, previsioni Dipartimento su possibilità accoglimento nostra proposta sono piuttosto negative, per seguenti ragioni:

l) impegno assunto da Marshall con Governo etiopico è tuttora valido; 2) sondaggi effettuati da Governo americano in occasione ultima sessione

O.N.U. in merito ad atteggiamento terzi paesi dimostrano che questi (compresi latino-americani ad eccezione forse di due o tre) risentono tuttora fortemente simpatia per Etiopia e non approverebbero trusteeship italiano neppure se principali potenze vi si dichiarassero favorevoli.

Ciò stante, negli uffici più favorevolmente disposti verso di noi, è stata confidenzialmente espressa opinione che progetto italiano potrebbe essere sottoposto approvazione O.N.U. soltanto in secondo tempo, dopo che, grazie ad eventuali mutamenti atteggiamento altri paesi, trusteeship etiopico fosse stato bocciato.

2 Vedi D. 240.

3 Vedi D. 254.

Da parte di questa ambasciata sono stati sviluppati tutti argomenti risultanti da comunicazioni ministeriali. Inoltre sono in stretto contatto con ambasciata Francia, la quale peraltro non ha potuto sviluppare azione prescrittale da suo Governo perché Bonnet non ha potuto farsi ricevere da segretario Stato ancora trincerato dietro necessità studiare problemi urgentissimi.

269 1 Vedi D. 298.

270

IL MINISTRO A DUBLINO, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1269/3. Dublino, 9 febbraio 1949, ore 19,16 (perv. ore 8 dellO). Suo telegramma l 029/c. 1•

Questo ministro degli affari esteri incaricami ringraziare V.E. ed informarla che effettivamente Governo irlandese è stato avantieri ufficiosamente interpellato attraverso quello francese per conoscere se disposto aderire far parte Consiglio europeo. Esso ha risposto in senso affermativo.

Signor Mac Bride parte domenica prossima via aerea per partecipare martedì Comitato dei Nove e giovedì Consiglio ministri esteri O.E.C.E. Egli gradirebbe molto essere ricevuto da V.E. prima della riunione di martedì. Poiché sarà già a Parigi domenica sera incontro potrebbe essergli fissato da V.E. nella giornata di lunedì e la risposta potrà essergli fatta pervenire direttamente a Parigi.

Per opportuna informazione aggiungo che, secondo notizie non (dico non) fornitemi da questo ministro degli esteri, Governo irlandese non vedrebbe con favore costituzione ristretto Comitato a Cinque.

271

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1282-1281/17-18. Osio, 9 febbraio 1949, ore 22,34 (perv. ore 10,30 dellO).

In assenza ministro degli affari esteri ho fatto a segretario generale degli affari esteri comunicazione di cui al telegramma di V. E. n. l 0291• Fregandomi ringraziame V.E. egli mi ha detto:

l) invito è giunto ieri attraverso questa ambasciata Francia; 2) paesi scandinavi hanno già espresso loro atteggiamento positivo sul problema nella riunione dei ministri del28 gennaio scorso (vedi mio telegramma n. 9)2;

3) accettazione invito potrà venire probabilmente solo dopo ritorno da Washington del ministro degli affari esteri. Ma che Governo norvegese, pur essendo pronto in linea di principio a qualsiasi forma che possa portare ad una reale collaborazione europea, conosce troppo poco del progetto concretato dai paesi del Patto di Bruxelles per potersi pronunciare in merito, e principalmente non si rende conto sino ad ora di quali siano compiti e latitudini dei due previsti organismi;

4) avendomi egli chiesto informazioni circa progetto italiano, gli ho in maniera sommaria dato spiegazioni di cui prima parte del telespresso ministeriale segreteria politica l del 3 gennaio scorso3 , aggiungendogli che problema principale non era tanto nei dettagli quanto nello spirito di collaborazione che ogni paese partecipante avrebbe portato ai lavori giuridici Consiglio. E che il Governo italiano si augurava tale spirito non sarebbe mancato da parte norvegese.

Questo segretario generale affari esteri mi ha detto che attività svolta attualmente a Washington da ambasciatori di Svezia e Danimarca parallelamente a visita colà di questo ministro affari esteri e su cui stampa internazionale sta facendo ampie speculazioni, corrisponde fase rinnovato tentativo, da parte specialmente Governo danese, per ottenere che U.S.A. diano, malgrado tutto, loro approvazione ad una alleanza regionale scandinava fuori Patto atlantico. Secondo predetto funzionario però Norvegia mantiene proprio punto di vista e non si fa nessuna illusione su possibilità riuscita della iniziativa danese.

Ministro affari esteri, cui rientro è annunciato per primi giorni prossima settimana, si fermerà quasi certamente a Londra nel suo viaggio di ritorno per consultazione personale con Bevin.

Ho telegrafato quanto precede a Copenaghen.

270 1 Vedi D. 261. 271 1 Vedi D. 261.

272

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 3/399. Roma, 9 febbraio 1949.

Dal tuo 341 rilevo che McNeil avrebbe mostrato sorpresa nell'apprendere che l 'Egitto aveva avuto sentore del nostro progetto sulla Tripolitania. All'Egitto-come a tutti i paesi arabi e, in maniera diversa, ai membri delle

N.U. -sono stati comunicati, non i dettagli del progetto, ma le sue linee generali; e ciò perché era necessario incominciare a «lavorare» i Governi più direttamente

3 Non rinvenuto.

interessati e che avrebbero potuto alla prossima Assemblea generale creare delle difficoltà. D'altra parte, essendo necessario iniziare al più presto i contatti con gli esponenti locali della Tripolitania, non potevamo lasciare completamente ali' oscuro i Governi della Lega che da detti esponenti sarebbero stati immediatamente informati e che a Parigi avevano più volte suggerito di esaminare insieme la questione della Tripolitania. Ripeto, però, che si tratta soltanto delle linee generali del progetto e non dei dettagli. A Parigi e a Washington, invece, sono stati comunicati anche i dettagli, quali tu conosci.

271 2 Vedi D. 195.

272 1 Vedi D. 265.

273

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO URGENTISSIMO 467/72. Santiago, 9 febbraio 1949 (perv. i/16).

In una conversazione con questo sottosegretario agli esteri interino dr. Bernstein, avuta dopo il telegramma di V.E. del 18 gennaio u.s. 1 , ebbi occasione di accennargli a quanto da me detto a suo tempo al ministro agli esteri (mio rapporto n. 14/4 del 4 gennaio )2 a proposito del noto Protocollo itala-argentino e del nostro augurio di concludere, in seguito, accordi analoghi con altri paesi de li' America latina. Il dr. Bernstein, nel confermarmi che il nostro desiderio era pienamente condiviso dal Governo cileno, aggiunse che avrebbe voluto già far preparare un progetto di Protocollo, da sottomettere ai rispettivi Governi italiano e cileno, ma che si era domandato se e quando si sarebbe presentata o si sarebbe potuta creare un'occasione favorevole per la firma. Gli ricordai essere in corso tra questa ambasciata e il suo Ministero trattative di carattere commerciale ormai prossime alla definizione c gli chiesi se non pensasse che, all'atto della stipulazione dell'accordo commerciale, si sarebbe potuto procedere anche alla firma di uno speciale Protocollo di amicizia e di collaborazione, che costituisse in certo qual modo la premessa dell'accordo e di altri-ad esempio in materia culturale-da concludere in seguito. Il dr. Bernstein mi ringraziò del suggerimento e mi promise sarebbe tornato meco sull'argomento.

Contemporaneamente non mancai di preparare il terreno negli ambienti vicini al Governo e, in particolare, al ministro degli esteri perché la cosa potesse avere un seguito favorevole, consono ai nostri interessi.

Il dr. Bernstein mi ha oggi fatto avere, in via breve, il testo qui allegato3 , sottolineando trattarsi di un semplice anteprogetto, aperto a tutti i suggerimenti e le modifiche che avessimo ritenuto opportuni.

2 Vedi D. 8.

3 Non pubblicato.

Il testo, che onoromi sottoporre all'esame di V.E., consta di quattro capoversi. Attiro in modo particolare l'attenzione dell'E.V. sul terzo di essi, al quale ho l'impressione si tenga particolarmente da parte cilena. Ho avuto più volte occasione di riferire sulle ferme prese di posizione di questo presidente della Repubblica di fronte ai pericoli, potenziali o reali, che egli ha creduto scorgere per il sistema di Governo democratico, talvolta a sinistra (scioperi e attività comunista con conseguenti «pieni poteri», «Legge per la difesa della democrazia», rottura delle relazioni con l'U.R.S.S.) e talvolta a destra (complotto militare, colpi di stato in Perù e in Venezuela e conseguenti ritardi nel riconoscerne i Governi militari, ecc.). Il Governo e in particolare il primo magistrato della Repubblica tengono a che il Cile sia oggi considerato in America un po' il portabandiera della democrazia e in ciò trovano consenziente buona parte dell'opinione pubblica interna, anche tra l'opposizione, che critica i metodi ma non i principi. L'atteggiamento cileno raccoglie, inoltre, forti simpatie in molti paesi dell'America latina (Brasile, Uruguay, Bolivia, Colombia, Equatore, ecc.) oltreché negli Stati Uniti, le cui intime relazioni con la Moneda sono ben note. Da parte cilena si tiene a confermare questo atteggiamento in ogni occasione e, quindi, anche in quella del progettato Protocollo con l'Italia e col suo Governo democratico. Il terzo capoverso può quindi considerarsi a mio avviso come la contropartita tacitamente chiesta dal Cile per la sua conclusione.

Ho quindi l'impressione che, mentre per gli altri capoversi qualunque nostro suggerimento sarà esaminato favorevolmente, si terrà qui in modo speciale a conservarne il terzo più o meno integralmente, tutt'al più con qualche modifica di forma. A proposito di modifiche, è evidente, a me sembra, che anche nel primo dei capoversi -e non soltanto nell'ultimo-vada inserito un accenno ai Governi cileno ed italiano, prima o dopo la menzione del «ministro degli esteri di Cile» e dell' «ambasciatore d'Italia>>. Nell'ultimo capoverso, l'elenco dei «campi» di collaborazione si potrebbe integrare con un accenno a un eventuale accordo di emigrazione. Nello stesso capoverso tra le parole «collaborazione diretta tra i due paesi» e quelle «nei campi giuridico, economico, ecc.» si potrebbe inserire un «anche» in modo da comprendere la collaborazione nel campo politico (ingresso Italia nell'O.N.U.; colonie; ecc.).

Mentre prego l'E.V. di voler compiacersi farmi avere telegraficamente le sue istruzioni su queste e altre eventuali modifiche da suggerire al testo propostoci e, se del caso, l'autorizzazione a procedere alla firma, mi permetto di attirare la sua speciale attenzione sulle seguenti circostanze:

l. Il 6 marzo avranno luogo in Cile elezioni politiche per la rielezione della intera Camera dei deputati e di metà del Senato: per quanto col sistema «presidenziale» tali elezioni non possono, di per sé, portare a un vero e proprio mutamento di Governo, il loro risultato può suggerire al presidente della Repubblica qualche modifica nella composizione del Gabinetto. Mi sembrerebbe quindi estremamente consigliabile arrivare alla firma del Protocollo prima del6 marzo per evitare che modifiche del genere possano poi portare a ulteriori ritardi col pericolo che si giunga all'Assemblea dell'O.N.U. senza aver ancora concluso, ciò che mi parrebbe contrario al nostro interesse.

2. Nelle intenzioni cilene, il Protocollo dovrebbe essere firmato contemporaneamente all'Accordo di pagamento, di cui sopra è cenno; come ho detto, quest'ultimo dovrebbe essere in certo qual modo considerato come la prima conseguenza del Protocollo e, cioè, il primo degli accordi bilaterali in esso previsti. Mi sembra, del resto, che ciò coincida anche col nostro interesse. Pregherei quindi l'E.V. di voler compiacersi disporre perché, contemporaneamente alle istruzioni sollecitate nel presente rapporto, mi siano telegrafate anche quelle chieste col rapporto in data 3 febbraio, con n. 389/604 , col quale inviavo il testo del progetto di Accordo di pagamento.

3. Volutamente, per ovvie ragioni, il testo cileno è stato mantenuto il più possibile lontano da quello del Protocollo italo-argentino: pregherei che ciò venga tenuto presente nel redigere le eventuali modifiche da suggerire5 .

273 1 Vedi D. 96.

274

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE SEGRETO 012. Atene, 9 febbraio 1949 (perv. l'11).

Dopo la recrudescenza della ribellione (Carditsa, Naussa, Carpenissi) e le proposte di pace preannunziate verso la metà del gennaio scorso (mio telegramma n. 12)1 concretatesi con la radiodiffusione dei ribelli del 27 gennaio u.s. (mio telespresso

n. 301/llOdel 2 corrente)2 giunge ora il 4 corrente l 'inaspettata notizia delle dimissioni di Markos accompagnata da decise dichiarazioni di irrigidimento della ribellione tonante contro le «deviazioni opportunistiche di destra» (si c). A tutto questo fa seguito il 6 febbraio l'annuncio della radio ribelle dell'allontanamento dal Comando ribelle del generale Popovich addetto militare jugoslavo, amico e consigliere di Markos.

I molto depressi ambienti greci sorpresi da questo repentino e sostanziale cambiamento di scena, si sono mostrati lì per lì assai disorientati per abbandonarsi però subito dopo ad un esagerato ottimismo. Nel Governo questo ottimismo ha assunto addirittura forme di euforia, supervalutando numerose autosconfessioni di elementi civili comunisti e spontanee rese di combattenti ribelli che si verificherebbero nel Peloponneso, le quali sono considerate come la decisione degli amici di Markos di abbandonare la lotta ciò che comproverebbe una ben grave scissione nel partito comunista. Il Governo anche si illude che addirittura tali ravvedimenti siano conseguenza di una parola d'ordine del Kremlino che annuncierebbe ai capi della ribellione la prossima fme della lotta per cui il partito comunista greco tenterebbe rientrare nella legalità per inquadrarsi in una numerosa quinta colonna.

Intrattenni Tsaldaris sulla ipotesi che Markos sia stato destituito per la deviazione nazionalista che lo avrebbe spinto verso Tito sperando l'aiuto politico per le mire greche sulla Macedonia ed in ispecie per una eventuale spartizione dell'Albania. Tsaldaris saltava su questo ultimo concetto e confidavami che la spartizione dell'Albania di accordo con la Jugoslavia era stata la sua idea madre a Parigi questo autunno con Bebler ed aggiungevami risultargli che attualmente l'Albania è isolata ed è rifornita soltanto dall'Adriatico via mare e che appunto egli intenderebbe bloccare le coste con le forze navali greche trattenute sol

5 Per la risposta vedi D. 41 7. 274 1 Del 15 gennaio, non pubblicato. 2 Non pubblicato.

tanto dall'opposizione americana, mentre i francesi all'O.N.U. si erano dimostrati meno avversi all'idea. Aggiungevami che la spartizione dell'Albania con la Jugoslavia (che stroncherebbe radicalmente gli aiuti alla ribellione greca) dovrebbe avvenire nel quadro angloamericano, e non fra Tito e il partito comunista greco. Riferisco questa conversazione per comprovare quali reazioni politiche il mutamento di scena ha prodotto nel Governo greco.

Non mi è possibile determinare da qui se con l'eclisse di Markos e conseguente irrigidimento ed intervento diretto del Cominform, Mosca ha inteso scegliere lei il momento opportuno per intervenire ed imporre Zachariades, figlio moscovita, facilmente riconoscibile anche come Governo, a mezzo del quale, Mosca controllerebbe le conclusioni della ribellione, oppure se la Russia, indipendentemente dal suo volere, si è veduta costretta alla destituzione di Markos per la situazione da lui creata in conseguenza dell'atteggiamento nazionalista collimante con la Jugoslavia. Si avrebbe qui una chiara prova della gravità delle ripercussioni che la deviazione Tito ed il male esempio hanno sulla politica russa e si avrebbe una evidente giustificazione delle reazioni che il Kremlino ha contro Tito.

A questo proposito rilevo che da eccellente fonte risultami in agosto ebbe luogo una conferenza fra Stato Maggiore jugoslavo e Markos per la spartizione dell'Albania, ciò che -se vero-sarebbe di grande interesse perché dimostrerebbe che quando Tsaldaris parlava con Bebler a Parigi, contrattava nel contempo con Markos e perciò oggi -eliminato Markos-è tutt'altro che impensabile che la Jugoslavia possa trattare anche con Tsaldaris.

Ho l 'impressione che gli americani qui seguitino a fare una politica strettamente greca a base di dollari, mentre gli inglesi hanno capito la necessità di sfruttare le sinistre greche e sfruttando i dollari americani lavorano in profondità, secondo una linea direttiva balcanica, per cui oserei dire che chiave della situazione greca, non sia oggi più ad Atene, ma forse a Belgrado.

Tenuto conto delle attuali trattative a Londra per l'Austria e del quadro politico generale, non è da escludere che la Russia possa avere intenzione di servirsi della pedina greca e sfrutti la sua necessità di defenestrare Markos sostituendolo con Zachariades, personaggio sino ad oggi mai apparso nel Governo ribelle e nemmeno nel comando militare Andartes ma comunque indubbiamente più docile del primo a sottomettersi alle necessità tattiche della politica russa anche a momentaneo scapito della fortuna del partito comunista in Grecia.

273 4 Non rinvenuto.

275

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO. Belgrado, 9 febbraio 19491•

A sette mesi di distanza dalla risoluzione del Cominform si deve constatare che, lungi dal comporsi, il dissidio tra Mosca e Belgrado si è acuito e che Tito ha, almeno finora, resistito alla lotta contro di lui iniziata dai paesi «progressivi».

La polemica, che invano si è tentato di voler circoscrivere tra partito comunista jugoslavo e Cominform, è rapidamente degenerata, come era ictu oculi prevedibile, in un contrasto politico tra la Jugoslavia e gli altri paesi. La tensione tra Jugoslavia da una parte e gli altri paesi dali' altra, e, in primo luogo l'Albania, la Bulgaria, l 'Ungheria e la Romania, ha raggiunto, svelando profondi, vecchi e nuovi motivi di dissidio, punti tali che nessuno osa più seriamente parlare di divergenze ideologiche.

Anche la Russia, che si tentava di far apparire come al di sopra della mélée, e Mosca pareva in primo tempo avallare tale opinione, è diventata una delle parti in causa. Non è stata risparmiata da Tito e il Cremlino ha reagito, non soltanto riducendo gli scambi commerciali con la Jugoslavia (il che poteva essere prevedibile, perché la Russia prima del contrasto era la fornitrice dell'annamento alla Jugoslavia), ma dichiarando pubblicamente che gli scambi venivano ridotti per l'atteggiamento non amichevole di Belgrado.

Per ora non vi sono sintomi che lascino prevedere un mutamento nei rapporti tra i due Stati. Pochi giorni fa Mosha Pijade ha qualificato illusi ed ingenui quelli che ritenevano che il dissidio (data la sua asprezza, ha detto Pijade) potesse comporsi in breve tempo.

La recente costituzione a Mosca del Consiglio per la collaborazione economica tra gli Stati «progressivi» 2 , senza che la Jugoslavia sia stata né avvertita, né invitata a parteciparvi, dimostra che la Russia, nemmeno per quella via ha voluto tentare un avvicinamento. I dirigenti jugoslavi hanno avvertito il colpo. Kardelj si è affrettato a dichiarare, facendo pervenire ufficialmente la dichiarazione al Governo russo, che la Jugoslavia condivide i punti di vista affermati nella Conferenza di Mosca ed in particolare «la parità di diritti» tra gli Stati partecipanti, e che tale sede sarebbe stata la più opportuna per tentare di eliminare le controversie esistenti tra la Jugoslavia e gli altri paesi. Ha lasciato intendere che la Jugoslavia sarebbe disposta a partecipare al Consiglio di collaborazione economica (questi ha infatti invitato gli altri Stati europei, che ne condividano i principi, a farne parte), ma ha aggiunto che presupposto di una tale partecipazione è il ritorno alla fedeltà ed al rispetto dei patti esistenti tra la Jugoslavia e gli altri paesi, nonché la cessazione della campagna e dei procedimenti che danneggiano non solo le necessità economiche della Jugoslavia, ma anche la collaborazione economica fra i paesi di democrazia popolare.

In sostanza, i dirigenti jugoslavi non recedono dal loro punto di vista, e cioè che essi non hanno alcuna colpa nell'attuale contrasto e che i paesi cominformisti devono riconoscere il loro torto.

Punto di vista riconfermato dall'atto di fede che recentemente, in varie occasioni, hanno avuto modo di recitare tutti i maggiori esponenti di questo regime. Il problema resta quello di vedere se Tito è tanto solido da resistere ulteriormente in questa posizione «a Dio spiacente ed ai nemici sui».

Recentemente questo ambasciatore d'Inghilterra mi diceva che all'inizio del contrasto egli aveva chiesto al Foreign Office sei mesi di tempo per dare un giudizio sulla solidità di Tito e sullo sviluppo della situazione, ma che, trascorsi i sei mesi, egli avrebbe dovuto chiedere un altro termine di sei mesi prima di pronunciarsi. La

verità è che ancora oggi né si può prevedere con quali altri mezzi e in quali termini la Russia intenda proseguire e condurre in porto la sua lotta, né se Tito intenda modificare il suo attuale atteggiamento di indipendenza fra due mondi.

Questo ambasciatore di Francia è piuttosto pessimista. In verità egli non motiva sufficientemente tale suo pessimismo, limitandosi ad esprimere dubbi sulla fedeltà di una parte della polizia e propendendo, poi, per la tesi che Tito finirà di morte violenta.

L'ambasciatore degli Stati Uniti è invece dell'opinione che Tito controlla il paese ed il partito e che le uniche difficoltà non sono di natura politica, ma di natura economica ed alimentare. Queste potrebbero anche dare luogo a qualche dimostrazione antigovernativa, che le forze della polizia e dell'esercito potrebbero facilmente domare. Aggiungo che, del resto, queste difficoltà erano già scontate in precedenza, indipendentemente dalle difficoltà ora create dai paesi cominformisti.

È noto che tutte le mie comunicazioni fatte a codesto Ministero sono in questo senso. Non vi è dubbio che nel partito si tenti una erosione in senso cominformista, ma questi dirigenti sono attenti e pronti nel sostituire gli elementi sospetti. Si dubitava di un dissenso fra Tito e Rankovic, ma questi si è affrettato recentemente a ribadire la sua fedeltà a Tito ed a confermare la giustezza dell'atteggiamento jugoslavo nell'attuale contrasto.

Certamente non bastano delle dichiarazioni per fugare dei sospetti, ma non bisogna dimenticare che Rankovic è uno degli scomunicati e che, anche in caso di resipiscenza, il favore di Mosca durerebbe, in ogni eventualità, lo spazio di un mattino. E questi dirigenti conoscono troppo bene i sistemi sovietici per non comprendere quale in definitiva sarebbe la loro sorte anche se, per un momento, tentassero di giuocare la carta di Mosca.

In sostanza la Jugoslavia è governata dittatorialmente da una oligarchia destinata alla stessa sorte e internamente forte, come tutte le dittature che poggiano su quadri della polizia e dell'esercito, opportunamente scelti e controllati. Né bisogna dimenticare che l'atteggiamento di indipendenza assunto da questi dirigenti risponde al profondo sentimento del paese.

Quindi, per ora, Tito è in sella e bisogna prendere atto non solo che ha intenzione di restarci, ma anche la possibilità di farlo.

Con questo ambasciatore degli Stati Uniti mi sono nuovamente intrattenuto a lungo sulla situazione jugoslava e sull'atteggiamento dell'Occidente verso Tito. Non mi diffondo sulla conversazione, perché l'opinione dell'ambasciatore coincide con quella del Dipartimento di Stato, riferita dall'ambasciatore Tarchiani il 7 gennaio scorso3 , trasmessa a questa legazione con telespresso n. 15/00627/c. del 13 gennaio, e che appare anzi ispirata da questo ambasciatore. La sintesi è in sostanza questa:

Meno peggio Tito che un Governo di marca russa. Quindi bisogna tenere a galla Tito, in contrasto con Mosca che lo vuole affondare. Occorre quindi aiutarlo, sia pure misuratamente, prima che sia tardi. Uno fra i mezzi per raggiungere lo scopo, dice Cannon, è quello di agevolare gli scambi tra Italia e Jugoslavia.

Di qui è sorta l'idea di questo ambasciatore d'America (del resto da me ispirata) per una eventuale combinazione di scambi tripartiti. È evidente che nel mentre l'idea

cercava e cerca la sua forma, era, come forse è ancora, prematuro ottenere delle dichiarazioni in proposito dal Dipartimento di Stato, anche per le difficoltà oggettive di metterla in atto.

Cavendish Cannon però la persegue, e, nell'ultimo colloquio che ho avuto con lui, mi ha detto che non mi può fare delle promesse, ma darmi delle speranze. Che in tal senso continua a «lavorare» col Dipartimento di Stato, e che ritiene che questi sia su tale via, specialmente perché dell'idea è convinto Harriman, che è molto ascoltato dal Dipartimento di Stato.

A mio sommesso avviso bisognerebbe quindi «aiutare» l'idea, studiando e opportunamente sottoponendo al Dipartimento di Stato una possibile soluzione. Per noi il problema va al di là dell'aiuto a Tito: si tratta di penetrare economicamente il più possibile in questo mercato prima che lo facciano altri Stati. E in questo sembra che l'Inghilterra, in particolare, sia molto attiva.

Durante la conversazione con Cannon, dopo avermi appunto accennato alla sensibile attività dell'Inghilterra nel campo commerciale, e in particolare nella fornitura di carburanti; egli mi ha detto che spera di avere fugato, non solo presso il Dipartimento di Stato ma, attraverso i suoi addetti militari, anche presso lo Stato Maggiore americano, il timore che particolari forniture alla Jugoslavia (come carburanti, pneumatici, autocarri, ecc.) possano favorire il potenziamento bellico di questo paese, se fatte in misura oculata.

Infatti, necessità attuali, incapacità di uomini, difetto di organizzazione, usura di mezzi, lasciano ampio margine alle forniture, senza che la Jugoslavia possa essere in grado di provvedere ad efficienti riserve.

Opinione che, come pure V.E. ricorderà, ebbi già occasione di esprimere verbalmente.

Concludendo, la situazione jugoslava e le nostre possibilità meritano di essere attentamente vigilate e valutate per non rischiare di perdere definitivamente un mercato che oggi è in parte scoperto e che ha bisogno di alimentarsi dall'Occidente4 .

275 1 Copia priva del numero di protocollo e della data di arrivo.

275 2 Vedi D. 224.

275 3 Telespr. 218/83, non pubblicato.

276

IL MINISTRO A BUDAPEST, BENZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 562/83. Budapest, 9 febbraio 1949 (perv. i/14).

Data l'esclusione imposta alle missioni estere questa legazione ha potuto riferire sullo svolgimento del processo Mindszenty solo in base ai resoconti della stampa governativa. La stampa estera è stata rappresentata da sudditi ungheresi e da giornalisti stranieri i quali ultimi peraltro, sia perché non conoscono la lingua (gli interpreti messi a loro disposizione non hanno evidentemente la indispensabile «latitudine» di interpretazione), sia perché affiliati a partiti di sinistra o personalmente -come nel caso del Times -sfavo

revolmente disposti verso il cardinale, non danno affidamento di aver percepito e fedelmente registrato le dichiarazioni di Mindszenty o per lo meno certe sue sfumature di linguaggio e di contegno atte a portare le dichiarazioni medesime sotto altra luce che non quella loro data dalla stampa governativa. A questo riguardo i miei tre colleghi occidentali mi hanno detto di non potere basarsi affatto su quanto loro riferito dai connazionali giornalisti e di dovere, nel riferire ai propri Governi, lavorare su personali congetture.

Il sottoscritto, che non si trova evidentemente in condizioni migliori, si è fatto del processo il concetto seguente.

Premetto che questo Governo, il quale come è noto minacciava il cardinale delle più severe misure, non si è deciso ad agire che allorché alcuni documenti -comunque e in quale momento rinvenuti e carpiti -gliene hanno dato la legale possibilità. A questo punto era ammissibile immaginare un processo in cui il cardinale, messo a confronto delle non confutabili imputazioni a suo carico, avrebbe riaffermato non solo la legittimità delle sue opinioni legittimiste (seguite qui da una sparutissima minoranza) ma anche i suoi diritti a ispirare e guidare l'opposizione verso l'attuale regime rivendicando apertamente la superiore giustizia della sua azione politica.

Il Governo non ha voluto affrontare un simile processo e ciò per più ragioni tra loro strettamente connesse: per impedire cioè che il procedimento contro il primate desse a lui modo di pronunciare dinanzi ad un uditorio mondiale una requisitoria contro il regime, per non precludersi la possibilità di non comminare una condanna a morte che intendeva evitare senza dar però l'impressione di sottostare a pressioni esterne, per lasciarsi infine la via aperta a quel modus vivendi con queste gerarchie cattoliche che nell'attuale fase dell'evoluzione etico-politica del paese esso ritiene «opportuno».

Per ottenere tutto ciò occorreva forzare la volontà del cardinale; il processo ha dimostrato che tale intento è stato ampiamente conseguito.

Con quali sistemi? Concordi testimonianze delle poche persone che già conoscevano il cardinale e che hanno assistito al processo affermano che Mindszenty appariva in condizioni fisiche normali: memoria e riflessi pronti, sguardo, voce, gesti abituali. È lecito quindi escludere veri e propri maltrattamenti fisici. Bisogna invece supporre che il cardinale sia stato sottoposto a una fortissima pressione morale intesa ad indurlo alla resipiscenza sotto la minaccia delle più tragiche conseguenze per la Chiesa e i fedeli d'Ungheria (tra coloro che volenti o nolenti si sono prestati alla bisogna sarebbe, secondo notizie di fonte attendibile, anche monsignor Czapick, arcivescovo di Eger, che avrebbe più di una volta visitato il cardinale durante la sua detenzione). E si vorrebbe da taluni che Mindszenty, la cui figura morale e intellettuale sarebbe ben lontana da quella che per i bisogni della buona causa gran parte dell'opinione pubblica voleva persuadersi a credere, non abbia saputo trovare nel suo carattere più caparbio che imperturbabile la forza spirituale per resistere e reagire.

In realtà, a prescindere dall'isolamento e dalle umiliazioni inflittegli, le pressioni cui sopra si accenna possono aver influito sull'atteggiamento del cardinale, ma non spiegano tutto; non spiegano affatto la stupefacente confessione scritta di proprio pugno pochi giorni soltanto dopo il suo arresto e pubblicata in testa al «Libro Giallo»; e sono in contrasto con la lettera che il cardinale indirizzò il 23 gennaio a questo ministro degli Stati Uniti, signor Chapin, invocando il suo soccorso per evadere, lettera che per ovvi motivi non si può concepire redatta da persona godente di normale discernimento. Nell'intento di accumulare palesi umiliazioni ed offese sulla persona del primate i manovratori del processo hanno qui evidentemente passato i limiti del credibile con la conseguenza, che pur sembra impossibile essi non si siano prospettata, di dare adito alla supposizione che il sistema nervoso del cardinale sia stato sottoposto a misure di carattere ben più scientifico che non le sole pressioni morali.

Il processo con tutte le sue forme e perfino civetterie della più perfetta legalità parmi essersi svolto e concluso appunto sotto la impressione di qualcosa di sinistramente falsato, in una atmosfera psicologicamente irreale 1•

Questa legazione, come risulta dai suoi rapporti sull'argomento, non ha mai fatto eccessivo credito alle doti intellettuali e spirituali del cardinale Mindszenty ritenendo che il prestigio di cui godeva tra le masse fosse più che altro dovuto alla carica e alla veste che sembrava permettere a lui e a lui solo di esercitare, quasi al di sopra della legge, un'aperta opposizione al regime. Crollato ora un mito resta~ mi sembra~ diffuso nell'animo della gente il sentimento di una giustizia offesa, e ciò non perché il cardinale è stato condannato per atti che la legge condanna ma perché è stato costretto a pentirsene; in altri termini non perché è stato falsato un processo ma perché è stato falsato un uomo.

Si può anche pensare che un Mindszenty perfettamente campus sui, libero cioè di sfoderare dal suo banco di accusato le proprie anacronistiche simpatie asburgiche e i suoi ingenui intrighi americani, avrebbe probabilmente più nociuto alla causa della resistenza contro il regime che non la larva di uomo sottomesso e pentito cui si è voluto ridurlo dinanzi agli occhi del mondo come se solo tra i quattro muri di una cella possa divenire operante la grazia della rivelazione progressista.

Meno psicologhi di quanto si creda i dirigenti comunisti, i quali si apprestano a cogliere nuovi e prossimi successi nella loro politica ecclesiastica mediante nuove e umilianti palinodie imposte ad un alto clero terrorizzato, non sembrano rendersi conto di aver toccato ed offeso~ sotto l'apparente apatìa di questa opinione pubblica ~le corde più sensibili della dignità e della pietà umana e di aver vieppiù approfondito l'isolamento morale entro cui da tempo opera la loro onnipotenza.

275 4 Per il seguito della questione vedi DD. 616 e 620.

277

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1095/75. Roma, !Ofebbraio 1949, ore 12,15.

McNeil ha confidenzialmente comunicato a Gallarati Scotti che nostro progetto sulla Tripolitania può essere base discussione 1• Ha aggiunto però che per quello che gli risultava Stati Uniti non hanno ancora risposto e Massigli da parte sua ha confermato che a Parigi non era ancora pervenuta alcuna risposta da Washington, e che sarebbe stato bene sollecitare un chiarimento del Dipartimento di Stato. Secondo McNeil o si concludeva accordo tra Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia da presentare a Nazioni Unite oppure si dovrà rinviare nuovamente decisione.

Quest'ultima soluzione non è ovviamente accettabile per noi. Essa riprodurrebbe situazione verificatasi durante Assemblea Parigi2 e ci obbligherebbe assumere nuovamente atteggiamento adottato in tale occasione per soluzione contemporanea Tripolitania e Cirenaica.

276 1 Con T. 1231/3 dell'8 febbraio Benzoni aveva comunicato la condanna all'ergastolo del cardinale Mindszenty.

277 1 Vedi D. 265.

278

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

T. s.N.D. 1096/40 (Londra) 80 (Parigi). Roma, l O febbraio 1949, ore 18.

(Per Parigi) Ho telegrafato Londra quanto segue: (Per tutti) Ambasciata Washington telegrafa quanto segue: (riprodurre telegramma n. 134 da Washington) 1 .

Di fronte esplicite assicurazioni McNeil, di cui suo telegramma n. 232 , che trovavano conferma in dichiarazioni sia di Schuman a Quaroni3 che di Jebb a codesto ambasciatore americano, non possiamo non esprimere nostra sorpresa per atteggiamento assunto da rappresentante britannico a Washington. Sarà bene che, con cautela, V.E. accerti vero stato di cose. Ci rifiutiamo di credere che codesto Governo dopo assicurazioni dateci direttamente voglia ora fare macchina indietro. Per dissipare impressione di una persistente opposizione inglese come principale ostacolo all'ingresso dell'Italia nel Patto atlantico -impressione che Bevin stesso respinse così categoricamente nel suo colloquio con lei -occorrerebbe che codesto Governo impartisse al suo rappresentante a Washington tempestive istruzioni conformi assicurazioni datele da McNeil4 .

279

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N .D. 1130/44. Roma, l O febbraio 1949, ore 22.

Suo 33 1•

Voglia informare confidenzialmente Jebb che presidente del Consiglio ritiene di non poter recarsi riunione Movimento europeo. Preghi Jebb tenere ciò segreto per permettere presidente del Consiglio informare direttamente il Movimento.

2 Vedi D. 197.

3 Vedi D. 229.

4 Queste istruzioni di Sforza furono trasmesse da Zoppi a Tarchiani con T. s.n.d. 1127/78 pari data. Con T. s.n.d. 1112/42 (Londra) 81 (Parigi) in pari data veniva ritrasmesso anche il D. 268. 279 1 Vedi D. 264.

277 2 Vedi da ultimo serie undicesima, vol. l, D. 740.

278 1 Vedi D. 266.

280

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, CAVALLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1291/102. Parigi, lO febbraio 1949, ore 14, (perv. ore 17).

Bonnet ha telegrafato Quai d'Orsay che ci sono state a Washington fra inglesi e americani delle conversazioni sulla questione coloniale che hanno confermato apprezzabile evoluzione inglese in nostro favore per Tripolitania. Inglesi e americani hanno convenuto che, dato anche completo sfacelo Lega araba, ritorno Italia in principali città e in zone costiere Tripolitania non dovrebbe provocare disordini. Vi sarebbe invece ancora perplessità per interno ove risulterebbe agli inglesi che arabi sono sufficientemente armati e potrebbero essere pericolosi. Arabi avrebbero fra l'altro razziati quindicimila fucili.

281

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, CAVALLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1289/103. Parigi, l O febbraio 1949, ore 14 (perv. ore 15,30). Telegramma di questa ambasciata 90 1 .

Quai d'Orsay ritiene che in riunione Washington 8 corrente per Patto atlantico sia stata data comunicazione circa risultati a cui sono giunte conversazioni di Londra per partecipazione Italia. Bonnet aveva avuto istruzioni in tal senso.

Quai d'Orsay non ha ricevuto ancora dettagli su riunione che è finita tardissima ora, ma su un telegramma sommario di Bonnet, teme che questione paesi nordici che vi è stata trattata e che si sta presentando assai più complessa di quello che americani pensavano, possa causare qualche ritardo nello sviluppo dei lavori.

282

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1296/20. Stoccolma, lOfebbraio 1949, ore 15,55 (perv. ore 18,30).

Avantieri questo ambasciatore di Inghilterra ha fatto passo indicato nel telegramma circolare 1029 1 ed io, a mia volta, ha subito trasmesso messaggio V.E., che è

stato molto apprezzato. Governo svedese, pur essendo pessimista partecipazione al Consiglio europeo ed in principio favorevole compromesso raggiunto a Londra, si riserva di far conoscere propria decisione dopo aver a fondo studiato relativo progetto. Adesione Svezia riuscirebbe facilitata dal fatto che, secondo opinioni di qui, appartenenza al Consiglio europeo non farebbe prevedere impegni politici che implicano allontanamento da linea svedese di neutralità2 .

281 1 Vedi D. 209. 282 1 Vedi D. 261.

283

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1303/8. Copenaghen, 10febbraio 1949, ore 18,55 (perv. ore 21).

Sostanza discorso ieri al Parlamento questo ministro degli affari esteri è che il Governo danese ritiene tuttora che interessi Danimarca e resto Scandinavia sarebbero meglio difesi da patto regionale scandinavo. Maggiori partiti politici danesi consentono questa direttiva. Pressione diplomatica sovietica sopra Norvegia consiglia questo Governo usare maggiore prudenza. Momento politico danese è di attesa esito sondaggi scandinavi a Washington circa atteggiamento definitivo Governo americano verso sistema difensivo internordico.

284

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L'O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1310/371 . Parigi, 10febbraio 1949, ore 21,30 (perv. ore 7 del/'11).

È stato distribuito stamane documento presidente Spaak contenente sue proposte modifica struttura O.E.C.E. Esse consistono in creazione nuovo organo con poteri suscettibili dare all'organizzazione un più grande impulso grazie alla partecipazione più larga ai lavori di ministri delegati dei paesi partecipanti.

Spaak suggerisce al Comitato dei Nove di proporre al Consiglio di designare per una durata di tre anni un nuovo Comitato composto dal ministro presidente e di quattro ministri delegati dai paesi membri del Consiglio. Questo Camita

to di direzione avrebbe incarico convocare Consiglio e Comitato esecutivo e proporre ad essi gli ordini del giorno. Esso dovrebbe anche decidere quale di questi organi si debba riunire per argomenti determinati e a quale livello se cinque ministri o supplenti. Comitato direzione avrebbe infine alle sue dipendenze Segretariato generale. Presidente Spaak propone quindi che l'articolo 15 della Costituzione sia modificato in questo senso: paragrafo b) verrebbe così nuovamente redatto: «il Consiglio designa ogni tre anni fra i suoi membri presidente e quattro vice presidenti» e il successivo paragrafo c) direbbe «Il Comitato di direzione si compone del ministro presidente e di quattro ministri vice presidenti, convoca il Consiglio e il Comitato esecutivo e propone loro ordine del giorno». Un successivo paragrafo d) direbbe: «Il Consiglio ed il Comitato di direzione sono assistiti dal Comitato esecutivo e dal Segretariato generale». Altre variazioni sono proposte n eli'articolo l 7 per quanto riguarda il Segretariato generale per porlo sotto l'autorità del Comitato di direzione.

Presidente Spaak propone anche alternativa che concetti di questo genere anziché essere introdotti con modifiche della Costituzione siano contenuti in una risoluzione del Consiglio interpretati va dell'articolo attuale 15c).

Mi ha telefonato subito Ellis Rees per domandarmi opinione personale su proposta di cui sopra. Gli ho osservato che in linea generale una modifica della Costituzione solleva problemi anche d'ordine giuridico e parlamentare in ogni paese partecipante e che sarebbe certo preferibile procedere con una interpretazione dell'attuale articolo 15 b) e con deliberazione del Consiglio. D'altra parte proposte Spaak nella formulazione dei nuovi articoli sono forse un po' troppo rigide facendo dipendere tutta l'attività dell'organizzazione dalla riunione del Comitato di direzione, ciò che in pratica può rivelarsi complicato.

Ellis Rees mi ha detto che proposte di Spaak vanno al di là delle intese intercorse con Schuman e con Londra e che sono state portate a conoscenza di V.E. dai due ambasciatori. Non è consigliabile un cambiamento della Costituzione e d'altra parte egli ritiene che mai i piccoli paesi consentirebbero a dare poteri così vasti a un Comitato di direzione. Ha deplorato che il documento fosse stato distribuito a tutti i membri dell'organizzazione e si è riservato farmi conoscere reazioni di Londra.

D'altro canto Baraduc mi ha comunicato che Schuman considera forma proposte Spaak come assai diverse dalle intese precedenti e che su di esse non vi potrebbe essere adesione da parte del Governo francese. In questo senso sono in corso comunicazioni a Bruxelles. Neppure il Governo francese intende apportare modifiche alla Costituzione che obbligherebbero a riportare la convenzione in discussione in Parlamento. Inoltre la designazione di questo Comitato direttivo per tre anni è troppo impegnativa e non ha nessuna possibilità di essere accettata dal Consiglio; i piccoli paesi del resto e in particolare l'Irlanda hanno manifestato una notevole agitazione anche per le proposte più generiche apparse sulla stampa. Ciò complicherà quindi il raggiungimento di un accordo anche in sede di Comitato dei Nove.

Aggiungo infine che il Segretariato generale ha accolto con molta sorpresa e malumore proposte Spaak che subordinerebbero Segretariato generale al Comitato direttivo anziché al Consiglio.

Prego comunicare quanto precede a S.E. Campilli.

282 2 Con successivo T. s.n.d. 1330/21 de li' Il febbraio Migone comunicava la decisione del Governo svedese di aderire al Consiglio d'Europa.

284 1 Trasmesso dall'ambasciata a Parigi con T. urgentissimo 104-105 in pari data.

285

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L'O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

Parigi, 10febbraio 1949, ore 21,31 (perv. ore 7 del/'11).

Comitato dei Nove che si riunisce il 15 dovrebbe terminare il 16 suoi lavori che consisteranno:

l) discussione proposta presidente Spaak di cui a mio telegramma precedente2; 2) proposte del Segretariato generale su struttura a fi.mzionamento Comitato tecnici; 3) altre eventuali proposte di membri del Comitato.

Consiglio ministri convocato per 17 dovrà pronunciarsi: a) su proposta Comitato dei Nove su modifiche struttura dell'O.E.C.E.; b) su relazione che verrà fatta da delegazione O.E.C.E. recatasi mese scorso a Washington per presentare all'E.C.A. rapporto a lungo termine e programma 1949-50; c) su deliberazione riaffermante intenzione paesi partecipanti raggiungere obiettivi programma a lungo termine di cui a mio te l espresso urgente 03/26 del 9 febbraio3 .

È probabile quindi che lavori Consiglio si protraggano anche giorno 18.

Prego comunicare quanto sopra Campilli.

286

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1317/146. Washington, 10 febbraio 1949, ore 20,48 (perv. ore 8 dell'll). Miei 142-143 1•

Seguito nostri passi avuto luogo ieri Dipartimento di Stato riunione funzionari competenti ex colonie. Per ragioni già da me esposte non è stata presa alcuna decisione né ci è stata fatta alcuna comunicazione vera e propria. Tuttavia sono state date a questa ambasciata seguenti informazioni confidenziali.

Per Tripolitania è sembrato dubbio se costituzione Stato autonomo sia preferibile a trusteeship italiano. Prima soluzione potrebbe essere inizialmente bene accetta opinione pubblica mondiale e nazioni arabe; ma suo necessario complemento costi

2 Vedi D. 284.

3 Non pubblicato. 286 1 Vedi D. 269.

tuito da progettato trattato rischierebbe apparire a delegazioni presso Nazioni Unite come larvato protettorato, cioè come formula meno consona a moderna impostazione rapporti con paesi africani. Dipartimento ha inoltre effettuato esame preliminare dell'eventuale distribuzione voti Assemblea. Ne è risultato che trusteeship italiano potrebbe essere approvato soltanto grazie astensione congruo numero paesi tra cui alcuni Stati arabi. Infatti, qualora questi votassero contro al pari del blocco orientale e di qualche altro, approvazione apparirebbe esclusa.

Per tale motivo Dipartimento annette importanza determinante ad atteggiamento alcuni paesi arabi e gradirebbe conoscere se progetto Stato autonomo è stato già da noi nettamente sottoposto ad essi, la qual cosa potrebbe rendere più difficile ritorno a formula trusteeship. Da parte di questa ambasciata è stato risposto:

l) che rapporti tra Italia ed eventuale Stato Tripolitania sono da noi concepiti conformemente a spirito attuale delle relazioni con paesi africani;

2) che proposta di cui trattasi non è stata avanzata per escludere nostro trusteeship bensì con intento facilitare soluzione;

3) che, mentre apprezziamo opportunità mantenere riserbo su conversazioni con Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, non possiamo non preparare terreno presso altri e che pertanto osservazione americana conferma urgenza entrare fase concreta conversazioni stesse.

Per Eritrea, nulla è emerso oltre soliti argomenti a noi contrari. Segue rapporto2 .

285 1 Trasmesso dall'ambasciata a Parigi con T. urgentissimo 106 in pari data.

287

IL MINISTRO A QUITO, PERRONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 250/76. Quito, l Ofebbraio 1949 (perv. i/19).

Riferimento: Telespresso ministeriale 3/73/c. dell2 gennaio' e 3/91/c. dell3 gennaio2•

Mi sono intrattenuto con questo ministro degli affari esteri circa il problema del futuro destino delle ex colonie italiane pre-fasciste, con particolare riguardo all'Eritrea, e gli ho consegnato un dettagliato memorandum in proposito accompagnato dalla carta geografica della regione a suo tempo inviatami da cotesto Ministero.

Dopo averlo ringraziato a nome del Governo italiano per la favorevole attitudine tenuta nei nostri riguardi durante i lavori di Parigi dell'O.N.U. dal delegato equatoriano, ho espresso la speranza che tale attitudine non sarebbe modificata nella prossima riunione de li'Assemblea a Lake Success.

2 Trasmetteva a tutte le rappresentanze presso gli Stati membri dell'O.N.U. un rapporto di Mascia in data 14 dicembre 1948 sui lavori dell'Assemblea dell'O.N.U. relativamente alla questione delle ex colonie italiane.

Il dr. Neftali Ponce mi ha formalmente assicurato che il punto di vista dell'Equatore circa l'opportunità di affidare all'Italia in amministrazione fiduciaria tutti quei territori non era minimamente cambiato. Mi ha aggiunto che egli avrebbe ancora una volta confermate le sue istruzioni in questo senso al delegato permanente equatoriano presso l'O.N.U., ambasciatore Viteri Lafronte.

Mi ha anche detto di ritenere che l'intero gruppo latino-americano avrebbe continuato a sostenere il nostro punto di vista e che pertanto credeva molto probabile si sarebbe ottenuto in seno all'Assemblea dell'O.N.U. la auspicata e necessaria maggioranza dei due terzi dei votanti.

286 2 Vedi D. 298.

287 1 Vedi D. 51.

288

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 243/79. Stacco l ma, l O febbraio 194 9 (perv. il 14).

Faccio seguito alle mie ultime comunicazioni telegrafiche relative al Patto scandinavo di difesa per informare che, secondo notizie apparse su questa stampa, le conversazioni che si stanno svolgendo a Washington tra il ministro degli affari esteri norvegese Lange e quel segretario di Stato potrebbero portare ad una riapertura delle conversazioni per il Patto di difesa scandinava secondo la linea progettata dal Governo svedese. Ho creduto opportuno di chiedere a questo Ministero degli affari esteri se fosse ritenuto verosimile che, in altre parole, gli americani potessero modificare il loro atteggiamento al punto da suggerire ai norvegesi una retrocessione dalle loro posizioni di partenza; e se l'ambasciatore svedese Boheman avesse effettivamente istruzioni di svolgere opera di persuasione a Washington in senso analogo. Mi è stato risposto che non si credeva affatto che il Governo norvegese modificasse il proprio punto di vista: Lange si trovava a Washington per conoscere in dettaglio gli impegni che avrebbe dovuto assumere in conseguenza dell'adesione al Patto atlantico e poteva tutt'al più chiedere di ottenere il consiglio degli esperti in questioni russe del Dipartimento di Stato sull'atteggiamento da prendere di fronte all'attività diplomatica intrapresa in questi giorni da Mosca non senza qualche successo di opinione pubblica. Quanto a Boheman egli aveva soltanto istruzioni di spiegare al Governo americano i motivi della proposta svedese e le cause che l'avevano fatta fallire da ultimo nell'incontro di Osio. A questo Ministero degli affari esteri si ritiene che la Norvegia non intende, almeno per ora, cambiare parere e si crede che tornerebbe inutile esercitare sul Governo norvegese pressioni dirette o indirette. Farlo attraverso il Governo americano, anche se potesse portare ad un risultato diplomatico immediato, sarebbe un errore di principio in quanto corrisponderebbe ad ammettere la rottura tra i paesi scandinavi prima ancora che la collaborazione scandinava abbia potuto dare tangibili risultati. Indipendentemente da ciò non si crede che il Dipartimento di Stato possa entrare nell'ordine di idee del Governo svedese secondo il quale il Patto scandinavo di difesa a base neutrale avrebbe giovato alla sicurezza europea e sarebbe quindi stato meritevole dell'appoggio americano, incluse forniture di armamenti.

Una «Reuter» da Washington annunciava anche giorni fa che il Governo svedese sarebbe stato discretamente avvertito dalla Russia che un'adesione della Svezia al Patto atlantico, essendo considerata misura di carattere aggressivo, avrebbe determinato immediata occupazione della Finlandia da parte sovietica. La notizia è stata categoricamente smentita e mi è stato assicurato che né durante i negoziati né dopo è stato compiuto alcun passo a Stoccolma da parte di Mosca.

Altra notizia apparsa sulla stampa che è stata smentita sia a Mosca che a Stoccolma è quella che il Governo sovietico avrebbe offerto alla Svezia un patto di non aggressione. È evidente che nella situazione presente la Russia ha un solo maggior interesse che è quello di impedire una collaborazione scandinava favorendo la neutralità della Svezia e possibilmente il suo isolamento. A Mosca si sa benissimo che una collaborazione scandinava attiva non potrebbe essere che in funzione antisovietica e pertanto l'alternativa di un Patto scandinavo di difesa secondo la linea di neutralità svedese avrebbe rappresentato soltanto un male minore per la garanzia di neutralità che offriva in caso di conflitto. Poiché le presenti circostanze non lasciano prevedere che la Svezia possa essere trascinata nel Patto atlantico dall'adesione norvegese

o persino danese, vien fatto di chiederci se favorendo il Patto scandinavo il Governo americano non avrebbe non foss'altro impedito che passasse al Cremlino l'iniziativa diplomatica su di un punto che, per quanto secondario, non manca di una certa delicatezza. È quanto non pochi pensano qui.

Finalmente a questo Ministero degli affari esteri mi è stato detto, credo sinceramente, che non si può prevedere quale risposta conti dare la Norvegia alla seconda nota sovietica formulante la proposta del patto di non aggressione. Coloro che hanno una certa conoscenza della Russia mostrano di credere che, una volta decisa la strada che porta alla collaborazione incondizionata con l'Occidente, la Norvegia avrebbe dovuto reagire in modo ben più fermo ed esplicito alla prima nota sovietica, mentre con la sua risposta essa offre il fianco a delle discussioni che la dialettica comunista non mancherà di sfruttare egregiamente.

289

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1146/79. Roma, 11 febbraio 1949, ore 15.

Suo 146 1•

Approvo chiarimenti da lei dati. Su atteggiamento numerosi paesi compresi quelli arabi riteniamo avrà influenza determinante accordo che potremo raggiungere con arabi Tripolitania sulle basi da noi indicate. È infatti evidente che se questi sono d'accordo con noi su tali basi stessi Stati arabi e molti altri non troveranno nulla a

ridire, ma saranno anzi probabilmente lieti constatare avvenuta soluzione questione attraverso accordi diretti fra interessati. Urge quindi approvazione di massima (già pervenuta da parte inglese e francese? per iniziare negoziati con arabi e per evitare situazione di cui al mio telegramma n. 753 .

289 1 Vedi D. 286.

290

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 1332/ll. Ottawa, li febbraio 1949, ore 16,27 (perv. ore 19,30).

Mio telegramma 8 1 e telegramma V.E. 32 .

Primo ministro canadese ripartirà da Washington tardo pomeriggio o notte 13 corrente. Questo ambasciatore Stati Uniti mi ha assicurato suo vivo interessamento per nota questione ma naturalmente gli occorrono istruzioni Dipartimento di Stato. In ogni caso egli procurerebbe intrattenere primo ministro, a titolo personale, ciò che avrebbe minor effetto, oltre accennarne ad Acheson.

Esplicita manifestazione ad ospite canadese desiderio americano nostra partecipazione immediata è ora tanto più importante, stante possibili resistenze inglesi forse non isolate; nuova difficile fase trattative in relazione importanti modifiche Patto chieste da Acheson; nonché complicazioni scandinave. Tutto ciò potrebbe fare sboccare negoziato in estesi compromessi anche circa Stati da invitare.

291

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1349/12. Varsavia, 11 febbraio 1949, ore 19,48 (perv. ore 7 del 12).

Ritengo opportuno far presente nella imminenza trattative con Polonia costì, che negli accordi commerciali qui conclusi quasi tutti i paesi hanno considerato problema indennizzo beni nazionalizzati: Svizzera e Inghilterra, fra i più importanti, hanno addirittura subordinato a definizione problema beni tale accordo.

2 Vedi D. 265.

3 Vedi D. 277.

2 Vedi D. 267, nota 2.

È da tener presente poi che Assicurazioni Generali nel loro promemoria del 18 novembre al punto settimo hanno espressamente chiesto esame loro questioni in occasione trattative commerciali.

Pur rendendomi conto posizione differente dell'Italia, esistendo trattato di pace, lascio a codesto Ministero se, dato particolare interesse Governo polacco di fornire carbone all'Italia, non convenga nel corso delle trattative inserire anche problema beni italiani a meno che codesto Ministero per migliore soluzione tale problema non veda altre contropartite da fare giuocare in futuro.

290 1 Vedi D. 263.

292

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1353/152. Washington, li febbraio 1949, ore 22,21 (perv. ore 8 del 12).

Seguito a richiesta delegato russo Consiglio sicurezza esaminerà martedì 15 corrente problema Trieste ed in particolare questione governatore. Salvo imprevisti sviluppi, Dipartimento di Stato riprometterebbesi opporre a previste recriminazioni sovietiche per mancata nomina governatore, fatto che Governi Washington Londra e Parigi sono tuttora in attesa risposta russa a nota tripartita 20 marzo u.s. 1 e suoi successivi solleciti. Linea di condotta sopracitata, che è stata comunicata queste rappresentanze inglese e francese, dovrebbe, secondo Dipartimento di Stato, permettere «insabbiamento» questione.

Ho informato Mascia, col quale delegazione americana, in seguito istruzioni Dipartimento di Stato, dovrebbe mantenere opportuni collegamenti.

293

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1354-13551153-154. Washington, 11 febbraio 1949, ore 22,21 (perv. ore 8 de/12).

Zellerbach testimoniato oggi di fronte Comitato Camera e Senato. Ha letto prima dichiarazione dettagliata con completa favorevolissima esposizione situazione italiana, progressi compiuti e propositi Governo. Ambedue Comitati hanno seguito

dichiarazione con evidenti favorevoli consensi. In discussione che ne è seguita sono stati toccati seguenti argomenti:

l) A Camera e Senato: navi per emigrazione. Vari rappresentanti e senatori opportunamente preparati in «Watchdog Committee» hanno chiesto informazioni per documentarsi su problema.

2) Alla Camera: riforma agraria. Zellerbach in lunga discussione con partecipazione molti membri Comitato, ha ribadito suo noto punto di vista, spiegando caratteristiche problema dichiarandosi non contrario riforma, ma favorevole soltanto provvedimenti che non intralcino produzione.

3) Al Senato. Cooperazione europea: Zellerbach ha posto in rilievo iniziative prese da V.E. per potenziamento O.E.C.E. Sistema fiscale: a ripetute domande senatore Lodge, Zellerbach ne ha esposto caratteristiche facendo presente difficoltà immediato miglioramento gettito e pur rilevando aumenti verificatisi.

Invio testo dichiarazione 1 che Zellerbach assicurarmi avere anche inviato telegraficamente costa. In seduta odierna Comitato affari esteri Senato, Zellerbach ha accennato, dopo lettura dichiarazione, desiderio popolo italiano rientrare possesso colonie.

Sua dichiarazione in argomento originato breve discussione in cui Connally rilevato che già a Parigi in Consiglio Foreign Ministries si era tenuto presente che costo mantenimento colonie costituiva peso troppo grave per l 'Italia e che tali circostanze permanevano. D'altra parte ad eccezione Libia italiani non avevano mostrato intenzione emigrare in gran numero loro colonie.

Lodge intervenuto rilevando che forse colonie potevano ora costituire buon sbocco emigrazione e chiedendo se italiani avrebbero potuto esservi avviati. Zellerbach risposto che sovrapopolazione in Italia è tale che italiani si dirigeranno verso qualsiasi sbocco loro aperto.

292 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

294

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1365-1347/9-10. Ottawa, 11 febbraio 1949, ore 19,50 (perv. ore 7 del 12).

Riassumo informazioni confidenziali datemi in cordiale conversazione ieri sera da questo sottosegretario esteri circa seduta 8 corrente presso Dipartimento di Stato per Patto atlantico.

l) Riunione dei Sette è stata dedicata: a) ad esame questione Stati scandinavi particolarmente in relazione note richieste norvegesi; b) ma soprattutto a viva discussione sulle due importanti modifiche al progetto Patto richieste da segretario di Stato

americano (entrata in vigore trattato soltanto quando ratificato da tutti contraenti ed abolizione ogni menzione «immediata assistenza militare»). Discussione verrà ripresa nuova riunione prossima settimana.

2) Partecipazioni Patto Italia e Algeria (mio telegramma 2, punto b) 1 non sono state oggetto particolare dibattito e sono rimaste in sospeso.

Sottosegretario mi ha assicurato formalmente che, conformemente impegno meco assunto da Pearson (mio telegramma n. 5)2 , rappresentante canadese a Washington non ha più insistito sui noti «dubbi» che ci concernono.

Sottosegretario esteri si è espresso risolutamente contro inattese due richieste di Acheson perché svuoterebbero Patto atlantico di fronte opinione pubblica mondiale e ne indebolirebbero notevolmente effetto intimidatorio nei riguardi espansionismo sovietico. Pertanto maggioranza dei Sette (Canada compreso) vi si opporrebbe decisamente.

Interlocutore prevedeva che, salvo favorevoli circostanze, nuove complicate trattative non potrebbero essere concluse prima della metà o fine marzo, sicché conferenza ministri degli esteri per firma non potrebbe aver luogo prima di aprile.

Ha aggiunto che difficoltà negoziato con americani era accresciuta da necessità ottenere ogni volta concorde assenso quattro personalità preminenti (Truman, Acheson e senatori Connally e Vandenberg). Mi ha chiesto se tutti e quattro fossero favorevoli nostra immediata partecipazione Patto. Ad ogni buon fine ho risposto di sì.

293 1 Non pubblicato.

295

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1357-1358/12-13. Ottawa, 11 febbraio 1949, ore 19,49 (perv. ore 8 del 12).

Miei telegrammi 6 e 7 1 e telegramma di V.E. 3, ultimo capoverso2•

Ho per parte mia proseguito azione anche presso sfere cattoliche, insistendo con questo arcivescovo (che è presidente del Consiglio episcopale) ed altri nonché di nuovo oggi con delegato apostolico.

Però dette sfere sono state e sono assorbite da altre questioni: processo Budapest ed istituzione rappresentanza diplomatica canadese al Vaticano. Per indurle passo veramente efficace in nostro favore accorrerebbero precise indicazioni Santa Sede. Sottopongo V.E. giudicare opportunità provocarle mentre richiamo mio telegramma 6 per quanto concerne possibilità ottenere presa di posizione ambienti cattolici (neutralisti) Quebec, che avrebbe senza dubbio notevole effetto su questo Governo.

2 Vedi D. 163.

2 Vedi D. 267, nota 2.

Comunque fin oggi informazioni circa «netti interventi» ecc. (di cui ultimi telegrammi V.E_)3 non hanno qui conferma.

Ritengo quindi che impegno preso da Pearson, in sostanza limitato non insistere oltre su noti dubbi, sia dovuto circostanza che egli stesso ed altre personalità del Governo si erano meco sbilanciati per nostra partecipazione Patto nel dicembre scorso4 quando con tutta probabilità ritenevano, per le loro informazioni da Roma, ecc., che questione non sarebbe diventata attuale in brevissimo tempo.

Naturalmente pressioni inglesi su Ottawa sia in gennaio che attualmente sono tutt'altro che da escludere.

Situazione è qui ulteriormente complicata da insistenti passi miei colleghi turco e greco onde ottenere appoggio canadese partecipazione loro paesi qualora Italia fosse invitata. Questo Governo è assolutamente restio concederlo.

294 1 VediD.151.

295 1 Vedi D. 175.

296

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. SEGRETA 3/453. Roma, li febbraio 1949.

Siamo un poco preoccupati per la lentezza con cui procede la questione della Tripolitania. Abbiamo anche noi fatto pressione a Washington, ma Acheson pare sia un accentratore che vuole esaminare tutto personalmente e naturalmente vi sono questioni come il Patto atlantico che hanno la precedenza. La preoccupazione deriva dal fatto che se per il primo aprile non si arriva ad una impostazione soddisfacente della questione diversa cioè da quella prospettata durante i lavori dell'Assemblea a Parigi, saremmo condotti a difendere i nostri interessi sulla stessa linea allora adottata e che implica il principio della contemporaneità di decisioni per l'insieme dei territori libici, principio al quale si sono dichiarati favorevoli -e sinora tali si mantengono -la maggior parte dei sudamericani, la Francia e altri sparsi paesi amici, ai quali verrebbero ad aggiungersi per diverso motivo, ma con risultato uguale in sede di votazione, gli Stati orientali e la maggior parte degli Stati arabi. Ci troveremmo quindi di nuovo in una antipatica situazione di concorrenza con la Gran Bretagna laddove il rinvio ad aprile fu da noi patrocinato appunto per aver modo di concordare una soluzione da presentare congiuntamente come frutto e pegno della rinnovata amicizia.

Se gli americani dovessero ritardare noi saremmo d'avviso di iniziare intanto le conversazioni con gli arabi e di preparare magari una intesa a tre (Londra, Parigi, Roma) da presentare insieme a Washington.

Non credi che sarebbe forse bene prospettare queste considerazioni agli amici del Foreign Office 1?

4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 797. 296 1 Per la risposta vedi D. 346.

295 3 Sono le ritrasmissioni ad Ottawa dei DD. 60, 67, 70, 99, 146, 198 e 209.

297

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 450/100. Buenos Aires, Il febbraio 1949 (perv. il 16).

Riferimento: Mio telegramma n. 31 e telegramma ministeriale n. l V

Ho consegnato e illustrato al ministro Bramuglia un appunto, con allegata carta geografica, nel quale ho riportato gli argomenti a favore della nostra tesi circa l'Eritrea contenuti nel te l espresso ministeriale 3/73/c. del 12 gennaio u.s. 3 .

Gli ho dato altresì un pro-memoria confidenziale con le informazioni sugli orientamenti delle altre delegazioni latino-americane all'O.N.U. inviatemi col telespresso n. 3/91/c. del 13 gennaio4 (omettendo naturalmente i nominativi dei delegati che avevano fomite le informazioni stesse).

Il ministro Bramuglia ha tenuto a dichiararmi che egli conosceva perfettamente la questione e che era deciso ad appoggiare fino in fondo il nostro punto di vista sulle colonie alla prossima sessione dell'O.N.U.; ha assicurato inoltre che avrebbe egli stesso consegnato i due pro-memoria ad Arce, di cui mi ha in tale occasione confermato la permanenza alla testa della delegazione argentina (mio telegramma n. 12)5 .

298

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 1277/575. Washington, Il febbraio 1949 (perv. i/19).

Riferimento: Telegrammi di questa ambasciata n. 142-1431•

Ho l'onore di trasmettere qui unito copia del memorandum2 e dei due appunti ad esso allegati, che mi propongo di consegnare ad Acheson. Nell'attesa che questi mi riceva, il contenuto dei detti documenti è stato portato, con gli opportuni commenti, a conoscenza degli uffici ed è servito di base agli uffici medesimi per cominciare a studiare il problema.

contenute nel rapporto Mascia del 14 dicembre 1948, per il quale vedi D. 287, nota 2.

2 Del29 gennaio, recante l'autorizzazione di cui alla nota precedente.

3 Vedi0.51.

4 Vedi D. 287, nota 2.

5 Del 5 febbraio, non pubblicato.

2 Vedi Allegato. I due appunti non si pubblicano.

Le prime reazioni del tutto generiche e niente affatto impegnative, sono state da me descritte nei telegrammi sopracitati.

Per la Tripolitania, si è riscontrata una disposizione vagamente a noi favorevole. È ancora incerto, peraltro, quale soluzione sarà qui caldeggiata. L'idea di costituire uno Stato autonomo è indubbiamente atta a colpire l'immaginazione di questa opinione pubblica in senso tale da facilitare il raggiungimento dei nostri obbiettivi. D'altra parte, la sua realizzazione non appare priva di ostacoli. In primo luogo la formazione del nuovo organismo, certamente desiderabile come meta futura, solleverebbe difficili problemi tecnici qualora coincidesse col trapasso dei poteri. In secondo luogo, potrebbe accadere che l'opinione pubblica internazionale e sopratutto le popolazioni arabe (tanto locali quanto dei paesi vicini) dopo essersi impadronite volentieri dell'idea di formare in Tripolitania uno Stato indipendente, ostacolassero l'accordo sulle clausole del trattato per detto Stato e l'Italia, denunciando il trattato medesimo come un espediente per costituire un protettorato e cioè per creare una situazione sostanzialmente meno favorevole del trusteeship. In terzo luogo (e questo, naturalmente, non è stato detto dagli americani) qualcuno potrebbe cogliere l'occasione per patrocinare una idea analoga per la Cirenaica, la qual cosa sarebbe certamente malvista tanto a Londra quanto forse a Washington.

Salvo contrarie istruzioni, mi propongo di continuare a far presente al Dipartimento di Stato che l 'Italia cerca soltanto di assicurare la difesa dei suoi legittimi interessi in Tripolitania, nel quadro degli sforzi generali tendenti a favorire il progresso delle popolazioni africane; e che pertanto, come aveva richiesto il trusteeship, così ha ora proposto la formazione dello Stato autonomo, salvo tornare sull'idea del trusteeship, se questo appaia più facilmente attuabile.

Per quanto concerne l'Eritrea, la situazione è rimasta praticamente immutata dopo la chiusura della sessione parigina dell'O.N.U. Gli argomenti che qui vengono esposti, contrari alle nostre tesi, sono sempre gli stessi: l'impegno assunto da Marshall verso gli abissini, l'assoluta impossibilità di formare nell'Assemblea una maggioranza favorevole all'Italia, le indagini compiute circa i desideri di una parte della popolazione locale, le garanzie che possono essere date sul trattamento dei residenti italiani, ecc. A questi argomenti si aggiungono quelli non confessati, quale, ad esempio, la sollecitudine del partito democratico verso l'opinione degli elettori negri. Tutte le nostre contrarie argomentazioni, esposte insistentemente e con abbondanza di dettagli, non hanno dato finora risultati apprezzabili. Permane, è vero, l'atteggiamento favorevole dell'Ufficio Italia; ma esso non sembra avere avuto il sopravvento su quello negativo della Divisione Africa e, ciò che è grave, degli organi centrali del Dipartimento di Stato.

Tutto ciò conferma le impressioni dell'ambasciatore Quaroni3 circa il fatto che gli ostacoli frapponentisi alle soluzioni da noi auspicate, non si trovano solo a Londra, ma anche a Washington. Tali impressioni, del resto, concordano con quelle da me ricevute. Ricordo, a tal proposito, che nel rapporto 11198/4257 del 17 dicembre4 rilevavo «la fermezza della posizione americana»; e che nel rapporto 215/85 del 7 gennaio5 ,

4 Non pubblicato.

5 Vedi D. 27.

mentre manifestavo qualche speranza circa la Tripolitania, segnalavo che per l'Eritrea «sarà ora difficile fare macchina indietro». Ciò non toglie che quella di Londra continui ad essere una posizione-chiave. Anzi, il fatto che al più favorevole atteggiamento inglese circa la Tripolitania abbia fatto subito riscontro·un analogo mutamento americano conferma la «priorità» (se così posso esprimermi) dell'ostacolo britannico, la quale del resto si spiega con gli speciali e più volte ricordati interessi di quel paese.

In conclusione, da qui si intravvede attualmente la possibilità di una soluzione favorevole per la Tripolitania, ma non per l'Eritrea.

Per migliorare le probabilità di successo appare essenziale che, in concomitanza con la presentazione di formule politiche, si provveda da parte nostra a far predisporre dagli organi tecnici, militari e finanziari, tutti i dati occorrenti a dimostrare che l'Italia è in grado di assumere l'amministrazione dei territori reclamati. A tal proposito, non possono bastare elementi sommari, certamente utili ma decisamente insufficienti, ed occorre invece che gli organi competenti studino la questione nei suoi particolari e siano pronti a dimostrare che non verrebbero colti alla sprovvista.

Da parte mia non tralascerò nessuno sforzo per cercare di far comprendere qui l'errore che si commetterebbe tollerando o, peggio ancora, provocando soluzioni contrarie alle giustizia ed a concreti interessi generali, oltre che italiani.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA A WASHINGTON AL DIPARTIMENTO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA

MEMORANDUM. Washington, .. 6 febbraio 1949.

Il Governo degli Stati Uniti sa quale importanza il Governo e l'opinione pubblica in Italia attribuiscono al problema delle ex colonie.

Tale problema riveste per l'Italia una duplice importanza.

In primo luogo, i territori africani che prima della guerra si trovavano sotto la sovranità italiana sono in grado di fornire un sensibile contributo alla ricostruzione economica del paese, tanto per le possibilità di immigrazione ch'essi offrono, quanto per l'incremento dell'attività economica in Italia, che può derivare dallo stabilimento colà di cittadini italiani.

In secondo luogo, tutta la nazione, senza distinzione di partiti o di classi, sente un profondo attaccamento verso quelle regioni africane, nelle quali, molti anni prima dell'avvento del regime fascista, centinaia di migliaia di italiani hanno lottato per assicurare ai loro figli un avvenire migliore, compiendo al tempo stesso una opera di civilizzazione, che è stata universalmente riconosciuta.

Nell'attuale momento politico internazionale, le nazioni dell'Occidente si sforzano di intensificare i loro reciproci legami politici ed economici al fine di costituire una salda organizzazione a difesa della pace e del progresso. Gli Stati Uniti danno a questi sforzi un contributo preminente. Anche recentemente il presidente Truman, nel suo messaggio inaugurale, ha

dichiarato che siffatta cooperazione è fra gli scopi fondamentali della politica americana e, in particolare, ha sottolineato che lo sviluppo delle regioni arretrate costituisce uno degli aspetti essenziali della cooperazione medesima.

In questo stato di cose, mentre l'Italia, nei limiti delle sue possibilità, volenterosamente partecipa a tutte le forme della collaborazione internazionale, il popolo italiano non potrebbe intendere in alcun modo la sua esclusione dall'opera di civilizzazione che attende le nazioni occidentali in Africa.

Per questi motivi, il Governo italiano ha sempre preso atto con gratitudine di tutti gli amichevoli affidamenti che gli sono stati dati in passato dal Governo degli Stati Uniti per un equo esame della questione delle ex colonie italiane.

Per gli stessi motivi il Governo italiano è stato profondamente sorpreso e vivamente addolorato quando, in occasione dell'ultima Assemblea dell'O.N.U., è stato annunciato un progetto secondo cui soltanto la Somalia sarebbe stata affidata al trusteeship dell'Italia, mentre la Cirenaica sarebbe stata affidata al trusteeship della Gran Bretagna e quasi l'intera Eritrea (comprese le città di Asmara e Massaua) sarebbe stata attribuita all'Etiopia.

Le profonde ripercussioni che tale progetto aveva destato nella opinione pubblica italiana, col pericolo di determinare una grave crisi di governo, furono allora prospettate dall'ambasciatore d'Italia personalmente al presidente Truman7 , il quale mostrò di valutame appieno l'importanza e le conseguenze.

Il rinvio della questione alla ripresa dei lavori dell'Assemblea generale dell'O.N.U. nell'aprile prossimo offre la possibilità di cercare tempestivamente una diversa soluzione. Il Governo italiano confida che essa sarà trovata, con l'amichevole concorso di tutti i paesi interessati, nell'intento di contribuire alla pacificazione generale.

Il Governo italiano intende fornire il massimo possibile contributo alla ricerca dell'auspicata soluzione. Esso non soltanto non è contrario ad adottare formule politiche e giuridiche più consone al nuovo carattere dei rapporti fra le nazioni occidentali e le popolazioni dei territori in questione, ma desidera anzi facilitare l'evoluzione di tali rapporti verso forme che superino le passate concezioni dell'attività coloniale e che si propongono espressamente la graduale elevazione di quelle popolazioni. Esso, inoltre, confida che nel quadro di una regolamentazione generale del problema, il popolo italiano potrà supportare qualche necessaria rinunzia.

Per quanto concerne l'Eritrea, il Governo italiano, qualora apparisse esclusa la possibilità di affidarla al solo trusteeship italiano, vedrebbe con favore l'adozione di un trusteeship affidato a diverse potenze, con amministrazione italiana. Le potenze, cui il trusteeship verrebbe affidato, potrebbero essere quelle o alcune di quelle appartenenti al Consiglio europeo. Tale soluzione darebbe alle potenze occidentali ed all'Etiopia ogni garanzia circa lo spirito con cui il territorio verrebbe amministrato e, al tempo stesso, consentirebbe all'Italia lo svolgimento colà di una attività iniziata oltre mezzo secolo fa e tenacemente condotta da allora con risultati ammirevoli. In occasione della concessione del trusteeship potrebbe essere assicurato all'Etiopia lo sbocco al mare, cui essa aspira, mediante la concessione del porto di Assab, e di una zona limitrofa adeguata.

Per quanto concerne la Tripolitania, il Governo italiano, qualora gli fosse affidato il trusteeship di quella regione, favorirebbe la creazione di uno Stato autonomo, legato all'Italia da speciali vincoli politico-economici, mediante un apposito trattato, atto a consentire da un lato la concessione ad esso della necessaria assistenza e dall'altro lo sviluppo colà delle attività ita

liane. Al riguardo, occorre tra l'altro tener presente, come un fattore della massima importanza, che la popolazione locale si mostra vieppiù propensa ad accogliere con favore l'eventuale ritorno dell'Amministrazione italiana. In proposito, appare particolarmente significativo il risultato delle recenti elezioni municipali a Tripoli.

Per quanto concerne la Cirenaica, il Governo italiano, in occasione di una soluzione generale del problema, sulle linee suindicate, non insisterebbe nelle sue precedenti richieste.

Infine, per quanto concerne la Somalia, poiché anche il progetto formulato in occasione dell'ultima Assemblea dell'O.N.U. prevedeva che essa fosse affidata al trusteeship italiano, non sembra dubbio che tale debba essere la soluzione.

Nel pensiero del Governo italiano l'auspicata regolamentazione del problema dovrebbe esplicitamente prevedere il ritorno dei cittadini italiani in tutti i territori che formavano le ex colonie, nonché la libera immigrazione dei cittadini italiani nei territori medesimi.

Nella fiducia che le soluzioni sopra progettate incontrino il favore degli altri Governi interessati, il Governo italiano può fornire ogni altro utile elemento di giudizio circa la concreta realizzazione delle soluzioni stesse. Ad esempio, potrebbe fornire le assicurazioni, che fossero eventualmente desiderate, sulle misure che adotterebbe in Tripolitania per evitare disordini a seguito del trapasso dei poteri. Inoltre potrebbe iniziare senza indugio le necessarie conversazioni col Governo britannico per concordare le modalità del trapasso.

Con i suggerimenti sopra indicati il Governo italiano ha coscienza di dare ogni possibile contributo al raggiungimento di un accordo che soddisfi le esigenze generali e che al tempo stesso tenga conto delle necessità italiane, tanto dal punto di vista morale, quanto da quello economico.

Pertanto il Governo italiano è certo che anche gli altri Governi interessati vorranno esaminare il problema con spirito conforme ai rapporti di stretta collaborazione creatisi in tutti i campi tra l'Italia e le nazioni occidentali.

In particolare il Governo italiano confida che quello degli Stati Uniti, del cui benevolo atteggiamento in tutti i problemi concernenti l'Italia ha avuto costanti prove, vorrà svolgere una efficace azione nei riguardi degli altri Governi interessati.

297 1 Del 26 gennaio, con il quale Arpesani chiedeva l'autorizzazione ad usare le informazioni

298 1 Vedi D. 269.

298 3 Vedi D. 177.

298 6 Avrà la data del 17 febbraio.

298 7 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 690.

299

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 1278/576. Washington, 11 febbraio 1949 (perv. i/19).

Coi miei telegrammi dei giorni scorsi 1 ho riferito a V. E. circa gli sviluppi (o, più esattamente, circa i mancati sviluppi) delle trattative per il Patto atlantico. L'insieme delle informazioni non lascia dubbi sul fatto che inaspettatamente il mutamento di titolare, avvenuto tre settimane fa al Dipartimento di Stato, ha risospinto in alto mare le anzidette trattative.

L'intenzione del nuovo segretario di Stato, tendente a «sondare» il Congresso molto più accuratamente di quanto fosse stato fatto precedentemente, non può dirsi, di per sé, sbagliata. Infatti, per evidenti ragioni pratiche e morali, è bene che il Patto, non appena firmato, incontri da parte delle Assemblee una approvazione il più possibile vicina all'unanimità. Senonché, praticamente, la lettura del draft ha sollevato nella mente dei parlamentari gli stessi dubbi, che già erano stati sollevati da parte americana nel corso delle precedenti trattative e che via via erano stati chiariti e avevano dato luogo a formule di compromesso; e d'altra parte Acheson, non avendo neppure lui «vissuto» le discussioni a sette, non ha trovato tutti gli argomenti occorrenti per rispondere alle obiezioni parlamentari o addirittura ha fatte sue alcune di esse.

Fra le questioni nuovamente poste in discussione, ricordo quelle citate nel mio telegramma 140 1 e cioè l'inclusione dell'Algeria nella zona coperta dal Patto e la formula giuridica destinata a garantire l'intervento americano.

Per le questioni tuttora in sospeso, merita speciale menzione quella relativa ali' entrata in vigore del Patto. Stabilire che il Patto entri in vigore dopo la ratifica da parte di tutti i contraenti, porrebbe il Patto stesso alla mercé di un insuccesso governativo di fronte al Parlamento di uno qualsiasi dei contraenti medesimi. Stabilire che esso entri in vigore dopo la ratifica da parte della maggioranza rischierebbe di renderlo operante anche prima che il Senato americano lo abbia approvato. Ciò stante è affiorata la proposta di stabilire che l'entrata in vigore coincida con la ratifica da parte dei sette promotori. In tal caso, naturalmente, ciascuno degli altri sarebbe legato dal Patto soltanto dal momento della sua propria ratifica. Tuttavia questa formula costituirebbe una discriminazione, che contrasterebbe, sia pure soltanto formalmente, col proposito di non stabilire discriminazioni fra i vari membri.

È difficile, allo stato attuale delle cose, prevedere quanto dureranno e come finiranno tutte queste incertezze, in sostanza, però, esse derivano dalle norme costituzionali di questo paese e dal noto atteggiamento americano di ripugnanza per ogni impegno giuridico ad intervenire in una guerra, non solo nel caso in cui (come accadeva in passato) tale intervento sia oggetto di dubbio, ma anche nel caso attuale, in cui l'intervento scaturisce ineluttabilmente dalla necessità di tutelare vitali interessi americani e sopratutto da una gigantesca azione politica, che ha il pieno consenso della nazione e che costa alla nazione medesima somme favolose. D'onde la meticolosa cura con la quale i parlamentari cercano di attenuare, di limare, di smussare le singole clausole. Questa tendenza urta, naturalmente, contro l'opposto desiderio dei paesi europei, di tradurre in formule giuridiche l'impegno americano di assistenza.

Nella sostanza, tale impegno è ormai così forte e così intimamente connaturato alla situazione politica, non soltanto internazionale ma anche interna americana, da fare escludere che le obiezioni parlamentari possano attenuarlo. Pertanto, vi è motivo di credere che, se i paesi europei insisteranno con la dovuta fermezza per fissarlo in un apposito strumento diplomatico, il Patto atlantico finirà per essere concluso sulle linee da loro desiderate. Nella seduta dell'8 corrente come ho riferito a suo tempo l'atteggiamento dei rappresentanti francese e inglese è stato, appunto, assai fermo. Essi, al pari dei loro colleghi del Benelux, hanno fra l'altro messo in rilievo che ulteriori ritardi nella conclusione del Patto, soprattutto se accompagnati da indiscrezioni concernenti le difficoltà sollevate dal Congresso, renderebbero nervosa l'opinione pubblica dei rispettivi paesi e potrebbero porre in imbarazzo i rispettivi Governi.

Gli inconvenienti del ritardo si ripercuotono, come è ovvio, sulla questione dell'adesione italiana. Ho già segnalato la «messa a punto» del rappresentante inglese di fronte alla presa di posizione dell'ambasciatore di Francia nella seduta anzidetta. A Londra, ha detto in sostanza l'inglese, non è stato espresso un parere favorevole all'inclusione dell'Italia, ma si è soltanto deciso di non opporsi a tale adesione nel caso che gli Stati Uniti la auspicassero. L'olandese, da parte sua, ha insinuato che l'adesione dell'Italia potrebbe forse rendere i paesi scandinavi più riluttanti ad aderire a loro volta. Infine anche il Canada sembra accingersi ad assumere, in occasione dell'imminente visita a Washington del suo primo ministro, un atteggiamento non del tutto favorevole.

Nel riferire quanto precede, ritengo doveroso aggiungere che in tutti i contatti di questi ultimi giorni col Dipartimento di Stato non si è avuta affatto la sensazione che gli Stati Uniti abbiano mutato la loro posizione nei riguardi dell'adesione italiana. È, anzi, lecito ritenere che essi non mancheranno di manifestare nuovamente il loro atteggiamento e di rimuovere così ogni superstite ostacolo. Tuttavia la situazione sopradescritta, aggravata dalla delicata situazione norvegese, determina una battuta di arresto anche nelle nostre cose. Infatti, mentre il draft nel suo complesso è nuovamente posto in discussione e mentre Acheson è impegnato a rimettere in carreggiata la trattativa generale, appare difficile che il Dipartimento di Stato possa farci delle comunicazioni ufficiali sulla natura del progettato Patto.

Naturalmente, è mia cura prospettare qui costantemente l'opportunità che, anche indipendentemente dagli sviluppi generali della questione, il problema italiano riceva l'attenzione che merita. Gli sforzi che sono stati fatti dal Governo italiano per orientare la politica estera del paese verso la più stretta collaborazione con l 'Occidente giustificano, senza alcun dubbio, siffatto speciale interessamento.

299 1 Vedi DD. 266 e 268.

300

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI

L. 932. Trieste, 11 febbraio 1949.

Sciogliendo la riserva di cui alla mia lettera n. 862 in data di ieri 1 , e con riferimento alla tua nota n. 01053/16 del 21 gennaio2 , ti unisco un appunto in merito alla progettata riconferma della dichiarazione tripartita del 20 marzo u.s.

Ho preso per punto di partenza le proposte che, in una situazione per qualche lato analoga e per altri aspetti diversa, tu avevi fatto all'ambasciatore Fransoni il l o aprile 19482 . Si trattava anche allora di trarre, da un affermazione teorica, delle conseguenze concrete: e quelle che tu avevi suggerito, salvo, in un certo senso, quella di cui al n. 4

2 Non pubblicato.

del tuo foglio, si sono andate in un modo o nell'altro attuando nel corso di questi dieci mesi, con grande vantaggio della situazione generale e di quella nostra in particolare. Ora, se non erro, noi siamo di nuovo ad una svolta, e ci occorrerebbe precisare certi punti o certi aspetti di questa evoluzione delle cose triestine, evoluzione che non possiamo certo considerare definitiva. Nella mia lettera n. 8366, indirizzata a Conti il 9 dicembre2 , avevo parlato della necessità di un «agganciamento diretto» fra la Zona e l'Italia: e mi sembra di non poter far altro che ribadire ora tale necessità, specialmente in relazione ai pericoli insiti in un incremento dell'autonomia locale (che è la strada in cui si è messo finora il G.M.A.). Capisco che il passo non è di poco momento e comporta, per gli alleati, gravi responsabilità; ma, se non riuscissimo a farlo fare nella situazione attuale, ci potremmo trovare di fronte, più tardi, a ben più gravi pericoli.

Eccoti in ogni modo, in allegato, le osservazioni che, dali'angolo visuale di Trieste (non certo molto ampio né sereno), ritengo di dover fare su tutta la questione.

ALLEGATO

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI

APPUNTO. Trieste, 11 febbraio 1949.

l) Una riconferma della dichiarazione tripartita del 20 marzo u.s. è essenziale ai fini elettorali allo scopo di mettere in luce nei suoi veri termini il senso della prossima consultazione popolare. A tal fine occorre che la nuova dichiarazione non sia fatta in modo vago ed incerto, ma contenga l'indicazione di ulteriori progressi non solo sulla strada dell'autonomia triestina, che è terreno quanto mai sdrucciolevole, ma nel senso dell'unificazione giuridica del Territorio all'Italia.

2) Non sarà inutile far presente che, senza uno sviluppo della situazione triestina almeno sul piano interno, le elezioni del prossimo giugno, anche se dovessero risolversi in una clamorosa riaffermazione dell'italianità di Trieste, non potrebbero portare che ad un peggioramento delle posizioni italiane nell'amministrazione locale. Questa è infatti, dal luglio scorso, ove non si tenga conto dei comuni periferici, totalmente in nostre mani, mentre le elezioni di giugno non potrebbero non avere come conseguenza l'immissione di elementi sloveni e comunisti almeno nei Consigli comunali. È questa, una fra le non ultime ragioni dell'opposizione dei partiti locali alla futura consultazione; ed è una ragione che potrebbe essere largamente sfruttata ed apparire, dinanzi alle masse italiane, di qualche peso. Occorre quindi che la nostra vittoria elettorale, se pure collegata inevitabilmente con qualche svantaggio, appaia, o nel campo interno o nel campo internazionale, connessa col raggiungimento di qualche preciso obbiettivo, che, anche se non potesse aver carattere finale, dovrebbe contenere per lo meno l'impegno esplicito di futuri irrevocabili sviluppi.

3) Vi sono poi altri motivi di carattere interno, che consigliano di cercare di portare al più presto la questione triestina su basi diverse dalle attuali. Fra essi, la decisione dell'E.C.A., di cui ha dato notizia White, di comprimere il disavanzo del bilancio dell'anno in corso a 12 miliardi complessivi. Ciò comporta un complesso di 4 o 5 miliardi di economie rispetto al 1948, economie che sarebbero ottenute con drastiche riduzioni nei quadri degli impiegati statali e parastali e nel programma dei lavori pubblici. Viene di nuovo a galla, inoltre, il problema degli esuli istriani qui dimoranti, che, sempre per ragioni economiche ed in relazione all'attuazione dell'E.R.P. a Trieste, sarebbe intenzione dell'A.M.G. di avviare in Italia. Si tratta, come si vede, di problemi che investono alcuni dei lati più importanti della nostra futura politica interna triestina; e che converrebbe pertanto potessero essere risolti da un punto di vista nazionale italiano, alla luce di considerazioni di carattere generale e non in base alle semplici necessità di attuazione del programma di ricostruzione di questa Zona.

4) Ai motivi di carattere internazionale, che sembrano consigliare di premere oggi per un più pronto avvio della questione triestina verso una sua soluzione, è stato fatto cenno nelle lettere n. 82753 e 83662 del 3 e del 9 dicembre. Particolare riguardo deve essere dato alle eventuali reazioni jugoslave, specialmente nella Zona B, di fronte a misure più o meno vistose, che venissero attuate, a vostro favore, nella Zona anglo-americana del Territorio. Ed è ovvio che le misure da proporre e da attuare dovrebbero essere commisurate, nella loro forma e nella loro entità, alla possibilità effettiva di una reazione jugoslava. Ci si permette comunque di far presente che il mantenimento della situazione attuale, in attesa che la questione di Trieste trovi una naturale soluzione nel quadro di migliorate relazioni fra l'Italia e la Jugoslavia, non potrebbe portare che a una spartizione del T.L.T.; e che, anche se si decidesse di arrivarvi, noi potremmo in tal caso ottenere una soluzione tanto più vantaggiosa quanto più forte sarà la nostra posizione in Zona A: e cioè quanto più la Zona A sarà, almeno di fatto, nelle nostre mani. Occorre poi dire che le elezioni, se le vincessimo senza ottenere alcun mutamento nello stato esistente, sarebbero una carta rischiosa inutilmente giocata e si risolverebbero, anzi, sul piano locale, come è stato spiegato più sopra, in un peggioramento della situazione attuale.

5) Una riconferma della dichiarazione tripartita del 20 marzo da parte delle tre potenze interessate potrebbe svolgere, a un dipresso, le seguenti considerazioni:

a) pur essendo animate dal principio del rispetto dei loro impegni internazionali, le potenze occidentali non possono non rendersi conto della situazione esistente a Trieste, situazione che, oltre ad essere contraria ai desideri della maggioranza delle popolazioni interessate, ha dimostrato l'ineseguibilità e l'irrealizzabilità delle clausole contenute nel trattato di pace;

b) esse non desisteranno, pertanto, in conformità a tale convinzione, da qualsiasi azione di carattere internazionale tendente ad una revisione, in conformità delle norme internazionali vigenti, del trattato di pace, nel senso della restituzione dell'intero T.L.T. all'Italia. Un nuovo passo in tal senso esse intendono compiere presso il Governo sovietico (o eventualmente presso altri enti internazionali);

c) comunque, fin d'ora e nei limiti delle competenze loro conferite dal trattato, America ed Inghilterra esprimono la loro decisione di dare la massima autonomia all'amministrazione della Zona loro affidata, di favorirne lo sviluppo secondo la tradizione italiana cui essa si richiama, nonché di facilitare i suoi rapporti, sotto ogni aspetto, ma sopratutto sotto quello giuridico, economico e culturale, conformemente ai voti delle popolazioni, con la vicina Repubblica.

6) Se la dichiarazione dovesse avvenire nei termini sopra accennati, è evidente che non vi sarebbe alcun bisogno di una nostra adesione alla dichiarazione stessa. Non è meno chiaro che la presa di posizione della Francia dovrebbe limitarsi ai punti a) e b) del precedente paragrafo. Più importante è che la diramazione della nuova dichiarazione tripartita dovrebbe essere possibilmente preceduta da precise intese fra noi, da un lato, e Londra e Washington, dall'altro, circa il significato, le modalità ed i «tempi» di attuazione delle promesse di cui alla Jet

tera c) del paragrafo 5. A tal fine potrebbero essere tenute presenti le considerazioni svolte a suo tempo in relazione alla richiesta rivolta a questa missione dal col. Chapman (telespresso n. 815711524 del l o dicembre u.s.)4 . Si possono prospettare, in concreto, varie soluzioni alternative e progressive, che si fa riserva di esporre brevemente più sotto. In linea puramente teorica, si può oscillare da un massimo, che sarebbe costituito dali' estensione automatica delle norme giuridiche italiane a Trieste, col solo limite di un controllo alleato, ad un minimo, costituito da una unione per così dire «personale», in base alla quale le funzioni pubbliche del Territorio verrebbero affidate unicamente a personale statale italiano. Essenziale è, in ogni modo, che attraverso a queste nuove misure, sia costituito un «agganciamento» durevole ed irrevocabile fra questa Zona e la Repubblica italiana. Occorre notare al riguardo che finora lo sviluppo delle istituzioni triestine ha portato alla costituzione di una condizione giuridica in base alla quale la Zona e l'Italia si trovano, per così dire, in uno stato di «coincidenza» malebranchiana. Tutto si svolge a Trieste «come se» si fosse, più o meno, sotto l'impero della legislazione italiana. Ma manca un qualsiasi collegamento diretto: e l'attuale stato di cose potrebbe facilmente incoraggiare tendenze indipendentiste o centrifughe. Sembra opportuno, quindi, dar luogo ora, fra i due sistemi, ad un collegamento di carattere permanente che costituisca l'inizio e, nello stesso tempo, la garanzia della restituzione di Trieste all'Italia.

7) Si noterà che, secondo la dichiarazione di cui al numero 5 di questo memorandum, la questione del ritiro delle truppe dal T.L.T. non verrebbe in alcun modo pregiudicata o toccata. Come è stato fatto presente con la lettera n. 8366 del 9 dicembre, qualunque soluzione proposta dovrebbe prescindere dalla questione della sovranità sul territorio, e prevedere il mantenimento delle responsabilità del comandante militare alleato, ai sensi dell'art. l dello Statuto provvisorio, nonché il riconoscimento, allo stesso comandante alleato, dei diritti di controllo spettanti, in base alle norme internazionali, ali' occupante.

8) In concreto ed a puro titolo esemplificativo, ci si permette di prospettare alcune soluzioni che, senza modificare i principi generali, su cui poggia, in base al trattato di pace, l'occupazione militare anglo-americana, costituirebbero tuttavia una sostanziale modificazione della situazione esistente e consentirebbero un nostro preciso e diretto intervento nelle cose interne triestine.

a) Estensione automatica della legislazione italiana nella Zona A del T.L.T. È questa la soluzione «massima» cui si faceva cenno nella lettera n. 8366 del 9 dicembre

u.s. In tal caso, venendo a mancare la necessità di una fonte legislativa autonoma, verrebbe a cessare l'opportunità di mantenere l'attuale struttura del G.M.A., che potrebbe ridursi ad un semplice Ufficio affari civili presso il comandante le truppe, con sole funzioni di controllo. La città sarebbe restituita puramente e semplicemente alla amministrazione italiana. I rapporti con le truppe ed i loro diritti, la validità dei rapporti giuridici precostituiti ecc. ecc., verrebbero regolati mediante una apposita convenzione, più o meno analoga a quelle stipulate a suo tempo in occasione della restituzione di provincie «liberate» al Governo italiano;

b) senza modificare il principio per cui il G.M.A. è fonte autonoma legislativa della Zona, le singole amministrazioni (ad es. Finanze, Ferrovie, Poste, Provveditorato agli studi, Tribunale, Dogane, Prefettura, ecc.) verrebbero affidate a funzionari statali italiani, scelti d'intesa col Governo italiano e sarebbero unicamente controllate dall'A.M. G., che verrebbe in tal modo a diminuire notevolmente i suoi quadri insieme con le sue funzioni e che assumerebbe

vesti analoghe a quelle della C.A.C. I funzionari statali avrebbero nello stesso tempo mansioni di funzionari alleati e di funzionari italiani, secondo il pattern che è stato adottato recentemente, con buon successo, per l'Ufficio italiano cambi, e che del resto era già stato attuato da tempo presso la Banca d'Italia. Rimarrebbe inteso che l'A.M. G. si impegna ad adottare nella Zona una legislazione perfettamente conforme al modello italiano;

c) l'A.M.G. non modificherebbe la sua struttura, ma nei singoli Dipartimenti sarebbero posti, prima con funzioni di consiglieri e successivamente con funzioni direttive, dei funzionari statali italiani scelti d'intesa con il Governo di Roma. Tali funzionari agirebbero in qualità di funzionari alleati, analogamente a quanto era stato previsto lo scorso anno quando l'amministrazione militare anglo-americana pensava di associare a funzioni di governo degli elementi triestini. Anche in questo caso dovrebbe essere assicurato il perfetto coordinamento fra la legislazione italiana e quella triestina.

9) Tutti questi provvedimenti, che dovrebbero essere concordati e annunciati prima delle elezioni, potrebbero essere condizionati nella loro attuazione, qualora gli Alleati lo desiderino, dai risultati delle elezioni stesse. Si vuoi attirare comunque l'attenzione sull'opportunità che, o ve si decida di compiere a Washington, a Londra ed a Parigi, dei passi nel senso sopra accennato, non sarebbe forse inutile che analoghi passi venissero svolti, a puro scopo informativo, anche a Trieste o presso le autorità triestine, che, in ultima analisi, dovranno essere consultate dai Ministeri degli esteri britannico e americano. Si fa presente, a tal fine, che il generale Airey sarà nel corso della prossima settimana a Parigi, dove è stato chiamato da Bevin in occasione della prossima riunione dei ministri degli esteri, e conta di recarsi a Roma al principio di marzo. Si sottolinea infine l'opportunità di evitare che, nello sviluppo della sua politica locale, il G.M.A. favorisca un'autonomia «triestina», affidando compiti di governo ad elementi locali. L'esperienza di questi mesi ha infatti dimostrato i pericoli insiti in tale evoluzione, che porta, anche senza volerlo, ad un rafforzamento delle correnti indipendentiste della Zona. Appunto per ovviare a tale pericolo, si è richiamata, nel paragrafo precedente, la necessità di attribuire maggiori responsabilità nell'amministrazione o nel governo non ad elementi italiani locali, ma a funzionari statali italiani.

300 1 Non rinvenuto.

300 3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 709.

300 4 Ibid., D. 698, Allegato.

301

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1400/157. Washington, 12febbraio 1949, ore 21,32 (perv. ore 8 de/13).

Mi sono incontrato oggi con primo ministro canadese. Sue generiche assicurazioni sincera amicizia e simpatia nonché quelle più precise questo ambasciatore Canada, confermerebbero impressione che quel Governo non solleverebbe ulteriori difficoltà nostra ammissione Patto atlantico che, come Inghilterra, esso considera ormai subordinata solo a finale manifestazione decisione americana che sarebbe prevista per prossima riunione con ambasciatori.

302

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14011158. Washington, 12febbraio 1949, ore 21,36 (perv. ore 8 de/13). Mio n. 1561

Secondo informazioni finora raccolte Lange ha qui riferito circa sforzi fatti da suo Governo per mantenere solidarietà scandinava ed ha insistito su vantaggi che questa avrebbe per difesa occidentale in generale. Dipartimento Stato ha ammesso tali vantaggi e si è dichiarato in teoria non contrario a eventuale patto scandinavo, purché non incompatibile con adesione Norvegia ed eventualmente Danimarca a Patto atlantico, la quale adesione è tuttora conditio sine qua non per ottenere garanzia e aiuti militari americani. Poiché viceversa Svezia continua a concepire patto scandinavo come impegno di neutralità incompatibile con altri legami, situazione è rimasta immutata. Permane però qui impressione che Norvegia, e quindi anche Danimarca, aderiranno. Chiarimenti che Lange ha ottenuti su draft del Patto atlantico e su buona disposizione Stati Uniti circa assistenza riarmo sono stati naturalmente generici e subordinati a superamento attuali difficoltà parlamentari.

303

IL MINISTRO A L'AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 212/65. L 'Avana, 12 febbraio 194 9 (perv. ilio marzo).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 3/73/c. del 12 gennaio u.s. 1 .

Ho l'onore di assicurare V. E. che ho subito provveduto a compilare un memorandum sulla questione dell'Eritrea valendomi degli argomenti e delle istruzioni inviatemi con il telespresso citato in riferimento, e di averlo consegnato personalmente al signor Guell, consigliere politico del ministro di Stato signor Hevia.

Questi mi ha dato assicurazioni che avrebbe portato a conoscenza del segretario di Stato il contenuto del mio promemoria ed inoltre mi ha confermato ancora una volta che il rappresentante cubano in seno all'O.N.U. ha avuto istruzioni di appoggiare le nostre richieste circa le colonie italiane, ed in particolare quelle dell'Eritrea.

Spero di incontrare in questi giorni qui all'Avana il signor Inocente Alvarez per intrattenerlo sullo stesso argomento.

Assicuro inoltre che non mancherò, nei limiti del possibile, di far pervenire a qualche importante quotidiano della capitale opportuni elementi per orientare l'opinione pubblica cubana sulla questione dell'Eritrea.

302 1 Dell'Il febbraio, con il quale Tarchiani aveva comunicato la partenza del ministro degli esteri norvegese aggiungendo: «Secondo prime indiscrezioni risposte americane consisterebbero tra l'altro in assicurazione che Norvegia riceverà massima quota possibile rifornimenti militari; che avrà ogni possibilità partecipare definizione piani strategici e che non sarà richiesta mettere a disposizione basi fin da tempo pace».

303 1 Vedi D. 51.

304

LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA RISERVATISSIMA 405/36435/486/3. Roma, 12 febbraio 194 9.

Questa Presidenza ha preso atto delle istruzioni impartite al ministro d'Italia a Vienna con telegramma segreto del l o andante1 del quale si unisce copia per il Ministero dell'interno per opportuna conoscenza.

Prima di esprimere il punto di vista di questa Presidenza sul comportamento da tenere dalle autorità interessate in merito alle domande di riopzione formulate dagli emigrati dopo il 2 novembre u.s., si stima opportuno fare alcune osservazioni in merito alle singolari considerazioni esposte dal ministro d'Austria a Roma e contenute nell'appunto trasmesso con telespresso del l o andante n. 018772 .

La nota ripete la vecchia leggenda (vedasi opuscoletto «Opzioni» che si allega)3 , cara al Governo di Vienna, ed alla quale ancora oggi molti credono, che nazismo e fascismo obbligarono gran parte degli alto-atesini ad optare.

La verità è: -che nazismo e fascismo concordarono che gli alto-atesini potessero optare, cioè scegliere, fra il restare e l'emigrare; -che il nazismo esercitò, mediante una propaganda fanatica, pressioni perché la più gran parte degli alto-atesini optasse;

-che il fascismo molto spesso subì, quasi giocato, la propaganda e le pressioni naziste intese a far emigrare la più gran parte degli alto-atesini, mentre le autorità italiane del tempo avevano convenuto -ma non ebbero la forza di imporsi -che le opzioni fossero libere.

Così stando le cose, inesattamente la nota afferma che gli accordi De Gasperi-Gruber intesero riparare un'ingiustizia commessa insieme «dai Governi nazista della Germania e fascista d eli'Italia, ingiustizia che consisteva nell' obbligare una gran parte della popolazione alto-atesina a lasciare il suo domicilio». Gli accordi De Gasperi-Gruber presero in considerazione uno stato di fatto che risultava dall'azione combinata-ma ben diversa e anzi discordante -del

2 Non pubblicato, trasmetteva l'appunto del21 gennaio per il quale vedi D. 123, Allegato.

3 Non pubblicato.

nazismo e del fascismo circa le cosidette opzioni: e, per ragioni di umanità e giustizia, concordarono la revisione di quanto era avvenuto al riguardo, stabilendo che il Governo italiano -unico competente a riammettere alla cittadinanza italiana coloro che l'avevano rifiutata -rivedesse «con spirito di equità e larghezza» la questione delle opzioni.

Al proprio impegno il Governo italiano si attenne: nelle conversazioni italoaustriache del 22 novembre 194 7 fu appunto riconosciuto che il decreto da esso predisposto costituiva «una soddisfacente ed equa soluzione del problema»4 .

Naturalmente, dovendo essere equa, la soluzione, che il decreto-approvato il 22 novembre 1947 dalle due parti-consacrava, era imperniata sulla libertà di decisione lasciata ai possibili rioptanti circa la loro sorte: libertà che, per essere tale, doveva, com'è intuitivo, essere reale ed effettiva. Le conversazioni 22 novembre presupposero sempre che le riopzioni e le operazioni connesse si sarebbero svolte in clima di assoluta serenità, e che il contegno dei due Governi sarebbe necessariamente stato di perfetta obiettività ed equanimità.

Al che il Governo italiano si è rigorosamente attenuto: nulla esso ha fatto, neanche di perfettamente legale e lecito, atto comunque a spaventare i possibili rioptanti che rientreranno in Italia.

Invece il Governo austriaco con la delibera 2 novembre 1948 ha gravissimamente influito, a parere del Governo italiano, sulla libertà di decisione dei possibili rioptanti, duramente menomandola.

Non è esatto che la delibera austriaca 29 agosto 1945 disponesse una disciplina provvisoria «pel periodo durante il quale la questione della nazionalità degli optanti restava sospesa», come dice la nota. Il 29 agosto 1945 non potevano prevedersi gli accordi 5 settembre 1946 De Gasperi-Gruber che avrebbero riaperta la questione della nazionalità degli optanti. Il 29 agosto 1945 gli optanti emigrati in Austria erano -a seguito della legge austriaca l O luglio 1945 sulla cittadinanzadei cittadini germanici (per tali li riconosce il decreto del febbraio 1948 che fu approvato dalle due parti nelle conversazioni del 22 novembre 194 7) residenti in Austria, ai quali il Governo austriaco riconobbe equo concedere l'equiparazione ai cittadini austriaci non certo in previsione di riopzioni allora di là da venire e fuori del prevedi bile, ma unicamente perché prima del l O luglio 1945 già essi risiedevano in Austria e godevano di quella che allora era la cittadinanza del paese; e perché, oltre tutto, l'avevano acquistata proprio per stabilirsi nelle regioni austriache e non in quelle germaniche, come in fatto era incontestabile. Furono queste ragioni che fecero considerare ali' Austria iniquo il parificare gli optanti emigrati dali' Alto Adige ai tedeschi entrati in Austria dopo l'Anschluss ed anche ai profughi di lingua germanica che dopo la liberazione affluivano in Austria dalla Jugoslavia, dall'Ungheria e dalla Cecoslovacchia.

Queste ragioni tuttora permangono e permarranno come è evidente, sicché sarà ingiusto togliere quella equiparazione a coloro che -dopo gli accordi sulle riopzioni e nell'esercizio della libertà di decisione che quegli accordi loro assicurarono-vorranno restare in Austria.

Particolarmente ingiusto e vessatorio è stato poi il preannunziare, addirittura mentre era in corso il termine per le riopzioni, che tale equiparazione sarebbe stata tolta a coloro che non rioptavano, come ha fatto il Governo austriaco con il deliberato 2 novembre 1948. In tale deliberato-mentre non può scorgersi alcuna finalità diretta ed attuale che ne giustificasse la emanazione proprio al momento in cui esso veniva adottato -è invece palese la finalità indiretta e ingiusta di influire sugli optanti spaventando li con la prospettiva di perdere col 4 febbraio 1949 l'equiparazione qualora non avessero rioptato e di conservarla invece indefinitamente qualora avessero rioptato, inducendoli così a rioptare; chiudendo cioè loro una delle strade, (riopzione o non riopzione) che secondo gli accordi essi erano liberi di scegliere; alterando quindi il meccanismo degli accordi, che rimettevano alla libera autodecisione degli interessati lo scegliere circa la loro sorte.

Inesattamente poi la nota afferma che il Governo italiano vede il problema delle opzioni come problema di scelta tra la nazionalità italiana e quella austriaca. Mai il Governo italiano si è sognato di vederlo così. Il problema è unicamente di scelta -libera, ché altrimenti non sarebbe più scelta -spettante agli interessati fra il riacquistare la cittadinanza italiana e il conservare il loro status attuale, che è quello della cittadinanza germanica e della equiparazione agli austriaci risultante dalla delibera 29 agosto 1945: equiparazione che le considerazioni di equità prima illustrate non sembra possano mai permettere ali' Austria di revocare, ma che sembra debbano, se mai, dar luogo in seguito, a favore dei non rioptanti, alla concessione di una vera e propria cittadinanza austriaca, in considerazione della specialissima posizione in cui si trovavano al l O luglio 1945 gli optanti emigrati in Austria, a differenza di coloro che in Austria emigrarono dalla Germania dopo l'Anschluss

o da altri paesi dopo la liberazione.

Il Governo italiano respinge infine il rimprovero di non aver finora emanate disposizioni amministrative circa la reintegrazione dei rioptanti. È stato appunto anche per non influire in alcun modo sulla libertà di scelta dei possibili rioptanti che il Governo italiano si è astenuto, mentre era aperto il termine per le riopzioni, dall'emanare disposizioni per le quali non vi era attuale ragione (sicché il loro valore sarebbe stato meramente propagandistico), e che solo in futuro sarebbero praticamente occorse.

Va inoltre tenuto presente che ogni provvedimento italiano in tali sensi è sempre subordinato -oltre tutto -al regolamento da parte del Governo da Vienna delle questioni economico-patrimoniali relative agli optanti.

Sembra a questa Presidenza che le considerazioni sopra esposte debbano essere fatte presenti al Governo di Vienna5 al quale si dovrà sempre sottolineare in modo preciso che, avendo il decreto del 2 novembre alterato profondamente lo spirito degli accordi, il Governo italiano non solo non può tener conto a proposito dell' art. 11 di quanto convenuto nel verbale del 22 novembre 194 7 ma si riserva altresì di adottare tutti quei provvedimenti occorrenti per annullare o quanto meno neutralizzare l'effetto delle indebite pressioni austriache che, comunque, contrastano con quella linea di obiettiva imparzialità che si aveva ragione di attendersi dal Governo di Vienna.

Si resta in attesa di conoscere il risultato dei passi in tal senso svolti e con l'occasione si prega di confermare le istruzioni già impartite che tutte le domande di riopzione presentate dopo il 2 novembre siano trattenute in attesa di istruzioni presso le nostre rappresentanze in Austria; le quali dovranno frattanto procedere a tutti quegli accertamenti diretti a convalidare la presunzione che dette domande sono viziate di consenso.

Vedrà infine codesto Ministero se, nell'eventualità di risonanza internazionale della divergenza di vedute sull'argomento fra il nostro Governo e quello austriaco, tenuto anche conto della presenza del ministro Gruber a Londra, non sia il caso di informare il nostro ambasciatore perché possa validamente sostenere la nostra tesi6 .

304 1 Vedi D. 216.

304 4 Vedi serie decima, vol. VI, D. 762.

304 5 Vedi D. 519.

305

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1405/25. Mosca, 13febbraio 1949, ore 21,17 (perv. ore 20,30).

Nella domenicale rassegna internazionale sulla Pravda noto articolista Marinin attacca, in due successivi connessi trafiletti, il Consiglio europeo e la partecipazione al medesimo dell'Italia. Sul Consiglio europeo svolge la tesi che esso non è un organismo autonomo privo di carattere militare, ma unicamente un anello nella catena che unirà il blocco occidentale al blocco atlantico. Il fatto che esso tenda ad essere sopranazionale significa unicamente che esso asservirà gli Stati europei a Stati Uniti tramite Inghilterra, diventando semplicemente un ufficio americano per gli affari europei.

Quanto all'Italia Marinin nel secondo trafiletto si sforza confutare la distinzione esposta dal presidente De Gasperi fra le varie organizzazioni internazionali occidentali ed afferma che essa tenderebbe unicamente ad ingannare popolo italiano sulla portata politica aggressiva e sulla funzione vera del Consiglio europeo consistente in asservimento Europa a Stati Uniti d'America in senso antisovietico.

Non osando, secondo articolista, Governo italiano entrare direttamente blocco atlantico esso coprirebbe la sua manovra di fronte opinione pubblica italiana con schermo del Consiglio europeo nel quale Italia farebbe oltre tutto la parte del parente povero. Tutto ciò, conclude naturalmente Marinin, col pretesto di togliere Italia da isolamento non farebbe che rimetterla sulla strada di una politica imperialista antisovietica le cui conseguenze essa ha già duramente sopportato.

304 6 Con Telespr. 03576/c. del 23 febbraio Guidotti rispose: «Nell'accusare ricevuta della nota surriferita e nel riservarsi di far conoscere il meditato avviso di questo Ministero circa gli ulteriori passi, a Vienna e a Londra, prospettati da codesta on. Presidenza in merito alla questione in oggetto, si assicura che sono state frattanto impartite istruzioni agli uffici italiani in Austria perché le domande di riopzione delle opzioni presentate dopo il 2 novembre 1948 vengano trattenute e perché si proceda in loco ad ulteriori indagini dirette ad accertare se esse siano o meno da considerarsi viziate nel consenso».

306

L'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 5 71/131. New Delhi, 13 febbraio 1949 (perv. il 28).

Riferimento: Telespressi 13 dicembre n. 3/20681 e 13, 17, 18 e 22 gennaio nn. 3/91, 3/142, 3/156 e 3/2152 .

Ho avuto nei giorni scorsi con il segretario generale di questo Ministero degli affari esteri una lunga conversazione in merito alla questione delle nostre colonie e, in base alle istruzioni impartitemi, gli ho esposto il nostro punto di vista per quanto concerne il futuro dell'Eritrea e della Tripolitania.

Sir Shanker Bajpai, nel mentre si è limitato ad ascoltare quanto venivo esponendogli sull'Eritrea, ha dimostrato particolare interesse per i nostri progetti sulla Tripolitania ed ha manifestato il desiderio di conoscere quale capacità di resistenza avrebbe il progettato Stato i tal o-arabo in caso di attacco esterno (egli pensava evidentemente ad un'avanzata russa in Mediterraneo), che cosa potrebbe fare l'Italia in un'eventualità del genere e quale è il pensiero degli Stati Uniti in merito ai nostri piani.

Questi quesiti possono destare qualche meraviglia sulla bocca dell'elaboratore della politica estera di un paese che, come l'India, si è sempre eretta a patrocinatrice dell'indipendenza di tutti indistintamente i popoli coloniali. Si è che quanto sta accadendo nella vicina Birmania, dove il Governo, ad appena un anno di distanza dalla proclamazione dell'indipendenza, sembra aver perduto il controllo dello Stato ed è ridotto ad esercitare il suo potere nella sola capitale, ha sollevato serie preoccupazioni ed ha reso questo Governo più prudente e guardingo.

Non si deve però, con ciò, essere indotti a credere che si intenda qui modificare la propria linea di condotta generale in materia ed i recenti avvenimenti, connessi con la questione indonesiana, ne sono una prova.

Si è spesso detto che la politica estera indiana è ancora in via di formazione e non segue una linea ben definita. Si vuole, da una parte, mantenere stretti rapporti con il Regno Unito e con il Commonwealth e, dall'altra, attaccare il Sud Africa e criticare l'Australia per la loro politica di discriminazione razziale; atteggiarsi, pur negando lo, a guida degli Stati indipendenti dell'Asia e vedere addensarsi alle proprie frontiere la minaccia di una Cina di cui non si sa bene il carattere e di una Birmania in piena anarchia; assicurarsi l'appoggio finanziario e tecnico americano, ma temerlo per le conseguenze politiche che esso può implicare; combattere apertamente il comunismo all'interno, ma non osare opporsi ad esso sul terreno internazionale; dichiarare la propria volontà di rimanere fuori di un eventuale conflitto internazionale e sapere che non si dispone della forza necessaria.

Di fronte a questi contrasti, una delle poche costanti della politica estera indiana è stata, insieme all'appoggio all'O.N.U., quella di una decisa opposizione a qualsiasi forma di colonialismo sia in Asia che in Africa.

Nella complessa situazione che l'India deve affrontare e di fronte ai grossi problemi esterni ed interni che deve risolvere, non dobbiamo nasconderei che la questione specifica delle colonie italiane non è per essa fra le più importanti. Il sentimento di maggiore o minore simpatia verso l'Italia non potrà essere decisivo. Così pure, in tale questione, non potranno aver peso eventuali aiuti tecnici italiani, quando tutto il mondo è qui presente, pronto e desideroso di offrirli: nel campo economico l'India ha solo l'imbarazzo della scelta e siamo piuttosto noi che, in un mercato per troppo tempo trascurato, facciamo la figura della parte che domanda e che cerca di assicurarsi vantaggi.

L'atteggiamento finale dell'India nella questione coloniale finirà dunque con l'inspirarsi in prima linea al principio dell'indipendenza con possibile ripiegamento sul progetto di trusteeship diretto dell'O.N.U., pur non potendosi escludere che possano esercitare la loro influenza anche altri elementi, fra cui la posizione che in proposito finiranno con l'assumere gli Stati arabi.

Credo perciò di non sbagliare dicendo che, se si convincerà della reale indipendenza e vitalità del progettato Stato italo-arabo e tanto più se esso avrà l'appoggio dei paesi arabi, allora anche l'India potrà appoggiare i nostri piani. A questo proposito sir Shanker Bajpai mi ha detto risultargli che il ministro degli affari esteri pakistano ha deciso di recarsi personalmente a Lake Success proprio per intervenire nella discussione sulle colonie ed ha soggiunto che un progetto di Stato «veramente indipendente» in Tripolitania verrebbe probabilmente appoggiato dal Governo di Karachi.

Per quanto concerne l'Eritrea, invece, pur tenendo presente la sua opposizione di principio a trusteeship individuali, giova ricordare che l'India ha in ripetute occasioni ostentato viva amicizia per l 'Etiopia e che è andata fino ad invitarla alla Conferenza per l'Indonesia, dimostrando così il proprio interesse ad assicurarsene la collaborazione.

Non ho poi mancato di chiedere al mio interlocutore come mai l'India si fosse astenuta dalla votazione dell'8 dicembre che era diretta solo a decidere se, nella questione, si dovesse ricercare una soluzione precipitata o non preferire una maggiore ponderatezza, nell'interesse stesso delle popolazioni. Sir Shanker Bajpai, che pure era a Parigi quel giorno, mi ha detto che, occupato come era in quel momento per le conversazioni su Hyderabad e Kashmir, non si ricordava di essere stato consultato in proposito dalla signora Pandit che presiedeva la delegazione indiana. Egli mi ha promesso di chiedere notizie agli uffici e di informarmi non appena possibile.

Per conto mio non escludo che la decisione di astenersi sia stata presa semplicemente per dimostrare la propria «indipendenza» fra Stati Uniti e Russia sovietica, evitando contemporaneamente di prendere posizione contro la Gran Bretagna. Sulla decisione può avere influito anche la circostanza che la signora Pandit, la cui posizione a Mosca non è molto comoda, sapeva di tornare nella capitale sovietica, sia pure con la speranza di non rimanerci a lungo (si parla del suo eventuale trasferimento a Washington).

Mi riprometto di tornare prossimamente a discutere di tutto il problema coloniale italiano c sarò grato all'E.V. se vorrà possibilmente farmi pervenire qualche notizia in merito ai punti sollevati da sir Shanker Bajpai nei riguardi della Tripolitania3 .

306 1 Si tratta probabilmente della ritrasmissione dell'appunto di Castellani sulla questione coloniale del 23 novembre 1948, per il quale vedi serie undicesima, vol. I, D. 654. 2 Vedi rispettivamente DD. 287 nota 2, 51 nota 2 e l 00. Il Telespr. 3/215 non è stato rinvenuto.

306 3 Castellani fornì i chiarimenti richiesti con L. personale 3/740 del 7 marzo, non pubblicata.

307

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1429/40. Londra, 14 febbraio 1949, ore 22,12 (perv. ore 7,30 de/15).

Telegrammi di V.E. 40 e 42 1• Riassumo quanto mi ha detto stamane McNeil circa partecipazione Italia Patto atlantico:

l) Atteggiamento britannico è esattamente come mi era stato descritto 29 gennaio (mio telegramma n. 23)2 e cioè che di fronte eventuale invito americano e desiderio nostro Governo di accettarlo, Gran Bretagna non farebbe opposizione;

2) nel frattempo esitazioni inglesi circa convenienza nostra immediata partecipazione sono di carattere tecnico militare. Difficoltà sorte circa Norvegia potrebbero portare a nuova impostazione di tutto il problema: si ritiene quindi di somma importanza superare questione Norvegia prima di muovere qualsiasi altro passo per adesioni Patto atlantico;

3) nelle riunioni del Comitato a cinque a Londra era stato semplicemente constatato loro accordo su quanto al numero l ossia che di fronte ad atteggiamento americano decisamente favorevole sarebbero venute a cadere difficoltà per inclusione Italia (ciò concorda con quanto riferito da Parigi, telespresso ministerial e 202/c.)3;

4) tuttavia da parte americana non è stata ancora manifestata agli inglesi alcuna precisa intenzione nei riguardi Italia (evidentemente, dato riserbo Acheson, Foreign Office non si accontenta della presa di posizione di Hickerson);

5) data delicatezza e t1uidità questione, specie per quanto concerne acutizzarsi problema Norvegia, McNeil è di opinione convenga evitare a tutti i costi speculazioni da parte della stampa su t1uttuazioni atteggiamenti vari paesi.

Ulteriori chiarimenti mi sono stati dati poche ore dopo da Massigli secondo il quale:

l) americani avevano a suo tempo insistito sulla necessità che Patto atlantico includesse solo quei paesi europei che fossero parte organizzazioni collettive (ad esempio Unione Bruxelles);

2) nei lavori Londra a cinque si era constatato che adesione Italia al Consiglio europeo poteva rappresentare «condizione necessaria» nei confronti America per nostra inclusione Patto atlantico: restava da vedere se Stati Uniti l'avrebbero considerata «condizione sufficiente»;

3) neppure a Massigli risulta sia stata manifestata precisa volontà Governo Stati Uniti includere Italia nel Patto.

2 Vedi D. 197.

3 Del l o febbraio, ritrasmetteva a Bruxelles, Londra, Ottawa, Washington e l'Aja il D. 209.

In definitiva tali informazioni concordano nel confermare che se Stati Uniti, nonostante difficoltà militari trattative che Gran Bretagna ha fatto e fa presenti, vorranno estendere Patto atlantico anche all'Italia, Gran Bretagna non (dico non) si opporrà.

307 1 Vedi D. 278.

308

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1431/162. Washington, 14 febbraio 1949, ore 20,59 (perv. ore 7,30 de/15).

Questo ambasciatore Francia è stato ricevuto oggi da Acheson.

Corso colloquio dedicato principalmente questioni Germania e Patto atlantico, Bonnet ha trattato anche questione colonie ed ha sottolineato interesse francese per soluzione Tripolitania favorevole Italia possibilmente mediante concessione trusteeship puro e semplice, formula più gradita a Parigi. Per Eritrea Bonnet ha espresso parere francese contrario annessioni ad Etiopia che superino prevista cessione Assab e limitati territori adiacenti. Bonnet ha infine richiamato attenzione segretario Stato su necessità concordare al più presto soluzione questione colonie che riesca accettabile a Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia ed Italia, onde evitare nuovo punto morto prossime discussioni O.N.U., dove appare ancora difficile ottenere necessaria maggioranza su soluzioni non concordate.

Acheson avrebbe risposto che prime due questioni sottopostegli da Bonnet erano sufficienti continuare assorbire sua attenzione per prossime settimane. Avrebbe comunque studiato e fatto studiare con massima cura anche problema colonie della cui importanza si rendeva conto e cui soluzione stava tanto a cuore anche a Stati Uniti.

In vista quanto precede ho provveduto a sollecitare mia udienza Acheson.

309

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1433/22. Oslo, 14 febbraio 1949, ore 23, l O (perv. ore 10,30dell5).

Pregiomi informare l'E.V. che, conformemente a quanto erasi finora verificato, è qui evidente, in questi ultimi giorni, un certo senso di nervosismo non scevro da preoccupazione. Vi concorrono i seguenti elementi:

l) la mancanza di notizie dirette riguardo ai risultati della visita di questo ministro degli esteri a Washington; 2) la sensazione che i negoziati generali per il Patto atlantico si trovino ancora ad uno stato fluido con conseguente ritardo nella definizione delle garanzie che esso comporta; 3) che era contraddittoria la stampa americana ed inglese riguardo al definitivo atteggiamento degli U.S.A. circa un patto regionale scandinavo;

4) le notizie da Copenaghen e da Stoccolma secondo le quali i negoziati per un simile patto potrebbero essere pure riaperti in occasione della prossima presenza ad Oslo dei presidenti del Consiglio svedese e danese per il Congresso socialista norvegese;

5) le preoccupazioni per l'atteggiamento dell'U.R.S.S. nei riguardi del proposto patto di non aggressione sovietico-norvegese.

Per causa di tanti elementi contraddittori, la unanimità norvegese nei riguardi della politica nettamente occidentale del Governo ne risulta in questi giorni, e per lo meno sino al ritorno del ministro Lange ad Oslo, scossa ed incrinata a vantaggio evidente del gioco sovietico.

310

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI

TELESPR. URGENTISSIMO 02880/3. Roma, 14 febbraio 194 9.

Riferimento: Rapporto n. 275/58 del 29 gennaio scorso 1•

Le conversazioni preliminari avute da codesta ambasciata con taluni esponenti del Ministero degli affari esteri uruguayano offrono effettivamente utili spunti per lo sviluppo dei nostri rapporti con codesto Governo; sarà bene pertanto che negli ulteriori contatti con le competenti autorità venga posto nel dovuto rilievo il nostro proposito di rafforzare in avvenire i vincoli che già uniscono i due paesi.

Le possibilità di concludere con l'Uruguay un trattato di amicizia e commercio sul tipo di quello firmato a Roma il2 febbraio 1948 fra l'Italia e gli Stati Uniti ci trova in massima consenzienti e verrà esaminata dagli organi tecnici interessati; si fa riserva pertanto di impartire appena possibile a codesta ambasciata le istruzioni del caso al riguardo. Si trasmette intanto un esemplare di tale trattato per opportuna documentazione in vista degli ulteriori elementi che codesta ambasciata ritenesse di fornire successivamente sulla questione.

Si attribuisce poi uno speciale interesse all'accenno costà fattole circa l'eventualità di concludere un trattato di arbitrato, ma si osserva al tempo stesso che nelle presenti circostanze riuscirebbe più utile un accordo, sia pur generico, di orientamento politico sul tipo del recente Protocollo italo-argentino che un trattato a carattere giuridico avente come oggetto il regolamento pacifico di eventuali controversie. Codesta ambasciata potrà pertanto, presentandosene l'occasione, effettuare ulteriori sondaggi al riguardo sulla base delle istruzioni impartite col telespresso n. 20/3221 O del 14 dicembre scorso2 , facendo presente altresì che la conclusione di un accordo del genere costituirebbe una utile premessa per la successiva impostazione di altri più complessi negoziati per la conclusione di ulteriori accordi a carattere più specifico (Trattato di amicizia e commercio, Trattato di arbitrato e conciliazione ecc.).

Si resta in attesa di conoscere l'esito dei passi compiuti al riguardo3 .

2 Non pubblicato.

3 Per la risposta vedi D. 471.

310 1 Vedi D. 200.

311

L'AMBASCIATORE A LIMA, CICCONARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 473/89. Lima, 14 febbraio 1949 (perv. il 23).

Il consigliere di questa nunziatura apostolica, mons. De Sanctis -il quale è attualmente incaricato d'affari in attesa del prossimo arrivo del nuovo nunzio, mons. Panico, destinato al posto resosi vacante in seguito al decesso di mons. Arrigoni -in una nuova conversazione confidenziale con il consigliere di questa ambasciata gli ha fatto conoscere che aveva ricevuto tempo addietro istruzioni dalla Segreteria di Stato per un'azione da svolgere presso il Governo peruviano ai fini di un atteggiamento favorevole alle richieste dell'Italia circa la questione delle nostre ex colonie prefasciste.

Sulla linea di tali istruzioni moos. De Sanctis ha conferito al riguardo con questo ministro degli affari esteri rilasciandogli anche un sintetico memorandum, in cui si poneva in rilievo come le aspirazioni italiane per un ritorno negli antichi possedimenti rispondano soprattutto a motivi di carattere economico e demografico. Nelle attuali gravi difficoltà create per l'Italia dall'esuberanza di popolazione, le sarebbe di gran sollievo poter riavere via aperta nelle sue ex colonie per poter collocarvi schiere di lavoratori i quali riprenderebbero e darebbero sviluppo ad un'opera di civilizzazione e di progresso già rivelatasi in passato. La Santa Sede ricorda le tradizionali disposizioni di buona amicizia del Perù verso l'Italia e confida che esse si dimostrino anche nella presente occasione, con un appoggio alle proposte che da parte italiana si stanno avanzando.

Alcuni giorni dopo questo suo passo, è pervenuta a moos. De Sanctis una comunicazione scritta dal direttore «de Organismos y Conferencias Internacionales» del Ministero affari esteri, il quale nell'informarlo che la questione delle colonie italiane è allo studio presso il suo Dipartimento -competente in materia -lo assicurava sullo spirito di simpatia da cui è animato il Perù verso la nazione italiana, pur aggiungendo per altro che circa il problema delle nostre colonie il Governo peruviano non può prescindere dalla necessità di procedere in armonia con gli altri paesi latino-americani. Faceva inoltre presente (e questo appare interessante) che il Perù, in via di massima, non può discostarsi da quella «pregiudiziale anticolonialistica» che si è recentemente manifestata in vari Stati di questo continente.

Il consigliere di questa ambasciata ha avuto visione tanto del memorandum che della risposta scritta qui riassunta.

L'incaricato d'affari della nunziatura si propone ora di ritornare sull'argomento presso questo Ministero degli affari esteri, avvalendosi di un appunto successivamente trasmessogli dalla Segreteria di Stato e del quale si è potuto altresì avere conoscenza. In esso si tratta specialmente del problema dell'Eritrea e si espongono considerazioni intese a confutare l'opinione erroneamente diffusa in favore di rivendicazioni etiopiche su territori che in realtà mai hanno appartenuto al negus.

Evidentemente l'appunto è redatto sulla guida della diffusa documentazione diramata da codesto Dicastero, e che anche questa ambasciata ha ricevuto in più riprese con gli ultimi corrieri.

Ho reputato opportuno, oltre che doveroso, dare informazione di questo intervento che la locale nunziatura viene svolgendo, in base a direttive impartitele. E, come naturale, mi riservo di riferire su quanto mi riuscirà di apprendere ulteriormente al riguardo.

Che il Governo peruviano pensi di mantenersi ligio ad un'unità di indirizzo con gli altri paesi dell'America latina -dovendosi tener conto non soltanto del punto di vista di Washington, ma anche delle pressioni esercitate dalla Gran Bretagna -è ormai per noi noto ed acquisito.

Circa la pregiudiziale anticoloniale, che accenna adesso ad entrare in campo anche tra le sfere dirigenti di questo paese, cadranno a proposito i chiarimenti che dal canto mio continuerò a fornire al ministro degli affari esteri nella prosecuzione delle mie conversazioni con lui, per porre vieppiù in luce i nuovi criteri di collaborazione ed il nuovo programma su base di cordiale e democratica solidarietà con cui l'Italia intenderebbe riavviare i rapporti con le popolazioni indigene nell'adempimento della sua missione in terra d'Africa.

Frattanto mi sembra costituire un elemento significativo di comprensione il memorandum testé rimessomi da questo Ministero degli affari esteri, che qui accludo in copia1•

312

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 238/76. Oslo, 14 febbraio 1949 (perv. il 7 marzo).

Ringrazio codesto Ministero delle varie cortesi comunicazioni in merito alla questione delle nostre colonie, e in special modo del telespresso n. 3/143/c. del 17 gennaio1 sul problema eritreo.

Ho avuto oggi una lunga conversazione in materia col direttore generale degli affari politici signor Anker, che si è occupato a Parigi, durante l'Assemblea dell'O.N.U., della questione. Il signor Anker è un vecchio funzionario della Società delle Nazioni; ha, sino a poco tempo fa, occupato un posto abbastanza importante all'O.N.U. nella Commissione per i «trusteeship». Personalmente quindi conosce abbastanza bene tutto quanto riguarda i problemi coloniali ed ha seguito con interesse la mia esposizione.

Debbo però aggiungere che non uguale interesse sugli stessi problemi ha, nel suo complesso, questo Ministero degli esteri. Come ho detto altra volta i norvegesi sono per natura e per formazione mentale anticolonialisti, e non compiono nessuno sforzo per comprendere, in materia, il punto di vista altrui. Ne ha fatto una esperienza diretta, in

312 1 Vedi D. 51, nota2.

questi ultimi tempi, il mio collega olandese quando ha voluto spiegare qui il punto di vista dell' Aja sull'Indonesia che pure è all'esame del Consiglio di sicurezza di cui la Norvegia fa parte. Ha trovato porte chiuse ed orecchi sordi. Ha presentato promemoria a non finire, ma si è sempre sentito rispondere con frasi vaghe e senza significato pratico.

È mia impressione, in conseguenza, che la Norvegia non assumerà mai, in materia di colonie italiane, un proprio atteggiamento indipendente, e in definitiva voterà alla prossima Assemblea con la Gran Bretagna e secondo l'opinione della Gran Bretagna. Ciò non esclude, come naturale, che da parte mia non tralascerò occasione per esporre qui il nostro punto di vista. Ma ho creduto mio dovere riferire -cosa che del resto avevo già fatto in precedenza-circa la situazione qui esistente in un problema che, invece, tocca così da vicino i nostri interessi.

311 1 Non pubblicato.

313

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA PERSONALE. Londra, 14 febbraio 1949.

Ti ringrazio della lettera 1 e consento pienamente circa la critica dei commenti da Londra di taluni corrispondenti della stampa. Ho provveduto e fatto pervenire la mia disapprovazione. Ma è difficile trovare dei corrispondenti capaci davvero di interpretare con senso di equilibrio gli avvenimenti così fluttuanti di questi giorni.

Dal mio colloquio con McNeil del giorno 292 , e da uno successivo avuto al Foreign Office, mi pare di poter concludere che il piano per la Tripolitania sia giudicato finalmente al Foreign Office una base sufficiente su cui è possibile discutere e trattare. Anche oggi ho saputo che esso è oggetto di esame e di studio da parte degli uffici competenti. Senza farmi eccessive illusioni mi pare che per la prima volta troviamo un punto di presa su cui poggiare il piede, come in una difficile ascensione, una sporgenza nella roccia a cui agganciarci. Certo le difficoltà non sono piccole e il lavoro deve essere condotto con grande cautela e tenacia da parte nostra, senza nasconderei alcune persistenti esitazioni e dubbiezze da parte britannica circa metodi passati e prospettive di avvenire riguardo alle nostre colonie.

A me è parso di cogliere negli ultimi colloqui alcune di tali inquietudini. Anzitutto in quello con Bevin (come dal mio rapporto )3 , parlando del nostro prolungato silenzio sulle intenzioni circa la Cirenaica. Poi in quello con McNeil4 nella domanda se di tale piano (quello per la Tripolitania) noi avessimo ufficialmente informato le nazioni amiche (Francia e Stati Uniti). In fine dal Foreign Office stesso mi fu fatto domandare con una certa ingenuità se il piano «era una proposta personale del conte Sforza o se avesse carat

2 Vedi D. 197. 3 Vedi D. 165. 4 Vedi D. 265.

tere ufficiale». Riguardo quest'ultima domanda l'impressione mia è che alcune informazioni di fonte ministeriale italiana rendano esitanti gli inglesi circa l'unanimità del Governo su questo difficile problema coloniale. Temono forse che non vi sia un fronte unico in seno al Gabinetto e che ciò possa portare a variazioni di indirizzo e che all'ultimo momento il lavoro e i piani concordati siano gettati all'aria. Una parola tua a Mallet, dopo un Consiglio dei ministri che esamini la situazione coloniale, sarebbe, credo, opportuna.

Quanto all'Eritrea ho trovato ottima la tua intervista al Messaggero che attraverso la versione del Times non fu compresa al Foreign Office. Provvedo a chiarire e valorizzare le tue idee. Che sono le mie e sarebbero le più sagge e più utili alla stessa Etiopia, all'Inghilterra e alla vera pace in Africa. Ma io temo che una qualsiasi soluzione per l'Eritrea batte per il momento contro la complessità di passioni e di interessi, la stupidità delle promesse fatte da Marshall al negus e le incomprensibili simpatie per l'Etiopia anche da parte di molte Repubbliche sudamericane. Con ciò non dico che non si debba lavorare con tutte le forze e tutta la fede nel senso da te indicato. Ma per essere positivi ritengo che sarebbe già una gran cosa, essendoci in questi mesi assicurati la soluzione per la Somalia e avvicinati ad una nuova forma di cooperazione i tal o-araba in Tripolitania, giungere per quanto si riferisce ali 'Eritrea, a un rinvio non di «blocco e contro blocco», ma di «accordo» per un più approfondito esame delle situazioni e soluzioni. (Questo mi sembra essere anche il recondito pensiero francese). Vedo che, in fondo, con una certa pazienza e risolvendo i problemi gradualmente, abbiamo fatto cammino e il tempo ha lavorato e lavora per noi. Mi fu lasciato intendere al Foreign Office che un inquadramento del problema eritreo in quello più vasto di un ritorno degli italiani in Etiopia, non sarebbe cosa impossibile date le disposizioni etiopiche favorevoli a tale nostra collaborazione sul piano del lavoro. Oggi stesso poi Wright lodando l'opera di Manzini in Somalia mi lasciò intendere che da parte inglese sarebbe gradito che egli stesso potesse continuare nello stesso spirito in Eritrea quanto ha fatto in Somalia. Ciò mi pare buon segno circa le intenzioni britanniche. Ma di questo vedremo.

Seguo con vivissimo interesse il tuo lavoro a Parigi e penso che sarà assai utile il tuo incontro con Cripps che è uomo di primo ordine.

313 1 Vedi D. 176.

314

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A PARIGI'

T. S.N.D. 1230/86. Roma, 15 febbraio 194 9, ore 21,4 5.

Informola ad ogni buon fine che riunione odierna C.l.R. è stato deciso rinviare Consiglio ministri con parere negativo decisione definitiva circa investimenti. Deciso

inoltre non diminuire quote rimesse emigranti. Chiesto rinvio discussione Consiglio ministri fino ritorno V.E. poiché prevedesi che problemi verranno posti in relazione con nostra politica Unione doganale.

In queste condizioni, poiché delegazione francese parte sabato, si cercherà ottenere firma modesto accordo commerciale fino 30 giugno e mantenimento attuale situazione rimesse emigranti con promessa eventuale ulteriore discussione subito dopo decisione finale Consiglio ministri.

È da temere peraltro che delegazione francese di fronte tale situazione receda promessa segreta fattaci modificare cambio e proceda denunzia accordo emigrazione, che altrimenti sarebbe rinnovato per un anno, a motivo gravami che esso importa dal lato rimesse.

314 1 Sforza si era recato a Parigi, insieme all'on. Pietro Campilli, per partecipare il 15 e il 16 febbraio alla riunione della «Commissione dei Nove» e il 17 febbraio a quella dei ministri degli esteri dell'O.E.C.E.

315

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1458/23. Osio, 15 febbraio1949, ore 17,15 (perv. ore 21).

Dichiarazioni fatte ieri sera a Londra da questo ministro per gli affari esteri, pubblicate oggi da questa stampa con grande evidenza, hanno portato qui un certo senso di distensione (mio telegramma 22) 1•

Rimane interrogativo circa risposta a Mosca di questo Governo nei riguardi patto di non aggressione, ma chiare riaffermazioni del ministro Lange dell'indirizzo generale della sua politica verso Patto atlantico portano questa opinione pubblica a ritenere come scontato atteggiamento negativo in proposito.

Stampa ha dato anche largo posto a dichiarazioni ufficiose britanniche secondo cui Governo di Londra non è «interessato» ad un possibile patto scandinavo neutrale.

316

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1469/8. Madrid, 15 febbraio 194 9, ore 21 (perv. ore 7,45 de/16).

Con rapporto n. 0267/73 del 15 gennaio u.s. 1 ho fornito a codesto Ministero le informazioni preliminari che mi erano state chieste circa la convenzione aerea da stipulare con il Governo spagnolo.

316 1 Non pubblicato.

Mi rendo conto che le richieste spagnole sollevano problemi di una certa complessità. Le nostre compagnie aeree possono avere interesse prenderle in considerazione solo se siano effettivamente già in condizione iniziare subito voli oltre Madrid. Ove detta possibilità non esista attualmente, mi permetto suggerire che venga esaminata intanto convenienza concludere una convenzione aerea limitata al solo traffico fra i due paesi, riservandoci a più tardi esaminare sfruttamento quinta linea. Questa soluzione minore offrirebbe vantaggio pratico di consentire a due nostre società, anziché ad una, lo scalo in Spagna e di regolare tutte le questioni connesse con traffico aereo anche in previsione [futuri accordi commerciali].

315 1 Vedi D. 309.

317

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1470/163. Washington, 15 febbraio 1949, ore 20,14 (perv. ore 7,45 de/16).

In odierna conversazione, competente Ufficio Dipartimento Stato, in relazione discussione ieri in Senato ed obiezioni e riserve Vandenberg e Connally su portata impegno Stati Uniti in Patto atlantico (che mi risultano largamente trasmesse costà da agenzie e su cui riferisco per corriere )1 , ha espresso convinzione che tali difficoltà saranno in definitiva superate mediante formula accettabile da Congresso, Dipartimento e partecipanti, tutti già concordi su finalità Patto stesso.

In particolare è stato sottolineato che, mentre nessun dubbio è stato finora affacciato circa progettato programma rifornimenti militari americani a paesi europei, valore Patto rimarrà fondamentalmente immutato quale che sia formulazione finale che sarà concordata per cosiddetta clausola operativa.

Si prevede peraltro che necessità complessi negoziati fra Dipartimento e Senato provocherà ulteriore ritardo nella messa a punto definitiva testo trattato. Tale ritardo non dovrebbe comunque a giudizio Dipartimento ripercuotersi su questione nostra adesione nei confronti della quale non risulta sia stata finora sollevata obiezione alcuna da parte leaders Senato.

318

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 328/016. Ankara, 15 febbraio 194 9 (perv. il 26).

Ho fatto a questo Governo la comunicazione prescrittami con telespresso 137/c. del2 febbraio corrente1 .

318 1 Vedi D. 226, nota 2.

Ho sottolineato che il trattato da noi concluso col Libano e il fatto che sia stato concluso oggi, comprovano, fra l'altro, in modo concreto la nostra diffidenza verso i noti progetti di Grande Siria che certo non concorrerebbero, a nostro avviso, a pacificare il Medio Oriente, ma ad aggravare ed approfondirne i contrasti, con pregiudizio generale.

Non so sino a che punto i turchi possano essere convinti di codesta tesi, legati come sono alla politica britannica, e, sussidiariamente, hascemita, che fanno press'a poco tutt'uno. Direi anzi che sarebbero lieti di avere ai confini meridionali un grosso Stato hascemita, strettamente controllato dall'alleata Gran Bretagna, piuttosto che una Siria irrequieta, inesperta e disposta, ogni tanto, come per la questione di Alessandretta, a dar loro delle seccature. Anche perché un forte Stato hascemita sarebbe di efficace contrappeso all'Egitto e ne smusserebbe di molto le pretese a una leadership del mondo arabo, che danno qui manifesto fastidio e sono considerate arbitrarie e ingiustificate. I turchi sono poi portati a credere -ed io penso a torto -che una amministrazione hascemita stroncherebbe con mani ben altrimenti pesanti di quel che oggi non avvenga i fermenti comunisteggianti siriani e libanesi e varrebbe d'altra parte a meglio arginare Israele, di cui si continua a diffidare come di elemento esplosivo di difficile inserimento nel medioevale e feudale quadro mediorientale senza ulteriori crisi e sconvolgimenti.

Comunque il nostro trattato col Libano giova a documentare il cammino da noi percorso verso una ragionevole intesa con gli arabi e apporta certamente una pietra-piccola o grande che sia-all'edificio dell'indipendenza libanese ed è qui interpretato in questo senso.

317 1 Non pubblicato.

319

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 429/151. Atene, 15febbraio 1949 (perv. i/19).

Da qualche tempo la stampa locale ha ripreso a riferire con particolare insistenza le informazioni e le notizie provenienti da vari paesi circa la possibilità di accordi mediterranei strettamente connessi al Patto atlantico.

Tale atteggiamento si è rafforzato in questi ultimi giorni in occasione del viaggio a Londra del ministro degli esteri turco. Da quella capitale, da Washington, da Parigi, da Ankara sono pervenute notizie e corrispondenze relative a tali accordi che, secondo alcuni, sono ancora allo studio dei circoli competenti, mentre secondo altri sarebbero già entrati in una fase di realizzazione concreta. L'Ethnicos Kirix giunge, per esempio, ad affermare che, dopo essere stato oggetto di scambio di vedute fra Schuman e Bevin a Londra, un accordo mediterraneo è ora discusso per via diplomatica fra i paesi interessati e cioè Gran Bretagna, Francia, Italia, Turchia, Grecia e Egitto, cui potrebbero unirsi più tardi Spagna, Portogallo e Palestina.

È certo in considerazione di tutto ciò che nell'ufficioso Messager d'Athènes dell'Il c.m. è apparsa una breve nota che ha tutte le caratteristiche di essere ispirata dall'alto. Essa afferma che i circoli autorizzati greci approvano il punto di vista espresso dal ministro degli esteri turco sul Patto atlantico e secondo il quale la Turchia, mentre non intende parteciparvi essendo esso molto lontano dalla sua zona di sicurezza, desidera bensì che i diversi sistemi di sicurezza, come quello atlantico e quello mediterraneo, siano fra di loro solidamente collegati. La nota afferma a questo punto che «le concezioni greche coincidono esattamente con il punto di vista espresso dal ministro turco e che in tale direzione sono diretti gli sforzi della Grecia».

Attenuatisi, dunque, come già in precedenza riferito, gli improvvisi ed artificiosi entusiasmi dell'anno passato per un patto mediterraneo, l'atteggiamento greco in proposito è ora improntato ad un moderato equilibrio. Ciò si spiega ricordando quanta parte avessero in quei primitivi entusiasmi-come nei suoi tentativi di politica araba (mio rapporto n. 1635/5321 e telespresso n. 2729/8942 rispettivamente del 16 giugno e 5 ottobre 1948) -la fantasia e l'ambizione di Tsaldaris allora alla disperata ricerca di un successo personale che ne rafforzasse la posizione in seno al Governo e al paese; tutto ciò ora è venuto a mancare ed è stato sostituito da una visione più realistica della situazione politica mediterranea e mondiale la quale induce a ritenere che se è certamente prevedibile -se non altro sulla base dell' ovvio principio dell'unità della politica mondiale-l'avvento fra i paesi mediterranei di più strette intese tendenti a dare un assetto solido ed unitario anche al settore meridionale rivolto verso la «cortina di ferro», sembra altrettanto opportuno-per una serie di fattori numerosi e di varia natura, fra cui uno dei principali mi sembra il comprensibile desiderio anglo-americano di non mettere contemporaneamente troppa «carne al fuoco» -considerare tuttora come prematura la realizzazione di tali intese, tanto più che i grandi dell'Occidente ritengono che la dottrina Truman sia per il momento garanzia sufficiente contro eventuali tentativi russi di alterare a proprio vantaggio lo statu qua in quel settore. Ciò trova conferma nelle notizie da Londra riportate dal Vima e che trasmetto in allegato.

Vale la pena infine di rilevare come il pieno consenso dato dalla Grecia alla tesi mediterranea turca è intervenuto nel momento stesso in cui la polemica fra i due paesi a proposito di Cipro torna ad inasprirsi. Le dichiarazioni con le quali il ministro Sadak ha smentito le voci di una restituzione di Cipro alla Grecia hanno infatti offerto alla stampa locale una nuova occasione per riprendere ed insistere, con scarsa tempestività, sui motivi ed argomenti, invero ormai troppo sfruttati, che legittimano, a detta di essa, la tesi del ritorno alla Grecia di quell'isola e non la sua cessione alla Turchia.

Piccolo episodio di scarsa importanza, ma che conferma -ove necessario come la via di un'effettiva intesa fra i paesi mediterranei si presenti difficile, cosparsa com'è di ostacoli grandi e piccoli, vecchi e nuovi, per superare i quali sembra indispensabile l'intervento di una decisa pressione esterna: ciò che precisamente manca oggi.

2 Non pubblicato.

319 1 Vedi serie undicesima, vol. T, D. 122.

320

IL MINISTRO A DUBLINO, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 450/661 . Dublino, 15 febbraio 1949.

Anche la stampa conferma ormai che il Governo irlandese è stato presentito per conoscerne le intenzioni nella eventualità di un formale invito a far parte del Patto atlantico.

È stato altresì reso noto che il ministro d'Irlanda a Washington avrebbe già risposto a quel Dipartimento di Stato -che aveva iniziato i sondaggi fino dai primi dell'anno-in senso negativo, adducendo lo stato della partizione.

Non è stato emesso al riguardo alcun comunicato ufficiale, ma alla fine della scorsa settimana si sono avute due dichiarazioni di indubbio valore ufficioso: la prima sotto forma di intervista rilasciata da questo ministro degli affari esteri MacBride al corrispondente dell'United Press; la seconda, enunciata da un funzionari dell'ufficio dell'Alto Commissario irlandese a Londra. Da entrambe le dichiarazioni appare evidente la ragione dell'atteggiamento di questo Governo nei riguardi del proposto Patto per la difesa occidentale.

321

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A PARIGI

T. S.N.D. 1235/87. Roma, 16febbraio 1949, ore 12,15.

Viene qui riferito che generale Airey, attualmente Parigi per lavori O.E.C.E., solleciterà probabilmente udienza VE. su problemi Trieste.

Suo ultimo rapporto, più ancora dei precedenti, è favorevolmente intonato nostri confronti e conclude esplicitamente auspicando ritorno intero Territorio Libero all'Italia nell'interesse stesso pace europea. Potrebbe peraltro essere utile, in relazione eventualità, già prospettata a Washington e a Trieste, di riconferma dichiarazione tripartita 20 marzo', attirare attenzione generale Airey su nostro interesse a che ad essa si accompagni concreto progresso nel senso adeguamento graduale organi amministrativi triestini alla nostra legislazione, inteso a un finale diretto agganciamento con amministrazione Stato italiano, salvo restando ovvie esigenze occupazione militare alleata.

320 1 Non è stato rinvenuto l'originale di questo documento il cui testo, qui pubblicato, proviene dalla ritrasmissione fattane alle ambasciate a Bruxelles, Londra, Mosca, Ottawa, Parigi, Washington e alle legazioni a Copenaghen, L' Aja, Lisbona e Lussemburgo (Telespr. 11105326/c. del 21 marzo).

321 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

322

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1247/87. Roma, 16febbraio 1949, ore 20.

Questo ambasciatore di Francia mi dice che, secondo informazioni pervenute da Bonnet, questione Eritrea si presenterebbe ora meno pessimisticamente in quanto noto punto di vista Dipartimento di Stato non (dico non) sarebbe da considerarsi come definitivo1 .

323

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 1493/112. Parigi, 16febbraio 1949, ore 19 (perv. ore 21). Telegramma Grazzi di ieri 1 .

Pregola portare subito lei stesso al presidente del Consiglio seguente mio messaggio cui ella aggiungerà ogni più utile elemento: «Schuman assicuratomi aver lavorato Parlamento ed espresso sicurezza successo, mi ha detto sperare io possa venire firmare Parigi prima metà marzo.

Avendogli io espresso timore di mancanza di intese pei successivi problemi finanziari, egli mi osservò che il suo delegato aveva pur fatto delle proposte pratiche, mentre niente era stato formulato da parte nostra, ma che contava tu ed io faremmo pressioni necessarie.

Harriman stamani, ed ora Cripps venuto trovarmi ambasciata, mi hanno formulato vivi auguri per Unione con la Francia assicurando evento farà impressione America. In questo affare, noi decidendo con spirito internazionale, guadagneremo molto più che difendendo taluni interessi specifici. Io partirò sabato».

324

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1513/168. Washington, 16febbraio 1949, ore 20,46 (perv. ore 9 de/17).

323 1 Vedi D. 314. 324 1 Vedi D. 308.

Vedrò Acheson domani2 . Impressioni raccolte a tutt'oggi circa atteggiamento americano su colonie confermano quelle precedenti, favorevoli per Tripolitania e sfavorevoli per Eritrea.

Per Tripolitania permane preferenza formula trusteeship piuttosto che Stato autonomo. Per Eritrea si insiste su affermazione che posizione britannica ed americana è stata ormai definitivamente fissata e che le più accurate previsioni circa esito eventuali votazioni O.N.U. confermano impossibilità adottare soluzione diversa. Si aggiunge che soltanto nel caso di mutato atteggiamento maggioranza Assemblea e di conseguente rigetto proposta si potrebbe passare ad esame progetto italiano.

Né impressione di cui sopra né contatti con questa ambasciata di Francia confermano notizie di cui a suo 873 . Per contro sembra che Dipartimento Stato intenda mantenere fermo suo atteggiamento anche qualora Francia decida votare contro trusteeship etiopico.

322 1 Per la risposta vedi D. 324.

325

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1512/169. Washington, 16febbraio 1949, ore 20,46 (perv. ore 8 del 17).

Telespresso ministeriale 3/3001 , diretto ad ambasciata Londra, appare escludere nostra intenzione inviare Tripolitania, salvo casi eccezionali, altri italiani oltre quelli che già vi risiedevano. Pur rendendomi conto opportunità sottolineare che elemento arabo non ha motivo temere pressione demografica italiana, ritengo doveroso segnalare che eventuale sviluppo pur limitato emigrazione, è, fra argomenti favorevoli a nostro ritorno in Africa, quello destinato a colpire maggiormente autorità e opinione pubblica Stati Uniti. A tale motivo, mi permetto chiedere se non sarebbe possibile attenuare anche a Londra concetto contenuto nel telespresso citato, in senso analogo a quanto ho cercato fare nel memorandum da me predisposto e allegato al rapporto 575 dell'l l corrente2 .

326

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO SEGRETO. Roma, 16febbraio 1949.

L'ambasciatore d'Inghilterra mi aveva detto l'altro ieri che il signor McNeil non era rimasto favorevolmente impressionato dalle nostre proposte relative alla

3 Vedi D. 322.

2 Vedi D. 298, Allegato.

Tripolitania1• Avevo reagito con una certa sorpresa facendogli osservare che non era così pessimistica l'impressione riportata dal nostro ambasciatore a Londra2 e che comunque sarebbe stato bene scendere a particolari, farci delle osservazioni, darci dei suggerimenti, esporci il punto di vista britannico e non limitarsi ad una critica generica che poteva essere interpretata anche come un modo di perdere tempo. Lo stesso ambasciatore ha voluto oggi mandarmi il consigliere Ward per farmi leggere il resoconto da lui ricevuto sulla conversazione suddetta tra l'ambasciatore a Londra e McNeil. Tale resoconto collima con quanto riferito da S.E. Gallarati Scotti con la sola diversità che vi è un punto che sarebbe stato sollevato da McNeil, ma che non mi sembra costituire un atteggiamento negativo come poteva risultare da quanto dettomi da Mallet.

In sostanza McNeil avrebbe rilevato la difficoltà di fare approvare dali' Assemblea dell'O.N.U. un progetto in base al quale uno Stato «indipendente», prima ancora di sorgere, e attraverso accordi da concludersi sia pure con personalità notabili ma non democraticamente rappresentative de li' opinione pubblica, veniva ad essere legato a concordare con un determinato Stato (l'Italia), piuttosto che con altri, la propria costituzione e ad avere con un determinato Stato (l'Italia), ad esclusione di qualsiasi altro, un legame contrattuale.

Ho fatto presente a Ward che questo punto costituisce la base della nostra proposta quale è stata concordata a Cannes3 . Se non la si ammette allora non si può parlare di «Tripolitania ali 'Italia». In questa soluzione, che potrà essere variata in qualche particolare da studiarsi insieme, noi vediamo il miglior modo di risolvere la questione della Tripolitania. È il principio insito in ogni mandato e d'altra parte presumevo che a questa forma si ispirerà anche il mandato britannico sulla Cirenaica con cui dovrà pur mantenere un certo parallelismo quello italiano sulla Tripolitania. Gli ho poi spiegato che d'altra parte nel nostro progetto non figura la parola «indipendente» e che non la abbiamo messa sia perché i francesi ce ne avevano fatto esplicita richiesta a Cannes, sia per lasciare questo punto in sospeso in attesa degli accordi da prendersi sia con l'O.N.U. sia con gli arabi. Ward mi ha allora chiesto come mai non figurasse nel nostro progetto la parola trusteeship. Gli ho spiegato che è una parola ostica sia agli arabi della Tripolitania che agli Stati arabi e che per questo noi non ne avevamo fatto uso; che la formula da noi escogitata, tuttavia, per il fatto che a decidere sarà l'O.N.U. e che si finirà inevitabilmente col discuterne al Trusteeship Council dell'O.N.U., implica un certo grado di responsabilità italiana nell'organizzazione e nell'assistenza di questo Stato della Tripolitania così come implica da parte di questo ultimo l'accettazione di tale responsabilità e di tale assistenza: è quindi una forma di trusteeship. Ward mi ha chiesto se, qualora l'Assemblea delle Nazioni Unite insistesse perché si adoperi la parola trusteeship non avremmo obiezioni. Gli ho risposto che certamente non avremmo alcuna obiezione, ma ne saremmo anzi stati soddisfatti. Gli ho detto che, in sostanza, ciò che noi chiediamo all'O.N.U., in base alla nostra formula, è che essa sanzioni il principio che la Tripolitania sia eretta a Stato, unito

2 Vedi D. 265.

3 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 768.

all'Italia da un atto contrattuale e che l'Italia sia incaricata di creare questo Stato. Dal resoconto mostratomi risultava anche che McNeil aveva trovato lungo il periodo di uno o due anni che l'ambasciatore, a sua richiesta, aveva indicato necessario per la creazione dello Stato della Tripolitania. Ho detto a Ward che noi non avevamo precisato alcuna durata del tempo necessario, ma che, se richiesti, avremmo risposto come aveva fatto Gallarati Scotti: non è naturalmente possibile che si possa in un periodo minore indire le elezioni, farle, designare una delegazione e condurre a termine un negoziato per la costituzione dello Stato e per il trattato con l'Italia, far ratificare questi atti da due Parlamenti, farli eventualmente approvare dall'O.N.U., mettere su tutta l'organizzazione di uno Stato.

Sono poi venuto a parlare con Ward della lentezza con cui procedono i contatti su tale questione. Gli ho detto che se arrivavamo in aprile senza aver nulla concordato, ci saremmo trovati, noi e gli inglesi, allo stesso punto in cui eravamo a Parigi; avevamo fatto una croce sulla Cirenaica, ma noi non potevamo certo di fronte alla nostra opinione pubblica andare a raccomandare agli Stati nostri amici di votare per l'assegnazione della Cirenaica alla Gran Bretagna se al tempo stesso non potevamo presentarci alla medesima nostra opinione pubblica dicendole che in compenso di questo sacrificio avevamo almeno potuto conservare la Tripolitania. Per cui il nostro punto di vista è sempre che il problema della Libia deve essere risolto totalmente e contemporaneamente.

324 2 Vedi D. 332.

325 1 Vedi D. 211.

326 1 Vedi D. 211.

327

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 219/61. Roma, 16febbraio 1949 (perv. il 17).

Mercoledì scorso, 9 febbraio, il Corpo diplomatico accreditato alla Santa Sede si è riunito presso l'ambasciatore di Columbia, che fungeva da decano, per accordarsi su un passo che esprimesse al Santo Padre ed al Sacro Collegio la parte che il Corpo diplomatico prende al dolore ed allo sdegno della Chiesa di Roma per l'oltraggio dell'arresto, del processo e della condanna del cardinale primate d'Ungheria. L'iniziativa della cosa è partita dal sottoscritto, che con diversi argomenti fece presente al decano la convenienza, pel Corpo diplomatico, di farsi vivo in una simile circostanza.

Il decano credette di non invitare il rappresentante jugoslavo, onde evitargli un'imbarazzante situazione; a parte questi ed alcuni ammalati ed assenti, il Corpo diplomatico era al completo.

Dopo che tutti, compresi i ministri protestanti o rappresentanti di paesi protestanti, o di paesi a maggioranza non cristiana, come quello d'Egitto e di Cina, si furono dichiarati d'accordo sulla questione di principio, si deliberò che il decano chiedesse di essere ricevuto dal Santo Padre alla testa di tutti i funzionari delle missioni diplomatiche, e gli leggesse, a nome del Corpo, un opportuno indirizzo.

La redazione del testo (francese) fu affidata ad una commissione composta di un cattolico (Francia), un protestante (Olanda) ed un musulmano (Egitto), più il decano. La preoccupazione di redigerlo in modo accettabile per le varie confessioni, la prudenza, invero soverchia, di parecchi, nonché le preghiere di moderazione del rappresentante austriaco e del finlandese (l 'uno e l 'altro preoccupati di non creare in questo momento qualche eventuale pretesto a malcontenti da parte sovietica verso i loro Governi) hanno impresso all'indirizzo un carattere un po' floscio, ancor più, forse, di quanto non sia normale in tali documenti collettivi. Ma, sebbene non pochi se ne lamentassero, finì per essere accettato da tutti.

Quanto alla legazione jugoslava (la sola d'oltre sipario che permanga presso il Vaticano, giacché la polacca rappresenta il Governo profugo di Londra) il decano, si limitò ad inviare al capo missione un lettera, in termini fluttuanti fra l'invito e la semplice informazione. Come era da attendersi, nessuno si è fatto vivo.

L'udienza del Santo Padre, che ebbe luogo stamane alle dieci, nella Sala del concistoro, riuscì davvero solenne. Erano presenti 34 rappresentanze su 39, circa una sessantina di persone. Mancavano la guatemaltese e quella di Monaco, perché assenti da Roma, quella del Panama, per malattia, la cecoslovacca, perché rimasta senza personale dopo il richiamo del Maixner e la jugoslava, di cui dissi sopra. Il ministro di Haiti, il cui Governo è notoriamente a tinte rosse, aveva telegrafato per istruzioni, che non gli pervennero, ma infine, si era deciso anch'egli ad intervenire.

Il Santo Padre, dal trono, rispose con un caldo ed appropriato discorso all'indirizzo letto con molta lentezza ed accento vibrato dal decano (vedi annesso l'uno e l'altro discorso) 1• Poi, sceso dal trono nella sala, percorse la fila dei diplomatici, ringraziandoli uno ad uno per la loro partecipazione.

La cerimonia ebbe un carattere di spontaneità e di raccoglimento interiore, proprio sincero da parte di tutti gli intervenuti. Il Santo Padre, come mi è stato riferito, è rimasto veramente soddisfatto e commosso e vi attribuisce una vera importanza politica. Egli stesso, del resto, non ha mancato nel suo discorso di rilevare che l'avvenimento è nuovo, negli annali diplomatici della Santa Sede.

Mi sembra che il carattere della manifestazione nella sua ampiezza e nella sua novità, abbia corrisposto bene al momento, in cui avvengono cose che, per ampiezza, novità e gravità, sono veramente nuove nella storia del mondo. L'unione delle civiltà e culture occidentali e cristiane ha trovato, in questo raduno nelle nobili e vetuste sale del Vaticano, una rappresentazione simbolica di solenne e tradizionale maestà di cui tutti, attori e spettatori, hanno riportato un'impressione che rimarrà indelebile2•

2 Con Telespr. urgente 254 segr. poi. del 12 marzo Sforza rispose: «Ho letto con interesse quanto VE. ha riferito in merito alla cerimonia da lei promossa, intesa a manifestare in forma solenne la partecipazione dei membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede al dolore del Santo Padre per l'oltraggio della condanna al cardinale Mindszenty, ed approvo la sua iniziativa».

327 1 Non si pubblicano.

328

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 144/70. Lisbona, 16 febbraio 1949 (perv. il 28).

Il periodo di relativa libertà di opinione e di stampa di cui hanno goduto i portoghesi durante la campagna elettorale per la nomina del capo dello Stato è stato breve, ma ricco di esperienze e di moniti. Tipica espressione dello spirito cauto e diffidente di Salazar, l'esperienza, per così dire liberale, si è rivelata timida ed incerta, ma al tempo stesso pericolosa. Con astuto calcolo il dittatore ha voluto dare al mondo, specie alla democratica America alla quale si ispira oggi, per necessità contingenti e per analogia di direttive, la politica estera portoghese, la dimostrazione che la volontà popolare, libera di esprimersi, è tuttora favorevole al regime. Sicuro del risultato finale, egli si è ritenuto abbastanza forte e abbastanza temuto per permettersi di lasciare per qualche istante le briglie sul collo alla sua montura. Pur non ignorando le ostilità e le inimicizie verso la sua persona, pur essendo in grado di apprezzare al loro giusto valore le forze e il peso delle opposizioni, egli ha sottovalutato queste forze e, dopo averle scatenate, è rimasto sorpreso della loro entità e della loro combattività. La campagna dell'opposizione, iniziatasi baldanzosamente in tutto il paese, ha subito rivelato un'organizzazione e una preparazione che probabilmente il Governo non sospettava.

E questo è l'appunto che all'amministrazione e alla polizia salazariana può muoversi: di essersi lasciati sorprendere e di non aver saputo calcolare in precedenza l'importanza degli avversari. Se il periodo di tempo troppo breve, il peso dell'organizzazione statale, la vastità delle forze e degli interessi che il regime incondizionatamente appoggiano non hanno mai lasciato all'opposizione speranze concrete di vittoria, si è potuto tuttavia ad un certo punto credere possibile un'affermazione di proporzioni tali da allarmare e preoccupare seriamente il Governo. Il quale è corso ai ripari, aiutato dalla tattica sbagliata e dagli errori de li'opposizione, errori che hanno a questa alienato una grossa porzione di elettori. È stato facile alla contropropaganda governativa puntare su tali errori e guadagnarsi il completo e appassionato appoggio dei cattolici e degli anticomunisti. Infine si è levata, minacciosa e ammonitrice, la voce delle forze armate, qui arbitre per tradizione nelle contese politiche.

Naturalmente e logicamente l'opposizione ad una ventennale dittatura puntava sulla stanchezza che il paese prova, seppur in modo ancora confuso, per un governo personale e autoritario, sorretto dalle classi ricche e dal clero, e doveva quindi comprendere tutte le tendenze e tutte le forze democratiche; solo nel nome della democrazia potevano combattersi un dittatore e un sistema come quello instaurato in Portogallo nel 1928 da un movimento militare. Se non è infatti concepibile una democrazia illuminata che non consenta libertà di esistenza e di espressione alle più varie tendenze politiche, comprese quelle di estrema sinistra, né ad ogni credenza ed opinione religiosa, occorre concludere che il paese si è rivelato immaturo per un reggimento democratico, giacché la maggioranza dei portoghesi ha mostrato di non essere tuttora in grado di comprendere e tollerare l'esistenza legale di un partito comunista, né un'assoluta libertà di pensiero in materia confessionale. I sostenitori dell'idea democratica si sono quindi trovati in troppo evidenti condizioni di inferiorità. La stampa nazionalista agli ordini del Governo ha subito cercato di portare la discussione politica su un piano più aspro dove la cortese polemica cedeva il passo all'insulto e, analizzando le parole e i gesti degli oppositori, si sforzava di scorgervi e additare al pubblico intenzioni ed espressioni ingiuriose, per poter appunto agli argomenti polemici opporre l'attacco acrimonioso e l'offesa cruenta. E l'opposizione non è stata, ad un certo momento, capace di ribattere. Si è potuto allora osservare un arresto, una rottura nel fronte di battaglia; dopo aver intrapreso la lotta con energia e audacia, gli avversari di Salazar hanno perduto la fede nella vittoria e le armi sono loro cadute di mano. Forse è venuto meno l'appoggio delle forze esterne che, di fronte al non più dubbio esito, hanno preferito ritirarsi a tempo. Certo è che si è potuto assistere ad un abbandono delle posizioni conquistate, e ad un completo ripiego delle forze dell'opposizione. La candidatura avversa è stata ritirata alla vigilia delle elezioni e il vecchio Carmona ha avuto il suo plebiscito, in mezzo all'indifferenza generale.

Ma una lezione e un ammonimento valgono a Salazar le esperienze della breve campagna. Egli ha avuto agio di passare in rivista le forze dell'opposizione e i loro sostegni palesi ed occulti, interni ed esterni. L'orizzonte appare oggi chiaro, in certo modo sincero, ma non può certo dirsi sgombro di minacce. Né il risultato plebiscitario delle elezioni può trarre in inganno l'osservatore esperto. Molti hanno votato per mancanza di altro e di meglio, molti per timidità, molti infine per farsi perdonare un iniziale atteggiamento di fronda.

Il risultato del 13 febbraio, più che un'adesione spontanea ed entusiasta, significa l'accettazione di fatto, sincera o rassegnata di uno statu qua che, se non soddisfa completamente, non dà troppe preoccupazioni ed è garanzia di calma e di ordine. Ma le volontà e le energie contrarie si sono potute a loro volta esaminare e contare e si sono anche provate. Salazar e con lui tutti i portoghesi sanno che i malcontenti non mancano e che non manca loro neanche il modo di unirsi e di organizzarsi.

329

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 268/100. Osio, 16 febbraio 19491•

Con la mia corrispondenza telegrafica dei giorni scorsi ho riferito, volta per volta, a V.E. sugli sviluppi della situazione di politica estera della Norvegia, diventata, in questi ultimi tempi, anche se solo temporaneamente, uno dei punti nervosi nel vasto campo di battaglia della cosiddetta «guerra fredda». Avvenimenti centrali di tale situazione sono stati, come noto, il viaggio a Washington e a Londra del ministro degli

esteri, signor Lange, e la consegna qui della contronota russa con la quale il Governo sovietico ha proposto a quello norvegese la firma di un patto di non aggressione.

Tali avvenimenti hanno avuto grande risonanza internazionale, hanno attratto, un po' dappertutto, l'attenzione delle varie opinioni pubbliche, hanno provocato speculazioni e commenti di ogni genere da parte della stampa. Ed Osio -questa piccola capitale di un piccolo paese-ha avuto quasi l'impressione di essere diventata un centro politico di una certa importanza. Il che -occorre dire a loro onore -i norvegesi non avevano certo desiderato, ed anzi, avrebbero volentieri evitato se la cosa fosse dipesa dalla propria volontà.

Come ho riferito telegraficamente2 , la decisione del signor Lange di recarsi a Washington di persona fu presa quasi all'improvviso, ed attuata senza nessuna previa preparazione presso lo State Departrnent. Il 3 febbraio Lange aveva esposto al Parlamento norvegese i risultati negativi dei convegni interscandinavi e aveva trovato colà una atmosfera di fiducia unanime -eccezione fatta naturalmente per i comunisti -alla politica da lui seguita. Il giorno dopo egli convocò privatamente i capi gruppi parlamentari, per dir loro che riteneva necessario una presa di contatto diretto con i responsabili della politica estera statunitense. La sua partenza ebbe luogo il 5 febbraio nel pomeriggio. Due ore prima l'ambasciatore dei Soviet gli aveva chiesto udienza «per un affare di massima urgenza» e gli aveva consegnato la controrisposta del Governo russo alla nota norvegese del l o febbraio, con la quale si proponeva la firma di un patto di non aggressione fra i due paesi.

Il soggiorno in America del sig. Lange è durato dal 6 al 12 febbraio. Il 13 egli è giunto a Londra: il suo ritorno a Osio è annunciato per il pomeriggio di oggi. Tale la cronaca degli avvenimenti che ho creduto riassumere per documentazione di archivio.

Scopo del viaggio statunitense del ministro era-con chiara evidenza-quello di chiedere ed ottenere ulteriori dettagli circa la posizione -specialmente militare -della Norvegia nel futuro Patto atlantico.

Gli interrogativi principali che egli si poneva erano i seguenti:

Quando sarà realmente firmato il Patto? Fino a che punto la Norvegia potrà esprimere il proprio punto di vista nel corso delle trattative preliminari? Quali sono gli impegni che dovranno assumere i paesi aderenti? Quali appoggi essi potranno aspettarsi in caso di aggressione armata? Che cosa accadrebbe nel caso che una minaccia qualsiasi di aggressione dovesse verificarsi da parte sovietica nelle more fra la redazione del testo, la firma e la ratifica del Patto stesso da parte del Senato americano e degli altri Parlamenti, dato che, con tutta evidenza, simile periodo di mora si prolungherà per parecchio tempo?

Le risposte eventuali a simili interrogativi si presentavano importanti per il Governo norvegese da un punto di vista di politica interna, perché necessarie a controbattere gli argomenti comunisti e quelli della piccola opposizione in seno al partito socialista. Ma avevano una importanza fondamentale come elementi di fatto per un esame generale della situazione del paese. Una delle ragioni principali, infatti, per cui la Norvegia ha deciso il proprio indirizzo nettamente occidentale è stata la sensazione precisa e assoluta della impossibilità di rimanere isolata, in caso di conflitto, in una

specie di no man sland scandinavo fra l'Atlantico e l'Unione Sovietica. Alle affermazioni qui attribuite agli svedesi e secondo cui quel paese potrebbe tener testa ad un attacco sovietico per un periodo variante dai quattro ai sei mesi, i militari norvegesi hanno sempre opposto che purtroppo, per essi, quel periodo di resistenza deve essere ridotto -allo stato attuale dei fatti -a quattro o sei settimane e, forse, anche peggio a quattro o sei giorni. Le conseguenti preoccupazioni di questi uomini politici in tali riguardi sono facilmente spiegabili, ed erano, del resto, già state esposte, a varie riprese, sia a Londra che a Washington, e nelle conversazioni che questo ministro degli esteri aveva avuto con Marshall e Bevin a Parigi nello scorso autunno. Egli aveva allora comunicato ai due capi della politica estera anglosassone che la Norvegia era sì decisa ad assumere un atteggiamento occidentale sino alle ultime conseguenze, ma che la difesa del proprio territorio poneva a tale riguardo problemi che non potevano essere risolti -a suo avviso -che con larghe e immediate forniture di armi e con solide garanzie materiali e morali, da parte dell'America e della Gran Bretagna.

Un simile discorso il ministro degli esteri si è recato a fare a Washington ora, facendosi accompagnare dal sottosegretario alla difesa incaricato di dettagliare i bisogni militari immediati del paese.

Non sta a me esporre l'accoglienza da lui trovata a Washington. La nostra ambasciata colà ha certo fornito a V.E. informazioni dettagliate in proposito3 . L'impressione che si è avuta qui è stata però abbastanza negativa. Mentre i due ambasciatori anglosassoni a Osio avevano premuto in tutte le maniere per indurre la Norvegia ad aderire al più presto -in linea di principio -al Patto atlantico, ed avevano anzi comunicato, verso il 20 gennaio, che l'invito relativo sarebbe pervenuto ai primi di febbraio4 , il sig. Lange ha saputo invece a Washington che i negoziati preliminari per il Patto stesso erano ancora in uno stato fluido, che l'invito a parteciparvi sarebbe venuto sì ma non così presto come era stato fatto prevedere in un primo momento e che, per ora, alla Norvegia non rimaneva che attendere confidente gli sviluppi della situazione.

Le uniche cose veramente conclusive che il sig. Lange porta indietro nel suo bagaglio-a parte naturalmente le riconfermate promesse per l'avvenire-sono, per sommi capi, a quel che si può vedere da Osio, le seguenti:

l) conferma da parte dello State Department del punto di vista negativo americano in merito alla eventuale firma di un accordo militare interscandinavo basato sulla neutralità;

2) conferma che la priorità nelle forniture militari sarà data solo ai paesi disposti a coordinare con quelli americani i piani per la loro difesa;

3) conferma da parte statunitense delle dichiarazioni già fatte dalla Norvegia all'U.R.S.S. e che cioè l'adesione al Patto atlantico non comporterà per questo paese cessione di basi militari in tempo di pace.

Per il resto «non vi è nessuna ragione di agire in fretta». La Norvegia sarebbe stato detto a Washington al sig. Lange -potrà prendere parte alla collaborazione atlantica al momento che giudicherà migliore, senza per questo perdere

4 Vedi D. 89.

nessuna possibilità e nessuna opportunità durante il tempo di cui essa avrà bisogno per maturare le proprie decisioni.

Tutto ciò -a voler giudicare le cose obbiettivamente -non è molto o, ad ogni modo, non è tutto quello che la Norvegia attendeva. Potrebbe anche giustificare il punto di vista dei pessimisti norvegesi che accusano il ministro Lange di essere andato troppo in fretta, di aver fatto troppo confidenza nelle promesse americane. Tali promesse, alla prova dei fatti, secondo quei pessimisti, si sarebbero trovate ad essere se non proprio «promesse di marinai» qualche cosa che, almeno per il momento, molto vi si avvicina. L'atteggiamento di Washington ad ogni modo, se non ha fatto il gioco dei Soviet ha per lo meno rafforzato quella opposizione alla politica del sig. Lange, in seno al Partito socialista, che sembrava, subito dopo la fine dei Convegni interscandinavi, quasi inesistente.

Occorrerà ora attendere le dichiarazioni che il sig. Lange farà alla Camera ai primi della prossima settimana e il testo della nota che il Governo norvegese consegnerà ai Soviet in merito al proposto patto di non aggressione. Nota che non potrà essere attesa molto, perché già troppo a lungo ritardata a causa della assenza da Osio del ministro degli esteri.

A voler giudicare oggi le cose, e a volerle giudicare da Osio, si può dire che, per quanto riguarda la Norvegia, il gioco politico americano in queste due ultime settimane non è stato molto chiaro, e non ha certo contribuito a rafforzare la politica di questo Governo nei confronti della propria opinione pubblica. Ove la Camera norvegese dovesse -oggi -essere chiamata ad un voto, non darebbe certo al sig. Lange quella unanimità che risultò ben chiara invece il 3 febbraio e una ventina di deputati socialisti, rompendo la disciplina di partito, o si asterrebbero, o voterebbero addirittura contro.

Ma questo ministro degli esteri è un avveduto manovratore, ed è, soprattutto, un uomo in buona fede e convinto della bontà della sua politica e potrà, con le proprie dichiarazioni, riportare in seno al Parlamento e alla opinione pubblica quella calma e quella serenità che, per colpa che qui non si esita ad attribuire a Washington, ha fatto notevolmente difetto nei giorni scorsi.

329 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

329 2 Vedi D. 248.

329 3 Vedi DD. 256 e 302.

330

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 363/221. Sofia, 16febbraio 1949 (perv. il 22).

Tutti i giornali bulgari pubblicano con grande rilievo l'atto di accusa presentato dal procuratore generale della Repubblica al Tribunale regionale di Sofia contro un gruppo di dirigenti del Consiglio supremo delle Chiese evangeliche unite in Bulgaria, imputati di spionaggio e di tradimento.

La lista degli imputati, quindici persone complessivamente, comprende tutti i membri del predetto Consiglio supremo i quali sono anche i dirigenti delle singole Chiese protestanti in Bulgaria. Il principale accusato infatti, il pastore Vassil Ziapkov, è il rappresentante ecclesiastico nel predetto Consiglio supremo ed è inoltre l'esponente della setta dei Congregazionisti. Gli altri imputati sono rispettivamente: il pastore Janko Ivanov, rappresentante ecclesiastico aggiunto nel Consiglio supremo ed esponente dei Metodisti; il pastore Nikola Mihailov Naumov, presidente del Consiglio supremo ed esponente dei Battisti; il pastore Gheorghi Cernev, membro del Consiglio supremo ed esponente dei Pentecostali; i pastori Haralan Popov, Lambri Mishkov e Joncio Drianov, membri del Consiglio supremo e-con gli altri imputati, Gheoghi Vasev, Ivan Stankulov, Zahari Raicev, Mitko Dimitrov, Alexander Zahariev, Ladin Popov, Zdravko Beslov e Anghel Dinev -«attivi dirigenti delle Chiese evangeliche», come dice lo stesso atto di accusa.

La principale colpa attribuita a tutti i predetti è quella di aver svolto attività di carattere spionistico che si fanno rimontare per alcuni al periodo precedente alla «liberazione» in quanto collaboratori della Ghestapo. Ma in genere tali accuse riguardano il periodo successivo, per essersi gl'imputati messi in contatto con i «servizi di informazione stranieri e i rappresentanti della reazione internazionale» comunicando ad essi «le più svariate notizie di carattere militare, economico e politico».

L'atto di accusa, di cui si invia qui allegato un ampio riassunto 1 , precisa i particolari di tali accuse di spionaggio dai quali si può rilevare come i contatti incriminati abbiano avuto luogo quasi esclusivamente nel periodo armistiziale, quando in realtà i membri della Commissione di controllo avevano il diritto di assumere informazioni ed i cittadini bulgari il dovere di rispondere alle richieste. D'altra parte non poteva essere ignorato dai dirigenti bulgari che i pastori protestanti avevano contatti con le missioni inglese ed americana ed anzi, come ora ricorda l'organo comunista nel commentare l'atto di accusa, il Governo bulgaro aveva sfruttato l'amicizia esistente tra i pastori protestanti e gli ambienti anglo-americani per facilitare il compito della delegazione bulgara in occasione della stipulazione del trattato di pace. Il pastore Ziapkov partecipò infatti, come membro della delegazione, alla Conferenza della pace a Parigi, ed ora egli stesso è accusato di essere stato dal settembre 1944 agli ordini del servizio di informazione britannico e americano.

Contro alcuni degli imputati (in particolare Nikola Mihailov e Janko lvanov) si precisano accuse di carattere più propriamente politico -di tradimento -come quelle di aver insistito con i rappresentanti americani «per un attivo intervento dell'America in Bulgaria» e di aver svolto una campagna ostile al Governo bulgaro divulgando menzogne e voci tendenziose, anche nei confronti «del doppio liberatore -la grande Unione Sovietica». (Si noti che tutti i pastori imputati avevano compilato e diramato, nello scorso anno, come tutti gli altri capi di comunità religiose, circolari ai loro fedeli in favore al Governo del Fronte patriottico alle quali dal Governo stesso era stata data grande pubblicità!).

Tutti gli imputati vengono poi tacciati di aver condotto una vita «frivola» ed «alcuni addirittura immorale»: uno è accusato di violenza carnale, un altro (Ladin Popov) di essere un pervertito ed un omosessuale, ecc.

Inoltre a quasi tutti gli imputati si attribuisce la colpa di traffico illecito di divise, per aver inviato clandestinamente cospicue somme in denaro oltre frontiera e per cambio illegale di diecine di migliaia di dollari statunitensi.

Come si vede le accuse non toccano il magistero puramente ecclesiastico degli imputati. Non è la loro specifica attività religiosa che appare presa di mira; e anzi nell'introduzione dell'atto di accusa si tiene a riaffermare che in Bulgaria il nuovo regime, «avendo abbattuto la sanguinosa dittatura fascista ha ridato al popolo bulgaro la libertà di religione ed alle religioni l'uguaglianza». Ma le accuse sono di spionaggio, di tradimento, di immoralità, di traffico valutario.

È facile tuttavia vedere come in realtà attraverso tali accuse imbastite contro i principali loro esponenti, si vogliono colpire proprio le comunità religiose. L'analogia col processo contro il primate della Chiesa cattolica in Ungheria, cardinale Mindszenty, sembra evidente: tale processo è del resto espressamente richiamato nell'atto di accusa nel quale si afferma, tra l'altro, che l'«opinione pubblica del mondo è nauseata per l'attività di spionaggio e di tradimento di questo alto prelato».

Tra i due processi pare quindi esservi un certo legame, un'unica ispirazione; che forse può già trovarsi rivelata dalle deliberazioni prese durante le riunioni panortodosse di Mosca: la lotta cioè contro la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti che sono dette legate agli imperialisti occidentali; ma alle quali in realtà si rimprovera di sfuggire ad ogni influenza del centro moscovita.

Nell'ideologia comunista la religione in linea di massima non avrebbe posto, dovendo trovare il buon militante la spiegazione della vita e del mondo nei principi del materialismo dialettico; tuttavia nell'attuale fase storica la religione è ammessa dai regimi a direzione comunista in quanto essa può ancora avere la funzione di instrumentum regni nei riguardi delle masse ingenue e arretrate; ma perciò le autorità e comunità religiose devono essere agli ordini dello Stato, essere allo Stato e ad esso solo sottoposte. Il principio della separazione della Chiesa dallo Stato è un principio liberale che può essere magari messo in una costituzione, ma che è praticamente inapplicabile in un regime totalitario per cui tutte le attività devono essere dirette al trionfo della causa comunista. Le Chiese ortodosse ~in Bulgaria come in altri paesi con simile regime ~possono sussistere, avendo ormai allentato ogni legame gerarchico o di dipendenza religiosa con autorità ecclesiastiche che sono al di fuori della sfera sovietica ~essendosi messe al servizio dello Stato ed avendo rinunciato ad ogni attività che possa dare ombra. Le altre Chiese e comunità religiose dovrebbero seguire la stessa linea. Ed è appunto nell'intento di ottenere tale scopo che ora si vogliono colpire e umiliare i loro attuali esponenti e con essi le Chiese e comunità stesse; così si spera di allentare gradualmente le relazioni e dipendenze oltramontane delle Chiese e comunità stesse e tàr sorgere le condizioni per cui esse ~o almeno alcuni suoi membri ed esponenti ~consentano di seguire le direttive volute.

Il processo degli esponenti delle Chiese protestanti in Bulgaria, come il processo e la condanna del cardinale Mindszenty, come già le altre azioni contro autorità e gruppi religiosi cattolici e protestanti nei diversi paesi al di qua della «cortina di ferro» non sono che episodi di tale complessa azione che si svolge con quei temporeggiamenti che sono caratteristici della strategia politica sovietico-comunista ma con sempre maggiore ampiezza e profondità.

Naturalmente il processo sembra dover avere dei riflessi particolari per quanto riguarda i rapporti tra la Bulgaria e gli anglo-americani. Tanto più che nell'atto di accusa vengono nominati specificatamente funzionari delle rappresentanze inglese ed americana, nonché altri funzionari ed insegnanti delle stesse nazionalità, che avrebbero carpito, a mezzo degli imputati, notizie di carattere militare, economico e politico sulla Bulgaria: tra essi, il primo segretario della legazione americana e per lungo tempo incaricato d'affari John Horner, l'addetto alla legazione americana Louis Beck (che ha lasciato la Bulgaria solo pochi giorni or sono), l'addetto alla legazione britannica Stanley Burt Andrews, Ciril Black, segretario della missione americana, Robert Strong, ecc.

E inoltre alcuni degli accusati, considerati cittadini bulgari dal Governo bulgaro, sono invece considerati propri cittadini dagli inglesi e dagli americani.

Come è noto il Dipartimento di Stato ha già, in data 11 febbraio, pubblicato una dichiarazione del suo Press Officer, che pone in relazione l'attuale processo con quello del cardinale Mindszenty affermando che ciò dimostra «il coordinamento di questo continuato assalto dei comunisti contro la libertà religiosa nell'Europa orientale» e d'altra parte afferma essere del tutto fantastica l'accusa di attività spionistica nei confronti dei tredici funzionari, insegnanti o personalità anglo-americani, indicati nell'atto di accusa. La dichiarazione americana non sembra però faccia alcun accenno a violazioni del trattato di pace; ciò che invece è fatto in una dichiarazione al Foreign Office britannico, nella quale è appunto precisato che «l'imputazione dei quindici pastori in Bulgaria costituisce una violazione delle clausole del trattato di pace relative ai diritti dell'uomo».

Sinora peraltro non risulta che vi sia stata altra reazione anglo-americana, né che siano qui stati fatti passi al riguardo da parte delle rispettive legazioni. Mi riservo di riferire ulteriormente sull'argomento2 .

330 1 Non pubblicato.

331

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1545/10. Madrid, 17 febbraio 1949, ore 22,30 (perv. ore 7,30 del 18).

Soltanto ora ho potuto fare comunicazione sottosegretario di Stato Sufier di cui al telegramma di V.E. 61• Sig. Sufier ha molto apprezzato nostre intenzioni e ha dichiarato poter egli stesso recarsi a Roma per i negoziati. Pur avendo accettato in via di massima la data da noi proposta del mese maggio, ha espresso rammarico che trattative non potessero aver luogo prima. Egli sarebbe

331 1 Vedi D. 231.

stato pronto ad iniziarle già il primo marzo. Sig. Sufier vede infatti poche possibilità di fare funzionare intercambio italo-spagnolo nelle presenti circostanze. Ritengo anche io, nonostante sforzi che potrà compiere ambasciata, che attuale punto morto non possa essere superato che a mezzo negoziati, e che in attesa di questi ci si dovrà praticamente adattare alla stasi completa dell'intercambio italo-spagnolo per vari mesi.

330 2 Telespr. 414/256 del 23 febbraio, non pubblicato, ma vedi D. 394.

332

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1550-1551-1552/171-172-173. Washington, 17 febbraio 1949, ore 21,10 (perv. ore 7,30 de/18).

Ho visto Acheson stamane. Colloquio, svoltosi in presenza Dowling, è stato assai lungo ma niente affatto conclusivo.

Su entrambi argomenti da me trattati (Patto atlantico e colonie) Acheson si è letteralmente trincerato dietro affermazione che questioni formano tuttora oggetto di studio e discussione e che pertanto Governo americano non (dico non) è in grado assumere atteggiamento definito.

Circa Patto atlantico, segretario di Stato ha dichiarato non poter ancora rispondere a nostro memorandum 1 . Infatti, egli ha detto, quantunque si debba ritenere che difficoltà col Senato, le quali sono più di forma che di sostanza, saranno appianate con formula che concili norme costituzionali americane ed esigenze europee, natura del Patto è ancora fluida.

A mia volta ho ricordato precedenti manifestazioni atteggiamento Dipartimento Stato ed in particolare dichiarazione Hickerson seduta 18 gennaio2 , esplicitamente favorevole adesione Italia, nonché decisioni intervenute Londra fra cinque paesi europei3 . Acheson, senza disconoscere dichiarazione Hickerson, ha rilevato che essa precedeva sua assunzione ufficio. Indi, da me richiesto se doversi interpretare ciò come mutamento direttive Stati Uniti, ha negato, aggiungendo che tuttavia questione merita attento studio anche in relazione a complicazioni scandinave e che comunque adesione italiana può avvenire soltanto di concerto con altri membri e non già su parere contrario di molti di essi, sia pure subordinato a diverso avviso americano.

Ho diffusamente illustrato Acheson ragioni morali politiche e militari le quali esigono che Italia non soltanto sia compresa nei piani strategici difesa occidentale come già è compresa nei piani di aiuto economico, ma diventi altresì parte attiva della organizzazione politica destinata coordinare tale difesa. Ancora una volta Acheson, pure ammettendo fondamento miei argomenti, ha affermato non potersi pronun

~Vedi D. 99.

3 Vedi D. 139.

ciare su atteggiamento americano, il quale deve considerare anche criteri geografici e connesse difficoltà di allargamento zona coperta dal Patto.

Anche su questione colonie ho esposto esaurientemente nostro atteggiamento, rilevando carattere realistico e conciliativo nostre proposte, estrema urgenza di giungere ad un accordo fra principali interessati e precisa sensazione che posizione americana sia determinante. Acheson ha riconosciuto buona volontà italiana ed urgenza problema e non ha nulla obiettato a mie argomentazioni, ma ha negato carattere decisivo atteggiamento Stati Uniti. Ha inoltre riconosciuto che soltanto soluzione concordata anche con noi avrebbe larghe probabilità raccogliere O.N.U. maggioranza due terzi. Ha infine affermato che questione forma oggetto di studio da parte uffici e che, data urgenza, egli spera potermi fare qualche comunicazione tra breve.

Malgrado ulteriori mie insistenze, colloquio si è chiuso su posizioni sopra descritte.

Considerato risultato insoddisfacente mio colloquio con Acheson mi sono recato questo pomeriggio da Hickerson per esprimergli mia sorpresa che segretario di Stato non fosse in grado confermare atteggiamento americano circa adesione italiana Patto atlantico.

Hickerson, molto tranquillamente ed esplicitamente, mi ha risposto più volte che non vi è alcun motivo di allarme. Parole di Acheson, egli ha detto, debbono attribuirsi a riserbo impostogli da discussioni e studi tuttora in corso, che tendono a far sì che Patto atlantico abbia valore effettivo malgrado ostacolo norme costituzionali americane. Parole stesse non (dico non) significano che atteggiamento Stati Uniti segni regresso rispetto a dichiarazioni seduta 18 gennaio. Può dirsi soltanto, ha aggiunto, che ambiguità decisioni Londra non è qui piaciuta e che si cercherà addivenire a concorde più esplicita decisione. Frattanto si apprezza molto a Washington sforzo italiano inserirsi sempre più intimamente in organizzazione occidentale, mediante Unione economica con Francia, ammissione Unione Europea, ecc.

Da risultato entrambi colloqui (Acheson e Hickerson) traggo impressione che difficoltà con Senato circa natura sostanziale Patto atlantico assorbano interamente segretario di Stato, il quale non intende compromettersi in alcun modo su altre questioni. Ciò significherebbe che effettivamente non vi è nulla di deciso né a nostro favore né a nostro sfavore.

Continuo pertanto con massima insistenza azione su uffici4 .

332 1 Vedi D. 50.

333

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1561/4. New York, 17febbraio 1949, ore 24 (perv. ore 13,45 del 18).

In seduta odierna Consiglio sicurezza iniziato discussione nomina governatore Trieste. Malik ripetuto storia negoziati dal 20 giugno 194 7 affermando «scopo reale della pro

posta tripartita non era interesse Italia -come dimostratosi poi per colonie italiane ma quello organizzare basi militari e navali»; ripetuto violenti attacchi contro obbligazioni disastrose accettate generali Airey Joyce verso Governo italiano e piano Marshall alla insaputa e contro interesse popolazione. Per porre termine tale stato cose, Governo sovietico deciso accettare candidatura ex ministro svizzero a Mosca colonnello Fluckiger.

Delegato britannico riletto letteralmente risposta data agosto scorso da Cadogan, terminando con riconferma proposta 20 marzo come <<Unica vera soluzione. In tali condizioni Governo inglese non è disposto discutere nomina governatore».

Ambasciatore Austin ricordato inutili sforzi effettuati durante quattordici mesi concludeva: «è noto che forma governo poliziesco è stata estesa da Jugoslavia nella Zona B, con tutti attributi regime totalitario, rendendo così impossibile unificazione con zona americana per formazione territorio indipendente e democratico secondo linee trattato. In tali circostanze costituzione territorio cosiddetto indipendente significherebbe creare area aperta ad aggressioni indirette, secondo sistemi adoperati tutta Europa orientale e recentemente Cecoslovacchia. Per tali ragioni Governo americano venuto conclusione disposizioni trattato pace circa

T. L.T. divenute inapplicabili». Delegato supplente francese dichiarato posizione suo Governo assunta 20 marzo non è cambiata. Delegato sovietico presentato formalmente progetto risoluzione circa nomina

Fluckiger. Consiglio aggiornatosi a data che sarà fissata prossimo lunedì.

332 4 Questo telegramma fu ritrasmesso a Parigi con T. s.n.d. 1279/93 dell8 febbraio. La ritrasmissione a Londra, Bruxelles e L' Aja fu accompagnata da istruzioni del ministro per le quali vedi DD. 361 e 362.

334

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A PARIGI

R. 170/532. Parigi, 17febbraio 1949.

I lavori preparatori della conferenza per l'Unione Europea sono a buon punto. Secondo il direttore degli affari politici d'Europa al Quai d'Orsay, l'invito ai partecipanti dovrebbe pervenire loro alla fine del mese e la conferenza dovrebbe tenersi verso il 15 marzo. Le questioni tuttora in sospeso sono sostanzialmente due: la sede della conferenza e la data della firma.

Per quanto riguarda i partecipanti, oltre a quella dell'Italia sono acquisite di fatto o virtualmente anche le adesioni dell'Irlanda, Danimarca, Svezia, Norvegia. Si arriva così al totale di dieci e si abbraccia una zona geograficamente omogenea. Naturalmente dovrà esservi inclusa anche la Germania e, secondo il desiderio francese, in epoca non remota: si vorrebbe dare un segno concreto ai tedeschi del desiderio di ammetterli a collaborare con l'Occidente sul piano europeo.

Della Spagna non è questione per ora e anche il Portogallo non ha manifestato, all'atto pratico, alcuna volontà di entrare nel sistema. Il Portogallo d'altronde non può ritenersi retto da un regime democratico.

Circa la sede della conferenza, i francesi insistono perché questa sia Parigi. Fanno valere la parte preponderante da loro avuta in questa iniziativa nonché l'opportunità che, essendo l'Unione Europea indipendente dal Patto di Bruxelles che ha il suo organo permanente a Londra, la conferenza si tenga a Parigi dove tutti i partecipanti saranno accolti su piede di parità.

Per quanto riguarda la data della firma, c'è tra inglesi e francesi una divergenza di opinione la cui origine risale alla persistente diversità di concezione che essi hanno dell'Unione. Gli inglesi non hanno tanta fretta e pensano che tale firma potrebbe aver luogo verso la fine di aprile, mentre i francesi vorrebbero si facesse il più presto possibile, vale a dire entro marzo. Se questa data sarà rispettata, si può sperare che prima deil'estate le ratifiche siano intervenute e che durante l'estate stessa, approfittando delle vacanze parlamentari, possa già riunirsi la prima assemblea.

Strasburgo sarà con ogni probabilità prescelta come sede dell'Unione; i francesi sembrano aver consentito alla proposta inglese che, peraltro, dovrà essere approvata da tutti gli Stati partecipanti. A Strasburgo pertanto, in caso di approvazione, avranno la loro sede un Segretariato generale permanente oltre i Segretariati delle varie delegazioni. Ma questo e altri punti di notevole interesse pratico sono tuttora da stabilire con precisione.

Secondo quanto mi ha detto Couve de Murville, la progettata conferenza del 15 marzo non sarà tenuta sul piano dei ministri degli esteri.

335

IL MINISTRO A BOGOTÀ, SECCO SUARDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 280. Bogotà, 17 febbraio 1949 (perv. il 23).

Ho potuto ieri soltanto intrattenermi con questo ministro degli esteri -assorbito da una nuova burrasca della politica interna colombiana-per illustrargli l'avvenuta stipulazione del Protocollo di amicizia e di collaborazione itala-argentino, e insinuare la possibilità di affermare in un atto analogo l'amicizia itala-colombiana.

Poiché ieri appunto, in esecuzione delle istruzioni di V.E. dovevo consegnargli la carta dell'Eritrea con un memorandum a documentazione della tesi italiana, e poiché già sapevo che avrei ricevuto calorose dichiarazioni a noi favorevoli, mi è parsa questa la occasione più opportuna per far presente al ministro come una amicizia così operante e scevra di qualunque ombra come quella esistente tra i nostri paesi non trovi esempio -fra le maggiori nazioni latino-americane -più somigliante della collaborazione italo-argentina. E che l'atto solenne firmato da V.E. e dal cancelliere Bramuglia in Roma, faceva sorgere in me, come ministro d'Italia in Colombia, il desiderio che un giorno non lontano possa realizzarsi un avvenimento analogo fra i nostri due paesi.

Il ministro Zuleta Angel apparve assai interessato all'idea e mi chiese, egli stesso, di avere il testo del Protocollo di Roma per considerare più concretamente la cosa. Di ciò sono tanto più soddisfatto in quanto, dopo aver preso accordi con questo ambasciatore argentino perché nel bollettino di informazioni dell'ambasciata fosse pubblicato il testo del Protocollo con i discorsi che ne accompagnarono la firma, onde dame conoscenza a tutto il Corpo diplomatico, egli volle chiedere istruzioni a Buenos Aires, e non essendo queste venute fino ad oggi, la pubblicazione non è avvenuta.

Nella stessa occasione ho segnalato al ministro Zuleta anche la strana circostanza per cui in questo momento fra l'Italia e la Colombia non vige alcun accordo, di nessun genere, essendo quelli precedenti tutti decaduti ma non sostituiti. Gli ho prospettato l'opportunità di far rivivere in via provvisoria quanto degli anteriori trattati è applicabile nelle presenti circostanze, fissando una data per iniziare lo studio di nuovi accordi.

Anche su questo punto il ministro si è dichiarato favorevole, chiedendomi di trasmettergli ufficialmente la richiesta con una nota. Mentre dunque resto in attesa di istruzioni al riguardo, mi pare di potere fondatamente segnalare a VE. questo complesso di buone disposizioni come il prossimo realizzarsi di circostanze favorevoli alla stipulazione di un atto simile al Protocollo italo-argentino, nel momento che a VE. parrà opportuno1•

336

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A PARIGI

APPUNTO. Parigi, 17 febbraio 1949.

Couve de Murville, per incarico di Schuman e in previsione della sua conversazione con Schuman domani 1 , mi ha detto che il nostro memorandum sulla questione della Tripolitania2 ha suscitato certe perplessità nei francesi e, ritengono, delle reazioni a Washington che possono essere pericolose per noi.

I francesi avevano compreso a Cannes3 la posizione italiana in una forma differente. Essi ritenevano che noi intendessimo, dopo avere accettato il trusteeship, procedere gradatamente alla costituzione e alla educazione di uno Stato arabo (o i tal oarabo) il quale, alla fine o verso la fine del mandato stesso, avrebbe dovuto assumere delle relazioni contrattuali, o di associazione, con l 'Italia, analoghe, per esempio, alle relazioni fra Inghilterra e Iraq. Questo nostro piano era stato accettato dalla Francia.

Ma il nostro memorandum, così come è redatto, sembra andare molto più in là: esso prevede, invece, di sostituire al trusteeship, sin dal suo inizio, un rapporto contrattuale con uno Stato arabo tripolino, questo rapporto contrattuale essendo stabilito e garantito dalle Nazioni Unite.

Da parte francese si ritiene, lasciando da parte ogni considerazione di interessi francesi, che questa nostra mossa sia stata un errore e suscettibile di compromettere la soluzione a nostro favore della Tripolitania.

l) Gli inglesi avevano considerevolmente mutata la loro posizione ed erano i francesi lo potevano constatare ogni giorno di più-rassegnati a rivederci in Tri

2 Vedi D. 211.

3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768

politania. Ma non era che lo facessero volentieri. Quindi la proposta nostra di ridurre praticamente a niente il nostro trusteeship dava loro nuove speranze, faceva fare un passo indietro alla nostra causa.

2) Mi ha dato lettura di un telegramma di Bonnet, non provocato mi ha specificato: il memorandum italiano è stato accolto con gioia dalla Direzione Africa che vi ha trovato una conferma, nostra, delle sue teorie dell'indipendenza; con costernazione della Direzione Europa che vi vede una confutazione, nostra, di quello che essa ha sempre sostenuto. Ne risulta una grave confusione di idee da cui possono nascere delle idee pericolose come quella del trusteeship americano.

3) È stato un grave errore nostro di comunicare il memorandum all'Egitto; attraverso l'Egitto adesso gli arabi sanno quello che noi siamo già disposti a dare: questo non renderà facili i nostri rapporti perché gli arabi proclameranno le nostre idee come punto di partenza e non come punto di arrivo, come noi certamente intendevamo.

4) L'O.N.U. non ha giuridicamente potere per negoziare e garantire il rapporto contrattuale. Essa può o dare il trusteeship ali 'Italia o proclamare la Tripolitania indipendente; non ha possibilità o autorità per una formula intermedia.

A titolo personale e con riserva di controllo gli ho detto che l'impressione riportata dalle mie conversazioni romane era che l'interpretazione francese del nostro memorandum era del tutto sbagliata.

Noi intendevamo, più o meno, procedere per la Tripolitania come ci sembra che gli inglesi intendano procedere per la Cirenaica. Di fronte all'O.N.U. si parla soltanto di trusteeship britannico: ma si sa già che gli inglesi hanno l'intenzione di fame gradatamente un emirato con a capo il senusso. Il senusso è già sul posto: lo stato evolverà gradatamente e un giorno potrà diventare legato alla Inghilterra con accordo tipo Tripolitania.

Egualmente noi intendevamo che si parta da un trusteeship italiano affidatoci dall'O.N.U. Ma al tempo stesso vogliamo si sappia cosa intendiamo fare-anche in linea generale -per l'avvenire. L'Inghilterra aveva già deciso per il senusso. Noi avremmo dovuto cominciare coll'avere delle consultazioni con dei «notabili» tripolini per studiare con loro una formula. Per esempio emirato o repubblica. Poi si dovrà procedere ad elaborare una formula di costituzione, una amministrazione, ecc. Ma non credo noi avessimo mai in vista di promuovere tutto questo prima di avere il trusteeship, si trattava della nostra politica dopo.

L'O.N.U. secondo noi-sempre a titolo personale-avrebbe dovuto un giorno solo accettare la trasformazione del trusteeship in rapporto contrattuale. Se noi eravamo entrati in tanti dettagli nel nostro memorandum era soprattutto perché noi volevamo avere l'approvazione dei nostri amici sulle linee future e generali della nostra politica tripolina: ma non credevo noi intendessimo che tutto questo doveva essere precisato prima.

Couve mi ha detto che, se era così, il Governo francese era perfettamente d'accordo con noi. Ripeteva però che -a prima vista -il nostro memorandum non si interpretava così, ma come egli mi aveva detto prima: che in ogni modo esso era stato interpretato in maniera assai diversa a Londra e a Washington ed era necessario che noi chiarissimo e rettificassimo al più presto il nostro pensiero se non volevamo andare incontro a sorprese di cui la Francia teneva a non prendere la responsabilità.

Gli ho detto che avrei spiegato tutto questo a V.E. in modo che se ne potesse parlare con Schuman domani.

335 1 Per la risposta vedi D. 847.

336 1 Vedi D. 338.

337

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1573-1574/45-46. Gerusalemme, 18febbraio 1949, ore 20 (perv. ore 23,30).

Conferenza stampa ministro degli esteri Shertok dopo aver commentato importanza storica inizio lavori Assemblea costituente e nomina primo presidente ha posto rilievo importanza Gerusalemme nello Stato d'Israele dichiarando che il Governo ha evitato creare fatto compiuto poiché sua politica venne già esposta durante sessione

O.N.U. Parigi. Essa si riassume come segue:

Inclusione città ebrea nello Stato Israele e internazionalizzazione città vecchia insieme ai Luoghi Santi vicini. Governo si sforzerà raggiungere soluzione concordata che soddisfi legittime aspirazioni ebree e finché tale soluzione appare possibile Governo eviterà conflitto deciso tuttavia non indietreggiare se forzato affrontare lotta.

Stessa conferenza stampa Shertok espresso apprezzamento Israele ultimi riconoscimenti da parte diversi paesi. Facendo particolare menzione Svezia e Italia, Shertok ricordato benemerenze Svezia verso rifugiati ed appoggio dato Israele nonostante profonda amarezza per assassinio conte Bernadotte. Circa Italia Shertok, ricordato amichevoli relazioni esistenti, cordialità popolo italiano verso codesti ebrei ed assistenza offerta rifugiati. Ove si pensi che Roma antica distrusse tempio Gerusalemme e pose fine indipendenza, particolare significato assume storicamente evoluzione che condotto riconoscimento Israele. Shertok aggiunto che Governo rimane d'accordo svolgere negoziati con Francia ed Italia per statuto rispettive istituzioni.

Prego voler esaminare opportunità esprimere nostro apprezzamento dichiarazione suddetta e propongo invio telegramma felicitazioni nomina Weizmann previa consultazione Parigi 1•

338

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 1576/116. Parigi, 18febbraio 1949, ore 22,27 (perv. ore 7,30 de/19). Per te solo.

Ebbi stasera lunga cordiale conversazione con Schuman su tutti nostri problemi. Egli mi ha confermato sua assoluta volontà collaborare in tutto con noi. Mi ha assicurato

che i suoi contatti col Parlamento e largo voto a favore ottenuto, come la legge vuole, dal Consiglio economico gli permettevano confermarmi invito venire firmare Parigi Unione italo-francese entro prima metà marzo. Circa il già accennatogli gravissimo pericolo che ad una affermazione di fede, cui egli stesso dicevami voler dare grande rilievo, seguisse presto una serie di fatti incresciosi come ritorno in massa dei nostri emigranti, egli mi rispose che da parte francese erano disposti venire incontro nostre esigenze e che era certo che anche i nostri ministri tecnici comprenderebbero necessità di trovare delle formule di intesa, se tu significassi supremo interesse, nazionale ed internazionale in causa. A me sembra che in materia di investimenti italiani in Francia faremmo non un necessario sacrificio, ma forse un buono affare, assumendo partecipazioni in vari utili affari, dei quali taluni concernenti miniere ci sono già stati proposti, normalizzando così i rapporti finanziari. Se non faremo ciò rischiamo pentircene amaramente.

Urge tu parli ai ministri renitenti anche prima del Consiglio di martedì.

Partendo domani sera sarò Roma domenica notte assisterò Consiglio martedì quantunque medici mi impongono urgente breve riposo aria marina per guarire tosse violenta che mi tormenta ancora, ma che spero non mi abbia impedito compiere tutto il mio dovere.

337 1 Da Roma si rispose con il T. 1308/24 del 19 febbraio: «Presidente Repubblica telegrafato oggi felicitazioni Weizmann».

339

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER POSTA AEREA 1643/42. Londra, 18febbraio 1949, ore 18,30 (perv. ore 12,30 de/21).

Dopo le informazioni datemi da McNeil e Massigli su quanto era stato detto durante i lavori di Londra del Comitato permanente Unione Bruxelles circa partecipazione Italia Patto atlantico 1 , ho ritenuto utile riparlare a lungo dell'argomento con questi ambasciatori Belgio ed Olanda che avevano presenziato lavori del Comitato.

Quantunque si tratti di una situazione forse superata da susseguenti sviluppi (Norvegia ecc.) e dalle discussioni ora in corso a Washington, riassumo quanto è emerso da detti colloqui circa la nostra posizione nei confronti del Patto quale vista a Londra all'epoca dei lavori in questione:

-inclusione Italia era stata esaminata partendo dal postulato che Stati Uniti la ritenessero opportuna ai fini dell'organizzazione difensiva dell'Europa occidentale: tale punto di vista era stato chiaramente espresso dal Dipartimento di Stato;

-in seno al Comitato permanente fu accettato principio che nostra partecipazione Consiglio europeo rappresentasse la base nostra eventuale inclusione Patto atlantico;

-francesi appoggiarono caldamente nostra immediata inclusione che ritengono indispensabile alla difesa loro territorio; inglesi e Benelux fecero presente difficoltà di due ordini: elemento negativo rappresentato dalla debolezza militare dell'Italia e

convenienza di non diluire sin dall'inizio in un'area troppo vasta impegni e rifornimenti americani cui precisa portata ed ammontare non erano ancora noti. Aggiunsero che all'Italia, come agli altri paesi da includere nel Patto oltre nazioni Bruxelles, sarebbe convenuto conoscere contenuto Patto stesso prima impegnarsi accettarlo; inglesi ebbero presenti anche difficoltà politica interna italiana;

-venne tuttavia riconosciuto che di fronte eventuale determinazione americana invitarci egualmente aderire Patto atlantico Gran Bretagna e Benelux non avrebbero insistito loro obiezioni;

-dopo più recenti sviluppi a Washington non consta ai suddetti ambasciatori se sia già stata raggiunta colà una decisione circa inclusione Italia Patto atlantico sin dall'inizio.

Su tale punto ho intrattenuto anche Reber, che era venuto a trovarmi: egli, pur mancando da Washington da circa un mese, mi ha confermato ferma intenzione americana che Italia faccia parte Alleanza atlantica; non è stato in grado precisarmi epoca alla quale tale intenzione di massima potrà essere manifestata ma ritiene che drafl potrebbe essere pronto per metà marzo come, a quanto apprendo da altra fonte, sarebbe stato detto anche a Lange.

Dato andamento discussioni Washington per elaborazione Patto atlantico gradirei conoscere per mia norma se favorevole risposta americana nostro noto memorandum2 sia tuttora considerata da noi condizione necessaria nostra adesione Patto3 .

339 1 Vedi D. 307.

340

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BOGOTÀ, SECCO SUARDO

TELESPR. URGENTE RISERVATO 351/02. Roma, 18febbraio 1949.

Riferimento: Telespresso di codesta legazione n. 51/14 de112 gennaio 1949 1•

La denuncia degli accordi prebellici italo-colombiani e la procedura da seguire per la provvisoria regolamentazione delle questioni pendenti e la successiva conclusione di nuovi accordi sono attualmente allo studio di questo Ministero e delle altre Amministrazioni competenti. Si fa quindi riserva di far pervenire appena possibile ulteriori comunicazioni al riguardo.

Per quanto concerne l'eventuale conclusione di un accordo analogo al «Protocollo itala-argentino di amicizia e collaborazione» del 4 dicembre scorso, si ritiene invece che non vi sia alcuna ragione di carattere tecnico che ne renda necessario il rinvio. Si tratta infatti, come codesta legazione ha avuto modo di constatare, di una dichiarazione di principio molto generica, con la quale i Governi interessati riaffermano il loro proposito di collaborare:

3 Per la risposta vedi D. 3 81. 340 1 Vedi D. 53.

a) al consolidamento della pace e degli attuali organismi internazionali; b) alla tutela dei rispettivi diritti e interessi e al rafforzamento dei reciproci rapporti.

Sembra quindi che un primo passo verso la creazione dei nuovi rapporti convenzionali con codesto Governo possa essere logicamente ed utilmente compiuto appunto mediante un accordo del genere, da cui si potranno trarre poi opportuni spunti per i successivi negoziati sulle singole materie e questioni aperte.

Si lascia comunque a codesta legazione di giudicare, sulla base di una diretta valutazione della situazione locale, in merito all'opportunità di avanzare concrete proposte ad hoc al Governo colombiano nonché circa la procedura da adottare al riguardo.

Si resta in attesa di ulteriori comunicazioni appena possibile.

339 2 Vedi D. 15, Allegato.

341

L'AMBASCIATORE A LIMA, CICCONARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 506/96. Lima, 18febbraio 1949 (perv. il 5 marzo).

Riferimento: Tel espresso di questa ambasciata n. 4 73/89 del 14 febbraio1•

Come ho riferito con il telespresso in margine indicato il Ministero degli affari esteri aveva fatto presente all'incaricato d'affari della Santa Sede che il Perù, in via di massima, non può discostarsi da quella «pregiudiziale anticoloniale», che si è recentemente manifestata in vari Stati di questo continente.

Anche nel memorandum diretto a questa ambasciata, allegato al telespresso in riferimento, il Ministero degli affari esteri ha insistito sopra tutto sul concetto che l 'Eritrea non rimanga a lungo nella situazione di un paese coloniale.

Mi è sembrato, pertanto, che nonostante le ripetute conversazioni avute circa la questione delle nostre ex colonie e nonostante i memorandum rimessi al riguardo, le idee non fossero ancora perfettamente chiare. Mi sono, perciò, intrattenuto nuovamente con il ministro degli affari esteri per esporgli nella maniera più chiara possibile il nostro punto di vista.

Mi sono ispirato all'ultima parte del discorso pronunciato da S.E. il ministro degli affari esteri al Senato il 17 dicembre u.s. 2 in sede di interrogazione e mi sono avvalso delle istruzioni inviatemi da codesto Ministero nei recenti telespressi.

Riassumo la conversazione avuta col ministro: Gli ho detto che il Governo italiano non pensa affatto ad amministrare l'Eritrea, come, secondo una concezione ormai sorpassata, si comportava il Governo del terri

torio metropolitano rispetto a quello coloniale. Ciò che l'Italia desidera in Eritrea, giusta i principi proclamati dalla Carta delle Nazioni Unite, è la creazione di uno Stato indipendente, secondo le stesse popolazioni italiane ed indigene desiderano. E per la Tripolitania ho parlato al ministro delle trattative in corso per giungere alla costituzione ed all'organizzazione di un libero Stato italo-arabo. Infine, ho richiamato la sua attenzione sui risultati delle recenti elezioni municipali a Tripoli.

L'ammiraglio Dìaz Dulanto si è dichiarato completamente d'accordo con me nelle varie considerazioni espostegli e mi ha assicurato che istruzioni conformi al nostro punto di vista verranno impartite alla delegazione peruviana per l'Assemblea dell'aprile p.v. a Lake Success. Egli ha precisato che tali istruzioni verranno date al dottor Berckemeyer, l'ambasciatore del Perù a Washington, che prossimamente giungerà a Lima. Il ministro mi ha detto che il Berckemeyer sarà se non il capo, un membro attivo della delegazione peruviana, in vista dell'esperienza e della pratica da lui acquisite nelle varie questioni che si dibattono all'O.N.U. Il Berckemeyer, infatti, è stato prima membro e poi presidente della delegazione peruviana all'ultima Assemblea a Parigi. Vedrò ancora il ministro per parlargli della questione delle nostre ex colonie e cercherò, per quanto possibile, di controllare se alle parole corrisponderanno realmente i fatti. Altrettanto potrebbe fare forse la nostra ambasciata a Washington al ritorno colà dell'ambasciatore peruviano dopo l'annunciato suo viaggio a Lima.

Il ministro degli affari esteri mi ha infine detto spontaneamente, senza cioè che io provocassi alcuna dichiarazione al riguardo, che vi era stato pure un intervento della Santa Sede in nostro favore e che egli aveva fornito all'incaricato d'affari ampie assicurazioni circa lo spirito di amicizia e di simpatia che anima il Perù nei nostri confronti.

341 1 Vedi D. 311. 2 Vedi Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1948, vol. III, seduta del 17 dicembre 1948, pp. 4643-4645.

342

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 223/63. Roma, 18febbraio 1949 1•

Riferimento: Telespresso ministeriale 01702/9 del28 gennaio u.s. 2 .

Ho procurato di chiarire con mons. Tardini le ragioni di quelle espressioni pessimistiche, circa l'inclusione dell'Italia nell'eventuale organizzazione internazionale della zona di Gerusalemme e dei Luoghi Santi, colle quali mi aveva congedato l'ultima volta che se n'era discorso. Nel ciò fare, ebbi occasione di esaminare col prelato anche altri aspetti dell'argomento, e potei rendermi così un certo conto del come la Santa Sede vede oggi la situazione palestinese.

~Vedi D. 184.

Per ciò che riguarda quel tal pessimismo, mons. Tardini me lo riconfermò: assicurandomi tuttavia che non si generava da notizie precise, provenienti da una fonte determinata, ma dall'impressione d'insieme dei suoi servizi sul modo con cui si era impostata e si svolgeva la questione.

L'impostazione, per cominciare, era esclusivamente di carattere riservato «Nazioni Unite»; tutto si era svolto sempre in quell'ambito; ed esclusivamente entro quell'ambito si erano formate le missioni e commissioni impegnate negli affari di Palestina e per ultima quella di conciliazione radunata a Gerusalemme, alla cui esclusiva competenza vien demandato ora il compito di esaminare e presentare proposte sui particolari dell'eventuale regime speciale dei Luoghi Santi. Ai passi della Santa Sede nelle varie capitali, è stato dovunque risposto, è vero, con simpatia ed ogni espressione esterna di buona volontà; ma impegni seri per un allargamento dell'amministrazione al di fuori dell'orbita dell'O.N.U. non si sono avuti; solo affidamenti, subordinati sempre alle possibilità di futuri comuni consensi (collo spettro dei veti) e ad altre condizioni lasciate volutamente nel vago. E poi, vi erano certamente nell'O.N.U. tendenze proclivi a mantenere esclusivo il monopolio delle Nazioni Unite in questi affari internazionali: sia per ragioni di prestigio e di convenienza per l 'Unione e la sua burocrazia, sia, nel caso che ci occupa, per meno confessabili mire di escludere tante potenze cattoliche. Queste tendenze, teme mons. Tardini, potrebbero sostenere con un'apparenza di ragionevolezza che la partecipazione delle potenze oggi non incluse nell'O.N.U. ad assestamenti internazionali in Palestina, avrebbe dovuto, come ogni partecipazione alle altre attività delle Nazioni Unite, essere rimandata a dopo le loro ammissione tra i membri. E infine c'era la Spagna, che difficilmente avrebbe potuto essere esclusa, se si accettava l'Italia, e contro cui viceversa vige tuttora l'assurdo interdetto che si sa.

Insomma, un insieme di osservazioni che non lo lasciavano pronosticare bene.

Credetti allora di informalo, con ogni riservatezza, che a Parigi si insinuavano dubbi sulla sincerità dell'America nei nostri riguardi, in questo affare dell'internazionalizzazione. moos. Tardini prese subito la palla al balzo, annuendo; non perché, chiarì, gli constasse qualcosa di preciso, ma perché egli ha in mente che negli ambienti politici americani, nei riguardi della politica verso l'Italia (e non verso l'Italia soltanto), vigono contemporaneamente diverse correnti: non necessariamente definibili in favorevoli ed ostili, ma, piuttosto, determinate da giudizi diversi sulle possibilità, sulla struttura, sulle capacità e sullo stesso vero interesse del nostro paese. Ora, i giudizi, per esempio, di larghi ed influenti circoli protestanti, sono piuttosto riservati e potrebbero essersi fatti sentire in queste occasioni.

Semplici congetture, gli dissi, a cui contrasterebbero, per ultimo, le recenti dichiarazioni fatte alla nostra ambasciata in Washington dal Dipartimento di Stato (rapporto dell'ambasciatore Tarchiani del 9 febbraio corrente)3 e le promesse di interessare la Commissione di conciliazione ai nostri progetti, e le istruzioni favorevoli date al delegato americano Ethridge. Ma mons. Tardini non ne restò molto colpito: questo può essere un modo, mi fece capire, di guadagnare tempo senza compromettersi e sbarazzarsi della cosa a Washington rinviandola a Gerusalemme, ad una Commissione che

non può prendere alcuna deliberazione valida ed è poi una emanazione dell'O.N.U., in cui così si ricasca; e, infine, soltanto per dar dei consigli, non per collaborare.

Gli chiesi allora, così, a puro scopo di conversazione, se non gli si affacciasse per avventura il sospetto che non dall'America, ma dalla stessa Francia spirasse, non dico un vento di opposizione, ma almeno un soffio discreto di freddezza sulle nostre aspirazioni. Invero, escluse l'Irlanda, il Portogallo, la Spagna e l'Italia (tutti fuori dell'O.N.U.) rimane la sola Francia, col piccolo Belgio (il quale ha scarsissime tradizioni nel Medio Oriente), a rappresentare l'Occidente cattolico in quei paraggi. Il carattere ostinatamente conservatore della politica francese, la somma importanza che vi si è sempre data alla veste di protettrice del cattolicesimo in Oriente, la possibilità di riacquistarvi qualche posizione, delle tantissime perdute, e l'opportunità di non avere tra i piedi, almeno per qualche tempo, la Spagna e specialmente l'Italia, in questo tentativo di ricupero: non sono esse ragioni che danno luogo ai dubbi? La duplicità di cui sono capaci i francesi in queste cose, anche verso i migliori amici (fra i quali, se ne hanno, voglio ci mettiamo), è pari soltanto alla bonaria cortesia nelle cui pieghe sanno dissimularla e indirizzare altrove il sospetto.

Mons. Tardini, se parla con molta libertà dell'America, è sempre abbastanza cauto a dire della Francia. Anch'egli è uomo di antiche tradizioni. Mi contentai quindi di una risposta vaga dalla quale, per trapasso naturale di idee, passò subito a chiedermi se, a simiglianza della Francia, avevamo ottenuto garanzie pei nostri interessi da Israele, in occasione del suo riconoscimento de facto. Gli risposi, senza entrare in particolari, che non avevo ragione di dubitarne. Mi disse che la Segreteria di Stato sarebbe stata molto interessata a conoscere il testo dell'accordo. Lascio a V.E. di giudicare in proposito, e, in caso, di darmene notizia.

Ma i discorsi sin qui fatti, proseguì poi mons. Tardini, e le speranze e i timori e gli intrighi sul regime internazionale arrischiano fortemente di essere pura accademia. Se l'internazionalizzazione era una eventualità realizzabile, quando Israele e gli arabi si trovavano di fronte, bisognosi gli uni e gli altri di aiuti, e disposti a negoziarli con rinunzie; ora, le cose sono ben cambiate. Israele è stato riconosciuto da chi più conta. La Lega araba è finita. L'Egitto negozia per la parte sua una via d'uscita. Gerusalemme vecchia e Betlemme sono in mano dei transgiordanici, la nuova Gerusalemme in mano agli israeliani. Se i due più potenti avversari, gli unici rimasti in campo, si mettono d 'accordo, la causa dell 'internazionalizzazione anche della sola Città vecchia, poteva dirsi, secondo il parere del mio interlocutore, perduta.

Nel significarmi questa veduta (che coincide, noto, in pieno colle notizie del rapporto del rapporto 19 gennaio deli 'ambasciatore Quaroni)3 mons. Tardi n i mi richiamò accortamente al testo dell'Enciclica In multiplicibus, colla quale il Santo Padre, aveva preso, in faccia al mondo, sotto il suo patronato la causa dell'internazionalizzazione dei Luoghi Santi. «... Dare a Gerusalemme e dintorni ... un carattere internazionale che, nelle presenti circostanze, sembra meglio garantire la tutela dei Santuari» suona il testo. E, infatti, commentò monsignore, in quel tempo le circostanze erano tali, nel contrasto tra le forze rivali in Palestina, che l'internazionalizzazione sembrava l 'unica via possibile di salvaguardare i Luoghi Santi. Ma non a caso fu introdotta quella riserva: perché ora la situazione è ben mutata, l'equilibrio delle forze sembra poter essere raggiunto e quindi l'internazionalizzazione non essere più una soluzione utile o necessaria; per non dire poi della possibilità. Tanto più, continuò, che per gli interessi cattolici e cristiani, l'internazionalizzazione presentava il grave inconveniente di introdurre nei Luoghi Santi la Russia, la quale si prepara a questo ingresso colla sua impressionante ripresa della politica religiosa zarista fra gli ortodossi di Palestina. Sarebbe augurabile una simile eventualità, anche col compenso dell'introduzione di alcuni Stati cattolici nell'amministrazione internazionale? E se poi, come mons. Tardini teme, a seguito di male intesi particolarismi e gelosie o di invincibili opposizioni, questi Stati cattolici non fossero ammessi, non si perderebbe ogni beneficio, rimanendo il danno, e quale danno?

Non sfuggirà a V.E. come il capo della I sezione della Segreteria di Stato, con quella sua esegesi del passo succitato dell'enciclica, sembri preparare una ritirata onorevole dalla posizione assunta dalla Santa Sede coll'enciclica stessa in caso di una svolta degli affari ch'egli crede probabile. Ed aggiungerò anche che il consigliere di quest'ambasciata, intrattenendosi in questi giorni con altri monsignori della sezione, mi ha potuto accertare che le opinioni di mons. Tardini sono identiche a quelle dei suoi collaboratori, non sono quindi vedute personali ma rappresentano quelle della Segreteria di Stato.

Com'era naturale, procedetti domandandogli, fra tali alternative quale fosse in definitiva la linea d'azione politica che presceglieva la Santa Sede. È questa la parte del colloquio che mi diede meno soddisfazione; tuttavia ne trassi argomento a convincermi che la Santa Sede continua ancora ad agire nel senso dell'internazionalizzazione a larga base, ma con un certo ritegno. Essa attende il risultato delle trattative fra Israele e la Transgiordania. Se riescono a buon fine, si ritiene superata la soluzione dell'internazionalizzazione, e le trattative dovranno svolgersi con Abdallah e con Ben Gurion. In caso contrario, il principio dell 'internazionalizzazione dovrà essere ripreso e trattato con ogni energia. Ma, ripeto, non si crede ormai probabile tale seconda evenienza.

Quanto alla prima, se ha il grande vantaggio di non introdurre direttamente i russi negli affari palestinesi, essa non è neppur larga di molte promesse per quanti conoscono le tendenze predominanti in Israele. Ad onta di contrarie assicurazioni, e magari di impegni scritti, la Segreteria di Stato giudica Israele fondamentalmente ostile agli interessi cattolici e quindi si attende a vedere in Palestina l'inizio di una lotta aperta e sorda contro i privilegi ed il prestigio degli istituti e dei santuari cristiani.

A parte una certa disposizione anti-semitica (beninteso nel senso politico-religioso, non razziale) che non si può attendere scompaia presto in certe alte sfere dirigenti del Vaticano, sta di fatto che le concezioni ultra moderne della nuova repubblica israeliana, dovranno portare, in più o meno breve tempo, ad una trasformazione di quel retaggio di tradizionali privilegi che il mandato aveva intaccato solo in modesta misura; e la posizione spirituale e culturale degli istituti di cui l 'Occidente cristiano aveva seminato la neghittosa terra degli arabi, sarà in gran parte sommersa dai mezzi, dalla febbrile attività e dalle singolari capacità ebraiche in tutti i campi della cultura, dell'istruzione, della scienza. L'internazionalizzazione della zona Gerusalemme-Betlemme avrebbe forse conservato una oasi di continuità tradizionale e di privilegio cristiano nel mezzo della modernità israeliana; ed è doloroso il rinunciare a questo sogno, anche se assai turbato dal fantasma sovietico.

Rimarrà un campo più libero nella Palestina araba. Ma quanto durerà la resistenza, anche in quella parte del paese, alla penetrazione ebraica?

In conclusione, non sono né progetti definiti né delineate speranze che sulla questione palestinese può venir fatto di discernere in Segreteria. Ma dubbi ed inquietudini, aggiunte alle tante altre che assillano la Santa Sede in questo momento così critico per la Cristianità, dalla cortina di ferro europea fino alle sponde asiatiche del Pacifico.

342 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

342 3 Non pubblicato.

343

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, ROSSI LONG Hl, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE SEGRETO 01. Teheran, 18febbraio 1949 (perv. il 23).

Riferimento: Telegramma min. n. 1248/c. del 17 corrente1•

Non appena pervenutimi i telespressi ministeriali nn. 3/142/c.2 e 3/156/c.3 in data 17 e 18 gennaio scorso, intrattenni tanto il presidente del Consiglio quanto il ministro degli affari esteri sulla questione delle nostre colonie, aggiungendo l'apprezzamento del Governo italiano per le istruzioni impartite al riguardo alla delegazione iraniana alla III Assemblea dell'O.N.U.

Ambedue mi dichiararono che tenevano ad assicurarmi che anche l'attuale Gabinetto continuerà ad ispirare la sua condotta nella questione al desiderio di darci ogni possibile appoggio.

Mi ripromettevo di riprendere l'argomento in modo più approfondito, ma l'attentato contro lo scià ha prodotto in questi ambienti tante preoccupazioni e così vivo orgasmo che ho preferito rinviare di qualche giorno in attesa che la calma abbia fatto ritorno.

Riservomi di riferire ulteriormente4 .

344

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 1522/664. Washington, 18 febbraio 1949 (perv. il 22).

Con altro rapporto in data odierna, concernente il Patto atlantico 1 , ho segnalato come il riserbo del segretario di Stato sui problemi che concernono il nostro paese

1 Vedi D. 51, nota 2.

3 Vedi D. 100.

4 Vedi D. 399.

celi un intenso lavoro di studio dei problemi medesimi, il quale può anche collocarci di fronte a soluzioni nuove e impensate.

Ho avuto di ciò conferma da alcune dichiarazioni di un funzionario del Dipartimento di Stato ad uno dei miei collaboratori, in merito alla questione delle ex colonie italiane. Si tratta di dichiarazioni fatte sotto il vincolo del segreto e pertanto non suscettibili di essere utilizzate in alcun modo nei contatti con altri Governi e con l'ambasciata degli Stati Uniti a Roma.

Secondo il funzionario in questione, il Dipartimento di Stato sta studiando un progetto di trusteeship multilaterale, da applicarsi a tutta la Libia complessivamente, cui parteciperebbero gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia, l'Italia e l'Egitto. L'amministrazione del territorio sarebbe affidata all'Italia per la Tripolitania, alla Gran Bretagna per la Cirenaica e alla Francia per il Fezzan.

Il funzionario ha aggiunto che forse l'Italia potrebbe, con qualche probabilità di successo, proporre per l'Eritrea una soluzione analoga, in cui l'Etiopia fosse partecipe del trusteeship (invece dell'Egitto) ed inoltre amministratrice del territorio. Egli ha detto altresì che l 'Italia raccoglierebbe molte simpatie in seno all'Assemblea dell'O.N.U. qualora si mostrasse disposta ad accettare per la Somalia lo stesso trusteeship multilaterale, rimanendo però essa stessa amministratrice del territorio.

Dalla confidenza di cui trattasi è anche emersa la circostanza seguente. Il Governo britannico ha fatto sapere qui che l'Etiopia, qualora le fosse concesso di annettere l 'Eritrea, accetterebbe forse di stipulare con l 'Italia un trattato che accordasse ai nostri cittadini in Eritrea un vero e proprio regime capitolare, eventualmente garantito internazionalmente. In tal caso, non è escluso che l'Etiopia rinuncerebbe alle riparazioni previste dal trattato di pace.

È difficile dire quanto di queste idee entrerà nella risposta che il Dipartimento di Stato ha promesso di dare entro breve termine ai nostri progetti di soluzione del problema. È altrettanto difficile dire quanto esse potrebbero essere viste con favore dalle altre principali potenze (certo non dall'U.R.S.S.). Tuttavia ritengo opportuno comunicarle fin da ora a VE., per quell'esame preliminare che potrà essere fatto costà.

A prima vista il progetto di trusteeship collettivo sulla Libia, sopratutto se esaminato indipendentemente da soluzioni a noi favorevoli per quanto riguarda l 'Eritrea, non sembra, a mio avviso, contenere nulla di vantaggioso. In sostanza l'Italia rinuncerebbe al possibile trusteeship esclusivo sulla Tripolitania in cambio di una partecipazione al trusteeship sulla Cirenaica e sul Fezzan. Poiché, secondo le più recenti dichiarazioni americane e inglesi, vi è ormai qualche speranza di ottenere il primo, non si vede l'opportunità di abbandonarlo per la seconda.

Per quanto concerne l'Eritrea, è evidentemente escluso che l 'Italia possa fare, di sua iniziativa, la proposta accennata. Questa potrebbe essere esaminata soltanto se modificata nel senso di sostituire ali'amministrazione etiopica un'amministrazione italiana o, per lo meno, mista.

Peraltro, esaminando la questione nel suo insieme, mi sembra di scorgervi due aspetti di notevole interesse. In primo luogo, qualora si istituisse un trusteeship multiplo, in condizioni simili, su tutte le ex colonie italiane, il complesso di queste conserverebbe, sia pure in modo quasi esclusivamente formale, una certa unità organica. In secondo luogo, (e questo sarebbe anche più importante) gli Stati Uniti verrebbero a porre piede in Africa, e proprio nelle ex colonie italiane, cosicché su queste si eserciterebbe direttamente la loro influenza, con effetti che potrebbero essere vantaggiosi.

È necessario, comunque, che le eventuali controproposte americane ai nostri progetti siano fatte (nel senso sopraindicato o in senso diverso) abbastanza presto da consentirne la discussione prima dell'Assemblea dell'O.N.U.

Su questa necessità non mancherò di attirare ancora una volta l'attenzione del Dipartimento di Stato.

343 1 Vedi D. 100, nota 2.

344 1 Vedi D. 345.

345

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 1539/681. Washington, 18 febbraio 1949 (perv. il 22).

Mi riferisco al mio rapporto n. 1278/576 dell' 11 corrente1•

Nulla di sostanzialmente nuovo è emerso, nel corso di questa settimana, in merito alle trattative generali, relative al Patto atlantico. Sono continuati i contatti fra il segretario di Stato e i membri più influenti delle Assemblee. Son continuati i commenti della stampa, che ho via via segnalato. Per contro, non sembra sia stata trovata alcuna formula, capace di conciliare le opposte tendenze. Pertanto, non vi è stata alcuna nuova riunione degli ambasciatori. Malgrado ciò, lo spirito dei funzionari più qualificati del Dipartimento di Stato è ancora improntato all'ottimismo circa la possibilità di superare le divergenze, che hanno improvvisamente fermato le trattative. Si continua, da parte di essi, ad affermare che dette divergenze sono più di forma che di sostanza e che esse saranno quasi certamente superate entro limiti di tempo piuttosto brevi.

Queste ottimistiche affermazioni, sono, assai probabilmente, sincere. Inoltre esse appaiono esatte per quanto concerne gli aspetti fondamentali del problema. La politica americana, imperniata sulla difesa dell'Occidente ha fatto ormai tanta strada da non consentire ritorni, i quali del resto non sono affatto desiderati dai dirigenti di questo paese. Tuttavia, quanto più il tempo passa, tanto più si sviluppa la possibilità che si verifichino mutamenti nella forma, che quella politica si accinge ad assumere e che invece si stavano già cristallizzando nello schema del Patto atlantico.

Ad esempio, la stampa ha più volte accennato, in questi giorni, al fatto che gli accordi relativi alle forniture di armi e ai piani strategici di difesa sono praticamente più importanti del progettato Patto politico. A ciò, taluni giornalisti influenti, in conversazioni private, aggiungono che il Dipartimento di Stato si sta orientando appunto verso la «sterilizzazione» del Patto, ai fini della sua più facile approvazione da parte del Senato, e verso la contemporanea approvazione da parte del Senato, e verso la contemporanea approvazione di separati accordi coi singoli Stati aderenti al Patto medesimo.

D'altra parte le difficoltà in cui si dibatte la Norvegia sembrano dar ragione a Walter Lippman, il quale recentemente, isolato, proclamava l'opportunità di limitare il Patto atlantico ai sette paesi promotori. La questione scandinava, investendo quella più generale delle adesioni di altri paesi, ripropone il quesito se non convenga favorire la stipulazione di altri patti regionali, oltre quello atlantico e ad esempio la stipulazione di un patto mediterraneo. Di conseguenza, il progetto di quest'ultimo, che sembrava svanito prima ancora di essere chiaramente formulato, riaffiora.

Tutti questi sono spunti assai vaghi e lontani da ogni specie di realizzazione; ma occorre tenerne conto perché indubbiamente circolano anche al Dipartimento di Stato.

L'insieme di queste difficoltà, di questi dubbi, di queste varie prospettive ha determinato (secondo le informazioni raccolte al Dipartimento di Stato) l'atteggiamento tenuto verso di me dal segretario di Stato nel colloquio di ieri 2 , atteggiamento consistente sostanzialmente in un rifiuto di compromettersi, sia pure indirettamente, in merito all'eventuale adesione italiana al Patto atlantico. Inoltre, a fargli assumere tale atteggiamento ha contribuito (secondo quanto hanno assicurato autorevoli fonti d'informazione) la preoccupazione di non ammettere apertamente il peso preminente degli Stati Uniti nelle decisioni dei Sette.

Peraltro negli uffici (da Hickerson giù giù fino ai suoi collaboratori di rango più modesto, ma non per questo poco importanti) si continua ad affermare che non vi è motivo di allarme e che, salvo imprevisti di cui finora non vi è sentore, le decisioni finali americane saranno identiche a quelle di massima a noi già note. Inoltre si assicura (e ciò mi risulta confermato da altra fonte) che da varie settimane i rappresentanti americani nelle capitali europee interessate hanno ricevuto istruzioni di dichiarare esplicitamente che gli Stati Uniti sono favorevoli all'adesione dell'Italia al Patto atlantico. Il fatto nuovo consisterebbe soltanto in questo: che il Governo di Washington pretenderebbe che i cinque paesi europei e il Canada non si limitassero a rimettere la decisione nelle sue mani, ma assumessero chiaramente le loro responsabilità con una chiara manifestazione di volontà, come del reato ha già fatto la Francia.

Anche le previsioni sostanzialmente ottimistiche degli uffici sono probabilmente esatte. L'inconveniente consiste però nella procedura seguita dal Dipartimento di Stato dopo l'assunzione del nuovo titolare. Se questi, infatti, si chiude in un completo riserbo fino a quanto non abbia perfettamente determinato il suo atteggiamento e se poi, dopo averlo determinato con un paziente studio, lo considera definitivo, ciò equivale a distruggere ogni base per una trattativa.

Ciò stante, non mi stancherò di agire sugli uffici, che preparano gli elementi per le decisioni superiori. Al tempo stesso penso che sarebbero di estrema utilità ulteriori passi a Londra e Ottawa e nelle capitali del Benelux affinché prendano più apertamente posizione a nostro favore. Infatti qualora, di fronte ad una precisa richiesta americana, essi mantenessero l 'attuale ambiguità, lasciando la responsabilità della decisione agli Stati Uniti, o, peggio ancora, risolvessero l'ambiguità in senso negativo, porrebbero il Governo di Washington in una posizione che potrebbe essere per noi molto pericolosa.

345 1 Vedi D. 299.

345 2 Vedi D. 332.

346

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1611/43. Londra, 19 febbraio 1949, ore 14,40 (perv. ore 19,40).

Riferimento a lettera del segretario generale 3/457 1 .

Riparlerò lunedì con McNeil sulla Tripolitania. Mentre Wright mi ha confermato che nostro progetto è allo studio da parte organi competenti britannici, Massigli mi ha detto stamane di aver dovuto comunicare a McNeil che da parte francese progetto medesimo non (dico non) è considerato preferibile alla formula trusteeship. Di fronte a ciò McNeil gli avrebbe fatto capire di non vedere come soluzione Stato contrattuale avrebbe potuto ottenere sufficiente approvazione, tanto più che silenzio di Washington è per gli stessi inglesi motivo di imbarazzo poiché essi difficilmente potrebbero

adottare una posizione definitiva senza conoscere il punto di vista americano, dati i noti interessi militari degli Stati Uniti in Tripolitania. Anche dal mio colloquio con Reber ho tratto impressione grande reticenza su questione coloniale né egli mi ha dato illusione su probabilità imminente formulazione atteggiamento americano.

In vista di quanto precede, Massi gli si domanda (e mi devo associare tale dubbio) se non ci converrebbe impostare subito tra noi tre (Gran Bretagna Francia e Italia) lo studio di una soluzione sulla base di una amministrazione provvisoria che prepari un trusteeship italiano2 .

347

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1612/32. Mosca, 19 febbraio 1949, ore 19,01 (perv. ore 19,40).

Stampa sovietica pubblica con notevole evidenza largo resoconto riunione Consiglio sicurezza circa Trieste1 riportando in gran parte letteralmente le dichiarazioni di Malik. Ho l'impressione che risollevando la questione i sovietici non abbiano voluto semplicemente limitarsi a tenerla viva per riaffermare loro note posizioni in rapporto trattato di pace. La designazione di Fluckiger, che durante la sua missione qui si era rivelato tutt'altro che filo-comunista, sembra far parte di una mossa seria

2 Per la risposta vedi D. 352.

mente meditata. È da tener presente che da un lato sovietici stanno ora ravvivando loro campagna contro politica estera Italia con speciale rapporto Patto atlantico e patto mediterraneo, il che potrebbe anche preludere ad una pressione più specifica avente fini analoghi a quello verso la Norvegia. Azione relativa Trieste potrebbe avere rispetto a questa azione una funzione di appoggio parallelo. Inoltre e specialmente è logico supporre che i sovietici data la situazione jugoslava intendano irrigidire la loro posizione su Trieste per non offrire a Tito alcun pretesto di riavvicinamento ad Occidente, di soluzione della questione triestina con accordi diretti con l'Italia sotto la temuta mediazione americana. Invio per corriere testo corrispondenza sovietica e mi riservo eventuali ulteriori informazioni.

346 1 Riferimento errato, trattasi della L. 3/453 dell'Il febbraio, per la quale vedi D. 296.

347 1 Vedi D. 333.

348

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1621/16. Beirut, 19 febbraio 1949, ore 22 (perv. ore 4,30 del 20).

Telegramma ministeriale 1248/c. 1• Governo Libano sta esaminando due promemoria che ho redatto sulla base telespressi ministeriali 142/c. 2 e 156/c.3 . Ho l'impressione che questo Governo vada orientando sue concezioni nel senso esposto da Riad Solh a Cerulli (telespresso ministeriale 3/2196/c. del 31 dicembre )4 . Segretario generale Ammoun informa frattanto che Boshir Saadawi ha chiesto ministro Libano Londra dare immediato appoggio sua richiesta ai Governi britannico e francese per indipendenza e unità Libia nonché per esclusione Italia. Frangié ha dato istruzioni ministro Libano a Londra rispondere Saadawi che il Libano non desidera per ora fare alcuna comunicazione in merito colonie italiane poiché atteggiamento Stati arabi dovrà essere deciso prossima riunione Lega. Frangié ha inoltre fatto dare Saadawi consiglio prudenza. Ammoun mi ha chiesto se abbiamo preso contatto con Saadawi come Riad aveva consigliato a Cerulli. Ho risposto che lo ignoro ma che se Saadawi continua dare a sue richieste carattere intransigenza le intese italo-arabe consigliate da Riad non saranno certo facilitate. Gli ho, come esempio, ricordato disastroso risultato intransigenza araba nella questione Palestina. Ammoun ha convenuto dandomi nuovamente impressione che il Libano, nei limiti consentiti dalla sua speciale situazione, farà il possibile per presentare nostra tesi in buona luce presso altri Stati arabi.

2 Vedi D. 51, nota 2.

3 Vedi D. 100.

4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 609.

348 1 Vedi D. l 00, nota 2.

349

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1623/180. Washington, 19febbraio 1949, ore 17 (perv. ore 11 del 20). Mio 177 1•

Ambasciatori sono stati convocati improvvisamente stamane da Acheson, che li ha messi al corrente seduta senatoriale ieri soprattutto per quanto concerne formula Patto relativa assistenza militare.

Questione Italia non (dico non) è stata trattata perché, ad accenno fattone da uno dei presenti, Acheson ha detto che se ne discuterà prossimamente. Ambasciatori saranno probabilmente riconvocati martedì o mercoledì.

350

L'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, GIARDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

R. SEGRETO 257. La Paz, 19 febbraio 1949 (perv. il 4 marzo).

Ho letto col più vivo interesse la tua lettera segreta n. 3/228 del 24 gennaio u.s. 1 e preso nella dovuta considerazione la convincente e chiara esposizione dei vari punti che si riferiscono alla questione delle nostre colonie e particolarmente dell'Eritrea.

Ti assicuro che per quanto mi riguarda porrò tutto in atto pur di ottenere che la Bolivia prenda posto, come giustamente ci attendiamo, tra quei paesi che sostengono la nostra tesi.

Non ti nascondo però che il battersi con un Governo in crisi continua e che cambia ad ogni piè sospinto (il nuovo ministro degli affari esteri, dott. Balcàzar è il quinto che ho visto succedere alla Cancelleria in meno di diciotto mesi di mia permanenza a La Paz), è cosa tutt'altro che facile ... Comunque ho già iniziato un paziente e tenace lavorio col nuovo cancelliere.

Il Protocollo di amicizia e di collaborazione con la Bolivia, simile a quello concluso con l'Argentina (vedi il mio telespresso n. 244/55 del 17 corrente)2 e che forse, stando a quanto mi ha detto il sottosegretario Alvarado, potrebbe esse

2 Non rinvenuto.

re firmato entro il prossimo mese di marzo, non mancherà di influire favorevolmente nei nostri riguardi.

Non lascerò dunque nulla di intentato e al momento opportuno metterò in moto anche la stampa locale per cui sto già elaborando io stesso, riservatamente, una serie di articoli sviluppanti il nostro punto di vista sulla base delle argomentazioni fomitemi dal Ministero e da te.

Se tu ritenessi possibile autorizzarmi a dire a questo Governo, sia pure in forma generica che noi sapremo, quando l'occasione si presenterà, ricordarci dell'atteggiamento favorevole della Bolivia verso di noi, accordandole il nostro appoggio, mi forniresti un argomento che tornerebbe qui assai gradito3 .

Comunque ti rinnovo le mie più ampie assicurazioni che continuerò a prestare alla questione delle nostre colonie la mia più grande e diligente attenzione e non mancherò di tenerti al corrente dello svolgimento della mia azione.

349 1 Del 18 febbraio, con il quale Tarchiani aveva comunicato che, secondo quanto dichiarato da Connally, nella seduta segreta della Commissione affari esteri del Senato non era stato raggiunto un accordo sullo schema del Patto atlantico.

350 1 Vedi D. 120, nota l.

351

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

PROMEMORIA. New York, 19 febbraio 19491•

Ho visto oggi il delegato permanente del Costarica, signor E. Canas Escalante, e, nella lunga conversazione avuta con lui, ho discusso in dettaglio la situazione che il nostro ministro ha rilevato presso il Governo di San Josè (telespresso di V.E. n. 3/27)2 .

La maggior parte delle mie osservazioni sono state dedicate evidentemente ali 'Eritrea, cercando di spiegare la nostra posizione e la inconsistenza delle pretese etiopiche tanto dal punto di vista morale quanto dal punto di vista giuridico ed economico. Ho particolarmente messo in luce l'assurdità economica della richiesta etiopica di ottenere Io sbocco al mare a Massaua, poiché merci trasportate dai centri di produzione a quel porto dovevano essere convogliate ali' Asmara e da lì essere poi autotrasportate per circa 2 mila chilometri, attraverso una zona montagnosa ed impervia, ad Addis Abeba, cosa che avrebbe portato il prezzo a livelli antieconomici. Ho messo anche in luce che una trusteeship etiopica (o peggio un'annessione) avrebbe completamente pregiudicato la possibilità oggi esistente-perché l'Italia desiderava giungervi-di una completa futura indipendenza dell'Eritrea. L'Etiopia non avrebbe mai accettato, nel futuro, la perdita del territorio più civilizzato del suo Impero.

Ho aggiunto che difendevo questa causa non tanto per interesse puramente egoistico italiano, poiché, come egli aveva potuto constatare dalla stampa, il Governo italiano si stava indirizzando verso una soluzione europea del problema eritreo. Ho fatto

2 Non rinvenuto.

infine appello al senso di solidarietà latina nel non permettere che dei cittadini italiani, artefici della prosperità economica e sociale eritrea, dovessero divenir preda dei trattamenti della polizia e giustizia africane, tutt'altro che equanimi nei loro riguardi.

Il signor Canas ha ammesso che il suo Governo aveva dato assicurazioni al Governo etiopico di «considerare con favore le sue richieste». Ciò però non voleva dire -ha aggiunto -che il Governo costaricano avrebbe aderito «all'annessione pura e semplice di tutta l'Eritrea all'Etiopia, poiché era desiderio del suo Governo di tenere in massimo conto gli interessi e i desideri delle popolazioni, cosa che, in questo caso, andava contro le pretese etiopiche».

Il signor Canas mi ha spiegato che l'atteggiamento del Costarica nei riguardi dell'Etiopia seguiva una linea di consistenza politica, perché il suo Governo non aveva mai voluto riconoscere la formazione dell'Impero italiano in quel territorio.

Gli ho risposto che noi non eravamo alieni a studiare delle soluzioni intermedie che avrebbero accontentato i giusti desideri etiopici di avere uno sbocco al mare, giungendo perfino a considerare la possibilità di alcune rettifiche di frontiera per permettere una assegnazione più razionale delle popolazioni.

Ho pregato il signor Canas di voler comunicare al suo Governo tutti gli argomenti da me sviluppati perché sarebbe stato sommamente increscioso che il suo Governo avesse preso una decisione senza aver preso in considerazione tutti gli elementi del problema che, nel caso specifico, non erano completamente favorevoli ali' Etiopia.

Il signor Canas mi ha confermato il desiderio del suo Governo di venirci incontro per quanto riguardava la Somalia e la Tripolitania, aggiungendo, con strana generosità (forse intesa a farsi perdonare la sua presa di posizione a favore dell'Etiopia), che non era ancor detto che il Governo del Costarica avrebbe aderito sic et simpliciter ad una trusteeship inglese sulla Cirenaica soltanto perché l'Inghilterra la richiedeva per motivi d'ordine militare.

Il signor Canas mi ha assicurato che avrebbe riferito al suo Governo la nostra conversaziOne.

350 3 Con L. segreta 3/710 del3 marzo Zoppi rispondeva autorizzando.

351 1 Trasmesso dallo stesso Mascia a Roma con Telespr. 176 del22 febbraio, pervenuto i12 marzo.

352

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 1333/51. Roma, 20 febbraio 1949, ore 15.

Suo43 1•

Anche a noi francesi hanno fatto conoscere loro impressione secondo cui nostro progetto Tripolitania concederebbe sin dall'inizio troppa ampia autonomia e non contemplerebbe periodo trusteeship. Abbiamo chiarito che nostro progetto contempla

processo graduale che, partendo appunto da trusteeship, giunge sviluppare Stato contrattuale italo-arabo in certo periodo di tempo.

Se abbiamo sin da ora anticipato molti dettagli, relativi a tale processo ed a sue finalità, ciò è stato per rispondere a ripetute richieste di tali dettagli fatteci da inglesi e per mostrare nostre leali intenzioni.

Se parola trusteeship non figura nel testo progetto, come è stato spiegato anche a questa ambasciata d'Inghilterra, è pur vero che formula da noi proposta-in quanto implica responsabilità italiana nell'organizzazione e nell'assistenza Tripolitania, e in quanto deve essere approvata dall'O.N.U. e conseguentemente controllata dal Comitato di tutela-è appunto un trusteeship.

È anche conveniente che ella chiarisca a McNeil che nostro progetto è stato studiato tenendo presenti ripetuti rilievi britannici secondo cui prevaleva da noi vecchia mentalità colonialista e suggerimenti britannici doversi adottare formule nuove che tenessero in massimo conto aspirazioni popolazioni; e ciò anche per facilitare nostro pacifico ritorno. Abbiamo anche pensato poter così stabilire un certo parallelismo tra Tripolitania e Cirenaica, dove sappiamo inglesi intendono creare un emirato con a capo senusso e stipulare un trattato anglo-senussita2 .

352 1 Vedi D. 346.

353

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, IVEKOVIC

L. 03380/32. Roma, 20febbraio 1949.

In relazione alla nostra recente conversazione le confermo che la delegazione italiana è sempre pronta a continuare i negoziati per mettere a punto gli accordi relativi alle navi da guerra, alla R.O.M.S.A. e al naviglio jugoslavo nelle acque italiane.

Inoltre il senatore Bastianetto ripartirà per Belgrado lunedì prossimo. Il console generale Romano lo seguirà a breve distanza. Confido così che gli accordi attualmente in trattazione a Roma ed a Belgrado (pesca -beni italiani in Jugoslavia e nei territori ceduti -navi italiane da guerra,

R.O.M.S.A. -naviglio jugoslavo in acque italiane) potranno essere al più presto contemporaneamente firmati a Roma e a Belgrado.

Qualora per qualcuna di tali questioni le rispettive intese non potessero essere definite con la desiderata rapidità, l'accordo che per primo dovesse concludersi a Belgrado potrebbe, a scelta del Governo jugoslavo e ove questo approvasse la proposta, entrare in vigore contemporaneamente a quello per le navi italiane da guerra, che è già pronto, o a quello per la R.O.M.S.A., che si spera definire con ogm urgenza.

352 2 Per la risposta vedi D. 357.

354

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 409/124. Mosca, 20 febbraio 1949 (perv. 1'8 marzo).

Benché la nota di risposta del Governo sovietico al Governo jugoslavo dell' 11 febbraio sia conosciuta, ne accludo qui per regolarità la traduzione integrale in italiano 1 .

Si tratta di un nuovo ed importante passo sulla via della ufficiale ostilità fra i due Governi (il primo consistette, come è noto, nel comunicato sovietico circa l'esito delle trattative economiche, di cui al mio te l espresso n. 27/18 del 3 gennaio 1949) 1•

Il tono della nota è netto; esso non giunge fino a richiedere esplicitamente il rovesciamento del Governo di Tito (come richiese invece, sul piano non governativo ma di partito, il Cominform) ma sostanzialmente avanza la stessa pretesa, quando esige che il Governo jugoslavo «rinunci alla sua politica ostile verso l'U.R.S.S. e verso i paesi della democrazia popolare».

Male si sa concepire una simile rinuncia, che non sia accompagnata dal rovesciamento di Tito e dei suoi fedeli: tanto più che la nota stessa fa consistere l'atteggiamento ostile del Governo jugoslavo anche e specialmente nella «azione repressiva di massa e negli arresti di cittadini jugoslavi che stanno per l'amicizia con l'U.R.S.S. e i paesi di democrazia popolare». La cessazione di questa azione repressiva implicherebbe evidentemente il compromesso o la sottomissione di Tito di fronte ai suoi avversari: e perciò il Governo sovietico, con questo preciso atto di intervento negli affari interni jugoslavi, altro non fa che praticamente richiedere le dimissioni o la contrizione di Tito stesso.

È da notare che con questo atto vengono smentite talune interpretazioni, secondo le quali la costituzione dell'Unione economica dell'Europa orientale avrebbe costituito una last chance, offerta alla Jugoslavia per rientrare nel novero degli Stati amici dell'U.R.S.S. (così, ad esempio, illondinese Times).

Al contrario: la richiesta di ingresso della Jugoslavia è stata esplicitamente respinta, dimostrandosi che la creazione della Unione senza la Jugoslavia non costituiva una implicita offerta, ma bensì una riaffermazione di esclusione.

È vero d'altro lato che la richiesta jugoslava poneva, secondo i sovietici, delle condizioni inaccettabili, ossia la condizione di adempimento dei trattati da parte dell'U.R.S.S. e dei suoi satelliti, nonché l'altra della cessazione della campagna diretta contro la Jugoslavia. Erano queste condizioni assai logiche, non potendosi supporre un atto di riappacificazione mentre continuano le manifestazioni di ostilità; ma il solo fatto di porle significava il rifiuto di quella sottomissione, che i sovietici esigono per riammettere la Jugoslavia nella cerchia dei fedeli.

Resta da vedere in che rapporto stiano queste reciproche schermaglie con la reale situazione della Jugoslavia nei riguardi di un piano generale di direzione economica dei paesi comunisti d'Europa. È questo forse il punto più importante della attuale controversia.

Come appare dal telespresso n. 15/32704 del 22 dicembre 1948, la legazione di Belgrado ha riferito, in data 20 novembre 1948 2 , che Tito stesso in un discorso pronunciato all'Accademia serba delle scienze ed ali' Accademia slovena delle scienze e delle arti, ha voluto dare una interpretazione economica al conflitto col Cominform, nel senso che l'U.R.S.S. e i paesi di nuova democrazia pretendessero di imporre alla Jugoslavia un lento ritmo di industrializzazione, preferendo utilizzare le sue materie prime e i suoi prodotti alimentari per lavorarle altrove.

Debbo dire che questo punto di vista è assai diffuso oggi, almeno come versione ufficiale od ufficiosa, fra gli jugoslavi, e lo stesso ambasciatore jugoslavo Karlo Mrakovich, parlando con colleghi, ebbe occasione di indicare in questo tentativo di costrizione economica il motivo più profondo del conflitto sovietico-jugoslavo.

In realtà, è opinione diffusa che il motivo economico non sia fittizio, ma rappresenti soltanto un aspetto, o meglio una risultante, del conflitto politico. Tito ha rifiutato ubbidienza a Stalin ponendosi su un piano nazionale di effettiva autonomia; si è reso reo di indisciplina comunista, di nazionalismo, ed in questo consiste il suo centrale peccato. Per far ciò ha dovuto tendenzialmente fondarsi su forze contadine e intellettuali piccolo-borghesi, e da ciò deriva l'aspetto ideologico della sua ribellione. La sua posizione di indipendenza non poteva infine consentirgli di essere passivamente inserito in un piano di sfruttamento delle risorse dell'Europa comunista, tale da compromettere le sue velleità di industrializzazione e insomma, di autarchia. Se è vero che l'Unione economica oggi creata tende a integrare tutti i paesi satelliti in un piano economico razionale diretto dall'U.R.S.S. (vedi mio telespresso 251/78 dello febbraio 1949)3 ne discende come conseguenza inevitabile che la Jugoslavia, come si ribellò (ed è questo l'aspetto economico della sua eresia) di fronte ai sacrifici economici che le avrebbe imposto l'ubbidienza al Cominform, così oggi non poteva nemmeno seriamente desiderare di essere accolta in una unione, la quale avrebbe significato precisamente la soggezione economica non desiderata.

Se tutto ciò è esatto, si dovrebbe dire che quella ora svoltasi fu una schermaglia bilaterale: la Jugoslavia finse di voler rientrare nel complesso economico comune, ponendo tuttavia delle condizioni che sapeva perfettamente non accettabili; la Unione Sovietica, a sua volta, non poteva assolutamente ammettere nell'Unione economica una Jugoslavia riottosa e disubbidiente, non disposta cioè ad assoggettarsi alle rigide esigenze di un piano unitario.

Il conflitto quindi si approfondisce sotto tutti gli aspetti, e diventa per Tito sempre più un problema di vita o di morte, politica o fisica.

Per intanto, qui non ho più avuto notizia specifica di contatti fra gli statunitensi e gli jugoslavi: presso questa ambasciata americana si dice che le conversazioni per una collaborazione economica fondata «su basi d'affari» continuano, con la dovuta cautela da parte degli Stati Uniti: mentre il signor Mrakovich si limita a

3 Vedi D. 224.

dire, secondo la formula jugoslava di stile, che il suo paese è pronto a trattative economiche con ogni altro paese su un piede di parità, e purché rimangano impregiudicate le sue posizioni politiche.

354 1 Non pubblicato.

354 2 Non pubblicati.

355

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 231. Roma, 20 febbraio 1949, (perv. il 21).

La politica estera italiana, oltrechè esser seguita dall'osservatorio del Vaticano, come una parte del quadro della politica generale, in cui sono coinvolti gli interessi mondiali della Santa Sede è oggetto poi di una speciale direi quasi trepidante attenzione, in quanto lo Stato della Chiesa si trova circoscritto nella penisola, anzi, nella capitale ed ha quindi le sue sorti immediatamente legate -ad onta del suo carattere neutrale -alle vicissitudini italiane.

È interessante far rilevare subito la coesistenza di questi due ordini di interessi, quello per la politica estera mondiale e quello per la politica estera particolare dell'Italia: giacché non è detto ch'essi debbano sempre automaticamente concordarsi, almeno in apparenza.

È certo che non vi fu divario alcuno fra questi due ordini di interessi, nel periodo che tenne dietro alla costituzione dell'asse Roma-Berlino con la susseguente entrata dell'Italia nella guerra. La diplomazia vaticana giudicò senza ambagi che gli interessi mondiali di Sua Santità e gli interessi di lui come potenza sita nella penisola italiana, e come primate d'Italia, erano salvaguardati gli uni e gli altri, nel miglior modo che permettessero le circostanze, dalla neutralità o dal mantenimento della non belligeranza del Regno. Possono alcuni monsignori e perfino alcuni vescovi, per non dire di moltissimi cattolici essere stati trascinati, o da imprudenza o da genio individuale o dall'amor patrio, o dall'impressione di certi eventi bellici, a pensieri od anco a manifestazioni d'altro genere: la tesi della neutralità fu caldeggiata dagli organi responsabili vaticani con una chiarezza che non poté mai lasciare in dubbio il più miope degli osservatori, foss' egli del Governo o dei cosiddetti circoli politici o stesse nella cancelleria dell'ambasciata.

Oggi invece, mi pare assai più difficile il cogliere e definire una tesi precisa della Santa Sede riguardo alla politica estera particolare dell'Italia; del resto, anche in materia di politica mondiale, mentre è facile indicare da che parte vadano le simpatie e i voti, è difficile poter caratterizzare la linea pratica d'azione che la Santa Sede crede più utile ai propri interessi.

Anzitutto, non bisogna dimenticare che, al tempo del fascismo, in paese la gente, compreso i cattolici, stava generalmente zitta, quando non si sentiva di ripetere le tesi ufficiali e, quindi, ciò che si chiama «il pensiero della Santa Sede» era ben circoscritto fra gli angusti confini dello Stato vaticano e, in istampa, si desumeva dal solo Osservatore Romano. Oggi, invece, la «voce della Santa Sede» sembra prolungarsi al di fuori, nell'Azione Cattolica, e parlare dalla bocca dei dirigenti e dalle colonne dei giornali di questo grande sodalizio: talvolta si crede financo di sentirne la risonanza in certi fogli del Partito democratico cristiano. Non giungono gli organi di estrema sinistra fino a sostenere che lo stesso presidente del Consiglio, se non è la voce, è perlomeno il portavoce del Vaticano? Ciò basti a sottolineare, a parte gli scherzi dei sinistri, esser cosa più complicata assai d'allora, l'afferrare il pensiero del Vaticano, quando, come oggi, non si esplica in precise ed univoche dichiarazioni delle altissime sfere della Segreteria di Stato.

Detto ciò, è poi da rilevare che il giudizio sulla via da percorrersi dali 'Italia negli attuali frangenti, non comporta, per le circostanze, la nettezza d'allora. Allora, la guerra non era fra due blocchi mondiali (lo divenne quando avevamo risolto il dilemma, impegnandoci), e per la salvaguardia dello Stato della Chiesa, la via meno pericolosa era senza discussioni la neutralità italiana; né era a dubitare che ciò avrebbe servito anche gli interessi mondiali del Papato, assai meglio che il rafforzamento che noi sembravamo recare alla Germania nazista ed anticristiana.

A rincalzo di ciò, c'era l'affermazione morale contro una non necessaria partecipazione al «delitto» della guerra.

Oggi, le finalità ultime del Vaticano sono, è vero, altrettanto chiare: in linea particolare, per l 'Italia, salva guardarla, se possibile, e con essa la Città del Vaticano, dalle distruzioni della guerra e dall'occupazione straniera. Per la politica mondiale: un'efficace unione di tutte le forze sane del mondo contro il blocco russo-comunista. Ma sono i modi più plausibili per raggiungere tali scopi che costituiscono il nocciolo del problema: e qui, ci si trova in un terreno di pura tecnica diplomatica e politica, senza una vera e propria «moralità» che militi a favore di uno o dell'altro sistema: un terreno quindi poco appropriato ad una presa di posizione del Vaticano, normativa pei cattolici e per la rete dei loro istituti.

È risaputo come il pensiero degli italiani in genere e dei cattolici in particolare, sia ecclesiastici che laici, sia stato fin dal principio fluttuante in argomento. Prevalsero dapprima fattori quali il terribile ricordo della guerra, il senso della nostra totale impotenza militare, la immediata vicinanza del nemico presunto, la sfiducia in tempestivi aiuti, la stanchezza e lo scetticismo sul risultato di ogni maneggio, di ogni combinazione diplomatica. Più tardi, si fecero apprezzamenti più ragionevoli sulla situazione: il pericolo di un assoluto isolamento fu meglio capito, e specialmente furono efficaci per una favorevole evoluzione degli animi le formule dell'Unione Europea e della collaborazione nell'O.E.C.E., dalle quali sembravano sufficientemente esulare gli impegni militari in caso di guerra: impegni che venivano ancora giudicati assai più propri a comprometterci senza remissione, che a procacciare qualsiasi vantaggio a noi o agli altri.

A tale evoluzione hanno partecipato certi elementi dirigenti del Vaticano, dico: vi hanno partecipato più che hanno influito su di essa; perché (come V.E. ben sa) la vera influenza è stata esercitata, e, dentro, sul Vaticano, e, fuori, sui circoli dell'Azione Cattolica, dall'opera chiarificatrice e persuasiva di chi ha direttamente in mano le sorti della politica estera italiana. Pare a molti evidente che le espressioni usate dal Santo Padre in alcuni dei suoi pubblici documenti, dal messaggio natalizio (dove ad esempio esclude dalla politica degli Stati moderni un contegno di impassibile neutralità), al

messaggio recente ai vescovi, dove incoraggia i popoli ad unirsi per la salvaguardia della pace contro ogni aggressione, rispecchiano in parte queste nuove più comprensive posizioni. Dal canto suo, il prelato che ricopre, oltre la carica di sostituto della Segreteria di Stato, la funzione di segretario privato del Pontefice, non esita a dichiarare a chi lo interroga che, pur non avendo né veste, né ragione di esprimere giudizi, come esponente della Segreteria di Stato, sulla politica estera del Gabinetto De Gasperi, esso ritiene che i cattolici, in quanto anzitutto cattolici, cioè particolarmente solleciti del bene della Chiesa, possano fino a questo momento, seguirla con benevolenza e fiducia 1• Aggiungo che questo modo di vedere non può non influenzare tutta la Il Sezione della Segreteria e quegli elementi religiosi e laici che vi fanno capo.

Vengo ora all'altra campana, alle opinioni di mons. Tardini: delle quali dissi a suo tempo, ma esplicitamente, espresse in Segreteria.

Dopo quella conversazione che riferii2 , ebbi occasione diverse volte di toccare con lui, conversando, il medesimo argomento; e in questi ultimi giorni ancora, egli espresse di nuovo con me e col consigliere Silj le sue idee.

A me pare che, nel pensiero di mons. Tardini, si verifica proprio il caso che quei due ordini di interessi della Santa Sede, di cui parlai sopra -i mondiali e gli italiani -sembrano dissociarsi. Egli pure ripone tutte le speranze della Chiesa nella reazione unita dei popoli di civiltà cristiana contro il neo paganesimo slavo: e questo è sul piano degli interessi ecclesiastici nella politica mondiale. Ma, d'altra parte, non è affatto propenso, ancora oggi, a compromissioni dell'Italia con tale movimento e consiglia tuttora un contegno di somma prudenza, di gran ritegno e che, sopratutto, ponga in disparte ogni questione di prestigio: e questo corrisponde al piano degli interessi ecclesiastici nel cerchio della politica italiana. Ma solo in apparenza, secondo Tardini, c'è una contraddizione fra lo spirito di solidarietà mondiale, e quella specie di «sacro egoismo» che egli preconizza per l'Italia. Giacché, nelle condizioni presenti, l'adesione dell'Italia ai patti di carattere più specificatamente militare sarebbe altrettanto inutile e pericolosa per il nostro paese, quanto inutile e forse dannosa al gruppo che, intorno all'America, assumesse con noi reciproci impegni.

Non ho bisogno di dilungarmi oltremodo su queste vedute, perché già le ho riassunte nel mio precedente rapporto. Aggiungerò solo che mons. Tardini guarda anche con un certo pessimismo alla situazione politica interna italiana; trova la nostra politica interna troppo remissiva (e in ciò tutta la Curia è d'accordo, dal Papa in giù) e insufficiente a porre in istato di non nuocere la «quinta colonna»: sicché, secondo lui, prima di qualsiasi impegno (al quale, non potendo ancora esserci corrisposto da parte dei nostri amici alcun aiuto effettivo, ci troveremmo in caso di emergenza dover far fronte da soli) occorre consolidare la situazione interiore: se no, alla prima grave minaccia di guerra, potrebbe accadere in Italia un nuovo 8 settembre 1943 alla rovescia. Nessuna compromissione, prima di essere certi che l'effettiva garanzia americana ci è concessa, e può praticamente essere posta in atto.

Siccome poi mons. Tardini non vuole si creda che egli intenda esporre dei piani concreti, egli ama rifugiarsi dietro certi slogan, che possono parere più piccanti che

2 lbid. D. 352.

costruttivi; se è senza senso una neutralità «inerme», lo è ancor più una «inerme belligeranza»; oppure: quando si è «inermi» non si può essere né belligeranti, né neutra

li: si cerca semplicemente di esistere. E così via.

Per valutare il pensiero di Tardini occorre ancor tener presente la sua visione pessimistica della situazione ed il suo propendere a credere che il precipizio degli eventi potrebbe avvenire da un momento all'altro, prima che noi si sia in grado di profittare dei presenti aiuti americani per ricostituire un embrione di difesa e per salvare le spalle dei combattenti dalla certa azione della quinta colonna.

Quanto alle eventuali garanzie degli altri paesi occidentali, mons. Tardini le qualifica di illusorie (per lo meno quanto lo erano quelle date alla Polonia nel 1939) tenuto conto che la situazione francese almeno per ora è quella che è e che l 'unica forza rimasta in Europa, la Gran Bretagna, certo non rischierebbe, in condizioni estremamente precarie, le sue risorse militari a tanta distanza delle sue basi principali, ed in settori che forse, nel momento del pericolo, le apparirebbero secondari.

Ma come regolarsi con l'America, che si pretende ci inviti e ci prema ad entrare in patti ben definiti, per esempio nel Patto atlantico, che, a differenza dell'O.E.C.E. e dell'Unione Europea, ha uno spiccato carattere di alleanza militare (seppur difensiva, ma tutti sanno che offesa e difesa sono termini ambigui)?

A tale obiezione mons. Tardini risponde, in parte, con le sue note teorie sulle varie correnti della politica americana, di cui mi disse anche a proposito della Palestina (vedi mio rapporto n. 223/63 dell8 febbraio u.s_)3. Se vi sono in America, come gli sarebbe sempre risultato (vedi mio rapporto n. 1895/665 del24 agosto 1948)2 , tendenze che vorrebbero spingersi sulla via delle decisioni, ve ne sono altre che hanno una visione diversa e sono assai più pro ne a sentire il parere dell'Inghilterra e di quanti non ritengono utile, né per noi, né per loro, di comprometterci e di compromettersi con patti. È su queste ultime tendenze che dobbiamo puntare; e, per mezzo loro, non dovrebbe essere troppo difficile di convincere gli americani che l'attitudine nostra di prudente attesa è determinata da motivi di grande serietà politica, e non da machiavellismo. Tale attitudine ci permetterebbe anche di girare in un primo tempo l'ostacolo delle clausole militari del trattato di pace, che è tale da procacciarci imbarazzi con la Russia, pericolosi per il presente e per il futuro, e lo stesso respiro ci darebbe per la situazione interna che, in caso di salto deciso, dovrebbe essere affrontata di petto, e non con spiegazioni ad usum delphini e con le presenti blandizie. Ove poi, nel frattempo, gli eventi precipitassero, il non essere legati ad una convenzione precisa potrebbe lasciarci aperta la speranza a quella sia pure sola probabilità su cento di rimanere, come avvenne per la Svezia e la Turchia nell'ultimo conflitto, in un angolo morto, sia pure per pochi mesi, ma che in circostanze simili hanno valore di anni.

Mi rimane da far di nuovo ben risaltare che, nel dire a un dipresso quanto precede, e molte altre osservazioni e ragionamenti che debbo tralasciare, mons. Tardini ha insistito sempre sul carattere puramente personale e privato delle sue idee: «quando mi siedo su questa poltrona», dice «penso soltanto con il mio cervello». L'ultima volta, provai a dirgli che si vedeva chiaro, dalle allocuzioni pontificie (delle dichiarazioni in eventuali udienze private non potevo asserire nulla) che il

Papa non condivideva parecchie delle sue idee. Non accusò direttamente la puntata: ma si diffuse a spiegarmi che le parole pubbliche del Papa, ciascuno è uso tirarle dalla parte che gli fa comodo. In realtà (e qui mons. Tardini non stette più seduto sulla famosa poltrona dove funziona il suo cervello privato e mi accennò che parlava come Segreteria di Stato) il Pontefice si esprime sempre come capo dei fedeli, e le sue parole quando parla degli atteggiamenti dei popoli, mirano sempre assai più alle disposizioni spirituali che alle temporali, e si sollevano in ogni modo ben al di sopra delle singole mosse di questa o di quella politica, di questo o di quell'altro Stato. Sarebbe quindi tutt'affatto arbitrario interpretare qualsiasi allocuzione del Pontefice come un incoraggiamento, o una critica, a questo o a quell'indirizzo particolare della politica italiana, ove sia ben stabilito che il loro scopo sincero è non di creare ragioni di guerra, ma di salvaguardare il meglio possibile la pace del mondo e la salvezza del nostro paese ove è la sede di Pietro: perché in ciò e non nel giudizio su questo o quel metodo sta, fino ad oggi, la dottrina politica che può veramente dirsi «della Santa Sede».

Credo, con quel che precede, di aver dato un'impressione sufficiente di come si pensi oltre il «Portone di bronzo» su questo punto cruciale dei nostri destini. Intorno a Tardini, da una parte ed a Montini, dall'altra, si schierano i funzionari vaticani, ben inteso in una serie di gradazioni che rispecchiano, in fondo, quelle dei cattolici italiani. È in dubbio che la tendenza, che chiamerò montiniana (ma, per carità non si dimentichi quanto imprudente sia l'aggettivo, e come sarebbe sconfessato dal titolare!) ha avuto negli ultimi mesi il sopravvento ed ha visto con particolare simpatia e consenso l'azione internazionale del Governo, che ci ha portato nei Consigli permanenti dell'O.E.C.E. e ci sta portando in quelli dell'Unione Europea. Potrebbe darsi (e non mancherò di dedicarvi la dovuta attenzione) che la tardiniana possa ora, nei riguardi del giudizio sul Patto atlantico riprendere quota, e far sentire la sua influenza anche sui pensieri che il Santo Padre matura nella sua lucida ed alta intelligenza.

355 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 534.

355 3 Vedi D. 342.

356

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1653/24. Osio, 21 febbraio 1949, ore 17,05 (perv. ore 19,25).

Approvazione unanime da parte Congresso socialista della politica estera del Governo, avvenuta ieri, viene qui considerata come avente valore definitivo agli effetti del futuro atteggiamento del paese.

Risulta ora evidente che risposta patto di non aggressione è stata ritardata allo scopo poterne appoggiare moralmente contenuto con voto espresso ieri da rappresentanti diretti dei lavoratori norvegesi a favore collaborazione con potenze occidentali e contro l'isolamento e la neutralità.

357

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1660/44. Londra, 21febbraio 1949, ore 21,18 (perv. ore 8 del 22).

Mio43 1•

Ho avuto stamane lungo colloquio con McNeil. Mi ha confermato note obiezioni francesi ed americane circa nostro progetto stato contrattuale per Tripolitania.

Benché da parte inglese si siano apprezzate intenzioni che hanno ispirato progetto e non (dico non) si lamentino ripercussioni nel mondo arabo, tuttavia McNeil esclude che possa essere varato in Assemblea O.N.U. ed è pertanto inutile insistere su di esso come base discussioni. Dato ciò non rimarrebbe altra possibilità che quella di trattare nostro ritorno in Tripolitania su basi trusteeship.

Con tutta sincerità McNeil ha voluto farmi presente che Governo britannico, pur non essendo in linea di principio sfavorevole nostro trusteeship, non ritiene possibile che Italia assuma nello stesso anno due grosse responsabilità Somalia e Tripolitania con forze e mezzi considerati per ora insufficienti. Non rifiuta però in nessun modo, ed anzi desidera, esaminare subito confidenzialmente tutti i problemi concreti della Tripolitania mentre contemporaneamente proseguiranno trattative tra Londra Roma Parigi e Washington per normali tramiti.

McNeil mi ha riconfermato impenetrabilità attuale atteggiamento Washington e mi ha promesso tenermi informato in proposito. Ha voluto quindi rimettere in chiaro posizione inglese circa Somalia ed Eritrea. Circa Somalia desidera che siano presi al più presto completi accordi per trapasso amministrazione poiché ritiene ormai pacifico che trusteeship italiano sarà approvato da Assemblea: attende quindi nostre osservazioni sul noto memorandum del Foreign Office2 .

Per Eritrea ha tenuto a ripetermi che «per il momento atteggiamento inglese rimane immutato». Ha tuttavia autorizzato Wright ad iniziare subito conversazioni anche su questo argomento con Manzini. Circa queste conversazioni però McNeil mi ha chiesto che esse abbiano carattere assolutamente segreto per utile raggiungimento loro fine 3 .

357 1 Vedi D. 346, ma Gallarati Scotti aveva anche ricevuto il D. 352. 2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 758. 3 Per la risposta vedi D. 388.

358

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1667/5. New York, 21 jèbbraio 1949, ore 21,33 (perv. ore 8,30 del 22).

Discussione T.L.T. riprese oggi in Consiglio sicurezza con due lunghissimi discorsi, sovietico e ucraino, che hanno ripetuto denuncie violazione trattato pace, rigettando colpe fallimento trattative su anglo-franco-americani. Delegati americano francese risposto molto vivacemente contro insinuazioni, deformazioni, insulti inaccettabili: l) asserendo che non solo fallimento trattative, ma soprattutto deterioramento situazione Zona B e calpestamento più elementari diritti umani, hanno determinato dichiarazione 20 marzo, la quale non rappresenta una decisione ma soltanto una «suggestione» ritenuta capace soddisfare aspirazione rispetto vita diritti umani popolazione; 2) respingendo pretesa sovietica dare lezioni moralità dopo quanto U.R.S.S. ha fatto in Polonia, Stati baltici, Corea, Grecia delegati britannico e norvegese dichiarato voteranno contro.

Presidente chiuso dibattito senza porre risoluzione sovietica ai voti dichiarando altresì non intendere riaprire discussione entro corrente mese. Nessuna obiezione è stata sollevata contro questa procedura poco comune.

359

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1683/183. Washington, 21 febbraio 1949, ore 20,42 (perv. ore 16 del 22). Mio telegramma n. 1801•

Secondo informazioni confidenzialissime, Acheson, nella seduta di sabato, è stato in grado di dare ad ambasciatori notizie assai soddisfacenti circa risultati seduta Commissione esteri Senato di venerdì.

In pratica, quasi tutte obiezioni sollevate in sede parlamentare sono state superate. Probabilmente testo trattato conterrà aggettivo «militare» a proposito assistenza che ciascun contraente si impegna prestare in caso di aggressione non provocata; ma frase contenente tale aggettivo sarà diversamente redatta onde superare note difficoltà costituzionali americane.

Unico punto importante tuttora indeciso concerne Algeria. Tuttavia prevale qui impressione che possa trovarsi rapidamente formula soddisfacente e che lavori ambasciatori possano concludersi in settimana.

359 1 Vedi D. 349.

360

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1676/184. Washington, 21 febbraio 1949, ore 20,42 (perv. ore 12,30 de/22). Mio telegramma n. 183 1•

Esplicito atteggiamento assunto da Norvegia circa Patto atlantico e unanimità già esistente fra i Sette circa adesione detto paese possono far sì che questo sia invitato partecipare trattative, prima che questione italiana sia risolta.

Mentre richiamo attenzione Dipartimento di Stato su necessità che non si produca sfasamento fra invito a Norvegia ed a Italia, segnalo quanto procede a V.E. per il caso ritenga opportuno interessame d'urgenza codesto ambasciatore U.S.A., il quale potrebbe lumeggiare qui ripercussione di tale eventuale sfasamento su opinione pubblica italiana2•

361

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

TELESPR. SEGRETO URGENTE 372/013. Roma, 21 febbraio 1949.

L'ambasciatore a Washington, in data 17 corrente, ha telegrafato quanto segue:

[riproduzione del D. 332].

Quanto detto da Acheson dimostra che l'atteggiamento britannico, diversamente da quanto prospettatole da McNeil nel colloquio del 29 gennaio u.s. (suo telegramma n. 23) 1 , non può definirsi di semplice non opposizione ad un eventuale invito americano, ma permane invece contrario alla nostra partecipazione. Infatti, se accenno fatto da Acheson che «adesione italiana può avvenire soltanto di concerto con altri membri e non su parere contrario di molti di essi, sia pure subordinato a diverso avviso americano» dovesse essere confermato e precisato, è evidente che atteggiamento inglese, come naturalmente, nella sua scia e sul suo esempio, quello di altri, diverrebbe elemento determinante per far naufragare la partecipazione italiana al Patto atlantico.

In relazione a quanto le disse Bevin nel suo colloquio del 19 gennaio u.s. 2 , V.E. vorrà attirare l'attenzione di codesto Governo su tale inevitabile illazione e sulle ripercussioni che ciò non mancherebbe di avere nell'opinione pubblica italiana; è evidente

2 Per la risposta vedi D. 380. 361 1 Vedi D. 197.

2 Vedi D. 165.

infatti che, abbandonata dalle potenze occidentali e al di fuori della zona di sicurezza occidentale, l'Italia diverrebbe un fertile terreno per la propaganda comunista3•

360 1 Vedi D. 359.

362

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, E AL MINISTRO ALL'AJA, BOMBIERI

TELESPR. SEGRETO URGENTE 373/c. Roma, 21 febbraio 1949.

L'ambasciatore a Washington in data 17 corrente ha telegrafato quanto segue:

[riproduzione del D. 332].

Nel trasmetter il testo del telegramma dell'ambasciatore a Washington è stato comunicato al nostro ambasciatore a Londra quanto segue:

[riproduzione del D. 361].

A codesto Governo V.E. vorrà far rilevare come l'interpretazione restrittiva data dal delegato britannico nella riunione di Washington dell'8 febbraio alle decisioni prese nella riunione di Londra dei rappresentanti dei cinque paesi del Patto di Bruxelles contrasti fortemente coli 'interpretazione francese secondo la quale i cinque Governi sarebbero stati concordi, di fronte al desiderio americano e al chiaro atteggiamento italiano, nel ritirare qualsiasi eventuale obiezione ali' ingresso d eli'Italia nel l 'Unione atlantica.

Occorrerebbe perciò chiarire se anche codesto Governo intenda seguire quello britannico nella nuova restrittiva interpretazione delle decisioni di Londra. Qualora ciò non fosse V.E. faccia presente che sarebbe desiderabile che il punto di vista di codesto Governo venisse espresso nel modo più chiaro a Washington.

363

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 068. Parigi, 21 febbraio 1949 1•

Sul Patto atlantico ho avuto dal Quai d'Orsay-sig. De Margerie-le notizie seguenti: Martedì o giovedì prossimi i cinque ambasciatori saranno informati ufficialmente del testo del Patto concordato col Senato. Ci sarà probabilmente poco da discutere perché il

nuovo testo dell'articolo 5 ufficiosamente conosciuto è giudicato da francesi e inglesi pienamente soddisfacente. La firma quindi non è lontana. Sarà a cinque più due se non intetVerranno fatti nuovi. Se l'Italia non intetViene, e non intetViene subito, non sarà compresa tra i firmatari originari. Al Quai si ricostruiscono i fatti nel modo seguente: la decisione conseguita da Schuman nella riunione di Londra, favorevole all'ammissione dell'Italia, è stata dovuta non solo agli argomenti fatti valere ma soprattutto al fatto che, la vigilia, gli ambasciatori americani a Parigi e a Londra avevano fatto un passo deciso per dire che l'America era favorevole a questa inclusione dell'Italia. Erano così venuti a cadere i dubbi che a Parigi si erano avuti circa la volontà americana all'inclusione dell'Italia nel Patto (mio telegramma per corriere 0328 del 23 dicembre l948f Quando però a Washington Acheson si è reso conto delle difficoltà che il Patto -non per fatto dell'Italia -incontrava al Senato, «he passed the Italian baby» ai Cinque. Qui va situata la discussione di Bonnet col collega inglese (di cui al telegramma ministeriale 80)1. Il francese in questa occasione è stato il solo a prendere un atteggiamento fermo. I tre del Benelux non avevano ricevuto i verbali della Conferenza di Londra e fecero quindi praticamente scena muta; l'inglese, evidentemente sempre tiepido per non dire ostile, aveva tenuto il linguaggio noto. Dopo di che il Quai d'Orsay aveva mandato a Bonnet i verbali della Conferenza verbatim che mettevano in chiaro in modo indubbio quanto era stato concordato e aveva riconfermato la propria presa di posizione. Della partecipazione italiana non si era poi parlato di proposito; ma dato che non era riuscito al Dipartimento di Stato di ottenere dai Cinque quella decisione che non si era sentito di prendere per proprio conto, la cosa, per evitare nuove eventuali difficoltà col Senato mettendo troppa carne al fuoco nello stesso tempo, era stata praticamente lasciata cadere da Acheson. Il Quai d'Orsay ha fatto sapere a Washington di non avere niente in contrario qualora si volesse limitare la firma ai soli Sette in un primo tempo, e ciò, si spiega, perché questo rappresenta la tesi originaria francese. Che l'Italia non sia compresa tra i firmatari originari, come pure la NotVegia, presenta, secondo il Quai un interesse relativo.

Comunque, all'atto pratico, il Quai d'Orsay ci dice:

l) se per ragioni interne o altre desiderate firmare subito, fatecelo sapere e ditelo subito a Washington e alle altre capitali interessate;

2) indipendentemente dal momento dell'adesione, è opportuno che riconfermiate comunque a Washington la vostra volontà di entrare nel Patto e che lo facciate sapere a noi e agli altri interessati;

3) fateci sapere, e fatelo sapere agli altri, se desiderate che nel dare notizia della conclusione del Patto, nel caso che l 'Italia non sia tra i firmatari originari, sia fatta menzione specifica di essa quale Stato invitato ad aderire.

La Norvegia, fino a ora almeno, aveva manifestato il desiderio di non aderire subito al Patto, per ragioni di politica interna e internazionale. Non si sa ancora però se, in seguito alla recente presa di posizione del partito socialista notVegese, che virtualmente ha risolto affermativamente il problema dell'adesione o meno della NotVegia al Patto, ci possa essere a Washington qualche idea nuova4 .

361 3 Non risulta che Gallarati Scotti abbia risposto. Di queste istruzioni fu data comunicazione a Quaroni e Tarchiani con Telespr. segreto urgente 374/c. del20 febbraio, e a Diana e Bombieri con il D. 362.

363 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

363 2 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 772. 3 Vedi D. 278. 4 Per la risposta vedi D. 374.

364

IL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 385/82. Guatemala, 21 febbraio 1949 (perv. il 23 marzo).

In riscontro al telespresso n. 20/02664/4 (A.P. 3°) in data lO febbraio 19491 , ho l'onore d'informare che il Governo del Guatemala non ha firmato né firmerà il trattato di Parigi.

Circa un mese fa, durante un colloquio che avevo avuto col sig. Mufioz Meany, ministro degli affari esteri, gli avevo fatto notare che il trattato di pace di Parigi, come ben rileva codesto Ministero, non poteva essere accettato o respinto che in blocco e non già per singole clausole.

Il sig. Mufioz Meany, dopo aver discusso la questione e accettato il mio punto di vista, finì per assicurarmi che in considerazione dei buoni rapporti esistenti fra i nostri due paesi e della simpatia ch'egli e il presidente nutrivano per l'Italia, il Governo del Guatemala non si sarebbe valso dell'art. 88 del trattato.

Gli proposi allora che la formale dichiarazione del ristabilimento dello stato di pace avvenisse a mezzo di scambio di note, sistema che mi pareva il più opportuno perché il più rapido.

Ma egli mi rispose che preferiva che si addivenisse alla conclusione di un trattato sia perché era necessario consultare, seppure solo formalmente, il Congresso, sia perché il trattato avrebbe evitato che in certi ambienti si dicesse che si era proceduto al ristabilimento dello stato di pace in <<Una forma poco riguardosa per il Guatemala» (sic).

Replicai che ciò non era certamente nelle nostre intenzioni e il colloquio terminò con la promessa del sig. Mufioz Meany che appena possibile egli mi avrebbe sottoposto una bozza del progettato trattato. Ciò però non è stato ancora fatto 2 .

Col conformarsi del Guatemala all'attitudine degli altri quattro paesi dell'America centrale, cosa che sembrava impossibile un anno fa, si è riusciti ad ottenere che tutti i cinque Stati di questa giurisdizione non si siano avvalsi dell'art. 88 del trattato di Parigi.

365

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1700/46. Londra, 22 febbraio 1949, ore 20,07 (perv. ore 22,55).

Nel fare oggi con Massigli il punto questione coloniale gli ho fatto notare come questa sembri ritornata alla situazione del settembre scorso. Massigli ha replicato che gli pare invece vi sia un certo miglioramento nell'atteggiamento britannico con una

più concreta intenzione venire incontro a tempo opportuno nostre richieste per Tripolitania. Ha aggiunto che Governo francese aveva compreso perfettamente chiarimenti datigli circa esatta portata nostro progetto Tripolitania, nel senso che Stato contrattuale avrebbe rappresentato punto di arrivo e trusteeship obiettivo da raggiungere ora. Anche egli riteneva non vi fosse tempo da perdere e non si dovesse attendere risposta americana per continuare a ricercare con Foreign Office una base che renda possibile proporre nostro trusteeship. Avrebbe comunque parlato in tal senso con McNeil.

364 1 Con il quale Guidotti aveva chiesto chiarimenti sulla posizione del Guatemala relativamente alla firma del trattato di pace. 2 La bozza del trattato fu trasmessa da Zanotti Bianco al Ministero con Telespr. 690/141 del 18 marzo.

366

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1708-1709/51-52. Vienna, 22 febbraio 1949, part. ore 1,30 del 23 (perv. ore 11,10).

Ministro Gruber rientrato per tre giorni Vicnna mi ha messo sommariamente al corrente situazione Londra desiderando che VE. ne fosse confidenzialmente informato, nello spirito delle amichevoli intese avute a Roma con lei nel novembre scorso 1 .

Per quanto concerne Russia manca al solito qualsiasi indicazione circa sue reali intenzioni. Tra Alleati opinioni sono incerte e occorrerà qualche settimana per vedere se Russia opti per una qualche distensione o riprenda linea ostilità più aperta.

Punto centrale interessi è divenuto Jugoslavia ed egli ha impressione che Alleati puntino ormai decisamente per annodare discorso diretto con medesima, e che effettivamente a Londra già si sia detto, e più si tenderà a dire di quanto egli stesso con delegazioni austriaca non sappia e non saprà.

Personale impressione è che eventuale evoluzione Jugoslavia dovrà comunque essere più lenta di quanto da taluni magari si attende.

Per quanto riguarda rapporti con Austria vi sono d'altra parte indizi Jugoslavia stessa in realtà disposta a così detta presunta triennale concessione rendendosi conto che rivendicazioni territoriali e riparazioni iniziali non hanno probabilità di successo. Ma è anche fuori questione concessione di autonomia. Vi mancano per Carinzia premesse storiche politiche ed etniche, rappresentando sloveni piccola minoranza dispersa e diffusa senza alcuna concentrazione.

Egli torna a Londra con riconfermato mandato di non consentire né rettifiche frontiera né autonomie e mantenersi su linea riconosciuta al 1938. In complesso non vi sono elementi seri per un decisione finale.

Mi ha detto poi che il Governo austriaco segue con immenso interesse processo inclusione sempre più effettiva e formale Italia in blocco occidentale, per garanzia che essa rappresenta per stabilità generale e per rafforzamento effettivo e di prestigio che essa ne consegue.

Per Austria è evidente dove sia schierata per sentimenti e interessi, ma essa non potrà né le sarebbe consentito, prendere posizione aperta anche per sua perdurante minorità politica.

[Con riferimento] mio numero 36 2 , ministro Gruber mi ha detto che era stato messo al corrente passo da me fatto durante sua assenza nonché varie interrogazioni svoltesi costì in sede parlamentare circa optanti ed Aussenstelle. Tali impensati sviluppi non avevano avuto per il momento alcuna eco rilevante né in stampa né in Parlamento, ciò che esimeva Governo austriaco e lui stesso dal prendere pubblicamente posizione in argomento. Ma ciò non di meno nostra comunicazione non poteva rimanere senza reazione. Era in corso una risposta ufficiale3 che riconfermava noti punti di vista ed al tempo stesso esprimeva più vive preoccupazioni Governo austriaco per direzione presa da questione che minaccia di riaprirsi quando con scadenza 4 febbraio era sua ferma speranza, che riteneva condivisa da V.E., di vederla invece definitivamente chiusa.

Ha concluso pregandomi di rendermi fervido interprete presso V.E. della serietà della crisi che si determinerebbe con il perdurare dell'attuale fase di minaccia tedesca o con il concretarsi di qualche più specifica disposizione sovietica sulle linee comunicate.

Gli ho risposto che non avevo né nuove informazioni né nuove istruzioni e non ero quindi in grado di nulla aggiungere a quanto già comunicato il 2 corrente e che avrei però riferito fedelmente quanto egli mi aveva detto.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI D'AUSTRIA, GRUBER, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

NOTA 81.408-POL./494 . Vienna, 21 febbraio 1949.

In base ad istruzioni telegrafiche pervenutele da Roma, ella ha comunicato alla Cancelleria federale, affari esteri, che il Ministero degli affari esteri italiano non vedeva alcuna possibilità di far recedere la Presidenza del Consiglio dal punto di vista che le domande di riopzione, presentate posteriormente alla data del 2 novembre 1948, fossero da considerarsi viziate nel consenso, e che la predetta Presidenza si vedeva costretta a prendere in considerazione l'adozione di misure nel riesame delle domande di riopzione.

11 Governo federale non può riconoscere alcuna giustificazione agli argomenti addotti per tale presa di posizione da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri d'Italia.

La violenta snazionalizzazione degli altoatesini, compiuta a suo tempo, e cioè proprio quell'atto, a riparazione del quale doveva servire, almeno in parte, la facoltà, ora limitata per l'interessati, di rioptare, è stata condotta esclusivamente d'accordo tra il Governo italianofascista ed il Governo nazional-socialista tedesco senza la minima partecipazione austriaca, e per questo non si può far discendere per l'Austria alcun dovere di concedere agli optanti rimasti sul suo territorio, su loro richiesta, la cittadinanza austriaca. Anche nei negoziati di Parigi e nel corso delle consultazioni tra i due Governi per l'attuazione di tale accordo, non si è mai fatto cenno di tale obbligo da parte dell'Austria, né tanto meno esso è stato stabilito.

3 Vedi Allegato.

4 Traduzione in lingua italiana fornita dal ministro Schwarzenberg.

La circostanza che l'Austria non fosse disposta ad assicurare, in generale, a quegli optanti che non revocavano l'opzione, la cittadinanza austriaca, non può perciò in nessun modo venire invocato a motivazione di quelle misure che il Governo italiano vuole adottare per rendere più difficili le riopzioni e che non si accordano né con le intese tra i due Governi, né con le norme legislative italiane emanate sulla base delle consultazioni.

Il Governo austriaco ha collaborato nella forma più leale agli sforzi intesi, mediante un regolamento del problema degli optanti conforme agli impegni internazionali dell'Italia ed all'interesse dei contraenti, a togliere l'ostacolo che finora impediva lo stabilimento di buoni rapporti fra i due Stati. Il Governo austriaco, in particolare, spinto dal desiderio di far cominciare la nuova fase delle relazioni, con la data del 4 febbraio ultimo giorno utile per la revisione delle opzioni, si è astenuto dal richiedere al Governo italiano una proroga del termine, anche se non ha avuto luogo fino ad oggi per l'atteggiamento dilazionatorio degli Uffici italiani interessati, il regolamento delle questioni economiche ed amministrative connesse con la revisione delle opzioni.

Nel caso che la Presidenza del Consiglio dei ministri d'Italia adottasse effettivamente, per il respingimento delle domande di riopzione, nuovi motivi non previsti nel decreto italiano, né nelle consultazioni di Roma, il Governo austriaco si troverebbe di fronte ad una nuova situazione e dovrebbe perciò di fronte ad essa fare riserva circa ulteriori suoi passi.

La vorrei pertanto pregare di portare il punto di vista del Governo federale, sopra esposto, a conoscenza del Governo italiano e di rivolgere ad esso l'urgente appello di volersi astenere da misure che sarebbero suscettibili di porre in discussione l'iniziato, felice, ristabilimento di buoni rapporti.

366 1 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 586 e 621.

366 2 Vedi D. 233.

367

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1738/187. Washington, 22febbraio 1949, ore 22,49 (perv. ore 8 del 23).

Si conferma qui impressione che recenti contatti Dipartimento di Stato con personalità parlamentari da un lato ed ambasciatori dall'altro abbiano ricondotto trattative per Patto atlantico nella fase finale. Inoltre battuta d'arresto registrata nella scorsa settimana sembra accrescere desiderio Dipartimento di Stato di concludere al più presto anche formalmente.

Domani avrà luogo probabilmente nuova riunione in cui ambasciatori esporranno punti di vista rispettivi Governi su comunicazioni fatte loro sabato1 da Acheson. Non si può prevedere se stessa seduta verrà sollevata questione italiana. Questa trovasi tuttora nei termini indicati mio telespresso 1539/681 2 : da un lato U.S.A. desiderano addivenire decisione concorde, più esplicita di quella raggiunta a Londra; dall'altro paesi europei ad eccezione Francia tendono gettare responsabilità decisione esclusivamente su Washington.

2 Vedi D. 345.

Ciò stante mia azione qui sarebbe assai facilitata da passi che nostri rappresentanti Londra e Benelux potessero svolgere presso quei Governi, onde ottenere da essi atteggiamento più esplicito, nonché da intervento Dunn presso Dipartimento di Stato, lumeggiante possibili ripercussioni su opinione pubblica italiana e mondo cattolico.

Aggiungo che, secondo sondaggi effettuati a tutt'oggi presso diversi uffici Dipartimento Stato, non (dico non) si nota affievolimento interesse per adesione italiana da parte uffici medesimi, i quali assicurano voler nuovamente attirare attenzione segretario di Stato per tempestiva decisione.

367 1 1119 febbraio, vedi DD. 349 e 359.

368

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 2 2 febbraio 1949.

È venuto a vedermi l'ambasciatore di Francia. Riferendosi alle conversazioni di

V.E. con Schuman1 e di Quaroni con Couve de Murville2 mi ha detto che tutto sommato il Governo francese ritiene che la migliore soluzione per la Tripolitania sia quella del trusteeship conferito dall'ON.U. La Francia si è messa così sulla stessa linea inglese quale risulta dall'ultima conversazione Gallarati Scotti-McNeil (telegr. da Londra n. 44)3 .

Ho detto a Fouques-Duparc che il trusteeship era ciò che noi avevamo sempre richiesto, e che consideravamo tale, in quanto avrebbe dovuto essere approvato dall'O.N.U., anche il progetto di Stato contrattuale quale convenuto a Cannes. Ho aggiunto che tale progetto, sul quale avevamo tenuto ad avere previamente l'assenso francese, era stato da noi studiato per venire incontro alle note osservazioni inglesi secondo le quali il nostro ritorno in Tripolitania non poteva essere effettuato se non tenendo conto nel modo più largo delle aspirazioni degli indigeni. Il ritorno, proposto sia da parte francese che da parte inglese, alla formula del trusteeship classico non poteva quindi che trovarci consenzienti. Dovevo però subito fargli presente che ciò sembrava creare difficoltà di altro genere in quanto, mancando un accordo preliminare fra noi e gli arabi, risorgevano le note preoccupazioni inglesi sulle difficoltà pratiche per la nostra occupazione del territorio oltre che per un voto favorevole.

A queste osservazioni Fouques-Duparc ha risposto leggendomi un telegramma del Quai d'Orsay secondo cui la migliore soluzione per il momento apparirebbe quella di un accordo italo-inglese per una amministrazione provvisoria italiana in Tripolitania. Gli ho letto allora il resoconto della conversazione fra Gallarati Scotti e McNeil e gli ho sottolineato che gli inglesi ci proponevano delle conversazioni sulla Tripolitania; gli ho detto che se tali conversazioni dovessero avere per oggetto non tanto que

2 Vedi D. 336.

3 Vedi D. 357.

stioni di coloni, o di banche, o di scambi commerciali ma fossero sinceramente intese a preparare il nostro ritorno in Tripolitania, noi potevamo forse considerare favorevolmente anche un progetto che ci portasse a tale ritorno gradualmente e in linea di fatto in attesa di avere conferito un vero e proprio mandato. Lo pregavo perciò di farsi chiarire dal suo Governo che cosa intendesse per «amministrazione provvisoria» italiana, in particolare quando questa avrebbe dovuto stabilirsi, se di fatto o in base a una decisione dell'O.N.U.; e gli ho chiesto anche di sapermi dire se il Quai d'Orsay era sempre di avviso che il destino dei territori libici dovesse essere deciso contemporaneamente.

Siamo poi venuti a parlare del Patto atlantico. Anche Fouques-Duparc era al corrente della diversa interpretazione che si dà a Londra, a Parigi e a Washington della decisione dei Cinque relativa ali 'Italia; ma non aveva notizie circa eventuali azioni di chiarimento da parte del Governo francese.

Da ultimo abbiamo parlato dei rapporti commerciali italo-francesi. FouquesDuparc aveva visto il presidente del Consiglio ed era al corrente delle preoccupazioni di ordine umano e sociale prospettate da S.E. De Gasperi in relazione al problema delle rimesse degli emigranti. L'ho messo al corrente delle proposte che V.E. farebbe in Consiglio di ministri. Egli mi ha accennato a un'amichevole conversazione avvenuta fra Letourneau e Fanfani nella quale quest'ultimo avrebbe mostrato di rendersi conto della situazione e della necessità di consentire qualche sacrificio.

368 1 Vedi D. 338.

369

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 329/017. Ankara, 22febbraio 1949 (perv. il 26).

La disposta creazione di un gruppo consultativo dell'O.E.C.E. composto di sette potenze -al posto del comitato ristretto di cinque membri proposto da inglesi e belgi e da cui la Turchia era esclusa -è stata accolta qui con vivo compiacimento e fatta passare come un personale successo del ministro Sadak, che si sarebbe fatto vigoroso interprete dei piccoli Stati e della tesi da essi sostenuta.

Non so esattamente come le cose siano andate e dubito che il Sadak abbia avuto da superare una opposizione molto vivace. Credo comunque cosa politicamente saggia aver incluso la Turchia nel gruppo direttivo dell'O.E.C.E., quantunque il suo apporto a quella organizzazione sia, dal punto di vista economico, e continuerà certamente ad essere, pressoché scarso o nullo. Ma era questa una soddisfazione che mi par dovuta ad un paese come questo che tiene il suo esercito per tre quarti mobilitato da anni e spende il 40 per cento delle sue non prospere finanze per la difesa dei suoi confini, e, insieme, delle posizioni occidentali nel Medio Oriente e nel Mediterraneo'.

369 1 Per la risposta vedi D. 429.

370

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE SEGRETO 018. Ankara, 22 febbraio 1949 (perv. il 25).

Non so se Sadak abbia intrattenuto anche V.E. dei suoi progetti di intesa mediterranea. Dovrei dubitarne. Egli si rende perfettamente conto che il nostro obbiettivo, almeno immediato, è altrove. E che, una volta conseguito questo, diminuirebbe, molto probabilmente, un nostro eventuale interesse a perseguire quello: ciò che non potrebbe che compromettere i suoi disegni o rinviarli a tempo indeterminato. Sicché mi par probabile che si sia tenuto, con V.E., alla larga.

Credo che Sadak si sia reso altresì conto che il suo tentativo di organizzare un sistema di sicurezza mediterraneo, parallelo a quello atlantico, sia forse prematuro. E che si sia arreso facilmente alla considerazione, che indubbiamente gli sarà stata fatta, che, sin che duri la gestazione necessariamente laboriosa del Patto atlantico, è intempestivo e quasi certamente rischioso mettere altra carne sul fuoco. Ma che egli tenga, ciò nonostante, a porre quel problema sin da ora e nei termini più pressanti dinnanzi all'opinione, mosso dal timore che, una volta concluso il Patto atlantico, le cose possano restare come stanno e rimanere dunque sino a un certo punto pericolosamente scoperta questa zona europea e asiatica di cui il suo paese fa parte.

Naturalmente io non so ancora, Sadak essendo tuttora assente, quali assicurazioni egli possa avere ottenuto in proposito e se ne ha effettivamente ottenute. Mi par tuttavia probabile che egli possa aver per avventura ottenuto un qualche affidamento concreto dal Governo britannico e personalmente da Bevin. Presso il quale è andato infatti in questi giorni anche Tsaldaris a battere sullo stesso chiodo. L'Inghilterra è legata alla Turchia da un trattato di alleanza in pieno vigore, che, come quello atlantico, ha carattere difensivo. Niente dunque di più probabile che il Sadak abbia cercato di stabilire un nesso fra i due sistemi e di meglio definire la posizione della Turchia, in rapporto a quell'alleanza, dinnanzi ai crescenti impegni che la Gran Bretagna va progressivamente assumendo. Né parrebbe d'altra parte da scartare l'idea che il Governo britannico possa dal canto suo, dopo il Patto atlantico, aver in mente un sistema di sicurezza mediterraneo che valga, oltre che ad allacciare i due patti, sia ad affiancare l'alleanza anglo-turca, inserendola in un quadro più vasto, sia, insieme, a incapsulare Stati arabi e Israele, e, probabilmente, anche altri, in una formula di marca e di intonazione prevalentemente inglese.

Sicché è -ripeto -probabile che un qualche incoraggiamento o promessa, sia pure non di realizzazione immediata, possano, da parte di Bevin, esserci effettivamente stati.

Ora io non so quali siano esattamente oggi in proposito le idee americane. Se cioè si persista a Washington a ritener miglior cosa allargare progressivamente e a ragion veduta il Patto atlantico, per fame un vero e proprio sistema di difesa collettiva europeo, piuttosto che incoraggiare patti regionali e «per settori», quali potrebbero essere quelli scandinavo e mediterraneo, per molte ragioni ancora ibridi e malsicuri.

E neanche so quale esattamente sia oggi, alla luce delle più recenti discussioni sul Patto atlantico, l'atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti di una nostra inserzione, a scadenza più o meno breve, in quell'accordo.

È comunque ovvio che tutto dipende in definitiva, in questo come in altri settori, dalle decisioni che l'America riterrà di dover adottare in proposito.

È bene comunque tenere sin da ora presente che l'agitazione per una intesa mediterranea-che è già qui l'argomento del giorno-andrà con ogni probabilità a mano a mano crescendo e che l'Inghilterra può ad un certo momento decidere di incoraggiare e dare un avvio concreto all'iniziativa, concorrendo così a ostacolarci altre strade, che sarebbero per noi le strade diritte 1 .

371

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 498/185. Atene, 22 febbraio 1949 (perv. il JO marzo).

Nel momento conclusivo dei negoziati per il pagamento delle riparazioni italagreche mi permetto sottoporre direttamente a V.E. ancora una volta il mio punto di vista in merito a quello che a me sembra sia, se non l'unico, certo il fondamentale obiettivo da raggiungere.

La trasformazione delle riparazioni italo-greche, in un rapporto utile fra i due paesi, fu il saggio indirizzo subito dato alla liquidazione dell'impegno imposto all'Italia. La ricostruzione della Grecia fu il terreno sul quale unicamente era possibile raggiungere questo scopo e su questo terreno infatti le riparazioni sono già state impostate in forma di prestazioni italiane che dovrebbero trasformare l'odioso pagamento in un rapporto di collaborazione economica su cui basare nell'avvenire la amicizia dei due paesi nella concomitanza dei loro interessi utili.

Ma occorre qui chiarire che «ricostruzione», in Grecia, è sinonimo di «elettrificazione». Dall'elettrificazione discendono l'irrigazione e l'industrializzazione del paese. Senza la elettrificazione nulla sarà fatto in Grecia dove invece tutto è da fare, o da rifare.

Appunto per questo, sin dal primo giorno e prima ancora che si potesse apertamente parlare di riparazioni, ogni mio sforzo qui ad Atene fu rivolto a proporre e caldeggiare la formazione d'una società italo-greca che si assumesse il compito degli studi e della costruzione degli sbarramenti idro-elettrici. Il mio tentativo colpiva talmente nel segno che la reazione dei privati interessi americani da me prevista (mio telespresso n. 371/135 dell'8 febbraio a.c.) 1 fu immediata creandomi delle gravi e complesse diffidenze che fortunatamente al pratico, nell'andare del tempo, anziché

371 1 Non pubblicato.

danneggiare il mio obiettivo, finirono per eccitare e sfociare negli attuali negoziati che perciò a questa luce debbono oggi essere bene vagliati e conclusi ora a Roma.

L'Italia deve ricominciare ex novo la sua politica balcanica. Lo sconvolgimento della guerra, la forma di contatto economico con gli attuali Stati balcanici (tutti, eccetto la Grecia, dietro la cortina di ferro) determinano rapporti che sono completamente da rivedere e sviluppare. La nuova Italia anche per il suo nuovo orientamento deve ricominciare una nuova politica balcanica fondata esclusivamente sulla penetrazione industriale e sulla collaborazione per la valorizzazione di questi paesi ancora industrialmente arretrati e basati su di un'economia prevalentemente agricola.

Per questo nostro futuro e vitale sviluppo credo fermamente che noi dovremmo sin d'ora ancorare fortemente i nostri interessi in Grecia per trasformare questo paese, oggi ancora fuori della cortina di ferro ed in nostro immediato contatto, in una futura base di sviluppo di tutta la nostra politica, da un lato balcanica e dall'altro mediterranea. Trasformare cioè la Grecia, da un paese che può essere domani un nostro legittimo e fastidioso concorrente, in un paese amico sincero e sinceramente interessato in un'associazione economica utile ad entrambi.

Ammesso il concetto che l' «elettrificazione» è il lavoro primordiale della «ricostruzione» greca, è chiaro che l' ottenimento oggi da parte dell'Italia di tutto il complesso dei lavori di sbarramenti idro-elettrici e soprattutto la gestione ad una impresa italagreca delle opere compiute, porterebbe a realizzare l'auspicato nostro ancoraggio economico nel centro vitale della futura economia greca. Si può così in sintesi concludere che l'avere oppure no assegnato i lavori di elettrificazione e la gestione dei medesimi deve essere oggi, se non l'unico, certo il fondamentale scopo del negoziato in corso.

L'ancoraggio dei nostri interessi così prospettato assume un aspetto talmente utile da superare anche l 'alea di quella che in futuro potrà essere la forma di Governo che prevarrà in questo paese. Infatti, così posto il rapporto, si può anche immaginare che, in un cambiamento radicale delle condizioni sociali, una volta che sia stato a noi assegnato il punto di partenza della ricostruzione greca, sempre il paese stesso resterà ormai per lo meno centrato sul lavoro italiano in una concomitanza ed associazione di tutti quelli che potranno essere gli sviluppi della nostra politica balcanica.

D'altra parte i greci sono alquanto sospettosi. Per un complesso di inferioritàd'altronde ben comprensibile -dubitano che sia sincero il nostro desiderio di collaborare con loro e sempre sospettano che si voglia invece su di essi prevalere. È questa la difficoltà che io mi sono sforzato di segnalare con i numerosi miei telegrammi perché evidentemente in questa naturale tendenza greca interferisce il giuoco di cospicui e numerosi interessi concorrenti nel campo pubblico e privato internazionale.

Gli inglesi hanno interesse a vendere in Grecia il loro carbone e tenere il paese in loro soggezione. Vedono comunque con decisa ostilità ogni rapporto che si solidifichi fuori della loro diretta sfera di predominio. Specie in questo difficilissimo momento della politica balcanica che solo gli inglesi stanno trattando, forse anche con lodevole intuizione, ma che, secondo loro, non ammette deviazioni alla loro preminenza.

Il Belgio ha interesse a vendere ferro che con l'elettrificazione della Grecia sarà prodotto invece sul luogo. L'Olanda e molti altri paesi hanno interesse ad esportare minerali grezzi che le nuove industrie greche sfrutterebbero direttamente. Gli americani, essendo direttamente presenti con le loro imprese private, non hanno la possibilità d'impedire a queste il vecchio giuoco monopolista.

Tutti questi interessi e l'influsso delle loro naturali reazioni fa sì che ci si trovi oggi di fronte ad un Doxiadis spaventato non foss' altro dagli attacchi che da questi interessi possono venirgli e di fronte ad un Governo greco timoroso delle ripercussioni che purtroppo il malato nazionalismo greco può soffrire sotto l'eccitazione e sotto la sferza degli interessi concorrenti su accennati.

La mia opera costante è stata quella di persuadere il Governo greco della nostra buona fede e della concomitanza assoluta oggi degli interessi politici ed economici italo-greci in un immediato futuro programma balcanico; senza parlare di quello mediterraneo nei suoi maggiori e lontani sviluppi. Credo di aver ottenuto l'ottenibile sull'animo di Stefanopulos e anche di Pipinelis cioè sull'animo delle persone che maggiormente hanno un peso reale nelle decisioni che dovranno essere prese, e non nascondo che molte sono state le difficoltà contingenti ed è perciò che ho ritenuto mio dovere scrivere a V.E. queste poche righe perché a Roma la nostra delegazione abbia davanti a sé ben chiaro l'obiettivo della «elettrificazione». A mio modesto avviso questo obiettivo appare fondamentale in tutto il rapporto, tanto da farmi dire che, se non fosse realizzabile a nostro favore, non varrebbe la pena di giungere tanto presto ad una conclusione delle molte e molto spinose questioni secondarie che sono oggi nel negoziato globale e per le quali prevedo numerose ed assai fastidiose difficoltà che indubbiamente avveleneranno i rapporti fra i due paesi se non vi sarà il grosso premio che metta tutto il resto fuori questione.

370 1 Per la risposta vedi D. 429.

372

IL MINISTRO A BUCAREST, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 306/142. Bucarest, 22febbraio 1949 (perv. il 28).

Il reggente di questa nunziatura apostolica mi ha ieri comunicato, in via confidenziale, che le autorità romene hanno rifiutato il visto di ritorno in Romania al segretario della nunziatura mons. Kirk, il quale doveva recarsi in Austria. Le stesse autorità non hanno dato alcuna plausibile spiegazione di questo loro rifiuto, pretendendo che mons. Kirk avrebbe potuto ottenere a Vienna il suo visto di ritorno in Romania.

Alle obiezioni e insistenze mossegli da parte dell'uditore della nunziatura, mons. del Mestri, il capo del Protocollo di questo Ministero degli esteri ha, tuttavia, ammesso che sussistevano motivi «personali» per non concedere il visto richiesto. In realtà è da pensare che il Governo romeno, senza voler fare una domanda formale di richiamo, come di «persona non grata», per mons. Kirk, che personalmente non ha mai svolta un'attività di particolare rilievo, si riprometta, attraverso siffatti espedienti, di alleggerire progressivamente il personale, peraltro non molto numeroso, della nunziatura di Bucarest. Come è noto, già da tempo la rappresentanza romena presso il Vaticano ha cessato praticamente di funzionare.

Il reggente della nunziatura non nasconde la preoccupazione di questo nuovo atto di ostilità contro la nunziatura che si inquadra nella nota politica religiosa del Governo romeno, particolarmente rivolta contro la Chiesa cattolica. Egli non nutre alcuna illusione sull'avvenire e ritiene che, se non si è ancora giunti alla completa e aperta rottura dei rapporti diplomatici tra la Romania e la Santa Sede, ciò sia dovuto esclusivamente al fatto che è ancora in corso di approntamento, da parte delle gerarchie cattoliche romene, il regolamento organico della Chiesa cattolica in Romania, richiesto dalla recente legge sui culti. Per la preparazione di tale «statuto» è ancora necessario il concorso della nunziatura.

Un primo statuto era già stato presentato dai vescovi ai competenti organi governativi, ma venne respinto perché conteneva materia attinente ai dogmi (infallibilità del Papa, primato della Cattedra di Pietro ecc.). Il Governo pretenderebbe, invece, che lo statuto si riferisca esclusivamente a questioni di carattere organizzativo e amministrativo. Secondo il reggente della nunziatura tali pretese che non hanno un carattere soltanto formale, ma toccano le fondamenta stesse della Chiesa cattolica, sono inaccettabili.

I vescovi cattolici stanno preparando una risposta per queste Autorità e non è escluso che il tenore di questa possa condurre a uno stadio più acuto i già tesi rapporti tra la Chiesa cattolica e l'attuale regime romeno.

373

IL MINISTRO A L'AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 83/3. Port au Prince 1 , 22 febbraio 1949 (perv. 1'8 marzo).

Nel corso di una conversazione avuta con questo nunzio apostolico, mons. Pacini, ho appreso che, similmente a quanto ha fatto mons. Taffi, nunzio apostolico all'Avana, egli ha compiuto un passo presso il ministro degli affari esteri signor Brutus per appoggiare le nostre richieste in merito alle colonie italiane.

Questo rappresentante papale, molto legato al nostro paese, ha svolto efficacemente presso il ministro Brutus quei concetti che hanno fatto oggetto sopratutto del nostro ultimo promemoria sopra l'Eritrea2 .

Mons. Pacini mi ha detto però che non ha ricevuto alcuna assicurazione che il Governo haitiano appoggerà la nostra tesi, per motivi d'indole generale e cioè di fratellanza delle genti di colore, ma tutt'al più si asterrà allorquando si presenterà l'occasione di dover prendere parte a un voto in seno all'Assemblea delle Nazioni Unite.

Da parte mia alla prima occasione intratterrò sullo stesso argomento questo ministro degli affari esteri e mi riservo di riferire in merito.

2 Vedi D. 51.

373 1 Fecia di Cossato era accreditato anche ad Haiti.

374

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 1392/981 . Roma, 23febbraio 1949, ore 22.

Suo te l espresso urgente n. 068 del 21 corrente2 .

In relazione colloquio Acheson-Tarchiani (mio telegramma n. 93)3 e nell'ipotesi che Governo americano abbia veramente intenzione invitare prossimamente Norvegia lasciando insoluta posizione Italia V.E. dovrà rilevare costì che ciò può seriamente compromettere prestigio ed autorità del Governo di fronte all'opposizione comunista. Ciò si comprenderà a Parigi molto meglio che altrove.

È bensì vero che noi non abbiamo mai fatto questione momento adesione. Ma è da temere che nostra opinione pubblica, trovando incomprensibile differente trattamento tra Italia e Norvegia, ne attribuirebbe motivo a disinteresse per nostra posizione strategica e sorte paese colla conseguenza che ho detto sopra e che occorre ad ogni costo evitare.

Abbiamo fortemente fatto valere queste considerazioni ponendo ciascuno di fronte proprie responsabilità anche a Londra, Bruxelles e l'Aja (telespresso urgente

n. 374/c. del 20 u.s.)4 . Sarebbe perciò indispensabile, ove si decidesse sin da ora adesione Norvegia, almeno menzionare senza equivoci Italia quale Stato che sarà prossimamente invitato aderire.

Lo dica costà e aggiunga che argomenti di questo genere, in questa fase trattative, possono essere sostenuti a Washington, in sede e modo veramente efficaci, soltanto da Bonnet. Saremmo pertanto molto grati al Governo francese se volesse fargli pervenire istruzioni in questo senso5 .

375

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 420/172. Bruxelles, 23 febbraio 1949 1•

È pervenuto a Bruxelles un lungo rapporto dell'ambasciatore a Washington che riferisce circa le conversazioni avute di recente col segretario di Stato Acheson e

L' Aja, per i quali vedi DD. 361 e 362. Per il telespr. 374/c. vedi D. 361, nota 3. 5 Per la risposta vedi D. 382. 375 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

comunica anche lo schema di progetto del Patto dell'Atlantico del Nord. Non è facile poter indicare quale sia l'impressione e la reazione avutasi qui perché il documento è pel momento conosciuto soltanto dal ministro Spaak e dal segretario generale de Gruben, e gli uffici non ne hanno avuto ancora conoscenza. Da una conversazione avuta col barone de Gruben, ho tuttavia tratto l'impressione che i termini della clausola relativa all'obbligo di assistenza siano apparsi invero troppo vaghi e poco impegnativi e che sia intenzione di questo Governo di far presente la necessità di trovare una formula che, pur tenendo conto delle obiezioni e delle suscettibilità del Senato nord-americano, riesca nello stesso tempo di maggiore soddisfazione alla inquieta aspettativa dei paesi europei. De Gruben mi ha infatti detto che la soverchia pubblicità data alle conversazioni in corso ha generato confusione ed inquietudine nell'opinione pubblica in Europa; i giornali si sbizzarriscono a torto intorno alle formule ed alle parole, esagerano e drammatizzano l 'atteggiamento di alcuni circoli politici americani, mentre l'opinione pubblica è ormai abbagliata dall'aggettivo «automatico» e tende a credere che senza di esso non vi sia salvezza, ossia venga a mancare un effettivo impegno di tempestiva assistenza. «Automatiche» sono le macchine -egli ha continuato -le quali si muovono e si fermano secondo principi meccanici prestabiliti, ma automatici non possono essere gli uomini né gli accordi stipulati dagli uomini; l'esecuzione di ogni accordo bilaterale presuppone una precisa manifestazione di volontà da parte sia dell'una sia dell'altra parte contraente; si possono escogitare tutte le formule più solenni ed impegnative di garanzia e di assistenza, ma resterà sempre alla decisione unilaterale dello Stato garante lo stabilire se si sia o meno verificato il casus foederis, ed esso [sia] tenuto quindi a prestare assistenza. Il segretario generale ha concluso che non sono le formule che contano, ma le intenzioni, e certamente l'atteggiamento dell'America è fermissimo. Il Governo belga ne è convinto, ma ritiene opportuno che anche l'opinione pubblica sia meglio illuminata. Il progetto pervenuto da Washington forma ora oggetto di uno scambio di idee con gli altri Governi delle cinque potenze di Bruxelles, scambio di idee che ha luogo nella sua sede naturale ossia in seno al Comitato permanente di Londra.

Avendo io chiesto a de Gruben se avesse notizie circa il definitivo atteggiamento della Norvegia, egli mi ha risposto che la Norvegia ha trattato direttamente con Washington, dove è il centro e la direzione delle conversazioni e non sempre gli altri Governi sono tenuti sollecitamente al corrente. Il caso della Norvegia dimostra l'inconveniente di aver voluto allargare la zona geografica che dovrebbe essere coperta dal Patto atlantico; sono sorti nuovi problemi e nuove difficoltà; le conversazioni avevano proceduto con soddisfacente sollecitudine e con la necessaria riservatezza fintanto erano state limitate alle cinque potenze del Patto di Bruxelles, ora invece la discussione è stata trasportata nella stampa e nei Parlamenti; l'opinione pubblica è disorientata ed il ritardo della firma del Patto lascia purtroppo il campo libero alle polemiche ed alle manovre di quanti, all'interno ed all'esterno, hanno interesse ad ostacolare l'organizzazione della politica difensiva perseguita dalle potenze occidentali. De Gruben ritiene che dovranno trascorrere ancora diverse settimane prima che si possano superare le difficoltà e giungere alla firma.

Circa la recente breve visita a Bruxelles del ministro degli affari esteri di Turchia signor Sadak non ho potuto avere informazioni dirette, ma ho appreso che egli ha dichiarato che la sua visita a Bruxelles, ed anche a Londra, non doveva significare la presentazione di progetti e proposte ma aveva invece piuttosto scopo di informazione e di orientamento. Sadak è stato ricevuto in udienza dal ministro Spaak e si è intrattenuto pure con questo ambasciatore d'America e col ministro di Grecia.

Egli ha accennato che non aveva intenzione di sollecitare l'accessione della Turchia al Patto atlantico, essendo ormai chiaro che quel patto dovrà riferirsi ad una zona nettamente delimitata; la Turchia essendo lontana da quel mare, ricerca invece altre stipulazioni che garantiscano la zona geografica che la interessa. Come gli altri Stati del Nord hanno esaminato la possibilità di un patto scandinavo, le potenze meridionali devono studiare l'organizzazione di un patto mediterraneo; il ministro non ha tuttavia precisato quali Stati dovrebbero a suo avviso partecipare al patto: mi si dice che talora egli abbia parlato di un accordo fra gli Stati del Mediterraneo «orientale» esteso peraltro anche agli Stati arabi dell'Asia Minore, ed eventualmente anche all'Iran, talaltra abbia lasciato intendere che perché il patto possa avere effettiva consistenza dovrebbero parteciparvi anche le grandi potenze mediterranee: la Gran Bretagna, la Francia e l'Italia.

Il signor Sadak avrebbe insistito nel ripetere che l'organizzazione della pace in Europa è indissolubile: Patto atlantico, patto scandinavo, patto mediterraneo dovrebbero essere agganciati l'uno ali' altro e costituire tre maglie della stessa catena, destinate a riunire tutte le forze di tutte le potenze democratiche ed amiche della pace.

374 1 Ritrasmesso a Bruxelles, Londra, Washington, L'Aja e Ottawa con T. 1400/c. del 24 febbraio. 2 Vedi D. 363. 3 Vedi D. 332, nota 4. 4 Riferimento errato, si tratta dei telespressi 372/013 per Londra e 373/c. per Bruxelles e

376

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 492/180. Atene, 23 febbraio 19491 .

Telespresso ministeriale n. 3/231/c. del 24 gennaio u.s. 2 .

Tenni, giorni or sono, con questo sottosegretario permanente agli esteri, Pipinelis, il linguaggio da codesto Ministero indicatomi col succitato telespresso concernente le nostre giuste rivendicazioni coloniali.

Prospettai grosso modo a Pipinelis l 'indirizzo della nostra politica coloniale, specie nei riguardi della Tripolitania, mirante alla fusione degli interessi locali italiani ed indigeni in un sistema di collaborazione a base della futura formazione d'un vero e proprio Stato italo-arabo, di cui fosse affidata all'Italia la nascita e la crescita, nel quadro politico del! 'Eurafrica.

Pipinelis -nulla potendo obiettare a quanto gli esponevo come armonico corollario del piano Marshall e della ricostruzione di una Europa unita -con mia sorpresa mi confidò che gli inglesi, anche di recente, gli avevano detto di essere convinti che un ritorno in Tripolitania significava per l'Italia la necessità di «sostenere una guerra»! (sic).

2 Vedi D. 100, nota l.

Naturalmente gli chiarii essere questa una tesi di piena malafede. Gli esposi quella che era stata la nostra opera di colonizzazione in Tripolitania dove in alcune industrie gli indigeni erano giunti a vere e proprie forme di partecipazione per cui liberamente accettavano la più parte del salario misurato dal prodotto. Gente che dava perciò prova di amare l'Italia e gli italiani che avevano su di essa compiuta una così perfetta opera di colonizzazione da elevare, sulla base della fiducia, il rapporto di lavoro a forme che sono concepibili soltanto in centri sociali altamente civilizzati.

Ma più di tutti questi argomenti fu mia grande soddisfazione di poter l'indomani comunicare a Pipinelis che nelle elezioni tenute a Tripoli sotto il controllo inglese (la partigianeria del quale era dimostrata non foss'altro dalla scelta, per la votazione, di un giorno di lavoro) la popolazione tripolina aveva votato come proprio sindaco un principe arabo di nazionalità italiana ed ex ufficiale dell'esercito italiano.

A parte lo sgradevole accenno alla tesi malevola degli inglesi, Pipinelis -e questo è interessante-mi confermò l'intenzione del Governo greco di aiutarci nei soliti limiti ad essi consentiti dalla dipendenza inglese e si felicitò della nostra molto opportuna decisione di dare al problema della Libia una soluzione che possa essere accettata e sostenuta dagli stessi Stati arabi. Una tale soluzione stroncherà anche di per se stessa l'induzione inglese che per tornare a convivere con gli arabi occorra all'Italia sostenere la guerra da essi inglesi tanto malevolmente auspicata.

376 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

377

IL MINISTRO A BERNA, REALE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO l/825/285. Berna, 23febbraio 19491•

Seguito al mio rapporto n. l/715 del16 c.m.2 .

Nella seduta del 13 c.m. il Consiglio federale, pur confermando l'autorizzazione già concessa al consigliere Petitpierre per la sua partecipazione alle riunioni dell'O.E.C.E., si dimostrava tutt'altro che unanime al riguardo; per evitare di dare rilievo a tale contrasto, non aveva luogo una votazione e i singoli membri del Consiglio si limitavano ad esprimere il proprio parere.

Il capo del Dipartimento politico, al termine della seduta, rimaneva quindi assai perplesso circa l'opportunità o meno della sua andata a Parigi. Solo nel pomeriggio, dopo essersi consultato col suo principale collaboratore, ministro Zehnder, decideva di partire e dava il via al comunicato ufficiale.

È da ritenersi che un passo effettuato da questo ministro dell'U.R.S.S. abbia incoraggiato l'iniziativa del Petitpierre, per quanto tale affermazione possa apparire paradossale.

2 Non rinvenuto.

Mi risulta infatti che, al suo ritorno da un'assenza di oltre due mesi trascorsi in patria, il signor Koulagenkov ha avuto, pochi giorni prima della partenza di Petitpierre per Parigi, un colloquio col capo della Divisione politica del Dipartimento politico, nel corso del quale egli ha dichiarato che l'U.R.S.S. annetteva un'importanza del tutto secondaria al fatto che la Confederazione si facesse rappresentare alle riunioni dell'O.E.C.E. dal capo del Dipartimento politico piuttosto che dal proprio ministro a Parigi, in quanto era la stessa adesione elvetica all'Organizzazione di cooperazione economica europea, e non la forma in cui essa si concretava, a costituire una violazione dei principi di neutralità.

Non sembra sia stato qui attribuito alcun peso, nella valutazione dei diversi elementi della situazione, a certe corrispondenze da Londra apparse sulla stampa -fra le quali segnalo una di Michel Clerc sulla Gazette de Lausanne e una di Giorgio Sansa sul Corriere della Sera del 16 c .m. -in cui si accennava alla possibile partecipazione svizzera ali 'Unione Europea e si parlava addirittura di un invito a far parte del Consiglio d'Europa che sarebbe già stato rivolto alla Confederazione. Che peraltro non si sia trattato di pura fantasia giornalistica mi è stato confidenzialmente confermato dal capo della Divisione politica al Dipartimento politico, il quale mi ha detto che tempo fa l 'ambasciatore Massigli chiese esplicitamente al ministro di Svizzera a Londra, de Torrenté, quali sarebbero state le reazioni del Consiglio federale ove gli fosse stato rivolto un invito di adesione all'Unione Europea. De Torrenté dichiarava immediatamente che la risposta sarebbe stata senza dubbio negativa, ma si affrettava a informare del passo di Massigli il Dipartimento politico, il quale gli dava istruzioni di far chiaramente presente al suo collega francese il desiderio del Governo della Confederazione di evitare di doversi pronunziare su una simile questione, dato che la decisione non avrebbe potuto non essere negativa. L'iniziativa di Massigli sarebbe stata deplorata dal Quai d'Orsay, anche perché in contrasto con le assicurazioni date in precedenza da Schuman a Petitpierre.

Forte d eli' approvazione ottenuta, sia pure a maggioranza dai suoi colleghi del Consiglio federale, il capo del Dipartimento politico, malgrado i suesposti motivi di perplessità, si è recato nella capitale francese. Egli ha voluto tuttavia confermare pubblicamente la fedeltà della Svizzera alla sua politica tradizionale, con le dichiarazioni fatte ai rappresentanti della stampa svizzera a Parigi il 19 c.m., dichiarazioni che, oltre a ribadire concetti già noti, costituiscono una replica alle varie voci e interpretazioni, giornalistiche o meno, date alla sua partecipazione ai lavori dell'O.E.C.E. e all'atteggiamento elvetico nei confronti dalla collaborazione europea in generale.

Premesso che egli considerava assai utile il proprio soggiorno a Parigi sia per la possibilità che esso gli offriva di prendere contatto personale con diversi uomini di Stato stranieri, sia per le dirette informazioni e impressioni che egli aveva potuto trarre nel corso delle sedute, Petitpierre ha affermato che gli interessi svizzeri non erano stati minacciati in alcun momento della Conferenza, né da vicino né da lontano.

La partecipazione di un rappresentante a un convegno internazionale -ha proseguito il capo del Dipartimento politico -offre il vantaggio essenziale di consentire allo stesso rappresentante di esporre a un uditorio particolarmente attento e preparato i principi direttivi della politica della Confederazione e di sottolineare, ove occorra, i caratteri tradizionali di tale politica che rimane fondata sul rispetto della neutralità. «Negli ultimi quattro anni-egli ha soggiunto -una felice evoluzione si è verificata nel mondo, in favore della posizione di neutralità sostenuta da certi Stati e dalla Svizzera in particolare».

I lavori dell'O.E.C.E. sono stati fruttuosi-ha detto Petitpierre-ma il compito che resta da assolvere è ben pesante e il Comitato consultivo, nella prossima sessione, dovrà preoccuparsi di esaminare il programma a lungo termine preparato alla fine dello scorso anno.

Egli ha successivamente posto in rilievo, come molto interessante dal punto di vista svizzero, il fatto che il Comitato consultivo si sia preoccupato di precisare la portata delle proprie attribuzioni e in modo speciale di escludere che vi fosse l'intenzione di trasformarlo in un «Governo economico europeo». «Finché pertanto tale organismo non supererà i limiti delle sue competenze, la Svizzera continuerà a prestare ad esso il suo concorso». La funzione del Consiglio, ha proseguito Petitpierre, è essenzialmente di conciliare i punti di vista economici dei diversi paesi partecipanti. In tutta oggettività, non si può formulare l'ipotesi di una maggioranza di Stati che impongano le loro particolari concezioni economiche a una minoranza dissenziente. In pratica, è inconcepibile l'eventualità che la Svizzera, fedele ai principi della libera impresa, sia obbligata dal giuoco di un voto ad aderire a una politica «dirigista».

Interrogato circa la posizione del Consiglio federale nei confronti del programma a lungo termine del piano Marshall, Petitpterre ha risposto:«Una collaborazione veramente efficace potrà essere realizzata solo quando certe condizioni preliminari verranno soddisfatte sul piano nazionale e particolarmente per quanto concerne le questioni monetarie. Del resto, il Consiglio federale esamina attentamente il problema».

In merito, infine, all'atteggiamento svizzero nei riguardi dell'Unione Europea, il capo del Dipartimento politico ha dichiarato: «Penso che la Svizzera debba rimanere al di fuori di qualsiasi alleanza di carattere militare e politico, limitandosi a una "partecipazione economica". Noi dobbiamo essere molto prudenti e riservati. L'Unione Europea si presenta sotto l'aspetto di una impresa di lungo respiro che deve inizialmente svilupparsi attraverso delle iniziative private».

Egli non poteva, senza dubbio, esprimersi con maggiore circospezione. Sarà comunque interessante accertare -ciò che mi riservo di fare -le reazioni che si verificheranno in seno alla Commissione degli affari esteri del Consiglio nazionale, alla quale egli dovrà riferire il 6 marzo p. v. circa le riunioni di Parigi.

Non privo di significato appare un commento dell'agenzia Exchange Telegraph alle dichiarazioni di Petitpierre a Parigi, che è stato pubblicato ieri da alcuni giornali della Confederazione. Premesso che, nel momento attuale, l'atteggiamento svizzero di rigida neutralità è ovvio ed ha la sua concreta giustificazione nell'assenza di frontiere comuni con l'U.R.S.S., la nota prosegue rilevando che tuttavia l'esercito russo si trova in Germania e in Austria e che pertanto, mentre oggi la Svizzera non è compresa nei piani strategici di difesa dell'Unione Occidentale, non è da escludersi che essa lo sia in futuro, secondo quelli che saranno i risultati delle trattative in corso per la pace con l'Austria.

3 77 1 Copia priva de li 'indicazione della data di arrivo.

378

IL MINISTRO A BERNA, REALE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 11836/286. Berna, 2 3 febbraio 194 91•

Mio rapporto n. 11825/285 del23 c.m.2•

L'agenzia telegrafica svizzera pubblica oggi, per sommi capi, un'intervista concessa da Petitpierre, il 22 c.m., al Le Monde di Parigi. Essa verte sui motivi che ispirano e giustificano la politica di neutralità della Confederazione.

«La Svizzera -ha detto il capo del Dipartimento politico -non segue solamente una tradizione profondamente radicata allorché essa vuole rimanere neutrale. Essa crede di rendere, con tale suo atteggiamento, un servizio all'Europa e alla pace. Nelle attuali condizioni del mondo non è forse preferibile che sussistano in Europa alcuni Stati neutrali, in modo che il nostro continente non appaia nettamente diviso in due campi? Ne potrebbe conseguire una certa distensione».

Petitpierre ha poi affermato che la neutralità impediva alla Svizzera di aderire alle Nazioni Unite.

Essendogli stato obiettato che la Svezia, pur tenendo a rimanere neutrale, faceva parte dell'ON.U., egli ha risposto che la situazione dei due paesi non era del tutto identica, soggiungendo: «Per noi esiste una questione di principio e tutta la nostra storia, fin dall'origine della Confederazione, e la composizione linguistica e razziale del nostro popolo, formato da tre nazionalità, ci impongono tale atteggiamento».

Richiesto della sua opinione sulla partecipazione elvetica alle organizzazioni europee, egli ha detto:«Noi non crediamo alla possibilità di un'unione doganale europea, non più che a un super Governo, sia pure economico, dell'Europa. Pensiamo invece che tutti i popoli possono volontariamente collaborare e che l'America può soccorrerli individualmente, aiutarli a equilibrare la bilancia dei conti, a stabilizzare la loro moneta, ecc.».

Petitpierre ha dichiarate infine che la Svizzera non prenderebbe parte a un Parlamento europeo.

Rientrato a Bema, il capo del Dipartimento politico ha riferito, il 22 c.m., al Consiglio federale circa l'attività da lui svolta a Parigi. Nel pomeriggio dello stesso giorno ha tenuto una conferenza stampa, nella quale ha sostanzialmente ribadito le dichiarazioni fatte ai giornalisti svizzeri nella capitale francese il 19 c.m. (Vedi telespresso in riferimento).

Premesso che il suo viaggio a Parigi non è senza precedenti, poiché già in passato, negli anni dal 1919 al 1926, dei consiglieri federali erano intervenuti, in rappresentanza ufficiale della Confederazione, a convegni internazionali all'estero, Petitpierre ha sottolineato come, negli ultimi anni, si sia accentuata la tendenza degli uomini di Governo di diversi paesi a stabilire dei contatti diretti, contatti che, come

2 Vedi D. 377.

egli stesso aveva potuto constatare, offrono più vantaggi che inconvenienti. Comunque -ha soggiunto -nessuna pressione era stata esercitata per indurlo a recarsi alle riunioni dell'O.E.C.E. e l'invito rivoltogli era stato liberamente accettato.

Dopo aver espresso la sua soddisfazione per le sue conversazioni parigine, egli ha affermato che, nel corso delle sedute, sono state trattate unicamente delle questioni economiche di interesse generale, senza che si siano manifestate delle «tendenze imperialiste». I rappresentanti dei piccoli Stati hanno potuto manifestare il loro punto di vista senza mai riportare l'impressione che gli esponenti delle grandi potenze volessero costringerli a condividere la loro opinione.

Si è parlato -ha continuato Petitpierre -di un eventuale allargamento degli scopi dell'organizzazione, ma ha prevalso la tendenza che vuole limitare tali obiettivi al campo puramente economico. Nessun accenno vi è stato alla formazione di un «blocco economico europeo», sotto una direzione centralizzata, ma è invece emerso il proposito di coordinare finché possibile i programmi economici nazionali.

Il capo del Dipartimento politico ha poi qualificato come «ragionevoli» i principii contenuti nella risoluzione adottata a Parigi per la prosecuzione dell'attività dell'organizzazione. Circa il nuovo organo -e cioè il Comitato dei ministri -che dovrà riunirsi il 4 marzo p.v., egli ha detto di non poter affermare se la Svizzera vi parteciperà o meno; il Consiglio federale dovrà pronunziarsi al riguardo. Ad ogni modo, egli ha concluso, non sembra che la neutralità elvetica debba essere posta in discussione, poiché anzi essa incontra «molta comprensione».

Per quanto esse non contengano alcun elemento nuovo, le su esposte dichiarazioni appaiono, nei confronti di quelle anteriori, ancor più scrupolosamente aderenti ai principii tradizionali della politica estera elvetica. Dati i contrasti che hanno preceduto il suo viaggio a Parigi, Petitpierre ha voluto, anche di fronte alla pubblica opinione, dimostrare di avere le carte in regola.

378 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

379

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 415/257. Sofia, 23 febbraio 1949 (perv. il 4 marzo).

Riferimento: Mio rapporto n. 358/216 del16 corrente1•

Da questa stampa è stato pubblicato il testo del progetto di legge per la regolamentazione dei culti approvato dal Consiglio dei ministri e che è stato in questi ultimi giorni presentato alla Grande Assemblea nazionale dal ministro degli affari esteri, Vasil Kolarov (dal cui dicastero, come noto, dipendono anche le questioni riguardanti i culti).

Dal punto di vista formale la legge non è che un'applicazione dell'art. 78 della Costituzione il quale, dopo aver proclamato i principi generali della libertà di coscienza e di culto, del libero esercizio dei riti religiosi e della separazione della Chiesa dallo Stato, prevede che una legge speciale regoli la situazione giuridica nonché le questioni riguardati il mantenimento materiale ed il diritto di libera organizzazione interna e di autonomia delle varie comunità religiose.

In una relazione che il ministro Kolarov premette al progetto ne sono esposti i principi fondamentali. Dalla stessa relazione si rivela però chiaramente come in realtà non è sulla base del principio della separazione della Chiesa dallo Stato e dell'autonomia delle comunità religiose che la legge è stata redatta, ma su quello che la Chiesa dipende dallo Stato, deve servire lo Stato e svilupparsi sulla stessa linea secondo la quale si sviluppa lo Stato. Dice infatti Kolarov che la legge proposta mira a creare le condizioni per lo sviluppo democratico della Chiesa e che essa rende obiettivamente possibile che la Chiesa serva al popolo e allo Stato bulgaro. È il principio dell'instrumentum regni che viene così sostanzialmente stabilito; viene creato un nuovo cesaropapismo di marca comunista, in cui l'effettivo regolatore supremo delle chiese viene ad essere il Governo e per esso il ministro degli affari esteri.

Dali' esame dei singoli articoli del progetto, si può anzitutto rilevare l'estensione di tale interferenza dello Stato nell'attività delle chiese. Così, mentre si dice che alle chiese si lascia la libertà di governarsi secondo i propri canoni, dogmi e ordinamenti, di fatto si afferma poi che tali canoni, dogmi e ordinamenti non possono essere in contraddizione con «le leggi, l'ordine sociale ed i buoni costumi» (art. 5) e che le pene disciplinari disposte secondo i canoni religiosi sono, in caso di analoga contraddizione, nulle (art. 12).

Ma in altri articoli l'interferenza dello Stato è ben più diretta. Così per lo Statuto delle confessioni religiose che deve essere approvato dal ministro degli esteri (solo allora la confessione ha personalità giuridica) (artt. 6 e 32). Così per l'entrata in funzione, il licenziamento, il trasferimento di membri del clero per cui deve esservi il nulla osta o la conferma del ministro degli affari esteri (art. 9); e questi può anche sospendere

o licenziare i membri del clero (art. 13). Al ministro degli esteri devono essere inviati i bilanci delle varie confessioni (art. 14); solo col suo permesso possono essere aperti seminari e inviati giovani a studiare in istituti religiosi all'estero (art. 15); presso il Ministero degli affari esteri devono essere registrati gli organi direttivi centrali delle confessioni religiose (art. 17); soltanto previa autorizzazione del ministro degli affari esteri le comunità religiose possono ricevere materiali e doni dall'estero (art. 26); ecc. Inoltredisposizione di ancor maggiore conseguenza -devono essere inviate preventivamente e tempestivamente al ministro degli affari esteri messaggi, istruzioni ed altre pubblicazioni di importanza pubblica ed egli può impedirne la diffusione (art. 16). Di particolare gravità per la Chiesa cattolica appare poi l'articolo secondo cui le confessioni possono mantenere rapporti con enti o personalità ufficiali «aventi sede o domicilio fuori dei confini del paese soltanto previa decisione del ministro degli affari esteri» (art. 24): la portata dell'articolo potrà in pratica variare se le decisioni del ministro siano o meno (come tuttavia è improbabile) date per ogni singolo atto.

Altre limitazioni all'attività delle confessioni religiose sono le seguenti. I sacerdoti e funzionari di qualsiasi confessione possono essere soltanto cittadini bulgari «<nesti e morali» e non privati dei diritti (art. l O); le confessioni non possono aprire ospedali, orfanotrofi, e «altre simili» istituzioni (art. 22); i credenti non possono essere privati «sotto nessun pretesto» dei riti religiosi (art. 23); comunità religiose, ordini, congregazioni, missioni che hanno la loro sede all'estero non possono aprire proprie «suddivisioni» in Bulgaria (art. 25). Ma sembra sopratutto colpire la missione morale della Chiesa la disposizione (art. 21) con cui si esclude «dalla sfera di attività» delle confessioni religiose e dei suoi ministri «l'educazione e l'organizzazione dei bambini e della gioventù» la quale si fa invece sotto la speciale cura dello Stato.

Dal punto di vista economico, in contraddizione al principio della separazione della Chiesa dallo Stato, si dice che l'attività finanziaria delle confessioni sottostà al controllo degli organi dello Stato e che il bilancio deve essere inviato in visione al ministro degli affari esteri (art. 14). D'altra parte, in caso di bisogno, lo Stato può dare alle comunità religiose dei sussidi per il loro mantenimento (stesso articolo): evidentemente così il Governo non ha voluto privarsi dell'arma economica per eventuali pressioni sulle chiese. Le confessioni sono però, dal punto di vista economico, seriamente colpite dai succitati articoli 22 e 25, che dispongono la nazionalizzazione dei beni rispettivamente degli ospedali, orfanotrofi, ecc. e delle comunità religiose, ordini, congregazioni, missioni, ecc., soppressi in base agli articoli stessi.

Una posizione speciale viene fatta dal progetto di legge alla Chiesa ortodossa bulgara, chiamata «la confessione tradizionale del popolo bulgaro, collegata con la sua storia e, che, come tale, per forma, contenuto e spirito, può essere chiesa popolare democratica» (art. 3).

Evidentemente il Governo prevede che la Chiesa ortodossa bulgara essendo interamente sotto la sua giurisdizione diretta possa rapidamente trasformarsi in un attivo strumento del regime. Le altre comunità religiose hanno tutte sostegni, legami e ispirazioni dall'estero, che la legge proposta cerca di allentare quanto più possibile; ma la Chiesa bulgara isolata può subire in pieno l'influenza dello Stato e dovrà divenirne sostanzialmente un suo organo, e l'auspicio che nel congresso dei sacerdoti ortodossi dello scorso anno faceva il direttore dei Culti ministro Iliev (vedi mio rapporto n. 2616/1531 del 15 ottobre u.s.) 2 viene ora più autorevolmente dalla stessa legge proposto: la Chiesa ortodossa può essere «Chiesa popolare democratica».

Nei riguardi di tale progetto si sono già pronunciati il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa bulgara e i vescovi cattolici.

Del Santo Sinodo sono state pubblicate dichiarazioni piuttosto prudenti che mettono in rilievo soltanto i lati favorevoli della legge. Si sottolinea così che alla Chiesa ortodossa bulgara viene riconosciuta una particolare posizione. Ma poi, con evidenti reticenze, si dice che è assicurata alla Chiesa «la libertà nella sua organizzazione interna» che vi è «libertà di culto». Silenzio nella dichiarazione su tutte le disposizioni che limitano e ostacolano gravemente l'attività della Chiesa; il che fa prevedere debole, se pur si verificherà, la reazione della Chiesa ortodossa alle disposizioni stesse.

Osservazioni al progetto di legge sono state invece già presentate dai vescovi cattolici in Bulgaria (Ivan Romanov, vescovo di Sofia-Filippopoli, Evgheni Bossilkov, vescovo di Nicopoli e lvan Garufalov, esarca apostolico per i cattolici di rito bulgaro) al presidente della G.A.N.

Secondo informazioni confidenziali, tali vescovi nel preambolo del loro esposto affermano recisamente che il progetto «contiene diverse limitazioni alla libertà di confessione ed è in contrasto con il diritto canonico». Se pertanto tale legge sarà accettata dall'Assemblea nazionale nell'attuale sua redazione «la Chiesa cattolica sarà messa in condizione penosa».

In particolare si fanno nell'esposto obbiezioni ai seguenti articoli:

art. 9: si considera contrario ai canoni della Chiesa l'intervento del ministro degli affari esteri per la nomina, promozioni e trasferimenti del clero inferiore di competenza dei vescovi;

art. 12: si obbietta contro la nullità disposta per le pene disciplinari ecclesiastiche qualora esse contraddicano le leggi, l'ordine sociale e i buoni costumi;

art. 16: si considera che tale articolo (che prevede il controllo del ministro degli affari esteri sui messaggi, ecc., dei vescovi ai fedeli) limiti il diritto del vescovo di insegnare ai fedeli liberamente e senza ostacoli;

art. 21: qui il tono della protesta dei vescovi è particolarmente energico. Essi insorgono con forza contro la disposizione del progetto che priverebbe la Chiesa di educare la gioventù «nella morale e nella verità della dottrina di Cristo». L'esposto spiega che «la religione non consiste soltanto in riti, cerimonie, e processioni, ma nelle verità dogmatiche e nelle norme morali della vita. Dal momento che la Chiesa non ha il diritto di educare la generazione crescente in questa verità e nelle leggi morali, non c'è libertà di religione. La Chiesa è privata dei futuri membri credenti e seguaci. Con questo articolo si dà un colpo mortale al futuro della Chiesa e alla libertà delle confessioni». È da rilevare come, con tale alta protesta, i vescovi cattolici difendono l'insegnamento religioso cristiano della gioventù da un punto di vista generale, sostituendosi anche in certo modo alla carenza degli esponenti della Chiesa ortodossa, che in altre occasioni hanno anzi dimostrato di non voler o sapersi opporre agl'intendimenti del Governo in tale materia (vedi miei rapporti n. 2821/1646 del 6 novembre u.s. e n. 2617/1531 del 15 ottobre u.sY;

art. 22: l'esposto afferma che l'appropriazione di beni ecclesiastici cattolici da parte dello Stato costituirebbe una violazione dei canoni che dispongono che il regolatore supremo di tutti i beni ecclesiastici di tutto il mondo è il Pontefice romano;

art. 23: questo articolo viene considerato assolutamente inaccettabile in quanto la Chiesa cattolica ha il suo diritto penale ed essa dispone a chi non possano essere concessi i Sacramenti;

art. 24: la disposizione secondo la quale soltanto con la previa decisione del ministro degli esteri le comunità religiose possano avere rapporti fuori dei confini del paese viene detta essere in pieno contrasto con l'organizzazione della Chiesa cattolica che ha un governo centrale nella Santa Sede. Nell'esposto si fa presente che tra le comunicazioni con la Santa Sede vi sono anche quelle relative al Sacramento della confessione il cui segreto «non può essere rivelato a nessuno».

L'esposto esprime quindi la speranza che la legge sarà riveduta e che saranno tolti gli articoli e paragrafi che contrastano con i canoni della Chiesa cattolica e conclude con parole di ossequio e con auguri «per il bene della nostra Repubblica popolare bulgara».

Può notarsi come nell'esposto dei vescovi cattolici si sia sorvolato su articoli, pur gravi, ma la cui portata non è chiara come quello relativo alla prestazione di un giuramento di fedeltà alla Repubblica popolare (la formula potrebbe essere accettabile) ed al divieto per confessioni, ordini, missioni, congregazioni, ecc., che hanno sede all'estero di aprire in Bulgaria loro «suddivisioni» (l'organizzazione locale potrebbe venire considerata autonoma). Del resto nell'esposto si fa riserva di ulteriori osservazioni.

Non risulta che per ora le altre confessioni abbiano espresso in maniera ufficiale proprie obbiezioni. Il progetto è attualmente in discussione presso l'Assemblea e mi riservo di riferire su di essa ulteriormente4 .

Allego il testo del progetto con la relativa relazione del ministro degli esteri e le dichiarazioni del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa, come pubblicati sui giornali locali3 .

379 1 Con il quale Guamaschelli aveva comunicato le prime indiscrezioni avute sul progetto di legge per la regolamentazione dei culti qui commentato.

379 2 Non pubblicato.

379 3 Non pubblicati.

380

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 14041100. Roma, 24 febbraio 1949, ore 14,15.

Suo 184 1•

Parlerò Dunn.

Approvo suo linguaggio costì. Ella può aggiungere che i socialisti nostri colleghi sono rimasti tanto impressionati dal fermo atteggiamento norvegese che siamo ora sicuri loro completa adesione nostra politica verso il Patto.

Sorprese non dipendenti da noi potrebbero invece produrre situazioni inattese e penose.

381

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 1405/55. Roma, 2 4 febbraio 194 9, ore 15.

Suo 42 1•

380 1 Vedi D. 360. 381 1 Vedi D. 339.

Nostro memorandum, che risale al 12 gennaio u.s.2 rappresentava prima impostazione problema da servire come base a scambi di vedute. Non abbiamo mai pensato che una risposta americana affermativa punto per punto fosse condizione indispensabile nostra partecipazione, né che nostri suggerimenti dovessero essere precisati in formule giuridiche che Costituzione americana e sviluppo trattative non consentirebbero.

Di fatto, rispondendo a rapporto Tarchiani n. 360/178 del 14 gennaio u.s.3 , specificammo che risposta americana, quale accennata in secondo capoverso detto rapporto trasmessole con telespresso l Ol del 22 gennaio, sarebbe stata considerata da noi soddisfacente.

379 4 Vedi D. 394.

382

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 1751-1752-1754/124-125-126. Parigi, 24 febbraio 1949, ore 13,08 (perv. ore 17).

Schuman, che ho visto prima di ricevere suo telegramma 98 1 , mi ha detto aver telegrafato già sera 22 Bonnet dichiarare a Governo americano che Francia si oppone estensione Patto atlantico Norvegia abbia luogo prima o comunque separatamente da sua estensione Italia: di averlo detto non solo nel nostro interesse ma anche per quello francese. Francia ritiene che estensione Patto solo a Norvegia ne sposterebbe asse troppo verso nord e ciò a scapito interessi difesa Francia. America tiene molto adesione Norvegia; Norvegia da parte sua ha dichiarato che sua adesione Patto insieme ad Italia creerebbe difficoltà politica interna (Schuman attribuisce questo atteggiamento Norvegia parte importante esitazioni Acheson): intervento francese era quindi necessario e opportuno per ristabilire equilibrio.

Mi ha detto avere anche ripetuto che per Governo francese è impossibile aderire Patto atlantico qualora sue disposizioni non si estendano anche ad Algeria: questione Algeria comporta parimenti inevitabilità risoluzione questione italiana.

Secondo Schuman nulla è cambiato circa decisione americana includere Italia Patto atlantico, è soltanto questione momento nostra adesione. Acheson, al momento sua assunzione, ha trovato situazione molto differente da quella che immaginava. Marshall, probabilmente in vista suo stato salute e sua decisione lasciare Dipartimento, non si era affatto occupato Patto atlantico sia su piano estero che su quello interno americano, lasciando tutto nelle mani di Lovett. Questi aveva trascurata preparazione interna e si era limitato parlarne Vandenberg ed anche solo molto linee generali. Acheson si era trovato di fronte caso Connally ed atteggiamento Senato di grande diffidenza di fronte non al principio ma a clausole Patto (ha agito alla Bidault mi ha detto Schuman). Era quindi venuto conclusione che tutto era da rifare dal principio: stava procedendo con abilità e successo, ma teneva a non accumulare difficoltà.

3 Vedi D. 70.

Punto vista francese restava invariato. Schuman conosceva ragioni prestigio per cui noi tenevamo essere nel Patto quali soci fondatori e non escludeva affatto questo fosse ancora possibile; comunque non riteneva, in tutta amicizia, questo fosse cosa essenziale; una volta nel Patto nessuno avrebbe potuto toglierei posto che ci spettava per diritto naturale. Pensava che cose non sarebbero molto cambiate se Patto fosse stato firmato all'inizio solo a sette, con accessione altri, fra cui Italia due o tre settimane dopo. Ma se si intendeva estendere Patto fin dal suo inizio ad altri fra questi doveva essere anche Italia.

Gli ho detto che impressione che avevo riportata da colloquio Acheson-Tarchiani2 era assai meno ottimista della sua. Potevo anche ammettere che in fatto (a parte conside-' razioni prestigio che avevano loro importanza per noi sul piano interno) non ci fosse gran differenza fra essere fra firmatari originari o aderirvi qualche settimana dopo. Temevo però invece che una volta firmato Patto a sette esso sarebbe rimasto tale per moltissimo tempo e ulteriori adesioni, anche se pacifiche in principio, avrebbero potuto essere rinviate calende greche. A parte merito intrinseco questione era per noi estremamente importante, sul piano interno, sapere esattamente dove eravamo. Egli non ignorava che Governo italiano e personalmente presidente Consiglio e V.E. avevano dovuto e dovevano sostenere lotta non facile per portare opinione pubblica e alcuni partiti là dove si voleva: sarebbe stato mettere Governo italiano in situazione assai delicata se si fosse arrivati a creare impressione che noi avevamo chiesta adesione Patto e che eravamo stati rifiutati. Governo italiano era quindi nella necessità sapere dove si andava a finire: era evidente che sua azione all'interno avrebbe dovuto essere impostata diversamente secondo che si poteva prevedere adesione quasi immediata, o a scadenza relativamente breve, oppure invece a scadenza lontana o addirittura problematica. Era quindi per noi di grande importanza conoscere apprezzamento situazione da parte Governo francese che, essendo in mezzo negoziato, era in grado giudicare meglio di noi: non trattavasi quindi di consolarci in vista possibile nostra disillusione per piega presa da avvenimenti ma di contribuire con sua opinione a fornire elementi su cui Governo italiano doveva basarsi in vista decisioni importanti per noi sul piano interno e importanti, come tali, anche per Francia.

Schuman mi ha detto che si rendeva conto di tutto questo ma che quanto gli avevo detto non cambiava suo apprezzamento situazione. Adesione italiana non era sola questione che restava ancora in sospeso, ce n'erano delle altre fra cui formula garanzia, posizione Algeria, ecc. di non minore importanza per la Francia: decisione dipendendo non tanto da Dipartimento di Stato quanto da Camere americane, non si poteva essere sicuri al cento per cento: si poteva e si doveva però essere ottimisti. Riteneva comunque che al massimo fra una quindicina di giorni tutto questo sarebbe stato chiarito.

Mi ha chiesto se avevamo fatto presente quanto gli avevo detto anche al Governo americano: gli ho detto che si trattava di considerazioni mie personali e non di un passo che facevo presso di lui a nome del mio Governo. Mi ha detto che se questo era nostro punto di vista sarebbe stato utile che lo facessimo presente, in alto luogo, anche a Washington. Lo avrebbe fatto anche lui qualora glielo avessi confermato. Sarebbe stato anche bene che cercassimo di fare uso della nostra influenza in Senato e Congresso: Acheson era particolarmente sensibile a reazioni parlamentari: constatazione corrente favorevole nostra adesione immediata avrebbe avuto molto peso sue decisioni.

Mi ha escluso che cambiamento atteggiamento americano sia dovuto politica inglese: con tutte riserve che bisogna fare su ben nota falsità Bevin, aveva netta impressione che egli fosse sincero quando gli aveva dichiarato a Londra che di fronte domanda italiana e atteggiamento Governo italiano esitazioni inglesi erano venute a cadere.

Mi ha parimenti escluso che atteggiamento americano debba essere interpretato nel senso che per entrare Patto atlantico sia necessario passare per Patto Bruxelles: accettazione formula Consiglio di Europa è stata data già da nuova amministrazione.

381 2 Vedi D. 50.

382 1 Vedi D. 374.

382 2 Vedi D. 332.

383

IL MINISTRO A DAMASCO, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1764/7. Damasco, 24 febbraio 1949, ore 20 (perv. ore 7,30 del 25). Telegramma di V.E. n. 1248/c. 1•

Pretesto trattative Francia e Società petrolifere, presidente del Consiglio ha lungamente eluso promesso scambio di vedute sulla questione coloniale. Finalmente ieri sono riuscito ottenere lungo colloquio con lui e Faris el Khoury. Ho lumeggiato esaurientemente tutti lati questione in conformità delle istruzioni di V.E. Entrambi hanno dichiarato che Governo siriano non è condizione pronunciarsi prima di riunione Lega araba che avrà luogo marzo prossimo e nel cui ordine del giorno figura appunto questione atteggiamento Stati arabi di fronte problema coloniale. Azm mi ha assicurato che a tale riunione nella sua qualità rappresentante Siria egli prospetterà punto di vista di V.E. Per il momento, cosciente difficile situazione suo paese, egli chiaramente rifugge dall'assumere posizione in questo affare che gli appare assai spinoso. Faris el Khoury è sembrato alquanto più comprensivo ed ha assicurato che nelle prossima riunione Lake Success, se situazione lo consentirà, cercherà agevolare tutti tentativi.

384

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1773/191. Washington, 24 febbraio 1949, ore 20,30 (perv. ore 7,30 del 25).

Suoi telegrammi 100 1 e 1400/c. 2•

Continuo ad adoperarmi qui nel senso indicatomi.

Causa indisposizione segretario di Stato, riunione rinviata domani mattina.

2 Vedi D. 374, nota l.

Circa Norvegia, Bonnet, cui avevo già prospettato situazione, mi aveva assicurato che, qualora temuto sfasamento minacciasse verificarsi, egli si opporrebbe energicamente. Pertanto ulteriori istruzioni che gli pervenissero in tal senso da Quai d'Orsay sarebbero da lui sfruttate molto efficacemente.

Circa posizione italiana ritengo doversi fare principalmente assegnamento su continuità ed insistenza nostro atteggiamento, tanto verso Stati Uniti d'America onde indurli confermare con necessaria fermezza loro desiderio fare aderire Italia, quanto verso Gran Bretagna e Benelux onde chiariscano decisioni Londra in senso a noi favorevole3 .

383 1 Vedi D. 100, nota 2. 384 1 Vedi D. 380.

385

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER POSTA AEREA 1897/51. Londra, 24 febbraio 1949, ore 18 (perv. ore 12,30 del JO marzo).

Questo ambasciatore di Danimarca è venuto oggi a interrogarmi circa nostro atteggiamento nei confronti Patto atlantico. Avendogli io dato chiarimenti del caso, mi ha, a sua volta, riassunto posizione danese nei seguenti termini: mancata realizzazione blocco scandinavo lascia la Danimarca, che vi riponeva molte speranze, in posizione assai scoperta e delicata. Ciò, se rende desiderabili garanzie di un Patto atlantico, d'altra parte rende sempre più acute apprensioni della nazione che nota insufficienza della copertura militare del Patto non riescono a rassicurare. Di conseguenza Governo danese, pur essendo in principio favorevole al Patto, incontra difficoltà di politica interna. Da parte britannica è stato espresso chiaramente ai danesi desiderio vederli partecipare al Patto; americani, ai quali tale adesione preme naturalmente moltissimo, non avrebbero però dato ancora precisa indicazione circa epoca alla quale preferirebbero ciò avvenisse.

Comunque, secondo ambasciatore danese, da atteggiamento scandinavo dipenderà molto se nell'annunciare conclusione Patto atlantico Governo Stati Uniti lo limiterà per ora in Europa ai cinque paesi del Patto di Bruxelles o se indicherà senz'altro quali altri paesi si intende vi siano associati.

386

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI 1

TELESPR. RISERVATO 232 SEGR. POL. Roma, 24 febbraio 1949.

Da conversazioni che si sono avute a Trieste e qui col signor Baldwin, consigliere politico del G.M.A., si è tratta l'impressione che, in relazione con le prossime

elezioni nella Zona A del T.L.T., i nordamericani non sarebbero alieni dal fare una nuova pubblica dichiarazione sul problema triestino. È indubbio infatti che una riaffermazione della dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948 riuscirebbe proficua ai fini elettorali, specialmente se fosse resa in circostanze e forme tali da non farla apparire unicamente preordinata a quei fini.

Volge quasi un anno da quell'atto che ebbe tanta risonanza e suscitò tante speranze, ma, da un punto di vista diplomatico, non si è fatto nessun passo avanti nella questione. È mancata tanto l'adesione sovietica alla dichiarazione tripartita, quanto la procedura davanti all'O.N.U. che avrebbe potuto portare una provvisoria soluzione di ripiego. In siffatte condizioni la semplice riconferma, per quanto solenne e autorevole, della dichiarazione iniziale finirebbe, in certo senso, col marcare che siamo ad un punto morto da cui non si esce, e forse anzi col dare ragione a quanti in essa videro un gratuito gesto imbonitore dell'opinione pubblica italiana.

Con lettera n. 11237/4295 del 18 dicembre u.s. 2 V.E. segnalò che si fa strada costì l'idea di una nuova iniziativa diplomatica intesa a ribadire le intenzioni anglofranco-americane e provocare, ove possibile, una chiara manifestazione dell'atteggiamento russo. Quanto ella riferì circa lo stato delle opinioni al Dipartimento di Stato fa ritenere prematuro dare in materia indicazioni o suggerimenti precisi. Potrebbe in ogni caso essere opportuno far sentire anche genericamente al Dipartimento di Stato che, più che di una mossa collettiva o unilaterale «per gli atti», saremmo lieti di veder segnare un concreto progresso alla questione nei suoi aspetti pratici.

Al riguardo si invia qui unito uno schema di osservazioni di carattere giuridico compilato dal prof. Perassi, capo del Contenzioso diplomatico, per definire la posizione del T.L.T. a seguito della mancata nomina del governatore e della conseguente impossibilità di mettere in vigore lo Statuto provvisorio e quello definitivo. Da tale schema potrà rilevarsi quanto fondata sia la tesi che, non essendosi il T.L.T. arrivato a costituire come soggetto di diritto internazionale, è venuta definitivamente a mancare la condizione da cui dipendeva la cessazione della sovranità italiana nelle Zone A e

B. Si aggiunga che a tali direttive sono già improntati gli atti della nostra amministrazione interna, mentre negli atti internazionali abbiamo omesso, a partire dalla dichiarazione tripartita del20 marzo, ogni menzione del T.L.T.

Anche la continuazione del Governo militare alleato non può non tener conto di tale situazione, uniformandosi ai principi che, nel diritto internazionale, regolano il regime di occupazione militare, in primo luogo quello del rispetto delle leggi e istituzioni esistenti nei territori occupati. Devesi del resto riconoscere che il G.M.A. già da tempo va progressivamente diminuendo il carattere militare dell'amministrazione e ristabilendo il funzionamento degli organi amministrativi locali secondo la legislazione italiana. Nella nostra idea, e se non andiamo errati anche negli intendimenti del generale Airey, le elezioni amministrative dovrebbero anzi segnare la fase conclusiva di tale processo di normalizzazione.

Ci rendiamo conto che occorrerà sempre fare capo all'O.N.U. per arrivare ad una definitiva constatazione delle conseguenze giuridiche derivanti dalla mancata costituzione del Territorio Libero di Trieste. È chiaro però che il riconoscimento pubblico ed esplicito di essa da parte delle stesse tre potenze che emisero la dichiarazione del 20 marzo,

nonché il contemporaneo annunzio che le prossime elezioni segneranno il ristabilimento degli organi locali verrebbero non solo a conferire nuova forza alla dichiarazione tripartita ma anche a corroborare il nostro diritto di considerare sospesi, e non rotti, i rapporti giuridico-politici che legano le Zone A e B al territorio nazionale. Ciò acquisterebbe particolare valore nei riguardi della Zona B sottoposta alle esose angherie dell'Amministrazione militare jugoslava, in quanto dichiarazioni del genere verrebbero esplicitamente a mettere in mora la Vuja di ristabilire essa pure lo stato di diritto preesistente all'occupazione. Ci si potrebbe anzi domandare se i Governi nord-americano e britannico non sarebbero tenuti, in nome della solidale responsabilità che pur lega i Comandi generali delle due Zone, di rivolgere al Governo jugoslavo esplicito invito in tal senso.

Giova a tal punto ricordare che ragioni d'ordine contingente riferentesi alla precaria situazione delle nostre forze difensive, non ci inducono ad auspicare un prematuro ritiro delle truppe alleate dalla Zona A che verrebbe a trovarsi pressochè sguarnita di fronte a una minaccia di «occupazione pacifica» jugoslava.

Se ciò è un dato di fatto dal quale non può per ora prescindersi, sembra difficile, in linea di diritto, armonizzare questa esigenza con la tesi giuridica della progressiva normalizzazione dell'amministrazione triestina tratteggiata nello schema Perassi.

Comunque, sul piano politico, occorrerebbe, a parere di questo Ministero, che da parte alleata si ricercasse una formula che, sottolineando il carattere eccezionale dell'occupazione militare, ne giustificasse la temporanea continuazione, in nome dell'unità inscindibile del Territorio Libero, col fatto dell'occupazione jugoslava della Zona B. Una formula di tal genere non solo quadrerebbe col nostro concetto unitario delle Zone, ma potrebbe anche venir presentata come una carta nel gioco alleato per negoziare, quando sarà possibile, la levata dell'occupazione jugoslava nella Zona B.

In relazione con quanto procede si prega V.E. di voler fin d'ora interessare alle nostre idee il Dipartimento di Stato, riferendo appena possibile sull'accoglienza che esse vi incontrano e tenendo presente che le eventuali nuove iniziative, da concretarsi d'accordo con le Autorità alleate di Trieste che sono sempre in contatto con la nostra rappresentanza, dovrebbero attuarsi né troppo vicino alle elezioni triestine per non dare l'impressione di una manovra elettorale, né tanto lontano da non poterle adeguatamente valorizzare.

Si resta in attesa di conoscere, appena possibile, l'esito dei sondaggi da lei fatti in tal senso 3•

ALLEGATO

IL CAPO DELL'UFFICIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO, PERASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 29 dicembre 19484 .

l) Il trattato di pace con l 'Italia (art. 21 ed allegati VI e VII) prevede per la zona destinata a costituire il Territorio Libero di Trieste tre fasi successive di regime:

a) durante la prima fase, decorrente dall'entrata in vigore del trattato di pace e protraentesi fino all'assunzione dei poteri da parte del governatore, il Territorio Libero «shall continue to be administered by the Allied military commands within their respective zones».

b) La seconda fase, decorrente dall'assunzione delle sue funzioni da parte del governatore, comprende un periodo di regime provvisorio quale è definito negli artt. 2 e seguenti dell'allegato VII del trattato di pace.

c) La terza fase, decorrente dalla data che sarà stabilità dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per l'entrata in vigore dello Statuto permanente del Territorio Libero di Trieste, è l'attuazione del regime preveduto da questo Statuto (allegato VI).

L'art. l dello strumento per il regime provvisorio del Territorio Libero di Trieste stabiliva che «the Governor shall assume office in Free Territory at the earliest possibile moment after the coming into force ofthe present Treaty».

2) La situazione giuridica della zona costituente il Territorio Libero durante la prima fase è definita dall'art. l dello strumento per il regime provvisorio del Territorio Libero, ai termini del quale il Territorio Libero «shall continue to be administered by the Allied military commands within their respectives zones».

Dall'insieme delle disposizioni pertinenti dell'art. 21 del trattato di pace e degli allegati VI e VII sembra potersi ricavare che nella prima fase sopra indicata il Territorio Libero non è ancora costituito come soggetto di diritto internazionale e soggetto di un ordinamento giuridico autonomo. La costituzione effettiva del Territorio Libero si avrebbe solo dopo che il governatore avesse assunto le sue funzioni e provvedesse alla costituzione del Consiglio provvisorio di governo che sarebbe il primo organo proprio del Territorio Libero. Infatti l'art. 2 dello strumento per il regime provvisorio del Territorio Libero stabilisce che «the Governor and the Provisional Council of Government shall exercice their functions in the manner laid down in the provisions of the Permanent Statute as and when these provisions prove to be applicable and in so far as they are not superseded by the present instrument». Da questa disposizione risulta che le disposizioni dello Statuto permanente non sono applicabili prima che si istituisca il regime provvisorio con l'assunzione delle sue funzioni da parte del governatore. Così prima di tale momento, e cioè durante la prima fase nella quale continua l'amministrazione militare nelle zone del Territorio, non è applicabile l'art. 6 dello Statuto permanente concernente l'acquisto della cittadinanza del Territorio Libero da parte dei cittadini italiani che alla data del l O giugno 1940 erano domiciliari entro i confini del Territorio Libero e la correlativa perdita della cittadinanza italiana.

La disposizione del trattato di pace, secondo la quale fino all'assunzione dei poteri da parte del governatore il Territorio Libero «shall continue to be administered by the Allied military commands within their respective zones» significa, pertanto, che durante tale periodo il Governo militare alleato continuerà in condizioni analoghe a quelle anteriori all'entrata in vigore del trattato di pace.

3) Non vi è dubbio che nello spirito del trattato il periodo di tempo intercorrente fra la data di entrata in vigore del trattato e l'effettiva entrata in funzione del governatore avrebbe dovuto essere brevissimo. L'art. l deii'Istrumento relativo al regime provvisorio del Territorio Libero di Trieste prevedeva che il governatore sarebbe entrato in funzione nel Territorio Libero «at earliest possible moment after the coming into force of the present Treaty». Ed infatti, in conformità ad un accordo intervenuto fra i quattro ministri degli esteri il12 dicembre 1946 a New York, il Consiglio di sicurezza intraprese ad esaminare la questione della nomina del governatore prima ancora che il trattato di pace fosse entrato in vigore (settembre 1947). Ma la nomina del governatore non ha avuto luogo, né prima dell'entrata in vigore del trattato di pace, né dopo.

Ora, la continuazione del Governo militare non può non adattarsi alla situazione che così si è venuta a creare. Il principio di diritto internazionale, secondo il quale durante un regime di occupazione bellica di un territorio le leggi e le istituzioni esistenti nel luogo devono essere rispettati, salvo impedimenti assoluti, non può non essere applicato con maggiore rigore nelle condizioni in cui si svolge il Governo militare alleato nel Territorio di Trieste. Il fatto che, contrariamente alle previsioni cui si è ispirato il trattato di pace, la continuazione del Governo militare alleato, si protragga da oltre un anno dall'entrata in vigore del trattato di pace crea una situazione del tutto particolare per la quale il Governo militare alleato, nei limiti consentiti dalle esigenze della sicurezza delle forze armate soggiornanti nel Territorio e dalla difesa interna ed esterna del Territorio, è portato a diminuire progressivamente il carattere militare dell'amministrazione del Territorio ed a ristabilire il funzionamento della vita amministrativa del Territorio secondo le leggi e le istituzioni italiane.

Non essendosi di fatto costituito il Territorio Libero secondo l'ordinamento previsto dal trattato, le esigenze della vita civile ed economica della popolazione sarebbero seriamente compromesse se l 'amministrazione di quella zona non fosse strettamente coordinata con quella italiana.

4) La situazione determinatasi nel Territorio Libero dopo l'entrata in vigore del trattato di pace solleva poi un problema giuridico e politico di più ampia portata.

Come risulta dalle disposizioni del trattato di pace, questo presupponeva che l'effettiva costituzione del Territorio Libero, mediante l'entrata in funzione del governatore, avvenisse dal momento stesso dell'entrata in vigore del trattato di pace od almeno entro un brevissimo termine. È in stretta relazione con questo presupposto che nel trattato è stata inserita la clausola del comma 2° dell'art. 21, secondo la quale «Italian sovereignty over the area constituting the Free Territory of Trieste, as above defined, shall be terminated upon the coming into force of the present Treaty». Ciò autorizza ad interpretare il trattato nel senso che la cessazione della sovranità dell'Italia nella zona costituente il Territorio Libero di Trieste era condizionata all'effettiva costituzione del Territorio Libero secondo l'Istrumento relativo al regime provvisorio e secondo lo Statuto permanente allegati al trattato stesso. Se l'art. 21 del trattato non ha dichiarato in maniera espressa che la cessazione della sovranità italiana nelle zone destinate a costituire il Territorio Libero di Trieste era legata alla detta condizione, è perché gli autori del trattato ritenevano che la costituzione effettiva del Territorio Libero, in conformità alle disposizioni del trattato, avrebbe avuto luogo subito dopo l'entrata in vigore del trattato. Se la costituzione effettiva del Territorio Libero non fosse stata considerata in tal senso, il trattato avrebbe adottato una disposizione diversa, come ha fatto, per esempio, il Trattato di Versailles del 1919, per quanto concerne il territorio della Germania destinato a costituire la Città Libera di Danzica (Trattato di pace di Versailles, art. 100).

Ora il presupposto della effettiva costituzione del Territorio Libero di Trieste non solo non si è realizzato al momento dell'entrata in vigore del trattato di pace o in un termine vicino a questa data, come era stato previsto al momento della firma del trattato di pace, ma dopo oltre un anno dall'entrata in vigore del trattato stesso appare irrealizzabile. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dopo inutili tentativi, ha rinviato sine die la nomina del governatore. La realtà delle cose ha dimostrato, d'altra parte, che la soluzione di compromesso adottata dal trattato di pace per la questione di Trieste non è soddisfacente. Tutto lascia ritenere che la creazione del Territorio Libero non sarebbe vitale.

In queste condizioni, i Governi della Gran Bretagna, degli Stati Uniti d'America e della Francia, dopo approfondito esame dalla situazione quale è nella sua realtà, sono arrivati concordemente alla conclusione che è contenuta nella dichiarazione del 20 marzo 1948. Nella loro convinzione vi è luogo di constatare a tutti gli effetti che la costituzione effettiva del Territorio Libero, come era prevista nel trattato di pace, è inattuabile. L'effetto giuridico della constatazione di questo fatto è che la condizione dalla quale dipendeva la cessazione della sovranità dell'Italia nella zona destinata a costituire il Territorio Libero di Trieste è da considerarsi definitivamente mancata. Per conseguenza la detta zona dovrebbe essere reintegrata nella sovranità dell'Italia, salvo la stipulazione di accordi speciali per assicurare che il porto di Trieste risponda alle esigenze del commercio internazionale e che siano assicurate le facilitazioni di transito per gli Stati più direttamente interessati. Inoltre, se del caso, potrebbero essere adottate delle disposizioni per la tutela delle minoranze, sebbene in questa materia il trattato di pace già contenga le disposizioni dell'art. 15.

5) Secondo il trattato di pace il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite avrebbe assunto la responsabilità di assicurare l'indipendenza del Territorio Libero di Trieste. Sia l'lstrumento relativo al regime provvisorio che lo Statuto permanente del Territorio Libero deferiscono al Consiglio di sicurezza compiti essenziali per il funzionamento del Territorio Libero, particolarmente per quanto concerne il mantenimento dell'ordine pubblico e la sicurezza nel Territorio Libero.

In relazione alle responsabilità che in questo modo assumerebbe l'Organizzazione delle Nazioni Unite per quanto concerne il Territorio Libero di Trieste, spetta al Consiglio di sicurezza di esaminare la questione sollevata dalla Dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948 e pronunciarsi sulle conseguenze giuridiche della mancata costituzione del Territorio Libero e della inattuabilità della soluzione della questione di Trieste prevista dal trattato di pace con l'Italia.

384 3 Per la risposta vedi D. 392.

386 1 Il documento era indirizzato per conoscenza anche alle ambasciate a Londra e Parigi ed alla rappresentanza a Trieste.

386 2 Non pubblicato.

386 3 Per la risposta vedi D. 539. 4 In questa data il prof Perassi trasmise alla Direzione generale degli affari politici il presente appunto con la riserva di curarne successivamente una precisa traduzione inglese come richiesto da parte americana.

387

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. RISERVATO 234 SEGR. POL. Roma, 24 febbraio 1949.

Riferimento: Per ultimo, telespresso di V.E. n. 172/037 del 2 febbraio 19491•

Questo Ministero ha attentamente considerato quanto è stato riferito da V.E. a seguito della mancata approvazione dell'Accordo dell' 8 luglio 1948 da parte della Commissione per gli affari esteri dell'Assemblea nazionale francese.

È stata in particolare presa in esame l'eventualità prospettata da V.E. che per la conclusione di un nuovo accordo si esiga da noi una rinuncia a qualsiasi ulteriore rivendicazione.

Qualora ci venisse posta una richiesta del genere sarà necessario ricordare ai francesi che con la conclusione dell'Accordo dell' 8 luglio 1948 si era perseguito lo scopo di aiutare la nostra opinione pubblica a superare, nei riguardi della Francia, il disagio provocato dalla firma del trattato di pace. E mettere in chiaro che, se è stato possibile far sopportare alla nostra opinione pubblica la penosa impressione prodotta

dal rigetto di quell'accordo da parte della competente Commissione parlamentare francese senza che ne risultasse compromessa la distensione raggiunta nelle relazioni fra i due paesi, non è pensabile che si possa ora farle accettare una esplicita rinuncia a qualsiasi ulteriore attenuazione delle condizioni territoriali imposteci, ed esporre le relazioni franco-italiane, dopo il recente spiacevole infortunio in sede parlamentare francese, al pericolo di una eventuale presa di posizione del nostro Parlamento contraria ad un accordo che contenesse una clausola del genere.

Questo per quanto riguarda l'atteggiamento verso il Governo francese. Sul merito della questione, un esame approfondito dell'accordo, esame condotto di concerto con il Ministero della difesa, ha portato alla conclusione che il valore dell 'accordo stesso, salvo che per la centrale di Gran Scala e per qualche altro punto di dettaglio, come Clavière, che potrebbero eventualmente essere oggetto di singole intese, è molto limitato; e in ogni caso non certamente tale da compensare una nostra rinuncia ad ulteriori rivendicazioni che per quanto priva di significato sostanziale potrebbe tuttavia dar luogo ad una reazione di determinati settori dell'opinione pubblica.

Nel frattempo, evidentemente, abbiamo ogni interesse ad evitare quanto potrebbe incoraggiare il Governo francese a presentare una simile richiesta.

Appare pertanto anzitutto opportuno evitare di dare l'impressione che abbiamo particolare premura di giungere ad un nuovo accordo, e lasciare invece al Governo francese di assumere l'iniziativa per la ripresa di trattative.

Le dichiarazioni fatte dal ministro Schuman a V.E. 1 e le stesse circostanze che hanno portato il Governo francese a ritornare su quell'accordo ci consentono di astenerci dal prendere iniziative al riguardo senza dare con ciò l'impressione di rinunciare alla conclusione di un nuovo accordo.

387 1 Vedi D. 229.

388

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. PERSONALE 3/611. Roma, 24 febbraio 1949.

Ho ricevuto il tuo telegramma 44 1 relativo alla conversazione con McNeil e non ti nascondo che ne sono rimasto dolorosamente impressionato perché, ansioso come sono sempre stato di ristabilire su basi definitivamente amichevoli i nostri rapporti con la Gran Bretagna (e verso questa meta buon cammino è già stato compiuto), temo che si possa andare ancora incontro a dei dispiaceri se l'atteggiamento inglese dovesse permanere insensibile a tutti gli argomenti che abbiamo più volte rappresentati costì. Come ti ho telegrafato (mio 51 )2 la soluzione dello «Stato contrattuale» era stata da noi studiata principalmente per venire incontro alle note obiezioni britanniche secondo

2 Vedi D. 352.

le quali permaneva, anche nei nostri circoli coloniali responsabili, una vecchia mentalità colonialista, e per venire incontro agli stessi suggerimenti britannici secondo cui il problema del nostro ritorno in Tripolitania doveva essere esaminato e affrontato con larghezza di vedute e tenendo nel dovuto conto le aspirazioni degli indigeni. Sapevamo per altro che una visione che tenesse conto di tali suggerimenti non avrebbe incontrato troppo favore in Francia e fu perciò che a Cannes -facendo riferimento, mutatis mutandi, al caso della Tunisia -abbordammo il problema con Schuman e ne ottenemmo l'adesione3 . Come McNeil ha riconosciuto, il progetto, che ai paesi arabi abbiamo fatto conoscere solo in larga massima e senza alcuno dei dettagli fomiti a Londra, non ha trovato sfavorevoli ripercussioni nel mondo arabo e ciò costituiva di per sé un elemento favorevole poiché le opposizioni, anche a giudizio degli inglesi, parevano da temersi soprattutto da quella parte. Non discuto le ragioni e gli argomenti che vengono addotti per non insistere su quel progetto: un ritorno all'idea pura e semplice del trusteeship classico, non può evidentemente da noi venire respinto. Su di essa avevamo infatti sempre insistito e se ce ne eravamo allontanati ciò fu solo nella leale intenzione di venire incontro alle osservazioni fatteci, soprattutto da costì. Non è dunque questo che mi preoccupa. Prendo atto con soddisfazione che il Governo britannico non è in linea di principio sfavorevole al nostro trusteeship sulla Tripolitania e che non si rifiuta, anzi desidera esaminare subito confidenzialmente tutti i problemi concreti di quel territorio. Ora il primo problema da esaminare è questo: che se in aprile si dovesse presentare all'O.N.U. un progetto per l'assegnazione della Cirenaica alla Gran Bretagna, e la questione della Tripolitania dovesse venire puramente e semplicemente rinviata, mentre fossimo anche costretti a lottare per evitare una decisione catastrofica per l'Eritrea (come ad esempio la sua assegnazione all'Etiopia), l'emozione nell'opinione pubblica italiana sarebbe vivissima. Senza contare che una volta risolto il problema della Cirenaica e rimasto insoluto quello della Tripolitania, tutta la propaganda del nazionalismo arabo potrebbe concentrarsi su questo territorio complicando la situazione. In queste condizioni la stessa attribuzione della Somalia, la più povera fra tutte le nostre ex colonie, apparirebbe quasi come una amarafiche de conso!ation. Per queste ragioni noi abbiamo sempre ritenuto essenziale e sostenuto la necessità che il destino dei territori libici fosse deciso contemporaneamente, e il Governo britannico non può non rendersi conto che non sarebbe possibile per il Governo italiano, di fronte alla propria opinione pubblica, adoperarsi attivamente preso i suoi amici per l'assegnazione della Cirenaica all'Inghilterra se non gli riuscisse di giustificare tale atteggiamento con l'argomento che ciò era indispensabile per ottenere la Tripolitania. Le conversazioni confidenziali che ci vengono offerte, se devono avere un senso e una utilità, dovrebbero quindi vertere appunto sulla questione fondamentale: come giungere cioè, anche a tappe, al trusteeship italiano sulla Tripolitania. Azione quindi da concordarsi e svolgersi a tale fine in campo internazionale e in !oca secondo la linea già così felice

mente seguita per la Somalia.

Ti autorizzo, se lo credi, a leggere questa lettera a McNeil e ti autorizzo a trattenere Manzini per coadiuvarti nella eventuale trattazione del problema4 .

4 Per la risposta vedi D. 420.

388 1 Vedi D. 357.

388 3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

389

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 1775/761. Washington, 24 febbraio 1949 (perv. il l o marzo).

Dopo il mio colloquio col segretario di Stato 1 , non ho mancato di intervenire ripetutamente presso i vari uffici del Dipartimento di Stato per sollecitare una risposta ai nostri suggerimenti per una soluzione, possibilmente concordata, della questione coloniale. Mi risulta d'altra parte che anche questa ambasciata di Francia, in armonia con le premure fatte da Bonnet ad Acheson, sta insistendo perché il Dipartimento di Stato faccia conoscere al più presto la sua posizione al riguardo. Ho fondato motivo di ritenere che, fino ad oggi, né i francesi né gli inglesi siano al corrente delle nuove idee americane circa il futuro della Libia, da me segnalate a V.E. col rapporto

n. 1522/664 dell8 corrente2 .

In via del tutto confidenziale, e sempre sotto vincolo del più assoluto riserbo, ho avuto conferma che, almeno al livello degli uffici, il progetto americano di cui sopra ha preso corpo.

Secondo quando si è potuto apprendere, il progetto prevederebbe un trusteeship multiplo su tutto il territorio della Libia con un Consiglio centrale formato dalla Francia, l'Italia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l'Egitto. Al Consiglio spetterebbero facoltà di supervisione e di «raccomandazione» sull'esercizio delle funzioni di tutela, che sarebbero in realtà affidate, con vasti poteri di amministrazione civile e giudiziaria, alla Francia nel Fezzan, all'Italia in Tripolitania, ed all'Inghilterra in Cirenaica.

Le predette potenze sarebbero inoltre responsabili «in proprio» per il mantenimento della stabilità e dell'ordine nei territori da esse rispettivamente controllati ed avrebbero a tal fine la più ampia libertà di prendere disposizioni di carattere militare. Ho motivo di ritenere che ci si attenda qui che noi ci si valga delle facoltà riconosciuteci in tale campo per consentire e facilitare agli Stati Uniti il mantenimento e l'eventuale perfezionamento delle basi militari americane in Tripolitania.

In attesa che venga definita la questione dell'ingresso dell'Italia nell'O.N.U., al nostro paese ed ai nostri connazionali dovrebbero inoltre essere riconosciuti, ai fini della partecipazione al trusteeship multilaterale della Libia, i diritti e le facoltà previste in tali casi per i membri delle Nazioni Unite e per i loro nazionali.

Salvo ulteriori dissensi, sempre possibili, tra i competenti uffici, le proposte di cui sopra dovrebbero essere ora approvate, nell'ordine, dai capi delle tre Direzioni generali interessate (Medio Oriente e Africa, Europa, Nazioni Unite), dal segretario di Stato ed infine dal National Security Council. Ove i predetti concordino, il contenuto del progetto americano verrebbe comunicato agli inglesi. La comunicazione agli inglesi viene considerata come condizione preliminare, in quanto il Dipartimento di

2 Vedi D. 344.

Stato desidera essere liberato dagli impegni assunti con Londra circa l'appoggio americano al trusteeship singolo britannico sulla Cirenaica. Ci è stato fatto comprendere che non si era «a priori» sicuri dell'adesione britannica ad un progetto «multiplo» ma che si sarebbe insistito per ottenerla, invocando la circostanza che, dopo tutto, non si tratterebbe che di una variante del trusteeship già previsto per la Cirenaica e, soprattutto, le maggiori possibilità che la nuova soluzione avrebbe di «passare» all'Assemblea generale.

Nulla di variato vi sarebbe nella posizione americana circa la Somalia, per la quale verrebbe mantenuta la proposta di un trusteeship italiano, né, purtroppo, circa l'Eritrea per la quale sarebbe prevista la cessione all'Etiopia dei territori cosiddetti «meridionali» comprese Massaua e Asmara, lasciando all'Assemblea di decidere per i distretti del Nord.

Si insiste però qui sullo studio di un progetto di garanzia dei diritti degli italiani nei territori ceduti al negus e, forse, di speciali forme amministrative per le due città soprammenzionate. Una possibilità della concessione di diritti «quasi capitolari» per gli italiani ci è stata lasciata intravedere anche nel corso di una conversazione con il funzionario di questa ambasciata britannica competente per le questioni coloniali, il quale ha altresì accennato alla ipotesi da me già segnalata che, in caso di soddisfazione delle proprie richieste, l'Etiopia potrebbe essere indotta a rinunziare in tutto o in parte alle riparazioni previste dal trattato di pace. Questa ambasciata di Francia infine, nell'accennare alla questione delle garanzie per gli italiani in Eritrea, ha addirittura parlato di «droits exorbitants». Accetterei tuttavia questa espressione con un certo beneficio d'inventario.

Nei contatti avuti nei giorni scorsi al Dipartimento (sia con le varie Direzioni interessate sia con i cosiddetti «esperti», quali Gross e Utter) e dalle conversazioni con i francesi ho tratto conferma del fatto che il nostro progetto di uno Stato della Tripolitania legato a noi da speciali vincoli contrattuali, oltre a destare le «esplicite» preoccupazioni dei francesi, incontra l'opposizione del Dipartimento di Stato. Contrariamente a quanto mostrano di ritenere i francesi, anche la Direzione del Medio Oriente e Africa, per quanto più degli altri portata ad apprezzare l'idea dell'indipendenza da noi anticipata, ha visto sin dall'inizio con un certo sospetto la nostra proposta.

Infatti, mentre i francesi non hanno fatto mistero dei loro timori per le difficoltà che tale idea potrebbe creare loro in Tunisia (e non escludo che, nonostante le loro ottime disposizioni nei nostri confronti, abbiano anche qui svolto attiva opera per scoraggiare gli americani dall'accettare il nostro progetto), il Dipartimento di Stato ritiene che le nostre proposte coprano una forma di protettorato. Contrari in principio a forme simili al regime francese in Tunisia (Utter, ad esempio, ha passato molta parte della guerra nelle colonie francesi e ricorda ad ogni piè sospinto l'intolleranza degli arabi ai sistemi francesi) gli Uffici «africani» sembrano, in linea di massima, trovare maggiori garanzie per gli indigeni nelle promesse di avviamento all'indipendenza, contenute dai normali progetti di trusteeship già approvati dalle Nazioni Unite.

Da parte nostra si è provveduto a chiarire con gli americani che le nostre proposte circa la sistemazione della Tripolitania ci sembravano invece rappresentare un progresso sui principi del normale trusteeship ed a conferma di ciò abbiamo citato appunto le preoccupazioni francesi. Sia ai francesi che agli americani si è spiegato poi che noi non intendevamo affatto prescindere dalla fase iniziale di amministrazione fiduciaria e che le nostre proposte erano dettate sia dal desiderio di formulare chiaramente le nostre leali intenzioni di riconoscere le aspirazioni arabe, sia, soprattutto dal desiderio di eliminare, mediante un concreto progetto d'intesa con le popolazioni locali, le difficoltà circa il nostro pacifico ritorno in Africa che ci erano state sempre prospettate, specie dagli inglesi.

Sia nelle conversazioni con il Dipartimento di Stato, sia in quelle con i funzionari di questa ambasciata britannica, ho tratto l'impressione che gli inglesi non abbiano, almeno per quanto riguarda i loro contatti con gli americani, receduto dalle loro posizioni a noi contrarie. Essi si sono limitati ad informare il Dipartimento dei passi da noi effettuati a Londra, chiedendo che venisse loro fatto conoscere la reazione americana. Nei nostri contatti diretti con gli inglesi, essi non hanno dimostrato nessun particolare apprezzamento per il nostro progetto sulla Tripolitania mentre sono stati particolarmente espliciti nell'opporsi alla nostra amministrazione in Eritrea.

Mi risulta inoltre che la Direzione Medio Oriente ed Africa del Dipartimento di Stato continua a ritenere impossibile, almeno in un primo momento, il ritorno dei nostri coloni in Cirenaica.

Per quanto riguarda l'Eritrea la posizione del Dipartimento di Stato, quale patrocinata dalla Direzione del Medio Oriente e dell'Africa, col concorso degli «esperti», rimane, come ho detto, invariata. Ci sono stati ripetuti a sazietà i consueti argomenti della mancanza di vitalità economica dell'Eritrea, se non legata al retroterra etiopico, e si è giunti persino nella foga di «venderei» tale argomento ad ammettere, pur deprecando i mezzi da noi impiegati, la logicità della fusione dei territori dell'Africa orientale da noi a suo tempo operata. Ci è stato di nuovo parlato di identità razziali e linguistiche tra etiopici ed eritrei, della necessità di dare soddisfazione al negus onde poi facilitare la nostra penetrazione in Etiopia, etc. A proposito della penetrazione italiana in Etiopia ci è stato detto che a Parigi il vice ministro degli esteri etiopico avrebbe dichiarato che il suo paese sarebbe pronto ad assorbire da l 00 a 200 mila italiani.

Da parte nostra non si è naturalmente mancato il ribattere punto per punto, con ogni valido argomento, distruggendo particolarmente l'infondata affermazione delle identità razziali. Si è soprattutto insistito sulla assurdità di affidare l'Eritrea all'amministrazione di uno Stato che, per concorde ammissione, si trova tuttora in uno stato di civiltà arretrata e comunque notevolmente inferiore a quella della stessa Eritrea. Abbiamo ripetuto ciò anche agli inglesi. Sia gli inglesi che gli americani hanno dovuto convenire sulle difficoltà che si incontreranno affidando l 'amministrazione dell'Eritrea all'Etiopia e sulla necessità per quest'ultima di una assistenza europea. A corto di argomenti, i primi hanno confidenzialmente ammesso che si tratta più che altro di una «intestatura» del Governo laburista, portato, per le sue idee «progressiste», a favorire un po' dappertutto l'avvento di regimi «locali», mentre i secondi si sono in definitiva trincerati dietro l'impegno assunto dal segretario di Stato Marshall nei confronti degli etiopici.

Per quanto riguarda la penetrazione italiana in Etiopia, da parte nostra, anche ammettendo le benevole disposizioni del negus, si è sottolineata l 'impossibilità di prestare fiducia alle assicurazioni etiopiche, data l'attuale situazione in quel paese. Ci è stato risposto che gli inglesi hanno già un trattato speciale che assicura speciali diritti dei loro connazionali e che prevede addirittura una particolare giurisdizione.

Non dovrebbe essere difficile, secondo gli americani, estendere tale sistema ai cittadini di altri paesi europei. Abbiamo ribattuto che ciò che era stato possibile in periodo di operazioni militari appariva ben più difficile nella nostra attuale situazione e soprattutto senza l'efficace concorso della volontà britannica.

Confermo le considerazioni svolte nel mio rapporto sopracitato circa la valutazione delle nuove idee americane sulla Libia, gli svantaggi che un progetto del genere presenta nei confronti del trusteeship unilaterale, le possibilità che esso ci offrirebbe, una volta che ne avessimo cognizione ufficiale, per proporre o far proporre qualche cosa di simile per l'Eritrea.

A tale riguardo continuo naturalmente ad insistere qui con tutti gli argomenti a disposizione per una soluzione a noi favorevole e continuerò a farlo anche dopo che l'immutata posizione americana ci venisse comunicata ufficialmente.

Dobbiamo purtroppo attenderci che gli americani e gli inglesi insisteranno fino ali' Assemblea generale per la cessione dell'Eritrea ali 'Etiopia. Gli inglesi di qui sono stati con noi particolarmente espliciti circa le loro intenzioni di «attive» pressioni sui sudamericani ed hanno mostrato di fare assegnamento su una analoga azione anche da parte americana.

Ritengo pertanto che si debba fin da adesso, e con ogni mezzo, preparare la nostra campagna a Lake Success puntando su tutti gli Stati che, come il Sud Africa (e a quanto mi si dice qui, in via confidenzialissima, la Nuova Zelanda), che si sono già dichiarati contrari alle pretese etiopiche, nonché sul possibile appoggio dei paesi dell' America latina.

Se sarà possibile fare constatare agli americani la probabilità che la loro proposta non abbia successo, potremo passare ali' offensiva mediante la proposta di un nuovo trusteeship multiplo del genere di quello segnalato col mio rapporto sopracitato, oppure potremo adoperarci per un nuovo rinvio.

V.E. avrà certamente valutato le osservazioni formulate al ministro Mascia da un funzionario della delegazione francese all'O.N.U. (telespresso del nostro osservatore presso le Nazioni Unite n. 125 del 4 corrente)3 circa il fondamento giuridico delle pretese etiopiche ed avrà quindi deciso circa la possibilità di servirsi o meno di argomenti del genere. Debbo però a tal fine segnalare che gli americani, nel sostenere la legalità della loro proposta di cessione dell'Eritrea all'Etiopia, intendono basarsi sulle ampie facoltà loro concesse dall'art. 2° dell'allegato XI del trattato di pace, facoltà limitate soltanto dall'approvazione a due terzi di maggioranza, da parte dell' Assemblea dell'O.N.U.

Sarà mia cura di accertare, appena possibile, se si abbia qui intenzione di legare la proposta, che si considera a noi particolarmente favorevole, del trusteeship multilaterale per la Libia -ed eventualmente anche quella del trusteeship per la Somalia ad una nostra preventiva accettazione della proposta americana sull'Eritrea.

Pur non potendo anticipare nulla in proposito dovrei però considerare poco probabile una ipotesi del genere in quanto il nuovo progetto per la Libia appare in se stesso come un compromesso tra le diverse aspirazioni e risponde più che altro alla preoccupazione di far «passare» le aspirazioni inglesi, e di conseguenza americane,

sulla costa settentrionale dell'Africa senza difficoltà da parte degli arabi ammansiti, almeno così si spera, dalla partecipazione dell'Egitto e dal teorico mantenimento dell'unità della Libia. Mi riservo comunque ulteriori comunicazioni al riguardo4 .

389 1 Vedi D. 332.

389 3 Non pubblicato.

390

IL MINISTRO A DUBLINO, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 526/83. Dublino, 24 febbraio 19491•

Riferimento: Telespresso n. 450/66 del 15 febbraio c.m. 2 .

La questione della partecipazione dell'Irlanda al Patto atlantico ha avuto ieri seguito al Dail, dove un deputato indipendente ha chiesto al ministro degli esteri informazioni sui passi eventualmente fatti da altri Governi presso quello dell'Eire e sulla politica di quest'ultimo nei riguardi di tale partecipazione.

Il ministro ha risposto nei termini già resi noti in interviste alla stampa, confermando che la partizione dell'Irlanda costituisce l'ostacolo ad una alleanza militare con la Gran Bretagna. Egli ha detto che il Governo è stato effettivamente presentito da quello americano, al quale ha spiegato il suo punto di vista, comunicandolo anche agli altri Governi interessati. L'Irlanda, come paese democratico ed amante della libertà, approva pienamente le finalità del Patto atlantico. In materia però di misure militari essa è posta di fronte ed insuperabili difficoltà dal punto di vista strategico e politico per il fatto della ingiusta partizione dell'isola, contro cui la maggioranza del popolo si ribella. Qualsiasi alleanza o impegno di carattere militare che il Governo contraesse con la nazione responsabile di tale ingiustizia implicherebbe pericolo di lotte interne in caso di crisi. Una tale alleanza o impegno sarebbe fuori questione anche dal punto di vista strategico, poiché una piccola isola come l'Irlanda non potrebbe venir efficacemente difesa che da una autorità unica sostenuta dal volere della maggioranza del popolo in tutto il paese.

Il ministro ha aggiunto che nello spiegare ai Governi interessati tale atteggiamento è stato sottolineato come esso non sia determinato da sentimento di ostilità verso la Gran Bretagna, con la quale, al contrario, gli irlandesi desiderano sviluppare e rafforzare i rapporti; ed è inconcepibile che, con tanti interessi in comune, l'Irlanda, una volta riunificata, possa costituire fonte di pericolo o procurare imbarazzi alla Gran Bretagna in tempo di guerra. Un'Irlanda unita ed amica, sita al fianco occidentale della Gran Bretagna, risponderebbe all'interesse non solo di quest'ultima ma di tutta la comunità nord atlantica, nella quale sarebbe un fattore di armonia e di coesione. La eliminazione dell'ultimo ostacolo ad una simile felice prospettiva dovrebbe presentarsi pertanto come una questione di urgenza nella valutazione di tutti i Governi interessati.

2 Vedi D. 320.

389 4 Vedi D. 473. Per la risposta di Zoppi vedi D. 470.

390 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

391

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E WASHINGTON E ALLA LEGAZIONE AD OSLO

T. s.N.D. 1444/c.1 . Roma, 25 febbraio 1949, ore 23.

Segretario generale ha detto a questo ministro di Norvegia che mi aveva molto stupito e assai sfavorevolmente impressionato notizia pervenutaci da varie fonti2 secondo cui suo Governo si opporrebbe a che Italia sia invitata a Patto atlantico. Gli è stato precisato che questione era stata da noi esaminata con Governo americano e con altri Governi assai prima che si parlasse dell'adesione della Norvegia e che appariva per lo meno inconsueto che un Governo invitato abbia a proporre esclusioni circa inviti da diramarsi ad altri Governi: è questa una questione che interessa se mai esclusivamente paesi invitanti. Segretario generale aggiunge che se atteggiamento Norvegia derivasse da preoccupazione per estensione area coperta da Patto, stessa preoccupazione dovremmo allora avere anche noi nei confronti della Norvegia. Tale non è invece nostro atteggiamento perché consideriamo Patto come strumento sicurezza e pace tanto più efficace quanto più sua tutela si estende appunto ad aree che, come in Italia e Norvegia, formano due ali estreme egualmente esposte di indubbio valore per ogni valido sistema sicurezza. Confidiamo quindi Governo Osio non vorrà insistere, se pure vi ha effettivamente insistito, in atteggiamento che sarebbe destinato complicare anziché facilitare soluzione problema già di per sé complesso.

Ministro Norvegia ha promesso rendersi interprete tali nostre considerazioni presso suo Governo3 .

392

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1446/104. Roma, 25 febbraio 1949, ore 23,45.

Suo 191 1•

Dunn mi ha detto che niente gli è giunto che diminuisca o rallenti le formali affermazioni da lui ricevute tempo fa circa necessità inclusione Italia. Una sua insistenza gli pareva quindi di dubbia utilità.

2 Vedi D. 249.

3 Per la risposta da Osio vedi D. 425.

Ma son certo telegraferà perché non solo gli ho detto gravità di eventuali sorprese psicologiche ma gli ho confidato le ferme frasi con cui ho risposto stamani alla Commissione degli esteri Senato circa nostro atteggiamento in proposito2 .

391 1 Solo per Osio il presente telegramma era ulteriormente individuato come n. 8.

392 1 Vedi D. 384.

393

IL MINISTRO A CANBERRA, DEL BALZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1787/4. Sydney, 25 jèbbraio 1949, ore 21,30 (perv. ore 16).

In occasione presentazione credenziali ministro degli affari esteri Evatt mi ha informato che partirà con aereo della Qantas da Sydney per Londra 25 corrente arrivando Ciampino 3 (dico 3) marzo ore 16,30. Aereo ripartirà giorno 5 ore 12,30.

Evatt è accompagnato dalla consorte, dal segretario particolare Walshe e da signorina Townsend. Dalla conversazione è risultato chiaro che Evatt si aspetta di essere accolto ed ospitato e che sarebbe particolarmente lusingato se V.E. trovasse modo di offrirgli un pranzo. Ciò mi è stato confermato del resto dal segretario generale del Ministero. Come è noto Evatt va a Londra per dibattito scambio ratifiche Consiglio privato relativo nazionalizzazione banche australiane e successivamente si recherà New York per presiedere ripresa lavori esperti Nazioni Unite 1•

394

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1798/25. Sofia, 25 febbraio 1949, ore 19 (perv. ore 23).

Miei rapporti 221 del16 febbraio e 257 del23 febbraio 1 e miei telegrammi 22 e 232 .

Ieri sera Assemblea nazionale bulgara approvato legge per regolamentazione culti mantenendo sostanzialmente invariato progetto annesso al rapporto 257 summenzionato. Legge proposta dispone confisca ospedali, orfanotrofi e simili apparte

2 Del 17 e 24 febbraio, non pubblicati.

nenti comunità religiose, scioglimento ordini religiosi aventi sede estero, esclusione sacerdoti nazionalità straniere ecc., contiene numerose altre disposizioni che renderanno arduo a clero bulgaro cattolico continuazione sua missione. Con approvazione legge attendesi anche applicazione decisioni chiusura questa delegazione apostolica, decisione annunciata in discorso pronunciato ieri da ministro affari esteri Kolarov che ha attaccato violentemente politica Vaticano. Inoltre oggi ha inizio processo contro principali pastori evangelici bulgari, accusati tradimento e spionaggio. Vengono così applicate in Bulgaria, secondo volere di Mosca, direttive avverse confessioni religiose di impronta occidentale già preannunciate note decisioni riunione rappresentanze ortodosse Mosca scorso anno.

392 2 Per la replica di Tarchiani vedi D. 424.

393 1 Con il successivo T. 1788/5 diretto in pari data al segretario generale Zoppi, Del Balzo aggiungeva: «A unanime parere miei colleghi di qui Evatt è persona sensibile a qualunque gesto che sottolinei sua speciale posizione internazionale della quale è fierissimo».

394 1 Vedi DD. 330 e 379.

395

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1805/55. Londra, 25febbraio 1949, ore 20,20 (perv. ore 8 del 26). Riferimento telegramma 1400/c. 1 .

Ho fissato subito incontro con Jebb per primi giorni settimana prossima. Intanto ho avuto colloquio con ambasciatore Douglas sondando disposizioni americane circa problemi nostri in discussione Londra in questo momento.

Patto atlantico. Gli ho esposto punto di vista V.E. insistendo particolarmente su grave delusione e senso pericolo che avrebbe popolo italiano se Italia si vedesse inesplicabilmente esclusa in confronto di altre nazioni europee oltre cinque paesi Patto Bruxelles. Douglas ha confermato, e mi ha assicurato un prossimo colloquio per potermi dare qualche risposta su elementi positivi che ancora gli mancavano.

Colonie. Gli feci presente gravità derivante da incertezza risposta Stati Uniti e possibili prese di posizione Stati Uniti contrarie nostri interessi prima dell'aprile. Tale incertezza gravava su tutte le nostre relazioni con gli inglesi trattando argomento delle colonie. Entrato nel vivo delle questioni impostai mie argomentazioni su linee del colloquio Zoppi-Ward di cui al telespresso ministeriale 3/534/c.2 . Egli mi espresse necessità che ci rivedessimo con frequenza nei prossimi giorni trattando tra noi, in via confidenziale, su basi positive e quasi cercando insieme soluzioni concrete.

Per quanto riguarda Eritrea non ebbi reticenze circa impossibilità accettare proposta anglo-americana. Mi sono espresso in modo da rimuovere qualunque dubbio che egli potesse tuttora nutrire circa nostra ferma intenzione di opporci a cessione

Eritrea all'Etiopia. Quanto ad ulteriori conversazioni con Douglas ne darò conto se e appena intravveda qualche elemento positivo, anche in relazione con le altre conversazioni segrete in corso con gli inglesi.

Ritengo perciò che, per il momento, non sarebbe opportuno prendere altre iniziative.

395 1 Vedi D. 374, nota l. 2 Del 18 febbraio, ritrasmetteva a Londra, Parigi e Washington il D. 326.

396

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 1806-1807-1808/192-193-1941 . Washington, 25 febbraio 1949, ore 22,28 (perv. ore 8 del 26). Mio 191 2 .

Riunione ha avuto luogo stamane. Da confidenziali informazioni di fonti diverse mi risulta quanto segue.

Nel corso discussione che si era iniziata su testo trattato, Acheson ha improvvisamente sollevato questione Norvegia proponendo che, in seguito a imminenti decisioni Storting, essa fosse invitata fase finale trattative. Bonnet ha subito energicamente subordinato tale decisione a contemporaneo invito Italia.

Acheson ha osservato che Norvegia, a differenza Italia, trovasi in condizione di emergenza a causa note sovietiche.

Su ciò si è impegnata fra i due vivissima lunga discussione, in cui Bonnet non ha mai ceduto terreno quantunque Acheson prospettasse, probabilmente a scopo tattico, soluzioni subordinate (ad esempio preannuncio invito Italia contemporaneamente a effettivo invito Norvegia).

Ambasciatore inglese, richiesto esprimere avviso suo Governo, ha premesso una lunga rievocazione precedenti ed ha concluso con consueta formula ambigua, secondo cui suo paese non si opporrebbe qualora Stati Uniti si manifestassero apertamente favorevoli. Anche altri rappresentanti, ad eccezione olandese temporaneamente assente, si sono richiamati con sfumature diverse a decisioni di Londra.

Successivamente, avendo Acheson riaffermato desiderio Stati Uniti che ciascuno assumesse proprie responsabilità, Bonnet ha ricordato responsabilità che Stati Uniti America hanno già assunto con loro chiari ripetuti incoraggiamenti all'Italia e con comunicazioni a suo tempo fatte da ambasciatore americano al Governo francese 3 .

Acheson ha allora dichiarato che Stati Uniti sono favorevoli adesione Italia insieme ad altri paesi ma dopo Norvegia, cui situazione è più urgente per ragioni anzidette.

2 Vedi D. 384.

3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 666.

Seduta si è chiusa senza raggiungere alcuno accordo. Ambasciatori chiederanno stasera istruzioni rispettivi Governi e saranno nuovamente convocati da Acheson lunedì o martedì.

Interverrò subito Dipartimento di Stato per prospettare gravi ripercussioni eventuale esclusione Italia, determinata da atteggiamento americano. Permane naturalmente opportunità nostro intervento a Londra, nonché di Dunn presso suo Governo. Prego altresì considerare convenienza intervento cardinali americani, circa il quale ho già fatto qui passi, che dovrebbero essere appoggiati.

Mi risulta che Bonnet, per espresso invito di Acheson (che richiamava sua attenzione su grave responsabilità che stava assumendo coll'impedire tempestiva entrata Norvegia minacciata), stasera telegraferà Quai d'Orsay per chiedere fino a che punto debba insistere su suo fermo atteggiamento di oggi.

Poiché decisione francese in proposito interverrà probabilmente domani sabato, onde permettere a Bonnet di comunicarla qui prima della prossima seduta e poiché Parigi subirà probabilmente forti pressioni in senso contrario, anche sotto forma di maggiore arrendevolezza americana verso tesi francesi, ad esempio a proposito Algeria, mi permetto segnalare estrema urgenza interessare nostra ambasciata colà, affinché quel Governo non sia indotto a ripiegare su tesi subordinate4•

396 1 Testo originale dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Washington.

397

L'AMBASCIATORE A CARACAS, CASSINIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 1055/153. Caracas, 25 febbraio 1949 (perv. 12 marzo).

Riferimento: Telespresso 3/73/c. del 12 gennaio 1949 1•

Come è noto, i dibattiti all'O.N.U. all'epoca dell'Assemblea in Parigi si svolsero mentre in Venezuela, dopo il colpo di Stato del 24 novembre, era sorto un nuovo Governo ed i rappresentanti venezuelani si erano ridotti ad un solo delegato supplente, che pur trovandosi in una posizione delicata aveva votato per il rinvio, seguendo la corrente degli altri sud-americani.

Tale atteggiamento corrispondeva e corrisponde tuttora alla linea di massima che intende seguire il Venezuela circa il nostro problema coloniale.

D'altra parte, se tali nostri problemi sono qui poco noti per tante ragioni già precedentemente esposte, questa scarsa conoscenza delle questioni africane in generale si riscontra ancor più per quanto riguarda l 'Eritrea.

Tenendo pertanto conto di tale giusta osservazione messa in speciale rilievo nel telespresso a cui rispondo ed attenendomi alle istruzioni impartite, ho cercato di spiegare nel modo più persuasivo possibile la situazione in varie conversazioni con questo ministro degli esteri, con i suoi collaboratori e con personalità politiche simpatizzanti. Ho inoltre consegnato, come mi è stato indicato, i vari documenti inviatimi a più riprese, per illustrare meglio i miei chiarimenti.

Come conclusione dei passi compiuti in questa ripresa di contatti dopo la formazione del nuovo Governo e le decisioni di Parigi, riassumo qui di seguito i punti principali dell'ultima conversazione avuta ieri col ministro Gomez Ruiz che ha confermato l'intenzione del Governo venezuelano di appoggiare, nei limiti delle sue possibilità, la nostra tesi:

l) Gli organi competenti sono oramai a conoscenza del problema eritreo. Hanno studiato attentamente la questione e sono d'accordo con noi per l'avvenire da destinarsi all'Eritrea con tutte quelle garanzie che l'O.N.U. intendesse promuovere, ma scartando le pretese annessionistiche dell'Etiopia, purché venga regolato lo sbocco al mare, al riguardo del quale ho specificato come non abbiamo obiezioni alla cessazione al negus del territorio di Assab.

2) L'ambasciatore Stolk è stato confermato nella sua carica di delegato presso l'O.N.U. e pertanto gli verranno ben presto impartite istruzioni nel senso suindicato. Egli sarà pure incaricato di tenersi in contatto con il nostro osservatore per ulteriori delucidazioni, in modo da poter a tempo opportuno fare anche opera di collaborazione presso gli altri delegati.

3) Dal canto suo il Governo venezuelano si tiene ed ha intenzione di continuare a tenersi in relazione con gli altri Governi americani perché intende agire in armonia con essi. Al giorno d'oggi l'impressione riportata dal ministro Gomez Ruiz dopo questi contatti è che la maggioranza sia favorevolmente disposta a sostenere il nostro punto di vista.

In attesa delle riunioni del prossimo aprile, continuerò pertanto a far opera persuasiva nel senso indicatomi presso questo ministro degli esteri, col quale siamo rimasti d'accordo di scambiarci notizie seguendo lo sviluppo della questione.

396 4 Questo documento venne ritrasmesso il 26 febbraio a Quaroni con T. per telefono 14551102 delle ore 14 e a Gallarati Scotti con T. s.n.d. 1454/60. Per la risposta di Sforza al presente telegramma vedi D. 403.

397 1 Vedi D. 51.

398

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 445/143. Mosca, 16-2 5 febbraio 194 91•

Come è noto, alla riunione di Oslo dei paesi scandinavi, conchiusa coll'insuccesso del progetto di patto scandinavo, hanno partecipato anche gli ambasciatori di Norvegia e di Svezia a Mosca, signori Berg e Sohlman.

Dalle informazioni assunte al ritorno nel loro entourage e in quello degli altri paesi interessati, si possono desumere le seguenti impressioni circa lo stato attuale della situazione nei riguardi della pressione sovietica sui paesi scandinavi, in opposizione al Patto atlantico:

a) Norvegia. Almeno in una parte dell'opinione pubblica, i vari avvenimenti di questi giorni debbono aver prodotto una certa incertezza. Mi si dice che, in tal uni, l'essersi fatto fallire il patto scandinavo, senza avere prima, correlativamente, preparato a fondo l 'adesione al Patto atlantico, genera perplessità. Se la necessità di volgersi ad Occidente e di inserirsi nel Patto atlantico impediva la formazione di un patto scandinavo neutro alla moda svedese -ragiona questa parte dell'opinione pubblica norvegese -non bisognava andare a Washington per chiedere informazioni, ma per prendere posizione. Mentre si attendono le dichiarazioni di Lange dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti e da Londra, potrebbe determinarsi un ondeggiamento della opinione pubblica, che, se influisse sulla condotta del Governo, potrebbe anche determinare una sensibile vittoria diplomatica dei sovietici.

b) Svezia. Forse anche in relazione a questo stato di incertezza in cui si è tuttora sull'esito del viaggio di Lange, gli svedesi non hanno abbandonato la speranza di ritornare sul progetto di patto scandinavo autonomo, nel senso da loro desiderato. Essi contano al riguardo sull'opera mediatrice di Rasmussen, tutta indirizzata al medesimo fine. Gli svedesi si domandano se davvero i sovietici rimarrebbero sospettosi e ostili di fronte ad una unione scandinava che avesse realmente posizione autonoma, finalità difensive, e li garantisse contro la creazione di basi offensive contro di loro. D'altro lato, essi si affermano tuttora convinti che il blocco scandinavo autonomo garantirebbe gli interessi degli Stati occidentali più che un eccessivo allargamento del Patto atlantico, tenendo presente che la capacità svedese di armamento, pur essendo insufficiente in certi settori (aviazione), è considerevole in certi altri (carri armati e artiglieria).

c) Quanto alla Finlandia, secondo voci attendibili qui raccolte, riferenti notizie che proverrebbero in via diretta e riservata dallo stesso presidente Fagerholm, non sarebbe giustificata, finora almeno, l'apprensione di un giro di vite sovietico verso quel paese, quasi a guisa di ritorsione per l'orientamento norvegese verso il blocco atlantico. Dal punto di vista interno la situazione finlandese sarebbe questa: da un lato Fagerholm avrebbe intenzione di procedere appena possibile ad un rimpasto del Gabinetto, forse ritornando ad un governo di coalizione includente i comunisti, sempre alla condizione di non cedere loro alcuna essenziale leva di comando; dali'altro il Partito socialdemocratico, in una sua recente riunione, si sarebbe pronunciato in senso contrario a questa tendenza del suo più autorevole rappresentante nel Governo, preferendo invece che un mutamento ministeriale avvenisse eventualmente in seguito ad una aperta crisi, in modo da mettere i partiti di destra e i comunisti di fronte alla difficoltà di formare essi stessi un governo, e da riavere così più saldamente in mano la situazione. Quanto ai comunisti, essi si agitano per ottenere la crisi, ma pare che non abbiano avuto dai sovietici quelle promesse di diretto appoggio che avrebbero desiderato. Secondo quanto lo stesso Fagerholm avrebbe confidenzialmente saputo e comunicato, i sovietici non sarebbero stati molto contenti del modo con cui i comunisti si fecero manovrare fuori del Governo attuale, al tempo della sua formazione; né essi avrebbero intenzione di sostenerli ora a fondo per una presa del potere contrastante colla opinione della maggioranza della opinione pubblica. Si limiterebbero perciò ad un appoggio indiretto, verbale, consistente negli echi e nelle critiche della stampa sovietica.

Queste ultime informazioni corrispondono in sostanza a quello che è stato e continua ad essere finora l'atteggiamento della stampa sovietica nei riguardi del Governo finlandese; essa non è certo favorevole, non manca di critiche e soprattutto non manca di farsi eco delle critiche del partito di Erta Kuusinen, ma non ha mai preso finora un tono tale da lasciar presumere che decisioni più concrete siano imminenti.

Dall'insieme di questi elementi appare per il momento confermato il primo giudizio, e cioè che l'attuale azione sovietica tende a scuotere la decisione norvegese di aderire al Patto atlantico, agendo direttamente su quella opinione pubblica e per riflesso sulla opinione pubblica degli altri paesi scandinavi, in modo da sfruttare le residue possibilità di un passo indietro da parte del Governo norvegese. Se una simile azione riuscirà, bene per i sovietici; non riuscendo, essa avrà tuttavia, nel loro pensiero, l'effetto di disorientare e di intimidire sempre più gli altri Governi scandinavi, nonché almeno una parte dell'opinione pubblica stessa della Norvegia. Di azioni di forza, interne o esterne, verso la Finlandia per il momento non sembra sia il caso di temere.

25 febbraio 1949.

In seguito al ritorno di Lange, un punto è stato chiarito, ed è il tramonto, almeno per il momento, di ogni possibilità di blocco scandinavo. Le speranze e le aspettative svedesi sono rimaste deluse, e i tentativi di mediazione danesi sono riusciti sterili.

Ciò non toglie tuttavia che l'ingresso ufficiale della Norvegia nel blocco atlantico, e la stessa formale costituzione di questo blocco, siano ancora in sospeso e subiscano qualche ritardo. L'azione diplomatica sovietica, se non è riuscita e secondo ogni logica non riuscirà a impedire la formazione della coalizione né la partecipazione della Norvegia, continuerà tuttavia a svilupparsi nell'intento di ritardarla e di ridurne la portata.

Un certo ritardo, dipenda esso o no direttamente dalle pressioni sovietiche, si sta intanto verificando.

E d'altro lato è certo che la manovra sovietica continua e si sviluppa: ne è un nuovo segno l'odierno comunicato del Ministero degli affari esteri polacco, annunciante la piuttosto spettacolare riunione degli ambasciatori di quella repubblica presso gli Stati scandinavi, e diretto esso pure a ostacolare ogni forma di concorde orientamento antisovietico degli Stati scandinavi. Questa azione di intimidazione da varie parti e sotto diverse forme non cesserà tanto presto, né è detto che rimanga del tutto priva di effetto.

398 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

399

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, ROSSI LONGHl, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 539/77. Teheran, 25 febbraio 1949 (perv. il 2 marzo).

Riferimento: Mio telespresso urgente n. Ol del 18 corrente1•

Ho intrattenuto nuovamente questo ministro degli affari esteri allo scopo di chiarirgli sotto ogni aspetto il nostro punto di vista circa l'Eritrea e la Tripolitania e chiedergli l'appoggio del Governo iraniano. In particolare ho illustrato la nostra proposta di costituzione di uno Stato italo-arabo della Tripolitania, facendogli rilevare che essa, mentre mostrava tutta la buona volontà posta dal Governo italiano per cercare di conciliare i punti di vista di contrasto, sembrava rappresentare una soluzione accettabile da tutte le parti interessate.

Sul medesimo argomento ho conferito inoltre lungamente anche con il capo della Sezione delle Nazioni Unite del Ministero degli esteri.

Da parte loro i miei interlocutori, mentre mi hanno ripetuto ambedue il desiderio di questo Governo di darci ogni possibile appoggio, si sono riservati di farmene conoscere il pensiero in merito a quanto da me prospettato. Al riguardo sarebbe stato subito interpellato anche l'ambasciatore Entezam al parere del quale, per tutto quanto concerne l'O.N.U., viene qui attribuita grande importanza.

Ambedue mi hanno pure dichiarato che l'atteggiamento degli Stati arabi non avrebbe potuto influire su quello dell'Iran i cui interessi e vedute non sempre concordano con quelli arabi. Per quanto concerne in particolare l'Egitto, mi è stato detto che l'Iran ha avuto spesso motivo di dolersi di Cairo e, a tale proposito, mi è stato in particolare citato quanto di recente avvenuto in seno all'O.N.U. allorché l'Egitto, dopo avere ottenuto a maggioranza di un solo voto, e cioè quello dell'Iran, l'elezione al Consiglio di sicurezza, non ha invece in contraccambio appoggiato, contrariamente agli impegni presi, l'elezione dell'Iran all'Alta Corte di giustizia presentando addirittura un candidato egiziano.

Essendomi stato chiesto se mi risultasse quale avrebbe potuto essere l'atteggiamento di Washington, dato che l'Iran si sarebbe trovato in serio imbarazzo qualora il voto degli Stati Uniti ci fosse contrario, ho risposto che mancavo d'informazioni a tale riguardo.

400

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1858/792. Washington, 25 febbraio 1949 (perv. i/] 0 marzo).

Le conversazioni di Londra di Sadak e di Tsaldaris sulla possibilità di una alleanza mediterranea del genere di quella in fase di definizione per l'Atlantico sono

state qui seguite con vivo interesse, dati i noti impegni ed interessi americani nei riguardi della sicurezza mediterranea.

È troppo evidente che gli Stati Uniti, nel momento in cui si accingono a stringere una alleanza difensiva con i paesi della comunità atlantica, non possono non preoccuparsi della situazione in Mediterraneo dove sono già fortemente impegnati e dove, in caso di complicazioni, entrerebbero in gioco vitali interessi politici e strategici americani.

Si ha d'altra parte l'impressione (desunta da conversazioni peraltro finora generiche al Dipartimento di Stato) che per il momento non si pensi qui di andare oltre le note dichiarazioni di garanzia che si tengono in serbo per il momento della conclusione del Patto atlantico a favore di alcuni paesi che ne resteranno al di fuori (Grecia, Turchia, Iran), rimandando ad un secondo tempo la eventualità di un sistema di sicurezza mediterraneo che faccia da complemento a quello atlantico.

L'atteggiamento americano al riguardo sembra improntato a vivo realismo. Mentre si considera del tutto inadeguato un patto che si limiti a mettere insieme solo delle «debolezze» quali indubbiamente sono, dal punto di vista militare, i paesi del Mediterraneo, si sostiene che, in un momento in cui già tante sono le difficoltà da superare per il Patto atlantico, sarebbe troppo pretendere il pensare a nuove e più controverse formazioni politico-militari.

Gli impegni già esistenti tra Stati Uniti e Grecia e Turchia e le dichiarazioni di garanzia in progetto sono giudicati sufficienti ad assicurare in Mediterraneo, allo stato attuale, il minimo di sicurezza ritenuto necessario, e si lascia per il momento alla Gran Bretagna il compito di esplorare il terreno e di dare una qualche soddisfazione alle ansie greche e turche.

Sulla questione non vi è stata finora a Washington nessuna presa di posizione ufficiale. Mi risulta tuttavia che queste ambasciate di Grecia e di Turchia si danno molto da fare e che Erkin ne avrebbe intrattenuto qualche giorno fa Acheson.

Quanto precede non ha finora avuto qui influenza sul Dipartimento di Stato per quanto concerne l'Italia, alla quale si continua a pensare soltanto in funzione di Patto atlantico.

399 1 Vedi D. 343.

401

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1312/290. Trieste, 25 febbraio 1949 (perv. il 2 marzo).

Seguito telespresso n. 1200/269 del 23 febbraio corrente1 .

Il consigliere di Stato Innocenti ha avuto ieri, me presente, una lunga conversazione col generale Airey, il quale, informato della venuta a Trieste del capo dell'Uffi

cio per le zone di confine, aveva espresso il desiderio di avere con lui uno scambio di vedute su tutte le questioni connesse colle prossime consultazioni elettorali. La conversazione ha toccato vari punti che riassumo qui di seguito:

l) Airey ha accennato alla questione della bilinguità dei documenti elettorali, questione che ha formato oggetto, da ultimo, del telespresso di questo Ufficio

n. 1134/263 del 21 febbraio' e sui cui sviluppi riferisco in data odierna con rapporto a parte2 . Sull'argomento, Airey si è limitato ad esporre quali siano le attuali vedute del G.M.A.; cioè, riconferma del principio che la lingua italiana è l'unica lingua ufficiale della Zona, ma necessità di una traduzione in lingua slovena degli atti destinati al pubblico. Salvo una generica e, devo ritenere, sincera affermazione di comprensione per i desideri dei circoli italiani locali, il comandante la Zona ha riprodotto sommariamente le proposte fatte con maggior ampiezza di dettagli dal col. Robertson nel suo recente colloquio col dr. Cerrutti, del Ministero dell'interno, e con Gaja. Le sue parole hanno in ogni modo lasciato intendere con chiarezza che il G.M.A. avrebbe definitivamente abbandonato l 'idea di applicare, nei documenti elettorali, un bilinguismo formale.

Il consigliere Innocenti ha preso atto delle dichiarazioni fattegli, ha rilevato la delicatezza della questione, sulla quale riteneva che, da parte italiana, si potesse esprimere un parere solo in sede di Governo, e si è riservato, in occasione di una sua prossima visita a Trieste nei primi giorni della prossima settimana, di ritornare con maggiore ampiezza sull'argomento.

Abbiamo ambedue insistito presso il generale Airey affinché venisse, per quanto possibile, rimandata l'emanazione di disposizioni sulla materia: ed il comandante la Zona si è riservato di esaminare la cosa, dopo aver sentito i competenti funzionari alleati.

2) Circa la campagna elettorale e circa la venuta a Trieste, in tale occasione, di uomini politici italiani o jugoslavi, Airey ha ripetuto quanto aveva già detto a Gaja il 22 corrente (telespresso di questo Ufficio n. 1200/269 del 23 febbraio). Anche per questa materia, il consigliere Innocenti ha assicurato che essa sarebbe stata esaminata dagli organi centrali italiani il cui punto di vista in merito potrà esser fatto conoscere al G.M.A. nei primi giorni della prossima settimana.

3) Il comandante la Zona è venuto poi a parlare del noto problema della presentazione dei partiti italiani alla competizione elettorale in una lista unica o con liste separate, problema che la nostra stampa di Trieste sta dibattendo da vari giorni con sempre maggior ampiezza. Al riguardo, pur premettendo che si trattava di argomento non di sua competenza, Airey ha espresso il parere che, anche in considerazione del meccanismo elettorale, converrebbe agli italiani una presentazione con lista unica bloccata, sempreché sia possibile designare a rappresentanti italiani, in tale lista, delle persone capaci, politicamente irreprensibili ed universalmente stimate.

4) La conversazione si è soffermata poi sull'argomento dei movimenti indipendentisti, nei quali Airey vede un non trascurabile pericolo per le prossime consultazioni. Egli ritiene che le correnti indipendentiste avrebbero evidentemente molto minor forza se fosse fatto chiaramente intendere ai possibili loro aderenti che la creazione di un Territorio Libero non vorrebbe dire in alcun modo, come molti immagi

nano, il permanere della situazione attuale, ma significherebbe l'instaurarsi di una situazione caotica, conseguente, dal punto di vista politico, al ritiro delle truppe alleate, e, dal punto di vista economico, alla cessazione degli aiuti economici italiani. Sono argomenti, questi, ha detto Airey, su cui converrebbe che la propaganda italiana indugiasse fin d'ora, con tatto ma con chiarezza e che non possono essere trascurati, se si voglia raggiungere un'affermazione ben precisa dell'italianità di Trieste.

5) Il comandante la Zona ha spezzato infine una lancia a favore dei dipendenti della Polizia civile. È un problema cui, come è noto a codesto Ministero, egli aveva accennato, più o meno direttamente, altra volta, ma su cui ieri egli si è espresso in maniera anche più esplicita, mettendo in rilievo il nostro interesse di dare qualche assicurazione circa il loro avvenire ai numerosi componenti di tale Corpo, che altrimenti potrebbero facilmente essere indotti a sostenere qualche partito o qualche lista a tinta più o meno indipendentista.

Il consigliere Innocenti gli ha risposto che la questione, già segnalatagli da questo Ufficio, era allo studio presso la Presidenza del Consiglio, la quale stava esaminando con favore la possibilità di una dichiarazione, sotto l'una o sotto l'altra forma, nel senso desiderato.

401 1 Non pubblicato.

40 l 2 Telespr. 1314/291, non pubblicato.

402

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L.l. New York, 25 febbraio 1949 (perv. il 5 marzo).

Ho parlato nuovamente con Arce, il quale mi ha ripetuto che la chiave dell'atteggiamento di molte delegazioni sud-americane travasi soltanto nella posizione che prenderà il Governo di Washington. Egli non è preoccupato tanto per la Tripolitania, perché, a questo riguardo, la Conferenza sudamericana a Parigi è stata molto esplicita: non si accetta una trusteeship inglese sulla Cirenaica se contemporaneamente non venga data la Tripolitania all'Italia, ma vede invece con maggior preoccupazione la questione eritrea, per la quale si sono manifestate, e si stanno sviluppando, esitazioni sempre più accentuate in molte delegazioni.

Ignorando egli quanto sta avvenendo a Washington, mi ha raccomandato di far fare delle forti pressioni sul Governo americano, cosa di cui l' ho assicurato stavamo facendo appieno; al contempo mi ha consigliato, sempre a proposito dell'Eritrea, di far richiedere da Arpesani a Bramuglia e da Martini a Fernandes che le ambasciate e legazioni argentine e brasiliane presso le varie capitali sudamericane facciano sentire la loro voce per cercare di portare quei Governi a miglior consiglio. Egli ritiene che

un'azione concentrica italo-brasiliano-argentina fiancheggiata efficacemente anche dalla Francia potrebbe avere un effetto salutare, soprattutto se fatta in tempo, e preparare il terreno perché un'eventuale proposta a favore dell'Etiopia possa trovare compatto il gruppo sudamericano. Arce è convinto che il blocco sovietico, per l'Eritrea, voterebbe a favore dell'Etiopia (ricordo l'azione precipitata di Vyshinsky nella seduta plenaria di Parigi, allorquando, in seguito ad un discorsetto lagrimoso etiopico, propose la famosa risoluzione che venne poi bocciata malgrado l'adesione inglese), oltre al blocco asiatico. Gli arabi incerti.

Arce mi ha promesso che, dal canto suo -come pure analogamente mi ha promesso l'ambasciatore Muniz-svolgerà opera di persuasione tra le piccole delegazioni sudamericane. Io mi tengo in istretto contatto con lui e continuo le mie visite ai delegati permanenti che però in molti casi, devo confessarlo, non trovano una chiara rispondenza ma invece una prudente attesa di decisioni altrui, come avrai potuto rilevare dai riassunti di conversazioni che invio al Ministero.

Ogni giorno mi convinco sempre di più che la decisione, non solo sull'Eritrea, ma forse anche e soprattutto sulla Tripolitania, oggi dipende quasi esclusivamente da Washington. E temo che gli americani stiano ripetendo la stessa tattica adoperata a Parigi, quella cioè di non voler palesare i loro intendimenti che ali 'ultimo momento, facendoci così trovare di fronte ad una decisione finale contro la quale non ci sarà nulla da fare.

Sono a questo riguardo in contatto quasi quotidiano con l'ambasciatore, il quale -è bene riconoscerlo apertamente -sta facendo tutti gli sforzi possibili per potere avere contatti in high leve!, ma purtroppo fino ad oggi non è riuscito a vedere Acheson.

Arce, infine, parlandomi della sua posizione personale, mi ha detto che è oltremodo riconoscente al Governo italiano ed all'ambasciatore Arpesani per quello che hanno fatto a suo favore. Malgrado ciò, tuttavia, egli prevede che alla fine di maggio dovrà, con suo grande rincrescimento, lasciare la direzione della delegazione argentina e riprendere la sua attività scientifica. Mi ha detto quindi che egli desidera intraprendere, nella prossima estate, un viaggio in Europa per riallacciare i contatti con il mondo scientifico (è membro di accademie scientifiche francesi e spagnole, ecc.) e vorrebbe anche stabilire contatti proficui con la nostra Accademia dei Lincei. Se fosse possibile -egli mi ha chiesto -avere una copia dello Statuto dell'Accademia, ciò lo aiuterebbe moltissimo per esaminare che cosa potrebbe maggiormente interessare questo alto consesso (conferenze, pubblicazioni, memorie). Io ritengo che, se noi potessimo aiutarlo nell'ottenergli la nomina, come membro estero, alla predetta Accademia, lo faremmo completamente felice. È ciò nel regno delle possibilità? Lo ignoro: ma ritengo che, dopo quanto è avvenuto per la sua auto, sarebbe forse opportuno dimostrargli, per lo meno in questo campo, la nostra riconoscenza e rincuorarlo per il lavoro che deve svolgere in aprile. Se proprio i Lincei fossero al di sopra delle nostre possibilità, sarebbe ottenibile un dottorato honoris causa dell'Università di Roma? È già dottore «h.c.» nell'Università di Madrid. Ti sarò grato, se mi farai avere due righe di orientamento.

Vedrò domani il cardinale Spellman e gli parlerò molto chiaramente, tralasciando il lato tecnico della questione, ma portando chiaramente ed apertamente il problema sopra un piano di politica generale.

402 1 Ritrasmessa, ad eccezione degli ultimi tre capoversi, alle ambasciate a Buenos Aires, Parigi e Rio de Janeiro con Telespr. 3/729/c. del 5 marzo.

403

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1477/107. Roma, 26 febbraio 1949, part. ore 2 del 27.

Suoi 192-193 1•

Lascio giudicare a lei se utile far sentire costì che se noi abbiamo fatto con successo quanto occorreva per persuadere opinione pubblica ma non abbiamo ancora espresso in Parlamento nostra volontà formale e solenne è solo perché non abbiamo ancora ricevuto un invito formale su cui basarci.

Nessuna esitazione quindi da parte nostra ma nostro dovere assoluto evitare discussioni anticipate. Lei potrebbe anche osservare che il protrarsi di una lunga indecisione potrebbe permettere qualche artificiosa manovra diplomatica dal lato sovietico.

404

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. URGENTE 1480/c. Roma, 26febbraio 1949, ore 23.

(Per Parigi) Telegramma ministeriale l 02 1•

(Per Londra) Telegramma ministeriale n. 601•

(Per Washington) Suoi 192 e seguenti2 .

(Per Londra e Washington) Telegrafato Parigi quanto segue:

(Per tutti) Formula proposta da Acheson è comunque inaccettabile perché troppo vaga. Accenno futuro invito, mentre permangono ancora obiezioni britanniche e Benelux e pensiero americano appare ancora fluttuante, equivarrebbe a rinvio a tempo indeterminato. In queste condizioni esso offrirebbe ad opposizione comunista possibilità organizzare sistematica campagna contro Governo, eventualmente in concomitanza con manovre sovietiche analoghe a quelle poste in atto contro Norvegia, mentre lascerebbe paese privo qualsiasi garanzia ed assistenza militare.

Saremo pertanto grati a Governo francese se vorrà insistere nella sua tesi confermando precise istruzioni a Bonnet3 .

2 Vedi D. 396.

3 Quaroni che, in base alle istruzioni telefoniche (vedi nota l) aveva già interessato alla questione Schuman (vedi D. 412) tornò a riferire sull'argomento con il D. 427.

403 1 Vedi D. 396.

404 1 Vedi D. 396, nota 4.

405

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1818/127. Parigi, 26febbraio 1949, ore 14,20 (perv. ore 18).

Riferendo oggi conversazione fra Gallarati e Massi gli 1 , Couve de Murville mi ha detto che, chiarito ormai equivoco nostro memorandum2 , potrebbe esser utile conversazione a tre franco-inglese-italiana per preparare formula trapasso e ulteriore organizzazione Tripolitania che si potrebbe poi presentare tutti e tre a Washington.

Couve (Schuman è d'accordo) ritiene che questa proposta dovrebbe essere avanzata da noi. Consiglierebbe comunque far presto perché altrimenti rischiamo trovarci primi aprile in situazione non mutata rispetto dicembre scorso.

406

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1820/49. Gerusalemme, 26 febbraio 1949, ore 12 (perv. ore 19,30). Suo telegramma 28 del 25 corr. 1•

Dispaccio 127 inviatomi tramite Beirut mai giunto Gerusalemme. Telespresso ministeriale 01360 in data 25 gennaio2 spedito per corriere da Roma 29 gennaio u.s. arrivato Gerusalemme soltanto il 16 febbraio. Scambio corrieri e collegamenti miglioreranno con prossimo servizio aereo LAI.

Sondaggi compiuti circa scambio di note con Transgiordania mi davano positivi affidamenti, senonché consulente giuridico Ministero degli affari esteri Amman espresso parere impossibilità scambio di note tenore progettato in quanto Transgiordania tratta paesi occidentali stessa stregua e taluni privilegi concessi paesi fratelli Lega araba non potrebbero venire estesi cittadini esteri. In tal modo rendesi non applicabile clausola nazione più favorita. Recomi lunedì mattina Amman esaminare tale questione insieme altre carattere economico. Telegraferò mio ritorno giovedì3 .

2 Vedi D. 211. 406 1 Con tale telegramma Soardi aveva precisato: «Con lettera 127, inviata a V.S. tramite Alessandrini, si pregava affrettare scambio note di cui al telespresso 25 gennaio n. 01360 nonché di telegrafare data relativa onde dame dovuto risalto in questa stampa».

2 Non rinvenuto. 3 Telegrafò più tardi, vedi D. 500.

405 1 Vedi D. 365.

407

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO 1822/129. Parigi, 26febbraio 1949, ore 19,05 (perv. ore 20,30).

Progetto statuto Unione Europea ormai definito ci sarà comunicato nei prossimi giorni dopo approvazione cinque Governi interessati insieme a invito Conferenza. Testo nuovo differisce da quello comunicatoci confidenzialmente da francesi su di un solo punto sostanziale: sono rinforzati i diritti del Consiglio nei riguardi argomenti che potranno essere lasciati trattare da Assemblea. Mentre secondo progetto originario Consiglio aveva semplice diritto di veto circa argomenti che Assemblea si proponeva trattare (a bloccare questo veto bastavano quattro voti su dieci) il nuovo progetto deferisce al Consiglio facoltà investire Assemblea della trattazione di una questione. Nuovo testo rappresenta concessione evidente -importante ma unica-alla tesi inglese contraria all'Assemblea.

Conferenza a dieci avrà con ogni probabilità luogo a Parigi, lunedì 21 marzo o lunedì 28, quasi certamente sul piano ambasciatori. Per la firma, gli inglesi desiderano Strasburgo: firmerebbero ministri esteri. Per la data, si propenderebbe ad accogliere proposta Benelux di stabilirla per subito dopo riunione dei Cinque a Lussemburgo, nell'ultima decade di aprile.

408

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1827/56. Londra, 26febbraio 1949, ore 20,05 (perv. ore 24).

Miei colleghi turco e greco, che mi hanno dato ampie informazioni circa colloqui qui avuti dai rispettivi ministri degli esteri, concordano che Bevin ha espresso a entrambi sua opinione che patto mediterraneo sia cosa da non prendere in considerazione prima del perfezionamento del Patto atlantico.

Con particolare riferimento telegramma ministeriale 57 1 , aggiungo che ambasciatore greco mi ha escluso che nei colloqui di Tsaldaris con Bevin, che ebbero per soggetto centrale situazione interna greca, si sia fatta menzione dell'Italia.

408 1 Del25 febbraio, ritrasmetteva il T. 43 da Atene, per il quale vedi D. 441, nota l.

409

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1830-1836/15-16. Ottawa, 26febbraio 1949, ore 22,22 (perv. ore 8 del 27).

Mio telegramma 9 1 e telegramma di V.E. 14002•

Assistente sottosegretario esteri (il quale è particolarmente competente circa Patto atlantico) mi ha detto oggi confidenzialmente che lunga seduta ieri a Wa-shington è stata dedicata:

l) ad esame nuova formula articolo 5 Patto relativo garanzie militari ecc. in caso aggressione. I Sette sarebbero ormai d'accordo in linea di principio ma resterebbe ancora da definire qualche dettaglio ed occorrerebbe mettere a punto testo definitivo gradito anche noti senatori americani. Comunque progresso realizzato è notevole;

2) a discussione alquanto disordinata circa timing degli inviti eventualmente da indirizzare, più o meno sollecitamente, ad alcuni paesi europei (in particolare Norvegia e Italia) per partecipazione Patto. Per quanto ci riguarda interlocutore mi ha confermato sia iniziativa francese a nostro favore sia scrupolosa osservanza noto impegno da parte rappresentante Canada. In sostanza non si è giunti ad alcuna conclusione neanche circa Norvegia e si sarebbe convenuto riprendere discussione prossima seduta nel senso decidere preliminarmente se e quali Stati siano da considerare attualmente come desiderabili partecipanti Patto. Una volta risolta tale prima questione di massima si passerebbe successivamente a ridiscutere timing relativi inviti.

Non è stata stabilita data nuova riunione Sette che dovrebbe aver luogo possibilmente prima metà settimana entrante.

A titolo personale e confidenziale ho chiesto a mio interlocutore sue impressioni su probabilità nostra inclusione Patto. Pur elevando ogni riserva circa incognite prossime discussioni approfondite dei Sette in argomento, mi ha detto sembrargli che attualmente «bilancia» pendesse piuttosto a favore nostra partecipazione più o meno sollecita. Egli mi ha domandato quindi se e quali ripercussioni potrebbe avere su nostra situazione interna e solidità Governo una ipotetica decisione non (dico non) positiva ovvero sospensiva. V.E. intuisce mia risposta nella quale ho sviluppato accenni suo telegramma 1400.

Gli ho a mia volta domandato se in discussione ieri a Washington fosse stato eventualmente accennato da qualcuno dei Sette a pretese alternative, quale il patto mediterraneo ritornato alla ribalta con le recenti dichiarazioni Tsaldaris a Londra3 . Lo ha escluso recisamente: mi ha anzi ripetuto giudizio su inattualità patto del genere già

2 Vedi D. 374, nota l.

3 Vedi D. 408.

espressomi dai più importanti membri del Governo e su presente assai scarsa efficienza di una siffatta combinazione. Egli ha al riguardo affermato rendersi conto della nostra persuasione che attualmente unico strumento solido e in grado garantire sicurezza fosse Patto atlantico.

409 1 Vedi D. 294.

410

IL MINISTRO A L' AJA, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1833-1834/15-16. L 'Aja, 26febbraio 1949, ore 20,45 (perv. ore 8 del 27).

Secondo le istruzioni telespresso V.E. urgente 373 del 21 corrente1 , ho cercato chiarire atteggiamento di questo Governo. Mi è stato detto:

l) Nella riunione Consiglio Cinque a Londra 28 gennaio u.s. era stato concordato accettare accesso Italia Patto atlantico -rinunziando eventuali obiezioni in contrario-qualora U.S.A. lo avessero domandato espressamente, giudicando partecipazione italiana, secondo loro, opportuna.

2) Finora U.S.A. non (dico non) hanno manifestato tale richiesta, certo in conseguenza, secondo mio interlocutore, mutamento segretario di Stato e situazione interna Nord America per dibattito parlamentare.

3) Questo spiegherebbe reazione inglese domanda Bonnet nella riunione 8 corrente2 .

4) Punto di vista Olanda circa Italia, cioè favorevole sua adesione, permane immutato: Olanda, non appena U.S.A. avanzassero domanda per l'Italia, risponderebbe affermativamente. Qui si ritiene che con inclusione Norvegia -che pare acquisita anche se invito non è stato fatto ancora -Patto acquisterebbe maggior equilibrio; mentre adesione solo nostro paese sposterebbe centro gravità verso sud.

5) Posizione passiva Paesi Bassi non è dovuta animosità verso Italia ma impossibilità assumere verso di essa impegno che U.S.A. soltanto possono prendere. Perciò si ritiene che iniziativa incomba a questi ultimi.

6) Una clausola Patto prevede unanimità consenso firmatari per ammettere nuovi partecipanti; in questo senso dovrebbe intendersi pensiero manifestato da sottosegretario di Stato affari esteri a nostro ambasciatore Washington.

7) Da parte Olanda mi è stata confermata necessità giungere al più presto conclusione Patto cui prolungarsi discussione ha provocato danni e confusione. Ciò ha determinato decisione assolvere questo importante compito prima procedere studio sua estensione e decidere paesi da invitare, ciò che richiederà un certo tempo per riepilogare problemi che implicano.

2 Vedi D. 266.

Rendendosi conto perfettamente delicatezza situazione italiana da me illustrata e del nostro desiderio, mio interlocutore manifestato formalmente che sarebbe oggi stesso data comunicazione Washington immutato atteggiamento di questo Governo.

Dal colloquio mi è sembrato qui si abbia impressione che U.S.A. segnino battuta arresto nel loro atteggiamento verso Italia.

Successione di cui al numero 6 mi è stata confermata anche da fonte locale francese dalla quale apprendo che nella riunione 19 corrente segretario di Stato avrebbe comunicato agli ambasciatori sua intenzione procedere quanto prima firma Patto fra i sette paesi e rinviare ad una fase successiva accesso altri paesi tra cui Acheson avrebbe menzionato «notamment l'Italie». Stessa fonte ha espresso opinione che adesione altri paesi non dovrebbe necessariamente avere luogo singolarmente bensì per gruppi, ad esempio Norvegia, Italia, Irlanda, Portogallo, ecc.

410 1 Vedi D. 362.

411

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1838/196. Washington, 26febbraio 1949, ore 21,50 (perv. ore 8 del 27).

Profilarsi dell'eventualità di un invito alla Norvegia prima che all'Italia è stata ammessa dal Dipartimento di Stato, richiesto di far conoscere cosa fosse avvenuto nella seduta di ieri 1• Esso ha cercato giustificare ciò con imprevista situazione di emergenza, causata da pressione diplomatica di Mosca nonché da ammassamenti truppe sovietiche al confine norvegese, i quali, a quanto qui si ritiene, stanno avvenendo effettivamente e imporrebbero sostenere Governo di Oslo e ammonire U.R.S.S.

È stato risposto da parte nostra che nulla vieta invito contemporaneo a Italia se, conformemente ad assicurazioni ripetutamente fomite, Stati Uniti sono favorevoli sua adesione e se sono disposti confermare ciò ad altri paesi interessati. Inoltre sono stati illustrati tutti i motivi politici e morali per i quali sfasamento tra Italia e Norvegia apparirebbe ingiusto e dannoso.

Dipartimento di Stato ha ribattuto con solito argomento, affermando cioè che Stati Uniti erano e sono favorevoli e lo hanno detto più volte, ma, anziché esercitare pressioni su altri Stati interessati, preferiscono poco a poco condurli verso decisione unanime. Ha aggiunto che fatto nuovo, costituito da situazione Norvegia, può mutare nei tempi e nei modi, ma non nella sostanza, soluzione questione italiana.

Mi consta che gli uffici (da Hickerson in giù) esercitano massima possibile pressione su segretario di Stato. È lecito sperare che, se atteggiamento francese e italiano rimarrà fermo, buon senso finirà per prevalere. Ritengo per contro che non si possa fare assegnamento su portata effettiva degli affidamenti generici che Acheson

sembra voler dare circa adesione italiana in un secondo tempo. Questo ambasciatore di Francia condivide tale mio avviso, che vedo rispecchiato anche nelle considerazioni svolte a Schuman da Quaroni2 .

411 1 Vedi D. 396.

412

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1841/131 1 . Parigi, 26febbraio 1949, ore 23,18 (perv. ore 10 de/27). Suo 1022•

Schuman mi ha confermato in ogni dettaglio informazioni Tarchiani. Mi ha detto invia stasera stessa Bonnet seguenti istruzioni:

Dato che seduta Storting deve avere luogo martedì, Francia non si oppone a che Lange sia messo in grado per quella data annunciare che Norvegia è invitata. Insiste però perché venga subito discussa e decisa questione ammissione Italia: Francia non si oppone a che, eventualmente, Norvegia possa di fatto essere chiamata prendere parte discussioni «qualche giorno» prima Italia, se Governo americano considera questo assolutamente indispensabile, ma deve trattarsi precedenza solo qualche giorno.

Dà comunque istruzioni Bonnet ripetere che Francia si oppone categoricamente a che Norvegia sia chiamata firma Patto prima o senza Italia.

Ho di nuovo fatto presente a Schuman gravità situazione per noi. Gli ho fatto presente soprattutto necessità per Governo italiano sapersi regolare per impostazione sua politica piano interno. Riteniamo che atteggiamento deciso Francia può avere grande influenza e comunque è su atteggiamento Francia che Governo italiano basa in gran parte sua decisione. Se quindi Francia non si sente in grado mantenere sua posizione sino in fondo è meglio che ce lo dica senz'altro. Conosciamo situazione e comprenderemmo: ma se ci promette di mantenere suo punto di vista fino in fondo e poi non lo fa Governo francese prende nei nostri riguardi grandi responsabilità.

Schuman mi ha ripetuto che comprende situazione e che possiamo contare su mantenimento posizione Francia: posizione che del resto corrisponde interesse francese perché estensione Patto verso nord senza contrappeso mediterraneo italiano porrebbe gravi problemi per difesa Francia.

Mi ha detto necessità assoluta che azione francese sia accompagnata nostra azione Londra e Bruxelles.

È stato molto grato informazioni che gli ho dato circa dimissioni Saragat3 che temeva fossero dettate da questioni politica estera e temeva fossero anche manovra indiretta inglese.

Pressioni previste da Tarchiani ci sono evidentemente state perché, per quanto me le abbia spiegate, istruzioni inviate stasera Bonnet significano già qualche cedimento per rispetto posizioni di cui al mio telegramma 1254 .

Pressioni continueranno e se, come sembrerebbe, Acheson è orientato in forma differente che suoi predecessori nei nostri riguardi, nonostante assicurazioni Schuman per ragioni già molte volte espresse, non posso che fare molte riserve circa capacità Francia tenere fino in fondo.

Molto se non tutto dipende adesso da atteggiamento Londra: se cioè Londra si contenta che noi ci mettiamo in ginocchio pregando di non fare difficoltà, considerando questo come soddisfazione sufficiente suo amor proprio offeso, oppure se insiste per lungo periodo di prova attraverso Consiglio Europa. Non credo si possa molto influire su decisioni inglesi: tuttavia a scarico coscienza credo sia necessario e urgente tentare anche questa via5 .

411 2 Vedi D. 382. 412 1 Ritrasmesso a Bruxelles, L'Aja, Londra, Osio e Washington con T. s.n.d. 1492/c. del27 febbraio. 2 Vedi D. 396, nota 4.

413

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1849/17. Ottawa, 26febbraio 1949, ore 24 (perv. ore 13,30 del 27).

Miei telegrammi 12 e 161•

Questo ambasciatore Grecia (il quale cerca di tenersi meco molto in contatto) mi ha ripetutamente parlato, a titolo confidenziale, di patto mediterraneo e del desiderio del suo paese e della Turchia di averci con loro. Infatti alla pari del collega turco egli appare ormai sfiduciato esito insistenti passi onde ottenere appoggio per inclusione nel Patto atlantico.

Ho amichevolmente attirato di lui attenzione tra l'altro su convenienza greca e turca di agevolare in ogni modo nostro eventuale ingresso Patto atlantico anziché ostacolarlo sia pure indirettamente. E ciò perché si porrebbe principio estensione Patto al di là più ristretta impostazione settore geografico nord atlantico; ed Italia, ove entrasse nel Patto, potrebbe anche avere possibilità adoperarsi amichevolmente a favore Grecia e Turchia. Ambasciatore mi è sembrato bene impressionato tale ragionamento.

4 Vedi D. 382.

5 Per ulteriori precisazioni sulle istruzioni inviate a Bonnet vedi D. 427.

412 3 VediD.415.

413 1 Vedi DD. 295 e 409.

414

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. SEGRETO 3/656/c. 1 . Roma, 26febbraio 1949.

Sino da quando, dopo la conclusione del trattato di pace, ebbero inizio le discussioni relative alla sorte delle ex colonie italiane, e l'Italia rivendicò l'amministrazione fiduciaria su di esse, venne data da parte nostra la dovuta attenzione agli ostacoli che si sarebbero potuti incontrare per il conseguimento di un mandato italiano contemporaneamente su entrambe le colonie dell'Africa orientale. E ciò per la particolare posizione geografica di esse nei confronti dell'Etiopia e per le preoccupazioni che l 'Etiopia stessa aveva manifestato e propagandato in proposito e che avevano trovato largo credito in ambienti internazionali.

Era stata allora presa in considerazione la eventuale necessità di dover ripiegare su soluzioni subordinate atte a dissipare il timore per il cosiddetto ricostituirsi di una «tenaglia» italiana al sud e al nord dell'Etiopia, e risultato di tale esame fu che, nella eventualità di dover scegliere fra l'una e l'altra di quelle ex colonie per un mandato italiano singolo, si sarebbe potuto optare per la Somalia. Tale conclusione, che per altro non si ebbe mai occasione di comunicare ad alcun Governo estero, era basata sulle considerazioni seguenti:

l) che le soluzioni allora in discussione per le ex colonie italiane prevedevano per esse la possibilità di mandati singoli, di mandati congiunti (due o più potenze),

o di mandati collettivi. Non vi era a quel tempo alcun indizio che si potesse prendere seriamente in considerazione l'annessione dell'Eritrea alla Etiopia;

2) che la Somalia non è un territorio di popolamento europeo e che per conseguenza la permanenza e l 'incremento in essa di collettività italiane e di attività economiche italiane, è in diretta relazione con l'esistenza di una amministrazione italiana;

3) che a differenza dell'Eritrea che confina col Tigrai, territorio geograficamente ed etnicamente etiopico e di assai scarse risorse economiche, la Somalia può contare su di un retroterra composto dalle ricche regioni dell'Abissinia sud-occidentale, etnicamente abitate da popolazioni diverse, e la cui messa in valore può costituire possibilità di espansione economica per l 'Italia e di attività commerciale per la Somalia ad esse unita dalle strade da noi costruite negli ultimi anni;

4) che la presenza di collettività italiane fisse, numerose ed economicamente consistenti in Eritrea, e l'impronta da noi data a quel territorio in settanta anni di nostra amministrazione, ne avrebbero conservato e salvaguardato per ogni eventualità futura, anche in caso di mandato collettivo o plurimo, il carattere italiano, e ciò tanto più se, con l'aiuto di altri paesi, fosse possibile incrementarne lo sviluppo civile ed economico mediante l'apporto quantitativo e qualitativo di nuove energie italiane.

Gli sviluppi della situazione hanno tuttavia condotto alla constatazione che fra le varie ipotesi che sono da tenersi in considerazione, vi è ora anche quella che la richiesta etiopica di annessione dell'Eritrea venga vigorosamente sostenuta in seno all'O.N.U., nei cui ambienti il Governo di Addis Abeba ha continuato a rappresentare, come si è accennato, il cosiddetto pericolo di una «tenaglia» italiana attorno ali'Impero.

Il Governo italiano non può non preoccuparsi della vivissima reazione che susciterebbe nel paese una decisione dell'O.N.U. che comportasse l'annessione dell'Eritrea all'Etiopia e, come noto, sta adoperandosi per scongiurare una soluzione così contraria agli stessi interessi delle popolazioni italiane ed indigene locali. Tuttavia anche per facilitare la nostra azione in tal senso e per dimostrare quanto reale e profondo sia l'attaccamento dell'opinione pubblica italiana verso quella ex colonia legata alla Madre Patria da tanti vincoli, appare opportuno far presente in sede appropriata che, ove le difficoltà per soddisfare le nostre richieste per l'Eritrea, derivassero effettivamente da preoccupazioni di ordine strategico, l'Italia sarebbe anche disposta a non insistere per il mandato sulla Somalia pur di conservare l'Eritrea.

Pur senza formulare per ora una precisa richiesta in merito, l'E.V. (S.V.) vorrà trovare il modo e l'occasione di esprimersi in tal senso lasciando comprendere che un simile orientamento va facendosi strada nell'opinione pubblica italiana e in autorevoli ambienti responsabili italiani2 .

414 1 Diretto anche all'osservatore italiano presso le Nazioni Unite, Mascia.

415

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SARAGAT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE1• Roma, 26febbraio 1949.

Ieri sera alla Camera dei deputati, a conclusione di un dibattito politico particolarmente delicato perché provocato dalla volontà dell'opposizione di sfruttare per i suoi fini un doloroso e deplorato episodio giudiziario, da cui la responsabilità del Governo era palesemente esclusa, un deputato iscritto al gruppo di «Unità Socialista» a cui io appartengo assumeva un atteggiamento incompatibile con la politica di collaborazione fino ad oggi concordata ed accettata sia dalla direzione del mio partito sia dai gruppi di «Unità Socialista» tanto della Camera che del Senato.

Poiché questo atteggiamento non costituisce un fatto isolato ma si ricollega ad altri fatti egualmente incompatibili con una leale politica di collaborazione sento il

dovere prima che politico morale di rassegnare le mie dimissioni da membro del Governo da te presieduto.

Non ho bisogno di dirti, caro presidente, quanto questa situazione mi addolori, ma poiché non mi è dato di risolvere sul piano politico problemi di competenza degli organi rappresentativi del partito a cui ho l'onore di appartenere, e non essendomi possibile d'altro canto di accettare uno stato di cose che praticamente farebbe ricadere sul mio partito una immeritata accusa di malcostume politico, non mi resta che pregarti di accettare le mie dimissioni.

Rassegnandole ti esprimo la mia più profonda gratitudine per la superiore lealtà con la quale hai presieduto a una collaborazione ispirata unicamente al bene del paese2•

414 2 Il 2 marzo Tarchiani rispose (T. s.n.d. 1959/208): «Terrò massimo conto del contenuto ultima parte del telespresso ministeriale 3/656/c. del26 u.s. Tuttavia, per quanto concerne Stati Uniti, sono d'avviso che eventuale rinuncia Somalia non (dico non) possa influenzare questione Eritrea».

415 1 In Archivio privato De Gasperi. Ed. in De Gasperi scrive. Corrispondenza con capi di Stato, cardinali, uomini politici, giornalisti, diplomatici, a cura di M. R. DE GASPERI, Brescia, Morcelliana, 1974, vol. Il, pp. 231-232.

416

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 461/158. Mosca, 26febbraio 1949 (perv. 1'8 marzo).

Vi sono alcuni aspetti delle manifestazioni politiche sovietiche i quali, pur essendo già stati accennati in miei precedenti rapporti, meritano di essere rivisti coordinatamente.

l) Un primo fatto, del quale conviene tenere conto, è il crescere della campagna nazionalistica, la sua aggressività esasperata. Non vi è sosta nel crescendo di questa passionalità nazionale, che si manifesta con gli stessi accenti e gli stessi sintomi ben noti a chi ha vissuto l'atmosfera della Germania nazista e dell'Italia fascista. Gli ordini di fenomeni che ne derivano sono due: una continua caccia al cosmopolitismo, ed alla debolezza verso l'Occidente, all'interno; ed una violentissima campagna di velenose accuse verso gli Stati Uniti d'America, all'esterno.

Entrambi questi aspetti del fenomeno sono pronunciatissimi e quasi inquietanti. Le recenti critiche contro taluni critici drammatici, accusati di non avere difeso a sufficienza talune pessime commedie di impronta propagandistica sovietica, hanno assunto toni veramente paradossali. È ricomparsa, a questo proposito, una pericolosa tendenza a trovare negli intellettuali israeliti il principale capro espiatorio; singolarissimo fenomeno qui, dove il razzismo è stato teoricamente bandito (e sembrava un felice superamento) mentre oggi esso accenna a ricomparire nella pratica, anche se in

conflitto con la teoria. L'esaltazione nazionale nella poesia, nel teatro, in tutte le manifestazioni sociali ed artistiche è oramai quasi morbosa; in nessun campo e sotto nessun aspetto si ammette la superiorità dell'Occidente. Nella commedia Disco verde che tiene spesso il cartellone nel principale teatro di Mosca un personaggio giunge ad accusare un dirigente sovietico di bassezza per il semplice fatto di avere azzardato un confronto fra la tecnica ferroviaria sovietica e quella nord-americana (pur affermando la superiorità della prima). Gli articoli di Simonov sul processo Kravchenko, pubblicati nella Pravda, sono di una violenza che raggiunge l'isterismo.

Dal punto di vista esterno non si perde poi nessuna occasione per ispirare verso i nord-americani non soltanto un sentimento di emulazione e di ostilità, ma un vero e proprio disprezzo misto ad odio. Si tende a prospettare la situazione politica generale come se la aggressione americana fosse già in atto, anche se non ancora entrata nella fase della guerra militarmente dichiarata. Tutti i patti che gli Stati Uniti conchiudono, tutti i passi politici ch'essi compiono sono considerati patti aggressivi. Si vuoi creare nei sovietici la convinzione ch'essi vivono e lavorano in una enorme cittadella assediata dal bieco furore dei monopoli capitalistici. Questa, che è l'impostazione degli atti diplomatici, è anche il contenuto dei quotidiani commenti, delle manifestazioni teatrali, dei discorsi di propaganda spicciola. Se sulla scena si presenta il caso di un sottomarino sovietico vittima di un incidente, non si manca di sottolineare ch'esso è dovuto ad una mina depositata dai criminali di guerra giapponesi per conto del servizio segreto americano. Gli ufficiali sovietici, che così frequentemente compaiono sulle scene dei molti teatri di Mosca nelle innumeri rappresentazioni a sfondo militare, sorridono fra loro quando si parla dello stato ufficiale di pace con gli Stati Uniti.

Due recenti episodi, avvenuti proprio in questi giorni, fanno parte di questa campagna di diffamazione e di odio contro gli Stati Uniti. Uno è l'arresto della giornalista Strong, donna di sessantaquattro anni, giornalista conosciutissima come estremamente simpatizzante col mondo comunista, scrittrice di pubblicazioni filosovietiche. Essa è stata arrestata ed espatriata per attività spionistica, ed il fatto ha suscitato la generale sorpresa; nell'opinione pubblica sovietica esso ha indubbiamente riconfermata la convinzione di una subdola opera ostile degli Stati Uniti nel loro paese.

L'altro fatto è costituito dall'inaudito libro di Annabella Bucar, ex impiegata dell'ambasciata americana, la quale sotto il titolo La verità sui diplomatici americani si è diffusa in astiosi pettegolezzi e in velenose accuse personali contro tutti i principali diplomatici che sono stati e in parte sono ancora in servizio presso questa ambasciata degli Stati Uniti; da Henderson a Kennan, da Harriman a Durbrow, da Reinhardt a Smith, da Bohlen a Davies, tutti sono stati accusati, non soltanto di spionaggio, ma anche di bassa speculazione. Il libro è stato stampato in l O mila copie ed esaurito in un baleno.

È inutile moltiplicare gli episodi: debbo constatare obbiettivamente il fatto che la temperatura nazionalistica ed anti-americana è salita nelle ultime settimane ad una altezza, che finora non aveva ancora raggiunto. Né vi è indizio che si plachi.

2) In questa atmosfera tesa si è sviluppata la violenta campagna, che da tempo domina l'attività diplomatica e giornalistica sovietica, contro le varie forme di unione e di difesa del mondo capitalistico, ossia contro quella che qui definiscono la politica di aggressione americana.

Che esista un conflitto in atto, una guerra fredda, è nozione fin troppo corrente e banale; l'importante è che da parte sovietica si vuole prospettare questa lotta di due mondi opposti come la semplice preparazione di una vera e propria aggressione militare da parte degli Stati Uniti. Ogni azione del mondo occidentale è prospettata in questo specifico senso.

Dall'inizio dell'anno 1949, questa polemica si è concentrata, come è noto, sui seguenti punti:

a) attacchi contro il costituito Consiglio europeo;

b) attacchi contro il supposto patto mediterraneo;

c) azione contro la formazione del Patto atlantico;

d) reazione contro la politica di discriminazione economica (riunioni della Commissione economica per l'Europa a Ginevra); e) continua denuncia di creazione di nuove basi militari nord-americane; f) accusa agli Stati Uniti di aver definitivamente fatto fallire il tentativo di

mediazione dell'O.N.U. e dei relativi esperti per la soluzione del problema di Berlino; g) e infine, spettacolosa offerta di pace di Stalin, diretta unicamente a sfruttare l 'inevitabile e previsto rifiuto americano.

È inutile soffermarsi dettagliatamente su ciascun aspetto di questa azione di intimidazione e di propaganda; essa è troppo conosciuta, e se ne trova l'eco quotidiana nella stampa comunista di ogni paese.

Accenno soltanto ad alcuni elementi più significativi.

Per quel che riguarda il Consiglio europeo i sovietici negano a priori, rifiutandosi assolutamente di esaminare e di constatare i fatti, che questo possa essere il germe della creazione di una nuova autonoma Europa. Non vi è per essi nulla di serio in questo generoso sforzo di superare le ristrette mentalità nazionalistiche entro un organismo più vasto e più aderente alle esigenze attuali. Tutto è presentato come una odiosa macchinazione, una pura maschera, un ponte di passaggio dalla Unione Occidentale al Patto atlantico; il superamento delle grette sovranità nazionali, questo difficile e meritorio tentativo, è considerato unicamente come un trucco per nascondere l'asservimento dell'Europa agli anglo-americani.

Per ciò che riguarda in particolare il Patto atlantico, ci si è domandato spesso perché esso sia oggetto di così profonda ostilità da parte dei sovietici; perché, sopratutto, essi gli abbiano riservato una accoglienza ben più ostile e più dura di quella, pur già assai poco amichevole, riservata al piano Marshall ed al Patto di Bruxelles. Ne ho inteso dare, anche nella stampa italiana, delle spiegazioni insoddisfacenti. Alcuni hanno considerato addirittura che i sovietici temerebbero sopratutto l 'Unione Europea, e quindi il Consiglio europeo: ma essi sono fuori strada. I sovietici non credono, per ora, né alla realtà né alla solidità di una nuova Europa, come forza politica a sé; e se anche fosse costituita, poco se ne curerebbero, fino a che almeno non vi fosse compresa una Germania veramente ricostruita, e sopratutto armata. Ciò che li interessa è oggi il Patto atlantico; e nel Consiglio europeo essi vedono, ripeto, nul1 'altro che una mascheratura del passaggio dal Patto di Bruxelles al Patto atlantico.

Altri hanno supposto che i sovietici potessero benignamente vedere il costituirsi di una fascia neutrale fra loro e l'Occidente, inclusiva della Scandinavia, della Germania (?) e dell'Italia. Questa, che è la isolata tesi di Walter Lipmann dal punto di vista americano, è stata addirittura attribuita ai sovietici, rovesciando così le posizioni. In realtà, anche questa è teoria: il punto centrale di questa fascia, il solo importante, sarebbe la Germania; ed i sovietici non vogliono una Germania neutra, nel senso di uno Stato autonomo capace di difendersi e di appartarsi da un eventuale conflitto, ma vogliono una Germania democratizzata e demilitarizzata, ossia una Germania che costituisca politicamente e militarmente una via libera per ogni forma di loro penetrazione. Che essi poi siano disposti o no a tollerare (non mai ad accettare di buon grado) posizioni neutre marginali al nord e al sud dell'Europa, è un discorso differente, e relativamente secondario.

Al riguardo è da osservare che i sovietici hanno -è vero -alzato il tono dei loro attacchi, allorché si stava passando dalla Unione Occidentale al Patto atlantico, ma non vi è stata da parte loro nessuna sostanziale modificazione di posizione; si è rilevata una differenza sensibile, ma unicamente nella intensità, non nella sostanza, della loro posizione ostile. E questa gradualità di ostilità si spiega abbastanza naturalmente leggendo la stessa dichiarazione ministeriale sovietica del 29 gennaio, dove, nei successivi capitoli, è precisamente spiegato questo passaggio, questa progressione di ampiezza e di intensità della coalizione antisovietica, da un blocco europeo, sia pure controllato ed appoggiato dagli anglo-americani, ad un blocco mondiale, comprendente Stati situati sulle due rive dell'Atlantico, ed includente direttamente gli Stati Uniti (e il Canada) come parti impegnate con le altre allo stesso titolo e con la stessa intensità di vincolo.

È bensì vero, secondo la dichiarazione ufficiale sovietica, che «non appena l'Unione Occidentale ebbe vita nel marzo dell'anno scorso, si dichiarò immediatamente da parte dei dirigenti degli Stati Uniti che si sarebbe dato pieno appoggio a tale Unione. Simile dichiarazione era del tutto naturale, dal momento che tali dirigenti hanno ogni fondamento per supporre che il nuovo raggruppamento non sfuggirà a loro, e sarà alle complete dipendenze di ogni piano anglo-americano».

Ma la portata del Patto atlantico è più ampia, la sua struttura più impegnativa: «Unitamente alla formazione di questo nuovo aggruppamento in Europa, i circoli dirigenti degli Stati Uniti e della Gran Bretagna andarono facendo preparativi negli scorsi mesi per la formazione di una alleanza nord-atlantica composta degli stessi cinque Stati europei occidentali, del Canada e degli Stati Uniti. I fini della Alleanza del Nord Atlantico sono considerevolmente più larghi dei fini del raggruppamento occidentale europeo, ed inoltre non è difficile intendere che tali fini sono strettamente legati coi piani di forzata istituzione di una egemonia mondiale anglo-americana sotto l'egida degli Stati Uniti. Se la formazione dell'Unione Occidentale risponde ai fini del blocco anglo-americano in Europa, è pure fin d'ora chiaro che il gruppo occidentale europeo è soltanto uno, e per di più non il principale, elemento nel sistema delle misure predisposte per stabilire la egemonia mondiale anglo-americana ... ».

In generale, queste dichiarazioni ufficiali sovietiche vanno attentamente meditate, perché il più delle volte dicono assai chiaramente ciò che i sovietici pensano, senza necessità di attribuire loro più o meno complicati motivi sottaciuti.

Per quel che riguarda infine il problema di Berlino, i sovietici hanno ancora una volta accusato gli americani di non aver voluto l'accordo; e bisogna riconoscere che con questo ultimo atto è calato il sipario definitivamente su una commedia di trattative condotte con infinite riserve mentali da entrambe le parti, e con particolare durezza, sempre più irrigiditasi, da parte americana. Mi è stato assicurato da fonte seria che gli stessi esperti dell'O.N.U. sentivano pienamente la difficoltà e quasi la goffag

gine della loro posizione, di mediatori destinati a proporre formule di accordo a parti che non avevano ormai più alcuna intenzione di valersene seriamente. Ad ogni modo, quali che siano le vere ragioni, e le intenzioni sovietiche su questo

o quel tema delle polemiche in corso, certo è che essi hanno spiegato su tutti i punti un accanimento sistematico non mai raggiunto finora, e tutto concentrato a convincere l'opinione pubblica di un fatto: gli Stati Uniti vogliono aggredire l'Unione Sovietica.

3) Il quesito che a questo punto molti si propongono è questo: credono davvero i supremi dirigenti dell'Unione Sovietica ad una effettiva intenzione e possibilità di aggressione militare americana nel prossimo futuro? E se non ci credono, a cosa vogliono giungere con la loro esasperata propaganda, che inspira alla loro opinione pubblica, nonché a quella democratica di tutto il mondo, nulla altro che un pericoloso complesso di orgoglio di nazione e di classe, di odio e di paura?

Ho discusso largamente questo punto con i più attenti diplomatici dell'uno e dell'altro gruppo, cercando di sondare le convinzioni vere, anche sotto il velo delle posizioni ufficiali, dietro le quali si trincerano specialmente i rappresentanti dei paesi satelliti. La impressione generale è che Stalin ed i membri del Politburò sono troppo intelligenti per non conoscere esattamente le possibilità militari e le possibilità politiche, sia dell'Europa, sia degli Stati Uniti. Essi non ignorano che la preparazione militare dell'Occidente si sta solo ora riprendendo; sanno che la mentalità democratica e la macchina costituzionale degli Stati Uniti sono difficilissimi a muovere (per non dire inutilizzabili) verso una guerra offensiva; non ignorano, ed anzi se mai sopravvalutano, la scarsa volontà combattiva di grandi mao;;se lavoratrici e contadine in Francia, in Italia ed in altri paesi. Quindi, essi non possono credere seriamente alle intenzioni aggressive, che ufficialmente attribuiscono agli Stati Uniti; questa loro campagna è in sostanza propaganda, diretta non solo e non tanto a galvanizzare l'odio del loro stesso popolo contro i capitalisti occidentali, quanto a mobilitare le masse dei paesi capitalisti, timorose di una nuova guerra.

Tuttavia, se generalmente non si crede qui, fra gli elementi responsabili, alla fredda e premeditata volontà aggressiva degli anglo-americani, si dubita però di un attacco nel caso del verificarsi di certe condizioni, e soprattutto si constata e si teme il fatto attuale e indiscusso del tentativo di isolamento del mondo sovietico.

Ho inteso qui diplomatici responsabili della democrazia popolare rispondermi -ritengo sinceramente -che il timore di una guerra preventiva è da ritenersi escluso, sussiste tuttavia il timore di una iniziativa americana, nel giro di qualche anno, nella ipotesi, ad esempio, di un successo comunista in Francia o in Italia, o in Grecia. La tesi confessata dai sovietici e dai filosovietici è che l 'Unione Sovietica non vuole la guerra e non ha interesse a farla, perché il comunismo dovrà vincere infallibilmente per vie interne, attraverso più o meno pacifiche rivoluzioni e rivolgimenti, ed attraverso la disgregazione politica, economica e sociale degli Stati capitalisti e dei loro dominii coloniali. La conseguenza logica di questa tesi è che i paesi capitalisti, sentendosi minacciati all'interno, cercheranno a un certo punto di sfuggire alla minaccia col diversivo della guerra e questo diversivo si verificherà non tanto mediante una deliberata aggressione-possibile da parte di Stati dittatoriali di tipo nazista o fascista, difficile da parte di Stati democratici -quanto come reazione occasionale a uno stato di pericolo, a quella che gli Stati capitalisti chiamano aggressione indiretta, e che per i comunisti rappresenta soltanto la vittoria delle forme progressive.

Ma a parte questo timore più o meno condizionato e futuro, i sovietici sentono evidentemente fin da ora l'oppressione dell'isolamento; la rete di patti che si sta stendendo attorno a loro, rinnova sotto altro aspetto il cordone sanitario dei primi anni della rivoluzione. Mentre tende a imbottigliare l 'Unione Sovietica e i suoi satelliti, tende per altro verso a rinsaldare i paesi occidentali dal punto di vista sociale, ed a rafforzarne la solidarietà fra di loro e coi paesi coloniali, tende cioè a impedire o ad allontanare quei dissidi, quelle contraddizioni su cui conta massimamente la strategia comunista. In questo senso, il Patto atlantico e gli altri patti dipendenti e collaterali rappresentano per i sovietici un sommo ed immediato pericolo, non tanto perché essi credano che ne segua una aggressione a non lunga scadenza, quanto perché temono che ne derivi subito la perdita o la forte attenuazione del più forte loro potere di penetrazione. Che di questo pericolo i leaders sovietici si rendano conto, anche se fingono di credere, di fronte alle masse, che la dissoluzione interna del mondo occidentale procede regolarmente secondo i canoni del marxismo, ho già rilevato più volte, ed è riconfermato ad esempio dalle più recenti discussioni fra gli economisti sovietici in relazione al «caso Varga» (vedi ad esempio mio telespresso n. 448/145 del25 febbraio 1949) 1•

Cosicché si potrebbe dire, per trovare una formula riassuntiva, che i sovietici intensificano la loro campagna allarmistica perché, temendo effettivamente l'isolamento, denunciano una più o meno immaginaria e non veramente creduta aggressione. Volendo rompere il fronte unito che si tende a rinsaldare attorno a loro, sbandierano la minaccia della guerra aggressiva per galvanizzare l'azione delle masse a loro favorevoli, e per rompere così, all'interno dei singoli Stati occidentali, nelle colonie, e nei rapporti fra gli Stati stessi, il fronte unico che li spaventa.

4) Non è detto tuttavia che questa azione sovietica sia perfetta e scevra di errori.

È evidente anzitutto che, in sostanza, i sovietici denunciano un isolamento eh' essi sono i primi a determinare; giacché essi pretendono di staccarsi dal mondo democratico occidentale, creando il silenzio e il mistero a casa loro, e nello stesso tempo vorrebbero che il mondo capitalista aprisse loro le porte, i crediti, i rifornimenti, e le separate alleanze. Ma questo è un errore soltanto dal punto di vista più generale della civiltà mondiale; dal punto di vista sovietico, risponde a un piano meditato di autoisolamento all'interno e di penetrazione all'esterno, che potrà anche fallire, ma ha la sua logica.

Ma i sovietici commettono pure dei gravi errori dal loro stesso punto di vista. Ad esempio, colle loro campagne nazionalistiche, colle loro periodiche, più o meno crudeli, ma sempre gravi, «purghe» nel campo degli intellettuali, stanno distruggendo da un lato sistematicamente quella élite intellettuale, eh'essi vanno faticosamente creando dali' altro. Più aumentano benessere e cultura, e più creano una élite intellettuale desiderosa di larghi orizzonti; ma questa è periodicamente schiumata e soffocata sotto l'accusa di cosmopolitismo, o per formalismo, o sotto una qualsiasi altra formula. Ne deriva uno stato di permanente paura che arresta la creazione intellettuale; e soprattutto uno stato di diffuso scontento, che, se pur represso ora, potrà costare caro in avvenire ai sovietici, di fronte alle massime prove.

Un secondo difetto dell'attuale tattica sovietica sta nella stessa eccessività della campagna che qui si sta svolgendo; giacché non si comprende bene fino a quando si potrà tenere questo popolo sotto tensione, nella continua aspettativa di una possibile aggressione che non si verifica. Vi è qui una sproporzione fra i mezzi usati e il fine da raggiungere. È vero che le dittature hanno bisogno di continui eccitamenti; ma questi, come le droghe, esigono dosi sempre maggiori, e alla lunga perdono effetto, e snervano. Io non dubito che i capi sovietici abbiano freddamente la testa a posto; ma secondo le poche informazioni a mia disposizione sulla condizione psicologica ch'essi determinano nel loro popolo, ho la sensazione eh'essi non si rendano bene conto che a poco a poco la loro propaganda di odio e di paura perderà efficacia.

Terzo e politicamente fondamentale errore consiste nella incapacità sovietica di sfruttare veramente a fondo le contraddizioni politiche e sociali del mondo capitalista, attraendo a sé una parte degli Stati più evoluti e dei ceti dirigenti meno conservatori, con un minimo di comprensione e di finezza tattica. La inesorabile polemica contro i socialisti di destra, la violenza degli attacchi contro gli antifascisti colpevoli di non essersi piegati al comunismo, la mancanza di ogni distinzione fra Governi e politiche profondamente contrastanti, come l'Argentina di Per6n da un lato e la Inghilterra di Bevin dall'altro, l'intransigenza cieca e settaria insomma, in politica estera come in politica interna, ha fatto sì che l'Unione Sovietica ha contribuito essa stessa a consolidare quel mondo nemico, ch'essa aveva ed ha tutto l'interesse di dividere. Pare ch'essa attenda dalla fatalità storica delle contraddizioni capitalistiche lo sfaldarsi di quel mondo; ma intanto non usa la minima finezza diplomatica e spirituale per dividerlo; i suoi alleati sono soltanto le masse più misere di ogni paese, ed i capi più rigidamente legati alla ferrea disciplina extranazionale del comunismo. Di questi ed altri errori occorre tenere conto, pensando ai mezzi per resistere e vincere la lotta psicologica ora in corso: giacché mi pare indubbio che pur non trascurando di premunirsi per una eventuale guerra calda (che non c'è e per parecchio tempo, probabilmente, non verrà), occorre conoscere i punti deboli proprii e dell'avversario al fine di vincere la guerra fredda, che è indiscutibilmente in atto.

Riassumendo: in quest'ultimo periodo la violenza della campagna antioccidentale e nazionalistica si è esasperata nell'Unione Sovietica, e non accenna a diminuire, anzi, va aumentando: essa si accentra politicamente in modo particolare contro il Patto atlantico, e mentre è principalmente dettata dal timore dell'isolamento, lo converte polemicamente in un timore di aggressione. La politica sovietica, pur essendo diretta a rompere questo isolamento, non è certo priva di errori e di atti che tendono invece a consolidarlo.

5) Per quel che riguarda l'Italia, è mia impressione che non le mancherà un posto nel piano generale di puntate sovietiche contro il blocco occidentale ed atlantico.

Già ho segnalato (mio telegramma n. 25 del 13 febbraio u.s.)2 alcune manifestazioni di stampa significative; allego qui due fra gli articoli più interessanti al riguardo (Allegati l e 2)3 . I sovietici seguono attentamente il nostro cammino, che va dal Consiglio europeo al Patto atlantico, e secondo ogni probabilità non lo lasceranno svolgere senza qualche più intenso tentativo di disturbarne il corso. Se finora essi non hanno compiuto nessun atto diplomatico nei nostri riguardi, si è perché, malgrado

3 Non pubblicati.

tutto, domina ancora qui una certa quale incertezza sui nostri orientamenti. Quantomeno, non vi è stata ancora da parte nostra una presa di posizione pubblica così chiara ed inequivoca, quale quella presa da Lange per la Norvegia.

Qualche giornale americano ha ancora prospettato dei dubbi sulla inclusione dell'Italia nel Patto atlantico; d'altro lato esistono ancora qui perplessità sulla possibile conclusione di un patto mediterraneo, e sulla sua reale composizione. Al riguardo le idee sovietiche sono alquanto confuse. Secondo l'!svesti a del 18 febbraio, questo patto dovrebbe estendersi alla Francia, Gran Bretagna, Italia, Grecia, Turchia, Israele, Egitto e Spagna. Secondo il Trud del 16 febbraio, dovrebbe anzitutto includere Italia, Grecia e Turchia, per poi attirare gradualmente Spagna, paesi della Lega araba e Iran, ed eventualmente in seguito, Etiopia, Afghanistan e Pakistan (?).

Certo non si sa fino a che punto questa relativa incertezza sia condivisa dagli elementi responsabili; ma indubbiamente i sovietici preferiscono per ora vedere esattamente dove noi si vuole andare. Ed è probabile che, in un momento giudicato opportuno, tenteranno di sorreggere l'azione interna del partito comunista italiano e dei vari fronti della pace, con una azione diplomatica; in ogni caso, è prudente attendersela. È bensì vero che l'U.R.S.S. non ha con noi confini comuni; ma un motivo molto plausibile di intervento le può facilmente derivare dal trattato di pace, in relazione specialmente alle clausole di disarmo. Un preavviso al riguardo si è già avuto recentemente nella durezza colla quale Malik è intervenuto al Consiglio di sicurezza per la questione di Trieste, sostenendo precisamente la esistenza di una violazione del trattato di pace (Allegato 3)4 . Questa, che fu già invocata dai sovietici per le navi, e per i criminali di guerra, secondo ogni probabilità sarà invocata a suo tempo, quando l'entrata dell'Italia nel Patto atlantico apparirà certa.

Questa offensiva rientrerebbe tanto naturalmente nel piano di disturbo e di intimidazione che i sovietici stanno svolgendo contro il rinserrarsi dei blocchi a loro ostili, che la sua assenza non potrebbe non stupire. Sarebbe, come tutta l'azione sovietica attuale, meno una minaccia di azione dall'esterno, del tutto improbabile, quanto una pressione di carattere interno.

Come tale, essa dovrebbe trovare la sua migliore risposta nel consolidarsi della situazione economica, politica e sociale del nostro paese in senso democratico, parallela a quella degli Stati Uniti, dei paesi anglo-sassoni e degli Stati scandinavi.

415 2 Nota dal testo citato: «De Gasperi rispose alla lettera di Saragat con una dichiarazione ANSA: «Vedo in qualche giornale che si parla di dimissioni dell'on. Saragat per contrasti con me. È vero invece il contrario. Nessun contrasto si è rivelato tra me e il collega Saragat; né in genere né in particolare per quanto riguarda l'atteggiamento dell'on. Lopardi. Nella sua lettera egli si esprime nei termini della più cordiale e leale collaborazione: ed io confido che i suoi amici politici, nella loro grande maggioranza, riconosceranno che la collaborazione leale è un nostro comune dovere verso gli interessi del paese e le esigenze della democrazia».

416 1 Non pubblicato.

416 2 Vedi D. 305.

417

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI

T. 1476/9. Roma, 27febbraio 1949, ore 10,30.

Suo rapporto 72 1 .

417 1 Vedi D. 273.

Pregola manifestare codesto Governo nostra soddisfazione per sviluppo conversazioni accordo amicizia e sottoporre testo seguente:

«Governi italiano e cileno esaminata situazione internazionale e relazioni amicizia che uniscono due paesi su base loro comunità razza interessi nonché comune patrimonio civiltà latina e cristiana, hanno constatato quanto segue:

Esiste identità vedute fra due Governi circa consolidamento pace rafforzamento cooperazione internazionale e norme organizzazione e convivenza popoli;

esiste altresì identità vedute su necessità preservare e rafforzare fondamentali diritti sia individui che popoli e in genere principi su cui riposa sistema democratico di governo.

Due Governi dichiarano pertanto che in considerazione tale similarità di vedute e fini, essi si propongono, da un lato, di intensificare collaborazione diretta tutela rispettivi diritti e legittimi interessi, dall'altro di sviluppare reciproci rapporti giuridici economici finanziari culturali tecnici e di lavoro mediante conclusione al più presto possibile accordi bilaterali su ognuna tali materia».

Abbiamo così accettato praticamente progetto cileno, alludendo tuttavia più esplicitamente nell'ultimo capoverso a collaborazione nel campo politico che per noi rappresenta sostanza e utilità contingente di accordi del genere. Pregola quindi concordare su questa traccia testo definitivo che ella è autorizzata firmare.

Quanto ad accordo pagamento, pende tuttora esame organi tecnici che si spera possa essere ultimato entro 6 marzo: in caso contrario, ove codesto Governo concordi, tale accordo potrebbe essere firmato successivamente a quello di amicizia2 .

416 4 Non pubblicato, ma vedi D. 347.

418

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 1490/63. Roma, 27 febbraio 1949, ore 15.

Suo 43 1•

Ambasciata Parigi telegrafa quanto segue: (riprodurre telegramma 127)2 .

Partecipazione francese a negoziati italo-inglesi per colonie può effettivamente riuscirei di notevole aiuto.

Prego pertanto V.E. esaminare questione con Massigli e concordare con lui miglior modo di prospettarla proporla codesto Governo3•

2 Vedi D. 405.

1 Per la risposta vedi D. 477.

417 2 Per la risposta vedi D. 451.

418 1 Vedi D. 346.

419

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1847/32. Bruxelles, 27febbraio 1949, ore 11,25 (perv. ore 19,35).

Riferimento telespresso urgente 373/c. 1•

Spaak mi ha detto che 27 gennaio a Londra tutti i Governi si erano dichiarati d'accordo che, poiché Italia aveva risposto favorevolmente a ciascun sondaggio degli U.S.A., accettazione nostra partecipazione al Patto atlantico ormai si imponeva senza discussione.

Ha aggiunto che poteva dirmi con tutta franchezza che conclusioni erano state adottate da taluni forse senza entusiasmo ma da tutti in maniera esplicita e senza esitazioni: argomento era stato esaurito in meno dieci minuti.

Dal 27 gennaio egli non aveva saputo più nulla e riteneva che nel frattempo Washington avesse già iniziato contatto Roma. Soltanto pochi giorni or sono aveva appreso che Washington sembrava ritornasse al primitivo progetto di un patto limitato alle sette potenze originarie. Egli ignorava i motivi di questo mutamento, dovuto forse all'imbarazzo per la situazione della Norvegia, della Grecia e della Turchia.

Ho pregato Spaak confermare a Washington suo modo di vedere ed atteggiamento del Belgio onde sormontare eventuali esitazioni americane, poiché esclusione Italia avrebbe destato vivo malumore e disorientamento nell'opinione pubblica italiana, indebolito posizione del Governo ed incoraggiato propaganda nonché manovre dei comunisti, tutte cose che era opportuno evitare nell'interesse non solo dell'Italia ma di tutta l'Europa.

Spaak ne ha convenuto ma ha obiettato che egli non poteva svolgere azioni isolate e che avrebbe sollecitamente preso contatti domani o lunedì con Parigi Londra.

420

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1851/59. Londra, 27febbraio 1949, ore 17,10 (perv. ore 23).

Lettera di V.E. 3/611 del24 febbraio 1•

420 1 Vedi D. 388.

Posso assicurare che mia azione sia col Foreign Office sia con ambasciatori America e Francia si è svolta e si svolge esattamente secondo linee direttive indicate da V.E. Poiché Foreign Office desidera che per il momento nulla traspaia circa note conversazioni, mi riservo incaricare Manzini venire Roma per riferire al più presto possibile.

419 1 Vedi D. 362.

421

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 1494/64. Roma, 28febbraio 1949, ore 12.

Mi riferisco telegramma ministeriale n. 1492/c. 1 .

Con mio telegramma 1480/c.2 le ho dato conoscenza istruzioni inviate a Quaroni.

Voglia applicare costì massima urgenza tali istruzioni e argomentazioni facendo valere quanto deprecabile il pericolo che sorga la leggenda di una opposizione britannica alla nostra ferma volontà di collaborare alla causa comune3 .

422

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 1500/65. Roma, 28febbraio 1949, ore 16.

Seguito mio 64 1•

A Governo britannico V. E. può in particolare far presente quanto segue:

l) In riunione Londra era stato deciso ritirare obiezioni qualora Stati Uniti avessero manifestato esplicita intenzione invitare Italia partecipare Patto atlantico. E ciò in quanto, in relazione anche ai passi rappresentanti americani a Londra e Parigi, era allora presunzione generale che tale situazione sarebbe stata confermata immediatamente dopo. Tanto è vero che era stato unanimemente deciso che inclusione Italia in Unione Europea era titolo sufficiente per superare eventuali obbiezioni di carattere geografico.

2) Ora, a Washington Acheson sostiene2 Stati Uniti potrebbero manifestare intenzione estendere invito Italia soltanto qualora anche tutti gli altri Stati fossero d'ac

421' Vedi D. 412, nota l.

2 Vedi D. 404.

3 Per la risposta vedi DD. 423 e 450.

2 Vedi D. 332.

cordo. In conseguenza, atteggiamento inglese che seguitasse trincerarsi dietro volontà americana equivarrebbe in realtà ad un veto colle conseguenze sopra accennate.

Occorre pertanto che Governo inglese prenda in proprio la decisione che spetta soltanto a lui e, nella sua scia, a Governi Benelux cui atteggiamento non (dico non) sfavorevole risulta da odierni telegrammi Bruxelles e l'Aja che le vengono ritrasmessj3.

422 1 Vedi D. 421.

423

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1873/61. Londra, 28febbraio 1949, ore 21,50 (perv. ore 8 dello marzo).

Suo 64 1•

Ebbi stamane preannunciato colloquio con Jebb nel quale cercai chiarire con massima fermezza e chiarezza nostre reciproche posizioni circa immediata partecipazione Italia Patto atlantico, mettendo Inghilterra di fronte sue responsabilità per passività «equivoca» quale risulta dalle informazioni di Washington e di Parigi. Gli esposi nuova situazione in cui vengono trovarsi Governo e opinione pubblica italiana per mutamento nei nostri confronti della politica americana presumibilmente sostenuta dall'Inghilterra.

Jebb mi rispose precisando:

l) che Inghilterra era stata fin dal principio favorevole alla firma del Patto atlantico da parte delle sole nazioni fondatrici e su questo punto non ci aveva dato illusioni. Pur ritenendo che l 'Italia dovesse, come altre nazioni occidentali, partecipare al Patto, non aveva mai dato alcuna precisazione sul momento di tale partecipazione. (A parere inglese essa avrebbe potuto aver luogo verso l'estate);

2) che in un secondo tempo, specialmente dietro pressioni degli Stati Uniti e della Francia, aveva aderito a possibilità che l 'Italia entrasse fin da principio, superando note riserve di carattere tecnico strategico, purché le nazioni fondatrici fossero concordi come era stato dichiarato da Bevin a Schuman (telegramma di V. E. n. 56)2 ;

3) che sorto il problema scandinavo e in seguito alle discussioni di ordine politico interno negli Stati Uniti, Governo statunitense sentì necessità urgente che il Patto fosse firmato al più presto per sfuggire ai pericoli che sorgevano da ogni parte contro di esso e che lo minacciavano alla base. Su questa urgenza di concludere il Governo britannico si trovò perfettamente consenziente;

4) Bevin tuttavia, anche nei colloqui con Lange, aveva espresso il suo costante convincimento che solo i fondatori firmassero prima e che trattative per adesioni successive, anche della Norvegia, si svolgessero subito dopo;

423 1 Vedi D. 421. 2 Del 25 febbraio, ritrasmetteva il D. 382.

5) ritenendo che situazione Norvegia fosse di particolarissima emergenza Stati Uniti insistettero con Inghilterra affinché Norvegia fosse ammessa subito e dalle parole di Jebb risulterebbe che Governo britannico abbia finito per dare il suo assenso;

6) si comprende da parte britannica situazione italiana, ma in nessun modo si pensa che rinvio adesione italiana e altre nazioni (per breve periodo) possa significare minore riconoscimento del valore stesso della adesione italiana o indeterminato periodo di attesa. Egli pure accennò a possibili formule di assicurazioni circa l'invito ecc.

Poiché già avevo esaurito le argomentazioni giustamente segnalatemi da V.E. fin dalla prima parte del mio discorso, risposi a Jebb che volevo mettere la mia coscienza a posto di fronte alle gravi responsabilità di questo momento richiamando l'attenzione di Bevin stesso su due punti che mi era parso non fossero nemmeno stati presi in considerazione:

l) la situazione italiana e il pericolo comunista imminente. Le dichiarazioni di Thorez e di Togliatti dei giorni scorsi erano di tale natura da indicare che la minaccia comunista all'interno era identica nei due paesi, e che una diversità di situazione derivante dallasciarne uno solo indifeso ed estraneo al Patto, poteva essere l'occasione di tutte le manovre dall'interno;

2) se, come probabile, la Russia avesse voluto reagire alla firma del Patto atlantico, non vedevo come si potesse ritenere che l'Italia sia meno vulnerabile ed esposta della stessa Norvegia. Trieste era una magnifica occasione per creare una nuova Berlino, obbligando americani ed inglesi ad intervenire con spostamento e confusione di tutti i loro piani. Dio volesse che da oggi all'estate ciò non avvenga. Ma certo il punto vulnerabile poteva essere tanto a sud, alle porte d'Italia, quanto a nord, e sarebbe stata una imperdonabile colpa degli uomini di Stato che oggi discutono del Patto atlantico di non averlo previsto a tempo.

Jebb mi parve assai impressionato dalle poche ma nette parole su questi due punti. Egli mi disse ne avrebbe trattato oggi stesso, se possibile, con Bevin.

422 3 Vedi DD. 419 e 410. Per la risposta da Londra vedi D. 450.

424

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA T. S.N.D. 1876/198. Washington, 28febbraio 1949, ore 20,43 (perv. ore 8 del JO marzo). Suo 1041 .

Effettivamente, come V.E. prevedeva, Dunn ha telegrafato. Tuttavia, essendo stato tenuto poco al corrente da Dipartimento di Stato circa atteggiamento Acheson, egli ha

riferito qui su stesso tono ottimistico da lui usato nel colloquio con V.E. Praticamente, infatti, si è limitato a fare conoscere che voci di stampa, concernenti preteso mutamento atteggiamento americano rispetto ad adesione italiana a Patto atlantico, non sono state sopravvalutate da Governo italiano dato che persistono ragioni a favore detta adesione.

Questa laconicità non ha rafforzato uffici nella loro azione su segretario di Stato.

424 1 Vedi D. 392.

425

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1878/26. Osio, 28 febbraio 1949, ore 22,15 (perv. ore 8 de/] 0 marzo).

Questo ministro degli affari esteri mi ha detto stamane quanto segue circa questione di cui al telegramma di V.E. n. 81•

l) Nessun carattere politico deve essere attribuito obiezioni sollevate da Norvegia circa estensione invito a nostro paese. In Norvegia non vi sono che sentimenti amichevoli verso l'Italia.

2) Obiezioni ebbero solo carattere incidentale. Al momento in cui Acheson gli chiese suo parere su complesso delle questioni connesse al Patto atlantico, egli si limitò a dire che estensione invito all'Italia avrebbe creato qui qualche ulteriore problema di politica interna, poiché comunisti norvegesi avrebbero avuto in tal caso politicamente gioco nel fare risaltare che inclusione di una potenza non (dico non) atlantica nel Patto prova inconfutabilmente che Patto stesso è alleanza militare e non strumento difensivo.

3) Militari norvegesi pensano che inclusione Italia significherebbe intervento automatico Norvegia anche nel caso di una aggressione limitata all'Oriente mediterraneo. In una simile evenienza invece l'assenza dell'Italia dal Patto potrebbe anche fare contemplare l'ipotesi di un intervento norvegese solo in un secondo momento.

4) Che qui si è sicuri che la Francia (la quale ha sin dall'inizio sollevato obiezioni ad inclusione della Norvegia nel Patto atlantico) si prepara a prendere occasione dell'avvenuta partecipazione dell'Italia al Patto stesso per chiedere, in un secondo momento, anche inclusione della Spagna. Il che avrebbe gravissima conseguenza di politica interna qui.

Alla mia domanda se Norvegia intendeva insistere in una sua pregiudiziale italiana, anche se solo generica e motivata come sopra, ministro esteri mi ha detto che oggi come oggi non poteva darmi la risposta negativa che sarebbe nel suo desiderio, visto che nel Governo qualche suo collega era d'avviso che le ragioni di politica interna da lui espostemi avevano maggior valore di quello che egli personalmente non considerasse. Che però avrebbe sollevata la questione in Consiglio dei ministri al più presto possibile e si riservava darmi una risposta.

Aggiungo per mio conto che qui si è al corrente del punto di vista francese esposto a Quaroni e di cui al suo telegramma n. 72 e che ad esso si dà parecchio peso; che però non si conosce ancora bene se l'Inghilterra abbia dato o meno il suo via definitivo per la estensione dell'invito all'Italia; che nel fondo pensiero norvegese vi è la speranza che nei prossimi giorni l'idea inglese di un patto mediterraneo parallelo a quello atlantico possa fare notevole passo avanti e risolvere così il problema posto da noi e francesi. È forse anche per questo che sig. Lange ha cercato di prender tempo3 .

425 1 Vedi D. 391.

426

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1885/9. Copenaghen, 28febbraio 1949, ore 19 (perv. ore 8 del r marzo).

In seguito ad una mozione approvata ieri dall'esecutivo del partito social-democratico, contenente l'adesione di massima ai progetti d'Unione atlantica, può considerarsi superata la fase interna di elaborazione della decisione di questo Governo al quale non era rimasta altra scelta, dopo il fallimento delle trattative per l'Unione scandinava, che l'adesione al Patto atlantico. La maggioranza parlamentare è ormai assicurata in favore di questa politica considerata come una necessità per la sicurezza del paese pur rappresentando una deviazione della tradizionale sua posizione di neutralità. Seguirà in settimana, dopo l'esame della Commissione parlamentare degli esteri, la comunicazione di questo Governo agli U.S.A. affermante l'interesse della Danimarca per il Patto e chiedente di conoscerne il contenuto. Sembra per ora che la Danimarca non parteciperà alle trattative delle sette potenze, concernenti la redazione del Patto. Questo ministro degli affari esteri si recherà a Washington qualche giorno prima dell'Assemblea O.N.U.

427

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. RISERVATO 1893/132. Parigi, 28febbraio 1949, ore 21,25 (perv. ore 8 dell 0 marzo).

Ho creduto opportuno farmi precisare da uffici Quai d'Orsay istruzioni di cui a mio telegramma 131 1•

3 Per la replica di Sforza vedi D. 436.

Istruzioni date a Bonnet sono di insistere per includere Italia Patto atlantico, fermamente. In via subordinata, inclusione in via di massima. Qualora quest'ultima condizione non fosse accolta, Francia si riserverebbe di riconsiderare tutta questione del Patto. Mi è stato spiegato che, pur desiderando per ragioni propria sicurezza inclusione immediata Italia a parità condizioni con altri firmatari, Francia non aveva potuto assumere su questo punto posizione di aut aut perché nostra richiesta aderire era pervenuta quando già Patto, in gennaio, era in istato avanzata elaborazione. Francesi pensano comunque che partita è tutt'altro che persa; sempreché da parte nostra subito e con energia sia riaffermato a Washington e nelle altre capitali interessate (nonché presso gli ambasciatori accreditati a Roma) nostro proponimento aderire. Dei passi fatti in aggiunta a quelli di cui gli ho dato notizia, Schuman gradirebbe essere tenuto informato.

Aggiungo che, secondo mi è stato detto, notizia dimissioni di Saragat2 ha provocato reazione contraria e si è prestata a speculazione interessata: si è voluto trovarvi conferma di certe informazioni avute da Bevin secondo le quali, in caso di adesione dell'Italia al Patto, una trentina di deputati socialisti passerebbero ali' opposizione comunista. Qui si sa come stanno le cose e si è del tutto tranquilli. Si è anzi convinti che, al caso, avverrebbe esattamente il contrario.

Per Algeria risposta americana non è ancora pervenuta: ma non si hanno preoccupazioni. Firma Patto non ancora stabilita, si pensa potrebbe avere luogo verso ill5 marzo.

425 2 Del 25 febbraio, ritrasmetteva ad Osio il T. 124 da Parigi, per il quale vedi D. 382.

427 1 Vedi D. 412.

428

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

TELESPR. SEGRETO 3/667/c.1 . Roma, 28febbraio 1949.

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 3/238/c. del24 gennaio 19492 .

Col telespresso citato in riferimento questo Ministero ha esposto a codesta rappresentanza, perché ne renda edotto codesto Governo, il punto di vista del Governo italiano in merito alla sistemazione che esso intende dare alla Tripolitania. Si confida che la S.V. abbia provveduto in tal senso.

La prego tuttavia di chiarire ancora che il punto di vista del Governo italiano rimane comunque quello già sostenuto nel corso della sessione di Parigi dell' Assemblea generale dell'O.N.U. e cioè che il complesso dei problemi concernenti la Libia deve essere risolto contemporaneamente. Ogni decisione quindi, relativa alla Cirenaica, dovrà secondo il nostro punto di vista essere contemporanea ali' attribuzione del trusteeship sulla Tripolitania all'Italia.

E ciò sia per evidenti motivi di ordine politico interno (riflessi sull'opinione pubblica italiana in caso di diversa soluzione), sia per non indebolire dal punto di vista diplomatico la nostra posizione nei riguardi della Tripolitania, come avverrebbe in caso di soluzione parziale che lasciasse insoluto il destino di questo territorio. Di ciò abbiamo del resto informato lealmente anche il Governo britannico.

Questo Ministero prega l'E.V (S.V.) di voler ancora una volta chiarire quanto precede a codesto Governo, chiedendone l'appoggio alla nostra tesi per le prossime discussioni all'O.N.U.

427 2 Vedi D. 415. 428 1 Inviato anche a Manila. 2 Ritrasmetteva alle rappresentanze in America latina il D. 100 con istruzioni di «trame norma di linguaggio per illustrare nostro punto di vista» a quei Governi.

429

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS

TELESPR. S.N. 1 . Roma, 28 febbraio 1949.

Suoi telespressi n. 017 e 018 del22 febbraio2•

Sadak mi fece a Parigi un cenno -piuttosto tenue a ver dire -circa un patto mediterraneo. Gli risposi con cordiale franchezza che comprendevo e condividevo le sue preoccupazioni, ma che gli consigliavo di prendere la realtà qual era: cioè che egli non avrebbe trovato ascoltatori finché, in qualche modo, il Patto atlantico non fosse stato varato.

Circa l'ingresso della Turchia nel gruppo dei ministri di Gabinetto che guideranno d'or innanzi l'O.E.C.E. non credo che Sadak vi abbia avuto gran merito; la cosa è venuta da sé avendo la prima formula per un comitato più ristretto incontrato vive resistenze olandesi, elvetiche, ecc.

430

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI1

L. PERSO'-JALE2 . Roma, 28 [febbraio 1949j3, sera.

Ecco un telegramma di Tarchiani e uno di Scotti4 -i soli, dei non stampati di qualche interesse.

2 Vedi DD. 369 e 370.

2 Autografa.

3 Datato attraverso i riferimenti contenuti nel testo.

4 Vedi DD. 424 e 423.

Ti accludo una lettera del conte Coudenhove5 , già intimo di Churchill. Vedi, nell'annesso, come si rivolta! Domani alle 15,30 ricevo qui intorno al mio letto Ruini e gli altri quattro. Sono stati assai sensibili all'invito.

Oggi ho ricevuto Fouques-Duparc che mi ha portato l'assicurazione di Schuman che crede, «par autant qu'il est possible de prévoin>, che il Parlamento voterà l 'Unione doganale dopo che la avremo firmata. Gli ho detto che, da un galantuomo come Schuman, ciò mi bastava; ma siccome niente mi premeva tanto quanto i buoni rapporti colla Francia, egli doveva sapere che nell'ipotesi lontanissima di uno scacco io prenderei la colpa su di me, con le necessarie conseguenze. Fouques-Duparc ha strillato che l'ipotesi è impossibile. Poi mi ha detto per evitare ogni anche più inverosimile rischio egli proporrebbe a Schuman di nominare un ministro importante alla testa della delegazione che si incontrerà qui con una nostra il 7 per regolare le urgenti questioni monetarie fra i due paesi (eliminando il comico rischio che i nostri emigranti rientrino in patria ... dopo firmata l'Unione, perché non c'è mezzo di far arrivare i loro soldi in Italia).

Gli ho risposto approvando perché i capi delle due delegazioni debbono sapere imporre un'intesa sintetica ai vari tecnici. E gli ho detto che ne parlerei teco per la scelta di un ministro autorevole.

(Che ne diresti di Saragat, e perché ex ambasciatore in Francia, e perché -gli potrei dir io -ciò gli potrebbe facilitare un giorno altre realizzazioni?).

429 1 Minuta autografa.

430 1 In Archivio privato De Gasperi.

431

IL MINISTRO A CANBERRA, DEL BALZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 76/17. Sydney, 28febbraio 1949 (perv. il 26 marzo).

Riferimento: Mio telespresso n. 75116 del 27 febbraio 1949 1•

Nel telespresso sopracitato ho riassunto, per gli atti di codesto superiore Ministero, la cerimonia della presentazione delle lettere al governatore generale ed ho inviato il testo del mio breve discorso e della sua risposta. Aggiungo ora alcuni particolari e prime impressioni.

Il ministro del Belgio, che risiede da diciotto mesi a Sydney, solo e piuttosto triste, mi aveva detto, prima che partissi per Canberra, che dovevo aspettarmi una disinvoltura di modi che avrebbe rasentato in alcuni casi addirittura la mancanza di riguardo. Questa, almeno, era stata la sua personale esperienza in circostanze analoghe. Debbo dire che nel mio caso non è stato affatto così. Ho potuto notare, al contrario,

431 1 Non pubblicato.

sin dal mio arrivo nella capitale, un evidente e marcato desiderio da parte di tutti di dimostrare verso il primo rappresentante dell'Italia riguardo e cordialità. Entrambi, s'intende, alla maniera australiana: senza, cioè, quel coerente senso della forma che è tuttora vivo in paesi più vecchi, ma con una rozza spontaneità che ha pure i suoi meriti ed il suo valore.

Due ore dopo il mio arrivo, avevo già conosciuto, attraverso un giro «amichevole» degli uffici, tutti i funzionari degli esteri presenti a Canberra. I quali, in realtà, si riducono a una ventina. I più elevati in grado fra essi hanno voluto offrire, la sera stessa, un pranzo, anch'esso amichevole, ai miei collaboratori ed a me. Il primo segretario e l'addetto commerciale, per l'assoluta mancanza di alloggi, sono stati ospitati molto simpaticamente dal capo della Divisione per l'Europa e l'America.

La cerimonia vera e propria della presentazione delle credenziali si è svolta, in sostanza, come tutte le altre del genere. Con queste due sole differenze: che al posto del drappello d'onore c'era un solo bonario poliziotto, e che il governatore generale, da bravo laburista, mi ha fatto pregare di vestirmi alla buona come lui, in giacca nera e pantaloni a righe.

Dopo lo scambio di discorsi e le presentazioni di rito, il governatore generale mi ha chiesto di passare nel suo studio insieme con gli altri, per bere qualcosa. Evatt ha subito tenuto a farmi notare, ad alta voce che questo invito, tutt'altro che usuale in circostanze del genere, voleva sottolineare la particolare soddisfazione con la quale si vedeva finalmente arrivare il rappresentante dell'Italia. Ed ha aggiunto: «Tout est bien qui finit biem>.

Nello studio del governatore generale non si è parlato, com'era logico, se non di cose o generiche o banali. Buona parte dei discorsi è stata dedicata alla estrema difficoltà di trovare per le rappresentanze estere una qualsiasi sistemazione a Canberra. Argomento, questo, che fa le spese di tutte le conversazioni della capitale, fornendo un comodo diversivo ai classici commenti sul tempo.

La politica è stata solo sfiorata a proposito della nostra ammissione all'O.N.U., soggetto piacevole e pacifico dal punto di vista degli australiani, che hanno fatto e continueranno a fare, con scarso merito, il possibile per favorirla.

A questo proposito Evatt ha detto di sperare che la questione possa essere portata davanti all'Assemblea di aprile e che l'U.R.S.S. s'induca a rinunziare alle sue pregiudiziali. A suo giudizio, un segno di minore intransigenza sarebbe costituito dalla recente accettazione sovietica del candidato svizzero Fluckiger, proposto nel settembre 1947 dalla Gran Bretagna come governatore dello Stato Libero di Trieste.

Gli ho risposto francamente che questo non mi pareva un segno incoraggiante. Sembrava anzi verosimile che questa anacronistica iniziativa russa fosse stata suggerita dal desiderio di impedire o ritardare, creando confusione, l'attuazione pratica dell'ormai definitivo impegno alleato di restituire Trieste all'Italia. Ha finito per convenirne, non escludendo però che nel gesto russo sia anche riflesso il malumore di Mosca verso Tito.

Di nulla altro di serio si è parlato, all'infuori della volontà del Governo australiano di rivedere l'Italia al suo legittimo posto tra le nazioni occidentali. Né mi è stato possibile, date le circostanze nelle quali la conversazione si svolgeva, portare Evatt su argomenti per noi di maggiore attualità ed interesse. E ciò mi è sommamente rincresciuto perché Evatt è ripartito all'alba del giorno successivo per Sydney e l'Europa, senza che io avessi modo di rincontrarlo.

L'indomani sono stato ricevuto dal primo ministro Chifley. Visita breve e puramente formale. Accoglienza improntata a bonaria e marcata cordialità. Mi ha detto che spera avere presto con me una lunga conversazione sulle questioni di comune interesse e ha tenuto a farmi l'elogio degli italiani in Australia.

Ho visto anche, ed a lungo, il ministro dell'immigrazione Calwell, ma sul colloquio avuto con lui riferisco a parte2 .

430 5 Manca.

432

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 295/106. Copenaghen, 28 febbraio 1949 1•

Riferimento: Mio telegramma n. 9 in data odierna2 .

L'esecutivo del partito social-democratico che è, come è noto, il partito di Governo, riunitosi ieri in una sala del palazzo del Parlamento, presenti tutti i membri del Governo, ha discusso per parecchie ore il problema della partecipazione della Danimarca al Patto atlantico.

Vi erano nel partito diversi punti di vista, vi erano incertezze ed esitazioni, quelle stesse di cui era esponente il presidente del Consiglio e che ora bisognava ad ogni costo superare data la situazione di isolamento in cui era venuta a trovarsi la Danimarca dopo la decisione della Norvegia favorevole al Patto atlantico e dopo che era svanita la vaga speranza danese di un'alleanza neutrale a due dano-svedese.

Con la mozione di ieri, approvata con la totalità dei voti meno uno, l'esecutivo del partito socialista ha dato l'adesione di massima ai progetti dell'Unione atlantica. E poiché dell'atteggiamento favorevole degli altri maggiori partiti illiberale-agrario e il conservatore non si può dubitare per dichiarazioni dei rispettivi esponenti, la maggioranza parlamentare è assicurata a questa nuova direttiva che il Governo intraprende dopo tante riserve e cautele. Non è esagerato dire che il Governo danese la intraprende in certo senso a malincuore, non beninteso per l'orientamento ideologico suo e del paese, decisamente diretto verso l'Occidente, ma perché consapevole della situazione delicata della Danimarca. Delicata non soltanto nelle more per la conclusione del Patto, ma altresì sotto altri aspetti. L'interesse strategico del territorio danese per gli Stati Uniti non è pari a quello della costa norvegese; inoltre la questione delle basi in tempo di pace si pone già per la Groenlandia e potrebbe porsi anche per le isole Faeroer.

Queste preoccupazioni sono adombrate nella formula, emersa dalla discussione di ieri, secondo la quale l'adesione della Danimarca all'Unione dell'Atlantico avverrà nell'intesa che il contenuto del Patto presenterà tali vantaggi diretti e indiretti per la Danimarca da superare il rischio che l'adesione stessa comporta.

432 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 426.

431 2 Telespresso non rinvenuto.

433

IL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 476/104. Guatemala, 28febbraio 1949 (perv. il 26 marzo).

Nel rapporto dell'osservatore italiano presso le Nazioni Unite, allegato al telespresso di codesto Ministero n. 3/91/c. (Segreteria Generale C.C.) in data 13 gennaio 19491 , a pagina l Osono riportate le osservazioni seguenti a proposito del Guatemala:

«È il Governo più anti-colonialista del gruppo sud-americano, soprattutto per la questione di Belize. È quindi anche e principalmente anti-inglese. Un'opera di oculata preparazione intesa a dimostrare la fondamentale differenza tra la questione di Belize e quelle delle ex colonie italiane potrebbe dare i suoi frutti. Ritengo sia possibile attenerne l'appoggio per la questione della Tripolitania-anche per l'accanito atteggiamento anti-musulmano del delegato permanente-non sarà invece così facile ottenere il suo appoggio per l 'Eritrea.

Si ritrova anche qui l'obiezione generale nei riguardi dell'Eritrea che è, più o meno, la stessa per tutte le delegazioni delle Repubbliche latino-americane. Nella nuova preparazione che si inizierà presso le varie capitali, sarà bene tener conto di questo "distinguo" e regolarsi di conseguenza».

Già in precedenti comunicazioni e per ultimo col telespresso n. 1882/418 del 14 dicembre 19482 , io avevo fatto rilevare che il Guatemala era disposto ad appoggiarci in ciò che si riferiva all'assegnazione delle nostre antiche colonie in amministrazione fiduciaria.

In seguito al telespresso di cui sopra e alla lettera personale del segretario generale, ministro Zoppi (n. 3/234/c. in data 24 gennaio 1949)3 ritenni opportuno chiedere un'udienza al presidente della Repubblica, dott. Juan Josè Arèvalo, per conoscere esattamente il suo pensiero sulla questione delle colonie e in particolare su quella dell'Eritrea.

Egli ne era già stato informato dal ministro degli affari esteri, dott. Enrique Mufioz Meany (che avevo più volte, in precedenza, intrattenuto sull'argomento) e pertanto la discussione, cordialissima, fu relativamente breve.

Dopo avermi attentamente ascoltato e chiesto qualche chiarimento, mi disse testualmente: «Voi non ci domanderete di sostenere dinanzi ali' Assemblea il vostro punto di vista, giacché ci troveremmo in una situazione imbarazzante di fronte all'opinione pubblica, data la lotta che conduciamo per riavere il territorio di Belize; ma posso anticiparvi fin d'ora che vi daremo il nostro voto per l'Eritrea come per le altre colonie. Ne parlerò al ministro degli esteri».

Qualche giorno dopo, in occasione di un pranzo che avevo offerto al dott. Mufioz Meany, questi mi assicurò che era perfettamente d'accordo col presidente.

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 120, nota l.

«Noi facciamo distinzione -mi dichiarò -fra le colonie europee in America e quelle che esistono altrove. Come vi ha assicurato il dott. Arèvalo, il nostro paese che ha molta simpatia per il vostro, vi darà il suo voto».

433 1 Vedi D. 287, nota 2.

434

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 1511/106 Roma, l o marzo 1949, ore 9.

Governo italiano approvato testo trattato Unione doganale.

Prego conferire con Schuman circa data firma che personalmente preferirei dopo il 15 1 .

435

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 1525/1091 . Roma, ] 0 marzo 1949, ore 14,05.

Governo francese ci fa conoscere che, anche per rinforzare azione Bonnet, conviene ella informi d'urgenza Dipartimento di Stato che Governo italiano desidera avere conoscenza testo Patto atlantico non appena formulato, in guisa potervi aderire unitamente primi sette paesi contraenti ovvero, ove ciò non fosse possibile, subito dopo, contemporaneamente primo Stato che sarà invitato.

Concordando con suggerimento francese pregola esprimersi subito costì in questo senso informandone Bonnet ed altri ambasciatori interessati2 .

436

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD OSLO, RULLI

T. S.N.D. 1545/9. Roma, 1° marzo 1949, ore 23,15.

Suo n. 26 1 .

Nonostante affermazioni Lange è evidente che difficoltà da parte comunista non diminuirebbero con nostra esclusione. Ostilità comunista si appunta contro Patto atlantico in sé e non contro sua maggiore o minore estensione; e per quanto riguarda la Norvegia opposizione comunisti locali è strettamente condizionata ad atteggiamento preso da Unione Sovietica. Né si vede come partecipazione Italia, notoriamente disarmata, potrebbe dare al Patto un carattere di alleanza militare offensiva.

Proprio per carattere difensivo del Patto anche obiezioni codesti militari non sono accettabili. Patto intende fronteggiare pericolo comune con sicurezza collettiva. Con questo spirito esso è sorto; e con questo spirito è nostro proposito parteciparvi. Riteniamo che gli stessi motivi abbiano ispirato adesione Governo norvegese.

Circa inclusione Spagna, cui non ci risulta che attualmente nessuno pensi e certo non Francia, è sufficiente osservare che Norvegia avrebbe sempre modo opporvisi e che comunque nostra inclusione o esclusione non muterebbe in alcun modo termini del problema.

Faccia presente costì quanto precede e sottolinei che Governo e opinione pubblica italiana sarebbero sorpresi da persistere tali obiezioni; né sarebbe facile spiegare che atteggiamento norvegese, che altrimenti è incomprensibile, non sarebbe dettato da motivi poco amichevoli2 .

434 1 Per la risposta vedi D. 516. 435 1 Sforza trasmise questo telegramma anche alle ambasciate a Parigi, Londra, Bruxelles ed Ottawa con T. 1531/c. del l o marzo. 2 Per la risposta vedi D. 438. 436 1 Vedi D. 425.

437

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1908/38. Nanchino, 1° marzo 1949, ore 20,35 (perv. ore 19,30).

Suo 4 1•

Ottenuta adesione questo Ministero degli affari esteri ed inserimento in trattato delle due clausole aggiuntive di cui al mio telegramma 9 del 13 gennaio2 • La prima verrebbe inserita fra il secondo e l'attuale terzo (che diverrebbe quarto) comma articolo 6; la seconda verrebbe aggiunta in fine al primo comma medesimo articolo 6, omettendo tuttavia parole «O a quelli di qualsiasi altro paese» in relazione a norma di carattere generale contenuta in clausola finale articolo stesso.

Altre modificazioni rispetto schema suo tempo inviato: articolo 7, inserzione parola «own» come da noi richiesto; in articolo 5 e in articolo 7 sostituzione parole «up on the same terms» alle parole <<Under the same conditions», in scambio di note aggiuntive, in relazione proposta di cui al punto D telespresso ministeriale 26992 del 29 settembre3; inserzione dopo parola «cittadini» parole «di ciascuna

2 Vedi D. 57.

3 Non pubblicato.

parte contraente» e dopo parola «associations» parole «e istituzioni similari che siano state o istituite o organizzate in base alle leggi e regolamenti di tale parte contraente». Ove codesto Ministero concordi su quanto sopra, procederei intanto siglatura esso. Ma occorrerebbemi riscontro immediato onde profittare a tal fine presenza in questi giorni a Nanchino questo vice ministro esteri; riterrei infatti inopportuno procedervi a Canton4 .

436 2 Rulli non riuscì ad eseguire queste istruzioni, ma vedi il D. 449.

437 1 Vedi D. 144.

438

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1915/200. Washington, JO marzo 1949, ore 12,35 (perv. ore 22).

Suo telegramma 1091•

Ho comunicato a Dipartimento di Stato contenuto telegramma citato. Comunicazione è stata da me fatta verbalmente prima della seduta degli ambasciatori e rinnovata mediante nota scritta2 durante seduta stessa, che si è iniziata ore l O e che è tuttora in corso.

Mentre ho informato già Bonnet e informerò oggi stesso ambasciatori altri cinque paesi interessati, prego farmi conoscere se nelle rispettive capitali siano stati fatti passi analoghi a quello a me prescritto3 .

439

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 1920/201 1 . Washington, 1° marzo 1949, ore 14,40 (perv. ore 7,15 del 2).

Mio 2002 .

Riunione è terminata testé3 .

Da consuete informazioni confidenziali risulta quanto segue.

Acheson ha riproposto invito Norvegia. Bonnet ha svolto noti argomenti a favore contemporaneo invito Italia, aggiungendo che Parlamento francese considererebbe Patto atlantico insufficiente per sicurezza nazionale qualora ne fossimo esclusi. Acheson ha replicato che non vi sono dubbi circa opportunità inclusione Italia, ma dopo Norvegia per ragioni già da lui dette ed anche perché sondaggi da lui fatti presso senatori influenti hanno dimostrato riluttanze verso eventuali immediati ulteriori allargamenti. Ha inoltre dato assicurazioni circa Algeria.

Ambasciatore britannico ha detto che Gran Bretagna, dopo aver nutrito dubbi circa opportunità adesione italiana, non insiste su sue obiezioni.

Rappresentanti belga, olandese e canadese hanno detto che rispettivi Governi non si oppongono adesione Italia salvo stabilirne modi e tempi. Peraltro belga ha insistito su urgenza decisione.

Al termine discussione è stato deciso invitare subito Norvegia e discutere giovedì, con carattere di «high priority», adesione Italia, Danimarca, Islanda e Portogallo. Mi risulta inoltre che Dipartimento di Stato, sapendo quanto Francia tenga a stipulazione Patto, confida vincere opposizione Governo Parigi.

437 4 Per la risposta vedi D. 544. 438 1 Vedi D. 435. 2 Il cui testo è pubblicato in Foreign Relations of' the United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 125-126. 3 Con T. s.n.d. 1579/113 del2 marzo Guidotti rispose: «Del passo fatto con telegramma 109 è stata data comunicazione a tutte le capitali». Per tali comunicazioni vedi DD. 435, nota l e 446, nota 3. 439 1 Ritrasmesso con T. s.n.d. 1571/c. del 2 marzo alle ambasciate a Bruxelles, Londra, Ottawa, Parigi ed alle legazioni a L' Aja e Lussemburgo. 2 Vedi D. 438.

440

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1921/133. Parigi, 1° marzo 1949, part. ore 1,30 de/2 (perv. ore 7,30).

Benché in parte già noti a V.E. ritengo opportuno riferire ultimi sviluppi azione francese in merito inclusione Italia Patto atlantico. Di fronte a dubbi che da varie parti erano mossi circa volontà immediata adesione Governo italiano anche perché non tutti suoi rappresentanti si sarebbero espressi allo stesso modo, Schuman aveva dato incarico a Fouques-Duparc di chiedere a V.E. una netta presa di posizione. Alla richiesta telefonica di stamane, F ouques è stato in grado di rispondere alle ore 17, sempre per le vie brevi: il Governo italiano tutto era per la firma contemporanea con gli altri otto paesi; istruzioni in questo senso erano state inviate a Washington quarantotto ore prima1 , e sarebbero ripetute per telefono2• Quai d'Orsay, sempre per le vie brevi, ha comunicato all'ambasciatore di Francia tale netto chiarimento, alle ore 18. Poiché Bonnet e consigliere si trovavano in seduta da Acheson, funzionario dell'ambasciata ha ricevuto incarico di portare immediatamente comunicazione in sede riunione.

Questa la cronaca. Per quanto riguarda sostanza delle cose, francesi sono soddisfatti di avere conseguito tempestivamente un chiarimento che ritenevano indispensabile per efficacia loro azione. Ora ognuno è posto di fronte propria responsabilità. Circa prospettive decisione che quanto prima dovrebbe essere presa, Quai d'Orsay si mostra meno sicuro di Schuman e permane qualche apprensione: nella riunione di venerdì scorso3 Bonnet era rimasto isolato, e benché nulla di concreto sia fatto presente da parte anglosassone, si ha il sentimento che nutrono delle riserve, tanto più pericolose in quanto inespresse e confuse. Forse perché-mi si dice in forma dubitativa-sussiste il timore che, appena entrata nel Patto, l'Italia affaccerà pretese revisionistiche, o che porrà nuovamente in quella sede questione coloniale, o altro ancora.

Quai d'Orsay non ha avuto sinora sentore di un passo di Spaak a Parigi o a Londra nel senso preannunziato al nostro ambasciatore a Bruxelles (telegramma ministeriale 105)4 . Si credeva di sapere-ma le rappresentanze locali non sono informateche c'era stata una riunione del Benelux nella quale si sarebbe deciso di proporre alla conferenza di decidere la immediata comunicazione all'Italia del testo del Patto con la scelta dell'alternativa o della firma contemporanea o dell'accessione «immediata».

439 3 Si riferisce alla quattordicesima riunione degli «Exploratory talks on security», il cui verbale americano è pubblicato in Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 126-135. 440 1 Vedi D. 403. 2 Lo furono con T. urgentissimo: vedi D. 435.

441

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1927/46. Atene, JD marzo 1949, ore 23,30 (perv. ore 7,30 del 2).

Tsaldaris confermavami stamane quanto comunicato con mio telegramma 43 1 aggiungendo ritenere che America contro Inghilterra tuttora sostiene nostra immediata partecipazione Patto atlantico.

Mostravasi assai dispiaciuto e sorpreso «indisposizione subitanea» (sic) V.E. che avevagli impedito a Parigi consultazioni previste conversazioni San Remo2 . Voleva esporre V.E. sua personale concezione patto mediterraneo realizzabile in due momenti corrispondenti a due spazi: Mediterraneo occidentale e orientale.

Risultando pertanto evidente decisione contraria di fronte progetto inglese tre raggruppamenti regionali cui dovrebbero corrispondere tre patti: atlantico, mediterraneo e Medio Oriente, Tsaldaris, profittando recente nervosismo turco e attuale isolamento italiano, spera con sua trouvaille di una necessità mediterranea orientale permettere subito Grecia delle realizzazioni internazionali primo piano.

4 Del 28 febbraio, con il quale veniva ritrasmesso il D. 419.

2 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 595.

Questa «pattomania» di Tsaldaris non ha però seguito fra suoi colleghi di Gabinetto e in questa stampa locale da cui è piuttosto ridicolizzata. Temo però inglesi non lo hanno scoraggiato seguendo tradizionale politica eccitare in dettagli divergenze che poi essi si riservano di appianare con loro vantaggio.

440 3 Il25 febbraio: vedi DD. 396 e 412.

441 1 Del24 febbraio, con il quale Ricotti aveva comunicato: «Tsaldaris rientrato ieri sera avrebbe detto che l'Italia non sarebbe per ora invitata partecipare Patto atlantico. Mio informatore mi ha lasciato intendere opposizione verrebbe da parte inglese per nuove difficoltà intervenute a proposito colonie e riarmo italiano».

442

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1931/2021 . Washington, 1° marzo 1949, ore 20,35 (perv. ore 7,30 del 2).

Mio telegramma n. 201 2 .

Ho comunicato a tutte ambasciate interessate passo da me fatto stamane presso Dipartimento di Stato. Ho visto personalmente ambasciatori Francia, Gran Bretagna, Canada.

Impressione generale è che, mentre invito Norvegia indipendentemente da Italia è irrevocabilmente deciso con pretesto emergenza, decisione di giovedì prossimo circa invito Italia e altri è ancora fluida. Non tralascio agire tanto su Dipartimento di Stato e ambienti americani quanto su rappresentanze estere. Queste ultime riferiranno subito rispettivi Governi sul nostro passo e sulle nostre argomentazioni. Inoltre mi risulta che Acheson sta estendendo contatti con senatori su specifica questione Italia.

443

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. PERSONALE 592/36435/486/3 U.Z.C. Roma, 1° marzo 1949.

Ho già avuto occasione, in varie lettere indirizzate al tuo Ministero, di manifestare il mio punto di vista sulla questione degli alto-atesini a suo tempo emigrati in Austria, che hanno presentato domanda di riacquisto della cittadinanza italiana 1•

Ad essi, come ben sai, il Governo austriaco aveva concesso sin dal 1945 un'equiparazione di fatto ai propri cittadini.

Venne poi l'Accordo di Parigi, recante l'impegno per l'Italia di rivedere con spirito di grande equanimità il regime delle opzioni risultante dagli «accordi» del 1939; e venne la nostra legge per la revisione delle opzioni, riconosciuta internazionalmente, e dal Governo austriaco formalmente per mezzo di una sua delegazione nel novembre '472 , come soluzione sotto ogni riguardo soddisfacente del problema.

Mentre, assolto il proprio impegno nel campo legislativo, l'Italia continuava a darvi la più leale attuazione nella procedura d'esame e di decisione delle domande di «riopzione» per la cittadinanza italiana, sopravvenne il fatto nuovo e inopinato: a coronamento di una lunga e intensa propaganda svolta in Austria da varie organizzazioni per favorire le riopzioni, il Governo austriaco deliberava il 2 novembre 1948 di privare dell'equiparazione ai cittadini austriaci loro accordata sin dal 1945 quanti non chiedessero di riacquistare la cittadinanza italiana.

L'effetto della pubblicazione del deliberato, avvenuta il 27 novembre, è stato immediato e totale: posti di fronte alla prospettiva d'essere ridotti allo stato di apolidi, e conseguentemente di perdere le loro posizioni negli impieghi, nei commerci, nelle professioni, gli alto-atesini non hanno avuto più scelta: hanno rioptato. Negli ultimi due mesi utili, il ritmo della presentazione delle domande di riopzione è salito vertiginosamente, sino a comprendere la quasi totalità degli interessati.

Tutto ciò è stato estesamente posto in evidenza nella perspicua interpellanza svolta l' 11 s.m. dal senatore Bisori3 , il quale concludeva, sostanzialmente, con il suggerimento al Governo di considerare inficiate da vizio della volontà le domande presentate dopo il deliberato austriaco.

In risposta all'interpellanza, il sottosegretario alla Presidenza, dopo aver riferito circa i passi già fatti senza alcun esito soddisfacente presso il Governo austriaco, rendeva noto che il Governo italiano aveva già fatto sapere a Vienna di riservarsi ogni opportuno provvedimento circa le riopzioni in questione.

È mio avviso che, di fronte al deliberato austriaco del quale può essere forse messa in dubbio l'abilità ma non la scorrettezza politica, la posizione da noi presa debba essere mantenuta.

Innocenti mi riferisce che in una riunione tenutasi ieri presso la Direzione generale degli affari politici del tuo Ministero sono state tracciate le linee per instaurare, con il rispetto formale della legge, una procedura di trattazione delle domande di cui trattasi ispirata a finalità defatigatorie, in modo da procrastinare quanto più possibile la decisione e dar così tempo e motivo al Governo austriaco di rivedere in qualche modo il suo atteggiamento.

Non escludo la convenienza della tattica proposta, ma ritengo desiderabile evitare in ogni modo che da parte austriaca ciò venga interpretato come un nostro ripiegamento su una posizione di acquiescenza che nulla giustificherebbe.

Vengo informato che il ministro d'Austria a Roma chiederà prossimamente d'intrattenerti sull'argomento4 , vorrei pregarti, se, come credo, condividi il mio punto

di vista, di teneme conto per rafforzare nel rappresentante austriaco il convincimento che la riserva già da noi espressa, e apertamente enunciata in Parlamento, sussiste in tutta la sua fondatezza e in tutte le sue possibilità di sviluppo, tra le quali non è da escludere quella di una integrazione della legge sulla revisione delle opzioni che tenga conto del grave turbamento portato nella materia dal deliberato viennese.

442 1 Ritrasmesso con T. s.n.d. 1578/c. del 2 marzo alle ambasciate a Bruxelles, Londra, Ottawa, Parigi, e alle legazioni a L' Aja e Lussemburgo. 2 Vedi D. 439. 443 1 Vedi DD. 225 e 304.

443 2 Vedi serie decima, vol. VI, D. 762. 3 Vedi Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1949, vol. IV, seduta de li'Il febbraio 1949, pp. 5298-5308. 4 Vedi D. 483.

444

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 456/277. Sofia, JD marzo 1949 (perv. l '8).

Riferimento: Mio telegramma n. 25 1 e miei rapporti nn. 79/47 del 14 gennaio

u.s. , 415/257 del23 febbraio u.s. 3 e 443/267 del26 febbraio u.s. 4 .

Nel discorso che questo ministro degli affari esteri Vassil Kolarov ha pronunciato il 23 febbraio in occasione della presentazione alla G.A.N. del progetto di legge per la regolamentazione dei culti (testo del discorso allegato al suindicato rapporto del 26 febbraio), è stata pubblicamente annunciata la decisione del Governo bulgaro di considerare terminata la missione della delegazione apostolica in Bulgaria. Tale decisione era stata ufficialmente comunicata-ha detto Kolarov-alla Segreteria di Stato della Santa Sede con lettera in data dell7 febbraio.

A tale annuncio il ministro degli esteri ha fatto precedere una specie di sintesi cronistorica dei rapporti tra la Santa Sede e la Bulgaria.

Egli ha anzitutto asserito che la Bulgaria sarebbe considerata «nel sistema politico del Vaticano» un paese di «missioni religiose», che essa è inclusa nella sfera d'azione della «cosiddetta Congregazione della Chiesa orientale» nella quale sarebbero compresi «i Balcani, il Vicino Oriente e l'Africa». Kolarov ha poi affermato che i vescovi cattolici dei paesi orientali avrebbero il dovere, non solo «di visitare periodicamente il Vaticano», ma di «informarlo ampiamente sulla situazione del paese dove risiedono», inviando anche delle relazioni informative di vario carattere, «non solo religioso, ma economico, sociale e politico» e rispondendo ad un questionario che avrebbe «esattamente centocinquanta domande». Kolarov ha quindi aggiunto che la nuova legge sui culti «vuole preservare» i sacerdoti cattolici bulgari dall'essere trasformati in agenti informatori di una «centrale politica straniera, trasmettendo notizie che in base alle legge di tutti i paesi sono considerate segreto di Stato» (così evidentemente si vogliono giustifi

2 Con tale telespresso Guamaschelli aveva trasmesso il testo di un articolo che attaccava violentemente il progetto di federazione europea ed il Vaticano ritenuto responsabile della preparazione di tale progetto.

3 Vedi D. 379.

4 Non pubblicato.

care gli esosi controlli disposti dalla legge su tutta l'attività del clero e particolarmente sulle loro comunicazioni con i superiori gerarchici residenti fuori della Bulgaria).

Il ministro Kolarov ha poi affermato che tra il Vaticano e la Bulgaria «non sono esistite e non esistono delle relazioni diplomatiche, poiché fra di essi non è stipulato alcun concordato». Non vi fu che l'invio in Bulgaria da parte della Santa Sede di un «visitatore apostolico» (1925), trasformato poi in «delegato apostolico» (1935) a cui successe (1945) un «reggente provvisorio della delegazione apostolica» che ultimamente era stato nominato (lettera del «cardinale» Montini del 24 dicembre 1948) «incaricato della direzione della delegazione apostolica»: tutte missioni a carattere «puramente religioso».

Alla predetta lettera, il ministero degli esteri bulgaro ha risposto, in data 17 febbraio 1949 (vedi testo nel discorso di Kolarov allegato al te l espresso del 26 febbraio succitato) affermando che l'invio in Bulgaria di una delegazione apostolica <<Unilaterale» era stata tollerata grazie alla condiscendenza del Governo bulgaro e che essa non aveva mai avuto carattere diplomatico. Nella risposta si comunica quindi che, con l'approvazione della nuova Costituzione, in base alla quale viene assicurata la libertà a tutti i culti, e stabilito il loro Statuto, «la missione della delegazione apostolica in Bulgaria deve considerarsi conclusa e l'invio di monsignor Galloni in qualità di delegato apostolico (?) in Bulgaria si rende superfluo».

Kolarov quindi, dopo aver commentato tale annuncio dicendo che «con ciò si è concluso un episodio umiliante per la Bulgaria e il popolo bulgaro», si è scagliato ancora violentemente contro il Vaticano affermando che «esso è nemico giurato dell'Unione Sovietica e dei paesi a democrazia [popolare] e del comunismo ed è interamente al servizio delle oscure forze che oggi preparano una nuova guerra» e che in ciò sta un altro motivo per cui il Governo bulgaro ha rifiutato di tollerare ancora l'inviato «provvisorio» del Vaticano, aggiungendo anche a tale proposito come questa misura «difenda i credenti cattolici bulgari dall'essere coinvolti nelle reti della politica antipopolare, antidemocratica, antisovietica».

Su tale esposizione di Kolarov occorre fare qualche rilievo.

Possono notarsi subito molte inesattezze, come a proposito dell'asserzione che la Bulgaria è considerata «nel sistema politico del Vaticano» un paese di «missioni», e della competenza territoriale della Congregazione della Chiesa orientale: evidentemente il ministro degli esteri bulgaro non ha ben chiara la distinzione delle competenze tra la predetta Congregazione e quella di Propaganda Fide. Il banale errore dell'attribuire a monsignor Montini la dignità cardinalizia dimostra la leggerezza con cui i competenti uffici bulgari hanno fornito al ministro i dati tecnici del discorso.

Circa le questioni inerenti alla rappresentanza della Santa Sede in Bulgaria, oltre all'inesattezza dell'asserzione che per l'istituzione di rapporti diplomatici con la Santa Sede occorra un concordato, può rivelarsi che l'affermazione di Kolarov circa l'inesistenza di tale specie di rapporti, se è esatta dal punto di vista strettamente giuridico, in quanto una delegazione apostolica non è formalmente una rappresentanza diplomatica, non corrisponde alla situazione che de facto si era venuta a creare in Bulgaria in quanto a questa delegazione apostolica era qui riconosciuto lo status di una rappresentanza diplomatica con le funzioni normalmente attribuite e i privilegi normalmente accordati ad una rappresentanza diplomatica: i religiosi notificati come membri della delegazione apostolica facevano parte del Corpo diplomatico di Sofia e avevano carte diplomatiche (mio rapporto n. 1164/592 del 23 giugno 1947)4 (oltre al reggente, poi incaricato d'affari, don Francesco Galloni, erano stati qui notificati rispettivamente come primo segretario, padre Placido Corsi e segretaria suor Agnese Collavo, probabilmente l'unica donna che nelle rappresentane della Santa Sede figura quale membro di un Corpo diplomatico).

Per completare la cronistoria di Kolarov si potrebbe aggiungere che nella primavera dello scorso anno vi erano stati da parte bulgara presso questa delegazione apostolica dei sondaggi, le cui precise finalità erano state considerate dubbie, ma che apparentemente tendevano a regolarizzare i rapporti tra la Bulgaria e la Santa Sede (mio rapporto 1474/883 dell'Il giugno e rapporto dell'ambasciata presso la Santa Sede n. 1721/635 del 6 agosto)5; comunque l'iniziativa bulgara non ebbe seguito, ciò che peraltro non sembrò avere alcuna nociva influenza sui rapporti tra la Bulgaria e la Santa Sede che ancora nel luglio scorso sembravano buoni (mio rapporto n. 1881/1078 del 29 luglio 1948)4 . Ulteriormente-nell'ottobre-la Santa Sede nominava il reggente provvisorio della delegazione apostolica don Francesco Galloni (divenuto monsignore) incaricato d'affari della delegazione, ma mentre la nomina era notificata ai vescovi bulgari (e pubblicata dal locale organo religioso cattolico) e comunicata dalla delegazione apostolica al Governo bulgaro, il nuovo incaricato d'affari non veniva munito dalla Santa Sede di lettere da presentare al Governo bulgaro. Da tale situazione apparvero allora delle difficoltà di carattere protocollare, mai prima verificatasi, circa la posizione del rappresentante della Santa Sede. Probabilmente nell'intento di ovviarle e anche di far cosa gradita ai bulgari, venne poi inviata dal sostituto del segretario di Stato, monsignor Montini, al ministro degli esteri bulgaro la lettera del 24 dicembre 1948. Lettera che è definita ora dal predetto ministro come «un tentativo di consolidare le posizioni del Vaticano nella Bulgaria democratica e popolare» e alla quale è stato risposto con l'annuncio della rottura dei rapporti.

In realtà può dirsi che tutti i motivi accampati con tante inesattezze nel discorso del ministro Kolarov si rivelano come dei pretesti retroattivi per spiegare quella che senza dubbio è una mutata linea di condotta da parte della Bulgaria nei confronti delle Santa Sede.

L'unilateralità della rappresentanza della Santa Sede (e una delegazione apostolica non può essere che unilaterale) non aveva impedito corretti rapporti tra il Vaticano e la Bulgaria anche nella situazione politica determinatasi coll'impiantarsi in tale paese di un regime comunista. Evidentemente a partire dagli ultimi mesi dello scorso anno sono state adottate dal Governo bulgaro direttive che hanno prodotto il nuovo atteggiamento. La Bulgaria costituiva con la sua relativamente corretta politica verso la Santa Sede una specie di eccezione nei confronti degli altri paesi dello stesso gruppo politico: essa ha ora dovuto mettersi in linea, quantunque non vi fossero nella condotta della Santa Sede o dei cattolici bulgari dei motivi specifici che giustificassero o spiegassero il mutamento. La Bulgaria è stata ora chiamata a partecipare attivamente alla lotta contro il Vaticano e in genere contro le chiese che hanno legami con l'Occidente, lotta i cui termini -come già si è accennato in altre occasioni -sono stati definiti nelle decisioni del Congresso panortodosso di Mosca dello scorso agosto; e che, per quanto riguarda la Bulgaria, sta esprimendosi attualmente nel processo contro i pastori protestanti6 e nelle disposizioni della legge recentemente approvata sui culti7

6 Vedi D. 330.

7 Vedi DD. 379 e 394.

e segnatamente in quelle con cui vengono controllate dal Governo tutte le relazioni del clero bulgaro con autorità religiose esterne nonché in questa decisione della chiusura della delegazione apostolica in Bulgaria, che del resto appare collegata con le disposizioni stesse, di cui è logica conseguenza.

Con l'annunciata chiusura della rappresentanza della Santa Sede, i membri della rappresentanza stessa e i beni e interessi della Santa Sede appariscono privi di una propria tutela. Risulta che al riguardo l'attuale primo segretario della delegazione apostolica, padre Placido Corsi, ha chiesto istruzioni alla Santa Sede.

Faccio ad ogni buon fine presente che la Santa Sede ha qui notevoli proprietà immobiliari, quali la sede della delegazione apostolica, l'edificio della Pro Oriente (istituzione tuttavia italiana), il convento delle Carmelitane ed un altro edificio di abitazioni.

I due membri della delegazione apostolica, già ufficialmente notificati come tali presso questo Governo, qui residenti (cioè padre Placido Corsi e suor Agnese Collavo, essendo attualmente l'incaricato d'affari monsignor Francesco Galloni in Italia), si trovano in questo momento anche privi di ogni documento non essendo stata rinnovata ad essi la carta diplomatica di cui erano in possesso. Essendo ambedue cittadini italiani ho assunto la tutela delle loro persone chiedendo a questo Ministero degli affari esteri il rilascio della normale carta d'identità quali cittadini italiani e, per padre Placido Corsi, il quale praticamente esercitava le funzioni sacerdotali per la colonia italiana di Sofia, il permesso di continuare ad esercitare i servizi religiosi nella cappella della Pro Oriente.

Non ho avuto ancora una risposta definitiva in proposito da parte di questo Ministero degli affari esteri, per avendo avuto assicurazioni di massima per il rilascio delle richieste carte d'identità.

444 1 Vedi D. 394

444 5 Non pubblicati.

445

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

PROMEMORIA. New York, fO marzo 19491•

Ho visto ieri l'ambasciatore Padilla Nervo, delegato permanente messicano, e gli ho espresso i più sinceri ringraziamenti del Governo italiano per quanto egli aveva fatto a Parigi. Egli ha molto apprezzato questo riconoscimento ed ha voluto dilungarsi n eli'espormi, in dettaglio, la sua opera lasciandomi velatamente capire che, essendo uno dei quattro rappresentanti nel gruppo latino, aveva difeso strenuamente con McNeil e Dulles, malgrado le sue idee personali, le tesi approvate dalla grande maggioranza dei delegati sudamericani. (Ho apprezzato nella giusta misura la finezza dell'accorgimento di Arce nel farlo scegliere dal gruppo per tale incarico).

Padilla Nervo ha seguito quindi con molta attenzione e molto acume l'esposizione da me fattagli di tutto il problema-sia negli aspetti tecnici sia in quelli politici-ed ho avuto l'impressione che anch'egli, esaminando attentamente la carta geo

grafica, sia stato alquanto colpito dalla impraticità e dall'assurdità economica dello sbocco al mare a Massaua.

Gli ho confessato allora che noi incontravamo resistenze -e quindi incomprensioni -nel problema eritreo a causa delle diffuse simpatie verso l'Etiopia, simpatie determinatesi in seguito all'aggressione mussoliniana-e soltanto per questo fattopoiché tutti gli altri elementi -storici, politici, sociali, umani ed anche i risultati della nostra occupazione -avrebbero dovuto produrre un effetto diametralmente opposto.

Gli ho chiesto allora se, in considerazione di questa realtà-che aveva come risultato di far accettare senza discernimento le pretese esorbitanti del negus -egli non ritenesse possibile ottenere un rinvio della sola questione eritrea con la creazione simultanea di una Commissione di studio che avrebbe potuto eventualmente recarsi sui luoghi.

Egli allora, con un discorso molto involuto ed imbarazzato, ha cercato di farmi capire come in Assemblea si formano, a volte, delle correnti psicologiche che, all'infuori della realtà delle situazioni, determinano soluzioni, che poi non contengono né saggezza politica né rispetto degli interessi coinvolti.

Mi ha spiegato come molti delegati, in possesso di istruzioni generiche, siano molto influenzabili da situazioni del genere e che perciò era difficile, in una questione ove tale fenomeno poteva riprodursi, dire in anticipo se un tale divisamento poteva realizzarsi.

La conversazione, durata oltre un'ora e mezza, ha preso verso la fine un carattere molto più caldo e comprensivo. Non ritengo tuttavia si possa fare soverchio assegnamento sulla sua iniziativa. Occorrerà seguirlo e curarlo con assiduità e tenacia e forse potrà finire col seguire la maggioranza come ha fatto a Parigi. A questo fino ci siamo lasciati con l'intesa di tenerci in contatto continuo nel prossimo mese.

Padilla Nervo è uno degli elementi più in vista del gruppo latino-americano e, nelle Nazioni Unite, spera di aver trovato il trampolino per migliori fortune politiche: è quindi particolarmente sensibile alle «correnti di opinione» che si possono manifestare in seno alle Commissioni ed all'Assemblea.

In definitiva, però, non è un caso disperato.

445 1 Trasmesso dallo stesso Mascia a Roma con Telespr. segreto 206 del2 marzo, pervenuto 1'8.

446

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES, LONDRA, PARIGI E OTTAWA

T. S.N.D. 1548/c. Roma. 2 marzo 1949, ore 16,30.

Nostro ambasciatore Washington assicura1 aver compiuto passo prescrittogli di cui al mio telegramma circolare 1531 2 . La prego voleme dare comunicazione a codesto Govemo3•

2 Vedi D. 435, nota l.

3 Con T. s.n.d. 1549/14 (L'Aja) 3 (Lussemburgo) del2 marzo Sforza comunicò alle due legazioni il contenuto del D. 435 con preghiera di informame i rispettivi Governi.

446 1 Vedi D. 438.

447

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1556/C. Roma, 2 marzo 1949, ore 17,30.

Ho telegrafato a Londra quanto segue: «Credo sapere che ambasciatore d'Inghilterra a Washington ha ritirato nella riunione di ieri sue obiezioni invito Italia.

Voglia esprimere costì nostro apprezzamento tale atto. Per quanto a me sembri superfluo sarà bene ella assicuri costì che noi mai ci serviremo del posto offertoci per iniziative revisionistiche o simili. Mia profonda convinzione è che contano per noi le revisioni nei fatti non negli articoli dei trattati» 1•

448

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N .D. PER TELEFONO 1943/135. Parigi, 2 marzo 1949, ore 20.

Riunione ieri Washington posizioni rappresentanti singoli Stati sono queste:

Francia pienamente favorevole;

Inghilterra non desidera adesione italiana, ma si associerà alla maggioranza;

Canada favorevole preferibilmente ad adesione non immediata, ma anche subito;

Belgio favorevole anche subito;

Olanda come Inghilterra.

Acheson ha detto non essere in grado di dare una risposta prima di giovedì; aveva ragione di ritenere che Senato non era favorevole estensione Patto oltre Atlantico settentrionale e, anche in caso di adesione non immediata, temeva che Senato potesse determinare qualche sorpresa 1 .

Lussemburgo è stato omesso da rapporto su riunione. Si sa che ministro a Washington, per ragioni personali, è un ardente difensore tesi italiana.

Domani avrà luogo a Londra, convocata da Bevin, una riunione del Comitato permanente dei Cinque per definire, possibilmente, atteggiamento comune su questione italiana. Massigli incontra Bevin stasera e gli esporrà con ogni chiarezza punto di vista francese. Quai d'Orsay ritiene che sarebbe quanto mai opportuno che, avendone possibilità, anche Gallarati Scotti rappresentasse a Bevin nostro punto di vista sottolineando situazione assurda che avrebbe a determinarsi qualora Norvegia e forse anche Danimarca fossero incluse ab initio nel Patto ed Italia no, tanto più che Quai d'Orsay ha avuto da quest'ambasciata inglese impressione piccolo progresso nei nostri confronti.

447 1 A Tarchiani Sforza telegrafò ancora il giorno seguente: «Governo francese rappresenta necessità V.E. comunichi a Dipartimento di Stato contenuto seconda parte telegramma 1556/c. Pregola procedere subito a tale comunicazione» (T. s.n.d. 1601/118 del3 marzo, ore 16). Per le risposte da Londra e da Washington vedi rispettivamente DD. 479 e 463.

448 1 Questo capoverso del telegramma fu immediatamente ritrasmesso da Zoppi alle ambasciate a Bruxelles e Ottawa e alla legazione a L' Aja «con preghiera svolgere immediata azione perché codesto Governo impartisca opportune istruzioni suo rappresentante Washington» (T. s.n.d. 158!126 (Bruxelles) 15 (L' Aja) e T. s.n.d. 1582/6 (Ottawa) entrambi del 2 marzo, ore 24).

449

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1944/28. Osio, 2 marzo 1949, ore 18,25 (perv. ore 20).

Questo Ministero degli affari esteri ha fatto sapere oggi pomeriggio a questo ambasciatore di America (con cui io mi ero tenuto in contatto e che avevo messo al corrente del passo fatto a Roma1 e dell'attività da me svolta qui presso questo ministro esteri2 e presso altri uomini politici) che la Norvegia, pur avendo fatto presente in esclusiva linea di principio suo punto di vista, non intende affatto interferire nella questione invito dell'Italia al Patto atlantico e lascia ogni decisione in materia alle sette potenze originarie del Patto stesso.

Ambasciatore americano ha, su mia richiesta, telegrafato immediatamente a Washington in tal senso.

450

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1955/62. Londra, 2 marzo 1949, ore 20, 15 (perv. ore 7,30 del 3).

Suo telegramma 65 1• Tomo ora da nuovo colloquio con Jebb al quale riparlai secondo direttive su riferite. Egli mi rispose a nome di Bevin al quale aveva comunicato il nostro punto di vista (mio 61)2 .

2 Vedi D. 425.

2 Vedi D. 423.

La seduta della Commissione permanente del Patto Bruxelles, che doveva aver luogo questa mattina per discutere definitivamente circa invito ali 'Italia partecipazione Patto atlantico, è stata rimandata a domani 3 marzo. Jebb, che vi rappresenterà Governo britannico, ha tenuto a mettermi al corrente in modo inequivocabile di quale sarebbe la posizione inglese, concordata con Bevin, nella discussione di domani. Rimane immutata preferenza inglese per la firma preliminare dei sette soci fondatori, ma causa situazione sopravvenuta e urgenza risolverla Inghilterra accetta e sospinge ad accettazione della tesi americana circa l'immediata ammissione della Norvegia quale ottava firmataria del Patto costitutivo. Non (dico non) è favorevole da parte sua alla estensione dell'invito all'Italia per unica ragione che ogni ulteriore invito (e un invito isolato offenderebbe altre nazioni come la Danimarca la cui adesione preme) porterebbe a nuove discussioni e attese inevitabili mentre, a parere degli Stati Uniti d'America e dell'Inghilterra, è indispensabile non perdere oltre più tempo a che Patto atlantico sia determinato (tali attese non si verificano nel caso Norvegia che ha già ottenuto avallo parlamentare). Però, se dalla discussione di domani emergesse una maggioranza in favore della tesi della immediata nostra ammissione (cosa di cui mi parve Jebb dubitasse) Governo britannico non opporrebbe ulteriori ostacoli. Era comunque nelle intenzioni dell'Inghilterra di appoggiare il parere che l 'invito alle altre nazioni partecipanti procedesse al più presto e che di tale invito fosse stata fatta menzione nella dichiarazione che accompagnerà l'annuncio della costituzione del Patto.

449 1 Vedi D. 391.

450 1 Vedi D. 422.

451

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T.l956!17. Santiago, 2 marzo 1949, ore 20 (perv. ore 7,30 del 3). Telegramma di V.E. n. 91•

Ho sottoposto ministro esteri progetto protocollo opportunamente illustrandolo. Egli si è dichiarato in linea di massima favorevole testo da noi proposto riservandosi naturalmente esame più dettagliato. Ha però insistito su contemporaneità firma protocollo e accordo pagamento affinché anche opinione pubblica si renda conto che protocollo non è destinato rimanere allo stato astratta affermazione di principio, ma riceva subito concreta applicazione. Pregasi pertanto sollecitare Ministero competente benestare accordo. Pregasi altresì telegrafarmi se vi sia possibilità e se si ritenga costì opportuno scambio decorazioni per accentuare significato importanza accordi2 .

451 1 VediD.417. 2 Per la risposta vedi D. 488.

452

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1960/209. Washington, 2 marzo 1949, ore 21,18 (perv. ore 7,30 del 3). Mio 201 1•

La riunione degli ambasciatori è stata rinviata a venerdì mattina2 .

Rinvio è stato deciso, secondo confidenzialissime informazioni, perché domani giovedì avrà luogo a Londra una nuova riunione della Commissione permanente nella quale i cinque paesi europei dovrebbero concordare identiche istruzioni urgenti per i loro rappresentanti a Washington.

Risulta, a quanto mi è stato riferito, che i sondaggi di Acheson circa adesione italiana non hanno rivelato atteggiamento definito da parte senatori, cui decisioni probabilmente si orienterebbero verso quella soluzione che il segretario di Stato volesse suggerire. Almeno fmora, pertanto, eventuale timore paesi europei che atteggiamento Senato verso adesione italiana possa ritardare conclusione Patto non (dico non) sembrerebbe giustificato.

Ritengo superfluo aggiungere che decisioni Comitato Londra potrebbero avere valore determinante, data fluidità atteggiamento americano.

453

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 077. Parigi, 2 marzo 19491 .

Nel corso delle conversazioni testé svoltesi a Washington, la Francia, come pure gli altri Stati interessati, è stata invitata a far conoscere il suo punto di vista circa l'immediata ammissione della Norvegia quale firmataria originale del Patto.

Da parte francese è stato subito risposto in senso affermativo, più pro bono pacis però che non per convinzione.

Gli anglosassoni giustificavano infatti la loro richiesta col fatto che la Norvegia si è «compromessa» e che quindi era urgente darle immediato appoggio. Al che da parte del Quai d'Orsay si oppone che a comprometterla, senza alcuna necessità, sono state proprio l'America e l'Inghilterra, e più particolarmente Bevin. Il quale aveva tenuto a Lange un discorso tipico: la Norvegia era perfettamente libera di fare

2 Il 4 marzo, vedi D. 480. 453 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

come meglio credeva, considerasse però che una sua mancata adesione al Patto avrebbe rappresentato per Mosca un grosso successo nella «guerra fredda». Come se, si commenta al Quai d'Orsay, quella che ci interessa fosse la guerra fredda e non quella senza aggettivi.

I francesi, com'è noto, hanno subito connesso la questione dell'Italia con quella della Norvegia, soprattutto perché si preoccupano dello squilibrio verso Nord di tutta l'organizzazione del Patto che appare sempre più, come le nuove progettate adesioni della Danimarca e di altri paesi nordici fanno chiaramente percepire, centrata intorno alla Gran Bretagna. Donde la loro energica reazione, e per l'Italia e soprattutto per i territori metropolitani d'oltremare. Non è, da un punto di vista francese e forse anche italiano, un cattivo segno che le difficoltà americane per l'Algeria siano, come si è dato ad intendere, finalmente cadute.

452 1 Vedi D. 439.

454

IL MINISTRO A GEDDA, ZAPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 396/56. Gedda, 2 marzo 19491•

Telegramma ministeriale 1248/c. del 17 febbraio 19492 e mio 11 del 18 febbraio 19493 .

Come ho telegrafato con il mio 11 del 18 s.m. questa legazione non ha potuto compiere alcun passo presso il Governo arabo-saudiano per la questione delle nostre colonie perché le relative istruzioni ministeriali non sono ancora giunte a Gedda. A quanto pare tali istruzioni sarebbero contenute nelle spedizioni postali n. 7 e lO che il Ministero ha appoggiate alla nostra legazione del Cairo per il successivo inoltro a Gedda con mezzo più sicuro.

Nell'attesa di ricevere le istruzioni di cui si tratta e di compiere presso questo Governo i passi richiestimi, comunico quanto si dice in questi ambienti politici sulla questione delle nostre colonie.

Si osserva qui a Gedda che la questione coloniale italiana è entrata nella sua fase decisiva con una forte ripresa dell'attività politica e propagandistica italiana che promette delle misure adeguate per condurre la Tripolitania alla indipendenza qualora l'Italia ottenga il trusteeship. Questa attività avrebbe l'appoggio della Gran Bretagna perché Londra desidera la collaborazione italiana per la salvaguardia dei suoi interessi in Cirenaica.

La tesi dei nazionalisti arabi per l 'unità geografica ed economica della Libia ed in favore del diritto dei popoli libici a decidere liberamente del loro avvenire, sembra perdere forza davanti al complesso carattere internazionale del problema. Alcuni sau

2 Vedi D. 100, nota 2.

3 Non pubblicato.

diani temono anzi che gli U.S.A. possano domandare la tutela della Tripolitania per utilizzarla come base aerea-marittima per la protezione del petrolio proveniente dal Medio Oriente, ed osservano che in tale caso il nazionalismo arabo sarebbe costretto a riprendere la lotta contro un avversario assai più forte della Italia e assai meno pratico di essa nel governo dei popoli arabi.

Si può quindi pensare che in questi ambienti politici si incominci a comprendere la necessità di conciliare nella prossima Assemblea generale dell'O.N.U. le varie tendenze arabe dimostrandosi meno esigenti, al fine di scongiurare una soluzione che potrebbe essere più grave del ritorno della Tripolitania all'amministrazione italiana.

454 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

455

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1933/6. Lussemburgo, 3 marzo 1949, ore 21,45 (perv. ore 8 del 4).

Ho fatto a questo ministro degli affari esteri comunicazione nel senso del telegramma n. 31 .

Bech, sul quale ho agito nuovamente in favore nostra tesi, mi ha detto che, mentre dopo ultima riunione dei Cinque Londra partecipazione immediata Italia appariva naturale, attualmente situazione aveva subito cambiamento a causa imprevista indecisione U.S.A. Attitudine U.S.A. deve avere in un certo qual modo impressionato sia lui che colleghi Belgio ed Olanda. Domenica scorsa era stato deciso assumere attitudine comune Benelux. Per quanto ho potuto comprendere direttive che sono state impartite rispettivi rappresentanti Washington sono di agevolare ingresso Italia Patto atlantico, studiandone forma e tempo, fino al punto di non porsi in urto con grandi potenze.

456

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER TELEFONO 1974/1371 . Parigi, 3 marzo 1949, ore 13,30.

Nel colloquio avuto con Massigli iersera Bevin, dopo aver sottolineato urgenza concludere per quello che concerne Norvegia sulla quale tutti sono

456 1 Ritrasmesso in pari data a Gallarati Scotti e Tarchiani con T. 1613/71 (Londra) 119 (Washington).

d'accordo, gli ha detto di aver impressione che americani non sarebbero favorevoli immediata adesione Italia Patto atlantico perché, non appena in presenza testo, non avremmo mancato di porre delle condizioni. Questa impressione era condivisa da Bevin. Ha aggiunto di ritenere che americani avessero in mente di procedere a invito ad altri Stati in occasione della firma, con accessione al momento dell'entrata in vigore del Patto. Di fronte alla netta opposizione di Massigli (rimarrebbero scoperti vari mesi) ha suggerito che specifica menzione Stati da invitare sia fatta in occasione firma e accessione avvenga anteriormente entrata in vigore. Massigli si è opposto anche a questo suggerimento tenendosi fermo alle istruzioni ricevute e che sono state riconfermate a Bonnet: adesione immediata dell'Italia se i firmatari saranno più di sette, se no contemporaneamente al primo accedente.

Prima di essere informato stamane delle istruzioni di V.E. a Gallarati Scotti di cui al telegramma 1556/c. 2 , Quai d'Orsay ha inviato a Fouques-Duparc istruzioni prendere immediato contatto con V.E. perché Gallarati sia autorizzato a dire che Governo italiano non intende porre condizioni, mentre a Londra Massigli si metteva in contatto con Gallarati.

Schuman continua a mostrarsi sereno e fiducioso.

455 1 Vedi D. 446, nota 3.

457

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER TELEFONO 1987/138. Parigi, 3 marzo 1949, ore 20.

Mio 1271•

Quai d'Orsay ha chiesto conoscere nostra decisione circa suggerimento che Governo italiano proponga Parigi e Londra conversazione a tre per trovare formula modalità ritorno Italia in Tripolitania, insistendo su urgenza mettersi d'accordo per aver tempo rimuovere residue riserve americane.

Ci è stato fatto presente che francesi hanno motivo ritenere che iniziativa sarebbe accettata favorevolmente da Foreign Office.

Bonnet ha riparlato della questione con Acheson ed attende da lui una risposta per settimana ventura. Mentre direzione Europa sarebbe acquisita trusteeship italiano, al Quai d'Orsay risulta che Direzione Africa rimane attaccata ideologie anticolonialiste.

456 2 Vedi D. 447. 457 1 Vedi D. 405.

458

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER TELEFONO 1986/139. Parigi, 3 marzo 1949, ore 20.

Quai d'Orsay a titolo amichevole mi ha comunicato risultato a cui è pervenuta riunione stamane del Comitato permanente dei Cinque. Cinque hanno deciso proporre a Governo americano seguente formula: pur continuando Norvegia partecipare lavori Washington trattato sarà parafato da soli Sette; nel testo saranno indicati paesi chiamati ad accedere e cioè Norvegia, Italia, Danimarca, Portogallo e Islanda. Trattato così parafato verrà quindi pubblicato. Firma trattato avverrà successivamente e sarà simultanea per tutti e cioè sia per sette membri fondatori sia per paesi che accedono.

Francesi ritengono formula soddisfacente e confidano, soprattutto se da parte italiana si continuerà a insistere, che Governo americano la accetti. Non ritengono che Norvegia, a cui Cinque si rivolgeranno, farà opposizione per quanto la concerne.

Quay d'Orsay non può far previsioni circa il tempo che si impiegherà per giungere firma ma suppone che non sarebbe lungo'.

459

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1988/34. Bruxelles, 3 marzo 1949, ore 17,45 (perv. ore 21,45). Mio telegramma n. 32 1•

Spaak mi ha detto lunedì sera2 che stava prendendo contatto con Parigi e Londra. Segretario generale mi dice stamane che nessuna risposta è ancora pervenuta.

Quanto ad eventuale precedenza nell'invito alla Norvegia, segretario generale ha osservato che probabilmente Washington non vuole dare sensazione avere ceduto di fronte all'opposizione sovietica, e fare sorgere impressione di un successo diplomatico dell'U.R.S.S. Ho ribattuto che mancato o ritardato invito all'Italia potrebbe apparire come dovuto all'atteggiamento dei nostri comunisti e quindi in definitiva egualmente successo della politica sovietica.

Segretario generale ha ripetuto più volte che iniziativa sondaggi con i diversi paesi è stata presa dall'America e quindi è ad essi che spetta la responsabilità delle decisioni definitive.

458 1 Con T. s.n.d. 1615/120 (Washington) 7 (Ottawa), in pari data, Zoppi ritrasmise (ore 23) il presente telegramma. Ad esso Sforza aggiunse le istruzioni di cui al D. 460. 459 1 Vedi D. 419. 2 Il 28 febbraio.

460

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A WASHINGTON, TARCHIANI, E AD OTTAWA, DI STEFANO

T. S.N.D. 1616/121 (Washington) 8 (Ottawa). Roma, 3 marzo 1949, part. ore 0,30 del4.

A telegramma ministeriale 120 (per Washington) 7 (per Ottawa) 1•

Formula concordata a Londra appare accettabile. Occorre quindi adoperarsi perché sia approvata anche da Stati Uniti e Canada.

461

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1991129. Oslo, 3 marzo 1949, ore 22,35 (perv. ore 7,40 del 4).

Stamane questo Ministero degli affari esteri ha consegnato ambasciatore

U.R.S.S. attesa nota risposta Norvegia. Contenuto sarà reso pubblico solamente domani mattina quando ministro ne

leggerà testo nel corso delle sue dichiarazioni allo Storting. Ho potuto averne confidenziale visione. Esso dice in sostanza:

l) Governo norvegese ha deciso con approvazione dello Storting di partecipare alle discussioni sul Patto atlantico. Esso non ha scopi aggressivi;

2) Governo norvegese non accorderà mai basi sul suo territorio a potenze straniere se non attaccato o esposto a minaccia di aggressione. Apprezzamento circa consistenza «cui esame spetterà naturalmente al solo Governo norvegese», non avverrà mai in base rumori provocatori o senza fondamento, ma solo in base fatti ben stabiliti;

3) eventuale proposto patto di non aggressione non trova ragione nelle passate e nelle presenti relazioni di buon vicinato fra i due paesi e che Norvegia desidera mantenere e approfondire. Firmando carta Nazioni Unite Norvegia e Russia si sono già impegnate a non aggredirsi vicendevolmente;

4) Nota termina con riaffermazione amicizia Norvegia verso Governo e popolo sovietico.

460 1 Vedi D. 458, nota l.

462

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 1995/35. Bruxelles, 3 marzo 1949, ore 23,50 (perv. ore 8 del 4). Telegramma di V.E. 1531/c. 1 .

In assenza Spaak partito per Parigi ho fatto comunicazione a segretario generale. Egli mi ha detto passo di Tarchiani è stato quanto mai opportuno perché conferma esplicito atteggiamento italiano.

Mi ha comunicato che all'ambasciata a Washington è stata inviata l'istruzione dichiarare che «se l 'Italia si dichiara disposta ad aderire al Patto secondo lo schema già preordinato, bisogna accettare la richiesta italiana». Ha aggiunto che circa momento della nostra firma la decisione spetta agli Stati Uniti America ed eventualmente alle altre grandi potenze che meglio del Belgio sono in grado di giudicare circa opportunità di una firma contemporanea da parte di tutti, oppure, meglio, prima le sette potenze e poi le altre.

A mia richiesta ha confermato l'espressione «bisogna accettare» contenuta nelle istruzioni suesposte a Washington, sottolineando come essa abbia significato e peso maggiore che la formula di «non avere obiezioni», che sarebbe adoperata da altri.

Ha precisato che la richiesta [italiana comprendente la condizione] di accettare lo schema già predisposto non vuole significare obbligo di accettare un testo ne varietur, ma solo che da parte nostra non dovranno essere richieste modifiche tali da mutare lo spirito del Patto o richiedere nuovo difficoltoso negoziato (ha accennato a titolo esempio alla questione Trieste).

Segretario generale si è infine dimostrato sorpreso che non avessimo ancora avuto conoscenza dello schema del Patto che secondo lui sarebbe già da qualche giorno stato comunicato alla Norvegia ed anche alla Danimarca.

463

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2000/214. Washington, 3 marzo 1949, ore 21,12 (perv. ore 8 del 4).

Comunicazione di cui a telegramma ministeriale 1181 , effettuata oggi da questa ambasciata a Dipartimento Stato, è stata apprezzata e giudicata giovevole nostra causa.

Decisioni circa atteggiamento americano sono tuttora pendenti ed hanno dato luogo ieri ed oggi a numerose discussioni e riunioni interne. Segnalo, con ogni riserva, che uffici Dipartimento si mostrano da ieri più ottimisti.

Stampa, sulla base articolo Reston e dichiarazioni Acheson di ieri, descrive situazione in termini obiettivi. Essa infatti, pur segnalando difficoltà opponentesi ad adesione italiana, lascia chiaramente intendere che Italia era stata precedentemente incoraggiata aderire e che eventuale mancato invito creerebbe seri imbarazzi interni.

In proposito segnalo particolarmente articolo Ward su Ba/timore Sun.

Mi risulta che domani Reston tornerà probabilmente su argomento, riflettendo fra l'altro maggiore ottimismo soprasegnalato. Continuo adoperarmi, con necessaria discrezione, per opportuno orientamento opinione.

Ambasciatore di Francia conferma aver ricevuto istruzioni descritte a VE. da Quaroni2 .

462 1 Vedi D. 435, nota l. 463 1 Vedi D. 447, nota l.

464

IL MINISTRO A L'AJA, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2001/18-19. L 'Aja, 3 marzo 1949, ore 20,25 (perv. ore 8 del 4).

Poco dopo mezzogiorno ho veduto Lovink al quale ho fatto comunicazione di cui al telegramma di V.E. n. 141•

Era già al corrente. Però aveva letto superficialmente telegramma Van Kleffens circa risultati riunione l 0 marzo. Alla mia richiesta appoggiare immediatamente adesione italiana e sua partecipazione firma Patto congiuntamente altri sette (telegramma ministeriale 15) 2 ha risposto che ciò dovesse escludersi parendogli che in questa materia decisione limitare firma primi sette fosse stata già presa. Quanto a contemporaneo invito Italia e Norvegia si è mostrato parere che quest'ultima dovesse avere precedenza per ragioni note, ma considerando questione accesso italiano come fatto pacifico; irrilevante sembravagli momento sua realizzazione.

Di fronte alle mie argomentazioni e categoriche richieste quale atteggiamento Olanda intendeva prendere nella discussione circa adesione Italia contemporaneamente primo Stato invitato, ha detto che, pur comprendendo forza nostre ragioni, non poteva, trattandosi delicata questione politica, darmi immediata risposta e sentiva obbligo consultare ministro affari esteri in quel momento assente.

L'ho pregato vedere urgenza ministro degli affari esteri e darmi risposta entro primo ore pomeriggio. Mi ha comunicato in seguito che il Governo olandese, dato che riunione ambasciatori era in corso e non se ne conosceva impostazione, credeva più

2 Vedi D. 448, nota l.

opportuno lasciare proprio ambasciatore di regolarsi secondo precedenti generali istruzioni dategli di mantenersi su una linea favorevole Italia pur non prendendo l'iniziativa.

In definitiva ho l'impressione che questo Governo, preoccupato notevolmente propria critica situazione indonesiana entrata in questi giorni in una fase ancora più acuta, tende a tenersi linea di condotta agnostica per non urtarsi con U.S.A. e Inghilterra del cui appoggio più che mai ha bisogno.

463 2 Vedi D. 440.

464 1 Vedi D. 446, nota 3.

465

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2006/65. Londra, 3 marzo 1949, ore 21,52 (perv. ore 8 del 4).

Tomo ora da colloquio con Massigli il quale mi ha dato confidenziali notizie su riunione di questa mattina nella quale egli mi dice si è giunti a un chiarimento e a risoluzione presa ad unanimità su questione Patto atlantico in seguito anche a forti pressioni della Danimarca che avrebbe voluto essere ammessa come potenza fondatrice.

Soluzione è la seguente: il Patto sarà parafato dai sette negoziatori originali. Ma suo testo verrà immediatamente comunicato alle potenze che si desidera accedano contemporaneamente: Norvegia, Italia, Danimarca, Portogallo e Islanda. Dopo di che il progetto verrà reso pubblico. Frattanto potenze Patto Bruxelles agiranno presso Norvegia onde convincerla accettare tale procedura (in proposito Massigli mi ha fatto capire che situazione delicata Norvegia è attribuita intempestivo incoraggiamento americano).

Ottenuta accettazione potenze accedenti si procederebbe contemporaneamente alla firma del Patto da parte dei sette negoziatori e dei protocolli da parte delle potenze accedenti. Come ho già ripetutamente segnalato Inghilterra non ha e non farà opposizione ad ammissione Italia qualora Stati Uniti siano favorevoli. Essendo così definitivamente chiarite posizioni a Londra, Massigli si augura che decisioni finali dipendenti da Washington non presentino ulteriori fluttuazioni.

466

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2013-2014/18-19. Ottawa, 3 marzo 1949, ore 23,11 (perv. ore 10 del 4).

Riferimento telegramma ministeriale n. 6 1•

Fin da scorsi giorni ho intensificato al massimo possibile mia azione anche in ambienti Governo e Parlamento. In conversazioni ieri (prima ricevere telegramma ministeriale) sottosegretario interinale esteri mi accennò al nostro passo presso ambasciatore Canada a Washington2 e informazioni da quest'ultimo date ad ambasciatore Tarchiani circa posizione canadese.

Mi risulta che ieri ed oggi sono state qui tenute varie lunghe riunioni circa predetto nostro passo, che ho ribadito stamane secondo le istruzioni telegramma di V.E. 1548/c.3 , insistendo con massimo impegno.

Iersera in occasione pranzo questa ambasciata ed in presenza degli ambasciatori Stati Uniti e Belgio e personalità canadesi, avendo io portato discorso sulla attuale fase trattative Patto atlantico per noi tanto importante, primo ministro mi ha confermato senza esitazione favorevole atteggiamento Canada per nostra partecipazione. Ha al riguardo sottolineato che, pur considerando improbabile pericolo aggressione ali 'Italia da Oriente, suo Governo si rende pienamente conto necessità interne Governo italiano di fronte opinione pubblica ed attacchi estrema sinistra. Ai miei vivi ringraziamenti ha risposto rilevando comuni interessi Occidente democratico. Con accenno alla politica interna canadese Saint Laurent ha affermato speranza che isolazionisti Quebec, cui molto preme sicurezza Santa Sede, appoggeranno questa sua politica (miei telegrammi 6 e 12)4 .

Ambasciatore americano ha per contro subito rilevato difficoltà Dipartimento Stato per l'atteggiamento negativo senatori nei nostri riguardi, spiegandolo come dovuto al convincimento, per lui errato, che l'estensione Patto oltre sfera nord-atlantica possa essere interpretato dall'U.R.S.S. come mossa provocatoria ed aggressiva, ciò che avrebbe potuto produrre gravi contromisure Mosca. Ha aggiunto però a titolo personale di essere per parte sua favorevole a larga estensione Patto nel Mediterraneo, quale saggia politica per indurre Cremlino a resipiscenza.

466 1 Vedi D. 448, nota l.

467

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 2016/215. Washington, 3 marzo 1949, part. ore 3,35 de/4 (perv. ore 12,10).

Suo 121 1•

Ho iniziato stanotte sondaggi circa possibile reazione americana a formula concordata dai Cinque a Londra. Nel complesso, prima sommaria reazione è favorevole. Infatti, a quanto qui ora si afferma, Stati Uniti sarebbero disposti accettare qualsiasi

3 Vedi D. 446.

Vedi DD. 175 e 295. 467 1 Vedi D. 460.

formula, anche più favorevole a noi, purché su di essa potesse raggiungersi accordo unanime senza pressione da parte loro.

Peraltro si osserva qui che adozione integrale della formula escogitata a Londra potrebbe incontrare opposizione Norvegia, già ammessa discussioni, nonché ostacolo tecnico, costituito da indicazione specifica dei paesi destinati aderire Patto, mentre testo Patto stesso lascia adesione formalmente aperta a chiunque. Naturalmente da parte di questa ambasciata è stato osservato che tali difficoltà potrebbero facilmente essere superate.

Circa Canada atteggiamento da esso ultimamente assunto non (dico non) lascia prevedere opposizione.

Domattina approfondirò contatti2 .

466 2 Vedi D. 442.

468

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2018/20. Ottawa, 3 marzo 1949, ore 23,38 (perv. ore 12 del 4). Miei telegrammi 18 e 19 1•

Questo pomeriggio nuovamente insistito con l'assistente sottosegretario di Stato (di cui miei telegrammi 15-16)2 per deciso favorevole atteggiamento canadese in seduta ambasciatori a Washington venerdì mattina. Riassumo:

l) Interlocutore ha riaffacciato note difficoltà interne canadesi (mio telegramma 2 punto 2)3 . Contrappostagli affermazione ieri sera primo ministro.

2) Ha rilevato interesse generale per urgente firma del Patto «giacché eserciti usano muoversi primavera». Rispostogli che il nostro passo mira evitare ritardi, ma non posso escludere propensione questo Dipartimento esteri per accessione italiana in secondo tempo.

3) Interlocutore ha chiesto, a titolo personale, se nostra adesione Patto fosse connessa soluzione questioni Trieste e colonie. Risposto questione Trieste già risolta in linea di principio da nota tripartita ed escludendo in massima altre connessioni.

4) Ha chiesto infine se Governo italiano avesse considerata possibilità forti pressioni russe anche a Roma nonché minacciose proteste per violazione obblighi trattato di pace in seguito partecipazione Patto. Risposto rassicurandolo ed accennando attuale offensiva estrema sinistra e ferme intenzioni Governo che Occidente ha interesse sostenere.

Ad esortazioni agire decisamente in tempo utile, interlocutore ha assicurato avrebbe subito riferito quanto precede in nuova riunione alla quale si recava.

2 Vedi D. 409.

3 Vedi D. !51.

467 2 Vedi D. 480.

468 1 Vedi D. 466.

469

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI D'AUSTRALIA, EVATT

APPUNT0 1• Roma, 3 marzo 1949, ore 19,30.

L'on. De Gasperi intrattiene il ministro Evatt sulle possibilità e sulle prospettive della emigrazione italiana in Australia, comunicandogli che in mattinata, in un colloquio col ministro dell'interno e con l'ammiraglio Mentz, capo della delegazione

I.R.O. in Italia, era stato raggiunto un accordo per il transito attraverso l'Italia di circa l 00 mila profughi provenienti dall'Europa e diretti verso l'Australia. L' on. De Gasperi ricorda che l'accordo prevede una modesta aliquota di posti sulle navi noleggiate dall'I.R.O. per gli emigranti diretti in Australia. Indi il colloquio si diffonde sulla emigrazione italiana in generale, ed il ministro Evatt si richiama, confermandola, alla dichiarazione di principio favorevole alla emigrazione italiana in Australia, da lui fatta al tempo della ratifica del trattato di pace. È anche questo un problema di trasporti, e lo Stato e gli armatori italiani dovranno aumentare le proprie possibilità.

Venendo a parlare delle colonie, problema che-l 'on. De Gasperi ricorda-va considerato anch'esso dal punto di vista dell'esuberanza delle forze di lavoro in Italia, il signor Evatt conviene che i rappresentanti dei governi laburisti sono chiamati in modo particolare a tenere in debito conto gli aspetti sociali del problema. A questo punto egli rileva l'opportunità che il presidente del Consiglio si rechi in America in occasione della sessione dell'O.N.U. per le colonie, soggiungendo che un discorso del presidente, il cui ascendente è molto accresciuto in questi ultimi tempi negli Stati Uniti, sarebbe assai efficace. All'obiezione del presidente che sarà cioè per lui difficile in questo periodo assentarsi dall'Italia, Evatt risponde suggerendo che vi si rechi il ministro Sforza.

Il colloquio, improntato a viva cordialità ed ispirato anche ai comuni ricordi personali della Conferenza della pace a Parigi nel 1946, si è protratto per circa mezz'ora.

470

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 3/708. Roma, 3 marzo 1949.

Il tuo rapporto n. 1775/761 segreto del24 febbraio, che amplia quello precedente n. 1522/664 del 18 febbraio' è stato commentato dal ministro così: «progetto Libia

può essere utile per noi». Infatti ritengo che esso, ove non venisse peggiorato rispetto a quanto hai saputo, presenta per noi i seguenti vantaggi:

l) potrebbe più facilmente passare all'O.N.U. dato che contempla, sia pure in modo blando, il mantenimento di una certa unità del territorio, e la partecipazione di uno Stato arabo;

2) praticamente ci affida il mandato sulla Tripolitania e ci dà un droit de régard, per quanto blando, anche sul rimanente del territorio; 3) crea una certa solidarietà italo-franco-inglese che può esserci utile se non altro per impedire l'opposto; 4) interessa gli Stati Uniti alla Libia ciò che potrebbe esserci utile ... economicamente, per la Tripolitania;

5) consente al Governo inglese, se non è in mala fede, di superare quelle titubanze che tuttora manifesta a tradurre in atto le disposizioni «in principio favorevoli» (sono sue parole) al nostro ritorno in Tripolitania.

Per cui riteniamo che, quando una proposta di tal genere ci venisse fatta, non dovremmo respingerla, ma anzi mostrarci in massima ben disposti, lasciando se mai agli altri, Gran Bretagna e Francia, di mostrarsi riluttanti. Per ora però non direi ancora nulla anche perché abbiamo in corso contatti con Londra e conviene vedere sino a che punto gli inglesi si dispongono a spingersi.

Piuttosto ci proporremmo di suggerire, a momento venuto, una variante: invece dell'Egitto, che certo darà assai noie tanto a noi quanto ai francesi e agli inglesi, si potrebbe nominare uno Stato arabo a turno. In altri termini il mandato multilaterale verrebbe affidato a Stati Uniti, Italia, Gran Bretagna, Francia e a uno Stato arabo che rimarrebbe in carica per un anno. Il turno verrebbe fissato per ordine alfabetico. L'Egitto entrerebbe naturalmente in turno come Stato arabo. A nostro avviso ciò presenterebbe il vantaggio di sollecitare l'amor proprio di tutti i Governi arabi (che sempre più si mostrano insofferenti della pretesa egiziana di rappresentarli) e di impedire che essi mettano le radici nel progettato Consiglio centrale. Credo che questa idea non incontrerebbe sfavore né a Londra né a Parigi.

Quanto all'Eritrea il progetto è naturalmente del tutto insoddisfacente. Le prospettive di una nostra emigrazione in massa sono fumo in cambio dell'arrosto. Il paragone con gli inglesi non si può fare: essi non hanno masse di emigranti, ma solo tecnici e consulenti il cui status può essere facilmente definito negli stessi contratti di ingaggio. Noi vediamo già come sono senza difesa i nostri emigranti in paesi cosidetti civili: figurati sotto l'amministrazione etiopica! Purtroppo gli americani si illudono in buona fede: in paesi di civiltà più o meno coloniale l'europeo non può, specie se lavoratore della categoria dei nostri emigranti, prescindere dalla tutela della amministrazione europea: vedi cosa succede in Egitto dove molti europei si stabilirono e prosperarono durante il protettorato inglese e ora, chi può, se ne va. Il meglio per l'Eritrea è quindi puntare sul rinvio2 .

469 1 Il presente appunto è stato redatto dalla segreteria particolare del presidente del Consiglio sulla base di una traccia autografa (vedi tavola fuori testo), fornita dallo stesso De Gasperi. L'autografo è conservato nell'Archivio privato De Gasperi.

470 1 Vedi DD. 389 e 344.

4 70 2 Questa lettera, insieme ai rapporti cui risponde, venne ritrasmessa in pari data a Quaroni con L. segreta 3/709 nella quale Zoppi aggiunse di aver fatto cenno della proposta americana a Fouques-Duparc, pregandolo di far presente al Quai d'Orsay la segretezza dell'informazione. Per le reazioni francesi vedi D. 516.

471

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 675/121. Montevideo, 3 marzo 1949 (perv. il 12).

Riferimento: Telespresso ministeriale 02880/3 del 14 febbraio u.s. 1•

A seguito delle prime istruzioni impartitemi col dispaccio in riferimento che, nell'accogliere favorevolmente, sia pure in via di larga massima, l'iniziativa uruguayana, mi ha lasciato intendere che potevo tener deste le trattative dando luogo a buone speranze, ho avuto, nei passati giorni, nuove conversazioni con il ministro degli esteri e con il direttore generale degli affari economici, sig. Ariosto Gonzalez.

Nel comunicare che da parte italiana (pur facendosi ogni riserva sull'esito dell'esame subito deferito agli organi tecnici interessati) si era accolta la proposta uruguayana con viva simpatia e con cordialissima attenzione, non ho mancato di mettere in luce il nostro proposito di rafforzare sempre più i vincoli che uniscono i due paesi. Ho aggiunto che, personalmente, credevo che la nostra risposta definitiva, ad esame tecnico concluso, sarebbe stata favorevole, giacché ero certo che si sarebbe fatto del nostro meglio per cogliere l'occasione di fare cosa grata al Governo uruguayano. Ho anche aggiunto che, sempre a mio personale modo di vedere, e sempre sotto le fatte riserve, gli uffici del Ministero degli esteri avrebbero potuto comunicarmi le loro eventuali indicazioni sulla sostanza e sulla forma dei punti principali dei progettati trattati, così da guadagnare tempo secondo il desiderio del Governo uruguayano.

Il dr. Castellanos ed il sig. Gonzalez hanno accolto con visibile soddisfazione le mie parole. A dimostrare l'interessamento di questo Governo, aggiungerò che mi si è fatta vedere l'istruzione mandata all'ambasciatore Giambruno. Dopo di avergli comunicato i sondaggi e i passi svolti con me, nonché l'accoglienza che avevano ricevuto, questo Governo ha pregato il suo ambasciatore di seguire cautamente ma attentamente gli sviluppi che si sarebbero verificati costì.

Dopo le reciproche dichiarazioni di simpatia e di cordialità, mi è stato facile di ritornare col ministro Castellanos sugli accenni che, anche in seguito al telespresso ministeriale n. 20/32210/c. del 14 dicembre 19482 , gli avevo fatto circa un'eventuale generica dichiarazione di orientamento politico da scambiarsi fra i due paesi e di suggerirgli più chiaramente, per quanto ancora a titolo personale, di addivenire a un accordo sul tipo del recente protocollo italo-argentino, non fosse che come gradito preludio delle intese più specifiche che si stavano progettando. Il ministro, pur dimostrando accogliente interesse, si è espressamente riservato di trattare della cosa con il sig. presidente della Repubblica. Sono ora in attesa di una risposta che potrebbe anche venirmi data direttamente dal presidente presso il quale debbo recarmi in udienza fra pochi giorni per esaminare alcuni punti fondamentali riguardanti i due difficili problemi degli scambi commerciali e dell'emigrazione. Per quanto, come è

2 Non pubblicato.

risaputo, il ministro Castellanos sia sempre assai prudente e riservatissimo, dovrei interpretare come buona la sua prima impressione che è poi relativa a un suggerimento che non poteva riuscirgli inatteso dopo i miei precedenti accenni.

Ciò nonostante non mi meraviglierebbe che questo Governo cercasse una battuta d'aspetto. Esso potrebbe non desiderare, anche per ragioni di politica interna, e di politica interamericana, di essere il primo paese sudamericano a stipulare con noi un accordo analogo a quello intervenuto con l'Argentina. Ma appunto perché vi può essere questa difficoltà (di cui però nessuno mi ha parlato e che costituisce soltanto un mio timore) ho creduto opportuno di non perdere l'occasione che è data dall'interesse che questo Governo attribuisce agli altri più concreti trattati che ci ha proposto.

Il telegramma n. 53 del signor ministro pervenutomi iersera ha confermato il mio convincimento del particolare interesse conferito anche costà alle proposte uruguayane e mi pone ormai in condizione di esprimere a titolo ufficiale quello che avevo speso a titolo personale. In particolare vado a rendere noto il desiderio che ci venga presentato un progetto preliminare uruguayano relativo al nuovo trattato commerciale e assicuro che darò ogni attenzione per ottenere il migliore e più rapido svolgimento della mia azione, seguendo le istruzioni impartitemi, con particolare riguardo al suggerito preliminare accordo generico.

Non ho creduto invece di inframezzare queste trattative con le altre che vado attivamente svolgendo per ottenere il miglioramento degli scambi commerciali (vedi mio telespresso n. 693/123 in data odierna)4 . Ciò perché non crederei utile di creare l'impressione che tendiamo a legare la nostra adesione ai trattati che ci sono proposti con la convenzione di particolari e immediate intese quali ho suggerite nel campo dei nostri scambi. Del resto è di per sé eloquente il fatto che io abbia aumentate le mie insistenze per la costituzione della «Commissione mista» in attesa di ricevere istruzioni circa il passo uruguayano relativo ai trattati e che, in quest'attesa, la Commissione sia stata formata secondo i miei desideri e con il personale intervento del ministro Castellanos (vedi il citato mio telespresso n. 693/123).

471 1 Vedi D. 310.

472

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATISSIMO 2058/888. Washington, 3 marzo 1949 1•

Informo codesto Ministero, per opportuna conoscenza, che la divisione finanziaria del Dipartimento di Stato ha tenuto a far presenti alcune considerazioni in merito a certe soluzioni da noi date al problema delle riparazioni.

4 Non rinvenuto.

nerà man mano che le valutazioni procedono. Ritengo quindi che non ci si debba minimamente preoccupare della comunicazione del Dipartimento, la quale, malgrado fatta in tono ufficiale, non preclude la possibilità di discussioni e intese con gli americani, nel caso in cui si palesasse utile e opportuno far ricorso a un loro eventuale intervento per migliorare valutazioni non troppo vantaggiose che fossimo costretti, per motivi di indole varia, ad accettare nell'ambito delle commissioni italo-russe.

2) Accordo itala-greco. Premetto che, non essendo questa ambasciata in possesso del progetto di accordo, ci siamo limitati ad ascoltare le osservazioni fatte dal Dipartimento di Stato, con riserva di risposta non appena ottenuti opportuni elementi da parte di codesto Ministero.

La prima osservazione formulata sul testo dell'accordo riguarda l'articolo 8. Nei confronti di esso il Governo americano desidererebbe conoscere la reale portata del previsto trasferimento di «diritti di tiraggio», che dovrebbe essere effettuato da parte greca, per consentire la cessione al Governo italiano delle materie prime necessarie per la produzione industriale da cedere in conto riparazioni. Il Dipartimento ha lasciato intendere che la formulazione dell'articolo 8 poteva comportare notevoli difficoltà se il trasferimento dei diritti predetti si fosse effettuato con un passaggio formale dei diritti stessi al Governo italiano e un'aggiunta di essi ai diritti di tiraggio italiani. In sostanza, il Dipartimento teme che il fondersi dei diritti di tiraggio greci e italiani conduca a confusioni, per esempio nel caso di un non completo utilizzo dei diritti in questione: esso preferirebbe invece che si evitasse la fusione, che fosse il Governo greco ad effettuare gli acquisti e che esso mantenesse i suoi diritti di tiraggio.

Una questione su cui il Dipartimento desidererebbe ottenere informazioni è quella relativa alle possibili riduzioni dell'ammontare delle nostre riparazioni nel caso noi fossimo in grado di effettuare le consegne a tempi accelerati. Risulta infatti al Dipartimento che tale possibilità esiste e che di essa si è parlato nelle riunioni preliminari tra i rappresentanti greci e italiani. Sarei grato al riguardo di opportune indicazioni per il Dipartimento, il quale è ovviamente interessato a ogni soluzione che comporti minori aggravi per la nostra economia. Il Dipartimento ha anche espresso qualche perplessità sull'articolo 28 del progetto dell'accordo, che esso interpreta come basato sull'intesa che i materiali consegnati saranno valutati in dollari 1946 e che i prezzi correnti saranno adeguati ai prezzi 1946. Al riguardo il Dipartimento non ritiene che sia questo lo scopo dell'articolo 74 B (5) del trattato di pace che disciplina in particolare tale questione: esso pensa che una clausola nell'accordo italo-greco, secondo le linee del 74 B (5) predetto, sarebbe sufficiente e garantirebbe contro eventuali svalutazioni del dollaro, svalutazione che sembra avere costituito il motivo della più dettagliata formulazione dell'articolo 28 predetto.

Il Dipartimento sarebbe anche molto interessato a conoscere se, nei vari negoziati che si sono avuti in questi ultimi tempi con il Governo jugoslavo, la questione delle riparazioni da parte dell'Italia alla Yugoslavia è stata in qualche modo sollevata.

Sarò grato a codesto Ministero se vorrà cortesemente fornirmi elementi sui vari punti sollevati5 .

471 3 Del2 marzo, con il quale Sforza aveva dato istruzioni di accelerare i negoziati per la stipulazione di un protocollo di amicizia e collaborazione e di comunicare la disponibilità italiana per la conclusione di un nuovo trattato di commercio con il Paraguay. Con T. 2046/7 del 17 marzo il ministro degli esteri aggiungeva: «Considerata opportunità sviluppare rapporti culturali tra i due paesi riterrei utile far seguire a protocollo amicizia e collaborazione uno scambio di note che prevedano appena possibile ulteriore stipulazione accordo culturale. Pregola svolgere azione a tale intento».

472 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

472 5 Vedi D. 662.

473

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 2064/8941• Washington, 3 marzo 1949 (perv. l'11).

Dopo quanto segnalato col mio rapporto n. 1775/761 del 24 febbraio u.s. 2 , non sono qui intervenuti fatti nuovi nella trattazione della questione coloniale.

Naturalmente sulla lentezza delle discussioni della predetta questione ha influito il fatto che tanto il segretario di Stato quanto alcuni dei direttori generali interessati sono impegnati a fondo nelle trattative per il Patto atlantico. Qualora queste dovessero, come si mostra di prevedere, concludersi entro la prossima settimana è da ritenere che la posizione americana sul problema coloniale, quale definita dagli uffici, verrà sottoposta al segretario di Stato per la sua approvazione.

Il Dipartimento di Stato sta tuttora esaminando, al livello dei direttori generali, la sua posizione, e ciò è stato confermato anche da Acheson nel corso della sua conferenza stampa del2 corrente (mio telegramma 207)3 .

I predetti direttori generali sono ancora indecisi circa la formula da adottare per la Tripolitania. Mentre l'Ufficio Nazioni Unite, che per primo ha concepito l'idea del trusteeship a cinque, con la partecipazione dell'Egitto, insisterebbe per l'adozione di tale formula, gli uffici Europa e Medio Oriente continuerebbero a favorire rispettivamente un trusteeship unilaterale italiano sulla Tripolitania ed il rinvio di una decisione per tale territorio. Tale ultima formula viene qui costantemente raccomandata dagli inglesi, i quali peraltro insistono per una immediata assegnazione a loro del trusteeship sulla Cirenaica.

Mi risulta anche che gli inglesi stanno esercitando viva pressione sul Dipartimento perché questo definisca al più presto la propria posizione e ne dia loro comunicazione. Francesi e inglesi hanno poi comunicato al Dipartimento di Stato le loro obiezioni circa il nostro progetto per uno Stato autonomo in Tripolitania ed hanno altresì detto agli americani che, a quanto risulta a Parigi e a Londra, noi non insisteremmo su tale proposta, purché si decidesse di affidarci il trusteeship su quel territorio.

Il punto sul quale gli uffici del Dipartimento di Stato avrebbero ormai, in linea di massima, raggiunto l'accordo è quello di una decisione a noi sfavorevole circa l'Eritrea, per la quale si manterrebbe la posizione del novembre scorso, pur con le garanzie già segnalate e tuttora in fase di studio.

Ciò mi è stato confermato anche da questo ambasciatore di Francia, il quale ha aggiunto di essere anche egli in attesa di comunicazioni circa la posizione americana.

2 Vedi D. 389.

3 Non pubblicato.

Non escluderei poi, per quanto nelle conversazioni avute al riguardo al Dipartimento ciò sia stato negato, che anche sull'insistenza per il mantenimento della posizione a noi contraria in Eritrea influiscano considerazioni di carattere militare, di origine prevalentemente britannica, e dettate non solo dal desiderio di assicurarsi le basi eritree ma altresì da quello di «comprare», con la soddisfazione delle sue aspirazioni, la maggiore possibile acquiescenza del negus alla creazione di eventuali basi anglo-americane in Etiopia.

Per quanto riguarda l'Eritrea, ove pertanto non intervengano mutamenti dell'ultima ora, per il momento imprevedibili, dovremo essere preparati al peggio e pronti a dare battaglia, con tutti i mezzi a nostra disposizione, onde ottenere che la proposta anglo-americana per una cessione della maggior parte di tale territorio all'Etiopia venga respinta dall'Assemblea.

Al tempo stesso riterrei però opportuno che, onde fare appunto fronte al peggio, venissero sollecitamente esaminati costà, e me ne venisse data sollecita comunicazione per mia eventuale norma di linguaggio, quali siano i minimi indispensabili di garanzie «internazionali» che noi consideriamo necessari per i nostri nazionali residenti o successivamente immigranti in Eritrea, nonché qualsiasi utile suggerimento al riguardo.

Mi sono infine preoccupato di accertare ulteriormente se si abbia qui l 'intenzione di legare una eventuale soluzione a noi favorevole per la Tripolitania con l'accettazione da parte nostra della cessione dell'Eritrea al negus. Funzionari nostri amici del Dipartimento hanno mostrato di escludere una tale possibilità. Dopo le sorprese del passato in materia ritengo però opportuno formulare ogni riserva circa tale giudizio4 .

473 1 Il documento reca la seguente annotazione di Zoppi: «Credo che a questo punto si può spiegare anche a L.[ondra] il progetto americano per sommi capi». Egli infatti ritrasmise questo rapporto a Londra e Parigi con il Telespr. 3/792/c. del!' Il marzo ed indirizzò, in pari data, a Gallarati Scotti una lettera esplicativa delle proposte statunitensi (vedi D. 536). Di tali proposte aveva invece già dato comunicazione a Quaroni con L. segreta 3/709 del 3 marzo (vedi D. 470, nota 2).

474

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 1630/72. Roma, 4 marzo 1949, ore 17.

Mio 63 1 .

Ambasciata Parigi telegrafa quanto segue: (riprodurre telegramma da Parigi 138f

Poiché francesi hanno già di loro iniziativa fatto parola a Washington dell'idea conversazioni tripartite, pur tenendo conto di quanto suggerito con suo 603 , prego riesaminare se non convenga intrattenere Massigli circa opportunità o meno prospettare codesto Governo proposta di cui trattasi4 .

2 Vedi D. 457.

3 Del 28 febbraio, il cui testo era il seguente: «Dato pel momento note conversazioni in corso riterrei utile soprassedere per qualche giorno».

4 Per la risposta vedi DD. 508 e 533.

473 4 Questo rapporto si incrociò con il D. 470 con il quale Zoppi comunicava a Tarchiani le osservazioni relative al progetto statunitense per le colonie italiane.

474 1 Vedi D. 418.

475

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD OSLO, RULLI

T. S.N.D. 1645/11. Roma, 4 marzo 1949, ore 19,30.

In riunione Comitato permanente a Londra cinque paesi Patto Bruxelles hanno concordato formula che prevede Patto atlantico sia subito parafato da sette negoziatori originari. Testo verrà poi comunicato potenze che si desidera accedano contemporaneamente: Italia, Norvegia, Danimarca, Portogallo, Islanda. Ottenuta approvazione tutti procederebbero contemporaneamente alla firma del Patto.

Prime reazioni americane sembrano nel complesso favorevoli ma non prive preoccupazione incontrare opposizione Norvegia, presso cui tuttavia cinque paesi Bruxelles si adoprerebbero per ottenere approvazione.

Pregasi svolgere azione parallela 1•

476

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2022/8. Lussemburgo, 4 marzo 1949, ore 13,50 (perv. ore 17).

Questo ministro degli affari esteri, col quale avevo parlato ieri mattina 1 mi ha detto che, sebbene non avesse ancora avuto comunicazione ufficiale, secondo notizie confidenziali rappresentanti Cinque Londra hanno deciso invitare Italia creazione Consiglio europeo.

477

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2027/66. Londra, 4 marzo 1949, ore 12,40 (perv. ore 17,30).

Nel mio colloquio ieri con Massigli1 parlammo anche eventuali conversazioni a tre su questione colonie (telegramma V.E. 63)2 . L'ho informato che trattative

2 Vedi D. 418.

tecniche per trapasso amministrazione Somalia procedono favorevolmente mentre attendo ritorno da Roma mio incaricato che mi porterà ultime istruzioni V.E. per Tripolitania. L'ho pregato nel frattempo accertare con Quai d'Orsay precise intenzioni francesi. Gli ho anche fatto presente che conversazioni per raggiungere risultati utili dovrebbero presto estendersi a Stati Uniti dato che da mio colloquio con Douglas3 ho riportata impressione che piuttosto che attendere dall'America risposte generiche circa revisione sue posizioni conviene presentare a Washington proposte concrete.

475 1 Per la risposta vedi D. 491.

476 1 Vedi D. 455.

477 1 Vedi D. 465.

478

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2030/141. Parigi, 4 marzo 1949, ore 13,50 (perv. ore 17,30).

Quai d'Orsay ha richiamato la mia attenzione sul fatto che nella riunione di Londra di ieri inglesi hanno tenuto a fare stato che decisione adottata dai Cinque nei riguardi inclusione Italia nel Patto atlantico era da connettersi con desiderio americano che Italia sia inclusa. Questa riserva, che non va sottovalutata, richiede, secondo francesi, un nostro rinnovato intervento sia a Washington sia presso Dunn. Si riterrebbe anche molto opportuno un intervento di Tarchiani presso Vanden berg e Connally.

479

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2042/70. Londra, 4 marzo 1949, ore 20 (perv. ore 24).

In seguito a istruzioni ricevute da V.E. (telegramma 1556/c,Y e mio colloquio di ieri con MassiglF che mi aveva informato di quanto trasmesso da Parigi (telegramma 71)3 dicendomi che appunto con lui Bevi n aveva espresso il dubbio che Governo italiano ponesse condizioni specialmente in rapporto alla restituzione delle nostre colonie non appena in presenza del testo Patto atlantico, ho chiesto oggi d'urgenza un colloquio con Bevin.

2 Vedi D. 465.

3 Vedi D. 456, nota l.

Gli ho comunicato anzitutto come risultasse a VE. che atteggiamento dell'ambasciatore britannico a Washington in seguito alle mie conversazioni con Jebb4 (presente al colloquio odierno) si era mostrato più favorevole a noi ritirando sue obiezioni per invito all'Italia e che di ciò VE. esprimeva suo apprezzamento. Gli esposi quindi che nelle intenzioni del Governo italiano nel suo desiderio partecipare al Patto atlantico come nella sua partecipazione al Consiglio d'Europa, non vi erano «secondi fini» ma unica aspirazione di inquadrare la propria difesa nazionale nella difesa di tutto il mondo occidentale e di vedere l'Italia partecipe e collaboratrice attiva alle grandi finalità di salvezza e di sviluppo dell'Europa occidentale. Quanto alle colonie la questione sarebbe stata discussa sopra un diverso piano e nello spirito delle conversazioni che erano già in corso a Londra.

Bevin mi disse e mi dimostrò la sua viva compiacenza per questa comunicazione. Uscendo dal colloquio Jebb mi confermò opportunità e tempestività mie dichiarazioni.

477 3 Vedi D. 395.

479 1 Vedi D. 447.

480

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE PERSONALE 2044/2161 . Washington, 4 marzo 1949, ore 19,05 (perv. ore 7,30 del 5). Mio 215 2 .

Seduta odierna3 Acheson ha posto ordine del giorno questione Italia, dichiarando che suoi contatti con presidente Truman4 e senatori influenti avevano dato risultati nettamente favorevoli ad adesione nostro paese.

Ambasciatori hanno preso atto di ciò senza sollevare obiezioni. Ambasciatore britannico ha ripetuto dichiarazione di cui a mio telegramma 2005 e cioè che Governo inglese non insiste su riserve precedentemente avanzate.

Essendo così risolta questione sostanziale, Bonnet ha sollevato quella relativa al momento della partecipazione, sostenendo necessità che Italia sia firmataria originaria. Ambasciatore britannico si è dichiarato personalmente d'accordo, riservandosi però di chiedere ancora una volta istruzioni a Londra su questo specifico punto. Tuttavia è impressione generale che risposta di Londra sarà positiva.

Ministro Lussemburgo si è pronunciato in senso nettamente favorevole. Ambasciatore belga, che aveva ricevuto un assai perentorio telegramma di Spaak, ha fatto altrettanto.

480 1 Testo originale dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Washington.

2 Vedi D. 467.

3 Si riferisce alla quindicesima riunione degli «Exploratory talks on security» il cui verbale americano è pubblicato in Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 151-163.

4 Vedi Memorandum ofdiscussion with the President, March 2, 1949, ibid., pp. 141-145.

5 Vedi D. 438.

Anche rappresentanti Olanda e Canada si sono dichiarati favorevoli.

Acheson ha constatato che vi era unanimità per ammissione Italia come firmataria originaria, ma ha pregato che decisione rimanga segreta per qualche giorno onde consentirgli sentire anche su questo punto presidente e Congresso.

Pertanto formula concordata fra i Cinque a Londra non (dico non) è stata discussa.

Ambasciatore Norvegia, che è stato ammesso partecipare seduta dopo esaurita discussione sopradescritta, ha chiesto conoscere in quale momento entrerà in vigore Patto. Essendo stato risposto che Patto entrerà in vigore dopo ratifica sette promotori, egli ha manifestato desiderio Governo Oslo che anche ratifica norvegese sia resa necessaria. Acheson ha però dichiarato che questione è ormai decisa.

Settimana prossima avrà luogo nuova riunione.

Poiché sommarie informazioni di cui sopra provengono da fonte confidenzialissima, prego mantenerle segrete fino a quando non ci perverranno comunicazioni da parte americana. Anche altre ambasciate si sono qui impegnate ad assoluto segreto e respingono decisamente numerose richieste informazioni che cominciano a pervenire insistentemente da parte agenzie giornalistiche.

Mi riservo di raccogliere ulteriori notizie al più presto6 .

479 4 Vedi D. 423.

481

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 2046/21-22. Ottawa, 4 marzo 1949, ore 16,40 (perv. ore 7,30 del 5). Telegrammi di V.E. 7 e 81 .

Immediatamente fatta stamane comunicazione ad assistente segretario di Stato per affari esteri, Pearson essendo fuori Ottawa da mercoledì. Ne avrebbe subito riferito in apposita riunione dirigenti Dipartimento.

A titolo personale ha definito nuova soluzione prospettatagli come «la formula più soddisfacente ed accettabile finora escogitata».

Interlocutore, assai interessato ed ammirato per efficiente rapidità di Roma, ha vivamente ringraziato per informazioni circa risultati riunione Londra, di cui Dipartimento era ancora del tutto all'oscuro. Ha aggiunto di essere molto lieto di questo nuovo sviluppo.

Poiché riunione a Washington doveva già essere iniziata non faceva in tempo ad informarne subito quell'ambasciatore canadese. A titolo personale ha espresso speranza che nuova formula possa essere accettata da Acheson e senatori americani.

481 1 Vedi D. 458, nota l e D. 460.

Ha tuttavia chiesto se comunicazione fattagli dovesse intendersi precisamente nel senso che il Governo italiano fosse senz'altro pronto a firmare Patto nel testo che, secondo formula, verrebbe parafato dai Sette, senza riaprire discussioni. Rispostogli genericamente in base telegramma di V.E. 15482 ed 8. Risposta lo ha soddisfatto ed egli ha rilevato importanza guadagnare tempo per sollecita firma precludendo ad

U.R.S.S. possibilità speculare su asseriti disaccordi tra potenze partecipanti Patto.

480 6 Vedi D. 503.

482

IL MINISTRO A L' AJA, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2051/22. L'Aja, 4 marzo 1949, ore 19,50 (perv. ore 8 del 5).

Boon mi ha detto oggi che per riunione del Comitato indetta Londra ambasciatore Olanda aveva avuto istruzioni attenersi ad una direttiva favorevole per l'Italia. In esse Olanda si è avvicinata tesi francese e Cinque avrebbero elaborato formula congiunta che metterebbe Norvegia e Italia praticamente sullo stesso piano, pur essendovi, per circostanze tecniche, una certa diversità formale dalla quale non ha potuto esimersi. Ha soggiunto che forse Norvegia potrebbe essere non del tutto soddisfatta di ciò ma che si era creduto opportuno tener conto situazione italiana. Secondo lui accettazione da parte Washington dipenderà dalla abilità manovra dei francesi; infine ha osservato formula dei Cinque non può considerarsi soluzione definitiva spettando in ultima analisi decisione a U.S.A. dove situazione è molto complessa.

483

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, SCHWARZENBERG

APPUNT01 . Roma, 4 marzo 1949.

Il ministro d'Austria è venuto a dirmi che se ci decidessimo a invalidare le domande di revoca di opzione degli alto-atesini, il suo Governo -e qui Schwarzenberg esitò e disse «cito fra virgolette»-si vedrebbe costretto a reagire pubblicamente.

Gli ho risposto che non vedevo bene cosa questa minaccia significava: comunque -gli dissi -il presidente del Consiglio ed io teniamo tanto all'intesa fra i

483 1 Autografo.

nostri due Governi che l'assicuravo esser nostra intenzione, ove stimassimo dover prendere qualche severa decisione, di informarlo prima confidenzialmente per cercare di giungere, anche all'ultimo momento, a qualche compromesso.

Gli ho aggiunto subito: «Ma debbo dirvi anche qualcosa a titolo personale; anche se non conosco ogni dettaglio del problema, ne so abbastanza per sapere che, come a suo tempo trovai inumana e orribile la decisione Mussolini-Hitler, così sento ora che l'atteggiamento austriaco è tutto permeato di furberia, di violenza e, oso dire, di frode. Forse a Vienna si ha paura degli intriganti che a Innsbruck si fanno un rango col loro finto patriottismo. Ma non è seguendo questa gente che da Vienna si serve l'Austria. So n certo che in cuor suo Gru ber preferirebbe altre vie».

Il ministro mi disse che avrebbe riferito ogni mia parola.

Alla fine della conversazione, alzatomi, gli aggiunsi: «Dite anche come consiglio amichevole, a Gruber, che se contasse su uno scandalo, questa volta-malgrado tante simpatie pro-austriache sparse pel mondo -lo scandalo ricadrebbe solo su Vienna. È infatti orribile rischiare l'avvenire di tanti poveri diavoli di austriaci che si son rifatti una vita in Austria, obbligandoli a ritornare fra noi, forse a morirvi di fame, al solo scopo di fomentare un nuovo irredentismo».

Sentii che il ministro trovava che avevo ragione2 .

481 2 Vedi D. 446.

484

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLE RAPPRESENTANZE A ROMA DEGLI STATI MEMBRI DELL'O.N.U.

NOTA VERBALE1 . Roma, 4 marzo 1949.

Avvicinandosi il momento nel quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite sarà chiamata a prendere in esame la questione delle ex colonie italiane, il Governo ritiene necessario pregare ... di voler portare a conoscenza del proprio Governo talune importanti considerazioni che concernono in particolare il problema dell'Eritrea. E ciò anche in relazione alla richiesta etiopica di annettere quel territorio e ad altre proposte che sono state avanzate e che avrebbero come conseguenza la spartizione del territorio medesimo.

La decisione che le Nazioni Unite saranno chiamate ad adottare coinvolge l'avvenire stesso del territorio e delle popolazioni dell'Eritrea, il loro sviluppo in ogni campo, il loro progresso civile e il loro benessere. È quindi una decisione di capitale

importanza e che può avere incalcolabili conseguenze presenti e future. L'Italia che ha creato l'Eritrea e che la ha amministrata e fatta progredire per settanta anni, ritiene che verrebbe meno ad un suo preciso dovere se alla vigilia di così grave decisione non illustrasse agli Stati chiamati a risolvere questa questione tutti i termini e gli aspetti del problema dell'Eritrea. Chiarendo tali termini e tali aspetti il Governo italiano è persuaso di contribuire per parte sua a servire la verità e la giustizia e di operare nell'interesse delle popolazioni eritree.

È innanzi tutto da ricordare che l'Eritrea non ha mai appartenuto all'Etiopia e che non è quindi mai stata tolta all'Etiopia dall'Italia, e che essa non è abitata da popoli etiopici.

Tutto il territorio costiero dell'Eritrea dal confine del Sudan anglo-egiziano (C. Casar) sino al territorio francese di Gibuti, comprendente le città e i porti di Massaua e Assab, è abitato da popolazioni musulmane sulle quali i negus di Etiopia non hanno mai esercitato alcuna sovranità.

Di questa fascia costiera la zona compresa fra Assab e la Baia Anfilè costituisce la così detta Dancalia che è abitata da popolazioni dancale di religione islamica e arabizzate. La Dancalia fu acquistata dali 'Italia a partire dal 1869 mediante accordi di protettorato con i piccoli sultani locali.

La parte settentrionale della fascia costiera, comprendente la zona di Massaua, le isole Dahlac, sino al confine del Sudan, è abitata da musulmani arabizzati. Neanche questa zona dell'Eritrea è mai appartenuta all'Etiopia. Su di essa si era estesa, al tempo della costituzione e dell'espansione dell'Impero ottomano, la sovranità della Turchia, che però, verso la fine del secolo scorso, non la esercitava ormai più che assai debolmente e attraverso il Kedivé di Egitto, allora vassallo della Turchia. Fu infatti attraverso accordi con l 'Egitto (1885) che l 'Italia si stabilì in questa zona.

Ali 'interno, tutto il territorio, che oltre la catena montana Rora Asghedé degrada verso il Sudan, è pure esso abitato da popolazioni musulmane di razza non etiopica e le cui origini sono ancora incerte. Questa zona fu acquisita dall'Italia in base ad accordi con l'Inghilterra all'epoca della sistemazione dei territori sudanesi (1903).

La sola parte dell'attuale Eritrea che fu dominata dai capi feudali del Tigré che si riconoscevano vassalli del negus di Etiopia (il quale poi li assoggettò completamente inglobando il Tigré nei propri territori), si riduce ad una ristretta zona dell'altipiano a sud di Asmara. Questa zona fu acquistata dali' Italia nel 1900 per cinque milioni di lire dall'imperatore Menelik in base a regolare accordo ed in essa, per le buone condizioni climatiche, si sono stabiliti numerosissimi coloni italiani.

È molto importante mettere in rilievo quanto precede perché una scarsa conoscenza della storia dell'Eritrea e dei rapporti italo-etiopici può far ritenere, come già accennato, che quella colonia sia stata costituita con territori tolti alla Etiopia; il che non è. Vi fu è vero una guerra italo-etiopica del 1895-96, ma questa guerra fu susseguente alla costituzione della Eritrea e fu determinata da tutt'altre ragioni: nel 1889 infatti era stato concluso fra l'Italia e l'Etiopia un Trattato, detto di Uccialli, che il Governo italiano del tempo considerava un trattato di protettorato su tutta l 'Etiopia, mentre l'imperatore Menelik non voleva accettare quella interpretazione; per questa ragione si venne alle armi ed è da sottolineare che al termine di quella campagna l'Italia rinunciò a pretendere il protettorato sull'Etiopia, ma l'imperatore Menelik non richiese per nulla l 'Eritrea, né totalmente, né in parte, e anzi pochi anni dopo cedeva all'Eritrea, come si è già detto, per cinque milioni di lire, l'unico territorio eritreo abitato da popolazione di razza affine a quella etiopica (tigrina).

Coi territori così acquistati fra il 1869 e ill903 l'Italia diede vita all'Eritrea (dall'antico nome del Mar Rosso «Sinus Aerithreus») e questi territori, benché abitati da popolazioni di razza e di religione diverse, tenuti insieme dall'amministrazione italiana e dai coloni italiani sparsivi per ogni dove, acquistò ben presto una omogeneità geografica, economica e politica che ne ha fatto una entità a sé stante distinta da quella di tutti i territori che la circondano. Le popolazioni di diversa razza, che si trovavano in stato di perpetua lotta fra di loro, vennero pacificate e impararono a convivere tranquillamente cooperando al progresso del territorio e creando fra le loro attività una interdipendenza economica che contribuì a dare carattere unitario alla economia del paese, con conseguente benessere e accrescimento della popolazione. Anche le differenze religiose hanno cessato di essere considerate come motivo di divisione e di contrasti. Nel paese così pacificato e modernamente organizzato si sono trasferite numerosissime famiglie italiane (nel 1939 risiedevano in Eritrea 70 mila italiani) molte delle quali risiedono ormai colà da più generazioni e al pari degli aborigeni considerano l'Eritrea loro patria. L'attività degli italiani specie nei centri marittimi e sull' altipiano ha portato alla costruzione e allo sviluppo di città come Massaua, Assab, Asmara, Decamerè, Agordat e Cheren che sono ormai vere e proprie città europee, abitate da europei. Tutto il territorio ha avuto un grande sviluppo industriale e commerciale. Può dirsi che l'attività svolta dagli immigrati italiani, coronando l'opera iniziata e perseguita dalla Amministrazione, ha creato in tutto il territorio un saldo e operante tessuto connettivo che ha dato carattere duraturo e definitivo alla fusione politica ed economica delle diverse zone e delle diverse popolazioni componenti l'Eritrea dando impulso decisivo al progresso generale del paese, in ogni campo.

L'Eritrea è quindi una creazione della civiltà, del lavoro, del capitale, della tecnica e dell'amministrazione italiane. Ma ciò che più conta essa costituisce oggi una unità politico-economica assai progredita, e che può aspirare a raggiungere la indipendenza.

E d'altra parte è appunto questo lo scopo che persegue lo Statuto delle Nazioni Unite il quale all'art. 77 comma b) prevede per taluni territori (tra i quali sono implicitamente comprese le ex colonie italiane) un regime di amministrazione fiduciaria alle condizioni e ai fini previsti dagli articoli da 70 a 85 dello stesso Statuto. Questi articoli hanno per scopo di preparare all'indipendenza i territori sottoposti ad amministrazione fiduciaria, il che esclude quindi ogni annessione di tali territori ad altri Stati e a maggior ragione la loro spartizione.

La stessa Commissione di inchiesta inviata in Eritrea dalle quattro potenze ha poi constatato che la maggioranza dei partiti e delle comunità interrogate si oppone alla divisione del territorio. Si può anche aggiungere che la maggior parte dei partiti e delle comunità aspira all'indipendenza. Per il raggiungimento delle condizioni indispensabili ad assicurare una piena indipendenza è ancora necessario per l'Eritrea un periodo di amministrazione fiduciaria ed è più che naturale che l'Italia, per ragioni di carattere tanto soggettivo che obiettivo, aspiri ad avere conferito tale incarico dalle Nazioni Unite. In primo luogo per i sacrifici compiuti in tanti anni di lavoro, per la somma dei capitali da essa investiti, per la presenza nel territorio di tanti immigrati di nazionalità italiana, e perché l'Eritrea reca ormai l'impronta della civiltà italiana e latina. In secondo luogo perché i risultati conseguiti dali' amministrazione italiana, come può constatare chiunque si rechi in Eritrea, costituiscono un successo e quindi un titolo di merito di cui gli italiani sono giustamente fieri, e che dà pieno affidamento che l'Italia saprebbe adempiere sino alla fine il sacro mandato di portare l 'Eritrea alla indipendenza. Qualunque possa essere tuttavia su questo punto specifico l'apprezzamento del Governo ... ciò che preme sottolineare è che sopprimere l'esistenza dell'Eritrea spartendone il territorio o annetterla o affidarla in mandato ad un paese meno progredito e alle prese esso stesso con gravi difficoltà, significherebbe andare a ritroso nella storia e distruggere un'opera di alta civiltà per la quale sono state prodigate tanta passione e tante energie e che è ormai felicemente avviata a conclusione. È da ritenersi per certo che verificandosi una delle sopra accennate deprecabili eventualità la massima parte degli immigrati di origine italiana e europea in genere, finirebbe per abbandonare l'Eritrea, le stesse popolazioni aborigene, per il brusco arresto del processo di incivilimento del paese, perderebbero rapidamente gran parte dei benefici raggiunti, tutto il territorio cadrebbe in uno stato di regresso e di abbandono.

Per queste ragioni il Governo italiano ha in via subordinata avanzato anche il suggerimento di affidare eventualmente il mandato sull'Eritrea all'Unione Europea perché continui e conduca a compimento, con concorso dell'Italia, l'opera che l'Italia ha iniziato. Ciò verrebbe anche a far cadere ogni ragione di preoccupazione, anche se infondata, da parte dell'Etiopia per la sicurezza dei suoi confini. Le amichevoli disposizioni dell'Italia verso questo paese sono del resto provate anche dal fatto che il Governo italiano ha già fatto ufficialmente conoscere che considera giustificate le aspirazioni etiopiche ad un largo sbocco al mare ad Assab.

Il Governo italiano, pensoso del benessere di un territorio che esso, per l'esperienza acquisita, conosce meglio di ogni altro, si è permesso di attirare l'attenzione del Governo ... sul problema in esame, attraverso le considerazioni che precedono. Esso si augura sinceramente che tali considerazioni possano convincere il Governo ... della necessità di evitare qualsiasi decisione affrettata o che non sia stata sufficientemente vagliata e che non sia suffragata da tutti gli indispensabili elementi di giudizio.

Il Governo italiano ritiene quindi che una decisione concernente l'Eritrea debba essere rinviata onde permettere alle singole nazioni chiamate a pronunciarsi, di raccogliere, eventualmente anche mediante inchieste sui luoghi, o in ogni altra maniera, gli elementi di giudizio su indicati.

483 2 In risposta al rapporto che inviò a Gruber su questo colloquio, Schwarzenberg ricevette una comunicazione che portò a conoscenza di Soardi (vedi D. 672).

484 1 Questa Nota verbale, indicata nell'originale a stampa con il numero di protocollo 3/722/c., fu anche trasmessa, in allegato ai Telespr. urgenti 3/750/c. e 3/786/c. del 7 e 8 marzo, a tutte le rappresentanze accreditate presso gli Stati membri dell'O.N.U. e, in allegato al Telespr. urgente 3/828/c. del 13 marzo, alle legazioni ad Assunzione, Baghdad, Canberra, Damasco, Gedda, Guatemala, Karachi, Lussemburgo, Osio e Wellington con le istruzioni di illustrarne il contenuto e raccomandarne le conclusioni ai rispettivi Governi di accreditamento.

485

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 0955/216. Madrid, 4 marzo 1949 (perv. !'8).

Con i miei rapporti sono andato esponendo a codesto Ministero quale mi sembri essere la posizione, direi ideologica, della Spagna rispetto ai tentativi di organizzazione del mondo occidentale.

Uso la parola ideologica sia perché tutto quanto è spagnolo è permeato di un suo sostrato ideologico, sia perché non mi risulta che i contatti di natura diplomatica relativi anche soltanto ad un esame generico della posizione della Spagna rispetto ad uno dei patti attualmente in discussione (penso sopratutto a quello atlantico) abbiano comunque avuto luogo.

In altri termini il problema di una eventuale partecipazione della Spagna al Patto atlantico, è rimasto finora confinato a speculazioni di stampa, la nostra compresa.

Pur tuttavia che il problema debba essere esaminato non v'ha dubbio, visto che la Spagna al mondo occidentale appartiene, sebbene ne costituisca geograficamente la propagine marginale. Essa appartiene sopratutto a quella cosiddetta «comunità atlantica» la cui difesa è diventata ormai un canone della stessa difesa nazionale degli Stati Uniti.

È evidente pertanto che sia nell'ipotesi di un conflitto che dovesse portare la guerra sui confini della Spagna o anche soltanto nel caso di gravi torbidi che potessero far prevedere l'impiantarsi di un regime di sinistra in Spagna, gli Stati Uniti hanno un interesse evidente, senza parlare dell'interesse che vi ha l'Europa, ad evitare alla Spagna l'una e l'altra esperienza.

Ma dal punto di vista della diplomazia il problema è un altro. Esistono oggi, in Spagna, e fuori, le condizioni per cui si possa prevedere, a una scadenza più o meno breve, la possibilità che questo paese venga invitato ad aderire, o chieda di poter aderire, al Patto atlantico in preparazione?

Da Madrid la risposta che si può dare a questo interrogativo è piuttosto negativa.

Mi richiamo in proposito al mio rapporto n. 4768/1061 del 20 ottobre u.s. 1 ed a quelli successivi con i quali davo fra l'altro notizie anche dell'intervista del generale Franco al News Week (n. 1190 del l 0 dicembre 1948)2 .

L'impressione che si ritrae da queste varie dichiarazioni e da un esame approfondito della situazione spagnola è che questo paese rimane decisamente legato ad una politica di neutralità che nella linea del suo ormai secolare isolamento politico, è diventata tradizionale.

Questo elemento di fatto va sceverato e messo in risalto anche quando la diplomazia iberica tende, per ragioni di opportunità tattiche del momento e nella speranza di vender care le piccole concessioni che è disposta a fare, di confondere le acque col lasciare intravvedere la possibilità di una collaborazione più attiva della Spagna all'organizzazione del mondo occidentale.

Su un terreno generico questa collaborazione solletica, in fondo, la fierezza spagnola, nonostante che sia proprio questa ad essere all'origine dell'isolamento della Spagna.

Il regime gradirebbe poter far stato, presso la sua opinione pubblica, di un rientro della Spagna nell'ambito della cooperazione internazionale, senza però che questo dovesse comportare un impegno destinato a rompere quello stato di isolamento che questo paese si è imposto, e del quale, entro certi limiti, si compiace.

Queste constatazioni che ero andato via via facendo hanno trovato recentemente una più concreta conferma in una conversazione che ho avuto occasione di avere con il direttore [generale] di Politica Exterior di questo Ministero degli affari esteri, e che contiene elementi che ritengo doveroso riportare a codesto Ministero.

2 Non pubblicato.

Avevo chiesto a titolo puramente personale al signor Erice se poteva dirmi qualche cosa circa quanto si legge sulla stampa internazionale su di una possibile partecipazione della Spagna al Patto atlantico.

Il signor Erice ha risposto che la Spagna non nutre fiducia alcuna nelle Nazioni Unite, le quali hanno finora clamorosamente fallito al loro compito. Tutto quanto rientra pertanto nell'ambito delle Nazioni Unite non suscita simpatia in Spagna.

(Questa dichiarazione trova conferma nell'atteggiamento di questa stampa la quale non perde occasione per sottolineare tutte le informazioni di carattere negativo che appaiono quanto al Patto atlantico, ed in modo particolare si è recentemente compiaciuta delle difficoltà che sembravano sorgere in seno al Congresso degli Stati Uniti quanto alla sua stipulazione).

Del resto, ha subito aggiunto il signor Erice, il sentimento di neutralità in Spagna è fortissimo. Dalla mia cuoca a mia moglie, dal piccolo borghese al Grande di Spagna non v'è che un solo desiderio, quello di tenere la Spagna lontana dagli orrori di un conflitto armato, visto che il ricordo vivo e penoso di quello che è stata la nostra guerra civile è ancora presente alla nostra memoria.

Gli anglo-americani non sembrano aver compreso questo punto e credono che perché la Spagna sia anti-comunista, sia anche pronta a partecipare ad un eventuale conflitto a loro fianco.

Ora, sebbene questo sia un regime giudicato superficialmente come totalitario, l'opinione pubblica vi ha il suo grande peso ed il Governo è obbligato a tenerne conto (questo stesso tema fu sviluppato da Franco nell'intervista News Week).

Il sentimento di neutralità della Spagna non è nuovo, ha continuato il direttore generale, e si è manifestato chiaramente negli ultimi due conflitti mondiali, specialmente nell'ultimo.

Anche questo atteggiamento non è stato sufficientemente apprezzato dagli anglo-americani, i quali sottovalutarono il fatto concreto della neutralità spagnola, attribuendo importanza sopratutto ai contatti formali ed alle trattative che il Governo spagnolo aveva con Hitler. Ma quando la Spagna poneva ad Hitler delle condizioni di cessioni territoriali lo faceva sopratutto perché sapeva che chiedeva quanto non era nelle possibilità di Hitler di concedere. Era un modo tattico, conforme alla situazione politica del momento, di perseguire la politica di neutralità senza urtare un potente amico.

Domando al signor Erice come spieghi egli il diverso atteggiamento che la stampa spagnola tiene quando si parla invece del patto mediterraneo, problema, questo, allo stato delle cose, ben più generico che non il Patto atlantico. Aggiungo che la stampa spagnola fa spesso, in relazione a detto patto, i nomi della Turchia, dell'Italia, talvolta della Grecia e naturalmente della Spagna.

Erice mi dice subito che se detto patto dovesse essere, come egli ritiene che dovrebbe essere, destinato ad assicurare la neutralità del Mediterraneo, la Spagna vi parteciperebbe con grande interesse.

Sebbene Erice non lo dica, si deve presumere che la ripugnanza, da lui espressa, della politica spagnola a partecipare a patti che sorgano sotto l'egida della Nazioni Unite, debba essere interpretata nel senso che Madrid pensi alla possibilità di un'iniziativa dei tre paesi mediterranei principalmente interessati, Italia, Turchia e Spagna, indipendente dalla O.N.U.

Evidentemente, desiderosa per le ragioni alle quali ho già accennato, di rientrare nella collaborazione internazionale, ma al tempo stesso decisa a non assumere impegni che possano coinvolgerla in una guerra, la Spagna accarezza, senza troppo approfondire se il suo progetto sia o pur no in relazione con la realtà politica del momento, l'idea di un patto di neutralità mediterraneo che le permettesse di stabilire una qualunque forma di collaborazione politica attiva, almeno con l'Italia e con la Turchia, e probabilmente con i paesi arabi.

A proposito dell'interesse che l'Italia avrebbe, secondo il signor Erice, a partecipare ad un patto del genere, egli si rifà all'errore grandissimo commesso dal nostro paese nel partecipare al passato conflitto per trame la generica conclusione che l'errore non dovrebbe essere ripetuto.

Se l 'Italia non fosse entrata in guerra sarebbe oggi la principale potenza europea. Forse essa è ancora in condizioni di riguadagnare una parte del perduto riaffermando una sua politica che le permetta di estendere al Mediterraneo i benefici della neutralità.

Senza troppo addentrarmi nella conversazione, ho fatto presente ad Erice che quanto egli pensava circa la neutralità italiana costituiva la tesi dei partiti estremisti italiani. Al che egli ha risposto che proprio a causa dall'esistenza di un grosso partito comunista in Italia (non ammette naturalmente lo stesso per quanto riguarda la Spagna, ma nel suo pensiero la possibilità di ripresa della guerra civile in Spagna, in caso di un nuovo conflitto europeo, è presente) il nostro paese dovrebbe mantenersi neutro per non offrire appunto la possibilità ed il destro ai partiti estremi di infliggere all 'Italia l'esperienza dolorosa che fu a suo tempo inflitta alla Spagna.

Quando io obbietto che la situazione geografica dell'Italia, ben diversa da quella marginale della Spagna, rende la nostra posizione, rispetto all'eventuale futuro conflitto, ben più delicata che non sia quella della Spagna, Erice esprime il parere che secondo lui, ove un blocco di potenze dell'importanza di quelle alle quali egli ha accennato affermassero in maniera precisa il loro desiderio di perseguire una politica di neutralità, la Russia stessa avrebbe interesse ad evitare l'errore già commesso da Hitler di estendere la guerra al Mediterraneo.

Non ho creduto di dover provocare dal signor Erice ulteriori chiarimenti del suo pensiero, pensiero che, a parte l'autorevolezza della persona che lo esprimeva, corrisponde a quanto questa ambasciata è andata da tempo riferendo a V.E. in base agli elementi della situazione che è possibile raccogliere qui.

485 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 529.

486

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 081. Parigi, 4 marzo 1949 1•

Riferimento: Mio telegramma 129 del26 u.s.2 .

2 Vedi D. 407.

Il Quai d'Orsay mi ha detto che può anche darsi che la Conferenza a dieci, di cui al telegramma sopracitato, sempre sul piano degli ambasciatori, sia indetta a Londra invece che a Parigi. Bevin ci tiene mentre i francesi tengono a Parigi ma, sembra, con minore fermezza.

Dopo aver messo tutti i possibili ostacoli alla realizzazione dell'Unione, attualmente Bevin, osserva il Quai d'Orsay, vorrebbe atteggiarsi a suo principale patrocinatore e vorrebbe perciò che la prima riunione avesse luogo sotto la sua presidenza.

Se ne deciderà nella riunione dei Cinque che dovrà pure stabilire la data in cui sarà indetta la Conferenza. Inviti saranno quindi, con ogni probabilità, diramati il 7.

486 1 Copia priva de li'indicazione della data di arrivo.

487

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 777/78. Lussemburgo, 4 marzo 1949 (perv. !'11).

Ho intrattenuto lungamente questo ministro degli esteri nel senso del telespresso ministeriale n. 3/231/c. per quanto concerne la Tripolitania e del telespresso

n. 3/143/c. 1 per quanto concerne l 'Eritrea.

Ho creduto opportuno !asciargli, a titolo confidenziale, anche alcuni pro-memoria illustrativi, compilati sulla base del materiale inviatomi, che mi ha promesso di studiare. Bech si è mostrato interessato alla esposizione da me fattagli e mi ha detto che le nostre tesi gli sembravano più accomodanti e quindi più pratiche ma non ha mancato di ricordarmi la delicata situazione di un piccolissimo paese di fronte a problemi cui non era direttamente interessato e nei riguardi dei quali avrebbero certo preso posizione le grandi potenze. Comunque egli pensava che, a un momento dato, la questione avrebbe fatto oggetto di esame comune e probabilmente di una decisione comune in seno al «Benelux».

In complesso ho trovato Bech, col quale avevo più volte in precedenza parlato della questione, più misurato. Ho avuto l'impressione che tale prudente linguaggio debba porsi in relazione all'attitudine incerta assunta dall'America nei riguardi dell'Italia per quanto concerne il Patto atlantico.

Bech mi ha detto che non era sicuro se si sarebbe recato alla prossima riunione dell'O.N.U. Secondo ulteriori notizie avute da fonte confidenziale sembra che sia oramai deciso a partire.

487 1 Vedi rispettivamente D. l 00, nota l e D. 51, nota 2.

488

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI

T. 1676/10. Roma, 5 marzo 1949, ore 17,15.

Suo171•

Verrà prossimi giorni inviato costì per aereo nostro controprogetto accordo pagamento che dovrà servire base per ulteriori negoziati. Nell'informarne codesto Governo ella potrà attirare sua attenzione, nel modo che riterrà più opportuno, sul fatto che, data la materia e conseguente necessità consultare organi tecnici, trattative per tale accordo richiederanno necessariamente un certo periodo di tempo.

Su protocollo amicizia si è già raggiunta invece intesa di massima; siamo quindi disposti da parte nostra a procedere senz'altro a firma testo che verrà defmitivamente concordato da V.E. costà. Ciò costituirebbe oltre tutto un'utile premessa per impostazione e sviluppo ogni altro negoziato, compreso quello per accordo pagamento di cui si potrebbe intanto annunciare apertura. Naturalmente lasciamo a codesto Governo di decidere al riguardo.

Nulla osta per scambio decorazioni. Disegno legge per istituzione «Ordine al merito della Repubblica» verrà prossimamente presentato al Parlamento e appena possibile si procederebbe allo scambio. Intanto V.E. potrà inviare lista per aereo2 .

489

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1677/126. Roma, 5 marzo 1949, ore 17,15.

Suo2171 .

Voto otto contro sette nella Direzione P.S.L.I. ha praticamente minima importanza perché i nostri colleghi socialisti hanno invece larga maggioranza nel loro gruppo parlamentare tanto che rimangono al Governo. Siamo certi che la situazione sarà chiarita e che incidente non avrà minima influenza su linea politica che abbiamo ormai deciso seguire.

Riferendomi suo 2162 faccia sentire che decisione favorevole invito Italia-non appena conosciuta-costituirà d'altra parte nuovo elemento determinante per chiarire situazione e por fine ogni artificioso disorientamento del genere di quello in oggetto. Governo è sicuro del fatto suo3 .

2 Per la risposta vedi D. 563.

2 Vedi D. 480 3 Questo telegramma fu trasmesso da Zoppi anche a Gallarati Scotti e Quaroni con T. 1674/77 (Londra) 117 (Parigi) del 5 marzo.

488 1 Vedi D. 451.

489 1 Del 4 marzo, con il quale Tarchiani aveva richiesto informazioni su voci raccolte in ambienti giornalistici secondo cui la Direzione del P.S. L.I. aveva respinto la mozione presentata da Saragat a favore dell'adesione italiana al Patto atlantico.

490

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1708/C. Roma, 5 marzo 1949, ore 23.

(Per Washington) Mio 126 1•

(Per Londra) Mio 772 •

(Per Parigi) Mio 1172 .

(Per tutti) Ricevendo successivamente Mallet e Dunn ho spiegato loro artificiosità del voto della Direzione del P.S. Lavoratori in vista del fatto della notevole maggioranza che i nostri colleghi socialisti hanno fra i senatori e deputati. Ho aggiunto che i nostri colleghi rimangono loro posti e che comunque abbiamo assicurata una formidabile maggioranza per qualsiasi decisione politica estera.

Non ho nascosto che fra gli artefici del tentativo contro i nostri colleghi han forse agito degli intrighi comunisti e che ciò renderebbe tanto più opportuna una sollecita decisione che ci permetterebbe portare tutto il problema in Parlamento e nel paese con piena sicurezza largo successo.

491

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2076/30. Osio, 5 marzo 1949, ore 15,45 (perv. ore 17, 15).

Ammissione della Norvegia e della sola Norvegia verificatasi ieri ha evidentemente alterato quadro quale risultante dal telegramma di V.E. 11 1•

Questo ministro degli affari esteri mi ha detto poco fa di ignorare sino ad ora dettagli della situazione che hanno determinato invito all'ambasciata di Norvegia a Washington a partecipare senza altro alla riunione di ieri e nei nostri riguardi mi ha ripetuto più o meno negli stessi termini quanto da me riferito con il mio telegramma 28 2 .

Da tutta conversazione ho tratto netta l'impressione che tanto a Londra quanto a Washington si sia molto esagerata importanza e consistenza delle obiezioni norvegesi, suppongo tattiche, verso di noi. Da alcune reticenze di Lange non mi è infatti

2 Vedi D. 489, nota 3. 491 1 Vedi D. 475. 2 Vedi D. 449.

riuscito difficile a comprendere che se qualche dubbio vi è ancora in lui circa convenienza o meno ammissione dell'Italia, ciò è dovuto esclusivamente ambiguità della posizione di Londra nei nostri confronti e alle speranze che ancora luce baleni colà circa possibilità di un patto mediterraneo a breve scadenza3 .

490 1 Vedi D. 489.

492

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AD OSLO, RULLI

T. S.N.D. 1706/12. Roma, 5 marzo 1949, ore 22.

Suo telegramma n. 301•

Formula concordata a Londra, non esclude che Norvegia sia immediatamente invitata proseguire discussioni Washington con l'intesa che, una volta parafato testo dai sette membri originari, Italia sarà invitata aderire e firmare atto di accessione contemporaneamente alla Norvegia e agli altri paesi invitati e contemporaneamente alla firma del Patto da parte dei sette fondatorF.

493

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2091/143. Parigi, 5 marzo 1949, ore 21 (perv. ore 23,45).

A telegramma n. 115 1•

Pur trincerandosi dietro impegno del segreto questo Ministero esteri mi ha fatto intendere che questione nostra inclusione Patto atlantico è entrata felicemente in buona via. Ma occorrerà attendere alcuni giorni per potere considerare cosa come acquisita. Inoltre mi è stata fatta presente opportunità che votazione Comitato direttivo Partito socialista lavoratori italiani sia presentata come avente carattere non decisivo. È stata una fortuna -mi è stato aggiunto -che essa sia intervenuta dopo riunione dei Sette. Per parte mia ho comunicato informazioni datemi stamane da segretario generale2 . Prego comunicare quanto sarà spiegato a Washington3 .

2 Per la risposta di Rulli vedi DD. 498 e 502.

2 Vedi D. 489, nota 3.

3 Vedi DD. 490 e 499.

491 3 Per la replica di Zoppi vedi D. 492.

492 1 Vedi D. 491.

493 1 T. s.n.d. 1665/75 (Londra) 115 (Parigi), pari data, con il quale veniva ritrasmesso il D. 480.

494

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2092/40. Mosca, 5 marzo 1949, ore 23,30 (perv. ore 24).

La sostituzione di Vyshinsky e Menshikov a Molotov e Mikoyan è giunta qui totalmente inaspettata. Essa è stata annunziata con un brevissimo trafiletto di cronaca uguale a quello che annunzia abitualmente sostituzioni ordinari ministri. Al riguardo non si possono fare che supposizioni e preferisco !imitarmi per ora a segnalare dopo accurati sondaggi opinione generale qui corrente. Interpretazione più diffusa ed alquanto attendibile perché proveniente sia dal gruppo filoamericano sia dal gruppo filosovietico è che mutamento non significherebbe diminuzione per Molotov e nemmeno significherebbe sostanziale mutamento politica estera. Molotov sarebbe destinato in forma più o meno ufficiale a svolgere sempre più funzioni di sostituto ed eventuale successore Stalin. Mikoyan potrebbe avere importante incarico direzione nuova Unione Economica Orientale. Nomina Vyshinsky sarebbe di carattere tattico e permetterebbe di portare Assemblea Nazioni Unite, anche per eventuali sondaggi circa tregua, un uomo più duttile e che pur avendo attualmente autorità di ministro sarebbe meno impegnativo e più facilmente sconfessabile di Molotov. Si prevederebbe in altri termini continuazione attuale campagna intimidatoria antiatlantica sovietica in vista ed al fme di saggiare possibilità di distensione questa primavera.

Debbo tuttavia osservare che da fonte seria mi risulterebbe esistenza di un conflitto tra Mikoyan e Molotov; inoltre voci di varia provenienza accennano ad un graduale scalzamento della posizione di Molotov da parte giovani capeggiati da Malenkov. Ciò determina in taluno la opinione che Molotov sia stato effettivamente silurato e diminuito per la sua rigidezza e per recenti insuccessi politica estera nei riguardi Tito, Berlino e Norvegia. Questa opinione può considerarsi di minoranza ma tuttavia trova appiglio in taluni fatti e quindi andrà controllata e seguita in avvenire con la massima attenzione. Tutti poi sono concordi nel ritenere che attuale mutamento sarebbe differente da quello del 1939 da Litvinov a Molotov e non dovrebbe significare un aggravamento della tensione internazionale. Effettivamente Vyshinsky e Menshikov sono di fronte loro predecessori figure di secondo piano cui difficilmente si affiderebbe responsabilità direzione paese se si prevedesse prossimo un conflitto.

495

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2094/223. Washington, 5 marzo 1949, ore 21,57 (perv. ore 7,30 de/6).

Secondo informazioni confidenziali, uffici Dipartimento Stato, pur non avendo raggiunto decisione pienamente concorde circa colonie, avrebbero presentato Acheson appunto riassuntivo contenente varie soluzioni. Tale appunto raccomanderebbe innanzi tutto trusteeship multiplo per Libia, di cui a mio rapporto del 18 febbraio n. 664 1 e prevederebbe che, qualora Governo britannico, previamente consultato, insistesse per suo trusteeship su Cirenaica, verrebbe adottata una delle seguenti soluzioni:

a) trusteeship multiplo soltanto per Tripolitania e Fezzan; b) trusteeship singolo italiano su Tripolitania; c) trusteeship singolo americano su Tripolitania; d) indipendenza Tripolitania (su base diversa da quella prevista in nostro progetto).

Soluzione alternativa di cui a punto a) sarebbe, nell'appunto, considerata raccomandabile. Soluzione di cui a punto c), che incontrava già particolare favore ufficio Medio Oriente ed Africa, corrisponderebbe anche ad una recente precisa richiesta britannica. Soluzioni raccomandate per Somalia ed Eritrea sarebbero tuttora quelle novembre scorso e non conterrebbero alcun suggerimento per provincie occidentali Eritrea2 .

496

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. RISERVATA PERSONALE 225/770. Parigi, 5 marzo 19491•

Zoppi mi ha inviata la risposta del ministro Pella alle mie proposte (Gabon e minerali di Normandia): non aspetto le altre, perché tanto so già che esse saranno negative. Imperterrito continuo e le sottopongo due altre proposte:

l) Provenienza direzione generale delle miniere. Si tratta della messa in valore di un importante giacimento di carbone, da alto forno, in Madagascar: si tratterebbe di raggiungere al più presto la produzione di un milione di tonnellate annue, di cui parte è riservata alla esportazione in India, parte potrebbe essere riservata alla esportazione in Italia. I lavori comprendono: attrezzamento della miniera, costruzione della ferrovia fino al mare, attrezzamento del porto di imbarco. A nostra scelta partecipare, alla sola messa in valore della miniera, o anche alla costruzione della ferrovia e del porto. Partecipazione massima sui due miliardi e mezzo di franchi: possibilità di accordi per mano d'opera e tecnici italiani per tutti i lavori.

2) Provenienza Union Européenne (Comité des forges): partecipazione italiana alla messa in valore di un bacino carbonifero (antracite) nel Marocco orientale.

2 Con L. personale 3/753 del 7 marzo Castellani ritrasmise questo telegramma a Quaroni aggiungendo: «Ripeto che a tutt'oggi di tutto quanto riguarda il progetto americano di un mandato multiplo sulla Tripolitania non è stata data conoscenza a nessuno al di fuori di V.E.».

Portata della partecipazione sui 400 milioni di franchi. In principio la società, in caso di nostra partecipazione sarebbe disposta a riservarci un certo quantitativo (sulle 100 mila tonnellate) di carbone a prezzo di costo, con un piccolo aumento; disposta anche ad un contratto per la vendita a noi di quantitativi superiori di carbone che potrebbero arrivare fino alle 300 mila tonnellate. La zona sembra ricca di altri minerali interessanti: la nostra partecipazione alla miniera di carbone ci darebbe il diritto tacito di partecipare nella forma che vogliamo alla futura messa in valore anche di questi altri minerali se ci interessano. Accludo una documentazione dettagliata.

So già che la risposta sarà negativa: tuttavia continuo lo stesso.

Vorrei però farle qui alcune considerazioni di principio.

l) Il problema da me sollevato nel novembre scorso, della necessità cioè di risolvere il problema dei pagamenti italo-francesi prima di procedere sulla strada dell'Unione doganale, è stato affrontato nel peggiore dei modi: rimandandolo. Visto che alla meno peggio si possono racimolare i soldi necessari fino al 30 giugno, rimandiamo il tutto al 30 giugno. Questo non risolve però il problema: e dato che, se tutto andrà bene, la ratifica dell'accordo doganale non potrà avere luogo prima della fine di maggio, alla fine di maggio saremo di nuovo di fronte al problema di sapere se fra un mese i traffici italo-francesi non saranno ad uno standstill e se non avremo un ritorno massiccio di emigranti, colla speculazione politica che ne seguirebbe. Ossia non sappiamo, ancora, se colla firma dell'Unione doganale noi facciamo una cosa seria, oppure se ci esponiamo ad un colpo di ridicolo.

2) Bilancia commerciale e rimesse degli emigranti (e le altre partite) sono due problemi che si possono scindere, come competenza di direzioni generali e, se si vuole, anche di ministero: ma di fronte al Governo essi formano un problema unico, quello dei trasferimenti. E a parte tutte le considerazioni di carattere umanitario, per ragioni puramente politiche, questo problema non lo si può risolvere sulle spalle dei lavoratori italiani in Francia.

I piani di miglioramento della bilancia dei pagamenti (maggiori acquisti nostri in Francia, cambiamento del tasso di cambio, riduzioni delle rimesse) sono dei piani che sulla carta funzionano a meraviglia: in realtà funzioneranno molto meno bene: quindi, checché se ne dica, per l'anno 1949-1950, bisogna prevedere uno sbilancio a nostro favore di vari miliardi di franchi.

Come risolviamo questo sbilancio? Ci sono due alternative principali.

a) Aumentare i drawing rights della Francia. È una soluzione a cui sono decisamente contrario. Per le circostanze del nostro commercio estero noi dovremo sostenere una battaglia forte per evitare che i drawing rights non si mangino la maggior parte del fondo lire: la battaglia non sarà facile: non abbiamo nessun interesse a perderla d'avance accettando già, con la Francia, l'aumento dei drawing rights.

b) Fare credito alla Francia, sia sotto forma di plafond o sotto altre forme. Ma se accettiamo questo principio, non vedo quale vantaggio noi abbiamo a lasciare vari miliardi, in aggiunta a quelli che abbiamo già, a giacere presso la Banca di Francia. Mi sembra molto più vantaggioso, sotto tutti i punti di vista, investirli in Francia o nell'Unione Francese per sviluppare delle produzioni che possano alimentare nuove correnti di esportazioni dall'area del franco verso l'Italia e così concorrere nell'avvenire al miglioramento della nostra bilancia dei pagamenti.

Che il ministro del tesoro e altri ministri obbiettino a questa o quella proposta concreta di investimento, è più che giusto. Ma invece si tratta di risolvere la questione di principio: accettiamo pro tempore di far credito alla Francia e di investire nella zona del franco questi nostri surplus? Se il Governo italiano preferisce i drawing rights, -ritengo, ripeto, che sia un errore, ma insomma è un affare suo -allora non ne parliamo più. Se invece si accetta la seconda alternativa, una volta presa la decisione di principio si tratterà di vedere quali investimenti scegliere: e attraverso quali agenzie fare la scelta: ci sono del resto per questa seconda questione già delle idee non cattive in giro.

3) Gli investimenti nell'impero coloniale francese hanno per noi un interesse particolare anche in vista del noto punto 4°. È la prima volta che i francesi ci socchiudono le porte del loro impero: se combiniamo qualche affare, che deve però essere buono per noi e per i francesi, e non solo per noi o solo per i francesi, avremo costituito un precedente, di grande importanza, anche per collocamento di mano d'opera specializzata e di tecnici.

Mi si obbietta la questione di chi ha la maggioranza delle azioni: ma cosa speriamo noi altri? Che i francesi inglesi e belgi, fin dal primo giorno in cui consentono al capitale italiano di entrare nel loro impero accettino anche che noi ci entriamo in maggioranza? Si può parlare quanto si vuole, sul piano ideologico, di eguaglianza di chances, ma la bandiera resta sempre la bandiera.

Mi si obbietta che noi abbiamo bisogno di capitale straniero che venga in Italia e non di capitale italiano che vada all'estero: giusto anche questo. Però, nel caso della Francia, perché del capitale francese possa venire in Italia bisogna che si formi una eccedenza di lire in mano alla Francia: speriamo che questo accada un giorno, potrebbe anche accadere ma non è il caso adesso. E se in queste circostanze noi abbiamo accettato di lasciare in Francia, sotto forma di capitale, il nostro surplus, sarà tanto più facile, il giorno in cui la situazione fosse rovesciata, chiedere alla Francia di fare lo stesso con le sue lire surplus in Italia.

Oltre a questo vogliamo fare l'Unione economica o no? Se vogliamo realmente fare questa Unione economica bisogna che cominciamo a non ragionare più tanto di capitale italiano o di capitale francese, ma di capitale comune il quale si investe in Italia, in Francia o nei territori d'oltremare, là dove esso è più utile alla comunità: ragionare differentemente significa che non si ha l'intenzione di procedere verso l 'Unione economica.

4) E qui vengo alla ultima e più grave mia constatazione. Tutto questo, altri fatti precedenti, i miei contatti ultimi romani, mi portano purtroppo alla conclusione che i ministri economici italiani sono contrari all'Unione doganale italo-francese. Magari non sarà esatto che essi vi sono contrari in astratto, ma sono contrari a tutto quello che bisognerebbe fare in concreto per realizzare questa Unione doganale: il che è in pratica lo stesso.

Può essere che questo venga dal fatto che si arriva adesso alla constatazione che l'Unione doganale, almeno in un primo tempo, rappresenta un maggior vantaggio per l'economicamente più forte (la Francia) che non per l'economicamente più debole (l'Italia). Ho la coscienza di avere, da più di un anno, attirata la sua attenzione su questo aspetto del problema: se ci se ne accorge solo oggi, non è certo colpa mia. Ma certo questo stato d'animo non può che dare da pensare. Come non può non dare da pensare tutto il profondo risentimento contro la Francia che affiora da tutte queste discussioni. Risentimento che non è minore di quelb che affiora da questa parte delle Alpi.

Firmare l'accordo dell'Unione doganale, farlo ratificare dai Parlamenti, sono tutti e due dei colpi di effetto, passibili di essere sfruttati come successi in Italia e fuori: ma dal punto di vista reale, essi non hanno nessun valore. Firmare l'Unione doganale si fa presto: è farla che è difficile e le difficoltà cominciano all'indomani della firma.

L'organo parlamentare era necessario: esso servirà utilmente, dalle due parti, a mettere a posto qualche parlamentare che non può avere un posto di ministro: esso potrà servire egregiamente a fare l'unione tariffaria: ma anche lì ci si può arrivare. Ma con questo non si è fatto che molto poco di reale. Per fare l'Unione economica, ci vuole la volontà degli interessi dalle due parti: non so cosa succede in Italia: certo in Francia non c'è ministro o parlamentare il quale possa far fare ai grandi interessi quello che essi non vogliano fare. L'unica forma di unione economica che i grandi interessi dalle due parti possono forse accettare, è la forza, si intende larvata, del cartello binazionale. Ora noi dichiariamo, nel testo dell'accordo, all'estero ed all'interno che siamo contrari ai cartelli. Avremo delle ottime ragioni per farlo, non lo discuto, ma non basta il dirlo, bisogna in questo caso essere abbastanza forti per imporre l'Unione doganale agli interessi che vi sono contrari: dubito che questa forza ci sia in Italia, certo non c'è la Francia: mettere quindi l'Unione doganale sotto il segno dell'anticartello equivale a dire che non si vuole fare l'Unione doganale. Sono tutte considerazioni poco ideali, ma bisogna pure che qualcuno guardi alla realtà.

Le ho detto varie volte, e nessuno ne può contestare la fondatezza, che l'Unione doganale senza il consenso del Comité des forges, in Francia, non la si farà mai. Ora da noi il Ministero dell'industria non vuole l'accordo tra le due siderurgie. Avrà per questo delle eccellenti ragioni, ma se non vuole questo, non vuole nemmeno l'Unione doganale. Su questo punto ho attirata molte volte l'attenzione sua: lei si è dichiarato con me d'accordo: però all'atto pratico, l'atteggiamento del Ministero dell'industria resta negativo.

Intreccio di interessi, di capitali, (indipendentemente se siano italiani o francesi) è l'unica maniera di cominciare a mettere insieme i grossi interessi italiani e francesi: da questo intreccio di interessi possono nascere più facilmente flessibilità di intese. Il Ministero del tesoro e quello del commercio estero non vogliono questo intreccio: hanno senza dubbio delle ottime ragioni: ma questo significa in pratica che essi non vogliono l'Unione doganale.

Si fa la questione della maggioranza delle azioni per una operazione minuscola qua e là: che cosa accadrà allora quando si tratterà di armonizzare interessi assai più grossi: i casi in cui lo stato attuale delle industrie nei due paesi sia tale da assicurare ipso iure all'Italia la maggioranza, si contano sulla punta delle dita; cosa faremo per gli altri: è noto che si possono fare con le cifre molte cose ma non fare entrare due volte 51 per cento in l 00. Non discuto le ragioni ma anche questo significa non volere l'Unione doganale.

Insomma, lei ha ottenuto dal Consiglio dei ministri l'approvazione per la firma del Trattato di Unione: ma non si dimentichi, le ripeto, che la firma è un gesto senza sostanza. Bisogna che lei ottenga, se realmente vuole l'Unione doganale, l'accordo del Consiglio dei ministri anche e soprattutto a tutto quello che bisogna fare contro le nostre abitudini ed i nostri preconcetti: si tratta di battere una strada nuova a fatti e non solo a parole: quello che è necessario fare per arrivare ali 'Unione doganale: se non si ottiene questo, tenga presente, che non facciamo e non faremo niente.

Ho avuto occasione più di una volta di ricorrere a lei per interventi su questo e quel punto per me capitale per arrivare, sul terreno solido e pratico, ali 'Unione doganale. Lei ha debitamente trasmessa la mia lettera ai suoi colleghi, e mi ha poi trasmesso debitamente la loro risposta, negativa. Mi scusi la mia franchezza, ma questo non basta. Se lei vuole l 'Unione doganale, bisogna che lei si decida a battagliare sul serio con i suoi colleghi, e se lei non si sente di farlo o se non ci riesce a condurli alle sue idee, bisogna saperlo in tempo, e manovrare in modo, appena ultimato il colpo d'effetto della firma, per insabbiare il tutto in modo che non abbia delle ripercussioni spiacenti. Ora tutto questo non va da sé: il solo intervento di Grazzi presso gli altri direttori generali, e quello di Bertone non so presso chi, non bastano, ci vuole il suo, e con tutto il suo peso. Finisce adesso la romantica dell'Unione doganale, i discorsi, e magari la lagrimetta di commozione: comincia la realtà e la realtà è difficile e dura, e domanda lotta. Per quello che mi concerne posso aiutare suggerendo quello che è necessario fare e cercando, in quanto possibile, di far fare anche dai francesi quello che è opportuno che facciano. Ma se lei in Italia continua ad occuparsene solo sul piano generale, creda a me, non arriveremo a niente, e lei, desiderando legare il suo nome ad un avvenimento di importanza storica, rischia invece di legarlo ad un clamoroso fallimento.

Allo stato attuale delle cose, non posso che dolermi che arriviamo alla firma di un atto così importante, senza avere risolto l'importante problema dei trasferimenti, senza la preparazione psicologica necessaria per affrontare le difficoltà concrete della sua esecuzione, e con la maggior parte del Governo italiano contrario, magari non al principio, ma alle sue realizzazioni. Stiamo tentando una cosa troppo importante per giuocarla così sulla sola speranza che per la strada tutto si accomodi. Riterrei di mancare al mio dovere di lealtà verso di lei se non la facessi, con tutta franchezza, parte di queste mie gravi preoccupazioni: questa mancanza assoluta di preparazione psicologica mi fa temere che un atto che lei intende come la piattaforma solida dei rapporti italo-francesi, possa rischiare di essere invece un grave ostacolo al rafforzamento di questi rapporti2 .

495 1 Vedi D. 344.

496 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

497

IL MINISTRO A PRETORIA, JANNELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO URGENTE 011. Capetown, 5 marzo 1949 (perv. il 12).

Riferimento: Telespressi di codesto Ministero n. 141 del 17 gennaio e n. 235 del 24 gennaio u.s. 1

Ho conferito a lungo col sig. Forsyth, segretario per gli affari esteri, sia sulla questione dell'Eritrea che su quella della Tripolitania. Mi ha assicurato che il noto punto di vista sudafricano sarà ancora sostenuto a Lake Success e mi ha anche confidenzialmente detto che «rappresentazioni» sono state fatte a Londra per far recedere il Governo inglese dalla sua intenzione di accordare l'Eritrea ali 'Etiopia. A Londra si è tirata, come al solito, in ballo «l'opinione pubblica» che rovescerebbe il Governo laburista se questo ridesse l'Eritrea all'Italia e facesse di nuovo torto agli etiopi «dopo quello che è successo nel 1935 e nel 1940». Più di questo, egli m 'ha detto, sembra difficile, nelle condizioni del Sud Africa, fare e -come mi ha ripetuto in una conversazione privata ieri il direttore dell'Ufficio stampa del Governo sudafricano, sig. Du Plessis, influente membro del partito nazionalista -secondo queste sfere dirigenti, il massimo sforzo italiano dovrebbe essere concentrato a Washington, piuttosto che a Londra, perché una volta sottratto l'appoggio americano agli inglesi in questa materia, la partita sarebbe vinta. Da quanto mi ha fatto capire il segretario degli affari esteri, è la corda del «fatto morale» sulla quale Londra arpeggia in questo momento, in mancanza di altri argomenti, in seno al Commonwealth.

Non ho creduto di dover accennare, neanche come idea personale, all'ipotesi del mandato dell'Unione Europea, di cui alla lettera del segretario generale n. 3/184 del 19 gennaio 19492 , perché, come ho ripetutamente riferito, il Sud Africa è recisamente contrario a qualsiasi mandato collettivo o multiplo, per ragioni di principio connesse con la questione del S. W. Africa ex-germanico. Nessun appoggio quindi potremmo attenderci in quel senso, anche se Lontra accedesse alla soluzione.

Il sig. Forsyth ha molto apprezzato le mie comunicazioni confidenziali circa le trattative con i paesi arabi, a proposito della Tripolitania e mi ha detto che, a suo avviso, il Governo sudafricano non potrebbe che vedere con favore una soluzione concordata su quella base, ove l'attribuzione del mandato individuale all'Italia, che il Sud Africa favorisce, non possa realizzarsi.

Conferirò ancora personalmente con il primo ministro nelle prossime settimane3 , quando le istruzioni alla delegazione sudafricana all'Assemblea delle Nazioni Unite saranno alla vigilia di essere definite. Intanto mi sono intrattenuto e mi intratterrò ancora col ministro Louw, che sarà a capo della delegazione e che mi consta sta studiando personalmente la questione delle nostre ex colonie. Gli ho fornito del materiale e continuerò a dargli gli elementi di cui verrò in possesso. Mi permetto però suggerire che il materiale essenziale ai nostri scopi, dato che in sostanza deve servire soprattutto a persuadere americani e britannici, in Inghilterra e nel Commonwealth, sia approntato già in inglese e in redazioni accurate e adatte alla mentalità anglo-sassone. Ciò, del resto, sarebbe anche un'economia di spesa, oltre che un risparmio di tempo, dato che i numerosi uffici in diverse parti del mondo sono costretti altrimenti a immobilizzare personale per eseguire lo stesso lavoro di traduzione in inglese.

3 Vedi D. 608.

496 2 Per la risposta vedi D. 535.

497 1 Con tali comunicazioni erano state trasmesse a Jannelli le istruzioni di cui ai telespressi segreti 31156/c. e 3/142/c., per i quali vedi rispettivamente i DD. l 00 e 51, nota 2.

497 2 Vedi D. 106.

498

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2113/31. Osio, 6 marzo 1949, ore 20,55 (perv. ore 24).

Informo ad ogni buon fine che «distinguo» circa formula concordata a Londra e di cui al secondo telegramma di V.E. (n. 12 del 5 corrente a firma Zoppi) 1 è qui, sino a questo momento, ignorato. Stampa ha parlato ieri di invito e adesione della Norvegia come già avvenuto.

A questo Ministero degli affari esteri si ritiene fatto stesso partecipazione a negoziati, benvenuto ufficiale senza equivoci dato da Acheson all'ambasciatore di Norvegia al momento della sua ammissione alla seduta ieri l'altro, nonché accettazione da parte dei Sette che il delegato norvegese presentasse nel corso della seduta stessa alcune osservazioni al progetto del testo, costituiscano prove evidenti dell'avvenuto invito e pongono Norvegia in posizione differente dagli altri futuri invitandi con eventuali differenti diritti.

Giudicherà V.E. se non debba inferirsi da ciò che a Washington linguaggio tenuto a Norvegia differisce, anche se solo in sfumatura, da quello tenuto a noi. Vedendo le cose da Oslo non posso che confermare l'impressione che la Norvegia stia servendo come «testa di turco» nei nostri riguardi.

499

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 1739/121. Roma, 7 marzo 1949, ore 19,20.

Ricevendo stasera ambasciatore di Francia gli ho detto che apprezzavo altamente linea Governo francese circa nostra partecipazione Patto atlantico.

Che tale linea fosse dettata Schuman dalla visione nostri interessi comuni accresceva mio profondo apprezzamento perché ciò garantiva anche meglio continuità della nostra solidarietà.

Gli ho spiegato, come già a Dunn e Mallet1 , sicurezza nostra decisione malgrado incidente direzione P.S.L.I.

499 1 Vedi D. 490.

498 1 Vedi D. 492.

500

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2130/59. Gerusalemme, 7 marzo 1949, ore 12 (perv. ore 19,30). Mio telegramma 49 1•

Colloquio avuto Amman ministro affari esteri confermato che nella presente situazione leggi e regolamenti Transgiordania assicurano eguaglianza trattamento persone fisiche e giuridiche appartenenti varie nazioni e che pertanto in seguito approfondirsi esame questione da parte consulente giuridico, Governo non vede possibilità scambio di lettere tenore proposto sia pure riferito a soli paesi non arabi. Avendo spiegato ragioni nostro desiderio ministro degli affari esteri mi ha espresso sua soddisfazione proposito Italia negoziare non appena possibile trattato di amicizia, trattato di commercio, navigazione e stabilimento assicurandomi che cittadini [italiani in] Transgiordania saranno intanto protetti leggi esistenti e considerati particolare stima e benevolenza.

501

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2135/145. Parigi, 7 marzo 1949, ore 19,25 (perv. ore 21).

Mio 1431 .

A completamento delle informazioni di cui al mio telegramma sopracitato questo Ministero esteri mi ha detto risultargli che decisione per piena ammissione Italia come firmatataria originale è stata presa da Truman. Desiderio espresso da Acheson di mantenerla segreta per qualche giorno è dovuto, secondo questo Ministero esteri, a necessità prendere ancora qualche tempo per fare accettare da senatori tale superiore decisione; Acheson desidererebbe svolgere tale lavoro di convinzione, per cui occorrerà forse una settimana, senza essere molestato da indiscrezioni stampa.

Di fronte a comunicazione di cui sopra fatta da Acheson in riunione 4 corrente nessuno ha più sollevato obiezioni. Formula che era stata escogitata a Londra per superare eventuali residui di perplessità americana, non è stata nemmeno proposta per essere divenuta inutile.

A parte situazione Norvegia, questo Ministero degli esteri ignora formula che sarebbe adottata per Danimarca, Portogallo e Islanda.

500 1 Vedi D. 406. 501 1 Vedi D. 493.

502

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2141/32. Osio, 7 marzo 1949, ore 21,40 (perv. ore 4,30 dell'B).

Trattandosi forse per V.E. di cronaca retrospettiva credo utile informare (con riferimento suo telegramma n.11 )1 di avere appreso oggi che questo ambasciatore di Inghilterra aveva in un primo momento ricevuto istruzioni di fare accettare qui formula di compromesso concertata a Londra, ma ebbe susseguentemente ordine soprassedere perché «a Washington era stato deciso differentemente e Norvegia era stata ormai ammessa di pieno diritto».

Mi risulta inoltre che Foreign Office parlò negli stessi termini post factum a ambasciatore Norvegia a Londra.

Aggiungo ad ogni buon fine che l'ambasciatore di Gran Bretagna qui, ad un influente uomo politico norvegese che lo interrogava in proposito e che me ne ha parlato in via strettamente confidenziale, ha detto stamane che «problema ammissione Italia presenta ancora molti "se" e molti "ma"».

Dato che l'ambasciatore è sempre molto prudente e circospetto nel parlare sarei indotto a pensare che frase da lui pronunziata corrisponde ad istruzioni avute.

503

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PERSONALE 2148/2281 . Washington, 7 marzo 1949, ore 22,40 (perv. ore 8.30 dell'B). Mio 2162 .

Acheson ha oggi improvvisamente convocato ambasciatorP.

Secondo prime informazioni confidenziali, discussione ha avuto principalmente per oggetto testo del Patto, che, nel preambolo ed in alcuni articoli, richiede tuttora perfezionamenti di forma.

Dipartimento di Stato ritiene che accorreranno ancora due sedute, probabilmente venerdì prossimo e lunedì 14, e che firma potrà aver luogo primi giorni aprile. Non è escluso peraltro che sedute siano più numerose.

503 1 Testo originale dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Washington.

2 Vedi D. 480.

3 Si riferisce alla sedicesima riunione degli «Exploratory talks on security» il cui verbale americano è pubblicato in Foreign Relations ofthe United States. 1949, vol. IV, cit., pp. 166-174.

Questione Italia non è stata specificamente trattata, ma, da accenni che ne sono stati fatti, non (dico non) è apparsa alcuna opposizione. Ambasciatore britannico ha detto non aver ancora ricevuto definitive istruzioni di cui a mio telegramma citato. Tuttavia si conferma impressione che tali istruzioni saranno positive. Si prevede che, non appena testo sarà ulteriormente perfezionato, e cioè probabilmente venerdì, esso ci verrà comunicato insieme ad invito a dichiarare nostra accettazione e a partecipare successive sedute.

È stato deciso di non fare per il momento nessuna comunicazione alla stampa. Prego perciò mantenere assolutamente segrete informazioni di cui sopra. Sarebbe molto utile se, appena conosciuto testo costà (che mi si descrive in ogni sua parte come estremamente prudente e soddisfacente e comunque non suscettibile modificazioni sostanziali), mi si dessero d'urgenza istruzioni per rapida accettazione invito. Ciò permetterebbe poter partecipare sedute conclusive4 .

502 1 Vedi D. 475.

504

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2154/73. Londra, 7 marzo 1949, ore 21 (perv. ore 8 del/'8).

Jebb mi ha oggi consegnato una nota a firma Bevin nella quale:

-si ricorda decisione presa 25 ottobre 1948 a Parigi dal Consiglio consultivo Patto Bruxelles per creazione Comitato studio per unità europea; -si citano lavori di detto Comitato novembre 1948 e gennaio 1949; -si informa che Consiglio consultivo Bruxelles nella sessione 28 gennaio

a Londra1 si è dichiarato d'accordo sulla desiderabilità istituire un Consiglio di Europa composto da Comitato ministri e da Assemblea consultiva. Comitato ministri, formato da un ministro per ogni paese partecipante, con competenza discutere qualsiasi questione di interesse comune ad eccezione problemi difesa; Assemblea consultiva, con funzioni deliberative e compito presentare raccomandazioni a Comitato ministri, non avrebbe poteri legislativi e ogni Governo deciderebbe procedura per nomina rappresentanti;

-Consiglio consultivo Bruxelles ha incaricato propria Commissione permanente preparare progetto per organizzazione Consiglio Europa da servire come base di discussione a Conferenza alla quale Consiglio ha deciso invitare Governi Danimarca, Irlanda, Italia, Norvegia e Svezia;

-a nome Governi Patto Bruxelles, Bevin mi incarica trasmettere Governo italiano invito partecipare Conferenza di cui sopra da tenersi a Londra e cui data è provvisoriamente fissata per 28 corrente. Nel trasmettere detto invito Bevin aggiunge

504 1 Vedi DD. 197, 223 e 264.

che sarebbe di grande interesse poter ricevere prima della Conferenza eventuali osservazioni preliminari del Governo italiano sul progetto preparato da Commissione permanente (che invio corriere odierno e che è tuttora da considerare confidenziale).

Circa data della Conferenza Jebb mi prega chiarire che provvisorietà è dovuta necessità tenere presente eventuale firma Patto atlantico che richiederebbe intervento stessi ministri degli esteri.

Secondo Jebb sarebbe previsto in linea di massima che, se possibile, ministri degli esteri paesi partecipanti, dopo sedute inaugurali Conferenza per Consiglio di Europa a Londra, si recassero a firmare Patto atlantico tornando quindi a Londra per continuazione lavori Conferenza prima di Pasqua.

Dell'avvenuto invito di cui sopra viene qui dato stasera breve comunicato alla stampa, mantenendosi riservato testo invito stesso nonché progetto organizzazione Consiglio Europa che vi era allegato.

503 4 Per la risposta vedi D. 507.

505

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A GEDDA, ZAPPI

TELESPR. RISERVATO 11/04420/C. Roma, 7 marzo 1949.

Riferimento: Telespresso in data 28 gennaio u.s. n. 242/341 . Si fa riferimento al telespresso sopra citato con il quale V.S. ha comunicato che

S.M. il re Ibn Saud ha deciso di riaprire la legazione arabo-saudiana a Parigi destinandovi quale ministro il dr. Rachad Faraone.

In relazione a tale notizia sarebbe gradito conoscere il parere della S.V. in merito all'opportunità di un nostro sondaggio, da compiersi nella forma e nei modi che ella crederà di suggerire, inteso a fare intendere al re lbn Saud che al Governo italiano sarebbe gradito l'accreditamento a Roma di un suo rappresentante diplomatico il quale potrebbe anche essere lo stesso già accreditato a Parigi.

Tale passo sarebbe ispirato al nostro desiderio di far sì che, tra le rappresentanze dei paesi musulmani esistenti a Roma, non rimanga assente l'Arabia Saudita con la quale abbiamo sempre intrattenuto rapporti particolarmente cordiali e verso la quale ci proponiamo di sviluppare, con reciproco vantaggio, una sempre più intensa corrente di scambi commerciali.

Si prega altresì la S.V. -in connessione od anche indipendentemente dalla proposta di cui sopra-di voler esprimere il proprio avviso sulle probabilità di accoglimento che potrebbe avere, da parte del Governo saudiano, un'eventuale nostra iniziativa diretta ad intraprendere costì negoziati in vista della stipulazione di un trattato di amicizia, commercio e navigazione sullo stesso schema (qui unito in copia) sul quale sono stati felicemente conclusi di recente analoghi accordi con la Grecia e con il Libano2 .

2 Per la risposta vedi D. 737.

505 1 Non pubblicato

506

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 085. Parigi, 7 marzo 19491•

Il Quai d'Orsay prevede che in relazione alla pubblicazione del Patto atlantico, pubblicazione che sicuramente avverrà prima della firma, una violenta campagna comunista si scatenerà sulla stampa e in Parlamento e ritiene necessario di preparare fin d'ora gli elementi e la documentazione per chiarire il significato e la portata del Patto ali' opinione pubblica ed al Parlamento.

A tale scopo si sta procedendo presso il Quai d'Orsay alla costituzione di una speciale Commissione di esperti e di giuristi col compito di preparare ogni utile elemento per illuminare il paese e per rispondere agli attacchi dei comunisti, i quali, verosimilmente, accuseranno il Patto di essere contrario alla Carta delle N azioni Unite e al trattato di alleanza franco-russo.

La questione, rileva il Quai d'Orsay, è tanto più delicata in quanto si dovranno respingere le accuse, documentando che il Patto atlantico non è che una conseguenza della politica di Mosca n eli 'Europa orientale, evitando però di invelenire la contesa e di dare al Patto un aspetto provocatorio.

Il Quai d'Orsay, nel mettermi al corrente delle sue preoccupazioni e dei suoi preparativi, mi ha fatto osservare che anche noi immancabilmente ci troveremo fra breve in una situazione simile, di dovere cioè difenderci da una offensiva di propaganda comunista contro il Patto.

Sarebbe bene quindi, secondo il Quai d'Orsay, che anche noi predisponessimo la difesa e provvedessimo tempestivamente a orientare nella maniera più opportuna l'opinione pubblica.

Il Quai d'Orsay mi ha offerto di mettere a nostra disposizione il materiale storico e giuridico che raccoglierà, materiale che però potrà essere solo parzialmente utile ai nostri fini data la nostra differente situazione giuridica (non membri dell'O.N.U., nessun trattato con la Russia). Medesime suggestioni e offerte sono state fatte dal Quai d'Orsay agli altri partecipanti al Patto atlantico.

Dato che il Quai d'Orsay attribuisce importanza alla cosa, mi sarebbe gradito, onde tenerlo al corrente, di conoscere quali disposizioni noi pensiamo di prendere.

Aggiungo che, a parte la reazione polemica e propagandistica dei comunisti, il Quai d'Orsay non prevede per il momento nessuna particolare reazione dell'U.R.S.S. nel campo diplomatico o nel campo pratico.

Le informazioni pervenute al Quai d'Orsay confermano che non vi sarebbe nessun pericolo sulla frontiera finlandese e che anzi sia gli aeroporti sia le strade d'accesso alla Finlandia, sono tuttora in condizioni di inservibilità2 .

2 Con T. s.n.d. 1802/127 del IO marzo, Zoppi rispose: «Abbiamo già preparato qualche documentazione generica. Ringrazi codesto Governo e lo assicuri che gradiremmo avere comunicazione materiale costà raccolto che ci potesse interessare».

506 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

507

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A WASHINGTON, TARCHIANI, A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

T. s.N.D. 1766/c. Roma, 8 marzo 1949, ore 23.

T. 1765/c.'. Oggi2 feci dettagliata relazione Consiglio dei ministri. Conclusi che, lavo

rando per inclusione Italia nel Patto atlantico, sapevo aver servito interessi essenziali nostro paese, di cui supremo è pace. Adesione fu unanime compresi i ministri socialisti. Saragat anzi ebbe parole piena solidarietà per opera diplomatica compiuta, concludendo che dovere Italia era stare accanto America solo modo sicuro garantire pace.

508

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2168/74. Londra, 8 marzo 1949, ore 14 (perv. ore 19). Telegramma di VE. 72 1• Ebbi ieri con Massigli colloquio preannuziato.

Massigli mi ha detto che conversazione a tre, da riprendersi a Londra e Washington, dovrebbe esser preceduta da accordi precisi tra Roma e Parigi, onde non vi siano esitazioni di interpretare con gli inglesi definita linea direttiva dei nostri Governi. Impressione Massigli è che richiesta del trusteeship italiano per la Tripolitania non dovrebbe incontrare serie difficoltà da parte britannica purché tutto sia ben chiarito tra noi e purché U.S.A. abbiano a recedere da posizione presa nei confronti nostre colonie.

Assai più difficile e complessa è, secondo Massigli, la soluzione del problema eritreo per il quale egli personalmente non vede possibilità di soluzione prossima. Da parte mia gli dissi che quanto V.E. aveva pubblicamente espresso circa le nostre inten

2 Vedi D. 511, nota l. 508 1 Vedi D. 474.

zioni per l'Eritrea2 , dimostrava massima buona volontà e moderazione italiana, ma che a proposta anglo-americana di cessione dell'Eritrea all'Etiopia ci saremmo opposti in tutti i modi e decisamente, anche perché contraria in principio allo spirito delle Nazioni Unite che non dovrebbe tollerare cessioni e contrattazioni di territori e di popolazioni senza nemmeno interrogare le loro aspirazioni e volontà. Massigli accennò vagamente alla possibilità di un rinvio all'Assemblea O.N.U. per dar tempo ad un più maturo esame del problema da parte di tutti. Non mi sembra tuttavia che per quanto ha rapporto all'Eritrea vi sia da parte francese lo stesso interesse di sostenere le nostre ragioni come per la Tripolitania. E perciò appunto riterrei opportuno in questo momento fossero chiarite a fondo le intenzioni e le direttive francesi anche per l'appoggio che la Francia potrebbe o non (dico non) darci a Lake Success nel caso che noi dovessimo prendere posizioni in netta antitesi col mondo anglo-sassone e per non essere abbandonati all'ultimo momento da chi ci avesse potuto dare l'illusione dell'aiuto.

507 1 Pari data, non pubblicato: trasmetteva il comunicato ufficiale diramato alla stampa al termine del Consiglio dei ministri che era così formulato: «Ministro Sforza ha riferito su situazione internazionale e politica estera Italia. Hanno preso parola in merito ministri Saragat, Pacciardi, Grassi, Gonella, Giovannini. Discussione è stata riassunta e conclusa da presidente Consiglio. Si è preso atto unanimamente e con soddisfazione che tutta opera ministro esteri è rivolta a consolidamento pace e sicurezza nazionale».

509

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2181/147. Parigi, 8 marzo 1949, ore 21 (perv. ore 24).

Parodi mi ha detto che è ormai acquisita idea che Italia firmi Patto atlantico lo stesso giorno in cui lo firmeranno gli altri. È attualmente solo in discussione se Patto sarà firmato prima dai Sette e qualche ora dopo da noi e dagli altri. Mi ha aggiunto che da parte francese non si dava a questo molta importanza perché si mantiene principio firma lo stesso giorno.

Americani sembrano ora presi da grande fretta: volevano accordo sul testo per giorno 11 il che è per Francia materialmente impossibile, Consiglio dei ministri non avendo ancora avuto conoscenza testo definitivo.

A mia richiesta, mi ha detto che risultato discussioni Acheson con Senato e Congresso potrebbe però tuttora rimettere in questione accettazione nostra adesione e si è mostrato alquanto preoccupato azione che ambasciata d'Inghilterra potrebbe ancora esercitare su parlamentari americani ed ancor più per ripercussioni ambienti parlamentari americani voto Partito socialista lavoratori italiani che secondo lui può rafforzare opinione abbastanza diffuse non sufficiente maturazione opinione pubblica italiana.

A questo proposito gli ho sviluppato argomenti di cui a suoi telegrammi 1171 e successivi2 e gli ho ripetuto assoluta sicurezza Governo italiano aver maggioranza Parlamento in appoggio sua politica estera. Debbo dire però che da insistenza

con cui Parodi mi ha chiesto chiarimenti ed assicurazioni ho tratto impressione che informazioni Quai d'Orsay da altre fonti sono meno ottimistiche di quelle che diamo noi. Ha comunque marcato necessità urgente convincere americani che

. . .

siamo s1cun successo.

508 2 Si riferisce all'intervista a Sforza pubblicata nel Messaggero dell'8 febbraio: vedi «Relazioni internazionali», anno XIII (1949), n. 8, p. 113. 509 1 Vedi D. 489, nota 3. 2 Vedi D. 490.

510

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER TELEFONO 2173/148. Parigi, 8 marzo 1949, ore 21.

Mio 147 1• Schuman mi ha dato lettura telegramma ricevuto in questo momento da Bonnet secondo cui:

l) data firma Patto atlantico è stata fissata 4 aprile; 2) dobbiamo attenderci ricevere invito settimana prossima o al massimo primissimi giorni settimana successiva.

A mia richiesta se questa era soluzione delle preoccupazioni di Parodi mi ha detto trattasi decisione definitiva presa poche ore fa.

Mi ha chiesto ancora assicurazioni circa accettazione da parte Parlamento italiano aggiungendomi che difficoltà da parte nostro Parlamento andrebbero aumentare difficoltà che lui stesso prevede da parte Parlamento francese. Ho avuto stesse espressioni che con Parodi.

Gli ho ripetuto espressione di VE. tenuta con Fouques-Duparc di cui al suo 1212 .

511

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE PERSONALE 2192-2191/231-233. Washington, 8 marzo 1949, ore 15,30 (perv. ore 3 del 9).

Mi riferisco al mio telegramma 230 1 .

Stamane Hickerson mi ha annunciato che paesi attualmente partecipanti trattative Patto atlantico hanno unanimemente deciso invitare Italia ad associarsi a trattative medesime.

Oggi Dipartimento di Stato confermerà per iscritto a questa ambasciata sue comunicazioni, illustrando fra l'altro natura del Patto. Frattanto Hickerson mi ha annunciato verbalmente che, in base al Patto, eventuali attacchi contro uno dei membri è considerato rivolto contro tutti. Egli ha aggiunto che Stati Uniti confidano essere fin da ora in grado di difendere effettivamente tutti i partecipanti.

Draft, nella sua formulazione semifinale concordata ieri, è stato trasmesso da ambasciatori a rispettivi Governi. Non appena questi lo avranno approvato in linea di massima, cioè probabilmente venerdì o sabato, esso verrà comunicato a Italia Danimarca Islanda Portogallo.

Nello stesso momento, previo mutuo accordo qui, invito a Italia potrà essere pubblicamente annunciato.

Pubblicazione del testo è prevista per settimana prossima. Emendamenti che fossero eventualmente proposti da noi durante ultime sedute, nonché suggerimenti che scaturissero da discussioni pubbliche dopo che testo sarà stato reso noto, verranno attentamente studiati. Tuttavia, poiché attuale draft è già frutto assai lunghe discussioni che hanno tenuto conto di tutti gli aspetti del problema, è presumibile che difficilmente apparirà opportuno apportarvi modifiche.

Patto verrà firmato Washington 4 aprile. È prevista presenza diversi ministri affari esteri tra cui Bevin. Governo americano gradirebbe molto presenza di V.E.

Dipartimento di Stato sarebbe lieto se, quando nostra partecipazione sarà annunciata, Governo italiano trovasse modo accennare pubblicamente che, come già comunicato a Governi interessati, non intende prendere spunto dall'adesione al Patto atlantico per sollevare questioni revisione trattato di pace. Ad avviso Dipartimento di Stato, siffatta dichiarazione sarebbe utile allo scopo evitare speculazioni sovietiche.

Riassumo qui di seguito appunto scritto testé consegnato a questa ambasciata da Dipartimento di Stato.

Appunto, dopo aver fatto esplicito riferimento a nostre comunicazioni 12 gennaio e l o marzo2 e dopo aver descritto brevemente fase iniziale trattative, illustra natura progettato Patto. Questo è concepito nel quadro Nazioni Unite e si propone tutelare comune retaggio delle parti contraenti nonché accrescere sicurezza Nord Atlantico. Pertanto suoi obiettivi sono:

l) rendere guerra meno probabile, mostrando a eventuale aggressore precisa volontà resistere collettivamente;

2) predisporre mutua assistenza;

3) predisporre consultazione fra i membri, a richiesta di uno di essi in caso di attacco o minaccia di attacco; 4) predisporre che, in caso di attacco armato contro uno dei membri, gli altri prendano individualmente e collettivamente misure necessarie per ristabilire sicurezza; 5) predisporre organi occorrenti per mutua consultazione politica e militare.

Appunto chiarisce che vi sarà preciso obbligo contribuire, prima e dopo eventuale attacco, a comune difesa nella misura consentita da rispettive forze. Tut

tavia, poiché nei paesi democratici dichiarazione di guerra è generalmente prerogativa parlamentare e poiché d'altra parte potrebbe essere conveniente che taluna delle parti contraenti rimanesse neutrale nell'interesse di tutte le altre fino a quando non attaccata direttamente, Patto non (dico non) prevede automatica dichiarazione di guerra.

Appunto prosegue affermando che draft sarà probabilmente pronto entro corrente settimana e che quindi sarà comunicato a paesi cui adesione è desiderata. Questi potranno partecipare a eventuali ulteriori discussioni precedenti firma. Pubblicazione del Patto è prevista per 15 corrente e firma, da parte dei ministri affari esteri che vorranno parteciparvi, è prevista per 4 aprile. Paesi cui adesione è desiderata sono Norvegia, già ammessa discussioni da 4 corrente, Italia Danimarca Islanda e Portogallo.

Appunto conclude esprimendo speranza che Italia accetti partecipare come firmatario originario. Poiché appunto di cui sopra sembra rispondere esaurientemente tanto a richieste contenute nostri memoranda gennaio circa natura del Patto quanto a nostro passo del

0

corrente, prego farmi conoscere se posso fin da ora comunicare Dipartimento di Stato che Governo italiano è lieto partecipare ultima fase trattative in vista sua adesione come firmatario originario3 .

Confermo che comunicazioni di cui sopra sono per ora segrete.

510 1 Vedi D. 509. 2 Vedi D. 499. 511 1 Delle ore 12, con il quale Tarchiani anticipava che proprio in quel momento Hickerson gli aveva comunicato che l'Italia era «stata invitata partecipare trattative per Patto atlantico».

511 2 Vedi DD. 50,70 e 438.

512

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2201/24. Ottawa, 8 marzo 1949, ore 16,35 (perv. ore 7,30 del 9). Miei telegrammi 191 e 232 .

Permettomi sottoporre V.E. opportunità qualora ritenuto del caso, esprimere a questo Governo apprezzamento Governo italiano per atteggiamento favorevole del Canada circa nostra adesione Patto atlantico, specialmente in ultime fasi trattative.

A quanto mi è stato riferito, posizione canadese nei nostri riguardi, in alcune più importanti sedute Washington febbraio e marzo, sarebbe stata definita da fonte francese come «elemento più confortante» ed addirittura «punto luminoso»3 .

V.E. prospettata, di esprimere nostro apprezzamento per atteggiamento favorevole assunto a Washington da rappresentante canadese».

511 3 Per la risposta vedi D. 514. 512 1 Vedi D. 466. 2 Pari data, con esso Di Stefano comunicava le notizie ricevute dall'assistente ministro degli esteri circa l'imminente invio dell'invito all'Italia a partecipare al Patto atlantico. 3 Con T. s.n.d. 1872/10 dell'li marzo Sforza rispose:« Concordasi in merito opportunità, da

513

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 339/116. Copenaghen, 8 marzo 19491•

In occasione del banchetto annuale dell'Associazione della stampa estera questo ministro degli affari esteri ha pronunciato ieri sera l'atteso discorso sulla nuova posizione della Danimarca.

Rasmussen si è riportato all'inizio del dopo-guerra quando i popoli speravano che con l'organizzazione delle Nazioni Unite si sarebbe entrati in un lungo periodo di vera pace e di sicurezza. Ha quindi ricordato i primi segni di incertezza e di sfiducia divenuta poi tensione fra le potenze già alleate: i tentativi faticosamente condotti e risoltisi poi in un completo insuccesso per giungere a una comune riduzione degli armamenti e a un controllo collettivo della produzione dell'energia atomica. Ha poi passato in rassegna la fase dei patti regionali, tra i quali ha citato in ordine cronologico le alleanze dell'Unione Sovietica con una serie di paesi dell'Europa orientale, il patto di Rio de Janeiro delle diciannove repubbliche americane, l'Unione Occidentale di Bruxelles. Nella serie dei patti regionali e nel quadro delle Nazioni Unite intendeva inserirsi la progettata unione scandinava di difesa, di cui il ministro Rasmussen ha fatto la storia delle trattative ed ha sottolineato che il Governo danese ha la coscienza di aver fatto tutto il possibile per creare detta unione.

Dopo aver constatato che non vi era neppure la possibilità di un'unione dano-svedese, Rasmussen ha rilevato che non vi era per la Danimarca che una alternativa che in realtà si riduce ad una soluzione: l'adesione al Patto atlantico, dato che la condizione di isolamento, nella quale si sarebbe trovato il paese, si esclude da sé.

Passando a trattare del Patto atlantico il ministro Rasmussen ha ricordato che ali' origine di esso sono la dottrina Truman formulata nel discorso al Congresso del 12 marzo 194 7 e la risoluzione Vandenberg approvata dal Congresso americano l'Il giugno 1948. Premesso che i Governi interessati sono tenuti al corrente del contenuto del progetto, Rasmussen ha affermato che nessuna delle disposizioni del Patto è contraria alla Carta delle Nazioni Unite.

Riferendosi alla disposizione, tanto discussa nella stampa, secondo la quale se un attacco contro uno dei paesi deve essere considerato un attacco contro tutti e se gli altri membri sono impegnati a prendere subito provvedimenti militari necessari per ristabilire e mantenere la sicurezza della regione, Rasmussen ha detto che, per quanto egli sa, gli Stati membri devono esaminarla tra loro, su domanda di uno di essi il quale ritenga che esiste una minaccia contro la sua sicurezza.

Infine il ministro ha annunciato che il Governo, in seguito ad accordi presi con i partiti aderenti alla sua politica, ha deciso di inviarlo a Washington per mettersi in

contatto diretto con il Governo americano e «creare così la base migliore per le decisioni definitive della Danimarca».

Si sa però che questa formula circospetta è stata usata per ragioni parlamentari, per riguardo alle suscettibilità dei partiti fiancheggiatori; in realtà i tempi stringono e il ministro Rasmussen deve anticipare la sua partenza per cercare di ottenere l 'ammissione della Danimarca nella fase conclusiva dei negoziati per la redazione del Patto atlantico. Rasmussen partirà domani in aereo per Washington dove conta di essere ricevuto venerdì dal segretario di Stato Acheson.

513 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

514

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1772/132. Roma, 9 marzo 1949, ore 14,45.

Suo 233 1 .

Segreto decifri ella stessa.

V.E. può comunicare che Governo italiano è lieto partecipare ultima fase trattative in vista sua adesione come firmatario originario.

515

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 1791/133. Roma, 9 marzo 1949, ore 21,15.

Suo2331 .

È nostra intenzione non impiantare discussione sulla interpellanza Nenni ma precederla con preventive dichiarazioni del Governo al Parlamento posdomani e siamo sicuri di una larga approvazione della nostra politica. Gradirei sapere massima urgenza cosa possiamo annunziare circa arrivo invito. Naturalmente non citeremmo alla Camera le informazioni finora segrete contenute nell'appunto circa Patto. Posdomani alla Camera o lunedì al Senato terremo conto della giusta raccomandazione di cui ali 'ultimo capoverso del suo 231 2 .

2 Qui corrispondente al sesto capoverso della pagina 556. Con T. s.n.d. 2259/240 del IO marzo Tarchiani rispose: «Dipartimento di Stato, informato che il Governo italiano si propone di tener conto raccomandazione di cui ultimo capoverso mio telegramma 231, ha espresso vivo apprezzamento».

514 1 VediD.511.

515 1 Vedi D. 511.

516

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2216-2217/149-150. Parigi, 9 marzo 1949, ore 12,25 (perv. ore 16).

Suo 106 1•

Schuman mi ha detto che 14 deve recarsi Londra per riunioni Cinque e sarà ritorno Parigi 17. Spera che per quella data sarà stato possibile raggiungere accordo temporaneo per pagamenti. Fouques gli aveva telegrafato decisioni prese in proposito da Consiglio dei ministri (delle quali non si è ritenuto opportuno che anche questa ambasciata fosse informata) che considerava come possibile base di discussione. Dopo di che si poteva procedere firma accordi Unione doganale ad una data suo gradimento dopo il 20.

Dato che V.E. dovrebbe essere 28 Londra per riunione ministri esteri Consiglio Europa (Schuman ha ritenuto non fare obiezioni proposta Bevin tenere riunione Londra e sul piano ministri degli esteri non ambasciatori) si domanda se non sarebbe più comodo per V.E. venire Parigi giorno precedente e proseguire poi insieme per Londra.

Pur lasciando naturalmente decisione a V.E., mi ha fatto comprendere che sarebbe questa soluzione da lui preferita2 .

Schuman, che aveva ricevuto telegramma Fouques circa conversazione di cui a lettera Zoppi 3/7093 , mi ha detto che considera progetto americano come assurdo. Dato che c'è possibilità per noi aver Tripolitania come trusteeship è inutile andare a cercare soluzioni che non fanno che complicare situazione già non facile. Avendogli accennato ad alcune sue considerazioni sull'argomento mi ha detto che bisogna fare molta attenzione con americani i quali, essendo in questo momento umore generalmente anticolonialista, possono facilmente derivare verso soluzioni che sono il contrario di quel che noi desideriamo.

Mi ha ripetuto ritenere urgente discussione a tre (Francia, Inghilterra, Italia) per fare proposte comuni ad americani: tempo che ci separa da inizio lavori O.N.U. è allo spirare e bisogna far presto.

Mentre è ottimista per Tripolitania mi ha detto che conversazioni francesi Londra Washington per Eritrea non hanno portato nessun progresso: su questo punto bisognerebbe orientare sforzi comuni verso rinvio soluzione. Forse fra qualche mese, quando Unione Europea sarà realtà più concreta, proposta avanzata V.E. Cannes potrebbe avere maggiore possibilità. Ritiene comunque anche rinvio come assai difficile4 .

2 Con T. 1820/128 dellO marzo Sforza aderì alla proposta di Schuman.

3 Vedi D. 470, nota 2.

4 Gli ultimi tre capoversi furono ritrasmessi a Londra e Washington con Telespr. segreto 3/793/c. del!' Il marzo.

516 1 Vedi D. 434.

517

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2218/151. Parigi, 9 marzo 1949, ore 13,30 (perv. ore 16).

Miei 147 e 148 1•

Quai d'Orsay informa che time table desiderato da americani sarebbe seguente: accordo dei Sette sul testo, comunicazione del testo ai paesi invitati (Italia, Portogallo, Danimarca, Islanda), comunicazione del testo ai paesi del Commonwealth e a quelli del Patto di Rio de Janeiro, invito a partecipare alle ulteriori conversazioni di Washington agli ambasciatori dei paesi invitati, se questi lo desiderano (Quai d'Orsay ritiene che tutti accetteranno), pubblicazione del Patto. Americani, che sono ora animati da massima fretta, avrebbero desiderio che tutto avvenisse entro questa settimana.

Da parte francese è stato fatto sapere agli americani che necessità mettere al corrente Governo e ambienti parlamentari -Shuman comincia oggi esposizione in Consiglio dei ministri -tempo sembrava troppo ristretto, ma che Governo francese non si opponeva e anzi favoriva comunicazione testo a paesi invitati e invito ambasciatori a partecipare quanto prima a conversazioni Washington.

518

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 2297/237. Washington, 9 marzo 1949, ore 22,30 (perv. ore 9 dellO).

Eseguita comunicazione di cui al telegramma 1321 . Dipartimento di Stato ne ha preso atto e ha in pari tempo apprezzato vivamente notizie fornitegli circa seduta del Consiglio dei ministri di cui ai suoi 1765 e 17662 . Circa ulteriore procedura e in particolare circa pubblico annunzio dell'invito, mi risulta in via strettamente confidenziale, estranea a Dipartimento di Stato, quanto segue. Questo ambasciatore Canada sostiene non potersi comunicare draft a Italia e agli altri paesi fino a quando non sarà stato approvato definitivamente dagli otto Governi ed inoltre dubita di ricevere approvazione da Ottawa entro venerdì. Viceversa altri sette paesi sarebbero disposti comunicare draft venerdì anche nel caso esso non sia stato definitivamente approvato da tutti.

518 1 Vedi D. 514. 2 Vedi D. 507.

Obiezione Canada, qualora persistesse, potrebbe comportare ritardo non solo nella comunicazione del draft a noi e ad altri paesi interessati, ma anche nella pubblicazione annunzio dell'invito. Di conseguenza tale annunzio potrebbe coincidere con pubblicazione del draft, irrevocabilmente decisa per martedì. Ciò ci consentirebbe partecipare soltanto a sedute che avessero eventualmente luogo dopo pubblicazione draft. Pregasi informare esito eventuali passi Ottawa.

Frattanto Acheson, in odierna conferenza stampa, ha detto chiaramente che è stato ormai deciso quali paesi saranno invitati e che presto si saprà quali sono e quali di essi accettino. Questa era la situazione stasera quando ho ricevuto suo telegramma 1333 .

Domani mattina agirò presso Dipartimento di Stato facendo presente che:

l) Governo italiano desidera essere messo in grado poter dire venerdì al Parlamento che invito è pervenuto o sta per pervenire;

2) Governo italiano desidera esaminare testo draft in tempo utile per potermi autorizzare non solo a partecipare seduta immediatamente successiva a quella di venerdì (che avrà luogo probabilmente lunedì 14) ma anche a dichiarare, nella stessa seduta, che Italia approva drafì.

Telegraferò subito esito miei passi4 . Frattanto ho suggerito a Dipartimento di Stato inviare draft fin da ora ad ambasciata degli Stati Uniti Roma affinché questa possa comunicarlo a V.E. contemporaneamente a consegna che verrà fatta a questa ambasciata5 .

517 1 Vedi DD. 509e510.

519

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLA LEGAZIONE D'AUSTRIA A ROMA

PROMEMORIA 250 SEGR. POL. Roma, 9 marzo 1949.

Il Governo italiano ha avuto cura di illustrare chiaramente e tempestivamente al Governo austriaco il proprio punto di vista in merito alle condizioni morali e giuridiche nelle quali riteneva che la procedura di revisione delle opzioni degli alto-atesini dovesse avere luogo perché non si verificasse, a distanza di dieci anni, una seconda migrazione attraverso il Brennero non del tutto, o quanto meno, non in tutti i casi, corrispondente ai veri sentimenti ed ai reali interessi degli individui coinvolti in tale nuovo trasferimento di popolazione.

4 Vedi D. 527.

5 Con successivo T. s.n.d. 2270/243 del IO marzo Tarchiani aggiunse: «Mi risulta che neppure

Bonn et sarà in grado di comunicare domani in riunione Acheson approvazione drafi suo Governo perché Consiglio dei ministri francesi si riunirà soltanto domani pomeriggio. Ciò nonostante questa ambasciata Francia, nei suoi odierni contatti con altre rappresentanze interessate, ha sostenuto opportunità che draft sia ugualmente consegnato a noi domani».

Tanto più che soltanto per rispetto della dignità della persona umana, oltre che per spirito di cristiana solidarietà, il Governo italiano era stato indotto a considerare a Parigi nel 1946 l'opportunità di dar modo agli alto-atesini già optanti per il Terzo Reich di esprimere nuovamente la propria volontà di fronte all'alternativa: vivere in Italia o riunirsi, oltre Brennero, agli originari ceppi etnici. E questa volta in una atmosfera non turbata da suggestioni nazionaliste e razziste quale era stata quella creata nel 1939 dalla propaganda nazista.

Con questo scopo in vista ed in questo spirito il Governo italiano poneva con il decreto legislativo n. 23 del 2 febbraio 1948 le premesse giuridiche per la revisione delle opzioni. Con lo stesso spirito di equità e di larghezza gli uffici diplomatici e consolari italiani in Austria e in Germania venivano messi in grado di iniziare adeguatamente la raccolta delle istanze anche dai centri più periferici con la creazione di appositi uffici distaccati, ed anche da parte di istanti non in condizione di muoversi, per età o per malattia, con l'ammettere l'invio per posta delle istanze di tali optanti. Con lo stesso spirito di equità e di larghezza veniva dato modo agli alto-atesini optanti di venire per brevi soggiorni in Italia così da constatare personalmente quali possibilità di sistemazione economica e morale riserbasse per loro l'Alto Adige. Ma da parte italiana veniva sopratutto posta ogni cura perché, non solo nessuna pressione, né materiale né morale, ma neanche nessuna suggestione, né ufficiale né ufficiosa, fosse esercitata sugli alto-atesini optanti per indurii a recedere dall'eventuale desiderio di far ritorno in Italia. E ciò qualunque potessero essere le preoccupazioni demografiche in contrario.

Ora, in contrasto con tale atteggiamento, il Governo italiano ha rilevato, e se ne è doluto con i pro-memoria del 2 ottobre e del 22 dicembre 19481, come da parte austriaca non ci si sia ispirati a pari equità e ad analoga larghezza di vedute ma come anzi si sia giunti ad adottare il 2 novembre 1948 da parte del Consiglio dei ministri austriaco misure che, per lo meno nella versione e nelle interpretazioni diffuse fra gli optanti, hanno assunto il carattere di una innegabile pressione materiale. Alla pressione materiale ha seguito la pressione morale insita nella delibera del Consiglio dei ministri austriaco del 30 novembre 1948 che ha, in effetti, subordinato il possibile acquisto della cittadinanza austriaca da parte degli optanti alla previa domanda di reintegro nella cittadinanza italiana.

Per quanto giuridicamente singolare possa apparire tale procedura, il Governo italiano non intende, davvero, interferire in quelle che sono le norme regolanti l'acquisto della cittadinanza austriaca.

A tale riguardo il Governo italiano desidera rilevare che non ha mai preteso come è stato asserito -che il Governo austriaco dovesse promettere agli alto-atesini optanti la concessione della cittadinanza austriaca né singolarmente né in blocco.

Il Governo italiano aveva solo la legittima aspettativa di non vedere alterata, sia pure solo subiettivamente, l'alternativa posta a ciascun optante con il decreto legislativo italiano del2 febbraio 1948, n. 23: cittadinanza italiana o cittadinanza germanica con equiparazione ai cittadini austriaci ai sensi della delibera ministeriale austriaca del 29 agosto 1945. Parificazione che, in quanto adottata anteriormente alle intese

i tal o-austriache per la procedura di revisione delle opzioni2 , costituiva il tacito presupposto delle intese stesse.

Né può sostenersi che la delibera austriaca del 29 agosto 1945 disponesse una disciplina provvisoria «per il periodo durante il quale la questione della nazionalità restava sospesa». Il 29 agosto 1945 non potevano prevedersi gli accordi De Gasperi-Gruber 5 settembre 1946 che avrebbero riaperta la questione della nazionalità degli optanti. Il 29 agosto 1945 gli optanti emigrati in Austria erano -a seguito della legge austriaca l Oluglio 1945 sulla cittadinanza-dei cittadini germanici residenti in Austria ai quali il Governo austriaco ritenne equo concedere l'equiparazione ai cittadini austriaci, non certo in previsione di riopzioni allora di là da venire e fuori del prevedibile, ma unicamente perché prima del l O luglio 1945 già essi risiedevano in Austria e godevano di quella che allora era la cittadinanza del paese.

Inoltre, per le circostanze stesse del loro trasferimento, essi non potevano essere considerati quali germanici del Reich immigrati in Austria in conseguenza dell'Anschluss né Volksdeutsche profughi dall'Europa sudorientale.

Comunque il Governo italiano vorrebbe accogliere l'assicurazione del Governo austriaco che nel promuovere le delibere del 2 e del 30 novembre abbia esulato dalle intenzioni della Cancelleria federale ogni intenzione di pressione materiale e morale, come vorrebbe credere alle spiegazioni date che le delibere stesse abbiano avuto carattere meramente «orientativo», per quanto non emanate e rese pubbliche contemporaneamente e parallelamente al decreto legislativo italiano del 2 febbraio 1948 ma bensì dieci-undici mesi dopo tale decreto e due-tre mesi prima della scadenza della procedura di revisione.

Ma, non è apparsa davvero «orientativa» la glossa che delle delibere ministeriali del 2 e del 30 novembre hanno diffuso, soprattutto ad Innsbruck e nel Tirolo, certa stampa, certi enti e certi ambienti i quali sono apparsi interessati più all'aspetto politico che all'aspetto umanitario, o anche solo umano, della revisione delle opzioni.

Ora la sincronizzazione, alla data del4 febbraio 1949, della scadenza del termine per la presentazione delle domande di revisione con la fine per i non rioptanti della parificazione del 1945 ha offerto buon giuoco a tale stampa, a tali enti e a tali ambienti per una propaganda intimidatoria che il Governo austriaco non ha, certo, contribuito a far cessare nonostante le ripetute sollecitazioni italiane.

Tale propaganda è apparsa chiaramente diretta a convogliare verso la revisione il maggior numero possibile di optanti compresi quelli che, avendo ormai stabilito in Austria la sede dei propri affetti o dei propri interessi, o, quanto meno, disponendo in Austria di una abitazione e di una occupazione, non avevano nessuna intenzione di rioptare per l'Italia.

Questi ultimi, come risulta da loro motivate e non sollecitate deposizioni, sono stati indotti a tal passo solo da grave timore per il proprio avvenire. I predetti non conoscevano, in effetti, le assicurazioni che il Governo austriaco aveva, in seguito alle ripetute sollecitazioni del Governo italiano, fornito in via diplomatica e secondo le quali «un trattamento equo ed umano» sarebbe stato riservato agli

alto-atesini che, sia optanti che rioptanti, intendessero rimanere in Austria in quanto il Governo austriaco aveva declinato di aderire alla ragionevole richiesta italiana che queste assicurazioni fossero, sia pur tardivamente, rese pubbliche. Tale deliberato silenzio ufficiale ha fatto sì che la revisione delle opzioni si sia svolta, successivamente all'adozione delle misure austriache del 2 novembre, con un ritmo di crescente nervosismo che ha raggiunto, con il volgere del 1948 e l'inizio del 1949, il carattere di afflusso massiccio sotto l'impulso di una vera e propria coercizione psicologica.

È in tali circostanze che il Governo italiano si è visto confrontato dal dovere non solo giuridico ma morale di porsi, e di porre al Governo austriaco, il problema della validità delle istanze presentate successivamente al 2 novembre e questo anche per aderire alle invocazioni degli interessati che, dopo aver presentato l'istanza di revoca dell'opzione hanno chiesto che questa venisse respinta in quanto con la procedura di revisione non intendevano affatto ottenere la cittadinanza italiana ma solo eludere le discriminazioni insite nelle delibere del 2 e del 30 novembre.

Il Governo italiano non potrà, pertanto, esimersi dal sottoporre al vaglio più attento le istanze di revoca delle opzioni presentate posteriormente al 2 novembre dato che su tutte grava una fondata presunzione di vizio di consenso.

Il Governo italiano porrà, peraltro, ogni cura perché siano prese in debita considerazione le istanze delle persone che risultino aver inteso veramente rioptare per l'Italia ed essersi spontaneamente e sinceramente indotti a presentare l'istanza negli ultimi tre mesi della procedura di revisione.

Il Governo italiano confida che il Governo austriaco vorrà riconoscere come fondata la preoccupazione che non venga concesso uno status di cittadinanza a chi ne ha fatto richiesta solo per timore grave o con restrizione mentale. I principi generali di diritto coinvolti sono troppo cogenti perché, in casi siffatti, non ne venga tenuto conto da parte degli organi incaricati dell'applicazione del decreto legislativo n. 23 del 2 febbraio 1948.

518 3 Vedi D. 515.

519 1 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 474 e 769.

519 2 Del22 novembre !947, vedi serie decima, vol. VI, D. 762.

520

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 242/815. Parigi, 9 marzo 1949 (perv. il 16).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 232 segr. pol. del 24 febbraio u.s. 1 .

Al Quai d'Orsay nulla risulta circa una eventuale intenzione americana di prendere l'iniziativa per una nuova dichiarazione sulla questione di Trieste in rela

zione all'anniversario di quella tripartita del 20 marzo 1948. Le ultime informazioni del Quai d'Orsay sull'argomento erano che gli americani preferivano di far dormire la cosa per non dare occasione ai sovietici di sostenere in un modo o nell'altro gli jugoslavi e per non turbare l'attuale situazione dei loro rapporti con il Governo di Belgrado.

Non sembrerebbe quindi nemmeno molto probabile al Quai d'Orsay che gli americani, anche desiderando aiutarci per la elezioni, vogliano compiere qualche nuovo gesto per Trieste nel senso da noi desiderato. Si tratta però unicamente di una impressione, perché da tempo gli americani non hanno riparlato della questione con il Quai d'Orsay.

D'altra parte, sempre come impressione, al Quai d'Orsay non sembra che la mossa russa per il governatore possa preludere ad una offensiva di molestia da parte dell'U.R.S.S. in questo settore, come sembra temere l'ambasciata a Mosca (suo

n. 15/04179 del 3 marzo) 2 e crede che l'iniziativa della designazione di Fltickiger si esaurisca senza nessun particolare seguito. Forse i sovietici l'hanno voluta fare per far vedere che, ad un anno di distanza dalla dichiarazione tripartita, essi considerano sempre aperta la questione.

520 1 Vedi D. 386.

521

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2252/978. Washington, 9 marzo 1949 (perv. il 15).

Mi sono recato oggi da questo ministro del Lussemburgo per ringraziarlo vivamente dell'azione personale, sempre a noi favorevole, svolta durante le recenti trattative per l'ammissione dell'Italia nel Patto atlantico.

Ho approfittato dell'occasione per intrattenere lungamente il signor Le Gallais sulla questione delle nostre colonie, dato anche che egli rappresenterà il suo paese ai prossimi lavori dell'Assemblea generale.

Dopo aver ascoltato l'esposizione della nostra tesi e aver convenuto sulla opportunità di concordare, prima dell'inizio dell'Assemblea generale stessa, un progetto che incontri il maggior numero possibile di adesioni, il signor Le Gallais mi ha assicurato che avrebbe cercato di svolgere a Lake Success ogni possibile opera a nostro favore.

Segnalo tuttavia che la sua reazione nei confronti delle mie argomentazioni per l 'Eritrea non è stata particolarmente calda. Inoltre nonostante le ottime disposizioni personali del signor Le Gallais, le decisioni di Londra avranno, come è noto, una notevole influenza sull'atteggiamento del Lussemburgo.

520 2 Si tratta della ritrasmissione del D. 347.

522

IL MINISTRO A BOGOTÀ, SECCO SUARDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 414/109. Bogotà, 9 marzo 1949 (perv. il 22).

Approfittando della presenza a Bogotà del dr. Urdaneta Arbelaez, chiamato per la questione del salvacondotto a Haya de la Torre, ho ottenuto dal ministro degli esteri un colloquio a tre per uno scambio di idee sui recenti aspetti della questione colonie italiane.

Il dr. Urdaneta Arbelaez mi disse di essersi intrattenuto a New York con il nostro ministro Mascia e di avere ricevuto da lui una dettagliata esposizione sulla situazione rispetto a ciascuna colonia; ma, a suo dire, non sapeva dei recenti contatti italiani con gli arabi per stabilire in Tripolitania una nuova collaborazione.

Anche circa l'atteggiamento inglese egli si limitò a dire che secondo l'impressione generale qualcosa era cambiato, ma senza !asciarmi chiaramente intendere se il suo fosse un voluto riserbo ovvero effettiva mancanza di contatti con esponenti britannici dalle riunioni di Parigi ad oggi.

Ad ogni modo ho preso l'occasione per ripetere, davanti il ministro degli esteri ed a lui, ciò che l'Italia sta facendo, con spirito di conciliazione ma fermezza di propositi, per avvicinarsi da un lato alle esigenze britanniche e per realizzare fin d'ora, dall'altro, una amichevole cooperazione con le popolazioni locali.

Poiché i miei interlocutori sembravano dare una importanza essenziale alle obbiezioni avanzate da parte britannica contro la opportunità di affidarci l'amministrazione fiduciaria sulle colonie in generale, ho confermato che l 'Italia ha accettato, molto prima di ora, le considerazioni strategiche che oggi si impongono; e che rispetto alla pretesa nostra impotenza finanziaria e alla affermata ostilità delle popolazioni locali al nostro ritorno, opponiamo dei fatti.

Ho quindi spiegato che al deficit del bilancio coloniale, coperto dai contributi della madre patria, stava di fronte una somma assai maggiore di vantaggi per l'economia nazionale, rappresentati da lavoro in patria ed in colonia; e che invece è oggi una perdita netta la spesa dell'assistenza agli italiani d'Africa forzosamente rimpatriati.

Alla pretesa ribellione delle genti native, l'Italia risponde con l'evidenza contraria, offerta dalle recenti elezioni a Tripoli e dalle manifestazioni, in Eritrea, di Said Ibrahin el Morgani.

Ho aggiunto che l'Italia, seguendo la tradizione più che secolare della sua espansione pacifica sulle rive arabe del Mediterraneo, conserva eccellenti rapporti sia con le popolazioni locali, sia con gli Stati arabi. Essa aspira, come è noto, a ricevere il fidecommesso delle Nazioni Unite sulle antiche colonie, ma intanto studia insieme con gli elementi arabi interessati la possibilità di uno Stato italo-arabo in Tripolitania, nel quale in forma costituzionale si stabiliscano determinati rapporti tra i vari gruppi per realizzare un Governo libero, che con l'Italia avrebbe soltanto rapporti di natura contrattuale per realizzare nell'interesse di ambo le parti un armonico coordinamento di interessi.

Questo ordine di idee risponde, prima di tutto, alla necessità avvertita dalle popolazioni locali e più ancora dagli italiani d'Africa, di uscire dalla pesante situazione e dalla rovina economica frutto della prolungata occupazione militare inglese. Ma non meno al desiderio di stabilire in forma pacifica e con il maggior consenso possibile, le basi della nostra futura attività in Africa, ove il nostro tipo di colonizzazione rappresenta un elemento di progresso per il continente nero e di equilibrio nel mondo in generale.

A questo punto il ministro Zuleta Angel osservò che a suo vedere l'identità di interessi tra Italia e America latina rispetto all'Africa sta principalmente nel fatto che un'Africa esclusivamente britannica costituisce un grave pericolo di concorrenza per l'America.

Ho allora ricordato che in Inghilterra esistono due correnti opposte circa le modalità di sviluppo del continente africano: la tradizione coloniale che vuole la tranquillità fra gli indigeni assicurata da pochi funzionari europei, e quella più recente degli uomini d'affari, interessati alla produzione in grande scala, con il minimo di mano d'opera bianca per prevenire problemi economico sociali. Gli italiani d'Africa sono i crio/las di quel continente, che cercano con il bene proprio quello della terra ove hanno stabilito nuova sede, e sono per natura popolatori, non concorrenti industriali o commerciali sui grandi mercati del mondo.

Avendo il dr. Urdaneta ricordato che nell'ambiente delle Nazioni Unite si vorrebbe dare qualche soddisfazione all'Etiopia, ho spiegato che anche l'Italia è di questo parere, e perciò consentirebbe alla cessione di Assab con la magnifica camionabile di Dessiè la quale permetterebbe al negus di affacciarsi al mare libero senza sottostare ai controlli dei confinanti inglesi o francesi.

Ho creduto bene aggiungere che la violenta ostilità manifestata dai rappresentanti etiopici alle Nazioni Unite, è in parte dovuta al timore che dalle colonie restituite all'Italia possa partire una eventuale aggressione, ma in gran parte è di maniera. Infatti sebbene tra Italia ed Etiopia siano ancora interrotte le relazioni ufficiali, seguono conversazioni fra i due Governi per giungere ad accordi commerciali, di emigrazione, e di stabilimento, giacché il negus è convinto che solo attraverso una collaborazione con gli italiani il suo disgraziato paese potrà migliorare la propria sorte. Le centinaia di funzionari, svedesi od altri, inviati in Etiopia, costituiscono praticamente un gravame di più quando manchi il capitale da destinare all'opera di civiltà, come invece non avveniva durante il regime italiano.

D'altra parte non bisogna credere che i torti subiti dall'Etiopia le abbiano impedito di usarne di ancor maggiori alle popolazioni da essa assoggettate, precisamente dopo la pace fatta con l'Italia nel 1897 e grazie ad essa.

Con notevole sorpresa i miei interlocutori appresero che una buona metà del territorio etiopico è di recente conquista e che le popolazioni così assoggettate vivono in condizioni misere e barbariche, le uniche d'altronde possibili date le condizioni economico sociali dell'Etiopia.

Al dr. Urdaneta che mi ricordava come, secondo i rappresentanti del negus, in Eritrea gran parte della popolazione è etiopica, ho contestato che se ciò è vero fino ad un certo punto quanto alla razza non lo è quanto alla storia, giacché la stessa colonia Eritrea si è costituita molto prima della guerra italo-abissina, senza contrasti con il negus, ed una parte di essa è stata successivamente acquistata al negus attraverso pacifici accordi. D'altra parte gli italiani di Eritrea hanno creato industrie e imprese che perfino esportano, ma che sarebbero immediato oggetto di saccheggio e cadrebbero nel nulla in caso di un passaggio sotto il dominio etiopico. Primi a soffrirne sarebbero le migliaia di operai indigeni oggi mantenuti dall'industria italiana.

A domanda del dr. Zuleta, se l 'Italia accetterebbe oggi il mandato sulla Somalia lasciando in sospeso le altre questioni purché nessun altro fidecommesso venisse assegnato ad altre nazioni, ho detto che questa posizione sostenuta parecchi mesi addietro, non si comprenderebbe più oggi quando tutti gli elementi della questione sono ormai chiari ed ogni ulteriore attesa significa ulteriore danno.

Nella stessa questione della Tripolitania, l'Italia vede la necessità di una soluzione contemporanea ed unitaria, anche se la condizione della Tripolitania rispetto alla Cirenaica od al Fezzan dovesse in un primo tempo essere sotto vari aspetti differente.

Nell'insieme ho trovato l'impressione che il dr. Zuleta sia un difensore delle nostre ragioni più convinto e caldo che non il dr. Urdaneta, il cui atteggiamento non molto informato mi sembra poco credibile dato che egli ha conferito recentemente con

S.E. Brusasca a Roma e con il ministro Mascia a New York, per non dire di altri colloqui a me ignoti. Siccome ad ogni modo le istruzioni del Governo colombiano sono precise e perentorie, almeno fino oggi, sembra che la nostra azione di persuasione debba esercitarsi ancora sulla persona del delegato colombiano piuttosto che sul Governo o sull'opinione pubblica che non subiscono tentazioni contrarie ai nostri interessi paragonabili a quelle che possono sorgere nell'ambiente delle Nazioni Unite.

Mi è parso inoltre che abbia fatto notevole impressione, nella nostra conversazione, tutto ciò che dimostra l'esistenza di interessi comuni fra noi e i libici, gli eritrei, gli Stati arabi, l'Impero etiopico, in apparente contrasto con le affermazioni britanniche che vorrebbero vedere soltanto ostilità a nostro riguardo.

Certamente se gli Stati arabi, anche senza dichiararsi a nostro favore facessero conoscere il loro avvicinamento all'Italia in tanti campi, mi è parso che la nostra causa se ne avvantaggerebbe. Così ad esempio, ha visibilmente impressionato il dr. Zuleta, l'apprendere della recente firma del trattato di amicizia italo-libanese a Beirut1•

Infine, ho avuto l'impressione che quanto più possa apparire artificiosa la preoccupazione britannica di un nostro ritorno in Africa, tanto più qui ci si sentirà soddisfatti dalla osservanza, da parte italiana, dei principi della Carta di San Francisco, accettando sulla questione di fondo, del ritorno dell'Italia in Africa, la nostra tesi.

523

IL MINISTRO A BUCAREST, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 420/195. Bucarest, 9 marzo 1949 (perv. i/15).

Riferimento: Mio te l espresso n. 327/158 del 23 febbraio u.s. 1•

523 1 Non pubblicato.

A seguito del telespresso surriferito, ho l'onore di trasmettere qui unito, nella sua traduzione italiana il testo di una pastorale di cui ha dato lettura il 27 febbraio u.s. il patriarca della Chiesa ortodossa romena, Justinian, nel corso di una solenne funzione religiosa che ha avuto luogo avanti a numeroso clero in una chiesa di Bucarest.

Il patriarca, mescolando le citazioni dei testi evangelici a quelle di Scanteia, organo ufficiale del partito comunista romeno, si è rallegrato della nuova situazione fatta alla Chiesa romena dall'attuale regime, soprattutto dopo la denuncia del Concordato con la Santa Sede che metteva, secondo il patriarca, la Chiesa romena in una posizione di umiliante inferiorità rispetto alla Chiesa cattolica. «Soltanto dopo aver spezzato le catene che tenevano i nostri fratelli in schiavitù spirituale di Roma papale, costoro hanno potuto dare ascolto al nostro appello, ritornando in seno alla Chiesa avita, dalla quale erano stati allontanati, coattivamente, due secoli e mezzo fa».

Che questo «ritorno» sia stato anch'esso coattivo e imposto con metodi di fronte ai quali gli stessi Asburgo del XVIII secolo avrebbero esitato, il patriarca naturalmente non ha detto.

Tutta la sua pastorale è stata intesa a voler dimostrare che la Chiesa ortodossa gode oggi della massima libertà nel campo religioso, anche se «la concezione del materialismo dialettico e storico è profondamente diversa dalla concezione religiosa». «Tuttavia, egli ha aggiunto, la penetrazione nel popolo di tali concezioni, come lo stesso partito comunista ha dimostrato, non avviene affatto con lesione della libertà di coscienza e della libertà religiosa». Avendolo dimostrato il partito comunista, il patriarca si risparmia la fatica di dimostrarlo anche lui. E forse sarebbe stata una fatica improba. Significativo l'accenno della pastorale, ripreso del resto da Scanteia, agli elementi «reazionari» rimasti ancora nelle file del clero. Costoro avrebbero cercato di provocare fermenti e discordie in seno alla compagine religiosa della Chiesa romena. «Tutti i preti hanno il dovere di vegliare su siffatti "nemici della Chiesa e del popolo" che lavorano d'accordo con i nemici esterni della patria».

È un fatto che gli elementi migliori del clero ortodosso, i parroci che vivono a quotidiano contatto del vero popolo, la massa dei fedeli nei quali la tristezza dei tempi ha rinvigorito il fervore religioso, sente sempre più profondo il disgusto per l'asservimento della propria chiesa ai voleri del regime. E non manca tra di essi chi, guardando al futuro, pensa a un riavvicinamento con la Chiesa di Roma che forte della sua indipendenza e della sua continuità storica, della sua intransigente fedeltà ai dommi e ai principi religiosi del cristianesimo, oppone una formidabile barriera spirituale al comunismo ateo.

522 1 Vedi D. 262, nota 3.

524

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AVANA, SANFELICE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 376/95. L 'Avana, 9 marzo 1949 (perv. il 17). Riferimento: Mio telegramma n. 13 del 5 corrente 1•

A seguito del mio telegramma sopra citato ho l'onore di riferire quanto segue: avuta notizia che questo Governo, in seguito ad un «nuovo intervento» (evidentemente nordamericano) avrebbe provveduto ad inviare al signor lnocente Alvarez, capo della delegazione cubana presso l'O.N.U., istruzioni complementari in vista del prossimo dibattito sulle colonie italiane, ho subito chiesto di esser ricevuto dall'ambasciatore Guell, consigliere politico di questo ministro di Stato, per conoscere quali fossero tali istruzioni.

L'ambasciatore Guell, con il quale questa legazione intrattiene ottimi rapporti, aderendo immediatamente alla mia richiesta, acconsentì a darmi visione del telegramma inviato il giorno precedente al signor Inocente Alvarez.

Tale telegramma, dopo la premessa che il Governo cubano è fondamentalmente dell'avviso che le colonie, come tali, debbano scomparire per dar luogo alla piena libertà dei popoli, conteneva le seguenti direttive:

l) Somalia: voto favorevole al mandato italiano; 2) Tripolitania e Fezzan: idem, a meno che da parte delle democrazie occidentali non venisse svolta azione contraria, nel qual caso appoggiare l'eventuale proposta per il rinvio di un anno della decisione;

3) Cirenaica: voto favorevole al mandato britannico;

4) Eritrea: voto favorevole all'annessione all'Etiopia, eccetto per la «parte occidentale», la cui sorte non verrebbe decisa per ora, ma rinviata di un anno. Il telegramma chiudeva con l'assicurazione che il Governo cubano era disposto a prendere in esame eventuali suggerimenti o proposte della delegazione. Ho tàtto osservare all'ambasciatore Guell che tali direttive erano ben lontane dalle assicurazioni, seppur vaghe, da lui date in precedenza nel senso che Cuba avrebbe appoggiato le giuste e legittime richieste italiane. Egli mi ha risposto che anzi il ministro Hevia aveva inteso venire incontro il più possibile alle premure di questa legazione ed, in appoggio di tale sua asserzione, mi ha sottolineato l'atteggiamento decisamente favorevole ali 'Italia, che si sarebbe assunto relativamente alla Somalia, Tripolitania e Fezzan, mentre che la formula «parte occidentale», usata per indicare le zone dell'Eritrea da non attribuire all'Etiopia, era stata adottata appunto per la sua indeterminatezza ed elasticità. Essa sarebbe, infatti, a suo avviso, tale da consentire all'Italia, in sede di determinazione di tale parte, di battersi per la sua massima estensione ed ha aggiunto che tale sforzo avrebbe avuto l'appoggio di Cuba, sempre beninteso entro il limite delle sue «possibilità di piccolo paese». L'ambasciatore Guell ha infine aggiunto, a titolo di opinione personale, che questo gli sembrava il solo modo perché almeno una parte dell'Eritrea potesse, fra qualche tempo, tornare ali'Italia e che una proposta di immediata attribuzione al nostro paese, anche soltanto di tale parte, susciterebbe attualmente fortissima reazione, tale da compromettere una futura sistemazione a noi favorevole2 .

524 1 Riasswneva le istruzioni inviate alla delegazione cubana all'O.N.U. e di cui al presente docwnento.

524 2 Vedi D. 572.

525

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. 1799/25. Roma, 10 marzo 1949, ore 11,45.

Società Tirrenia ha segnalato che codeste autorità hanno rimesso Tribunale Prede piroscafo «Città di Savona» contravvenendo quanto assicurato con Nota verbale n. 639 del 19 gennaio trasmessa da V.E. con telespresso urgente n. 152/07 del 20 successivo1 .

Pregasi V.S. sollecitare ogni urgenza mantenimento impegno formalmente assunto restituzione detto piroscafo, facendo presente che qualora ciò non avvenisse non sarebbe possibile evitare sfavorevole ripercussione su complesso trattative attualmente in corso a Roma per accordo commerciale e cooperazione economica.

Pregasi assistere nel modo più opportuno codesti rappresentanti società Tirrenia.

526

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. 1814/88. Roma, IO marzo 1949, ore 16.

Prego ringraziare Bevin per invito partecipare Conferenza Consiglio europeo 1 e per comunicazione che egli stesso presiederà delegazione britannica. Lo informi che presiederò io stesso quella italiana2 .

527

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T S.N.D. 2260/239. Washington, l O marzo 1949, ore 13,19 (perv. ore 22). Mio telegramma n. 2371• 526 1 Vedi D. 504. 2 Per la risposta vedi D. 530, nota l. 527 1 Vedi D. 518.

Dipartimento di Stato, informato circa azione che il Governo italiano si propone svolgere domani in Parlamento, conferma non (dico non) essere d'accordo, perché su ciò si dovrebbe preventivamente ottenere assenso altri sette paesi interessati. Invece nulla osta:

l) dichiarare che il Governo italiano è da tempo in contatto con paesi che stanno trattando Patto atlantico ed ha ricevuto informazioni confidenziali circa natura patto medesimo;

2) illustrare natura del Patto, sulle linee dell'appunto del Dipartimento di Stato di cui al mio 2332 , beninteso senza fare riferimento a comunicazioni ufficiali in proposito;

3) affermare che, considerati vantaggi del Patto dal punto di vista pace generale e sicurezza italiana in particolare, Governo italiano intende accedere al Patto stesso.

Tale ultima affermazione potrebbe indirettamente implicare fiducia che adesione italiana non (dico non) incontrerà ostacoli. Tuttavia, come detto sopra, ogni riferimento ad atteggiamento assunto fino ad ora da altri paesi circa intenzione italiana di aderire dovrebbe essere evitato.

Per quanto concerne ulteriore procedura, è stato fatto nuovamente presente al Dipartimento di Stato necessità che il draft ci sia effettivamente comunicato domani, affinché Governo italiano possa esaminarlo prima della sua pubblicazione e affinché sia assicurata partecipazione Italia a seduta prevista per lunedì. Dipartimento di Stato ha promesso che si adopererà a questo fine, ma non è stato in grado di dare assicurazione in tal senso. Ragioni della riserva, quantunque non indicate dal Dipartimento di Stato, sono evidentemente quelle di cui alle informazioni confidenziali contenute nel mio telegramma 23 7.

525 1 Non pubblicati.

528

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 3/846. Roma, 10 marzo 1949.

Nella mia lettera n. 3/708 del 3 corrente1 avevo accennato a conversazioni di carattere esplorativo in corso a Londra con gli inglesi. Gli inglesi ci hanno raccomandato la massima riservatezza. So però che ne hanno informato il loro ambasciatore costì e ritengo utile che tu pure ne sia informato per tua opportuna cognizione e per tuo orientamento. Ti invio perciò un appunto relativo alle predette conversazioni che sono state condotte da Manzini e che verranno nei prossimi giorni riprese. Se l'ambasciatore Frank te ne accennasse puoi mostrartene informato, ma non è il caso di accennarne noi agli americani.

528 1 Vedi D. 470.

ALLEGATO

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

APPUNTO SEGRETO. Roma, 8 marzo 1949.

Per iniziativa dell'ambasciatore Gallarati Scotti, Manzini ha avuto dal22 febbraio al4 corrente una serie di conversazioni al Foreign Office col ministro di Stato McNeil, il sottosegretario per gli affari dell'Africa e dell'Oriente Wright e il capo dell' African Department Clutton. In tali conversazioni la situazione delle varie colonie è stata esaminata da un punto di vista pratico e molto dettagliatamente. In base alla sua diretta esperienza in Somalia e Eritrea e alle altre informazioni raccolte durante il soggiorno a Roma, Manzini ha illustrato in tutti i loro aspetti le nostre tesi. Gli inglesi hanno risposto con uguale franchezza e si sono così potute dissipare molte prevenzioni da ambo le parti.

Dato il carattere confidenziale delle conversazioni il Foreign Office ha insistito affinché esse rimanessero segrete. Tuttavia il Foreign Office ne ha informato lo State Department per il tramite dell'ambasciata britannica a Washington.

Per la Somalia sono state riservatamente prese le intese preliminari per il trapasso dell'amministrazione. Il piano completo militare e amministrativo verrà discusso a Roma nella seconda metà del mese corrente, mentre il 14 corrente si inizieranno a Londra le trattative tecniche per la preparazione dell'accordo economico-fmanziario. lnfme è stata raggiunta un'intesa di massima circa la procedura per la delimitazione della frontiera tra Somalia e Etiopia e tra Somalia italiana e Somalia britannica, e così pure per il progetto di «trusteeship agreement» da presentare ali' Assemblea delle Nazioni Unite.

Per la Tripolitania sono state lungamente esaminate le varie ipotesi e alla fine si è constatato che l'alternativa, per quanto riguardava il Foreign Office, era tra un rinvio della decisione senza nessun impegno da parte britannica verso di noi (salvo l'affidamento di poter inviare a T ripoli un funzionario di collegamento come fu fatto per Mogadiscio) oppure una presa di posizione inglese a favore del nostro trusteeship alla prossima Assemblea dell'O.N.U., nel qual caso l'Italia appoggerebbe presso le nazioni amiche la richiesta inglese per la Cirenaica. L'eventuale evoluzione inglese verso la seconda ipotesi è subordinata all'esito delle conversazioni attualmente in corso a Washington tra l'ambasciata britannica e lo State Department. Il F oreign Office prevedeva che gli Stati Uniti potessero tirar fuori una loro soluzione inedita, nel qual caso anche la Gran Bretagna avrebbe dovuto rivedere le sue posizioni.

Particolarmente importante è stata la discussione in merito alle ripercussioni politiche locali che gli inglesi dicono di temere e alla nostra preparazione ad assumere l'amministrazione della Tripolitania. Manzini ha ribattuto i vari argomenti, appoggiandosi anche sull'esperienza dell'incoraggiante precedente della Somalia. Per superare le note obiezioni egli ha poi assicurato nel modo più tassativo che l'Italia ha forze militari (nei limiti del trattato di pace) e organizzazione amministrativa adeguata per prendere effettivamente possesso del territorio entro il prossimo ottobre nell'eventualità di una decisione dell'O.N.U. in aprile. Il Foreign Office ha risposto di non poter dare assicurazioni precise senza previa decisione del Gabinetto, ma che il Governo italiano «can work quite safely on the assumption that:

a) there will be pressure on the British Govemment not to remain in Tripolitania a moment longer than necessary; b) Great Britain shall endeavour to make the same arrangements for the transfer of Tripolitania as in the case of Somalia».

È comunque risultato chiaramente dalle conversazioni che qualsiasi esitazione da parte nostra o tentativo di protrarre l'eventuale trapasso oltre ottobre pregiudicherebbe, al momento attuale, ogni possibilità di evoluzione inglese a nostro favore.

Si è poi constatata nuovamente la convenienza di prescindere dal nostro noto progetto e di chiedere invece il ritorno dell'Italia in Tripolitania sulle basi del trusteeship puro e semplice e cioè allo stesso titolo per cui gli inglesi chiederanno di rimanere in Cirenaica. In caso di evoluzione inglese a nostro favore si avrebbe a New York la più stretta collaborazione fra la delegazione britannica e i rappresentanti italiani circa il modo di presentare all'O.N.U. la nostra richiesta. È inteso che nel domandare il trusteeship per la Tripolitania l'Italia darebbe affidamenti circa:

a) la sua intenzione di preparare il paese all'indipendenza «at the earliest possible date» (gli inglesi preferiscono anche per la Cirenaica questa dizione vaga).

b) «The Italian administration shall do nothing to prejudice the ultimate unity ofLibya».

c) la futura costituzione della Tripolitania e i criteri democratici e progressisti dell'amministrazione fiduciaria italiana.

Per l'Eritrea il Foreign Office ha ribadito l'intenzione di ottenere dall'O.N.U. in aprile l'annessione all'Etiopia, eccettuata la «Western Province» che verrebbe probabilmente annessa al Sudan. Agli italiani sarebbero concesse in Eritrea delle garanzie sulla cui natura e estensione sono attualmente in corso scambi di idee tra Londra e Washington. Manzini ha detto nei termini più espliciti che da parte nostra non lasceremo nulla di intentato per impedire l'approvazione di tale assurda proposta. Il Foreign Office ha risposto che si rende conto delle ragioni del nostro atteggiamento ma ritiene che comunque la proposta otterrà in Assemblea la maggioranza dei due terzi. L'attuale sicurezza britannica è in buona parte basata sulla certezza dell'appoggio americano: è evidente che in caso di esitazioni da parte di Washington Londra potrebbe essere costretta ad accettare il rinvio cui oggi si oppone affermando di non essere disposta a sostenere oltre il forte passivo del bilancio dell'Eritrea.

527 2 Vedi D. 511.

529

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1589/355. Trieste, IO marzo 1949 (perv. il 12).

La sera stessa del mio ritorno a Trieste (lunedì 7), durante un pranzo al Castello di Duino in onore del maresciallo Slim, capo di Stato Maggiore delle Forze imperiali britanniche (sulla cui visita riferisco con rapporto a parte), ho avuto brevi colloqui con il generale Airey e con i due consiglieri politici Sullivan e Baldwin in merito alla questione del bilinguismo. Nel corso di tali colloqui mi sono espresso secondo le istruzioni impartitemi, sulla linea delle comunicazioni fatte dal vice direttore generale degli affari politici Conti ai due segretari delle ambasciate inglese e statunitense.

Ieri, in seguito a convocazione del generale Airey, sono tornato a Duino, e questa volta la conversazione ha potuto svolgersi con più agio 1 . Nel frattempo, il coman

dante di Zona aveva ricevuto dirette notizie dall'ambasciata britannica e si era anche messo in contatto con il Foreign Office. Era inoltre in attesa di conoscere il pensiero del Dipartimento di Stato, per il tramite di Baldwin.

Ho naturalmente ripetuto, con maggior copia di particolari, quale era stato il risultato della chiamata a Roma del sindaco di Trieste, di alcuni membri della Giunta e dei capi dei partiti politici triestini, ed ho confermato il punto di vista del Governo: piena comprensione dei «motivi» del G.M.A.; opportunità di una presa diretta di contatto fra gli organi del G.M.A. e gli esponenti locali; interesse nostro, ma non soltanto nostro, che venga per quanto possibile evitata una crisi in seno alle Amministrazioni municipali.

Il generale Airey mi ha subito detto che era grato al Governo italiano per la parte presa nella questione e che si rendeva conto delle difficoltà in cui ci si era scontrati nell'opera di chiarificazione e di persuasione. Teneva poi a dichiararmi che era suo desiderio di non far nulla che potesse dispiacere al Governo italiano o che potesse offendere il sentimento della popolazione italiana della Zona. Aveva perciò lungamente riflettuto ed era venuto nella decisione di abbandonare il primitivo progetto: quello cioè di far obbligo alle Amministrazioni comunali (pur con l'espressa riserva che l'italiano avrebbe dovuto intendersi come la sola lingua ufficiale) di provvedere, esse stesse, alla traduzione in lingua slovena dei manifesti e dei documenti elettorali.

Questo compito verrà invece assunto dallo stesso G.M.A. mediante l'affissione di manifesti bilingui, ed eventualmente trilingui, in cui saranno richiamati gli atti emanati dall'Autorità comunale, pubblicate le istruzioni e le disposizioni connesse con le operazioni elettorali, e riprodotto il facsimile dei certificati e delle schede. Le Amministrazioni di Trieste e Muggia, dal canto loro, nonché quelle dei comuni periferici nei quali la popolazione è in grande maggioranza slovena, emaneranno i manifesti e i documenti elettorali esclusivamente in italiano (con ciò tutti i comuni sono posti sullo stesso piano a differenza di quanto è avvenuto per le carte d'identità, le quali, come è noto, furono rilasciate in italiano a Trieste e Muggia e nelle due lingue nei comuni minori. In tal modo resterebbe superato un pericoloso precedente e viene confermato che l 'italiano è sola lingua ufficiale in tutta la Zona).

Come si vede, è la formula alternativa, cui si era fatto cenno, da ultimo, con il rapporto n. 1314/291 del 25 febbraio2 , che è stata accolta in pieno dal comandante di Zona: formula che si discosta da ogni buona norma amministrativa e che avrà per effetto di trasferire sul G.M.A. il merito di questo gesto democratico; ma che darà tuttavia soddisfazione (sia lecito almeno sperar lo) ai desiderata della Giunta comunale e dei partiti politici, raggiungendo ugualmente lo scopo che le Autorità alleate si prefiggevano.

Mi ha pure detto, il generale Airey, che la sua decisione aveva già ottenuto l'assenso del Foreign Office e che contava che anche da parte americana la risposta sarebbe stata senz'altro favorevole. Mi autorizzava poi a «tranquillizzare» gli esponenti locali, assicurandoli che il G.M.A. avrebbe tenuto conto del loro punto di vista. Mi ha preannunziato, infine, che farà convocare, nei prossimi giorni, dal brigadiere Robertson, il presidente di Zona, il sindaco e i leaders dei partiti: nella riunione verranno illustrate le caratteristiche della soluzione adottata e sarà presa nota delle eventuali osservazioni.

Ho ringraziato il generale Airey delle sue cortesi comunicazioni, aggiungendo che mi ritenevo sicuro che il Governo italiano avrebbe vivamente apprezzato il modo con cui, anche in questa circostanza, egli si era regolato con vantaggio degli interessi italiani.

Per ultimo ho creduto opportuno di suggerire una variante alla soluzione prescelta, nel senso che la traduzione dei manifesti e dei documenti elettorali fosse affidata alla Presidenza di Zona, anziché ad uno dei dipartimenti del G.M.A. Le ragioni sono note: la Presidenza di Zona è sì un ufficio governativo, ma il suo titolare è un italiano, che fu designato a suo tempo dal C.L.N. della Venezia Giulia. Se alla traduzione degli atti in parola provvederà la Presidenza di Zona, apparirà, in definitiva, che l'adempimento di questo «dovere democratico» è stato compiuto da un organo italiano.

Il generale Airey ha mostrato di concordare e mi ha anzi detto che aveva già preso in esame la possibilità prospettatagli. Temeva solo che la posizione di Palutan, nei confronti degli ambienti triestini, potesse risultarne indebolita; ma si riservava di ripensarci su e di far interpellare lo stesso presidente di Zona.

529 1 Per una nota di parte americana sul colloquio vedi Foreign Relations of the United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 502-503.

529 2 Non pubblicato.

530

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 1846/90. Roma, Il marzo 1949, ore 12,30.

Colga l'occasione opportuna per esprimere codesto Governo nostro apprezzamento per atteggiamento assunto circa partecipazione Italia al Patto atlantico 1 .

531

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA

T. S.N.D. 1847/32. Roma, Il marzo 1949, ore 12,20.

Ambasciatore Washington apprende che rappresentante belga in riunione Washington del 4 marzo 1 si è espresso, su istruzioni perentorie ricevute da Spaak, nettamente in favore partecipazione Italia come membro originario.

Pregasi pertanto esprimere codesto Governo nostro vivo apprezzamento per atteggiamento assunto.

530 1 Con T. s.n.d. 2306/78 in pari data Gallarati Scotti comunicava di aver eseguito le istruzioni ricevute con il presente telegramma e con quello di cui al D. 526.

531 1 Vedi D. 480.

532

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1863/135. Roma, Il marzo 1949, ore 19.

Dunn mi ha fatto analoga comunicazione a quella del telegramma di V.E.

n. 2391•

Parlando questo pomeriggio Camera e poi Senato2 ci terremo strettamente raccomandazioni ricevute lieti ci siano giunte in tempo per una comunicazione che dovevamo assolutamente far oggi onde scartare una discussione basata su interpellanza Nenni che resta così inglobata procedura scelta da noi.

Spieghi ciò a voce al Dipartimento.

533

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2305/79. Londra, Il marzo 1949, ore 20,05 (perv. ore 2 del 12).

Telegramma ministeriale 721•

Massigli è venuto oggi da me per dirmi che Quai d'Orsay troverebbe più conveniente conversazioni a tre in Londra precedessero accordi tra Parigi e Roma anche perché sembra U.S.A. stiano in questi giorni prendendo contatto a Washington con Gran Bretagna su stesso argomento. Secondo voci ancora imprecise giunte a Massigli su proposta americana, vi sarebbe anche un trusteeship collettivo per Libia affidato ad Inghilterra Italia Francia U.S.A. ed Egitto (ciò che Massigli suppone non sarebbe gradito agli inglesi). Io ho dato a Massigli mio breve memorandum come traccia (non impegnativo per Governo italiano) di mie conversazioni al Foreign Office e riassumente dichiarazioni già pubblicamente note. Probabilmente ci ritroveremo domani stesso con Massigli. Anche egli sente urgenza giungere a qualche conclusione.

A questo proposito faccio presente che McNeil partirà per Lake Success il 26. Trattative confidenziali in corso iniziate con lui dovrebbero perciò essere riprese al più presto 2•

2 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1949, vol. V, seduta del!' l l marzo 1949, pp. 6768-6778; Senato della Repubblica, Discussioni, 1949, vol. IV, seduta dell'Il marzo 1949, pp. 5911-5912.

2 Con Telespr. segreto 3/826 dell2 marzo questo telegramma fu ritrasmesso a Quaroni insieme alla risposta di Sforza (T. 1904/95 del 12 marzo) che era la seguente: «Manzini sarà costì domani. Circa conversazioni a tre riterrei opportuno V. E. concordasse direttamente con Massigli miglior modo proporle ad inglesi».

532 1 Vedi D. 527.

533 1 Vedi D. 474.

534

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2309/246. Washington, Il marzo 1949, ore 20,08 (perv. ore 4,30 del 12).

Da informazioni confidenziali risulta quanto segue.

Odierna seduta ambasciatori 1 , Bonn et ha comunicato che Governo francese non potrà approvare draft prima di mercoledì 16. Egli ha proposto che ciononostante draft fosse consegnato oggi a questa ambasciata; ma tale proposta, non avendo raggiunta unanimità, è caduta. È stato deciso quindi che consegna del draft e comunicazione ufficiale dell'invito avverranno mercoledì. Pubblicazione del draft, già fissata per martedì, avrà invece luogo venerdì 18.

Ambasciatore britannico ha dichiarato non aver ricevuto da Londra istruzioni finali di cui a riserva da lui fatta 4 corrente (vedi terzo capoverso mio 216)2 ed ha chiesto se tutti fossero ormai d'accordo circa adesione Italia. Ciò dovrebbe eliminare ogni residuo dubbio britannico.

Nel corso della seduta sono stati altresì discussi taluni dettagli interpretativi del draft. Discussione in proposito sarà forse ripresa martedì. Altre riunioni avranno probabilmente luogo dopo pubblicazione del draft.

Firma è tuttora prevista per 4 aprile. Si ritiene altresì che, se per quella data alcuni Governi invitati non avranno ancora potuto esaminare esaurientemente ed approvare draft, trattato resterà aperto per firma altri dieci giorni.

535

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 42/3829/57. Roma, 11 marzo 1949.

Ella sa che le idee fondamentali esposte nella sua lettera del 5 corrente 1 corrispondono con le mie, principalmente nel senso che l'Unione doganale è un atto della maggiore importanza che occorre non soltanto preparare con ogni cura, ma sviluppare gradatamente ed in maniera adeguata presso tutti gli ambienti, da quelli governativi a quelli industriali, appunto per trionfare gradualmente di tutte le opposizioni che non sono poche e di tutti gli ostacoli che non sono leggeri. Ciò premesso osservo:

per quanto riguarda il problema dei pagamenti italo-francesi esso sta al centro della preoccupazione del Ministero; tanto è vero che dopo numerosi interventi presso i vari dicasteri ed il C.I.R. è lecito sperare che esso sia risolto. Non si tratta di arrivare

sino al 30 giugno: anzi è proprio su questo punto che la battaglia è stata più dura. Bisognava però che le rimesse degli operai fossero senza loro danno decurtate fino al 30 giugno in maniera tale da poter creare un piano di pagamenti non solo da oggi a detta data ma da detta data alla fine dell'anno, piano che sia ragionevole e che non salti in aria alla prima difficoltà. Perciò il rinvio delle trattative è stato reso necessario per persuadere taluni ministri della necessità di modificare il sistema delle rimesse sopratutto per evitare il contrabbando di maniera che tale scopo venisse raggiunto e insieme venissero rispettati i diritti dei nostri lavoratori. Nel frattempo le conversazioni con l'ambasciata di Francia sono continuate e, credo, hanno condotto a risultati definitivi.

Dopo di che, è stato affrontato, in sede di Governo, il problema dei pagamenti per il futuro. Il Governo ha deciso -e sembra dalle conversazioni avute da Grazzi con Letourneau e con l'ambasciata di Francia che ciò non incontri ostacoli da parte francese -di non aumentare i diritti di tiraggio (e su questo come ella vede le sue opinioni coincidono con le decisioni di Governo), bensì di costituire un plafond speciale che più o meno sarà di 8 miliardi di lire per risolvere pagamenti suppletivi, unito agli Il milioni di dollari di diritti di tiraggio, che nonostante il fatto della equivalenza prevista degli scambi italo-francesi siamo disposti a mantenere.

Ma, e ciò è più importante, la decisione del Governo relativa all'utilizzo di tale plafond suppletivo è appunto destinata a rendere possibile le forme di investimento. È quindi un successo che il Ministero deve registrare al nostro attivo perché convengo con lei che solo in tal modo, cioè creando una interdipendenza di interessi diretti, l'Unione doganale, anzi quella economica, può divenire una realtà. Quali saranno questi investimenti?

Non credo che sia possibile stabilirli a priori e sopratutto in così breve termine di giorni. Il tutto è avere i fondi a disposizione e la volontà di impiegarli. Credo sia cosa migliore attendere la creazione del Comitato dell'Unione per studiare e tradurre in pratica quelli tra i progetti segnalati che ci sembreranno migliori.

Subito dopo la firma dell'Unione, quando cioè essa sarà giuridicamente perfezionata, mi riservo di convocare un ristretto numero di colleghi per tradurre in atto tali piani, agendo nel contempo su privati che siano disposti a partecipare agli investimenti, per quanto ritengo che anche col cambio abbassato sia ben difficile, nella situazione attuale di mercato, di poter ricorrere a capitali privati. E dopo i colleghi convocherò Costa, con molta serietà.

Quanto all'accordo delle due siderurgie, il nostro Ministero dell'industria lo ha approvato: per contro, le autorità francesi continuano ad ignorarlo. Non sarebbe male che ella sorvegliasse ed attivasse la cosa.

534 1 Si riferisce alla diciassettesima riunione degli «Esploratory talks on security» il cui verbale americano è pubblicato in Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 185-192. 2 Vedi D. 480. 535 1 Vedi D. 496.

536

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. SEGRETA 3/798. Roma, 11 marzo 1949.

Mi riferisco al nostro telespresso n. 3/792/c. odierno'. L'accenno di Tarchiani ai progetti americani si riferisce ad una informazione da lui appresa in via segreta

secondo cui i diversi uffici del Dipartimento di Stato sembrano orientati in modo diverso per quanto riguarda il problema della Libia; i vari punti di vista sarebbero stati esposti in un unico appunto presentato ad Acheson in cui viene raccomandato per primo il seguente progetto:

l) Trusteeship multiplo su tutta la Libia affidato collettivamente a Inghilterra, America, Francia ed Egitto, nel quale è però previsto che l'amministrazione della Cirenaica sarà affidata agli inglesi, quella della Tripolitania agli italiani e quella del Fezzan ai francesi. Le quattro potenze su menzionate formerebbero un piccolo Consiglio di tutela con compiti di supervisione e raccomandazione.

Se tale progetto (che è stato concepito dall'Ufficio delle Nazioni Unite) non incontrerà la preventiva approvazione di Londra, non intendendo questa rinunciare ad un trusteeship unilaterale e senza controlli altrui sulla Cirenaica, verrebbero in via subordinata suggerite le seguenti soluzioni:

2) Trusteeship multiplo come sopra soltanto per la Tripolitania ed il Fezzan.

3) Trusteeship singolo italiano sulla Tripolitania (sostenuto dall'Ufficio Europa).

4) Trusteeship singolo americano sulla Tripolitania (soluzione che incontrerebbe il favore dell'Ufficio Medio Oriente ed Africa e che sembra corrisponderebbe anche ad un recente suggerimento britannico). 5) Indipendenza della Tripolitania, ma su una base diversa da quella prevista nel nostro progetto. 6) Rinvio di ogni decisione per quanto riguarda la Tripolitania (soluzione che sembra gradita anche all'Ufficio Medio Oriente ed agli inglesi).

In queste condizioni, è evidente che non possiamo contare su una immediata e decisa presa di posizione degli americani; nella migliore delle ipotesi, vi saranno degli scambi di idee fra Londra e Washington che occuperanno vari giorni.

Ho messo brevemente al corrente Quaroni delle conversazioni avute da te e da Manzini con il Foreign Office2; e, pur precisando che i dettagli di esse devono essere mantenuti assolutamente segreti con i francesi, lo ho autorizzato a comunicare al Quai d'Orsay che «hanno avuto luogo in queste ultime settimane dei contatti esplorativi con gli inglesi, da cui è emerso che per la Tripolitania si conferma l'impressione più ottimista, manifestata anche recentemente dal Quai d'Orsay, ma che vi è ancora del cammino da percorrere». Ho aggiunto che noi non saremmo in principio contrari -si omnes -al progetto americano sopracitato di un trusteeship multiplo su tutta la Libia, ma che evidentemente preferiamo la soluzione di un trusteeship unilaterale italiano sulla Tripolitania, i cui dettagli potrebbero essere a suo tempo concordati in conversazioni a tre (o anche in più se è indispensabile). Quanto poi ad iniziare sin da ora conversazioni a tre, saremmo favorevoli, ma preferiremmo che l'iniziativa venisse presa dai francesi. Questi ultimi, che ho riservatamente informato del progetto americano di cui al punto l), vi si sono mostrati avversi, come risulta dal telegramma che ti trasmetto a parte col telespresso n. 3/793 odiemo3 , mostrandosi fiduciosi nella possibilità per noi di ottenere subito il mandato singolo sulla Tripolitania.

3 Vedi D. 516, nota 4.

536 1 Vedi D. 473, nota l.

536 2 Vedi D. 630, Allegato.

537

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 250/823. Parigi, li marzo 1949 (perv. il 14).

La preparazione diplomatica del Patto atlantico si è svolta senza che in Francia vi siano state delle eccessive e rumorose polemiche, tranne naturalmente quelle di parte comunista; se non si guarda quindi troppo da vicino la situazione e ci si fida unicamente dell'atteggiamento esteriore dei partiti, si potrebbe avere l'impressione che, tranne per i comunisti, il Patto atlantico stia nascendo fra la generale completa soddisfazione dei francesi e che esso incontri la totale adesione dell'opinione pubblica non comunista.

Esaminando però più a fondo, si vede che le cose non stanno esattamente così e che in ambienti e persone non sospettabili di simpatie comuniste, esistono delle perplessità e degli atteggiamenti critici non del tutto trascurabili nei confronti del Patto che la Francia si appresta a firmare.

Senza parlare di nostalgie, ancora possibili, per il compito che la Francia voleva svolgere dopo la guerra con la sua politica di conciliazione fra Oriente e Occidente, compito di cui il Patto atlantico rappresenta la definitiva liquidazione, vi possono essere nei settori di destra e gollisti -e certamente vi sono -alcuni che, aspirando ad una collaborazione occidentale basata sulla Francia, trovino insoddisfacente il trattato che porta sopratutto una impronta americana e inglese.

Vi sono poi coloro che temono che la Francia si stia con il Patto atlantico legando troppo strettamente ali' America, e che essa, privandosi della sua libertà di azione, finisca per fornire carne da cannone su beneplacido americano. Sono questi coloro che, contrariamente a tutte le speranze e tutti i desideri del Governo francese, tenevano a che l'automaticità del Patto fosse attenuata, per lasciare al Parlamento francese la libertà di ingaggiarsi o non ingaggiarsi al momento opportuno. Si sono avute alcune manifestazioni di tale mentalità anche in qualche importante articolo della stampa moderata, tali timori attecchiscono però sopratutto negli ambienti socialisti. L'opposizione socialista al Patto atlantico è tuttavia, conviene tenerlo presente, assai moderata, perché in fondo gli iniziatori della politica che ha portato al Patto atlantico sono gli stessi socialisti che hanno concepito e voluto il Trattato di Dunquerquel, di cui il Patto di Bruxelles e il Patto atlantico sono logici sviluppi.

Infine abbastanza numerosi sono quelli che temono che l'America non si è impegnata abbastanza. I ricordi della inutilità delle garanzie internazionali sono ancora troppo scottanti, e con tali ricordi come si può essere qui completamente convinti che il Senato americano non si tiri indietro ad un certo momento e lasci la Francia nei pasticci dopo averla compromessa? È questo del resto uno stato d'animo che periodicamente ricorre in Francia quando si presenta una crisi o quando vi sia nell'a

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· .b.lità di un'intesa russo-americana; verso gli americani-sulla cui abili

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· t e 1 · tentennamenti che si sono avuti sulla questwne della automatJctta

estirpare, men r . . non hanno fatto che dare argomento alle paure e alle mcertez~e. . . . Naturalmente tutto questo non vuole menomamente dtre che esista net setton dell'opinione pubblica non comunista u~a ostilità al Patto, vuoi ~ire solo che la sod: disfazione del Governo e della diplomazia francese per la conclusiOne del Patto non e sempre condivisa con lo stesso entusiasmo da qualche elemento dei settori moderati, in perfetta buona fede e miL\: miglia lontano dal desiderare un cambiamento di orientamento della Francia Ne cons<'6 ue che una certa opposizione e qualche moderata critica al Patto atlantico si svilupperanno nella stampa, negli ambienti politici e in Parlamento, al momento della firma e della ratifica, anche da parte di elementi della destra e del centro. Il Quai d'Orsay cioè dovrà preparare-e lo sta facendo-la difesa del Patto non solo per controbattere gli argomenti della sinistra, ma anche per confutare i punti di vista di qualche parlamentare gollista o socialista che onestamente manifesterà i suoi dubbi sulla bontà del nuovo accordo sottoscritto dalla Francia.

537 1 Del4 marzo 1947. Vedi serie decima, vol. V, D. 163.

538

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTIN I, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 782/222 Rio de Janeiro, Il marzo 1949 (perv. il 17).

R?ferimento: Telespressi ministeriali n. 3/73/c. del 12 gennaio u.s., n. 3/238/c. del24 gennaio u.s. e n. 3/667/c. del28 febbraio 1949 1•

Ho preso di nuovo contatto, in una lunga conversazione, col ministro degli esteri signor Fernandes per intrattenerlo sui diversi aspetti della questione delle colonie e sui punti di vista del nostro Governo.

Ho ricordato, compiacendomene, tutto l'interessamento sul problema che egli aveva dimostrato già a Parigi, nel 1946, quando faceva parte della delegazione brasiliana e non era ancora ministro e le dichiarazioni favorevoli alle nostre posizioni che egli stesso fece anche in un colloquio con S.E. De Gasperi, al quale ebbi l'onore di esser presente2 . Ho tenuto a mettere in rilievo la continuità di questo atteggiamento suo e del Governo brasiliano, nonostante le complicazioni che in argomento si sono andate verificando per altrui pretese. Ho espresso altresì la ferma fiducia che il Brasile continuerà nella medesima linea, notando ancora una volta che a que

2 Vedi serie decima, vol. IV, D. 148.

Non mancherò quindi di intensificare tale azione alla luce delle istruzioni impartitemi da VE. ed ho infatti già cominciato ad interessare il Dipartimento di Stato a quanto l 'E. V. ha voluto cortesemente comunicarmi.

Il Dipartimento è, come è noto, convinto della impossibilità di addivenire alla pratica costituzione del Territorio Libero e non vi è quindi necessità di svolgere qui opera di persuasione in tal senso.

Anche per quanto riguarda il progressivo ritorno dell'amministrazione locale ad un funzionamento conforme alla legislazione italiana, V.E. sa come il Dipartimento abbia visto con favore i provvedimenti adottati a tale fine. Inoltre gli intentimenti del generale Airey segnalatimi da V.E., secondo i quali le prossime elezioni amministrative della Zona A del T.L.T. dovrebbero segnare una ulteriore fase di tale processo di normalizzazione, incontrano, in linea di massima, l'approvazione degli uffici competenti del Dipartimento di Stato.

Meno sensibili, ho motivo di ritenere, sarebbero i predetti uffici alle nostre argomentazioni giuridiche, sebbene queste siano indubbiamente basate su una legittima interpretazione della volontà dei negoziatori del trattato di pace.

Infatti, per quanto la dizione dell'art. 21 del nostro trattato di pace sia differente da quella dell'art. l 00 del Trattato di Versailles, nella sostanza la rinunzia alla sovranità territoriale (immediata nel secondo, condizionata all'entrata in vigore del trattato di pace nel primo) è analoga ed effettiva in ambedue i casi.

A ciò va aggiunto il fatto che se è vero che da parte nostra si è cercato di evitare, dopo la dichiarazione tripartita del 20 marzo menzioni dirette del Territorio Libero, ciò non toglie che abbiamo dovuto, in diverse circostanze, ammetterne indirettamente l'esistenza, sia pure sotto amministrazione provvisoria (ammissione della Zona angloamericana del Territorio Libero di Trieste all'O.E.C.E.; accordo economico-finanziario del 22 settembre 1948; conversazioni relative al finanziamento del bilancio del Governo militare alleato per il periodo dal l o gennaio al 30 giugno 1949; ecc.).

È pertanto mia impressione, confermata dai primi sondaggi effettuati al riguardo, che, anche per le considerazioni sopracitate, difficilmente il Dipartimento si lascerebbe indurre a iniziare il processo di revisione dalla premessa della continuità della sovranità italiana sul Territorio Libero, preferendo esso invece prendere le mosse dalla constatata impossibilità di una vitale esistenza del predetto Territorio. Tanto più che, come giustamente osserva il nostro Contenzioso diplomatico, spetta al Consiglio di sicurezza di pronunciarsi sulla questione e se è difficile che i sovietici possano aderire a qualche soluzione provvisoria nel senso da noi auspicato, ben più difficile sarebbe far accettare da essi il principio che la nostra sovranità sul Territorio Libero di Trieste non è mai cessata.

Il problema inoltre è complicato dal fatto che il Dipartimento concorda pienamente con VE. sulla opportunità che, date le attuali condizioni generali e quelle particolari della precaria situazione delle nostre forze difensive, venga mantenuta l'occupazione alleata della Zona A. A quanto risulta dai sondaggi preliminari sopra menzionati è appunto tale opportunità che avrebbe indotto il Dipartimento a scegliere tra le due possibilità da me segnalate con rapporto n. 11237/4295 del 18 dicembre u.s. 2 quella del quieta non movere, almeno fino a quando è possibile.

538 1 Vedi DD. 51 e 428.

539

2 Non pubblicato.

Non si è mancato, anche in queste prime conversazioni, di far rilevare al Dipartimento come, pur apprezzandosi da parte nostra nel suo giusto valore l'opportunità del mantenimento delle truppe alleate a Trieste, non si possa ammettere che la situazione odierna duri all'infinito, e come appaia necessario che da parte alleata si studi una qualche formula che permetta di uscire dall'attuale impasse e che sia al tempo stesso proficua ai fini elettorali.

Non mi è sembrato che il-Dipartimento, pur ammettendo le difficoltà connesse ad un perdurare dell'attuale situazione, abbia per il momento l'intenzione di prendere qualche iniziativa al riguardo.

Ove però, in un futuro più o meno prossimo la questione di Trieste venisse sollevata dai sovietici, dagli jugoslavi o anche da qualche altro membro del Consiglio di sicurezza, il Dipartimento sembrerebbe disposto ad appoggiare, una raccomandazione del Consiglio stesso in base alla quale tutti i finnatari del trattato di pace fossero invitati a consultarsi al fine di determinare se le clausole del trattato di pace con l'Italia relative al Territorio Libero di Trieste siano ancora applicabili. La raccomandazione dovrebbe altresì invitare i predetti firmatari a negoziare, nel caso che le clausole in questione venissero effettivamente trovate inapplicabili, uno strumento che modifichi il trattato di pace per la parte in esame. Il Dipartimento di Stato starebbe adesso cercando di ottenere l'adesione dei francesi e degli inglesi ad un linea di condotta del genere per il caso che il Consiglio di sicurezza venisse nuovamente investito della questione.

A tale proposito V.E. avrà rilevato come, nel corso delle recenti discussioni al Consiglio di sicurezza circa la nomina del governatore del Territorio Libero di Trieste, il delegato norvegese abbia sottolineato la necessità di un nuovo esame dell'intera questione del Territorio Libero di Trieste.

Il Dipartimento di Stato non esclude che la delegazione norvegese possa, nel momento che riterrà più opportuno, presentare addirittura una mozione in tal senso al Consiglio di sicurezza.

Per quanto riguarda gli immediati fini elettorali, a prescindere dalle nostre insistenze per l'adozione di qualche misura più concreta e da quelli che potranno essere gli sviluppi della questione in seno al Consiglio di sicurezza, il Dipartimento di Stato andrebbe orientandosi verso la possibilità di:

a) invitare il generale Airey, allorquando nel prossimo aprile egli dovrà presentare il suo nuovo rapporto al Consiglio di sicurezza per il periodo dal l o gennaio al 31 marzo 1949, a riconfermare, eventualmente rafforzandola, la dichiarazione da lui fatta nel suo ultimo rapporto circa la necessità della restituzione del

T. L.T. alla sovranità italiana;

b) invitare il generale Airey, a mettere in evidenza, possibilmente nel succitato rapporto, quanto è stato fatto dal G.M.A. per il ripristino degli ordinamenti italiani, nonché l'intenzione che le prossime elezioni amministrative debbano sostanzialmente contribuire a ristabilire la vita amministrativa alla Zona A del Territorio Libero di Trieste sulla base delle leggi e delle istituzioni italiane.

Mi riservo di riferire a V.E. sull'eventuale ulteriore risultato della mia azionc3 .

539 3 Vedi D. 583.

540

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. RISERVATA PERSONALE 2301/1027. Washington, 11 marzo 1949.

Siamo ormai in porto col Patto atlantico. Poiché lei andrà a Londra per la riunione del Consiglio europeo sarebbe certo utile potesse poi continuare il viaggio a Washington col «Queen Mary» su cui viaggerebbero -secondo le informazioni che si hanno qui -Bevin e Schuman.

Durante i cinque giorni di coabitazione e nell'atmosfera Unione Europea e Patto atlantico, sarebbe forse possibile, più che in ogni altra circostanza, trovare un compromesso per le colonie, compromesso che -nella stessa atmosfera qui -non potrebbe non essere accolto dagli Stati Uniti.

Un tale risultato ci risparmierebbe la battaglia-in ogni modo spiacevole alle N.U. e darebbe la prova che i paesi occidentali e gli Stati Uniti hanno una vera e realistica volontà di cooperazione e di concordia. Andando alle N.U. con una soluzione equa e conciliativa, daremmo un magnifico esempio di saggezza e di efficienza, e raccoglieremmo facilmente i due terzi dei voti dell'Assemblea, invece di esaurirci tutti in sterili sforzi che lascerebbero certo strascichi di malcontento e di ostilità.

Forse lei ha già pensato a tutto questo. Nel qual caso vorrà dire che siamo ancora una volta-e fu sempre così -lungo la stessa direttiva.

541

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 2308/1034. Washington, 11 marzo 1949 (perv. il 15 ).

Mentre la questione dell'adesione italiana al Patto atlantico volge alla sua felice conclusione, desidero ricapitolare brevemente gli sviluppi eh' essa ebbe nelle ultime settimane.

La situazione esistente il20 gennaio u.s., al momento dell'assunzione del nuovo segretario di Stato, può descriversi come segue.

Il facente funzioni di segretario di Stato Lovett aveva condotto molto innanzi le trattative coi rappresentanti del Canada e dell'Unione Occidentale per la formulazione di un patto di mutua assistenza, tale da dare ai suoi contraenti europei le maggiori possibili garanzie di intervento americano in caso di aggressione e tale da offrire una base adeguata per ulteriori accordi di carattere economicomilitare, necessari a creare un apparato difensivo comune. Lovett aveva altresì stabilito qualche contatto con i membri più influenti della Commissione degli affari esteri del Senato, onde accertare tempestivamente le loro reazioni di fronte al patto anzidetto. Lovett, infine, aveva prescritto al Dipartimento di Stato di effettuare dei sondaggi presso altri paesi, fra cui l'Italia, in vista della loro eventuale partecipazione alle trattative.

Per quanto concerne in particolare l'Italia, il Dipartimento di Stato si era mostrato estremamente favorevole alla sua adesione e confidava di superare la prevista opposizione di alcuni paesi europei (principalmente la Gran Bretagna). Pertanto, non appena il Governo italiano aveva fatto conoscere di essere, in massima, disposto ad aderire al Patto ( 12 gennaio) 1 il Dipartimento di Stato aveva manifestato il suo avviso favorevole, mediante una esplicita dichiarazione di Hickerson agli ambasciatori a Washington (18 gennaio? e mediante l'invio di altrettanto esplicite istruzioni agli ambasciatori americani nelle capitali interessate.

Partendo da questa posizione, il nuovo segretario di Stato credette opportuno approfondire innanzi tutto i sondaggi presso la Commissione degli affari esteri del Senato. Con suo disappunto egli si accorse che i senatori più influenti, mentre erano favorevoli alla stipulazione di un accordo del genere di quello proposto, avevano ignorato fino ad allora la formulazione che si progettava di dargli e dissentivano su talune clausole, apparentemente contrastanti con le norme costituzionali americane. Le trattative subirono quindi una lunga «battuta di arresto», della quale gli altri paesi interessati non mancarono di lamentarsi, tanto per il ritardo in se stesso quanto per il dubbio, che spontaneamente affiorava, sulla attitudine degli Stati Uniti ad assumere un impegno di assistenza sufficientemente esplicito.

Probabilmente questa imprevista difficoltà sarebbe bastata da sola a far sì che Acheson accantonasse momentaneamente il problema italiano. Per di più, le decisioni prese a Londra dai cinque paesi europeP in seguito alla dichiarazione di Hickerson erano apparse ambigue, in quanto si prestavano a gettare sugli Stati Uniti l'intera responsabilità dell'eventuale adesione italiana. Sarebbe quindi stato necessario che Washington non soltanto confermasse l'atteggiamento precedentemente assunto, ma svolgesse anche un'intensa azione, sopratutto a Londra, per ottenere che quelle decisioni fossero chiarite.

In aggiunta a questa difficoltà sorse improvvisamente la questione della Norvegia, caratterizzata dalle pressioni sovietiche su quel paese e dallo sforzo svedese di formare un blocco scandinavo, «sganciato» dal Patto atlantico.

Credo di poter escludere che l'atteggiamento di riserva, assunto da Acheson nel suo colloquio con me del 17 febbraio4 , non fosse ispirato soltanto dal desiderio di sospendere l'esame della questione italiana fino a quando fossero state risolte quelle generali concernenti il testo del progettato Patto nonché quella relativa alla Norvegia. Sarebbe quindi errato attribuire detto atteggiamento a scarsa simpatia verso l 'Italia o

2 Vedi D. 99.

3 Vedi D. 139.

4 Vedi D. 332.

ad altre ragioni che possano essere per noi, in futuro, oggetto di preoccupazioni. Sta di fatto, però, che il complesso di circostanze sopradescritto rischiava di porre il Governo italiano in una situazione estremamente imbarazzante e, soprattutto, di danneggiare gravemente gli interessi del nostro paese.

Il pericolo si precisò non appena cominciò ad essere appianato il dissenso fra il Dipartimento di Stato e il Senato. Infatti, in quel momento, il segretario di Stato apparve desideroso di riguadagnare il tempo perduto e non sembrò alieno dal concludere le trattative prima che fosse deciso quali Stati, oltre i setti promotori e la Norvegia, dovessero partecipare alla stipulazione del Patto.

Il 18 febbraio ebbe luogo una seduta decisiva della Commissione senatoriale degli affari esteri. Il19 Acheson ne comunicò i favorevoli risultati agli ambasciatori5 . Il 21 si ebbe qui la sensazione di un possibile sfasamento fra l'invito alla Norvegia e quello ali 'Italia. Il 25 ebbe luogo una seduta con gli ambasciatori6 , in cui Acheson propose esplicitamente di invitare subito la sola Norvegia ed incontrò la netta opposizione dell'ambasciatore di Francia.

Durante queste giornate critiche ebbimo costantemente l'appoggio degli uffici del Dipartimento di Stato, i quali, conoscendo i precedenti della questione ed avendo a suo tempo maturato la decisione che convenisse includere l'Italia nel nuovo sistema difensivo, non cessarono di intervenire presso il segretario di Stato, in senso a noi favorevole.

Parimenti fummo fermamente appoggiati dall'ambasciata di Francia, non solo mediante la posizione da questa assunta nelle riunioni collettive, ma anche mediante l'azione da essa svolta quotidianamente presso gli uffici del Dipartimento di Stato e presso le altre rappresentanze interessate.

Negli stessi giorni, quest'ambasciata si adoperò per facilitare anche dall'esterno la formazione di una decisione favorevole. Poiché era presumibile che Acheson, dopo l'esperienza fatta nelle discussioni sul draft, fosse molto sensibile ali' opinione dei senatori anche in merito all'eventuale adesione italiana, presi contatto, direttamente o indirettamente, con diversi membri influenti della Commissione degli affari esteri, onde illustrare loro la nostra posizione. In pari tempo, con la dovuta riservatezza, segnalai ai consoli la opportunità che le collettività itala-americane mostrassero il loro interessamento al problema. Infine mi adoperai affinché qualche alto prelato americano segnalasse a chi di dovere l 'importanza di mostrare solennemente al mondo cattolico che la difesa dell'Italia, centro del cattolicesimo, era compresa nei piani americani.

Questa azione dette risultati soddisfacenti. Potei constatare, infatti, che la Commissione degli affari esteri del Senato non era insensibile alle nostre argomentazioni.

Frattanto, molti senatori e altre autorità cominciarono a ricevere messaggi e ordini del giorno di associazioni itala-americane, affermanti la necessità di includere il nostro paese fra i firmatari del Patto. Inoltre da parte cattolica americana fu svolta riservatamente un'azione a noi favorevole.

6 Vedi D. 396.

Il passo prescrittomi da V. E. il l o marzo7 , consistente nel chiedere esplicitamente che ci fosse comunicato il drafl del Patto e che l'Italia fosse ammessa a partecipare alle trattative, fu non soltanto opportuno, ma anche assai tempestivo. Esso, infatti, mise il Governo americano di fronte alla necessità di prendere una decisione prima che la situazione fosse irrimediabilmente compromessa.

Acheson, nella seduta di quel giorno8 , dovette tener conto del preciso atteggiamento italiano: pertanto la seduta medesima si chiuse bensì con la decisione di invitare subito la Norvegia, ma anche con la garanzia che la questione italiana sarebbe stata affrontata e decisa nella seduta immediatamente successiva.

Il giorno 2 il segretario di Stato si recò dal presidente Truman per sottoporgli un memorandum, redatto dai suoi uffici, il quale teneva conto di tutti gli elementi a noi propizi: gli incoraggiamenti dati in passato al Governo italiano, i motivi dell'atteggiamento a suo tempo assunto dagli Stati Uniti verso gli altri paesi partecipanti alle trattative, le migliori disposizioni che si erano notate negli ultimi giorni da parte della Gran Bretagna e del Benelux, ecc.

Il capo dello Stato si pronunciò in senso favorevole.

La sera stessa, i funzionari del Dipartimento di Stato, nei loro colloqui con me e con i miei collaboratori, pur senza rivelare quanto era avvenuto nel corso della giornata, cominciarono a mostrarsi nettamente ottimisti.

Per decidere la partita occorreva ancora una condizione: che i cinque Governi europei assumessero un atteggiamento concorde, più esplicito di quello assunto alla fine di gennaio. La riunione di Londra del 3 raggiunse questo risultato.

Il 4 nella seduta degli ambasciatori a Washington, l'ammissione dell'Italia fu decisa9 . L'8 Hickerson me ne ha dato comunicazione ufficiale 10 . Coi miei telegrammi di questi ultimi due giorni 11 ho riferito a V.E. circa le questioni procedurali che ancora restano in sospeso. Esse non toccano la questione essenziale, ormai risolta: l 'Italia è ammessa a far parte, su una base di assoluta parità, del gruppo delle nazioni cui spetta una funzione attiva nella salvaguardia della civiltà; e le esigenze della sua difesa, nel quadro della sicurezza generale, saranno d'ora innanzi discusse, col suo concorso diretto, insieme a quello delle principali potenze.

Non credo si potesse assegnare alla politica estera italiana del dopoguerra un obbiettivo più alto. Mi consenta, V.E., di aggiungere che l'averlo raggiunto dev'essere giusto motivo di orgoglio per lei.

8 Vedi D. 439.

9 Vedi D. 480.

10 Vedi D. 511.

11 Vedi DD. 518,527 e 534.

541 1 Vedi D. 50.

541 5 Vedi D. 349.

541 7 Vedi DD. 435 e 438.

542

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 2372/1046. Washington, 11 marzo 1949 (perv. il 15).

Come ho telegrafato a V.E. il 5 corrente', spetta ora ad Acheson di prendere la decisione definitiva sulla posizione americana circa la questione coloniale.

Gli uffici ignorano ancora~ o almeno così dicono ~quale sia la reazione del segretario di Stato circa il progetto di trusteeship multilaterale per la Libia: sembra però che egli ne abbia già intrattenuto, in via preliminare, questo ambasciatore d'Inghilterra il quale, a sua volta, ne avrebbe informato il Foreign Office.

Mi risulta che anche questa ambasciata di Francia è ormai al corrente, sia pure solo attraverso comunicazioni confidenziali, del progetto in questione. Essa si è affrettata a informare il Quai d'Orsay, ma la prima reazione dei francesi di qui non è stata del tutto favorevole, specie per quanto riguarda la partecipazione de li'Egitto al Comitato di supervisione.

Concordo neli'opportunità che noi si segua al riguardo la linea di condotta «attendista» anticipata nella lettera del segretario generale n. 3/708 del 3 corrente2 . Poiché è molto probabile che francesi ed inglesi solleveranno difficoltà, conviene a noi stare a vedere come si mettono le cose, salvo ad intervenire, nel momento migliore, con qualche nostro suggerimento che valga ad appianare le eventuali divergenze.

Mi varrò naturalmente, al momento opportuno, della variante proposta nella predetta lettera del segretario generale circa la designazione a turno nella Commissione di supervisione di uno degli Stati arabi, invece di quella permanente del! 'Egitto. Dubito però che almeno qui, dove vi è già qualche perplessità circa il funzionamento di un organismo a cinque, si sia inclini a complicare ulteriormente la procedura con un processo di rotazione.

Nulla vi è purtroppo di mutato, come ho telegrafato a V. E., circa l 'Eritrea. Anzi mi risulta che al Dipartimento vi sono tuttora difficoltà circa la definizione dei famosi nostri «diritti» in quel territorio, dato che gli uffici non favorevoli alla nostre aspirazioni vorrebbero ridurre i predetti diritti ad ancora meno del «fumo» che ci era stato lasciato sperare.

Nelle conversazioni avute al riguardo con i francesi di qui, ho tratto l'impressione che non dovremo aspettarci da loro molto aiuto nella questione dell'Eritrea. Essi continuano ad assicurarci del loro fermo atteggiamento sulla posizione dello scorso novembre, ma nelle predette conversazioni hanno cominciato ad accennare alla «debolezza» della loro, e nostra, posizione nei confronti dell'Etiopia, nulla offrendo noi al negus in contrasto colle promesse anglo-americane.

Abbiamo fatto osservare come da parte nostra si sia già dimostrata la migliore buona volontà n eli'offrire al negus Assab e le zone retrostanti. I francesi hanno anche accennato alle loro particolari difficoltà data la questione della ferrovia di Gibuti. Sono solo discorsi ma potrebbero essere premonitori.

2 Vedi D. 470.

542 1 Vedi D. 495.

543

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 1904/95. Roma, 12 marzo 194 9, ore 19.

Suo 79 1 . Manzini sarà costì domani. Circa conversazioni a tre riterrei opportuno VE. concordasse direttamente con Massigli miglior modo proporle ad inglesi.

544

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA

T. 1915/11. Roma, 12 marzo 1949, ore 23,30.

Suo 38 1•

Non (dico non) sembra accettabile soppressione da art. 6 della frase «O a quelli di qualsiasi altro paese». Infatti nuova formulazione articolo, limitata a trattamento nazionali, implicando abbandono criterio nazione più favorita, non garantirebbe neppure pagamento di una qualsiasi indennità espropriazione, non essendo uno Stato obbligato indennizzare propri cittadini.

Pregasi pertanto insistere accettazione integrale primitiva proposta e riferire anche se e quali altri paesi abbiano accettato limitazione propostaci.

Nel testo note aggiuntive suggeriscesi infine eliminare la parola «similari» che segue «istituzioni» e sostituire la parola «costituite» alla parola «istituite»2 .

545

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. 3/833. Roma, 12 marzo 1949.

È stata rimessa in questi giorni a tutti gli Stati membri dell'O.N.U. la documentata Nota verbale 4 corrente 3/722/c. 1; prego pertanto volerla consegnare anche a codesto Governo.

544 1 Vedi D. 437. 2 Per la risposta vedi D. 546. 545 1 Vedi D. 484.

Nel rimettere tale Nota (di cui si unisce il testo italiano e la traduzione in lingua inglese) V. E. vorrà illustrarne il contenuto, facendo presente che -come lealmente abbiamo già dichiarato agli inglesi -noi ci troviamo costretti a fare il possibile per scongiurare una soluzione della questione eritrea nel senso cui, malauguratamente, sembra orientarsi il Governo americano. Confidiamo che il Dipartimento di Stato si renderà conto che non ci sarebbe possibile adottare una diversa linea di condotta. Il Governo italiano non mancherà, d'altra parte, di fare tutto quanto sta in lui per evitare che l'atteggiamento americano su tale questione possa essere interpretato dalla nostra opinione pubblica come un atto non amichevole nei riguardi dell'Italia. Quello che chiediamo da parte nostra, anche a conforto di tale nostro proponimento, è che, non potendo rinunciare al loro punto di vista, gli Stati Uniti si astengano almeno dall'esercitare pressioni sugli altri Stati per indurii a votare a favore della cessione dell'Eritrea all'Etiopia, lasciando che tutti siano liberi di orientarsi come riterranno più opportuno secondo la loro propria valutazione2 .

543 1 Vedi D. 533.

546

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2374/41. Nanchino, 14 marzo 1949, ore 19,30 (perv. ore 18,10). Suo 11 1 .

Parmi vi sia equivoco. Non proponevasi sopprimere frase «o a quelli di qualsiasi altro paese» da articolo 6, ma soltanto da clausola relativa a espropriazioni: e ciò perché, avendo codesto Ministero chiesto che tale clausola sia inserita nel corpo dell'art. 6, mantenimento suddetta frase parve costituire ridondanza rispetto analoga frase contenuta in comma finale stesso articolo 6 che ha portata generale per tutte le materie contenute nell'articolo. Affermazione che redazione proposta ci avrebbe accordato soltanto trattamento nazionale parmi trascurare esistenza tale ultimo comma.

Circa note aggiuntive, parola «similari» fu aggiunta su testuale suggerimento codesto Ministero: ed ora che questo Governo vi ha aderito mi si istruisce chiederne soppressione. Ciò, per non dire altro, non giova rapidità negoziati specie se si considera che ogni nuova modificazione implica ritrasmissione carte a Canton.

Provvedo comunicare questo Governo nuove variazioni da noi proposte. Eventi hanno tuttavia finora confermato mio avvertimento che più tempo passa e più stipulazione e suoi effetti sarebbero divenuti problematici. Già oggi situazione, come è ben noto, non è delle più propizie; tuttavia in questo particolare momento, data stasi militare e approcci di pace, si poteva ragionevolmente sperare che stipu

!azione non avrebbe provocato ripercussioni sfavorevoli nostre collettività Pechino e Tientsin. Ma situazione è estremamente precaria: sia che negoziati pace si avviino concretamente sia che operazioni militari riprendano, possibilità concludere potrà ormai del tutto venire meno2 .

545 2 Per l'esecuzione di queste istruzioni vedi D. 638. 546 1 Vedi D. 544.

547

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 089. Parigi, 14 marzo 19491•

Riferimento: Suo 3/826 del 12 corrente2 .

Couve de Murville mi ha detto che Massigli ha già istruzioni genericamente favorevoli alle conversazioni a tre con gli inglesi e che gli avrebbero ripetuto istruzioni di mettersi d'accordo con Gallarati per la presentazione della proposta agli inglesi.

Ho visto dalla conversazione che, nelle linee generali, egli era al corrente sia delle nostre conversazioni a Londra sia di quanto ci era stato detto confidenzialmente a Washington3 . A questo riguardo mi ha detto che successivamente, probabilmente la stessa fonte, ne aveva messo al corrente anche l'ambasciata di Francia.

Mi ha detto circa la proposta c) del telegramma allegato alla lettera 3/7534 che anche a loro consta trattarsi di un suggerimento britannico. Circa l'oggetto delle conversazioni a tre mi ha detto che a suo avviso dovrebbero portare:

l) fissare una formula più o meno identica di trusteeship agreement per le tre parti della Libia;

2) mettersi d'accordo per una risposta ad eventuali suggerimenti americani;

3) discutere della questione delle frontiere fra Tripolitania e Cirenaica.

Pur dichiarandomi d'accordo, a titolo personale, su questa sua enumerazione gli ho detto che non mi sembrava utile di limitare il raggio delle conversazioni a tre: l'importante era di cercare di raggiungere un accordo franco-anglo-italiano: non era quindi utile voleme limitare la portata. Visto però che si trattava di frontiere, gli ho ricordato che restava anche da risolvere il problema della frontiera fra Tripolitania e Fezzan: era ai francesi di decidere se preferivano parlare di questo a due, o a tre, o a più. Mi ha detto che ci avrebbe pensato: forse era meglio fame parte di una discussione collettiva tanto più che c'era discordanza fra inglesi e francesi sui limiti della zona di occupazione militare.

2 Vedi D. 533, nota 2.

3 Vedi DD. 470 e 495.

4 Vedi D. 495, nota 2.

Gli ho detto che mentre della frontiera ne avremmo potuto parlare in un'altra occasione c'era un punto che mi premeva di sollevare subito per le sue possibili ripercussioni sui rapporti italo-francesi ed era la parte concernente il petrolio del Fezzan. Non sapevo quale base questo avesse, ma mentre il Governo italiano avrebbe fatto tutto il possibile perché la questione del Fezzan venisse digerita senza troppe difficoltà dall'opinione pubblica italiana, se poi un giorno fosse scappato fuori che c'erano nel Fezzan delle risorse petrolifere importanti questo avrebbe potuto avere delle ripercussioni gravi sui rapporti italo-francesi: tenevo a dirgli senz'altro con tutta franchezza che sarebbe stato opportuno uno scambio di lettere fra i due Governi in base al quale, nell'eventualità di ritrovamenti petroliferi nel Fezzan, e nel quadro dell'Unione doganale, lo sfruttamento sarebbe stato fatto in comune. Couve mi ha detto che trovava ragionevole il nostro punto di vista e ne avrebbe comunicato al Governo francese. Visto che parlavamo di questo, ha attirato la mia attenzione sul fatto che però anche la questione delle frontiere fra Tripolitania e Cirenaica era collegata alla questione del petrolio, perché secondo le opinioni inglesi era nella Sirtica che si potevano avere dei giacimenti petroliferi di qualche importanza ed il bacino possibilmente interessante del Fezzan era appunto nella regione di frontiera con la Marmarica ed un prolungamento dei possibili giacimenti della Sirtica.

Couve mi ha poi chiesto cosa pensavamo noi della proposta americana di trusteeship multiplo: conoscendo le reazioni francesi, gli ho detto che evidentemente noi avremmo preferito il mandato individuale per la Tripolitania, ma che se fosse stato necessario per avere una soluzione favorevole ai nostri interessi, avremmo accettato anche il trusteeship multiplo: che un forte argomento per noi in favore del trusteeship multiplo era costituito dalla possibilità, se si fosse trovata una formula accettabile, di estenderlo anche ali 'Eritrea, questione che ci stava particolarmente a cuore. (Ho fatto questo accenno per ridestare un po' l'interesse francese per l'Eritrea che, come giustamente osserva Tarchiani, non è molto grande).

Ho continuato dicendo che, d'altra parte, se gli americani veramente si erano messi per questa strada, non sapevo come saremmo riusciti a far loro cambiare idea, visto specialmente che, l'Inghilterra avendo la possibilità di risolvere come voleva la questione della Cirenaica, non era facile contare sul suo appoggio a Washington. Si trattava di sapere se e fino a che punto gli americani erano decisi. Uno degli argomenti che avrebbe potuto essere utilmente studiato a tre a Londra sarebbe stato anzi quello di «accomodare» la proposta americana: forse, fra tutti e tre avremmo potuto trovare una formula la quale lasciando sussistere il principio del progetto americano, fosse stata più consona ai nostri interessi: poteva essere che modificare il funzionamento della formula riuscisse più facile che respingerla senz'altro. Ciò avrebbe potuto spingere gli americani Dio sa a che proposte.

Ho premesso a Couve che quanto gli dicevo era soltanto mia opinione personale. Ho creduto però opportuno dirglielo perché dalla corrispondenza inviatami ho visto che VE. non era negativo nei riguardi della proposta americana, e perché ritengo che effettivamente potrebbe essere indispensabile accettarla almeno in principio: d'altra parte non era opportuno prendere di punta i francesi e dir loro che eravamo in massima favorevoli.

Couve ha convenuto con me che, per sgradevole che fosse la proposta americana, potrebbe essere inevitabile accettarla almeno in parte e che comunque sarebbe stato utile discutere con gli inglesi anche di questo punto.

Nel complesso ho trovato che Couve non è molto ottimista sul progresso e sulle prospettive delle conversazioni, anche a tre, a Londra e che prevede forti difficoltà sia da parte americana sia all'O.N.U. (sarà lui a rappresentare la Francia a Lake Success per questa questione): mi ha ripetuto che bisogna portare avanti le conversazioni su tutti i fronti e al più presto, altrimenti ci ritroveremo a Lake Success con una situazione poco avanzata di fronte al dicembre scorso. Gli ho detto che condividevamo questa sua impressione e che per questo gliene parlavo.

546 2 Per la risposta vedi D. 560.

54 7 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

548

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 2414/1088. Washington, 14 marzo 1949 1•

In relazione all'invito ufficiale all'Italia per la partecipazione al Patto atlantico, ho ritenuto opportuno richiedere al Dipartimento di Stato qualche precisa informazione in merito ai lavori che mi risultavano in corso per la legislazione relativa alla concessione degli aiuti militari.

Mi è stato possibile avere un quadro abbastanza completo dello stadio in cui tali lavori si trovano, attraverso conversazioni di natura confidenzialissima che hanno avuto luogo con funzionari responsabili del Dipartimento. Per aderire ad analoga richiesta dei funzionari stessi, sarò grato se tali informazioni verranno usate nel modo più discreto e riservato.

Premetto che il progetto di legge, ormai quasi ultimato dagli uffici del Dipartimento, verrà presentato, se non subito, molto presto, dopo la firma del Patto atlantico. Secondo le intenzioni del Dipartimento, non dovrebbe trascorrere più di una quindicina di giorni tra detta firma e la presentazione del progetto in questione. Esso sarà naturalmente accompagnato, come già è avvenuto per la legge dcll 'E.R.P., da un rapporto illustrativo in cui il Dipartimento di Stato cercherà di condensare i principi ispiratori di tale legislazione ed ogni utile elemento di esame per il Congresso, compreso qualche accenno alla particolare situazione economica e militare di ogni singolo paese europeo interessato.

Il progetto di legge farà riferimento alla risoluzione Vandenberg dell'anno scorso2 e alle intese regionali che essa prevede, per richiedere che il Congresso autorizzi gli stanzi amenti necessari per potenziare l'apparato militare dei paesi alleati.

Dalle conversazioni di cui trattasi è apparso che, mentre la lettera della legge apparirà ovviamente non troppo esplicita, le modalità per la cessione degli aiuti militari sono state invece approfondite con molta cura e dettaglio.

È questo «sfondo» della legge di prossima presentazione che mi sembra meritevole di particolare attenzione.

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. Il.

Il principio basilare è, per lo meno dal punto di vista ufficiale, quello che già segnalavo a VE. con il mio rapporto n. 11680/4478 del30 dicembre 1948\ pagina 5: e cioè che gli aiuti militari debbono integrare -attraverso le garanzie di sicurezza che essi comportano -gli sforzi fatti nel campo economico, contribuendo alla generale stabilità politico-economica in Europa. Gli aiuti militari, quindi, almeno nell'attuale prima fase, debbono seguire e completare gli aiuti economici.

L'apparato militare dei paesi europei potrà essere potenziato in due modi: con l'invio diretto di materiale bellico e con l'incremento della produzione bellica nei paesi partecipanti. Ambedue i metodi, sempre nella fase iniziale, dovrebbero servire a potenziare i quadri militari e le formazioni già esistenti e attualmente male equipaggiate, più che servire e creare nuovi quadri.

Il secondo metodo sopra cennato, merita un particolare esame in quanto esso sembra riflettere intenzioni simili a quelle che caratterizzarono l'atteggiamento p sicologico del Governo americano al momento del «lancio» del piano Marshall. In sostanza questo Governo, sia per motivi di window dressing di fronte al Congresso e sia per ovvia convenienza pratica, desidera che, anche nel campo del potenziamento militare, i Governi europei dimostrino di essere capaci di aiutare se stessi. Si ritiene quindi che essi non debbano limitarsi ad attendere il materiale bellico che l'America invierà loro direttamente a spese del tax-payer americano, ma debbano anche dimostrare che, attraverso un potenziamento della loro produzione bellica, sono in grado, da se stessi, di migliorare il loro apparato militare. Il Governo americano sa infatti che in molti paesi europei il potenziamento industriale per produzione bellica non è interamente sfruttato per motivi di ordine vario e in particolare per difficoltà di approvvigionamento di materie prime e di finanziamento.

Il Governo americano pensa quindi di incoraggiare l'aumento della produzione bellica nei paesi europei, ben rendendosi conto che ciò comporterà un aumento di spese di ordine militare superiori alle somme che, nei bilanci dei paesi europei, figurano finora destinate a scopi militari. In qual modo questo Governo concreterà i suoi contributi per rendere possibile tale incremento delle spese militari? Esso non si nasconde che un tale potenziamento potrà andare a scapito di altre attività di carattere prettamente economico-produttivo, potrà diminuire il gettito delle esportazioni normali, potrà rendere necessario l'utilizzo di certe materie prime di cui il paese europeo non ha disponibilità. È in relazione a tali particolari aspetti del problema che il Dipartimento di Stato prevede debba verificarsi l'aiuto americano nella sua forma indiretta, con sovvenzioni ai Governi europei, o per approvvigionamenti delle materie prime necessarie o per compensarli, almeno in parte, di quelle perdite che potranno verificarsi nei paesi europei stessi per un minore volume di produzione economica normale e eventualmente di esportazioni, derivante dalla maggiore concentrazione sulla produzione di ordine militare, la quale, dal punto di vista monetario e della bilancia dei pagamenti, è ovviamente «improduttiva».

Sempre per facilitare l'approvazione della legislazione da parte del Congresso, il Dipartimento di Stato, secondo quanto !asciatomi intendere, desidererebbe che tali propositi per l'incremento della produzione europea non fossero il frutto di esortazio

ni americane, ma piuttosto apparissero come una spontanea offerta da parte degli europei, fatta quasi a bilanciare l'aiuto che direttamente potrà venire dall'America con le forniture del materiale americano. In altre parole, mi sembra che l'Amministrazione desideri di essere in grado di dire al Congresso: «Noi vi chiediamo tot milioni di dollari per migliorare l'apparato militare dei paesi europei; essi però ci hanno detto che vogliono compiere di loro iniziativa sforzi per integrare il nostro contributo con proprie produzioni».

Ho l 'impressione che il Dipartimento di Stato speri che una offerta del genere possa presto essere formulata dai paesi dell'Unione di Bruxelles e che essa possa essere sincronizzata con la presentazione in Congresso della nuova legislazione. (Per questo i funzionari del Dipartimento si sono vivamente raccomandati che di tali informazioni venga fatto l'uso più strettamente riservato e segreto). È mia impressione anche, che se a una tale offerta da parte dei paesi dell'Unione di Bruxelles facesse seguito una serie di offerte analoghe da parte degli altri paesi del Patto atlantico, ciò sarebbe indubbiamente molto gradito al Governo americano. Ovviamente, a causa delle difficoltà e delle critiche che promesse o richieste del genere potrebbero originare da noi nei confronti di certi settori della nostra opinione pubblica, non si è da parte nostra minimamente lasciato intendere, anche in tali conversazioni ufficiose, che ci sarebbe facile seguire a ruota una eventuale dichiarazione dei paesi del Patto di Bruxelles, dichiarazione che, dalla cautela con cui i predetti funzionari si sono espressi, non sembra d'altra parte essere del tutto certa.

Un altro elemento a cui il Dipartimento sembra annettere particolare importanza, per quanto riguarda la produzione da parte dei paesi europei, e che si vorrebbe qui opportunamente lumeggiare presso il Congresso, è che i Governi europei interessati, analogamente a quanto essi cominciano a fare nel campo strettamente economico col piano E.R.P., dovrebbero accordarsi sulle loro possibilità di produzione, allo scopo di armonizzare e di integrare opportunamente la produzione stessa. Si pensa infatti non solo a standardizzazione di tipi, ma anche al compito che ogni paese europeo potrebbe specificamente assumere nel quadro generale, eventualmente specializzandosi in certe determinate produzioni. Si spera, in sostanza, che anche in tal campo gli europei sappiano dimostrare di poter mettersi d'accordo.

Gli aiuti verrebbero forniti non sotto forma di prestiti, ma di grants o, se e quando qualche paese fosse in grado di pagare, dietro pagamenti diretti. Non sembra ancora deciso, soprattutto per la parte che riguarda la produzione che potrà essere affidata ai paesi europei, con quali metodi le materie prime saranno provvedute. Potrà anche verificarsi un ripetersi dei sistemi di procurement dell'E.C.A.

Una innovazione nei confronti dei metodi adottati per I'E.C.A., è la questione del fondo in moneta locale. Si ritiene infatti che non si possa chiedere ai Governi europei, come si è fatto per gli aiuti Marshall, un deposito di moneta locale a fronte di dollari granted dagli Stati Uniti. Piuttosto, sempre per il window dressing per il Congresso, si chiederà ai Governi europei di devolvere qualche somma in moneta locale, per le spese che gli Stati Uniti dovranno sopportare in Europa per l'amministrazione degli aiuti stessi e per il coordinamento militare. Tali somme dovrebbero però essere provviste direttamente dal bilancio norn1ale.

Queste sono le informazioni che è stato possibile ottenere o percepire nelle conversazioni avutesi sul problema generale della legislazione degli aiuti militari, e che possono ancora essere suscettibili di qualche mutamento. Come ho detto sopra, tale legislazione conterrà solo in parte clausole relative ai concetti o ai metodi sopra esposti.

Non è ancora stato possibile accertare con precisione l'ammontare totale dello stanziamento che il Dipartimento vorrebbe proporre, desiderando i funzionari di mantenere ancora un certo riserbo al riguardo, dato che trattasi di proposta che deve essere formulata al Congresso. È però opinione generale, riflessa anche negli articoli di stampa, che tale ammontare dovrebbe aggirarsi intorno al miliardo di dollari.

Tale somma è stata calcolata in base alle richieste formulate o alle notizie pervenute dai paesi del Patto di Bruxelles e dagli altri paesi interessati, tra cui il nostro. È ovvio che, in relazione alle decisioni del Congresso, questo Governo dovrà a un certo momento chiederci sia di avanzare richieste più precise e ufficiali e sia anche di formulare proposte e programmi per quanto riguarda la possibilità di produzione interna. Per ora gli uffici americani sembrano essersi basati «grosso modo» sulle cifre loro pervenute per vari canali. È da prevedersi che, pur come d'uso, la Gran Bretagna finirà per ottenere una grossa porzione degli aiuti. D'altra parte, sia per il Governo inglese e sia per gli altri membri del Patto di Bruxelles, la presentazione delle richieste è stata e sarà resa più facile dal meccanismo istituito in base al Patto stesso.

Per quanto riguarda l'Italia, gli uffici americani sembrano essersi basati sia sulle richieste avanzate in occasione della visita del generale Marras4 e sia sulle segnalazioni pervenute da codesta ambasciata americana, tenendo evidentemente conto delle limitazioni ancora imposteci dal trattato di pace.

Molto confidenzialmente i funzionari del Dipartimento hanno lasciato intendere che tra forniture dirette e indirette l'Italia potrà ottenere aiuti per un ammontare non molto inferiore a 90-l 00 milioni di dollari. Le forniture dirette dovrebbero stanziarsi infatti, nel prossimo anno finanziario sui 50-60 milioni di dollari, evidentemente di grants. Circa quelle indirette sembra ritenersi che l'Italia potrebbe aumentare la sua produzione bellica in misura di circa 70 milioni di dollari, di cui una parte dovrebbe essere finanziata dal Governo americano in base ai criteri di aiuto indiretto che ho sopra esposto, mentre un'altra parte dovrebbe possibilmente essere finanziata direttamente dal Governo italiano stesso. Per questo non sarebbe da escludersi che tra aiuti diretti e indiretti, si possa contare per il prossimo anno finanziario sulla predetta somma di circa 90-100 milioni.

Ovviamente il Dipartimento di Stato si augura che una volta che i paesi del Patto atlantico avranno organizzato il sistema per il coordinamento del proprio apparato militare, le richieste verranno da essi avanzate in base a un programma armonico e «integrato». In un primo tempo, e credo in sostanza per il primo anno finanziario, il Governo americano procederà sulla base delle richieste coordinate dei paesi del Patto di Bruxelles, oltre che di quelle singole dagli altri paesi non facenti parte di tale Unione, in particolare l'Italia.

Ho voluto segnalare in dettaglio a V.E. quanto precede, perché mi sembra che le notizie sopra riportate potranno servire di utile orientamento nei contatti che presto si avranno con i paesi della Europa occidentale sulla questione degli aiuti militari. Tali informazioni mi paiono anche utili ai fini di una tempestiva elaborazione di eventuali programmi di produzione e di collaborazione, nel quadro dei criteri di selj~help sopra esposti.

Mi sembra anche il caso di far osservare a V.E. che, malgrado gli scopi di potenziamento militare che i provvedimenti americani sopradescritti ovviamente perseguono, il Dipartimento di Stato ha cercato e cercherà di dare una caratterizzazione il meno possibile guerrafondaia ai provvedimenti stessi, sia con il ribadire che l'assistenza di carattere economico ha precedenza e fa premio sugli aiuti militari e sia con il lasciare intendere che l'assistenza di indole militare diretta e indiretta persegue per ora il «modesto» scopo di potenziare i quadri militari esistenti. È evidente che con tale presentazione cauta e moderata il Dipartimento di Stato mira a evitare il più possibile imbarazzi di politica interna ai Governi europei e anche critiche che potrebbero essere sollevate in certi settori pacifisti dell'opinione pubblica americana.

Quali che saranno le decisioni che V.E. vorrà adottare in relazione alle informazioni sopra esposte, mi permetto di rinnovare la più calda raccomandazione che di esse venga fatto per ora uso cauto e riservato nei contatti sia con gli europei e sia con i nostri Enti competenti militari e industriali interessati.

548 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

548 3 Non pubblicato.

548 4 Vedi serie undicesima, vol. l, DD. 719, 761, 762, 765, 785 e, in questo volume, D. 3.

549

IL MINISTRO A CIUDAD TRUJILLO, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 125/108. Ciudad Trujillo, 14 marzo 1949 (perv. il 26).

Riferimento: Telespressi ministeriali nn. 3/238/c. del 24 gennaio 1949 e

n. 3/667le. del 28 febbraio 1949 1•

Non appena ricevuto il telespresso n. 3/238/c. del 24 gennaio u.s. non ho mancato d'illustrare a questo ministro degli affari esteri il contenuto del telespresso 3/156/c. del 18 gennaio u.s. 2 , inviato alle rappresentanze italiane presso i Governi dei paesi arabi e musulmani, circa la questione della Tripolitania.

Non ho creduto di dilungarmi eccessivamente circa il problema delle nostre colonie riservandomi di farlo in maniera più efficace a tempo più opportuno e cioè qualche settimana prima della riunione a Lake Success dell'Assemblea generale della O.N.U.

È infatti da tener presente che questo Governo mostra un assai scarso interesse circa l'assegnazione delle colonie italiane e che pure, come ho già avuto l'onore di riferire, avendomi dato le più ampie assicurazioni del suo appoggio ai vari punti di vista italiani, appoggio che è stato effettivamente dimostrato dalle istruzioni che sono state impartite alla delegazione dominicana presso la O.N.U. (vedi mio telegramma

n. 203 e precedenti), non può non risentire delle varie tendenze che si determinano specialmente nei gruppi influenzati dalle grandi potenze.

2 Vedi D. 100.

3 Del 26 novembre 1948, non pubblicato.

È stata però mia cura d'illustrare il pensiero del Governo italiano in ogni occasione.

Anche giorni or sono parlando con il capo della Commissione consultiva del Ministero degli affari esteri, ambasciatore Lic. Arturo Despradel, il quale ha sostituito in tale carica l'ambasciatore Messina, secondo delegato della Repubblica dominicana presso l'ultima Assemblea della O.N.U., questi mi ha nuovamente assicurato dell'appoggio della tesi italiana circa il trusteeship degli ex territori coloniali italiani da parte della delegazione dominicana, e che le istruzioni già date non erano state moditìcate.

Mi riservo in questi giorni d'intrattenere nuovamente questo ministro degli affari esteri sulla questione delle colonie italiane e di illustrargli la particolare situazione della Libia, la necessità che qualsiasi decisione relativa alla Cirenaica debba essere abbinata alla decisione di concedere all'Italia il mandato sulla Tripolitania, e gli intendimenti del Governo italiano circa la futura organizzazione amministrativa della Tripolitania con la creazione di un libero Stato italo-arabo, in cui vi siano equamente rappresentati i rappresentanti delle varie comunità.

Non mancherò inoltre di prospettargli le ripercussioni di ordine politico interno che potrebbero avere decisioni in discrepanza con il nostro punto di vista.

549 1 Vedi D. 428.

550

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 1955/66. Roma, 15 marzo 1949, ore 13,30.

Suo rapporto 271 dell' 8 corrente 1 .

Governo italiano è pronto accedere desideri jugoslavi nonostante offerta canone ammontante 750 milioni che rappresentano suo parere massima possibile contropartita economica pesca. V.S. dopo aver comunicato quanto sopra verbalmente potrà anche dichiarare per iscritto:

l) Governo italiano attende immediatamente dopo firma accordo pesca delegazione jugoslava per inizio negoziati commerciali; 2) Governo italiano è disposto linea di massima a ragionevole aumento plajònd sia percentualmente sia globalmente; 3) aumento succitato potrà essere se richiesto utilizzato anche per forniture speciali da determinarsi; 4) in questo modo anche seconda richiesta jugoslava potrebbe praticamente trovare soluzione;

5) in quanto a terza richiesta non sarà difficile, sulla base tali affidamenti, specialmente dopo concretati nel previsto accordo, alle autorità jugoslave ottenere per determinate rate forniture anticipazioni bancarie, che autorità competenti italiane potranno eventualmente se del caso appoggiare.

È ferma convinzione questo Governo essere venuto incontro nuove richieste jugoslave nel limite massimo possibile. Rimane bene inteso che ciò non dovrà costituire precedente da invocarsi nel futuro altrimenti basi convenzioni pesca dovrebbero essere praticamente negoziate ogni anno.

Appena raggiunto accordo convenzione pesca essa potrà essere firmata ed avere esecuzione immediata contemporaneamente firma ed esecuzione accordo già pronto Roma concernente navi guerra2 .

550 1 Non pubblicato.

551

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 1962/67. Roma, 15 marzo 1949, ore 16.

Nostra accettazione (telegramma ministeriale 66) 1 in linea di massima nuove proposte jugoslave (suo 271 f ha allargato praticamente basi, estendendo ad altro campo (plafond) nostra contropartita per convenzione pesca, negoziati in corso.

Senza con ciò nulla mutare al quadro generale dei suddetti negoziati, ci è parso opportuno, in tali condizioni, precisare che, riservando accordo R.O.M.S.A. come contropartita a quello relativo trattative Romano, firmeremo e daremo esecuzione, contemporaneamente convenzione pesca, ad accordo per navi da guerra (del resto già pronto)3 .

552

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI

T. S.N.D. 1986/11. Roma, 15 marzo 1949, ore 22,30.

Pregasi riferire circa passi fatti presso codesto Governo conformemente istruzioni telespressi ministeriali 12 gennaio n. 73 1 e 24 gennaio n. 2382 precisando se siano state impartite a delegazione cilena presso O.N.U. istruzioni appoggiare nostro punto di vista e svolgere opera persuasione su altre delegazioni sudamericane3 .

2 De11'8 marzo, non pubblicato.

3 Per la risposta vedi D. 598.

2 Vedi D. 428, nota 2.

3 Con T. s.n.d. 2480/23 del 16 marzo Fomari riferiva di aver effettuato presso il ministro degli

esteri cileno i passi prescrittigli e di averne avuto assicurazione che la delegazione cilena all'O.N.U. avrebbe avuto istruzioni «nel senso da noi desiderato».

550 2 Per la risposta vedi D. 598.

551 1 Vedi D. 550.

552 1 Vedi D. 51.

553

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2414/12. Copenaghen, 15 marzo 194 9, ore 17,1 O (perv. ore 18,30).

Telespresso ministeriale 3/750/c. 7 corrente'.

Ho consegnato a questo Ministero degli affari esteri, illustrandola convenientemente, Nota verbale del 4 marzo2 relativa questione Eritrea.

Sono in contatto altresì con delegazione danese all'O.N.U. la quale probabilmente non riceverà istruzioni rigide, ma avrà sufficiente latitudine di regolarsi secondo orientamenti che si delineeranno in seno all'Assemblea O.N.U.

554

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2431/86. Londra, 15 marzo 1949, ore 21,30 (perv. ore 8 del 16).

In relazione telegramma V.E. 83 1 e a quanto mi ha riferito Manzini ho continuato contatti con Foreign Office e con Massigli. Stamane ebbi poi colloquio conclusivo con McNeil in previsione riunione Gabinetto fine settimana corrente che prenderà in esame conversazioni anglo-americane di questi giorni circa nostre colonie. McNeil mi ha confidenzialmente esposte ragioni per cui ritiene pericolosa proposta americana per trusteeship multiplo, date difficoltà impedire che Assemblea ne renda partecipe anche esponenti blocco orientale ed altri gruppi e date intollerabili interferenze su attività potenza amministratrice che ne deriverebbero. Ho allora approfittato per svolgere argomenti di cui istruzioni di codesto Ministero a favore nostro trusteeship sulla Tripolitania affermando esplicitamente che Italia, dopo maturo esame, era ormai pronta ad assumersene la responsabilità, e che questione Libia doveva essere risolta integralmente e contemporaneamente in accordo, ben inteso, con interessi anglo-italiani nonché Francia e Stati Uniti. McNeil ribadì che in via di massima Inghilterra era tuttora propensa al rinvio per Tripolitania date gravi difficoltà di una soluzione immediata.

Di fronte mie pressanti argomentazioni su necessità che in questo momento Gran Bretagna e Italia non si mostrassero disunite a Lake Success ma potessero trovare terreno comune su cui fare convergere le rispettive forze, McNeil mi ha detto che avrebbe ripreso in considerazione subito questione sotto questo punto di vista e fatta rimeditare da Bevin non facile situazione in vista decisioni prossime.

Ho quindi detto a McNeil che conversazioni nostre con francesi, di cui egli doveva certo essere al corrente attraverso Massigli, erano perfettamente in armonia con quanto io stesso esponevo a lui. Egli mi ha mostrato apprezzare chiarezza e lealtà con cui erano da noi condotte le nostre trattative sia con Foreign Office sia con Francia e Stati Uniti.

553 1 Vedi D. 484, nota l. 2 Vedi D. 484. 554 1 Del 9 marzo, con il quale Sforza approvava le conversazioni finora condotte a Londra da Gallarati Scotti e Manzini e ne autorizzava la continuazione sugli stessi «binari».

555

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2433/252. Washington, 15 marzo 1949, ore 19,56 (perv. ore 8 de/16).

Mio 250 1 . Seduta degli ambasciatori2 ha provveduto oggi messa a punto del draft. Domani si riuniranno sostituti degli ambasciatori per redigere testo degli inviti.

Comunicazione ufficiale dell'invito e del draft sarà fatta a questa ambasciata nonché a codesto Ministero tramite Dunn non appena perverrà attesa approvazione francese del draft (attesa mercoledì notte) e cioè probabilmente giovedì mattina.

556

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

TELESPR. 16/04942/c. 1• Roma, 15 marzo 1949.

Ho ricevuto il 4 corrente il ministro d'Austria che era incaricato di rappresentarmi le riserve del Governo di Vienna alla posizione da noi assunta di fronte alle pressioni svolte da parte austriaca per indurre gli alto-atesini a rioptare in massa per l'Italia. Mi sono espresso con il ministro Schwarzenberg nei termini di cui all'appunto che le accludo in copia per sua notizia ed orientamento2 .

Perchè fosse chiarito esaurientemente il nostro pensiero in merito all'atteggiamento austriaco ed alla legittimità della nostra reazione ho fatto redigere dagli uffici il pro-memoria, qui pure allegato in copia, che è stato rimesso il 9 corrente al ministro Schwarzenberg per l'inoltro a Vienna3 .

Degli uni e degli altri argomenti la S.V. vorrà tener conto per suo orientamento e per quella risposta che ella, eventualmente e nella forma ritenuta più opportuna, credesse di dare alla lettera direttale dal ministro Gruber in data del 21 febbraio e qui fornitaci in copia dalla legazione d'Austria4 .

Spiace rilevare in tale lettera, oltre a varie speciose argomentazioni, l'affermazione relativa all'attesa da parte austriaca della data del4 febbraio 1949 quale data d'inizio dello stabilimento di amichevoli relazioni fra i due paesi. Il Governo italiano credeva, e crede, che la fondazione di tali rapporti fosse stata posta il 5 settembre 1946 con l'Accordo di Parigi.

Il Governo italiano è rimasto aderente allo spirito ed alla lettera di tale accordo nel quadro di una ben intesa solidarietà europea ed è sicuro che il Governo di Vienna vorrà indursi a riconoscere come legittima la posizione da noi assunta nella divergenza relativa alle pressioni esercitate sugli optanti. Divergenza che noi riteniamo non debba uscire dal terreno giuridico sul quale abbiamo cercato da parte nostra di confinarla. Essa non dovrebbe, comunque, alterare quei buoni rapporti fra i due paesi per i quali crediamo di aver contribuito con concessioni di non lieve momento e di cui l'Austria dovrebbe valutare tutta l'importanza sopratutto ora che essa è confrontata, alla sua frontiera sud-orientale, da problemi analoghi a quelli risolti fra Roma e Vienna grazie allo spirito di così larga comprensione di cui noi abbiamo dato prova.

555 1 Del 14 marzo, riferiva indiscrezioni sull'invio del progetto di trattato a Dunn. 2 Si riferisce alla diciottesima riunione degli «Exploratory talks on security» il cui verbale americano è pubblicato in Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, ci t, pp. 213-224. 556 1 Diretto per conoscenza anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri. 2 Vedi D. 483.

557

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 235/85. Nanchino, 15 marzo 1949 (perv. il 31).

Riferimento: Seguito mio 210/74 del3 marzo '491• La crisi iniziatasi con il trasferimento dello Yuan esecutivo a Canton si è risolta con le dimissioni di Sung Fo, presentate 1'8 u.s.

Il dissidio tra Li Tsung-jen e Sung Fo si è risolto quindi a favore di Li, il quale ha saputo manovrare abilmente, riuscendo a assicurarsi il sostegno della maggioranza dello Yuan legislativo. Allo stesso tempo alcune dichiarazioni di Sung Fo abilmente sfruttate dagli amici di Li Tsung-jen avevano identificato Sung Fo con il partito della guerra e ne avevano aumentato l'impopolarità.

4 Vedi D. 366, Allegato.

Si ricorderà che Li e Sung erano già stati rivali al momento dell'elezione per la vice-presidenza della Repubblica. La vittoria di Li su Sung Fo, apertamente sostenuto dal generalissimo presidente, rappresentò allora un clamoroso segno del declino della potenza e del prestigio di Chiang Kai-shek.

Anche questa volta la vittoria di Li Tsung-jen su Sung Fo è una sconfitta di Chiang Kai-shek.

Cosa da rilevare è pure che Sung Fo è stato costretto a dimettersi dall'ostilità della maggioranza dello Yuan legislativo, organo che egli aveva presieduto per lunghi anni, e che in passato egli considerava come il proprio feudo politico.

La decisione dello Yuan legislativo di sedere a Nanchino e non a Canton ha riportato pel momento l'asse politico della Cina nazionalista a Nanchino ed ha costretto Sung Fo a venire a Nanchino e a presentarsi innanzi allo Yuan legislativo per render conto della sua politica.

Nei giorni precedenti la seduta vi è stato un intenso lavorio da parte dei seguaci di Sung Fo per convincere i membri dello Yuan legislativo ad accontentarsi di un rimpasto ministeriale, ma i «legislatori» non han voluto saperne. Anzi, un numeroso gruppo di questi preparò una lettera contenente, accanto a severe critiche della politica «dell'andata a Canton», violentissimi attacchi sulla personale integrità del premier, lettera che avrebbe dovuto esser pubblicamente notificata al premier dopo il suo discorso. Sung Fo ha preferito evitare lo scandalo e ha annunciato le sue dimissioni all'inizio della seduta, prima del suo discorso.

E così ha avuto termine ingloriosamente il governo del figlio di Sun Yat-sen, che dopo una laboriosa gestazione di sette settimane non ne ha vissute che undici, ed è stato quindi il più breve Gabinetto nella storia della Cina nazionalista.

Si pone ora a Li Tsung-jen il problema di scegliersi un nuovo premier. Il nome più quotato per la successone è quello del generale Ho Ying-ching. Li ha già preso contatto con lui a mezzo di fiduciari e, secondo notizie ufficiose, Ho avrebbe già dato un'accettazione di massima.

Il generale Ho Ying-ching, già capo di Stato Maggiore Generale durante la guerra mondiale, poi delegato alla Commissione militare dell'O.N.U., poi ministro della difesa nel Gabinetto che precedette quello di Sung Fo, è considerato secondo solo al Generalissimo come influenza e prestigio negli ambienti militari: è infatti considerato insieme a Chiang Kai-shek il capo della così detta «Whampoa clique» formata dai generali che uscivano dalla scuola militare del Whampoa e che occupano oggi i maggiori posti dell'esercito e la maggioranza dei governatorati provinciali. Il generale Ho Ying-ching è bensì sulla lista dei «criminali di guerra» compilata dai comunisti ed è probabile che per evitare che il Gabinetto da lui presieduto sia denunciato dai comunisti come un Gabinetto non di pace ma di guerra, Li Tsung-jen cerchi di equilibrarne la presenza col metter nel Gabinetto qualcuna delle personalità più note come favorevoli alla pace coi comunisti. Comunque l'apporto di Ho Ying-ching a Li Tsung-jen è costituito dalla influenza che Ho ha sugli elementi militari della Cina nazionalista. Il problema di Li Tsung-jen è, infatti, oggi quello di non ridursi a un «warlord di Nanchinm>, di affermarsi sia in vista delle trattative coi comunisti sia in vista di una ripresa delle ostilità come l'effettivo capo della Cina nazionalista; il suo problema cioè è quello di strappare il controllo effettivo dell'esercito a Chiang Kai-shek e rafforzare la posizione sua e di Nanchino nella Cina nazionalista che tende a frantumarsi. A questo gli dovrebbe servire la nomina a primo ministro di Ho Ying-ching, per la influenza personale di questi sui generali nazionalisti.

Sembra che lo stesso Ho Ying-ching prima di accettare abbia sollecitato il nulla osta del Generalissimo, presso il quale risulta essersi recato il generale Chang Chichung (il negoziatore degli accordi sino-russi per il Sinkiang, noto esponente di un compromesso con i comunisti e che ora milita nel campo di Li Tsung-jen) il quale gli avrebbe chiesto due cose: non metter ostacoli alla nomina di Ho Ying-ching, decidersi a partire per l'estero per lasciare a Li Tsung-jen piena ed effettiva autorità, e ne avrebbe avuto un «SÌ» a denti stretti alla prima richiesta ma netto rifiuto alla seconda. Non è senza significato che subito dopo l'annuncio delle dimissioni di Sung Fo il vice ministro delle informazioni del Kuomintang parlando a Canton a una larga conferenza stampa abbia voluto ricordare che Chiang Kai-shek è ancora il capo del Kuomintang ed è il fondatore dell'esercito nazionalista cinese così che non c'è da stupirsi che i capi militari gli siano devoti.

Si vedrà nei prossimi giorni quale Gabinetto sarà formato da Ho Ying-ching, alla cui nomina lo Yuan legislativo ha già dato, a termine della Costituzione, il suo consenso e come esso sarà accolto dai comunisti i quali stanno intanto rafforzando i loro dispositivi militari in vicinanza dello Yangtze. Sul piano diplomatico la vittoria di Li Tsung-jen su Sung Fo e indirettamente su Chiang Kai-shek è un successo della politica personale dell'ambasciatore Stuart che è stato, come ho avuto già occasione di segnalare, largo di incoraggiamenti e consiglio a Li Tsung-jen e fra i due non ha fatto mistero delle sue preferenze.

556 3 Vedi D. 519.

557 1 Non pubblicato.

558

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 955/215. Il Cairo, 15 marzo 1949 (perv. il 21).

La possibile conclusione di un patto mediterraneo, al quale l 'Egitto dovrebbe esser chiamato a far parte, attira l'attenzione di queste sfere governative ed anche la stampa vi dedica lunghi articoli e corrispondenze, intonati ad una ben intesa comprensione degli scopi che starebbero alla base del patto stesso.

In una intervista concessa alla rivista Akher Saa del 23 febbraio u.s. l'allora ministro degli affari esteri, Dessouki Abaza pascià -da pochi giorni sostituto da Khachba pascià-aveva fatto la seguente dichiarazione:

«Il progetto del ministro degli affari esteri di Grecia merita, indubbiamente, di essere discusso. L'Egitto non respinge la mano che gli offre amicizia, epperciò apprezza questo progetto purché, beninteso, esso non implichi nulla che possa nuocere agli interessi egiziani. Dico ciò perché questo raggruppamento potrebbe presentare un pericolo, nel senso che i blocchi tuttora in formazione potrebbero considerarlo come una sfida e una provocazione. Tuttavia-ripeto--il progetto merita di essere minutamente studiato».

I giornali hanno poi profittato delle notizie che giungono dall'Europa e dall'America relativamente a tale progetto per far rilevare che la partecipazione dell'Egitto ad un patto del genere presupporrebbe la sua indipendenza totale ed assoluta, per dargli così la possibilità di figurare su un piede di perfetta uguaglianza con le altre nazioni che dovrebbero sottoscriverlo; perciò la premessa necessaria ed indispensabile ad una adesione dell'Egitto dovrebbe essere l'evacuazione da parte degli inglesi della zona del Canale. È la vecchia aspirazione egiziana che in ogni occasione viene rimessa sul tappeto, ma che sembra problematico che nell'attuale momento politico internazionale possa venire accolta dalla Gran Bretagna.

Ho approfittato di una conversazione che ho avuto ieri con il sottosegretario agli esteri Hassouna pascià per chiedergli quale fosse la sua opinione a proposito del patto mediterraneo. Hassouna mi ha detto che per quanto si faccia gran rumore intorno a tale patto, il Governo egiziano non era stato fino ad ora richiesto da alcuna potenza di discuterne l'attuazione. Egli non rigetta a priori l'idea di un patto del genere e l'eventuale partecipazione ad esso dell'Egitto, ma a suo giudizio tale eventualità potrà essere esaminata proficuamente soltanto quando il Patto atlantico sarà un fatto compiuto e sarà possibile conoscerne i termini e la portata.

559

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO

T. S.N.D. 1989/4. Roma, 16 marzo 1949, ore l O.

Prego telegrafare risultati passi fatti presso Governi Costarica Honduras Salvadar e Nicaragua per questione colonie. Qualora risultassero esitanti voglia esaminare opportunità visitarli immediatamente per assicurarcene appoggio 1 .

560

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA

T. 1997/12. Roma, 16 marzo 1949, ore 13.

Suo 41 1 . Tenuto conto sue precisazioni concordasi soppressione frase «o a quelli di qualsiasi altro paese» da clausola relativa espropriazioni, restando tuttavia inteso che art.

560 1 Vedi D. 546.

6 si chiuda con capoverso che precisa come, in tutte le materie contemplate dall'articolo stesso, trattamento nazionali ciascun contraente non sarà meno favorevole di quello usato a cittadini di qualsiasi altro paese.

Quanto a soppressione parola «similari» nella note aggiuntive nostro suggerimento potrà essere lasciato cadere ove ella ritenga dovesse ritardare firma cui ella è autorizzata procedere2 .

559 1 Per la risposta vedi D. 635.

561

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 2466/88. Londra, 16 marzo 1949, ore 14,40 (perv. ore 23,30). Mio 73 1•

Comunicato diramato iersera da Consiglio consultivo Patto Bruxelles dopo due giorni lavori Londra, conferma che, dati impegni per firma Patto atlantico, ministri esteri non potranno prendere parte Conferenza per Consiglio europeo ma che questa avrà ugualmente luogo 28 corrente tra ambasciatori a Londra dei paesi interessati mentre ministri esteri si riuniranno entro aprile per esaminare risultati di tale Conferenza. Di ciò mi verrà data comunicazione formale al più presto. Funzionario competente del Foreign Office ha specificato che si intende dare alla Conferenza ambasciatori possibilità lavorare speditamente ed efficacemente con minime formalità, si suggerisce che ambasciatori siano accompagnati da uno o due segretari; riunioni non saranno pubbliche. Governo britannico e altri Governi Patto Bruxelles considerano massima importanza poter conoscere prima ancora della Conferenza se Governo italiano accetta in via di massima, salvo osservazioni di dettaglio da esporre fin d'ora o in sede Conferenza, principi contenuti nel progetto di organizzazione del Consiglio d'Europa (mio telespresso 531 del 7 corr_)l che, come noto, è formula di compromesso raggiunta non senza difficoltà da cinque paesi in questione: prego telegrafarmi se posso esprimermi in tal senso.

Da parte inglese si ritiene che alla Conferenza ambasciatori non sorgeranno difficoltà circa organizzazione Comitato ministri mentre discussioni saranno invece più prolungate per quanto riguarda procedura e formazione Assemblea consultiva. In via di massima Foreign Office non sembra favorevole a composizione numerica Assemblea in proporzione diretta alle popolazioni paesi partecipanti in vista opportunità evitare che futura accessione Germania occidentale (che potrebbe pretendere rappresentare intera popolazione tedesca) porti immissione eccessivo numero delegati tedeschi. Inglesi sarebbero invece favorevoli attribuire numero massimo e uguale di rappresentanti alle maggiori nazioni (tra le quali l 'Italia) e numero minore alle altre.

Prego comunque farmi pervenire tempestive istruzioni su osservazioni da esporre

o proposte da avanzare in sede Conferenza con particolare riguardo seguenti punti:

-procedura per iscrizione questione ordine del giorno Comitato ministri;

-composizione numerica e procedura Assemblea;

-elezione e funzioni presidente Assemblea;

-composizione Segretariato permanente.

Quantunque decisioni finali spettino naturalmente ministri esteri, si ritiene qui essenziale che ambasciatori siano messi in grado esprimere nel modo più preciso possibile atteggiamento rispettivi Governi circa dettagli costitutivi Consiglio d'Europa già in sede imminente Conferenza3 .

560 2 Vedi D. 589. 561 1 Vedi D. 504. 2 Non rinvenuto, ma vedi il documento citato in riferimento.

562

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2474/255. Washington, 16 marzo 1949, ore 20,31 (perv. ore 7 del 17).

Mio 252 1•

Dipartimento di Stato ha consegnato confidenzialmente stasera a questa ambasciata draft del Patto atlantico nonché copia dell'invito che sarà rimesso domattina ufficialmente a VE. da Dunn2 . Notizia dell'invito potrà essere pubblicata domani giovedì ore 13 tempo di Roma. Draft potrà essere pubblicato venerdì, previo ulteriore mutuo accordo.

Domattina Dipartimento di Stato mi darà ufficialmente notizia dell'invito.

563

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2479/24. Santiago, 16 marzo 1949, ore 19,01 (perv. ore 7 de/17).

Telegramma di VE. 101• Questo ministro esteri, con cui mi ero espresso secondo le istruzioni di cui al precitato telegramma, mi ha oggi dichiarato che, per quanto avrebbe preferito firmare con

temporaneamente anche accordo pagamenti, tuttavia, per mostrarci in quanto conto Cile tenga amicizia italiana, è disposto procedere senz'altro firma protocollo amicizia.

Riservomi telegrafarne testo definitivo che, salvo qualche modifica di forma, corrisponderà a quello inviatomi da V.E.2 . Esso verrà accompagnato da commento ufficiale, che stiamo concordando e che riservomi telegrafare, in cui si annuncia prossima stipulazione accordo pagamenti ed accordo visti passaporti.

Telegraferò tempestivamente data prevista per la firma3 in cui occasione suggerirei anche scambio telegrammi tra V.E. e questo ministro affari esteri. Invierò poi per corriere lista proposte decorazioni.

561 3 Per la risposta vedi D. 602. 562 1 Vedi D. 555. 2 Le istruzioni a Dunn sono pubblicate in Foreign Relations of the United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 233-234. Per la consegna dell'invito vedi D. 575. 563 1 Vedi D. 488.

564

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO URGENTE 601/210. Mosca, 16 marzo 1949 (perv. il 24).

Per cercare di meglio intendere la portata della sensazionale sostituzione di Molotov con Vyshinsky e di Mikoyan con Menshikov, è bene premettere quale era la valutazione della situazione che si dava qui, prima che il colpo di scena si verificasse.

l. Continuava, come è noto, la campagna diretta a denunciare il Patto atlantico e la politica di aggressione degli Stati Uniti. Dopo il mio telespresso n. 461/158 del 26 febbraio 1949 1 in cui segnalavo taluni aspetti e cercavo di intendere i motivi di tale campagna, se ne ebbero ancora altre tipiche manifestazioni. La prima fu costituita dalla catena di dichiarazioni dei capi comunisti dei varii paesi capitalisti, cominciando da Thorez e da Togliatti e continuando con gli americani, coi danesi, coi tedeschi, ecc., tutte dirette a riaffermare la volontà dei comunisti internazionali di non combattere contro i sovietici, e di svolgere anzi una azione interna di rivolta e di sabotaggio contro una eventuale guerra antisovietica. La seconda consistette nella grande riunione per la pace, organizzata a Leningrado dalla Unione dei sindacati, e costituente la eco e l'equivalente all'interno, delle innumeri manifestazioni di ugual natura delle varie organizzazioni intellettuali, femminili, giovanili più o meno filocomuniste nei paesi occidentali. In questi ultimi giorni tali manifestazioni sono in pieno sviluppo e appaiono concentrate e indirizzate verso la convocazione di un «Congresso mondiale dei difensori della pace» del quale si fanno specialmente promotori la «Federazione mondiale delle donne» e il nuovo «Comitato internazionale di collegamento dei lavoratori intellettuali per la difesa della pace». Tutta questa campagna psicologica ha, come fine diretto, il ritardare, ostacolare, indebolire il «Patto atlantico»; ma potrebbe continuare e probabilmente continuerà anche dopo la sua conclusione.

3 Vedi D. 628. 564 1 Vedi D. 416.

2. Credo utile al riguardo riferire l'interpretazione data da questa ambasciata degli Stati Uniti a questa campagna sovietica, quale mi fu riferita il 3 marzo, due giorni prima della sostituzione di Molotov e di Mikoyan.

Era opinione concorde dello staff politico attuale (Kohler, Davi es, Emerson, ecc.) che l'orientamento sovietico, diretto ad evitare una guerra, sia immutato. Secondo gli americani, la violenza delle attuali manifestazioni non sarebbe indice di un mutamento di politica in senso effettivamente bellicoso. Sarebbe anzi un errore farsi prendere a questo gioco: il timore della guerra è un un'arma che i sovietici usano per impressionare e dividere l'opinione pubblica occidentale, e indurre i Governi a deflettere dalla loro fermezza; ogni interpretazione in tale senso sarebbe quindi non solo errata ma pericolosa.

Di possibilità di brusca invasione dell'Europa, non è (sempre secondo gli americani) da parlare; anzi, è opinione di questa ambasciata statunitense che anche in caso di guerra scoppiata al di fuori di una loro iniziativa, i sovietici difficilmente si getterebbero sull'Europa (allungando così pericolosamente le loro linee di comunicazione e gettandosi nella grossa complicazione di occupare ed organizzare paesi ostili) ma si limiterebbero a tenere la linea dell'Elba, spingendosi invece a preferenza verso il Medio Oriente, ove con minor resistenza giungerebbero a procurarsi il petrolio, o almeno a toglierne grosse quantità ai loro nemici.

Fermo questo punto, gli americani prevedevano che l'assalto al Patto atlantico sarebbe continuato, intensificandosi, e completandosi forse con qualche gesto concreto di ordine politico o militare, diretto a convincere l'opinione pubblica mondiale della risolutezza dell'atteggiamento sovietico con manifestazioni anche più impressionanti. Ad esempio, in occasione del ricevimento sovietico a Sofia per il 31 o anniversario delle Forze armate sovietiche, quell'addetto militare sovietico ubriaco pronunciò frasi minacciose; rivolgendosi all'addetto militare nordamericano: «a primavera avremo la guerra, fate attenzione a quello che fate ... ». Secondo questa ambasciata, quell'addetto militare sapeva perfettamente quel che diceva, e le sue parole rientravano in una campagna orchestrata di intimidazione; in essa rientrerebbero le voci di concentramento nei Balcani, alla frontiera finlandese, ecc., che ormai periodicamente ricorrono e sfumano senza lasciare effettiva traccia.

Scopo ultimo di questo previsto crescendo sarebbe, secondo la stessa fonte, una nuova proposta di appeasement, più seria e più concreta di quella staliniana a Kingsbury Smith, che potrebbe verificarsi ad aprile all'Assemblea dell'O.N.U., o subito dopo.

L'attuale sarebbe insomma un fuoco di preparazione diretto a creare panico, a tendere i nervi delle masse democratiche occidentali, unicamente per preparare il terreno più adatto e possibile ad una nuova offensiva di pace.

3. Orbene, questa opinione americana rimane ferma dopo il secco comunicato sovietico che annuncia la nomina di Vyshinsky e di Menshikov a ministri degli esteri e del commercio estero.

Non si tratterebbe, secondo essa, di un cambiamento di politica estera, né di una diminuzione di Molotov o di dissidi interni, ma semplicemente di una riorganizzazione, diretta a togliere il più possibile ai membri del Politburo specifici incarichi amministrativi, lasciando loro soltanti i generali compiti politici,

Come Berija non è più ministro dell'interno e Kaganovic non è più all'industria, così Molotov e Mikoyan abbandonano i loro Ministeri e li lasciano a uomini di secondo piano. Lo stesso comunicato riconferma tuttavia la loro qualifica di vice presidenti del Consiglio, e non è improbabile che M o loto v ritorni alla Presidenza del Consiglio (che occupava nel 1939) così come è da presumere che Mikoyan assuma la funzione di dirigente della Unione economica orientale, la cui enorme importanza non è da sottovalutare.

È vero che l'opinione pubblica mondiale potrà essere sorpresa e disorientata, potrà attribuire a questo mutamento il valore di una liquidazione politica di Molotov,

o di un indizio di dissidi profondi, oppure di un cambiamento di politica estera in senso più rigido o più conciliante, a secondo delle opinioni; ma tutto questo scatenarsi inevitabile di supposizioni farà il gioco dei sovietici, che sul disorientamento dell'opinione pubblica mondiale contano per svolgere con successo la loro politica.

Prima di esporre una opinione diretta al riguardo, debbo aggiungere che l'interpretazione americana sulla sostituzione di Molotov e di Mikoyan concorda, per una volta tanto, con quella di taluni diplomatici più o meno filosovietici, nonché con la versione che ufficiosamente lasciano trapelare gli stessi dirigenti sovietici. I primi ragionano che un dissidio Stalin-Molotov è semplicemente impensabile, e così pure un declino di Molotov, uomo di fiducia e designato successore del generalissimo. Molotov e Mikoyan sono semplicemente destinati ad altre e forse maggiori funzioni. Vyshinsky andrà alla Assemblea delle Nazioni Unite come ministro, e potrà riprendere, occorrendo, dietro le quinte i tentativi di mediazioni già tentati a Parigi, con maggiore autorità propria, e con maggiore elasticità di Molotov. Egli è pieghevole e adatto sia alla polemica violenta come al sorriso conciliante; e se un suo eventuale tentativo di riavvicinamento dovesse fallire, sarebbe sempre facile gettarlo a mare, assai più facile che non sconfessare Molotov.

Quanto ai sovietici, so positivamente che un alto funzionario del Ministero degli esteri ha dichiarato ad un diplomatico amico che Molotov è stato liberato dalle sue funzioni proprio per consentirgli di svolgere più compiutamente le sue alte funzioni di vice-Stalin.

4. I fatti successivi alla nomina di Vyshinsky confermano che, almeno per ora, di sconfessione della politica estera di Molotov (dato e non concesso che una politica di Molotov distinta da quella di Sta !in fosse pensabile) e di diminuzione della sua posizione non si può parlare.

È vero che il nudo e crudo fatto di un comunicato che in tre righe annuncia la sostituzione di Molotov come se si trattasse di un qualunque ministro della pesca o dell'industria alimentare, rimane e non può non impressionare. Ma è pur vero che Molotov è comparso regolarmente il l O marzo al So vi et supremo nel suo rango di secondo del Politburo, dopo Stalin, e in tale rango è stato annunciato nei comunicati ufficiali. È da aggiungere che egli ha partecipato ad una sola seduta, quella delle due Camere riunite, ed a nessuna delle sedute ordinarie delle Camere separate; è questa una distinzione ch'è stata riservata, oltre che a lui, soltanto a Stalin ed a Berija, mentre Malenkov stesso partecipò ad una delle sedute del Soviet dell'Unione.

È bensì vero che la carica di vice presidente del Consiglio, rimasta a Molotov come a Mikoyan, vale press'a poco niente; è un contentino che si da un po' a tutti, e solo l'altro giorno il signor A.l. Efremov, sbalzato dal seggio di ministro della costruzione delle macchine a favore del signor Kostousov, è stato anch'egli nominato vice presidente del Consiglio. Ma ciò che conta veramente è la posizione nel Politburo; ed in questa Molotov appare per il momento fermo nelle sue funzioni di uomo di fiducia e di sostituto principale di Stalin. Occorre pensare che quest'ultimo compirà il21 dicembre di questo anno i suoi 70 anni; egli ha bisogno di riposo, e d'altra parte il Politburo sta indubbiamente svolgendo un grande lavoro di preparazione del prossimo Congresso del partito bolscevico. Tutto questo legittima l'interpretazione, oggi prevalente per non dire unanime, che si sia voluto liberare Molotov dai suoi impegni più diretti, pur non togliendogli nulla della sua dignità, anzi avvalorandola, e nemmeno forse, nulla togliendogli della sua diretta partecipazione alla direzione della politica estera.

Certo, se domani Molotov fosse nominato, come taluno supponeva, presidente del Consiglio (ritornando così alla posizione del 1941, anteriore alla assunzione del Ministero degli esteri, e liberando Stalin dalla stessa carica), l'attuale movimento risulterebbe più chiaro nel suo significato. Fino a che ciò non avvenga, bisognerà seguire attentamente gli avvenimenti e lasciare una riserva di possibilità per eventuali sorprese; ma fino ad oggi ritengo che l'interpretazione corrente sia veramente la più fondata.

5. Questo dovrebbe pure significare che non vi saranno sostanziali capovolgimenti nelle grandi linee della politica estera sovietica; ma non esclude affatto che il mutamento dei ministri sia stato concepito anche in vista di un qualche notevole mutamento di tattica.

Nulla autorizza a ritenere che ci troviamo in presenza di un cambiamento analogo a quello che portò Molotov al posto di Litvinov; con Litvinov venne meno la politica di sicurezza collettiva e di avvicinamento agli anglo-francesi contro i tedeschi, scomparve un uomo minore entrando definitivamente nell'ombra, e assunse la politica estera un uomo di primissimo piano. Oggi è avvenuto esattamente il contrario; Molotov non scompare dalla scena politica, e chi lo sostituisce è uno strumento, nulla più che un altissimo funzionario, uso ad inchinarsi agli onnipotenti del Politburo.

D'altra parte la obiettiva situazione politica, malgrado i rumori e le apprensioni ricorrenti, non giustifica alcuna grande svolta nella politica generale: né quella che si passi dalla attuale tensione alla guerra, né quella che si possa giungere a un effettivo e durevole accordo.

Ciò non toglie tuttavia che il cambiamento degli uomini al Ministero degli esteri possa avere ed abbia, probabilmente, anche un significato di mutamento nella tattica delle imminenti fasi dell'azione politica sovietica. Vyshinsky è effettivamente l'uomo adatto alla polemica violenta, ma anche al lavoro di coulisse; nei suoi contatti a Parigi con Bramuglia ha dimostrato di avere effettivamente qualche possibilità di manovra sulla questione di Berlino. Egli è più agile e meno impegnativo di Molotov.

Ciò rende attendibile, a mio avviso, l 'ipotesi che, sotto l'aspetto tattico, vi possa essere in primavera, forse al culmine di una violenta campagna antioccidentale accompagnata da più o meno concrete minacce, una nuova offensiva di pace sovietica, della quale Vyshinsky dovrebbe essere il manovratore comandato da Mosca, salvo ad essere eventualmente sacrificato in caso di insuccesso.

6. È mio dovere segnalare, per completare il quadro, che, in questo preludio di primavera, le voci vaghe, l'attesa e la inquietudine di qualche cosa che dovrebbe accadere si stanno rinnovando. Si teme ancora una volta qualche colpo di testa sovietico; e dovendosene cercare gli obiettivi, chi pensa alla Finlandia, chi all'Iran, chi alla Jugoslavia. Pur prestando ad ogni sintomo la più vigile attenzione, resto fermo per ora nella mia convinzione che si tratti delle solite febbri intermittenti, più alte all'avvicinarsi della primavera. La loro fonte proviene spesso da rappresentanze di paesi diplomatici o troppo paurosi perché troppo esposti (Iran), o assillati da gravi problemi interni, così gravi da far quasi loro desiderare un conflitto come una liberazione (ieri era la Cecoslovacchia, oggi potrebbe essere la Grecia).

Toccare l'Iran significa minacciare direttamente il rifornimento di petrolio del Medio Oriente, e secondo ogni probabilità sarebbe la guerra; un colpo di stato in Finlandia comprometterebbe la posizione della Svezia ed indignerebbe tutta l'opinione pubblica democratica mondiale, anche quella che oggi non ha apriorismi contro l'Unione Sovietica; un atto di forza verso la Jugoslavia solleverebbe problemi di coscienza e crisi gravi negli stessi partiti comunisti occidentali.

Non è escluso che qualche nuovo focolare d'agitazione sia acceso qua e là: ciò potrebbe avvenire, come si sussurra, nel territorio delle tribù curde ai confini fra Iran e Iraq, o mediante rivolte più o meno spontanee nella Macedonia jugoslava; ma al di là di azioni di questo tipo è azzardato supporre di peggio.

Per intanto, di questo continuo rinnovarsi di timori chi si giova è l'Unione Sovietica: perché fino a quando tutta la politica estera del resto del mondo sarà dominata dalla paura della aggressione sovietica (che per intanto non si verifica) in sostanza l'U.R.S.S. resterà al centro della politica mondiale e la dirigerà indirettamente, paralizzando ogni azione positiva di molti Stati, all'estero e all'interno, e tenendoli in una posizione di attesa sterile e di passiva difesa.

A parte queste riflessioni, sta di fatto che volendo dare ad ogni costo un valore di sintomo al ritiro di Molotov e di Mikoyan, non si potrebbe considerarlo mai come sintomo preoccupante; giacché in fin dei conti lasciano i rispettivi ministeri due uomini rappresentativi della politica bellica dell'Unione Sovietica, due capi che hanno tenuto i loro posti chiave nel momento della lotta; e se anche fosse vero che con tale gesto Stalin ha voluto riprendere un più diretto controllo della politica estera, deve pur riconoscersi che Sta l in non ha mai voluto apparire l 'uomo della guerra. Altrettanto potrebbe dirsi della dimissione di Vozneshenski, ma qui si tratta di un caso le cui caratteristiche sono assai differenti, e del quale mi occupo quindi con separato telespresso (n. 5741192 dell6 marzo 1949f.

563 2 Vedi D. 417.

565

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 277/937. Parigi, 16 marzo 1949.

Ti ringrazio delle informazioni che mi hai mandato concernenti il problema delle colonie1• Avrai già ricevuto il resoconto della mia conversazione con Couve2: quindi Gallarati e Massigli possono mettersi d'accordo per parlare a tre con gli inglesi.

565 1 Vedi DD. 470 nota 2, 473 nota l e 533 nota 2. 2 Vedi D. 547.

Tengo a dirti che per questo affare delle conversazioni a tre io vi ho trasmesso le sollecitazioni dei francesi 3 soprattutto perché, visto che essi ci tenevano, desideravo evitare che un nostro rifiuto di queste conversazioni a tre potesse servire di pretesto ai francesi per far cadere su di noi la responsabilità di una situazione non piacevole e magari se non toglierei del tutto il loro appoggio, ridurlo al minimo indispensabile. Perchè in realtà non vedo bene quale dovrebbe essere lo scopo di queste conversazioni a tre.

Confesso che da tutto il materiale che tu mi hai mandato non arrivo a capire chiaramente quale sia la posizione inglese, e quali siano le ragioni giustificative del grande ottimismo sull'atteggiamento dell'Inghilterra. Mi sembra di capire che tutte le promesse inglesi vengono fatte con la riserva di quello che sarà l'atteggiamento americano e circa l'atteggiamento americano ci vedo meno chiaro ancora che nell'atteggiamento inglese. La cosa che mi preoccupa di più è l'idea del trusteeship americano sulla Tripolitania. Fino alla mia conversazione dell'altro giorno con Couve ritenevo che tutte queste notizie concernenti il petrolio tra Fezzan e Marmarica fossero delle supposizioni molto campate in aria: adesso mi sembra di vedere che ci sia molto più di quanto si potesse credere: e se c'è realmente puzzo di petrolio le nostre chances mi sembrano piuttosto in discendenza. Incidentalmente è un bel successo per tutta la nostra Amministrazione il vedere come in tanti anni non siamo riusciti a trovare niente in Libia ed è bastato che ci andassero gli inglesi perché trovassero delle cose interessanti!

Non ti nascondo che il mio timore è che noialtri arriviamo alla riunione dell'O.N.U. con niente di fatto, ossia nella situazione in cui ci trovavamo alla fine di dicembre e che in queste condizioni il dibattito venga posto, come allora, sulla base della soluzione Somalia e Cirenaica e rinvio del resto, quando anche non servisse a risolvere la questione dell'Eritrea rinviando soltanto la Tripolitania. Che se si arriva a questo, alla Tripolitania, almeno sotto forma di mandato individuale a noi, possiamo senz'altro dirci addio. Dicendo questo non voglio fare delle critiche a nessuno, né a Londra né a Washington né a voialtri. Bisogna fare soltanto la constatazione, del resto non nuova, che in un negoziato serrato come questo e di fronte alla difficoltà insuperabile per noi di deciderci per una linea possibilistica, gli inglesi hanno contro di noi il giuoco facile.

Ci sono soltanto alcuni punti su cui volevo attirare la tua attenzione:

l) non ci facciamo illusioni sulla possibilità di un voto compatto dei sudamericani a nostro favore: la cessione dell'Eritrea all'Etiopia avrà i due terzi dei voti in Assemblea. Ma ho anche tutti i dubbi sulla possibilità effettiva di impedire la sola risoluzione del problema Somalia-Cirenaica. Qui a Parigi, e lo dico francamente anche se con questo diminuisco quello che può essere considerato un nostro successo, siamo riusciti a mantenere l'apparenza di un blocco latino-americano solamente perché i nord-americani non hanno realmente esercitata tutta la loro pressione. Se non fosse intervenuta l'esitazione americana de li'ultima ora non c'era nessuna speranza di tenere insieme i sud-americani. Siccome non credo che il miracolo americano si ripeterà una seconda volta così non ci facciamo illusioni sui latino-americani, ad eccezione di pochi e comunque non sufficienti ad assicurarci il blocco.

2) Mi viene detto che la nostra delegazione all'O.N.U. sarà capeggiata da Tarchiani. lo ritengo che trattandosi di un dibattito e quasi certamente di un insuccesso il quale avrà in Italia delle forti ripercussioni, non è possibile dare l'impressione al paese che della cosa si è occupato soltanto l'ambasciatore sul posto. Non è una questione di sostanza: non credo che né il ministro degli esteri, né lo stesso presidente del Consiglio potrebbero ottenere un voto di più a nostro favore di quello che potrà ottenere Tarchiani. Si tratta soltanto di apparenza: bisogna secondo me, dato lo stato d'animo del paese o, se preferisci, dato lo stato d'animo che abbiamo lasciato crearsi nel paese sulla questione delle colonie, non possiamo dare l'impressione che non c'è nemmeno un sottosegretario di Stato il quale si scomodi per dare battaglia (per me anche un sottosegretario di Stato è poco). E non è giusto lasciare quel povero disgraziato di Tarchiani prendere di fronte al paese la responsabilità di un insuccesso che, in realtà, non può essere fatto risalire né a lui né a nessuno. Si tratta di tutto un complesso di circostanze molto più forti di noi e contro le quali con le nostre forze inesistenti non eravamo in grado di lottare.

È senza sorpresa, anche se con un certo dolore, che vedo avvicinarsi l'epilogo del nostro dramma coloniale. Probabilmente a lungo andare ci accorgeremo che è stato un bene per noi che sia fmito così: ci resterà per qualche tempo la Somalia a rappresentare una specie di Macao di quello che sembrò un giorno essere un promettente impero. Servirà se non altro per noi come biglietto d'ingresso in questa associazione per lo sfruttamento dei territori d'oltremare dei cui risultati per noi mi permetto anche di essere un po' scettico.

L'unico vantaggio sarà che una volta cavatoci questo dente e passato il dolore, avremo una preoccupazione di meno.

564 2 Non pubblicato.

565 3 Vedi DD. 457 e 516.

566

L'AMBASCIATORE A CARACAS, CASSINIS, AL SEGRETARIO GENERALE ALGLI ESTERI, ZOPPI

L. SEGRETA 1429. Caracas, 16 marzo 1949 (perv. il 2 aprile).

Faccio seguito alla mia del 25 febbraio u.s. 1 per esprimerti nella stessa forma alcune notizie che mi sono state date in via confidenzialissima e che intendo riferirti come risposta al te l espresso segretissimo 3/607 le. del 24 febbraio 2 circa il terzultimo capoverso della lettera personale di Secco Suardo.

Come certamente saprai, l'incaricato d'affari di questa nunziatura, monsignor Calleri, ha ricevuto a suo tempo istruzioni per appoggiare la nostra tesi e mi ha anche fatto vedere quell'appunto sull'Eritrea (inviato senza lettera d'accompagno), che corrisponde nella parte storica alle notizie contenute nel telespresso 3/73/c. del 12 gennaio3 e che mediante memorandum sunteggiato avevo consegnato al ministro Gomez Ruiz.

2 Vedi D. 258, nota 2.

3 Vedi D. 51.

Mons. Calleri mi ha vivamente pregato di conservare la massima riservatezza circa tutto quanto mi ha confidato ed a mia volta lo ho assicurato di !imitarmi a scrivere a te personalmente, per evitare indiscrezioni.

L'esito delle conversazioni scambiate tra mons. Calleri e questo ministro degli esteri è stato soddisfacente e corrisponde a quanto ti ho già riferito. Mi pare pertanto che questo controllo sia stato utile, ma non ritengo opportuno di insistere ulteriormente attraverso altri canali, come pare suggerisca Secco Suardo, perché si scoprirebbero delle batterie che è bene tenere in efficenza, ma con la massima discrezione.

Inoltre non so sotto quale veste e con quali giustificazioni i vescovi potrebbero avere un'influenza tale da conseguire maggiori assicurazioni di quelle già ottenute.

Altra cosa invece è quell'opera di propaganda o, meglio, di azione persuasiva in generale sull'opinione pubblica che ovviamente già fa parte delle istruzioni di massima impartitemi e che si può conglobare con tutta l'attività generica che un diplomatico svolge negli ambienti religiosi, politici, giornalistici, ecc.

Comunque per i vescovi, poiché alcuni di essi in questi giorni partono per l'Italia in visita ad limina, vedrò di approfittare di questa occasione per stringere maggiori contatti.

Inoltre mi stupisce che il passo compiuto dal cardinal Micara figurerebbe come una iniziativa mentre, confrontando le date, anche la nunziatura in Bogotà, avrebbe dovuto in quell'epoca essere già in possesso di istruzioni analoghe a quelle di qui.

D'altra parte l'astensione di Urdaneta Arbelaez in Parigi messa in confronto col voto del delegato venezuelano in momenti per quest'ultimo assai delicati, mi fa pensare che le ultime assicurazioni datemi debbano essere sincere, purché si tenga sempre conto della scarsa autonomia venezuelana, cosa che mi è stata anche confermata da mons. Calleri, il quale ha avuto le mie stesse impressioni.

Da ciò ne consegue che bisogna andar cauti nel fare pronostici sull'atteggiamento di questi paesi che non hanno la possibilità di prendere impegni non solo a lunga scadenza, ma anche nel prossimo avvenire. Le circostanze possono mutare da un momento all'altro e per quanto mi concerne debbo attirare la tua attenzione sul fatto che oggi più che mai la politica estera del Venezuela non è dipendente dalle influenze interne, ma segue l'andazzo comune e cerca di evitare di impegolarsi in qualsiasi possibile contrasto internazionale.

Ne è una prova evidente l'atteggiamento assunto quando si trattò di ottenere i riconoscimenti più importanti, come pure nella questione col Cile per l'asilo di Betancourt ed oggi per quello di Haya de la Torre in Lima, dove la Colombia vorrebbe mettere il Venezuela in ballo. Altrettanto dicasi di altre questioni recenti come l'affare dei territori dipendenti, dove si è trovata una scappatoia per non inviare delegati all'Avana.

Ciò sembrerebbe un controsenso, dato che si tratta di un governo militare che si dovrebbe supporre più rigido e volitivo di un governo civile, ma secondo la mia opinione tutto ciò trova giustificazione nelle consuetudini tradizionali del paese, ed è precisamente sulla base di alcune ottime qualità tradizionali del paese che mi pare convenga fare assegnamento, senza eccedere perché si otterrebbero certamente buone parole, ma inconclusive.

Comunque ti confermo di trattare tutte queste questioni con il massimo impegno.

566 1 Non rinvenuto.

567

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 2031/144. Roma, 17 marzo 1949, ore 16,35.

Testo del proposto trattato comunicatomi or ora confidenzialmente e che riceverò ufficialmente stasera (spero alla fine della discussione parlamentare) non contiene gli accenni al non automatismo e ad eventuali non interventi che erano contenuti nell'appunto che ella mi spedì 11 marzo1• Di tali accenni come del rimanente informammo Camera giusta autorizzazione ricevuta.

Mi faccia sapere massima urgenza, in vista discussione Senato che apresi domattina, in quale altro documento tali concetti sono contenuti. Ciò per evitare giustificate critiche di non esatta informazione2 .

568

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2514/89. Londra, 17 marzo 194 9, ore 14, 15 (perv. ore 19,20). Telegramma ministeriale 95 1 .

Ho rivisto iersera dietro sua richiesta Massigli tuttora ali' oscuro circa decisioni americane. Intanto lo misi al corrente della mia ultima conversazione con McNeiF. Egli mi dice che Schuman non ebbe modo e tempo di parlare a Bevin di nostra questione coloniale. Quanto a conversazioni a tre trovava che erano praticamente impossibili finché duravano le conversazioni a due tra inglesi e americani a Washington; a suo parere toccava a noi proporre a McNeil di ritrovarci intorno ad un tavolo per discutere nostro problema, ma probabilmente McNeil a sua volta avrebbe trovato accademico trattare senza aver prima trovato base concreta nelle deliberazioni concordate a Washington.

Gli feci però presente che tempo stringeva, che Consiglio Gabinetto britannico stava per riunirsi, che intervento francese che avesse preso posizione a favore decisione immediata per nostro trusteeship in Tripolitania era indispensabile subito e che lo pregavo di chiedere istruzioni in proposito al suo Governo. Mi disse che lo avrebbe fatto, ma che riteneva prima indispensabile chiarire tra Roma e Parigi questione Fezzan (a ciò accennato quando indicai opportunità che alcune questioni fossero risolte con la Francia prima di conversazioni a tre: mio telegramma 74)3 .

2 Vedi D. 554.

3 Vedi D. 508.

Mia impressione è che la Francia, pur continuando ad esser favorevole in via di massima al nostro ritorno in Tripolitania, non si senta in questo momento di fare maggiori pressioni per decisione immediata.

567 1 Con R. segreto personale 2297/1023 l'Il marzo Tarchiani spedì il testo della comunicazione largamente riassunta nel D. 511. 2 Per la risposta vedi D. 571.

568 1 Vedi D. 543.

569

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2515/165. Parigi, 17 marzo 1949, ore 14,25 (perv. ore 19,30).

Quai d'Orsay (Margerie) mi ha detto che in riunione Londra i Cinque si sono messi d'accordo su entità aiuti militari da domandare a Stati Uniti; accordo si è realizzato senza difficoltà. I Cinque non si sono occupati dei fabbisogni degli altri paesi chiamati aderire Patto atlantico.

Avendo richiesto se americani non fossero già perfettamente al corrente necessità dei Cinque, Margerie ha risposto che certamente lo erano ma che i Cinque hanno ritenuto giunto momento dichiarare formalmente loro fabbisogno.

A mia richiesta se Margerie non ritenesse che, anche per fornire a Stati Uniti visione d'insieme, fosse giunto pure per noi momento fare simili dichiarazioni, Margerie ha risposto che per quanto ci riguarda era bene tenere presente nostra dichiarazione -di cui inglesi avevano preso atto con particolare soddisfazione circa rinuncia eventuali nostre speciali esigenze nei riguardi del Patto e che, per quanto tale nostra dichiarazione non poteva evidentemente riferirsi a richieste militari contenute entro limiti trattato di pace, era forse preferibile non compiere per il momento alcun passo diplomatico che avrebbe potuto male impressionare. Margerie ha aggiunto, come sua opinione personale, che tuttavia da parte italiana nostro Stato Maggiore avrebbe potuto effettuare comunicazione nostro fabbisogno in relazione accordi presi a suo tempo dal generale Marras 1 , rimandando passo diplomatico a dopo 4 aprile.

Avendo domandato se risultasse che Norvegia, od eventualmente altri paesi aderenti, avessero comunicato loro fabbisogno, Margerie ha risposto di escluderlo. È evidente che è probabile che francesi nel dare questo suggerimento siano anche ispirati desiderio mantenere precedenza aiuti per paesi Patto Bruxelles.

Non credo convenga prendere troppo alla lettera loro consigli e che sarebbe opportuno prendere subito contatto con americani per sapere da loro e su loro responsabilità a quale momento ed in che forma dovremo fare nostre richieste.

Divisione nuova torta americana darà luogo non poche dispute intraeuropee ed è bene noi siamo preparati a tempo per difendere nostri interessi2 .

2 Quaroni non era ancora a conoscenza del rapporto di Tarchiani sulle conversazioni avute in proposito al Dipartimento di Stato (vedi D. 548) che gli fu trasmesso con Telespr. segreto 362/c. del 30 marzo diretto anche a Londra.

569 1 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 719, 761, 762, 765, 785 e, in questo volume, D. 3.

570

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2519/68. Gerusalemme, 17 marzo 1949, ore 20 (perv. ore 22).

Ministero degli affari esteri Israele mi ha diretto lettera che riassumo nei suoi stessi termini:

Ministero predetto prega consolato generale di voler portare a conoscenza Ministero degli affari esteri italiano suo desiderio inviare prossimamente Roma rappresentante diplomatico. A tale proposito avrebbe scelto personalità degna di importanza questa sede.

Avendo Italia concordato riconoscimento', Israele attende che ministro degli affari esteri voglia compiacersi far conoscere sue proposte per sottoporre Roma gradimento proprio candidato. Ministero degli affari esteri Israele sarà grato ricevere notizie circa intenzioni codesto Ministero2•

571

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2521/258. Washington, 17 marzo 1949, ore 15 (perv. ore l de/18).

Suo 144 1•

Dipartimento di Stato conferma interpretazione del draft di cui ali'appunto dell' 8 corrente trasmesso a V.E. l' 11 corrente2 . Esso inoltre non ha nulla in contrario a che il Governo italiano, nell'illustrare drafi al Parlamento, dichiari che suddetta interpretazione è conforme a volontà dei sette promotori, quale a noi risulta dai contatti avuti con essi nel corso delle trattative.

Dipartimento di Stato assicura avere già comunicato ciò per telefono a Dunn, che a richiesta di V.E. rivolgeva domanda analoga a quella di cui al telegramma citato.

Inoltre il Dipartimento di Stato sta compilando apposito documento riassumendo interpretazioni che, in merito a ciascun articolo del draft, vennero date dai sette promotori durante le trattative.

2 Zoppi rispose (T. 2115/45 dell9 marzo) che si aveva intenzione di «nominare Tel Aviv rappresentante diplomatico con rango di ministro plenipotenziario», facendo riserva di indicame il nome. Vedi, per il seguito, D. 967.

2 Si veda il D. 511, in cui è largamente riassunto il contenuto dell'appunto.

Questo pomeriggio Hickerson mi darà ufficialmente notizia dell'invito nonché copia del draft. Questo, salvo ulteriori decisioni, sarà pubblicato domani venerdì ore 7 antimeridiane tempo di Washington cioè alle ore 13 di Roma3 .

570 1 Vedi D. 145.

571 1 Vedi D. 567.

572

IL MINISTRO A L'AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2539/16. L'Avana, 17 marzo 1949, ore 20,27 (perv. ore 7 del 18).

Seguito telegramma 13 e rapporto 376/95 del 9 corrente 1 .

Questo ambasciatore Guell mi ha convocato oggi per comunicarmi da parte segretario di Stato per gli affari esteri che sono state inviate ulteriori istruzioni scritte a delegato cubano Nazioni Unite migliorando quelle già inviate circa Eritrea scopo venire maggiormente incontro desiderio italiano. Governo cubano favorirà in principio rinvio un anno ogni decisione circa intera Eritrea. Ove si dovesse addivenire a decisione Cuba appoggerà concessione trusteeship Italia parte occidentale Eritrea superiore comprendendovi Massaua ed Asmara. Qualora poi sorgesse soluzione più vantaggiosa Italia, Cuba senz'altro assumerà atteggiamento favorevole. Consegnata nota verbale 3/c .... dell'8 marzo qui giunta 16 corrente2 .

573

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. SEGRETA 3/893. Roma, 17 marzo 1949.

La variante al progetto americano di trusteeship multiplo per tutta la Libia (progetto n. l della mia lettera 11 corrente n. 3/798) 1 , cui accenna Tarchiani nel suo rapporto dell'Il corrente n. 2372/10462 , che penserei si potrebbe suggerire a momento venuto, è la seguente:

Invece dell'Egitto, che certo darà molte noie tanto a noi quanto ai francesi ed agli inglesi, si potrebbe nominare uno Stato arabo a turno. In altri termini, un mandato multilaterale verrebbe affidato a Stati Uniti, Italia, Gran Bretagna, Francia e a uno Stato arabo che rimarrebbe in carica per un anno. Il turno verrebbe fissato per ordine alfabetico. L'Egitto entrerebbe naturalmente in turno come Stato arabo.

A nostro avviso, ciò presenterebbe il vantaggio di solleticare l'amor proprio di tutti i Governi arabi (che sempre più si mostrano insofferenti della pretesa egiziana di rappresentarli) e di impedire nel tempo stesso che uno di loro metta le radici nel progettato Consiglio centrale con tutti gli inconvenienti che da ciò deriverebbero.

Naturalmente, la soluzione per noi ideale resta sempre quella del trusteeship singolo italiano sulla Tripolitania3 .

571 3 Con T. s.n.d. 2529/259, in pari data, Tarchiani aggiunse: «Hickerson, nel farmi comunicazioni annunciate, mi ha in via amichevole confermato quanto detto stamane da uffici (e di cui a mio telegramma 258) circa interpretazione del draft per quanto concerne due punti indicati da V.E.».

572 1 Vedi D. 524. 2 Si riferisce al Telespr. 3/766/c. dell '8 marzo, che ritrasmetteva la nota verbale qui riprodotta al D. 484. 573 1 Vedi D. 536. 2 Vedi D. 542.

574

IL MINISTRO A QUITO, PERRONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 438/121. Quito, 17 marzo 1949 (perv. il 26).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 3/766/c. dell'8 marzo corrente 1•

Non ho mancato di rimettere a questo ministro degli esteri copia della nota verbale documentata n. 3/722/c.2 che è stata recentemente consegnata da cotesto Ministero a tutte le rappresentanze in Roma degli Stati membri dell'O.N.U.

Gli ho in pari tempo illustrato i motivi che inducevano il Governo italiano ad auspicare il rinvio di ogni decisione riguardo all'Eritrea (contrariamente a quanto io avevo esposto nel mio precedente memorandum compilato in base al telespresso ministeriale n. 3/73/c. del 12 gennaio u.s.)3 .

Il signor Neftali Ponce mi ha nuovamente assicurato che il delegato equatoriano all'Assemblea dell'O.N.U. aveva già ricevute precise istruzioni di sostenere il punto di vista italiano per quanto riguarda la sorte delle nostre ex colonie.

Egli ha aggiunto che avrebbe immediatamente inviata copia della nota verbale anzidetta all'ambasciatore Homero Viteri Lafronte rinnovando le sue istruzioni di sostenere le nostre giuste richiesté

2 Vedi D. 484.

3 Vedi D. 51.

4 Lo stesso 17 marzo, con telespresso separato (n. 439/122), Perrone informava di aver avuto analoghe assicurazioni circa la Tripolitania.

573 3 Per la risposta vedi D. 599.

574 1 Vedi D. 572, nota 2.

575

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 2064-2068/148-149. Roma, 18 marzo 1949, ore 12,30.

Sicuri della situazione, noi non diamo alcuna importanza ai conati dei comunisti, ma anche in un interesse super-nazionale noi dobbiamo tener conto di una esitante sia pur piccola frazione della nostra maggioranza.

Perciò prego V.E. far sentire d'urgenza Dipartimento di Stato quale importanza può avere per noi il documento riassuntivo di cui al suo 258 1 e come ci occorra esso ci sia comunicato per iscritto per usarlo qui.

Naturalmente nel comunicato che emaneremo questo pomeriggio ci limitiamo a dir solo quanto autorizzato secondo ulteriori comunicazioni di questa ambasciata degli Stati Uniti2 .

Nell'assenza di Dunn consigliere dell'ambasciata degli Stati Uniti mi comunicò iersera testo del progettato trattato e invito al Governo italiano3 . Consigliere dell'ambasciata aggiunse essere incaricato dirmi che suo Governo sarebbe lieto se io stesso mi recassi Washington. Prego V.E. ringraziare Acheson e dirgli che sarò anche personalmente lieto venire. Cercherò arrivare un po' prima della firma per opportuni contatti4 .

ALLEGATO

IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, ACHESON, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

MESSAGGIO. Roma, 17 marzo 1949.

I have the honor, on behalf of the Govemments of Belgium, Canada, France, Luxembourg, the Netherlands, Norway, the United Kingdom and the United States, to transmit to Your Excellency the text of the North Atlantic Treaty proposed for signature in Washington during the first week in Aprii I949, probabiy Aprii 4. The above-mentioned Govemments invite the Govemment ofltaiy to join with them in signing this Treaty at that time.

2 Per la risposta a questa prima parte del documento vedi D. 578.

3 Vedi Allegato.

4 Su questo punto Tarchiani comunicò (T. s.n.d. 2574/264 pari data): «Accettazione V.E. invito venire a Washington è stata qui accolta con vivo compiacimento. Dipartimento di Stato è altresì lieto splendido esito votazione Camera dei deputati». La votazione sull'ordine del giorno Spataro di approvazione delle dichiarazioni del Governo registrò 342 voti favorevoli, 170 contrari e 19 astensioni. Per il dibattito svoltosi dall'Il al 16 marzo vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1949, vol. V.

575 1 Vedi D. 571.

576

IL MINISTRO A CIUDAD TRUJILLO, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2562/2. Ciudad Trujillo, 18 marzo 1949, ore 12,15 (perv. ore 3 de/19).

Mio telegramma n. l del 16 corrente1•

Intrattenuto lungamente questo ministro affari esteri illustrandogli esaurientemente punto di vista italiano circa questione colonie. Ministro degli affari esteri ha ringraziato per ampia documentazione fornitagli e mostrato accettare nostre argomentazioni. Predetto, in via assolutamente confidenziale, mi ha letto rapporto pervenutogli del rappresentante permanente dominicano presso O.N.U. dopo intervista avuta con Mascia. Riferisco per aereo2 . Ministro degli affari esteri mi ha assicurato che avrebbe chiesto a questo presidente della Repubblica autorizzazione impartire delegazione dominicana O.N.U. istruzioni nel senso da me richiesto. Mi risulta anche che Commissione consultiva Ministero affari esteri cui fa parte ambasciatore Despradel ed ex ministro a Roma Herrera Baez avrebbe espresso parere conforme.

Ministro esteri assicurando suo particolare interessamento questione si è riservato farmi conoscere al più presto decisioni presidente della Repubblica. Telegraferò non appena possibile3 .

577

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2566/93. Londra, 18 marzo 1949, ore 20,40 (perv. ore l de/19).

Wright, a cui era stato accennato opportunità conversazioni a tre, ha risposto che le riteneva per il momento inutili date conversazioni anglo-americane in corso e posizioni già assunte da parte inglese che non gli pareva potessero mutare prima della Assemblea generale Nazioni Unite. Secondo lui per Tripolitania Inghilterra rimarrebbe tuttora propensa al rinvio senza impegni nei nostri riguardi ma lasciando porta aperta all'eventuale ritorno Italia in secondo tempo.

Per Eritrea nulla di nuovo. Si esclude allo stato delle cose possibilità che atteggiamento Londra e Washington si orienti verso un rinvio.

2 Telespr. segreto 126/109 in pari data, non pubblicato.

3 Con T. s.n.d. 303114 del 30 marzo Rossi Longhi informava essergli stato confermato che la delegazione dominicana all'O.N.U. avrebbe avuto istruzioni di appoggiare la tesi italiana.

Ho parlato in seguito questa mattina a Massigli reduce dal Foreign Office: egli mi dice che conversazioni a tre in Londra sono da ritenersi ormai definitivamente superate, poiché gli consta che inglesi stanno inviando loro speciale incaricato a Washington per trattare e discutere nota proposta americana per Libia. La Francia intende chiedere subito agli U.S.A. di essere informata circa tali conversazioni a due intendendo prendervi parte anche per prevenire pericolo di una soluzione separata per sola Cirenaica. Naturalmente centro conversazioni si trasporta così a Washington ed è forse bene che ciò avvenga proprio mentre si incontreranno ministri esteri Schuman Sforza Bevin che potrebbero direttamente e definitivamente intendersi 1 .

576 1 Preannunziava il colloquio di cui al presente telegramma.

578

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2572/263. Washington, 18 marzo 1949, ore 21,38 (perv. ore 8 de/19).

Riferimento telegramma di V.E. n. 1481• Documento interpretativo del Patto è tuttora in via di redazione e non sarà pronto prima della settimana ventura.

Stasera, ore 22,30 tempo di Washington, Achenson illustrerà alla radio genesi e significato del Patto. Con telegramma a parte2 trasmetterò punti salienti discorso cui testo integrale sarà ottenibile presso ambasciata costà. Sua formulazione è ispirata soprattutto da considerazioni di politica interna.

Circa «non automatismo» discorso metterà in rilievo che, in caso di attacco armato contro uno dei contraenti, ciascuno degli altri è tenuto adottare quelle misure che appaiono necessarie per ristabilire sicurezza ivi incluso impiego della forza; ma che solo il Congresso, in base alle norme Costituzione americana, è competente a giudicare se ristabilimento sicurezza richieda tale misura estrema.

579

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, T A COLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2582/9. Montevideo, 18 marzo 1949, ore 19,57 (perv. ore 8 de/19).

Mi riferisco al mio rapporto n. 121 del3 corrente1•

2 T. 2578/269 in pari data, non pubblicato.

Dopo ripetute conversazioni questo ministro degli affari esteri mi ha detto stamane suo Governo è entrato di massima nell'idea di addivenire ad una dichiarazione congiunta di amicizia e collaborazione.

Testo che proporrebbe Uruguay, diverso da quello itala-argentino ma nello stesso spirito, verrebbemi sottoposto tra qualche giorno. Credo anche mi richiederà scambio note circa inizio trattative trattato di commercio sulla base di quello uruguayano-statunitense e circa trattato d'arbitrato che entrambi avevo tenuto in sospeso, pur senza mai subordinarli alla predetta dichiarazione amicizia. Penso mi sarà prossimamente presentato progetto preliminare trattato di commercio e proposto firmarlo Montevideo, mentre si chiederà firmare a Roma trattato di arbitrato.

Ho proposto addivenire accordo culturale con riferimento al suo telegramma n. 72 opportunamente giunto in ambiente favorevole creatosi a seguito avanzato lavoro accompagnatorio Società amici cultura italiana. Ministro sembrato gradire suggerimenti riservandosi esaminare e rispondermi.

577 1 Con T. s.n.d. 2105/107 del 19 marzo Sforza rispondeva dando istruzioni a Gallarati Scotti di ribadire al Foreign Office il principio ispiratore dell'azione diplomatica italiana, e cioè la contemporaneità delle decisioni per il destino dei vari territori libici.

578 1 Vedi D. 575.

579 1 Vedi D. 471.

580

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

TELESPR. 31/96 INT. Roma, 18 marzo 1949.

Il 28 p.v. si riuniranno, com'è noto, costì, gli ambasciatori dei paesi indicati in indirizzo1 , per esaminare in via definitiva, unitamente col rappresentante del Governo britannico, lo schema dello statuto relativo al Consiglio d'Europa.

V.E. rappresenterà il Governo italiano e mi riservo di inviare costì, ove necessario, taluni esperti, per coadiuvarla in tale compito e per collaborare con gli esperti degli altri paesi collegati, nell'esame delle questioni d'indole politica e tecnica che dovessero venire sollevate.

In linea di massima, il Governo italiano non ha obiezioni sostanziali da muovere al progetto comunicatoci dal signor Bevin con la sua lettera a lei diretta il 7 corrente2.

Come direttiva politica generale, è da tener presente che noi tendiamo a far sì che il Consiglio d'Europa diventi un organo politico efficiente, e quindi operante, non soltanto ai fini della collaborazione diretta fra i paesi che vi partecipano, ma anche nell'esame di tutte quelle questioni di carattere internazionale, nei confronti delle quali è desiderabile che i paesi partecipanti al Consiglio stesso assumano, previa consultazione fra di essi, un atteggiamento comune. Discende da ciò che, in linea pratica, noi dobbiamo indirizzare nell'avvenire la nostra azione in modo da ottenere che, ad eccezione dei problemi concernenti la difesa (per i quali è fatta espressa riserva nell'art. 4,

alinea a, del progetto e che saranno piuttosto collegati col Patto atlantico), la maggior parte delle questioni, che sono abitualmente esaminate nel quadro del Patto di Bruxelles, vengano spostate alla competenza del Consiglio d'Europa: è quindi attualmente nostro interesse di evitare che allo schema definitivo del progetto vengano apportate ulteriori limitazioni di competenza, oltre quelle già stabilite, ed appoggiare, per contro, quelle iniziative che mirassero piuttosto ad allargare la competenza stessa.

In particolare, pur tenendo conto che si tratta dell'Assemblea consultiva e non del Comitato dei ministri, ci pare alquanto rigida la limitazione contenuta nell'alinea c dell'art. 10, secondo la quale l'Assemblea non potrebbe discutere né presentare raccomandazioni su questioni di competenza di altre organizzazioni internazionali europee. Tale formulazione comporterebbe l'esclusione dalla sua competenza di ogni materia di carattere economico poiché esiste già l'O.E.C.E. Ora, sebbene noi si riconosca -anzi si sostenga -che siffatte questioni debbano rimanere di stretta competenza dell'organismo tecnico ad hoc, che è l'O.E.C.E., non si vede perché si debba escludere a priori che l'Assemblea possa fare delle raccomandazioni di carattere economico. Comunque sarà bene tener presente che noi non vedremmo con sfavore la possibilità di un collegamento, anche solo di carattere informativo, fra il Consiglio d'Europa e l'O.E.C.E. Ciò abbiamo sostenuto fin da principio nei nostri memoranda. In particolar modo ci interessa che il primo possa mantenersi al corrente sull'attività del secondo e restare con questo in contatto.

Lo stesso può dirsi per le questioni di carattere sociale e culturale.

Si allega un appunto redatto dal Contenzioso diplomatico attirando l'attenzione dell'E.V. su quanto in esso esposto sia in relazione all'art. 10 già citato, sia al punto 2, e si fa riserva di inviarle ulteriori istruzioni in merito alle richieste contenute nel suo telegramma 883 .

ALLEGATO

IL CAPO DELL'UFFICIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO, PERASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO 7/2478. Roma, 16 marzo 1949.

Progetto di statuto del Consiglio europeo

l. Il progetto di statuto del Consiglio europeo, elaborato da una Commissione dei Governi dell'Unione Occidentale, ha esclusivamente carattere organizzati v o e procedurale. Si prevede la creazione di un «Consiglio dell'Europa», il quale si comporrà di due organi: «il Comitato dei ministri» e la «Assemblea consultiva».

Il progetto non precisa i fmi del Consiglio europeo. Solo indirettamente risulta che esso, e particolarmente per mezzo del Comitato dei ministri, si occuperà delle «questioni di interesse comune per gli Stati membri», restandone, tuttavia, escluse le questioni relative alla difesa nazionale.

Le nonne relative al funzionamento del Comitato dei ministri, composto di un ministro per ogni Stato membro, sono informate al criterio dell'uguaglianza fra tutti i membri. Ogni membro ha un solo voto e per le deliberazioni, di regola, è richiesta l'unanimità (common consent).

L'Assemblea consultiva sarà composta di rappresentanti dei paesi membri in una proporzione da determinarsi, senza, però, stabilire in quale modo sarà fatta tale determinazione. Lo statuto così rinvia ad un atto successivo, che potrebbe essere una decisione unanime del Comitato dei ministri, la determinazione del modo come sarà attuato il criterio proporzionalistico della composizione numerica dell'Assemblea.

Lo statuto, poi, lascia alla libera decisione di ciascun Governo la determinazione dell'altro criterio essenziale della formazione dell'Assemblea, cioè la nomina dei rappresentanti di ciascun paese. Sarà così possibile che i rappresentanti dei diversi paesi membri siano nominati con sistemi differenti: in taluni paesi dai Governi, in altri dal Parlamento, in altri in parte dal Parlamento ed in parte dai Governi, ecc. Questa diversità del modo di nomina avrà ripercussioni nella composizione de li' Assemblea e sul suo funzionamento.

Un punto importante stabilito dallo statuto è che nella Assemblea non si vota per Stati, ma individualmente. Ogni rappresentante ha diritto individuale di voto. Ciò dà all'Assemblea consultiva un carattere che la differenzia nettamente dalle ordinarie conferenze internazionali, e l'avvicina ad un parlamento.

Le deliberazioni dell'Assemblea consultiva saranno prese a maggioranza di due terzi, salvo quelle puramente procedurali, che saranno prese a maggioranza semplice dei presenti e votanti. L'Assemblea avrà solo una funzione consultiva, che si attua mediante raccomandazioni al Comitato dei ministri.

Si rileva che l'art. l O (c) del progetto stabilisce che «in no circumstances shall the Assembly discuss any matter relating to National Defence or make any recommendation with regard to a matter which is within the competence ofother European intemational organizations».

Dato che l'Assemblea consultiva non può fare che semplici raccomandazioni, non si vede la necessità di vietare che l'Assemblea possa discutere questioni che rientrano nella competenza di altre organizzazioni internazionali europee, le quali si occupano essenzialmente di questioni economiche. Un tale divieto non mancherebbe di sollevare sfavorevoli commenti in seno ali' Assemblea consultiva, potendosi vedere in esso una disposizione che riduce eccessivamente il compito, già limitato e puramente consultivo, de li'Assemblea stessa.

Poiché il progetto di statuto è stato comunicato al Governo italiano con l'invito a formulare le sue eventuali osservazioni prima della conferenza, nella quale sarà adottato, si è d'avviso che il punto sopra segnalato, concernente la restrizione posta dali' art. lO alla competenza de Il' Assemblea, potrebbe formare oggetto di un'osservazione da parte italiana, anche in coerenza con altre precedenti iniziative italiane.

2. li progetto, così come è stato comunicato, contiene soltanto il testo degli articoli relativi alla costituzione ed al funzionamento del Consiglio d'Europa. Non risulta da esso quale forma assumerà l'atto che conterrà quelle disposizioni.

Si dovrebbe ritenere che l'atto assumerà la forma di un accordo fra gli Stati partecipanti e che sarà previsto che alla firma di esso dovrà seguire la ratifica, in modo che la sua entrata in vigore decorrerebbe dal deposito delle ratifiche di tutti i Governi firmatari.

Dal punto di vista costituzionale italiano, un accordo per la istituzione del Consiglio d'Europa rientrerebbe fra i trattati internazionali, per i quali, secondo l'articolo 80 della Costituzione, la ratifica deve essere autorizzata dalle Camere con legge, sia perché è un trattato

politico sia perché importa un onere alla finanza, sia pure non concretamente determinato. Nella stessa situazione costituzionale si trovano altri Stati (Belgio, Francia).

579 2 Vedi D. 471, nota 3. 580 1 Il telespresso era indirizzato per conoscenza alle ambasciate a Bruxelles e Parigi e alle legazioni a Copenaghen, Dublino, L' Aja, Lussemburgo, Osio e Stoccolma. 2 Non rinvenuta, ma vedi D. 504.

580 3 Vedi DD. 561 e 602.

581

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 094. Parigi, 18 marzo 1949 (perv. il 20).

In merito alle notizie stampa concernenti la possibilità di un patto mediterraneo e conversazioni a questo scopo che avrebbero avuto luogo a Londra fra il ministro degli esteri turco e Bevin, Parodi mi ha detto nella forma più categorica che esse non hanno il minimo fondamento.

Avendogli fatto osservare che il suo predecessore mi aveva varie volte segnalato la necessità di attirare l'attenzione degli americani sull'opportunità di considerare il problema del Mediterraneo come inseparabile dal problema della difesa dell'Europa, Parodi mi ha detto che questo restava il pensiero del Governo francese ma come risultato finale di tutta un'organizzazione difensiva. Al momento attuale bisognava guardarsi dall'estendere troppo l'area da sistemare difensivamente. Anche le risorse degli americani, per non parlare di quelle europee, non erano illimitate ed a voler coprire troppo si rischiava di ottenere ben poco di effettivo. A suo avviso si era già ottenuto un successo insperato dando al Patto atlantico la configurazione territoriale che esso ha oggi; ma prima di fare degli altri passi avanti bisognava essere sicuri di avere ben consolidata la zona originaria. Da parte del Governo francese -e il Governo inglese condivideva questo punto di vista -il patto mediterraneo doveva essere considerato come una necessità avvenire ma non come una realtà vicina.

582

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 684/113. Teheran, 18 marzo 1949 (perv. il 23).

Riferimento: Telespressi ministeriali nn. 7 /728/c. 1 e 3/750/c.2 rispettivamente in data 5 e 7 corrente.

2 Vedi D. 484, nota l.

Ho subito rimesso a questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri copia della Nota verbale n. 3/722/c. indirizzata in data 4 corrente da codesto Ministero a codesta ambasciata dell'Iran3 , illustrandone il contenuto. Ho in particolare richiamato l'attenzione del predetto sottosegretario, così come quella del capo della sezione Nazioni Unite, sulla proposta del Governo italiano che ogni decisione concernente l'Eritrea venga aggiornata affinché il problema possa venire esaminato a fondo ed una decisione presa con piena conoscenza di causa e della situazione di quella nostra colonia.

Mi è stato detto che mi sarebbe stato quanto prima fatto conoscere il punto di vista di questo Governo al riguardo, dato che la questione era ancora allo studio, ma che quanto avevo fatto presente in precedenza e quanto esposto nella nostra nota aveva messo in luce elementi dimenticati o poco noti, cosicché si aveva la sensazione che la nostra proposta di rinvio fosse molto opportuna.

Da tali contatti e da un lungo colloquio avuto ieri sul medesimo argomento con questo ministro degli affari esteri mi è apparsa confermata la mia impressione che la posizione che verrà assunta dali 'Iran nella questione delle nostre colonie in genere, e in particolare per quanto concerne l'Eritrea, ci sarà favorevole e che l'unica difficoltà potrebbe essere costituita da un atteggiamento americano a noi contrario.

582 1 Ritrasmissione di un promemoria di Mascia sulla conversazione avuta il 14 febbraio con l'ambasciatore Entezam, delegato permanente iraniano, sulla questione eritrea, accompagnata dalle istruzioni di insistere presso il Governo iraniano sull'argomento evidenziando le difficoltà in cui si sarebbero trovati i musulmani eritrei nell'eventuale passaggio sotto la sovranità etiopica.

583

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 2621/1139. Washington, 18 marzo 1949 (perv. il 24).

Riferimento: Telegramma d eli' osservatore italiano presso le N.U. n. 9 del 15 corrente 1 •

Mi risulta che francesi e inglesi hanno comunicato al Dipartimento di Stato la loro adesione di massima alla linea di condotta che il Dipartimento stesso si riprometteva di seguire, per il caso che la questione di Trieste venisse nuovamente sollevata in seno al Consiglio di sicurezza (mio rapporto n. 2300/1026 dell'Il corrente, pag. 4)2.

La richiesta sovietica al Consiglio di sicurezza di rimettere in discussione la questione del governatore di Trieste è forse giunta in anticipo sul previsto e comunque prima che il Dipartimento, una volta ricevute le risposte inglese e francese, avesse concretato la linea di condotta di cui sopra.

A quanto ho potuto apprendere, si spera qui che il presidente di turno del Consiglio di sicurezza riesca a dilazionare l'inizio della discussione. Ove tale discussione

2 Vedi D. 539.

non potesse però essere rinviata di molto, si prevede che essa non si allontanerebbe molto dalle linee dell'ultima.

Ove invece la discussione potesse essere rinviata per un adeguato periodo di tempo non è da escludere che il Dipartimento, riprendendo in parte il progetto da me segnalato con rapporto 11237/4295 dell8 dicembre u.s.3, decidesse di procedere (o di far procedere) ad una consultazione preliminare dei firmatari del trattato di pace (ad esclusione probabilmente degli Stati dell'orbita sovietica) al fine di sondare le loro intenzioni circa la possibilità di una revisione del trattato di pace per le clausole relative al T.L.T.

E ciò anche al fine di fornire al presidente del Consiglio di sicurezza, che verrebbe ufficialmente informato delle eventuali consultazioni, argomento per un ulteriore rinvio dell'inizio delle discussioni.

582 3 Vedi D. 484.

583 1 Con tale telegramma Mascia aveva comunicato: «Presidente Consiglio sicurezza mi ha comunicato stamane che delegato sovietico Malik gli ha ieri inviato lettera con la quale chiede che venga rimessa in discussione dinanzi Consiglio questione governatoriale Trieste. Presidente del Consiglio non ha ancora fissato data dibattito».

584

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 230/113. Lisbona, 18 marzo 1949 (perv. il 28).

È giunta a Lisbona il 15 marzo e vi si trova tuttora, in «visita di amicizia», una squadra inglese con la corazzata «Duke of York» e l'ammiraglio Mac Grigor, comandante in capo dell'Home Fleet. Nei discorsi e nei brindisi scambiati in occasione delle cerimonie e dei banchetti si è inneggiato all'amicizia e all'antica alleanza e, da parte inglese, si è insistito sull'aiuto prestato dal Portogallo alla Gran Bretagna in guerra. Tali accenni, rilevati con compiacimento dalla stampa locale, hanno dato un suono leggermente falso e hanno richiamato l'attenzione sui rapporti anglo-portoghesi, i quali, se sono rimasti in teoria inalterati, hanno invece effettivamente subito una modificazione profonda che, per essere stata lenta e progressiva, ha colpito meno gli osservatori. Talmente che capita di sentir ancora oggi ripetere i vecchi clichés di un Portogallo satellite dell'Inghilterra e strumento passivo della politica britannica. Ciò è stato forse vero in passato, ma dal 1928 la politica portoghese subisce una ininterrotta evoluzione. Il tema dell' «alleanza perpetua» è rimasto nei discorsi e anche -in certa misura-nella tradizione popolare, ma esso è andato praticamente vuotandosi di importanza, fino a divenire un'espressione priva di contenuto. Le ragioni per cui l 'alleanza era sorta andavano perdendo di valore con l'accelerarsi del lento processo di decadenza dell'Impero britannico e col sorgere e l'affermarsi di altre potenze mondiali, prima fra cui l'America del N ord; in modo che oggi, senza scosse e senza colpi di scena, l'America è venuta a sostituirsi alla Gran Bretagna nella funzione storica di alleata e di potenza garante del Portogallo. E ciò è avvenuto in modo discreto, senza denuncie o stipulazioni di alleanze. Data la

contingenza politica attuale per cui gli interessi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti sono venuti sul piano internazionale ad allinearsi e quasi ad identificarsi, la sostituzione è già un fatto compiuto e la base aerea delle Azzorre, la cui importanza strategica è aumentata al punto di fame uno degli eventuali capisaldi in una futura difesa dell'Atlantico e di conseguenza una porta, se non la porta, del continente americano, si trova già praticamente in possesso degli Stati Uniti. Se la politica britannica venisse per pura ipotesi a trovarsi in contrasto con quella degli Stati Uniti, il Portogallo seguirebbe con ogni probabilità l'America. Ciò in parte è dovuto al naturale evolvere della situazione internazionale e in parte alla politica seguita da Salazar, che nei confronti della Gran Bretagna appare assai complessa. Egli ha cominciato col vedere nell'«alleanza perpetua» un legame di dipendenza, logicamente inviso alla sua mentalità nazionalista, ed ha cercato di liberarsene. Ma le limitate risorse del suo paese, la vulnerabilità dell'impero coloniale, la difficoltà dei rapporti con la Spagna, infidi fino alla guerra civile, lo obbligavano a cercare all'esterno un appoggio e una garanzia che la Gran Bretagna aveva la possibilità e la volontà di accordargli. Costretto a subire no/ente animo tale protezione, pur continuando a ripetere, o, piuttosto, a lasciar ripetere dichiarazioni di amicizia e professioni di fedeltà alla Gran Bretagna, egli non perdeva occasione per minare l'edificio della storica amicizia. Durante la guerra giunse, lui così cauto e simulatore, a quasi scoprire il suo giuoco, ma mutò rapidamente di rotta al delinearsi della vittoria alleata. E dalla fine della guerra si è andato sempre più avvicinando ali'America, il cui crescente atteggiamento antirusso conveniva del resto perfettamente alla linea della politica portoghese appassionatamente anticomunista. I dirigenti britannici, sia perché il Portogallo non rappresenta un fattore molto importante nel giuoco politico mondiale, sia perché, come ho già accennato, la politica internazionale degli Stati Uniti è oggi nelle grandi linee la loro stessa, hanno preferito non accorgersi del mutamento e continuano ad affermare, in ogni occasione, i legami di amicizia e di alleanza col Portogallo, ma tali dichiarazioni vengono fatte a voce sempre più bassa.

A conferma di tutto ciò, può osservarsi oggi che la visita della Home Fleet costituisce un avvenimento di poco rilievo, mentre la visita della squadra americana dello scorso giugno ha rivestito un'importanza ben maggiore e ha dato a tutti l'impressione che il Portogallo è ormai all'ombra delle stars and stripes.

583 3 Non pubblicato.

585

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1797/405. Trieste, 18 marzo 1949 (perv. il 22).

Voci di una imminente iniziativa sovietica tendente a scalzare l'attuale regime jugoslavo, si sono andate diffondendo con sempre maggiore frequenza nei giorni scorsi in questi ambienti alleati e triestini che le hanno seguite con vivo interesse e non senza apprensione.

A tali voci hanno dato origine due gruppi diversi di fatti, di senso apparentemente opposto:

l) la presunta presenza di Tito a Brioni (o in altra isola adriatica), nonché l'ispezione di Rankovic ai confini orientali della R.F.P., che avrebbero coinciso con una nuova presa di contatti degli attuali dirigenti jugoslavi con personalità anglo-sassoni;

2) le notizie di ribellioni, attentati e sommosse che sarebbero in corso nelle regioni finitime della Slovenia e della Croazia.

Sull'uno e sull'altro di questi gruppi di notizie riferisco con maggior ampiezza a parte. Comunque un controllo sulla loro esattezza esorbita dalla competenza di questo Ufficio che non può che dare atto della loro diffusione, anche per mezzo della stampa, in questa città.

Sarebbe tuttavia assurdo nascondere che una possibile iniziativa russa nel settore jugoslavo è considerata in questi ambienti alleati, in relazione all'attuale situazione internazionale, come oltremodo probabile, particolarmente nel settore macedone; e che la possibilità di tali mutamenti, come d'altra parte l'eventuale necessità di porvi riparo, mettono in una luce nuova la questione di Trieste, ponendo particolarmente l'accento, fra le varie forze che costituiscono i «dati» del problema, sulla componente jugoslava.

Si ritiene quindi che sia prevedibile, a breve scadenza, un mutamento della situazione che si era venuta a creare, anche in campo internazionale, in seguito allo «scisma» dello scorso luglio: e che tale mutamento possa portare a Trieste, come naturale conseguenza, a dei riflessi di carattere interno. Va da sé che queste ripercussioni di carattere interno sono considerate, negli ambienti di questo G.M.A., assolutamente indesiderabili, particolarmente in periodo elettorale: e che mi è stato spesso ripetuto il desiderio che, nei prossimi mesi, fino a giugno, l'opinione pubblica locale possa mantenersi calma, evitando quelle reazioni incontrollate e nervose di cui essa ha dato prova così di frequente.

Osservando obbiettivamente, attraverso alle reazioni di questi circoli alleati, le ripercussioni, sullo sviluppo della questione di Trieste, della situazione che, almeno secondo le informazioni qui diffuse, sembra si vada creando nelle vicine regioni balcaniche, pare tuttavia che si possano fare fin d'ora le seguenti previsioni:

l) la questione di Trieste, in relazione alla necessità di mantenere aperte le possibilità di trattative in campo politico con la Jugoslavia, sta per entrare in una nuova fase di quiescenza diplomatica. Permanendo una simile situazione, anche un nostro notevole successo locale in occasione delle prossime elezioni non potrà consentirci di sbloccare la situazione attuale, quale essa si è andata cristallizzando nel corso degli ultimi nove mesi dopo l'ultima riforma degli ordinamenti locali;

2) l'interesse alleato al mantenimento delle truppe nella Zona A ed al controllo del porto non può risultarne che aumentato. Si tratta di una considerazione che questo Ufficio ebbe a svolgere fin dal luglio u.s. (Telespresso n. 5284/989 del 27 luglio u.s.) 1 , ma che oggi acquista anche maggiore rilievo e che probabilmente porterà ad un arresto della progressiva civilianization delle amministrazioni locali;

3) la questione della Zona B del Territorio potrebbe, in alcune ipotesi, acquistare una nuova importanza, anche per gli stessi Alleati.

Per completare il quadro delle reazioni alleate di fronte alle voci cui ho fatto cenno più sopra, aggiungo che si ha qui l'impressione che la posizione di Tito sia tuttora abbastanza solida.

585 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 251.

586

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2604/48. Mosca, 19 marzo 1949, ore 12.51 (perv. ore 12,30).

Stampa sovietica circa pubblicazione Patto atlantico si limita a breve corrispondenza Tass da Washington nella quale si dichiara che il testo pubblicato conferma il carattere militare ed aggressivo del Patto già denunziato dalla nota dichiarazione ministeriale 29 gennaio'. Intanto continuano larghe notizie sulle discussioni al Parlamento italiano e sulle dimostrazioni in Italia. Discorsi Togliatti e altri oppositori vengono largamente riassunti. Si tace tuttavia finora sulla votazione avvenuta ieri. Continua pure sistematico crescendo di stampa al riguardo del progettato Congresso difensori della pace indirizzato esso pure contro il Patto atlantico.

587

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2611/169-170. Parigi, 19 marzo 1949, ore 13,18 (perv. ore 16,30). Suo 142 1•

Couve de Murville mi ha detto che mutato atteggiamento Massigli è dovuto a fatto nuovo: invito americano a inglesi discutere con loro questione. A questo scopo è già partito per Washington direttore Africa Foreign Office. Dato questo, da parte francese si considera che conversazioni a tre non hanno più scopo: esse avrebbero dovuto portare inglesi accettare punto di vista concordato con Francia e noi di fronte americani: ma avuto ora invece possibilità conversazioni a due con americani e

587 1 Dell8 marzo, con il quale veniva ritrammesso il D. 568.

nuovo avvicinamento americano a tesi non troppo favorevoli a noi, possibilità influire su inglesi in senso desiderato sono assai minori.

Mi ha detto aver inviato stamattina istruzioni Bonnet fare suo possibile per convincere americani allargare loro discussioni Washington includendovi anche Francia e noi e suggerisce che anche noi si diano istruzioni Tarchiani nello stesso senso. Couve pensa che si potrebbe forse suggerire americani portare discussioni su piano superiore approfittando presenza ministri esteri Washington nel qual caso V.E. potrebbe partecipare personalmente ed in qualche forma a discussioni.

Couve mi ha dato impressione che considera questo nuovo sviluppo non (dico non) favorevole punti di vista francese e nostro. A suo leggero accenno a ritardo da parte nostra decidersi per conversazioni a tre quando sarebbero stato possibile, gli ho detto che per dovere di lealtà non potevamo interrompere conversazioni in corso con inglesi. Ufficio Africa Quai d'Orsay da parte sua, pur ripetendo opposizione francese mandato multiplo, accennava anche probabile necessità accettarlo sopratutto per questione base americana Mellah.

Ritengo informazioni Gallarati esatte nel senso che Francia, la quale deve affrontare Washington discussione per lei vitale su questione tedesca e per la quale spera per varie ragioni potere avere certa misura appoggio inglese, non ha molte possibilità in questo momento prendere posizione assoluto contrasto con Inghilterra. Come pure condivido opinione Tarchiani (suo rapporto 11 corrente)2 circa limite molto ristretto appoggio francese per questione Eritrea come del resto è sempre stato.

586 1 Vedi D. 212.

588

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2621/42. Bruxelles, 19 marzo 1949, ore 20,30 (perv. ore 7,30 del 20).

Telegramma di V.E. 35 1•

Spaak non ha intenzione partecipare prossima sessione O.N.U.

Sembra non vi assisterà nemmeno Carton de Wiart e delegazione belga sarà probabilmente presieduta da Van Langenhove.

Circa atteggiamento delegazione belga in questione colonie italiane non ho potuto ottenere precisi affidamenti. Spaak, occupatissimo da grandi problemi internazionali del momento e da contrasti di politica interna, non sembra prestare molta attenzione alla questione la cui trattazione è in pratica affidata a questo direttore generale degli affari politici col quale mi sono lungamente intrattenuto.

Proveniente da Parigi è qui giunto ministro degli affari esteri di Etiopia che parteciperà di persona prossima sessione O.N.U. Egli ha avuto diversi colloqui e sua attività è patrocinata dal presidente del Senato Rolin che ha influenza presso ambienti massonici e di sinistra. Sto adoperandomi presso esponenti partito cristiano-sociale che peraltro si mostrano molto riservati dato che, per accordo fra i partiti, questioni di politica estera vengono lasciate come è noto alla competenza di Spaak. Ho tuttavia fatto discretamente awicinare anche presidente del partito cristiano-sociale di recente ritornato da Roma e che si è dimostrato molto sensibile alle cortesie usategli dal presidente De Gasperi.

587 2 Vedi D. 542.

588 1 Del 18 marzo, con il quale Zoppi chiedeva di riferire sull'atteggiamento del Governo belga a proposito delle colonie e di far conoscere se Spaak avrebbe partecipato ai lavori dell'Assemblea generale dell'O.N.U.

589

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2626/42. Nanchino, 19 marzo 1949, part. ore 3,30 del 20 (perv. ore 3,30).

Ho siglato oggi 19 Trattato con vice ministro degli affari esteri qui a Nanchino 1•

In accoglimento ultime nostre richieste è stata soppressa parola «similare» in note aggiuntive, ed è stata a maggior garanzia aggiunta parola «ali» prima «matters» in ultimo capoverso articolo 6.

Circa firma, per la quale occorre attendere soluzione della crisi ministeriale in corso e nomina ministro degli affari esteri, e sempre che sviluppi militari o politici situazione qui non ne facciano venire meno possibilità, riservomi ulteriori comunicazioni. Prego comunque indicarmi se autorizzazione datami debba interpretarsi come conferimento appositi formali poteri2 .

Reputo non (dico non) dar per ora pubblicità avvenuta siglatura.

590

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 501/04. Buenos Aires, 19 marzo 1949 (perv. il 24).

Riferimento: T el espressi di codesto Ministero n. 3/667 le. del 28 febbraio (Tripolitania) e n. 3/766/c. dell'8 marzo (Eritrea) 1•

2 Con T. 2208/14 del 23 marzo Sforza rispose in senso affermativo.

Ho illustrato presso questo Ministero degli esteri quali sono -in relazione alla prossima ripresa dei lavori dell'Assemblea generale delle N.U.-i punti di vista del Governo italiano in merito, rispettivamente, alla questione della Tripolitania ed a quella dell'Eritrea, e precisamente:

-necessità che ogni decisione relativa alla Cirenaica sia contemporanea alla attribuzione del trusteeship sulla Tripolitania all'Italia; -necessità invece di un rinvio di ogni decisione circa l'Eritrea.

Preciso ad ogni buon fine che, in questa ultima fase, nell'assenza di specifiche istruzioni di codesto Ministero, mi sono invece astenuto dal trattare la questione della Somalia. Nell'eventualità si ritenesse opportuno che ne faccia un qualche accenno pregherei indicarmi in quali termini si desidera che io provveda.

589 1 Per l'autorizzazione vedi D. 560.

590 1 Vedi DD. 428 e 572, nota 2.

591

L'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, GIARDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 436/90. La Paz, 19 marzo 1949 (perv. il 30).

Riferendomi alla comunicazione telegrafica in data odierna1 ho l'onore di trasmettere in allegato copia e traduzione letterale della Nota n. 1802 contenente il punto di vista del Governo boliviano sulla questione delle nostre colonie, oggi personalmente rimessami da questo ministro degli affari esteri dott. Luis Fernando Guachalla.

Nella mattinata avevo avuto un lungo ed esauriente colloquio col predetto ministro sullo stesso argomento, colloquio che mi ha permesso di sviscerare una volta di più e nel modo più ampio il problema coloniale e di chiarire alcuni punti sui quali il dott. Guachalla nutriva ancora qualche dubbio.

Come ho fatto presente in precedenti comunicazioni le ultime crisi politiche verificatesi a brevissima distanza l'una dall'altra con relativi cambi totali di Gabinetto e pertanto anche di cancellieri, mi hanno costretto a riprendere più volte e da capo la mia azione diplomatica nel momento in cui potevo ritenere di averla condotta a buon termine.

Così quando già ero a buon punto nella trattazione della questione col precedente ministro degli affari esteri dott. Balcàzar, la repentina caduta di quest'ultimo mi ha posto dinanzi al nuovo cancelliere dott. Guachalla, vecchio ed esperto diplomatico di carriera e personalità la cui fama varca le frontiere della Bolivia.

Debbo dire francamente, che ho trovato nell'attuale ministro una aperta comprensione e una ragionata ricettività alla tesi che gli ho esposto. Egli aveva avuto da me nei giorni precedenti un'ampia e documentata illustrazione dei nostri punti di vista fedelmente ricalcata nelle istruzioni impartite da V.E.

2 Non pubblicato.

Dal testo della Nota allegata e più ancora che dal senso e dalla successione strettamente letterale delle parole, dalla elevatezza impiegata nell'espressione, pare possa ritenersi che la Bolivia si è ora maggiormente compenetrata delle nostre richieste e ha deciso di appoggiare la buona causa.

La tesi brasiliana che qui va sotto il nome di «tesi Fernandez», giudicata dal nostro osservatore presso le Nazioni Unite, nel suo rapporto del 14 dicembre 19483 diretto all'E.V., come meritevole «di essere fatta propria da ogni Governo sud-americano», è stata per l'appunto adottata da questo Governo.

Di più nelle attuali contingenze non sarebbe stato possibile ottenere considerate le pressioni inglesi e l'atteggiamento riservato americano.

Mi risulta che questo ambasciatore degli Stati Uniti, richiesto dal capo Ufficio trattati e O.N.U. di questo Ministero degli esteri, di far conoscere il punto di vista americano sulla questione delle colonie italiane si è limitato a rispondere «che gli Stati Uniti nutrivano molta simpatia per l 'Italia».

Egualmente mi consta che, allo scopo di neutralizzare previste pressioni da parte britannica, così da poterei venire maggiormente incontro, questo ministro degli affari esteri, manovrando abilmente, ha dato soddisfazione agli inglesi sulla questione delle colonie europee in America, mantenendo la Bolivia assente dalla «Commissione americana dei territori dipendenti», attualmente in corso all'Avana e in cui si sta appunto discutendo il problema di possedimenti coloniali di potenze extra-continentali.

Tale atteggiamento del Governo boliviano mentre è tornato assai gradito a questa rappresentanza britannica, ha consentito a questa Cancelleria, come lo stesso dott. Guachalla mi ha riservatamente detto, maggior libertà di movimento nella nostra direzione.

Il punto più importante che ha fatto maggiormente presa su questo Governo e che ha molto influito sull'adozione di un atteggiamento più favorevole nei nostri riguardi, è rappresentato dalla saggia determinazione del Governo di riconoscere l'aspirazione etiopica ad un proprio sbocco al mare, aspirazione che per analogia si identifica con le conosciute rivendicazioni boliviane di un accesso al Pacifico (Arica).

Il dott. Guachalla ha avuto sincere espressioni di ammirazione per così alta e lungimirante decisione che, egli ha detto testualmente, «costituisce la prova migliore di ciò che significhi la buona vicinanza ed il miglior esempio al quale dovranno inspirarsi altri Stati per regolare e definire rapporti e situazioni in certo qual modo analoghi».

Al momento opportuno, non vi è dubbio che di tale precedente la Bolivia si servirà come argomento nelle sue trattative col Cile per uscire dalla propria mediterraneità e riaffacciarsi al mare.

Poche ore prima di ricevere la definitiva risposta dal Governo boliviano sulla questione coloniale, mi è pervenuta la nota ministeriale n. 3/722/c. del 4 corrente allegata al telespresso n. 3/766/c. in data 8 corrente mese4 .

Ho ritenuto opportuno non procedere alla consegna della stessa prima di conoscere il punto di vista ufficiale boliviano sulla questione in oggetto e ciò nel dubbio di fornire a questo Governo un'occasione per rimandare la definizione del proprio atteggiamento.

4 Vedi D. 484.

Comunque assicuro che non appena pervenutami l'allegata Nota boliviana, ho rimesso a questa Cancelleria la Nota verbale di codesto Ministero n. 3/722/c., che conclude colla richiesta di rinvio di una decisione concernente l'Eritrea.

Sarà mia cura far conoscere a V.E. l'accoglienza che il Governo boliviano riserverà a tale nuova richiesta.

Ho succintamente riferito a V.E. sull'azione da me svolta presso questo Governo, azione largamente fiancheggiata dalla stampa locale e dalla opinione pubblica opportunamente preparate e illustrate.

Dal canto loro le collettività italiane qui residenti, accogliendo concordi un mio suggerimento e invito, presenteranno tra pochi giorni al presidente della Repubblica un messaggio in cui richiedono, per l'Italia, la comprensione e l'appoggio della Bolivia alla O.N.U., in nome della solidarietà latina.

Sebbene il Governo boliviano ci abbia già fatto conoscere quale sarà il suo atteggiamento, tuttavia non sarà privo di significato un simile gesto: esso in ogni caso servirà a far comprendere anche qui che il problema coloniale non è soltanto un problema di Cancellerie e di conferenze internazionali ma essenzialmente un problema italiano, mentre d'altra parte richiamerà l'attenzione di questo Governo sulla convenienza di accattivarsi l'approvazione e la simpatia di queste nostre collettività che nonostante la loro esiguità numerica hanno un effettivo peso sulla vita e sullo sviluppo economico e industriale di questo paese.

Mi permetta infine V.E. di raccomandare ancora che il nostro osservatore presso l'O.N.U. mantenga i necessari contatti con i membri della delegazione boliviana a Lake Success e particolarmente coll'ambasciatore Costa du Rels: i boliviani sono sensibilissimi a queste prove di considerazione e me lo hanno fatto più volte comprendere.

Pare ormai accertato che Costa du Rels presiederà la prima Commissione politica nell'assenza di Spaak: ciò ha indotto questo ministro degli affari esteri a impartirgli istruzioni di astenersi dal prendere attiva e diretta parte ai dibattiti che si svolgeranno sulle varie questioni all'O.N.U., quella coloniale compresa.

La delegazione boliviana si limiterà dunque a fare le dichiarazioni del caso al momento di deporre il proprio voto.

591 1 T. s.n.d. 2581114 dell8 marzo, non pubblicato.

591 3 Vedi D. 287, nota 2.

592

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 4711166. Stoccolma, 19 marzo 1949 (perv. il 24).

La situazione odierna della Svezia si può a un dipresso fissare su quanto ha recentemente dichiarato ad un mio collega il ministro degli affari esteri Undén: che cioè, fallito un patto scandinavo e definita la politica svedese libera da impegni verso terzi, una reazione dell'opinione pubblica al conseguente isolamento della Svezia fosse da prevedersi. Ma Undén nega che questa reazione possa significare nel suo fondo un desiderio di tornare sulle proprie decisioni ed è comunque sicuro di poter contare sul suo partito e di conseguenza sulla maggioranza del Parlamento per il proseguimento della politica da lui ormai impersonificata.

Si direbbe effettivamente che, concesso alla Russia fino allo scrupolo quanto dovesse tranquillizzarla sulle intenzioni pacifiste di questo paese, ci si preoccupi qui di convincere l'Occidente che la Svezia è imbevuta di genuino spirito democratico e che le sue simpatie attuali e le sue speranze per il futuro -sopratutto se dovesse riservarle sgradevoli sorprese -vanno interamente agli aderenti al Patto atlantico, la cui rapida attuazione viene considerata una impellente necessità per la Svezia nell'ipotesi di un'aggressione armata. Ciò è abbastanza coerente con i principi più o meno apertamente sostenuti da Undén e dal Governo. E cioè l'assumere un atteggiamento militarmente impegnativo senza che un pericolo imminente e concreto si presenti è contrario alle tradizioni pacifiche della Svezia; aderire ad un'alleanza che non apporti un attuale contributo di forza significa aggravare la precarietà dei propri mezzi di difesa; portati alle frontiere orientali della Svezia i limiti del Patto atlantico, verrebbe a sparire quella zona di rispetto tra l'Occidente e la Russia che, a parere del Governo svedese, ha costituito fino ad oggi l'elemento più serio a salvaguardia dell'indipendenza della Finlandia. Ma gli svedesi ammettono che la sola temibile minaccia loro deriva dall'Unione Sovietica e, realizzata che fosse un'aggressione, solo dall'Occidente possono ottenere, se il tempo lo consentirà, i necessari aiuti alla loro difesa o, nel più disperato dei casi, la loro liberazione.

A parte quanto ha messo in rilievo la stampa sulla verosimile automaticità di un intervento svedese in caso di conflitto, date le esigenze strategiche dell'eventuale aggressore e la conseguente necessità che il Patto atlantico ponga al più presto in grado Norvegia e Danimarca di provvedere ai casi loro, prima che si confondano con quelli di tutta la Scandinavia, sono assai sintomatici i discorsi pronunciati rispettivamente l' ll ed il 16 corrente da due personalità militari assai rappresentative che sono il maggior generale Swedlund, capo di Stato Maggiore della difesa (Stato Maggiore Generale) ed il generale Jung, comandante in capo delle forze armate. Accludo un riassunto del primo e traduzione nel suo testo integrale del secondo, raccomandandone un'attenta lettura1 . È ben vero che tali discorsi sono dovuti all'imminenza dello stanziamento dei fondi per la difesa e mirano ad impressionare il Parlamento conseguentemente alle necessità secondo una visione militare del momento attuale; ed è altrettanto vero che i due oratori, pure essendosi finora formalmente astenuti dall'immischiarsi nella politica attiva, propendono istintivamente verso una concezione occidentale; ma non mancavano certo i mezzi al Governo per impedire delle manifestazioni così esplicite e -direi quasi -compromettenti, anche se la concezione della libertà ed il senso di responsabilità politica di questo popolo consente delle forme di convivenza politica che sarebbero da noi impossibili ed inconcepibili. È stata invece la stampa, e sopratutto l'organo governativo Morgon-Tidningen a richiamare «i generali a pensare alloro mestiere e lasciare la politica al Governo», mentre il primo ministro Erlander si è limitato a dire in sede non ufficiale che essi dovevano attenersi alle direttive stabilite dal Governo e dal Parlamento, pure ammettendo che,

in quanto cittadini, essi hanno il diritto di esprimere il loro pensiero. Si è anche detto che negli ambienti militari si voglia la testa del ministro della difesa Vougt, ad onta del fatto ch'egli abbia dimostrato che dalla fine della guerra, e cioè dal giugno 1945 al giugno 1949, siano stati destinati agli armamenti ben 4 miliardi e 150 milioni di corone, pari a 665 miliardi e 600 milioni di lire: somma tutt'altro che indifferente per un paese come la Svezia che disponeva di un esercito già relativamente bene attrezzato. Ma il lato sintomatico della cosa sta nel fatto che i militari abbiano scelto un tono di netta ispirazione occidentalista a sostegno del loro punto di vista.

Quasi contemporaneamente il prof. Ohlin, capo del partito liberale che è il più forte dell'opposizione e segue per importanza il partito socialdemocratico, manifestava l'opinione che si debba mirare a creare la possibilità che la Svezia, in caso di aggressione, possa ottenere l'aiuto dell'Occidente, verso il quale essa è già orientata, pur avendo finora pressoché incondizionatamente appoggiato la politica estera del Governo.

Ho avuto occasione di far presente in passato che sarebbe un errore attribuire carattere definitivo all'atteggiamento della Svezia. Ho anzi precisato che un ulteriore aggravamento della situazione internazionale, con particolare riguardo alla Finlandia, potrebbe portare ad un capovolgimento della situazione. Siamo tuttora a questo punto e tale è, come ho detto dianzi, il parere di Undén. Si ha peraltro qualche indizio che il Governo intenda per lo meno ammonire la Russia che la sua imparzialità non deve essere fraintesa per della tolleranza e tanto meno della simpatia. Alla comprensione mostrata dal Governo, almeno fino a questo momento, di fronte all'esuberanza dei militari vanno aggiunti degli episodi saporosi come il tono delle note dirette a quest'ambasciata dell'U.R.S.S. in relazione al caso di alcuni rifugiati baltici (mio telespresso n. 468/163 in data odierna)2e le misure che si stanno studiando sulla permanenza degli stranieri in !svezia, che tendono a rafforzare i necessari controlli per reprimere, nelle sue diverse sfumature, lo spionaggio sovietico.

Finalmente, a ragione od a torto, si sembra essere convinti qui che sia ormai da darsi per scontata la reazione russa all'adesione della Norvegia al Patto atlantico. Si crede cioè ~e la cosa mi viene confermata da fonte finlandese ~che a parte qualche movimento, già avvenuto od in corso, di truppe sovietiche di scarsa importanza alla frontiera russonorvegese, nulla dovrebbe verificarsi di anormale in Finlandia. E ciò confermerebbe che non si è raggiunto il limite di sopportazione del Cremlino e che si dovrebbe quindi poter contare su di un ulteriore periodo di calma relativa, in questo settore.

Quanto ai comunisti, il cui atteggiamento conta esclusivamente in questo ambiente come indice delle istruzioni del Cremlino, hanno preso l'occasione della discussione del bilancio della difesa per fare una dichiarazione di solidarietà con la Russia in caso di guerra, che va posta in relazione con le reazioni cui ha dato luogo l'imminenza del Patto atlantico. Essi hanno anzi voluto attribuirvi un carattere di solennità anche formale in quanto, imitando il procedimento in uso per il Governo, un testo identico di siffatta dichiarazione è stato letto da un membro comunista alla prima ed alla seconda Camera. Le reazioni generali della stampa si sono manifestate attraverso accusa di alto tradimento, accompagnata da espressioni che suonano «ripugnanza», «ribrezzo» e «indignazione». Riassumo ad ogni buon fine qui di seguito il contenuto della dichiarazione stessa:

«Infondatamente da parte occidentale si attribuisce alla Russia l'intenzione di aggredire la Svezia. Le forze reazionarie mondiali rivelano con queste affermazioni le loro vere intenzioni che sono quelle di scatenare una guerra mondiale aggredendo l'Unione Sovietica e, per quanto riguarda la Svezia, coinvolgere la sua popolazione amante della pace nella guerra. In tal caso è patriottico dovere di ogni comunista, anzi di ogni sincero patriota svedese, fare tutto il possibile per combattere i guerrafondai imperialisti agendo come hanno agito tra gli altri il popolo della Danimarca e della Norvegia durante la passata guerra, i quali con l'aiuto dell'Unione Sovietica hanno liberato le loro patrie dall'invasore ristabilendo l'indipendenza nazionale».

592 1 Non pubblicati.

592 2 Non pubblicato.

593

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 2125/156. Roma, 20 marzo 1949, ore 16.

Con telegramma n. 233 1 V.E. segnalava che appunto consegnatole 1'8 marzo dal Dipartimento di Stato prevedeva che paesi cui adesione è desiderata avrebbero potuto partecipare ad eventuale discussione finale draft precedentemente firma.

In base a queste indicazioni Governo italiano ha impostato dibattito parlamentare su voto fiducia per essere autorizzato iniziare trattative.

Draft che ci è stato comunicato appare in tutto rispondente al nostro punto di vista; tuttavia sarebbe opportuno, per ragioni suddette, nostra presenza alla discussione, sia pure nella sua ultima fase.

Confido non per ragioni di prestigio ma di unione nazionale che tale possibilità sussista ancora ed è per questo che conto partire aereo da Parigi 27; è evidente che se ci sarà ancora una riunione collettiva essa dovrebbe essere convocata con me presente. Conto su di lei che comprende queste necessità morali2 .

594

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 2133/160. Roma, 20 marzo 1949, ore 22.

Nell'ultima giornata della discussione alla Camera Togliatti propose che si escludesse formalmente ogni cessione di base alleata in Italia al che De Gasperi

2 Per la risposta vedi D. 601.

rispose che non accettava perché nessuno ci aveva chiesto basi e perché stimava non essere ciò nello spirito del Patto. La prego indagare se codesto Governo abbia mai espresso un pensiero su tale problema1 .

593 1 Vedi D. 511.

595

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 2134/161. Roma, 20 marzo 1949, ore 22.

V.E. avrà notato importanza qui data al problema dell'automatismo o non automatismo.

È uno dei punti che intendo chiarire con Acheson ed in previsione di tale conversazione le sarò grato preparare terreno perché mi si dia un qualche documento che ripeta la interpretazione già autorizzata.

Naturalmente ci soddisferebbe anche una dichiarazione collettiva1•

596

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2629/51. Mosca, 20 marzo 1949, ore 14,43 (perv. ore 17,30).

Stamane stampa sovietica pubblica integralmente Patto atlantico e dà ancora largo posto a notizia manifestazione contro di esso e per la pace nonché su conclusione dibattito Parlamento italiano e suo risultato. Nella domenicale rassegna internazionale su Pravda Viktorev commenta le manifestazioni popolari italiane contro il Patto segnalandone importanza e mettendo evidenza che anche Times se ne dimostrò preoccupato traendone ammonimento di mettere in evidenza il più possibile natura pacificazione e difensiva del Patto. Notevole è sopratutto la conclusione ove Viktorev sostiene che adesione Italia implica armamenti e basi militari e quindi è di per sé violazione trattato di pace senza che possa a nulla servire artificioso palleggiamento responsabilità già tentato invocando preteso precedente riarmo Bulgaria Romania Ungheria.

595 1 Per la risposta vedi D. 601.

594 1 Per la risposta vedi D. 60 l.

597

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2635/271. Washington, 20 marzo 1949, ore 13,07 (perv. ore 2 del 21).

È probabile che prossimi giorni abbia luogo qualche altra riunione ambasciatori per discutere questioni procedura. Per il caso io vi sia invitato anche prima della votazione Senato, prego confermare se in base ai suoi 132 e 149 1 io possa partecipare dette riunioni 2 .

598

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2637/87. Belgrado, 20 marzo 1949, ore 18,15 (perv. ore 6 del 21).

Ho comunicato a Brilej contenuto telegrammi ministeriali 66 e 671•

Contemporaneamente in relazione nostro telegramma, ho espresso necessità di trovare insieme forma che in convenzione pesca chiarisca differenza giuridica tra acque territoriali jugoslave e fascia quattro miglia.

Brilej ha eluso questa mia proposta dicendo che anche per semplice esame nuova formula deve interpellare suo Governo. Inoltre mi ha dichiarato che suo Governo non (dico non) intende accettare interdipendenza varie questioni come proposto da Governo italiano solo contro conclusioni pesca: esso chiede esecuzione accordi tanto sulla questione che R.O.M.S.A.

Ho reagito ricordando precisa impostazione punti di vista Governo italiano in mia conversazione con Kardely del 20 gennaio2 e lettera segretario generale degli affari esteri ad Ivekovic del 20 febbraio3 . Ho aggiunto essere sorprendente che dopo avere voluto continuazione conversazioni delegazioni, soltanto ora Governo jugoslavo si dichiari contrario al risultato.

Dopo vivace discussione Brilej mi ha fatto intendere che Governo jugoslavo sperava che venisse rapidamente a maturazione anche questione beni nazionalizzati, che si sarebbe invece appesantita dopo ultimo progetto presentato da Romano.

2 Vedi D. 121.

3 Vedi D. 353.

Sembra evidente la tattica questo Governo accantonare definizione questioni anche importanti per poi risollevarle dopo aver ottenuto rinunzia e concessioni da parte nostra.

Ho perciò creduto opportuno dichiarare a Brilej quanto segue: «Dato punto di vista mio Governo circa interdipendenza varie questioni e circa fascia quattro miglia, mi pare perfettamente inutile continuare conversazioni pesca se Governo jugoslavo non supera sue eccezioni che a questo punto diventano assolutamente pregiudiziali».

Brilej mi ha risposto che riferirà suo Governo.

Delegazione pesca anche in relazione telegramma 834 , concorda in questo atteggiamento. Aggiungo che mi pare indispensabile decisa presa di posizione, tenendo presente che consistenza pretese Governo jugoslavo non si arresterà qui ed esso chiederà ancora probabilmente precisazioni importo aumento plafond ed altro.

Prego inviarmi istruzioni possibilmente telegrafiche5 .

597 1 Vedi DD. 514 e 575. 2 Sforza rispose (T. s.n.d. 2169/162 del 22 marzo): «Certamente ma confidando V.E. agisca per ulteriori riunioni con mio intervento».

598 1 Vedi DD. 550 e 551.

599

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 1186/609. Londra, 20 marzo 1949 (perv. il 24).

Ricevo la tua lettera 3/893 del 17 marzo 1949 1• Ma ormai dopo il mio ultimo telegramma n. 93 2 comprenderai che non si tratta più di semplici variazioni di formula. Gli inglesi non vogliono accettare la proposta americana nella sua sostanza per le ragioni espostemi da McNeil (mio 86)3 e per questo hanno spostato decisamente le conversazioni a Washington.

È evidente che la proposta degli Stati Uniti è venuta a complicare e non a semplificare una nostra intesa diretta con l'Inghilterra per il trusteeship italiano sulla Tripolitania. Però non direi che gli inglesi abbiano su questo punto fatto un passo indietro o che intendano giuocarci.

Le ragioni per il loro desiderio di rinvio restano essenzialmente due. La prima di valutazione oggettiva è il dubbio che il nostro ritorno in Tripolitania possa comunque avvenire senza incidenti sanguinosi, ciò che li disturberebbe assai nella loro organizzazione della Cirenaica, oltre al fatto che, svalutandoci di fronte agli arabi, un nostro scacco si ripercuoterebbe sfavorevolmente su tutta l'Africa del Nord.

2 Vedi D. 577.

3 Vedi D. 554.

La seconda, più occulta, è che essendo ormai decisi a !asciarci la porta aperta per la Tripolitania vogliono tenere in pugno tale decisione fino all'ultimo momento, secondo il loro metodo, per compensare l'eventuale sacrificio dell'Eritrea su cui con gli Stati Uniti sono concordemente ostinati (almeno fino ad oggi)4 .

A chiarimento però di quanto vi ho telegrafato con mio 93, desidero aggiungere che mentre non è da prevedere un mutamento dell'atteggiamento britannico a Londra ora che il centro delle conversazioni si è trasportato in America, le disposizioni degli inglesi verso un nostro trusteeship sulla Tripolitania sono sostanzialmente più favorevoli di quanto non appaia dal loro atteggiamento ufficiale così come è stato definito da McNeil e Wright. Quest'ultimo del resto ha lasciato capire che la situazione potrà evolversi a New York e pertanto ha insistito in modo speciale sulla necessità di stretto contatto tra loro e noi durante l'Assemblea, compiacendosi che ciò sia facilitato dalla presenza di Clutton e Manzini. Anche Massigli, d'altra parte, mi ha confermato ieri la favorevole evoluzione sostanziale dell'atteggiamento inglese per la Tripolitania dal settembre ad oggi.

598 4 Del 18 marzo con il quale Bastianetto aveva comunicato la sospensione delle sedute per l'accordo sulla pesca data la pretesa jugoslava di rimettere in discussione le intese di massima già raggiunte. 5 Vedi D. 606.

599 1 Vedi D. 573.

600

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE LEGAZIONI A BEIRUT, CAIRO, DAMASCO E GEDDA

T. S.N.D. 2138/c. Roma, 21 marzo 1949, ore 13.

Raccomando a V.S. agire su codesto Governo nel modo più efficace in appoggio nostra tesi per rinvio questione Eritrea onde bloccare proposta che verrà probabilmente presentata in Assemblea per attribuzione detto territorio ad Etiopia. Trattandosi paese abitato in maggioranza musulmani che non desiderano essere sottoposti ad abissini, codesto Governo dovrebbe essere sensibile agli argomenti esposti nota allegata te! espresso 7 corr. 750/c.[Cairo e Beirut] e 13 corr. 828/c. [Damasco e Gedda P.

601

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2675/275. Washington, 21 marzo 1949, ore 21,18 (perv. ore 8 del 22). Suoi 156, 160 e 161 1•

Mi adopero nel senso indicatomi da V.E.

600 1 Vedi D. 484, nota l. Per le risposte al presente telegramma vedi DD. 610, 647, 652 e 627. 601 1 Vedi DD. 593, 594 e 595.

È probabile, quantunque non certo, che prima dell'arrivo dei ministri esteri vi sia altra riunione ambasciatori. Si ritiene altresì che prima della firma vi sarà almeno una riunione ministri esteri. Qualora dette riunioni abbiano effettivamente luogo, Italia sarà naturalmente invitata.

Circa interpretazione del trattato, Dipartimento di Stato sta tuttora elaborando documento di cui al mio 258 e seguenti 2• Peraltro questo non sarà pronto prima di qualche giorno ed inoltre sarà forse sottoposto agli altri sei Governi promotori onde attestino sua conformità punti di vista unanimemente accettati durante le trattative.

Beninteso, anche prima che suddetto documento ci venga consegnato, Governo italiano è pienamente autorizzato a confermare, nella forma da esso ritenuta più opportuna, che l'interpretazione concordemente data al draft dai sette promotori corrisponde al contenuto dell'appunto consegnato dal Dipartimento di Stato a questa ambasciata in data 8 corrente3 .

Ciò vale anche e soprattutto per i due punti indicati da V.E. nei telegrammi sopra citati e cioè:

l) Patto non (dico non) comporta cessione basi militari in tempo di pace; 2) Patto non (dico non) prevede automatica dichiarazione di guerra.

Per quanto concerne primo punto, Dipartimento di Stato ha espresso avviso che dichiarazioni presidente del Consiglio (di cui al telegramma di V. E. 160) sono state pienamente conformi allo spirito del Patto. Per quanto concerne secondo punto, ritengo che sopra menzionato documento interpretativo ribadirà concetti già espressi dal Governo americano in radio-discorso Acheson (mio telegramma 269)4 e in libro bianco (mio telegramma 272)4 . Infatti, durante le trattative, resistenza contro impegni automatici è stata fatta appunto dagli U.S.A. per le note ragioni costituzionali, mentre i paesi europei nell'interesse della loro sicurezza si sforzavano rendere Patto più vincolante possibile.

599 4 Annotazione a margine di Zoppi «Questo è il vero punto».

602

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

TELESPR. 31/981 . Roma, 21 marzo 1949.

Riferimento: Telegramma di V.E. 88 e mio telespresso 31/96 dell8 corr. 2 .

3 Vedi D. 511.

4 Non pubblicato.

Per quanto non sia agevole, e nemmeno forse opportuno, di fissare preventivamente delle rigide istruzioni di dettaglio su tutte le questioni prospettate da V.E. (alcune delle quali riguardano materia procedurale che sarà esaminata in un secondo tempo in sede di formazione dei regolamenti del Comitato dei ministri e dell' Assemblea come espressamente previsto negli art. 6 e 14 del progetto di statuto del Consiglio europeo), e tenuto conto anche che il nostro atteggiamento dovrà in parte dipendere da considerazioni di tattica contingente, si danno qui di seguito, nell'ordine dei quesiti posti da V.E., alcune indicazioni che potranno servire di orientamento alla nostra delegazione:

l) Per quante concerne la procedura da seguirsi per la iscrizione delle questioni all'ordine del giorno del Comitato dei ministri, il progetto di statuto già stabilisce che il Comitato (art. 4) potrà discutere qualsiasi questione di comune interesse degli Stati, che sia portata innanzi ad esso dai suoi membri. Questa disposizione, che ha particolare importanza, è da intendersi nel senso che essa dia a ciascun membro del Comitato il diritto di far iscrivere una determinata questione all'ordine del giorno del Comitato stesso, e quindi di provocare una discussione e deliberazione in merito. Nel regolamento si potrebbe poi precisare che dette questioni dovrebbero esser fatte iscrivere nel!' ordine del giorno dal presidente del Comitato. Si aggiunge, sempre a titolo di orientamento, che questi, di regola, dovrebbe essere il ministro degli esteri dello Stato ospitante, ove non si adotti una sede fissa del Comitato stesso, nel qual caso si potrà stabilire un turno annuale.

2) Per quanto riguarda la composizione numerica dell'Assemblea consultiva, il nostro atteggiamento, pur adeguandosi opportunamente agli sviluppi della discussione, dovrebbe tendenzialmente mantenersi su di un terreno di liberalità e democrazia. Non appare infatti conveniente, per ragioni d'indole generale, di appoggiare incondizionatamente ogni tendenza limitativa.

Le stesse considerazioni potrebbero valere anche in sede di discussione delle regole procedurali per l'Assemblea consultiva, circa le quali può in ogni modo aversi un'utile traccia in quelle adottate dalla Organizzazione delle Nazioni Unite.

3) Per l'elezione del presidente dell'Assemblea (e sarebbe opportuno di contemplare anche l 'istituzione di uno o due vice presidenti), non dovrebbe dar luogo ad obiezioni la regola seguita all'O.N.U. delle elezioni cioè a scrutinio segreto, con un quorum di 2/3 e maggioranza semplice dei presenti e votanti.

4) Per l'iscrizione delle questioni all'ordine del giorno dell'Assemblea, la convocazione delle sessioni, la composizione delle commissioni, ecc. si trovano utili precedenti sia nelle regole procedurali dell'Assemblea generale dell'O.N.U., che in quelle dei vari Parlamenti.

5) Più complessa appare invece la questione della composizione del Segretariato permanente. Anche in questo campo sembra tuttavia utile che la nostra delegazione tenga sott'occhio la organizzazione del Segretariato della ex Società delle Nazioni (più snella di quella delle Nazioni Unite), sia pure adattandola e semplificandola. Potrebbe prevedersi: un segretario generale con un segretario generale aggiunto ed alcuni capi-sezione; varie sezioni (politica, giuridica, amministrativa, ecc.).

La nostra delegazione dovrebbe adoperarsi per far prevalere il criterio dell'avvicendamento nella carica di segretario generale ed in tutte quelle direttive, in modo che anche l'Italia possa ricoprire, a suo turno, i posti più importanti e di maggiore responsabilità.

6) Quanto alla sede, siamo d'accordo sulla scelta di Strasburgo per la sua posizione geografica rispetto all'Europa centrale e specialmente alla Germania occidentale. Saremmo invece in linea di massima contrari, per ovvie ragioni, alla scelta quale sede di una città capitale di uno Stato membro a meno che non si dovesse trattare di Lussemburgo che, sia per la sua posizione geografica che per altri motivi d'indole generale, ci appare una sede indicata.

7) Dalle ultime comunicazioni pervenute si è rilevato che l'istituendo organismo internazionale sarà denominato «Consiglio europeo», mentre fino ad ora la denominazione generalmente adottata era quella di «Unione Europea». Quest'ultima denominazione parrebbe a noi più opportuna in quanto sembra meglio corrispondere agli orientamenti ed alle aspirazioni dell'opinione pubblica nei vari paesi.

8) Si rileva infine la importante lacuna costituita dalla mancanza di ogni riferimento alle norme per l'ammissione di nuovi membri.

601 2 Vedi DD. 571 e 578.

602 1 Il te!espresso era indirizzato per conoscenza anche alle ambasciate a Bruxelles e Parigi e alle legazioni a Copenaghen, Dublino, L'Aja, Lussemburgo, Osio e Stoccolma. 2 Vedi DD. 561 e 580.

603

IL MINISTRO A BUCAREST, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 012. Bucarest, 21 marzo 1949 (perv. il 28).

Come era da attendersi, nella reazione di questi ambienti governativi e dei giornali si ripetono i consueti temi della propaganda comunista a proposito degli orientamenti dell'Italia verso l'Unione Europea e il Patto atlantico e degli ultimi eventi parlamentari e politici nel nostro paese.

Non è il caso di soffermarvisi: basti notare come, ancora una volta, il sincronismo e la orchestrazione siano stati perfetti, al cenno dell'U.R.S.S., in questo come negli altri Stati di obbedienza moscovita; e ciò sin dal primo momento in cui Mosca (con !'«intervista» di Stalin, le note alla Norvegia, la dichiarazione di Molotov, il discorso del maresciallo Bulganin, gli «avvertimenti» dei capi dei partiti comunisti di Francia, Italia, Inghilterra, Belgio, ecc. circa l'atteggiamento dei medesimi in caso di guerra con l'U.R.S.S., e le altre varie manifestazioni ambiguamente congegnate di appelli alla pace e di mal velate minacce) ha scatenato il suo complesso tentativo di intimidazione e di disorientamento per cercare di turbare e dividere l'opinione pubblica mondiale, di suscitare ostacoli ai governi parlamentari e di ritardare per tal modo il processo di coalizione dell'Occidente.

È quasi superfluo aggiungere che simile propaganda non ha alcuna «presa» sulla popolazione romena, la quale segue con ansia crescente e con non celata soddisfazione e speranza l'evoluzione degli eventi, riconoscendovi un chiaro segno dei paesi di libera democrazia di opporsi decisamente alla Russia.

Il progressivo organizzarsi del mondo occidentale è considerato concordemente come uno scacco assai grave per Mosca e come il primo avvertimento per essa di un grave pericolo. In tale quadro vengono anche posti e interpretati i recenti mutamenti avvenuti nel Governo bolscevico, ed in essi si ravvisano gli indizi di una politica di maggiore rigidità da parte dell'U.R.S.S. sia per quanto riguarda un più aspro controllo dei paesi vassalli, sia per quanto concerne l'atteggiamento verso l'America e i paesi occidentali.

Circa il primo punto, qui in Romania, si sono potuti registrare proprio in questi giorni numerose nomine di ministri aggiunti scelti tra giovani elementi comunisti oscuri, ma ritenuti particolarmente fidati; migliaia di impiegati di tutte le amministrazioni sono stati «epurati»; si è avuta una nuova ondata di arresti di «borghesi» sospetti; una vasta «epurazione» è in corso sia nel partito comunista sia in quello affiliato del Fronte degli aratori; la polizia e i tribunali hanno aggravato i loro sistemi arbitrari; il «completamento» della riforma agraria è servito di pretesto per nuove persecuzioni contro i «borghesi reazionari» e per una vera e propria deportazione di migliaia di persone, in circostanze e con metodi veramente disumani, nelle più lontane località del paese; si accentua la lotta contro i contadini benestanti e si inizia la attuazione delle «cooperative agricole»; un'atmosfera di panico e di terrore più densa del consueto ha invaso tutto il paese.

Circa il secondo punto, si ritiene da molti che l'U.R.S.S., compiuta ormai la preparazione diplomatica mediante la vasta rete di accordi con e tra gli Stati dell'Est europeo; accresciuto anche in Estremo Oriente il proprio influsso; predisposti la giustificazione formale o il pretesto apparente per considerarsi o proclamarsi aggredita; guardando non senza apprensione al declino cui sembrano avviati i partiti comunisti in Occidente e, per converso, al consolidamento delle correnti ad essa ostili; calcolando sulla sua attuale superiorità militare e strategica e sullo sviluppo crescente dei mezzi bellici nonché del potenziale del gruppo avverso; scontando il vantaggio di cogliere gli avversari nel periodo più critico della preparazione sia politica sia tecnica, possa indursi a rompere gli indugi e a considerare la eventualità di una guerra preventiva con la migliore chance per essa.

Tali sono le impressioni e le interpretazioni che ho raccolto qui, non solo in ambienti ufficiali, ma anche da varie persone fra le più intelligenti e qualificate con le quali riesco ancora a mantenere confidenziali e frequenti contatti. Checché ne sia, mi è sembrato interessante riportarle a V. E., non foss'altro che come indicazione dello stato d'animo e delle opinioni qui prevalenti in questo delicato momento.

Intanto si accentua nelle sfere dirigenti un senso di disagio e di preoccupazione sia per lo stato della situazione interna del paese e della crescente ostilità che circonda il regime, sia per i riflessi della incerta situazione internazionale, alla quale contribuisce anche la diffusa opinione che si stia preparando qualcosa a scadenza non lontana, forse nei riguardi della Jugoslavia.

Non posso a meno di registrare, infine, come si vada qui sviluppando nella popolazione romena con l'evolvere degli eventi netta ripresa di considerazione e di rispetto verso l 'Italia, sia per un'antica tradizione di sentimento latino, sia, sopra tutto, per la prova di vitalità e di energia che danno in questo momento il Governo e il popolo italiano.

604

IL MINISTRO A L'AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 424/104. L'Avana, 21 marzo 1949 (perv. i/1° aprile).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 3/766/c. dell'8 marzo u.s. 1•

Il Governo haitiano, per motivi di indole generale e di principio, non è in grado di appoggiare le nostre richieste per la questione delle colonie. Pertanto ha deciso, sin d'ora, di astenersi dal votare allorquando verrà posto in discussione il problema stesso dinanzi all'Assemblea dell'O.N.U.

In occasione di un mio prossimo viaggio a Port-au-Prince, comunque, cercherò nuovamente di insistere presso quel Ministero delle relazioni estere per chiedere un atteggiamento un po' più benevolo per il nostro punto di vista.

Assicuro di aver fatto pervenire al segretario di Stato per le relazioni estere il testo in francese della Nota verbale n. 3/722/c. del4 marzo 1949, di cui al telespresso indicato in riferimento.

605

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. S.N.D. 2170/12. Roma, 22 marzo 1949, ore 16.

Giornale L 'Unità riporta stamane corrispondenza Agenzia Telespress da Ottawa secondo cui codesto ministro affari esteri Pearson avrebbe dichiarato che inclusione nel Patto atlantico art. 4 relativo «aggressioni interne» sarebbe avvenuto a richiesta Governi francese e italiano. Segue commento che su tale dichiarazione avrebbe pubblicato Canadian Tribune. Provvediamo, per quanto ci riguarda, smentire e saremmo grati a Pearson, che certo non può essersi espresso nei termini suindicati, se anche egli provvedesse analoga smentita 1•

606

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 2176/75. Roma, 22 marzo 1949, ore 15.

Codesto Governo V. S. potrà comunicare, in relazione al suo telegramma 871 , che le nostre ultime concessioni cui possiamo giungere sono quelle contenute nei nostri telegrammi 66 e 67 2 .

2 Vedi DD. 550 e 551.

Se il Governo jugoslavo non crederà di accettare oppure solleverà nuove richieste, nuove difficoltà o nuove eccezioni la delegazione per la pesca potrà ritirarsi.

Naturalmente codesto Governo sopporterà tutte le conseguenze circa il rinvio dei negoziati commerciali nonché circa tutti gli altri negoziati in corso le quali non mancheranno di prodursi.

604 1 Vedi D. 572, nota 2.

605 1 Per la risposta vedi D. 614.

606 1 Vedi D. 598.

607

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 2189/113. Roma, 22 marzo 1949, ore 20,30.

Nell'articolo odierno del Times sulle colonie 1 ravviso un pensiero che si avvicina singolarmente a quello che nei colloqui più intimi abbiamo sempre affermato. L'ho mostrato a Mallet che se ne è mostrato compiaciuto ma anche stupefatto. Sono sicuro V.E. farà il possibile per rinforzare costì tali concetti. Prego telegrafarmi 2 .

608

IL MINISTRO A PRETORIA, JANNELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2690/19-20. Capetown, 22 marzo 1949, ore 11,50 (perv. ore 16).

Ho conferito oggi con primo ministro Malan al quale ho consegnato copia Nota verbale circa Eritrea di cui al telespresso 3/750 del 7 marzo 1• Dottor Malan mi ha assicurato ancora una volta che punto di vista Sud Africa permane quello della tutela italiana sull'Eritrea e in tal senso sono state date istruzioni a delegazione Sud Africa che partirà per New York prossimi giorni. Mi ha espresso nell'insieme concetto analogo quello manifestato da Andrews a Tarchiani (dispaccio V. E. 3/702 del 3 corrente)2 . Mi ha ripetuto che egli non riesce a rendersi conto dell'ostinazione inglese a voler affidare l'Eritrea all'Etiopia «paese che avrebbe bisogno esso stesso di essere posto sotto tutela». Malan ha aggiunto che in occasione del suo passaggio Capetown (mio telegramma per corriere 057 del 31 dicembre u.s.)2 egli ha parlato della cosa con il dott. Evatt, anche in vista della preminente posizione di questi in seno alle Nazioni Unite. Il ministro degli affari esteri australiano non ha saputo dare alcuna spiegazione, ma non ha cercato neanche di giustificare l'atteggiamento inglese. Il

2 Per la risposta vedi D. 621. 608 1 Vedi D. 484, nota l. 2 Non pubblicato.

primo ministro ha concluso dicendo che il Governo sud africano avrebbe continuato a fare opera persuasiva, fra i membri del Commonwealth, ma non poteva dire quale precisa forma l'azione Sud Africa poteva assumere e fino a quale punto poteva giungere, perché ciò dipendeva dalla piega che avrebbero preso le discussioni dinanzi all'Assemblea delle N.U.

607 1 Vedi D. 611, Allegato.

609

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2704/24. Varsavia, 22 marzo 1949, ore 16,45 (perv. ore 20,35).

Nascono tuttora reazioni palesi ambienti ufficiali polacchi su pubblicazione Patto atlantico.

Stampa mette rilievo corrispondenza Tass da Washington che denunzia scopo aggressivo Patto e suo carattere politico-militare. Qualche giornale sostiene incompatibilità Patto stesso con principi Nazioni Unite e preesistenti trattati alleanza francosovietico e anglo-sovietico.

Mentre Governo italiano è anche esso oggetto violenti attacchi stampa, massimo rilievo viene dato manifestazioni piazza contrarie Patto che dimostrerebbe chiaramente dissenso popolo da politica governativa di adesione blocco aggressivo. Largo spazio viene naturalmente dedicato articoli L'Unità e Avanti nonché discorsi Togliatti e Nenni.

610

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2708/21. Beirut, 22 marzo 1949, ore 19,45 (perv. ore 21). Telegramma ministeriale 2138/c. 1•

Ho consegnato ed illustrato questo ministro affari esteri nota inviatami con telespresso 750/c.2 .

Frangié approfitterà presente conferenza degli Stati arabi a Beirut per intrattenere suoi colleghi su questione nostre colonie nel senso da noi desiderato, benché agenda conferenza non contempli che questione Palestina e quesiti Commissione conciliazione O.N.U.

Egli non mi ha tuttavia nascosto suo pessimismo dovuto principalmente atteggiamento Egitto e Siria. Sono noti accordi per recenti intese fra Cairo e Addis Abeba. È altresì noto appoggio che Londra sembra dare recente politica «africana» del Cairo per tentare di giungere ad un accordo sul Sudan.

Egli teme anche un atteggiamento siriano a noi contrario a causa soprattutto delle idee personali del delegato siriano, Faris el Khoury.

Frangié proporrà comunque apposita riunione rappresentanti degli Stati arabi prima del 5 aprile per esaminare problema colonie italiane. Se riunione non sarà possibile o se consultazione darà esito negativo per nostra tesi, Libano cercherà sganciarsi e adottare linea indipendente.

610 1 Vedi D. 600. 2 Vedi D. 484, nota l.

611

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2720/99. Londra, 22 marzo 1949, ore 20 (perv. ore 7 del 23).

Odierno editoriale Times riassunto con mio 98 1 costituisce importante contributo per migliore comprensione da parte opinione pubblica inglese nostri punti di vista per Tripolitania ed Eritrea e ritengo potrà essere opportunamente sfruttato in sede discussioni Assemblea generale O.N.U. Esso è stato redatto anche sulla scorta del nostro memorandum riportato da Manzini e di ampie mie conversazioni con McDonald. Ma mi risulta che Governo non è estraneo a diffusione particolarmente larga che ne sarà data dalla B.B.C. Ciò conferma impressione segnalata con mio 95 2 e lettera 20 corrente a Zoppi3 circa favorevole evoluzione sostanziale atteggiamento britannico.

ALLEGATO

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2716/98. Londra, 22 marzo 1949, ore 17,30 (perv. ore 24).

Editoriale Times odierno sulle colonie italiane osserva che senza accordo preliminare Gran Bretagna Francia e Stati Uniti, nessuna proposta potrà ottenere in Assemblea la maggio

2 Del 20 marzo, non pubblicato.

3 Vedi D. 599.

ranza dei due terzi. Rileva l'accordo delle tre potenze per trusteeship italiano Somalia e così pure il tacito consenso per trusteeship francese Fezzan e britannico Cirenaica. Esamina diffusamente le difficoltà per soluzione Tripolitania e Eritrea: la Francia ha sempre favorito il trusteeship italiano per Tripolitania; «gli americani non si sono ancora decisi, ma si crede che sarebbero pronti ad appoggiare la proposta francese se assicurati circa la salvaguardia dei loro interessi strategici». Dopo aver osservato che fino a poco tempo fa il Governo britannico era contrario alla proposta francese, esamina dettagliatamente le ragioni pro e contro il ritorno dell'Italia rilevando le benemerenze della nostra colonizzazione e amministrazione. Conclude: «Se si trovasse forma di trusteeship che soddisfi le legittime aspirazioni degli arabi senza spaventare troppo i francesi, il ritorno del dominio italiano potrebbe essere la soluzione migliore».

Circa l'Eritrea, osserva che la popolazione non è per nulla unanime nel desiderare l'unione con l'Etiopia. La prima proposta britannica per un trusteeship etiopico di dieci anni su tutta l'Eritrea «parve sempre basata sulla esagerata valutazione delle capacità etiopiche. Era illogico che una nazione tanto bisognosa di aiuto e di educazione ricevesse il controllo su paese con molte religioni e razze (alcune delle quali più progredite che gli stessi abissini) e contenenti città "europee" altamente civilizzate come Asmara. L'Etiopia ha buoni argomenti per chiedere revisioni di frontiera che le darebbero parte dell'Eritrea popolata principalmente da copti di razza e cultura etiopica. Inoltre l'Etiopia necessita di sbocco al mare con speciali diritti nei porti Assab e Massaua. La maggior parte dell'Eritrea, tuttavia, dovrebbe rimanere per qualche tempo ancora sotto il trusteeship dei paesi più progrediti. Poiché le obiezioni a dominio esclusivo Italia in Eritrea sono reali e decisive, esistono forti argomenti in favore di trusteeship multiplo, sia Gran Bretagna Francia e Italia, sia tutte le potenze dell'Unione Occidentale. Tale proposta, se considerata prima, sarebbe stata una soluzione ideale non solo per l'Eritrea, ma per tutte le colonie italiane. I suoi vantaggi per l'Eritrea sono considerevoli». Esaminati i vantaggi e rilevate le difficoltà, non insuperabili, per amministrazione collettiva, l'editoriale conclude: «Forse la decisione dovrà essere rinviata ancora per un anno, ma ciò sarebbe confessione di disaccordo. Nell'interesse delle popolazioni native e della unità Europa occidentale, il problema deve essere affrontato ora».

611 1 Vedi Allegato.

612

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2721/174. Parigi, 22 marzo 1949, ore 21,10 (perv. ore 7,30 del 23).

Nuovo direttore affari politici Africa Levante (Margerie) in primo contatto con ambasciata ha dimostrato pessimismo circa andamento negoziato questione coloniale. Ormai inglesi sembrano orientati decisamente verso tesi rinvio tranne che per Somalia e Cirenaica, il che da parte francese è ritenuto inaccettabile e riporta situazione a quello che era prima sessione Assemblea N.U. Anche americani sembrano aver lasciato cadere loro proposta mandato plurimo ed essere orientati verso rinvio, essendo prevalsa apparentemente tesi Direzione Africa Dipartimento di Stato che si appoggia azione varie associazioni anticolonialiste nonché senatori analoghe tenden

ze. Particolarmente difficile si presenta caso Eritrea per la quale America intende seriamente mantenere impegni assunti con Etiopia. A titolo personale è tornato su sua proposta soluzione questione Libia comunicata con rapporto 3359 del 17 settembre u.s. 1•

613

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2724/44. Bruxelles, 22 marzo 1949, ore 20,30 (perv. ore 7,20 del 23).

Spaak mi ha confermato1 stamane che né egli né Carton de Wiart assisteranno prossima riunione O.N.U. Gli ho nuovamente esposto nostre aspettative per Tripolitania ed Eritrea. Mi ha ripetuto che non poteva pronunciarsi perché in verità in questi ultimi tempi non aveva avuto modo seguire i più recenti sviluppi della questione. Riteneva circostanza favorevole che discussione all'O.N.U. avesse luogo proprio all'indomani della firma del Patto atlantico e quindi lo spirito del nuovo accordo avrebbe dovuto fare sentire la sua influenza. Ha ricordato come egli avesse sempre sostenuto indispensabile un accordo con gli inglesi, essendo impossibile per noi ottenere una soluzione in contrasto con gli interessi inglesi ma nello stesso tempo assai difficile per l'Inghilterra riunire senza un accordo con l'Italia la maggioranza dei due terzi all'O.N.U.

Circa recente visita del ministro affari esteri di Etiopia 1 ha brevemente detto che egli si era limitato ad ascoltarlo.

Gli ho da parte mia illustrato promemoria sull'Eritrea, di cui al telespresso ministeriale n. 3/750/c.2 .

614

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 2725/26. Ottawa, 22 marzo 1949, ore 20,10 (perv. ore 7,30 del 23).

Telegramma di V.E. 121•

613 1 Vedi D. 588. 2 Vedi D. 484, nota l. 614 1 Vedi D. 605.

Questo ministro affari esteri mi conferma non essersi affatto espresso in termini attribuitigli ed è perfettamente d'accordo che V.E. faccia smentire. Per parte sua telegrafa immediatamente a codesto ambasciatore Canada incaricandolo smentire anche egli subito costì e chiedendogli d'urgenza testo pubblicazione L 'Unità. Salvo non si rendesse assolutamente necessario preferirebbe non diramare qui apposito comunicato onde evitare più estesa pubblicità, ma riservasi eventualmente accennarne in sua conferenza stampa settimanale o altra occasione.

Con successivo telegramma in cifra semplice riferisco ad ogni buon fine particolari su origine questa faccenda2 .

612 1 Non pubblicato.

615

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2729/280. Washington, 22 marzo 1949, ore 17,38 (perv. ore 7,30 del 23).

Nelle ultime settimane questa ambasciata non ha mancato svolgere ogni possibile azione su Dipartimento di Stato tanto direttamente e quanto dall'esterno in merito a questione colonie. Azione sarà ora intensificata nell'imminenza Assemblea.

Frattanto, dall'insieme informazioni qui raccolte e da quelle trasmesse da Londra e Parigi mi sembra che situazione, per quanto riguarda atteggiamento americano, possa riassumersi come segue:

l) Dipartimento di Stato dopo lunghe e laboriose discussioni interne ha formulato linee generali noto progetto trusteeship multilaterale per Tripolitania e, prima di sottoporlo ai francesi ed a noi, ha voluto sondare inglesi a causa del noto preesistente impegno verso di essi circa Cirenaica.

2) Reazione Londra essendo sfavorevole, discussioni interne Dipartimento di Stato sono ricominciate nella affannosa ricerca di nuove formule (oggi si parla di trasformare intera Libia Stato indipendente) le quali verosimilmente non (dico non) avranno maggior successo della precedente.

3) Segretario di Stato è personalmente incerto su opportunità ritorno italiano in Tripolitania. 4) Se fino al momento dell'apertura Assemblea O.N.U. non si sarà verificato alcun fatto nuovo, Governo americano ricadrà nella posizione del novembre scorso. 5) Governo britannico, in previsione di ciò, sta irrigidendosi nuovamente.

Ciò stante, pur non sottovalutando efficacia nostra azione tramite collettività italiane nonché ambienti cattolici ed elementi vicini a Casa Bianca, temo convenga prepararsi al peggio e cioè a dar battaglia in seno alle Nazioni Unite per bloccare maggioranza due terzi. È difficile fare previsioni su possibilità realizzare questo

obbiettivo anche perché molto dipenderà da fermezza francese e da maggiore o minore zelo con cui Stati Uniti patrocineranno loro proposte. Tuttavia ritengo che presenza V.E. qui nella imminenza sessione Lake Success sarà particolarmente utile anche in vista eventuale decisione intervenire presso o in seno ad Assemblea 1•

614 2 Vedi D. 623.

616

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO SEGRETO. Roma, 22 marzo 1949.

Rappresentanti dell'ambasciata degli Stati Uniti e dell'E.C.A. hanno qui comunicato che il Governo americano vedrebbe di molto buon grado che si addivenisse al più presto ad un grosso accordo economico con la Jugoslavia, dichiarando che il loro Governo sarebbe addirittura disposto a ricomprarci in dollari e a collocare, su terzi mercati serviti dall'E.R.P., materie prime jugoslave esuberanti.

In altre parole sembra che le idee del signor Cannon abbiano ricevuto piena applicazione1•

Abbiamo risposto che da parte nostra ciò corrisponderebbe a quanto abbiamo sempre auspicato ma che dobbiamo risolvere previamente la spinosa questione della pesca, e forse anche le altre materie controverse attualmente in discussione col Governo di Belgrado il quale non dà veruna prova di resipiscenza nei nostri riguardi. Anzi è da presumere che più gli americani a Belgrado danno la sensazione di desiderare un acceleramento dell'inserimento jugoslavo nel sistema economico occidentale, e più crescono le pretese jugoslave verso di noi.

Comunque l'accenno americano non è certo da far cadere: e perciò si è predisposto l'unito telegramma per il ministro Martino2 , il quale può tra l'altro dargli nuove carte per insistere ai fini della definizione della trattativa Bastianetto.

Sembra che il far balenare subito e direttamente agli jugoslavi che noi siamo disposti a larghe concessioni in materia economica e commerciale non avrebbe altro risultato che di irrigidire la loro posizione, e di preparare delle trattative difficili in cui ci sarebbe poco agevole il resistere a domande eccessive.

Se invece il passo americano avesse effetti pratici, oltre che risolvere la materia della pesca e forse le altre tuttora in discussione, esso ci consentirebbe di fare un passo sostanziale verso il definitivo miglioramento dei rapporti tra i due paesi.

Aggiungo che i predetti funzionari americani hanno anche autorizzato la fornitura scaglionata nel tempo di 180 grossi motori marini all'U.R.S.S., affinché si

2 Vedi D. 620.

abbia la prova nell'opinione pubblica italiana che i recenti avvenimenti non influiscono su traffici che possono essere utili alle nostre maestranze e in genere alla nostra economia. Osservo che tale fornitura o meglio la nostra riluttanza ad eseguirla (dovuta ad espresso veto americano) era stata causa di lunghissimi dibattiti con la delegazione sovietica.

Nel dirci quanto sopra i funzionari americani hanno aggiunto che tali facilitazioni erano collegate al leale spirito di collaborazione che essi hanno sempre trovato in tale delicata materia nella Direzione generale scrivente.

615 1 Con riferimento a quest'ultima frase Tarchiani aggiunse (T. s.n.d. 2732/283, pari data) di aver avuto assicurazioni che la delegazione statunitense all'O.N.U. avrebbe appoggiato la partecipazione di un delegato italiano ai lavori del Comitato per le colonie.

616 1 Vedi D. 275.

617

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 555/235. Ankara, 22 marzo 1949 (perv. il 26).

Che la Turchia dovesse essere esclusa dal Patto atlantico poteva agli occhi di questa opinione pubblica essere press'a poco giustificato dalla asserita circostanza che quel Patto non la riguardava geograficamente. Era dunque cosa approssimativamente scontata. L'inclusione dell'Italia, spostando le frontiere dell'accordo sino al Mediterraneo centrale, ha tuttavia scalzato codesta approssimativa giustificazione ed ha lasciato, evidente e scoperta, l'esclusione pura e semplice. Sicché non vi è dubbio che l'opinione pubblica turca è oggi profondamente e quasi dolorosamente delusa.

Nelle dichiarazioni alla Grande Assemblea (di cui V.E. troverà il testo in altra parte di questo corriere) 1 il Sadak confessa in sostanza di aver picchiato a suo tempo alle porte del Patto atlantico e di essere stato persuaso a mutar strada dall'esplicita assicurazione dei padroni di casa che il Patto atlantico era patto dell'Atlantico settentrionale ed era quindi irragionevole insistere perché la Turchia ne facesse parte. Il Sadak ha quasi l'aria di cortesemente dire che quel che avvenne poi, cioè l'inclusione dell'Italia, fu quasi un tour de passe-passe e comunque in flagrante contrasto con le assicurazioni ricevute.

Sicché la partecipazione italiana al Patto atlantico mi pare risusciti qui verso di noi vecchie ragioni di rancore -ma forse la parola è troppo pesante -e certo di dispetto, sebbene a nessuno sfugga che è certamente questo un grosso e serio successo diplomatico italiano, così grosso e serio da parere loro immeritato.

Affiora qui d'altra parte la precisa sensazione, e probabilmente non a torto, che la nostra inserzione nel patto principale diminuisca di altrettanto il nostro interesse a inserirei in un eventuale patto subordinato e non agevoli dunque la conclusione di quest'ultimo, che è la porta in cui avrebbero voluto farci entrare e dove ci avrebbero accolto con compiacimento pari al dispetto di oggi.

Il Sadak è comunque, dopo due mesi di assenza, costretto a ripresentansi all' Assemblea pressoché a mani vuote e cioè col solo nero su bianco del trattato di alleanza anglo-turco del '39 (l'analogo trattato con la Francia è considerato dalle due parti caduco); le dichiarazioni, solenni e lusinghiere certo, ma platoniche e discorsive, fatte da Bevin e da Acheson al momento della pubblicazione del Patto (di cui trasmetto il testo a parte), e, «las t but no t least», il progetto o progetti di intesa mediterranea, da porre in cantiere, quando le circostanze, oggi non ancora perfettamente mature, finalmente lo consentiranno.

Bilancio dunque, tutto sommato, magro.

2. Poiché è sempre umano atteggiamento quello di porsi o cercare di porsi ogni tanto negli altrui panni, bisognerà forse ammettere che la delusione dei turchi, a parte il senso di dispetto verso di noi, può certo giustificarsi. Sono da anni gravati da un pesante fardello di semimobilitazione che sottrae a un bilancio tutt'altro che florido pressoché il cinquanta per cento delle risorse dello Stato, le quali potrebbero altrimenti essere impiegate a risanare un'economia in molti settori tuttora, nonostante gli sforzi di occidentalizzazione, paurosamente primitiva. Hanno la precisa coscienza di costituire con ciò il solo baluardo militare degno di questo nome che l'Occidente possegga nel Medio Oriente, all'ombra e sotto la protezione del quale l 'Inghilterra può permettersi di ritirare con relativa tranquillità il suo esercito dalla Palestina; gli arabi e gli ebrei di farsi la guerra; la Gran Bretagna e l'America di coltivare i loro interessi petroliferi e strategici con quella calma e ponderazione che certo non avrebbero se non vi fossero cinquecentomila contadini turchi armati alle frontiere del Caucaso e del Mar Mero. Hanno dunque la piena consapevolezza di rendere servizi preziosi e di non essere ripagati in conseguenza. Posti su una bilancia, da una parte codesti preziosi e davvero effettivi servizi e dall'altra l'assistenza militare nordamericana (che considerano inadeguata) ed economica del piano Marshall (che considerano irrisoria) ritengono che i conti non tornino ed hanno dunque il senso di essere stati posti in mezzo, e, quasi, truffati.

Se la diplomazia sovietica non fosse quella grossolana, rigida, presuntuosa diplomazia che l'ha condotta a diventare l'artefice massimo proprio di quella avversa coalizione del mondo che Mosca intendeva ad ogni costo spezzare e di-sperdere, avrebbe forse potuto la Russia trovarsi dinnanzi sul Bosforo un avversario molto meno decisivo, e, sopra tutto, molto meno armato e avrebbe forse potuto la Turchia continuare a barcamenarsi e ad esigere, come fu suo costume in tempi prossimi e remoti, maggiore retribuzione per i suoi servizi. Ma, ciò non essendo, deve, volente o nolente, segnare il passo e se mai tentare, come mi pare che faccia, un molto più modesto gioco di equilibrio nel cerchio stesso dei suoi alleati, sottolineando di volta in volta, ora la sua amicizia fermissima per l'Inghilterra, ora la sua estrema riconoscenza per gli Stati Uniti. Oggi pone ostensibilmente l'accento su Londra piuttosto che su Washington ed è questa, se non erro, la prima volta dalla enunciazione della dottrina Truman in poi che un ministro degli esteri turco non fa, in un discorso di politica estera, menzione se non indiretta degli Stati Uniti.

3. Non so se le già accennate dichiarazioni pronunziate da Acheson e da Bevin nei confronti della Turchia, Grecia, Iran, costituiscano quella «dichiarazione solenne» di cui si è parlato in passato, destinata, in difetto di Patto atlantico, a tranquillizzare quei Governi. Non credo ad ogni modo che dichiarazioni di questo genere, che per loro natura non possono andare molto in là, varrebbero a raggiungere quello scopo. Non mi par dunque dubbio che la Turchia continuerà a battere sul chiodo di nuove intese regionali e di accordo mediterraneo, come del resto lo stesso Sadak esplicitamente afferma («continuano i nostri passi e i nostri contatti sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti per accertare quali misure potrebbero essere adottate in vista di salvaguardare la pace e la sicurezza nella regione di cui la Turchia fa parte»).

L'obbiettivo maggiore e pressoché esclusivo della politica estera turca resta, ed oggi più che mai, quello di conseguire con un mezzo o con un altro la «garanzia americana» e tamponare con ciò il vacuum che il Patto atlantico ha lasciato aperto nel Medio Oriente. Allontanata da questo, ripiega oggi su quello mediterraneo e ripiegherà domani, sia pure con molta riluttanza, su un patto mediorientale alla Tsaldaris, se dovesse quest'ultimo rivelarsi come l'unica strada per conseguire quell'obbiettivo.

E sarà, io credo, appoggiata in codesto sforzo, a momento opportuno, non so con quanta decisione, sopra tutto dalla Gran Bretagna, con la quale esiste infatti una piattaforma di interessi comuni che potrebbero obbiettivamente giustificare quella formula e sulla quale punta infatti, oggi, le sue carte maggiori.

617 1 Si riferisce al Telespr. 5511232 del 18 marzo, non pubblicato.

618

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 958/04. Montevideo, 22 marzo 1949 (perv. il 31).

Stamane presidente Repubblica mi ha ricevuto in lunga udienza, nel corso della quale sono state passate in rivista tutte le principali questioni politiche, economiche, di emigrazione e culturali interessanti i due paesi.

Particolare attenzione è stata data a nostra questione coloniale e ad atteggiamento che terrà Uruguay prossima Assemblea O.N.U.

Presidente ha dimostrato interesse a mia diretta illustrazione delle nostre tesi riguardanti assetto Eritrea e Libia e credo abbia apprezzato nostre intenzioni circa futura relativa autonomia Tripolitania e, dopo necessario periodo di mandato, anche dell'Eritrea. Dette intenzioni forniscono validi argomenti di fronte spirito anticolonialista americano che si inquadra nelle ideologie del partito al Governo.

Ho concluso esprimendo fiducia che Uruguay sosterrà nostre tesi, appoggiando, per Eritrea, nostra domanda di rinvio e, in caso di discussione, soluzione consistente in mandato da affidarsi a noi, altrimenti, in via subordinatissima, a Unione Occidentale europea; per Tripolitania, mandato da affidarsi a noi con la stessa deliberazione che deciderà sorte Cirenaica.

Presidente ha voluto assicurarmi ancora una volta delle generali simpatie del suo popolo per il nostro, della sua comprensione delle nostre necessità considerate sotto aspetto sia economico sia demografico, della sua ostilità verso qualsiasi tesi punitiva nei nostri confronti, considerato che fascismo fu per noi più disgrazia che colpa.

Alle mie successive espressioni intese ottenere dichiarazioni più concrete, il presidente ha finito per ricordarmi che Uruguay tiene a mantenere la maggiore indipendenza nella sua politica estera, compatibilmente con le esigenze che derivano, specie in un mondo agitato come l'attuale, dalla necessità di unione e di solidarietà con quelle potenze insieme con le quali difende grandi interessi e grandi ideali comuni.

Finché esigenze di questo genere non si presenteranno imperiosamente Uruguay appoggerà nostra tesi e nostre domande. Presidente mi ha pure dichiarato molto nettamente che fino ad ora nessuna pressione è stata rivolta all'Uruguay circa suo atteggiamento prossima Assemblea.

Presidente, dopo avere, seduta stante, richiesto Ministero esteri di fornirgli immediata relazione sulla questione, mi ha promesso di rinnovare subito istruzioni suo ambasciatore a Washington, signor Dominguez-Campora, che sarà capo delegazione uruguayana.

Sul rimanente dell'udienza riferirò a parte con prossimo corriere 1•

619

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 2231/169. Roma, 23 marzo 1949, ore 19.

Suo 282 1 .

Inevitabile pubblicazione Patto alla vigilia discussione Senato rende sempre più violenta discussione in questa Assemblea ove minoranza è più numerosa che alla Camera. Insinuazione che siamo dinanzi a un diktat è costante. È quindi una necessità tanto americana quanto nostra che io abbia conversazione con Acheson come miei colleghi danese e norvegese. Faccia capire ciò assicurando che si tratta di una necessità psicologica e che non solleverò affatto questioni estranee.

Dunn è completamente del mio avviso e telegraferà. Arriverò 28 New York contando essere convocato da Acheson e magari tornando poi New York ove rimarrà mia moglie2 .

2 Per la risposta vedi D. 626.

618 1 Vedi D. 644.

619 1 Del 22 marzo con il quale Tarchiani aveva comunicato: «Pensiero Dipartimento di Stato coincide con quello di V. E. circa opportunità arrivo collettivo su treno ministri degli esteri, che si prevede giungerà Washington da New York 31 marzo o l o aprile. Naturalmente arrivo anticipato V. E. da New York e sosta colà non presenta alcun inconveniente e può giovare per utili contatti».

620

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. S.N.D. 2233/77. Roma, 23 marzo 1949, ore 21.

Governo americano comunica confidenzialmente 1 di vedere con favore ampi accordi commerciali fra Italia e Jugoslavia quanto prima possibile. Abbiamo risposto che nulla opponesi a ciò da parte nostra salvo atteggiamento costì tenuto in questioni attualmente in discussione.

V.S. potrà quindi richiedere codesto ambasciatore Nord America fare pressioni codesto Governo affinché accetti nostre note definitive offerte materia pesca e si possa quindi addivenire a quell'allargamento immediato di relazioni che Washington auspica.

In tal senso può cautamente esprimersi V.S. con Brilej aggiungendo che fin da adesso saremmo disposti acconsentire vendita cinque trivellatrici petrolifere che fin qui abbiamo rifiutate.

Intanto è stato confermato a questo ministro Jugoslavia che appena raggiunto accordo per convenzione pesca su basi accettabili e parafato in attesa sua entrata in vigore unitamente altri accordi, siamo disposti ricevere Roma delegazione commerciale. Confermiamo infine essere disposti far entrare in vigore contemporaneamente accordo pesca e accordo navi guerra mentre proseguiranno trattative per

R.O.M.S.A. e beni nazionalizzati2 .

621

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2763/101. Londra, 23 marzo 1949, ore 13,40 (perv. ore 18).

Telegramma di V.E. 113 e mio 99 1•

I eri al ricevimento australiano per Evatt (che mi ha incaricato di speciali saluti ed espressione sentimenti solidarietà per V.E.) ho constatato eco generalmente favorevole articolo Times in ambiente diplomatico.

2 Per la risposta vedi D. 643.

Massigli, che se ne compiaceva specialmente per quanto riguarda Tripoliania, mi disse che articolo non poteva essere estraneo a ispirazione governativa in modo particolare a quella di Bevin. A suo parere permangono in McNeil esitazioni nel senso da me indicato nella lettera 20 marzo a Zoppi2 circa nostra preparazione per assumere «immediatamente» senza pericoli trusteeship per la Tripolitania. Egli insiste perché faccia presente importanza decisiva che delegazione italiana a Lake Success si presenti con programma chiaro, concreto, finanziario militare amministrativo ecc. per assunzione del trusteeship entro un periodo brevissimo dall'eventuale decisione a nostro favore dell'Assemblea O.N.U. (Massigli determina tale periodo dai tre ai quattro mesi).

Parlai anche a McDonald ringraziandolo per l'articolo «oggettivo» e che serviva più che l 'Italia la causa della giustizia e della pace. Gli dissi che ero sempre pronto a qualunque contatto potesse essere utile nelle prossime settimane a tal fine.

In via riservatissima mi fece comprendere che mentre egli si era spinto al di là delle posizioni ufficiali l'articolo non era rincresciuto affatto nelle sfere governative.

620 1 Vedi D. 616.

621 1 Vedi DD. 607 e 611.

622

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2771/22. Beirut, 23 marzo 1949, ore 20,30 (perv. ore 23). Mio telegramma 21 del 22 corr. 1•

Ho lungamente intrattenuto presidente del Consiglio. Poiché sono certo che egli consulterà Khachba pascià gli ho, per Eritrea, ricordato recenti errori politici egiziani attirando sua attenzione sul fatto che eventuale appoggio egiziano a tesi Etiopia non profitterebbe affatto all'Egitto mentre sacrificherebbe musulmani Eritrea. Per Tripolitania mi sono valso principalmente istruzioni di V.E. all'ambasciata Londra numero 3/300 del 31 gennaio2 , !asciandogli anche breve appunto riservato sui nostri progetti.

Presidente del Consiglio mi è sembrato favorevolmente impressionato e mi ha promesso intrattenere colleghi arabi in proposito. Provvedo far esercitare su di lui ogni possibile pressione in favore nostra tesi. Interesserò anche Presidenza della Repubblica.

Mi risulta frattanto che Frangié ha già svolto notevole azione in nostro favore, soprattutto per quanto concerne rinvio questione Eritrea.

621 2 Vedi D. 599. 622 1 Vedi D. 610. 2 Vedi D. 211.

623

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 2782/32. Ottawa, 23 marzo 1949, ore 16,09 (perv. ore 8 del 24). Mio telegramma stampa 31 1•

In seguito anche informazioni avute questo Ministero affari esteri segnalo ad ogni buon fine che:

l) Agenzia cecoslovacca Telespress non (dico non) ha qui alcun corrispondente accreditato o noto come tale;

2) Conferenza stampa ministro esteri (di cui al mio telegramma 27)2ha avuto luogo qui venerdì 18 alle ore 9 antimeridiane e non domenica giorno in cui Pearson non ha fatto alcuna dichiarazione alla stampa circa Patto atlantico;

3) Canadian Tribune (cui corrispondente era presente detta conferenza stampa) né in resoconto né in comunicato (di cui al mio telegramma 30)3 contiene elementi riportati da agenzia suindicata, ciò che ovviamente non avrebbe mancato di fare se ne avesse avuto un qualche appiglio.

Conclusioni da trame anche circa Telespress sembrano ovvie.

624

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2806/38. Osio, 24 marzo 1949, ore 16,20 (perv. ore 19,30).

Sono intervenuto di nuovo ieri presso codesto Ministero esteri in merito questione nostre colonie e particolarmente Eritrea cogliendo anche occasione editoriale Times di ieri l'altro 1 . Mi è stato assicurato che delegazione norvegese riceverà istruzioni di agire «nei limiti del possibile» nel senso di cui al telespresso diV.E. 3/803 dell'll corrente2 e tenendo ad ogni modo presente che qui l'idea di una eventuale amministrazione fiduciaria affidata a più nazioni sembra presentare più inconvenienti che vantaggi3 .

2 Del 22 marzo, non pubblicato.

3 Pari data, non pubblicato. 624 1 Vedi D. 611, Allegato.

2 Non rinvenuto.

3 Con T. s.n.d. 2306116 del 25 marzo Zoppi rispondeva di condividere l'opinione della Norvegia, ma di ritenere l'amministrazione collettiva comunque preferibile a quella etiopica.

Circa Islanda non ho mancato trasmettere a Reykjavik di volta in volta con note ufficiali e con lettere personali esposizione nostro punto di vista. Mi sarebbe stato impossibile del resto muovermi da Osio causa mancanza segretario. Non sono quindi in grado riferire in maniera precisa circa atteggiamento quel Governo, ma tutto mi fa prevedere che esso si orienterà su elementi U.S.A. 4 .

623 1 Pari data, con esso Di Stefano comunicava: «Alcuni giornali pubblicano Canadian Press ieri da Roma circa comunicato Ministero relativo smentita ambasciatore Canada a pretese dichiarazioni attribuite Pearson». Per i precedenti della questione vedi DD. 605 e 614.

625

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2804/39. Oslo, 24 marzo 1949, ore 16,20 (perv. ore 19,30).

Questo ministro esteri non ha ancora concretato suo atteggiamento in merito progetto Consiglio europeo (mi riferisco al telespresso urgente di VE. 542 del 14 corrente) 1•

Pur essendo convinto che opinione pubblica norvegese non è ancora matura per accettare sostanziali rinunzie sovrane nazionali ed essendo in conseguenza interessato a non prendere impegni troppo precisi, ministro pensa che oggetto è eccessivamente vago e tale da non togliere importanti problemi che essi si pongono.

Per collaborare con ambasciatore a Londra nella riunione del 28 corrente sarà inviato da qui solo consigliere giuridico stabilito questo Ministero esteri prof. Castberg. In vista attiva nostra partecipazione all'idea e alla realizzazione di essa, egli riceverà istruzioni tenersi in contatto con delegazione italiana per uno scambio di idee sui rispettivi punti di vista.

626

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2833/292. Washington, 24 marzo 1949, ore 20,20 (perv. ore 8 del 25). Mio 291 1•

Riunione ministri affari esteri per accordi finali è prevista 2 aprile. Arrivo collettivo Washington dei ministri affari esteri avverrà in treno che partirà da New York subito dopo sbarco da «Queen Mary» cioè 30 o 31 corrente.

625 1 Non rinvenuto. 626 1 Del 23 marzo con il quale Tarchiani aveva comunicato di essere in attesa della risposta di

Acheson circa la data del colloquio richiesto da Sforza con il D. 619.

Segretario Stato proponevasi vedere V.E. venerdì l 0 Tuttavia, in seguito a miei

• passi nei quali ho diffusamente illustrato opportunità anticipare colloqui, ho motivo di sperare che colloquio stesso potrà aver luogo 29 corrente.

Confermerò domani Parigi2•

624 4 Per le informazioni sull'atteggiamento islandese vedi D. 769.

627

IL MINISTRO A GEDDA, ZAPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2849/20. Gedda, 24 marzo 1949, ore 24 (perv. ore 12,35 del 25).

Ho avuto stamane lungo colloquio con il principe Faisal per spiegargli questione Tripolitania ed Eritrea conformemente istruzioni di V.E. 1• Faisal mi ha risposto che Governo saudiano si uniformerà decisione Lega araba. Esprimendo quindi suo modo di vedere ha detto che Governi arabi sosterranno indipendenza Tripolitania ma che, se ciò non fosse possibile, proposte italiane meritano essere attentamente studiate.

Circa Eritrea Faisal ritiene che un plebiscito sarebbe soluzione perché troppi paesi hanno interesse su quella regione.

Dalle mie conversazioni Faisal ed altre autorità saudiane ho riportato impressione che proposte italiane per la Tripolitania potranno essere accolte salvo opposizione Lega araba e che per Eritrea Governo saudiano si sia a malincuore già compromesso con Gran Bretagna tanto da prospettare ora opportunità plebiscito che quasi [sicuramente] non sarebbe favorevole annessione Etiopia o mandato inglese.

628

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE DEL CILE A ROMA, ARANCIBIA LASO

L. 338 SEGR. POL. Roma, 24 marzo 1949.

Come le è noto, ha luogo oggi a Santiago la firma del Protocollo di amicizia e collaborazione', con cui in sostanza i nostri due Governi intendono fare una solenne

riaffermazione della loro tradizionale amicizia e del loro proposito di collaborare mutuamente alla causa della pace e della democrazia.

Ritengo quest'avvenimento particolarmente propizio per lo sviluppo dei nostri rapporti e sono soprattutto lieto di constatare che viene compiuto in tal modo un nuovo passo per il consolidamento, su basi giuste, della pace e della comunità internazionale in genere.

Mi è gradito cogliere questa occasione per confermare i sentimenti di viva riconoscenza del Governo italiano per l'opera che già da qualche anno il Cile ha svolto a favore dell'Italia. Formulo altresì i più caldi voti per le fortune del suo paese.

626 2 Con T. s.n.d. 2866/295 del 25 marzo Tarchiani confermò la data del29.

627 1 Vedi DD. 100 e 600.

628 1 Il testo è edito in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati, vol. LXVIII, ci t., p. 217.

629

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 954/205. Buenos Aires, 24 marzo 1949 (perv. il 30).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 3/729/c. del 5 marzo u.s. 1• Già in occasione del mio colloquio con Bramuglia, di cui al mio telespresso

n. 450/100 dell'li febbraio2 , lo avevo vivamente pregato, nel consegnargli il noto promemoria confidenziale sugli orientamenti delle varie delegazioni latino-americane all'O.N.U., di esaminare la possibilità di svolgere sin d'ora una azione diplomatica presso quei Governi con i quali l'Argentina si trova in rapporti di maggiore intimità onde consolidarne gli atteggiamenti a favore delle tesi che interessano l'Italia. Bramuglia accolse con la consueta comprensione e cordialità il mio suggerimento, assicurandomi che non solo avrebbe fatto dare le istruzioni del caso alle rappresentanze diplomatiche argentine nei vari Stati del continente americano, ma che egli stesso avrebbe integrato tale azione nei suoi colloqui con i rappresentanti diplomatici di quegli stessi Stati a Buenos Aires.

Nel mio nuovo colloquio con Brumaglia sono comunque tornato sull'argomento ed ho insistito sul caso particolare del Perù. Egli mi ha confermato di avere già a suo tempo provveduto a far conoscere ai vari capimissione argentini in Sud America l'atteggiamento del Governo argentino, con l'incarico di svolgere localmente l'azione più opportuna per valorizzarlo. Sarebbe tornato a farlo, tenendo presenti anche i più recenti punti di vista del Governo italiano, quali io gli avevo testè illustrato (mio telespresso urgente n. 04 del 19 marzo )3 .

2 Vedi D. 297.

3 Vedi D. 590.

629 1 Vedi D. 402, nota l.

630

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1262/639. Londra, 24 marzo 1949 (perv. i/]0 aprile).

A complemento di quanto il console Manzini ha già riferito verbalmente a VE. circa la missione da lui compiuta a Londra dal 19 febbraio al 5 marzo c.a, trasmetto l'acclusa relazione riassuntiva che egli stesso ha compilato per mio incarico. Essa indica il lavoro da lui svolto in diretta collaborazione con me sia presso il Foreign Office sia presso il Colonial Office e il War Office.

Ho motivo di sperare che i risultati di tale lavoro e l'atmosfera di maggiore comprensione tra noi e gli inglesi che ne è derivata possano contribuire, a Lake Success e successivamente, alla favorevole soluzione del problema delle nostre colonie.

ALLEGATO

IL CONSOLE MANZINI, ALL'AMBASCIATORE GALLARATI SCOTTI

RELAZIONE RISERVATA. Londra, 18 marzo 1949.

l. Sono giunto a Londra sabato 19 febbraio. Lunedì 21 ho accompagnato S.E. l'ambasciatore Gallarati Scotti al Foreign Office dal ministro di Stato McNeil, il quale mi ha presentato al sottosegretario Wright, indicando i limiti entra cui eravamo autorizzati a parlare (telegramma n. 44 dell'ambasciata in Londra) 1•

Successivamente ho avuto colloqui (durati in media un paio d'ore) al Foreing Office con Wright e Clutton (capo dell'Afiican Department) il22, 23,24 e 28 febbraio e l'l, 2, 3 marzo. Alle prime due riunioni, relative alla Somalia, in luogo di Clutton, assente da Londra, hanno partecipato i funzionari dell' Afiican Department Scott Fox e Stewart: erano inoltre presenti il generale Anderson e il sig. Key del War Office e il sig. Huijsman del Colonia! Office. Ai successivi colloqui sulla Libia e Eritrea, che avevano carattere segreto, hanno preso parte soltanto Wright e Clutton.

2. Somalia. Le conversazioni sono esaurientemente riassunte nel verbale (già trasmesso a Roma) che è stato compilato direttamente dagli inglesi, senza alcun mio intervento alla redazione2. A complemento aggiungo che circa il punto (3) (Military and Administrative arrangements) ho cercato di dare ai miei interlocutori la sensazione che eravamo da tempo preparati ai compiti che ci aspettano sia dal punto di vista militare che amministrativo. Ho sottolineato che da parte nostra avremmo visto con favore ogni utile contatto dei dirigenti della nostra futura amministrazione fiduciaria con la B.M.A. della Somalia e così pure coi Governi vicini del Kenya e del British Somaliland.

2 Non rinvenuto.

Sui punti (4)-(8) (Financial and economie arrangements) ho riferito più ampiamente con mio rapporto n. l del 6 febbraio da Londra2 , anche in relazione alla riunione svoltasi il 25 febbraio al War Office con l'intervento del sig. Key, del brigadiere Goldie e dei rappresentanti delle altre amministrazioni interessate. In tale riunione sono stati trattati in via preliminare i vari argomenti e fomiti esaurienti elementi in vista della successiva missione del dott. Pisano e dott. Rivano.

In base alle segnalazioni di Sarubbi ho anche trattato col Foreign Office e col generale Anderson la questione della sicurezza in Somalia e dell'atteggiamento inglese verso la Lega dei Giovani Somali ricevendo le più ampie assicurazioni al riguardo (vedi mio appunto per

S.E. l'ambasciatore in data 4 marzo c.a.)2 .

3. Libia. Nel colloquio del 24 febbraio con Wright e Clutton ho svolto ampiamente tutti gli argomenti a favore della nostra tesi per una decisione contemporanea circa Cirenaica e Tripolitania. Wright ha mostrato vivo interesse per l'impostazione da me data al problema, ma ha rilevato che per riuscire di qualche utilità la discussione avrebbe dovuto in tal caso estendersi oltre i limiti indicati da McNeil. Ha perciò chiesto di rinviare il seguito della conversazione al lunedì successivo per aver tempo di riferire ai suoi superiori e ottenere eventuali nuove istruzioni. Il 28 febbraio Wright mi ha detto di essere stato autorizzato a discutere con me le seguenti quattro ipotesi per la Tripolitania:

la ipotesi: Rinvio della decisione senza nessun impegno da parte britannica (tuttavia in pratica ci consentirebbero con ogni probabilità l'invio a Tripoli di un funzionario di collegamento e la B.M.A. riceverebbe istruzioni di facilitarne il compito).

3

ipotesi: Rinvio della decisione con un impegno segreto inglese di appoggiare la nostra successiva richiesta di trusteeship.

3a ipotesi: Rinvio della decisione con un impegno pubblico inglese come sopra.

4a ipotesi: Presa di posizione inglese per l'assegnazione del trusteeship all'Italia durante Assemblea dell'O.N.U. di aprile (nel quale caso l'Italia appoggerebbe presso le nazioni amiche la richiesta inglese per la Cirenaica).

Abbiamo esaminato a lungo le varie ipotesi anche dal punto di vista delle probabili ripercussioni locali. Ho cercato di dimostrare, sulla base della precedente esperienza in Somalia, l'infondatezza dei timori inglesi circa eventuali reazioni da parte degli indigeni specialmente in relazione alla 3a ipotesi. Ho svolto lungamente gli argomenti a favore della 43 ipotesi, dichiarando che essa soltanto corrispondeva alle aspettative del Governo italiano.

Wright ha risposto che l'eventuale evoluzione inglese nel senso da noi desiderato era subordinata alle decisioni del Gabinetto e così pure all'esito delle conversazioni in corso a Washington tra l'ambasciata britannica e lo State Department. Non era del resto da escludere che gli Stati Uniti potessero tirar fuori in seguito qualche loro soluzione inedita. A titolo confidenziale Clutton ha precisato in seguito che, per quanto riguarda la Gran Bretagna, l'alternativa è tra la l a e la 4a ipotesi.

Nel corso delle conversazioni sulla Tripolitania, protrattesi per tre giorni, sono stati toccati numerosi argomenti, anche in relazione ai progetti inglesi per la Cirenaica e all'atteggiamento della Francia e degli Stati Uniti. Dalla discussione è emerso che i seguenti due punti rivestono importanza preminente ai fini di una evoluzione inglese a nostro favore:

l) Necessità di convincere il Governo britannico che l'Italia ha forze militari e organizzazione amministrativa adeguate per prendere effettivamente possesso della Tripolitania entro il prossimo ottobre nell'eventualità di una decisione dell'O.N.U. in aprile. Ho dato a Wright le più ampie assicurazioni al riguardo. Mi è stato risposto che il Foreign Office non può prendere impegni precisi senza previa decisione del Gabinetto, ma che il Governo italiano «can work quite safely on the assumption that:

a) there will be pressure on the British Government not to remain in Tripolitania a moment longer than necessary; b) Great Britain shall endeavour to make the same arrangements for the transfer of Tripolitania as in the case of Somalia».

(È risultato chiaramente dalle conversazioni che qualsiasi esitazione da parte nostra o tentativo di protrarre il trapasso oltre ottobre pregiudicherebbe, al momento attuale, ogni possibilità di evoluzione inglese a nostro favore).

2) L'Italia dovrebbe chiedere di tornare in Tripolitania sulle basi del trusteeship puro e semplice, e cioè allo stesso titolo per cui gli inglesi chiederanno di rimanere in Cirenaica. Qualora dovesse verificarsi la 4• ipotesi, si avrà a New York la più stretta collaborazione fra la delegazione britannica e quella italiana circa il modo di presentare all'O.N.U. la nostra richiesta. È inteso che nel domandare il trusteeship per la Tripolitania l'Italia darà affidamenti circa:

a) la sua intenzione di preparare la Tripolitania ali 'indipendenza «at the earliest possible date»

b) «The Italian Administration shall do nothing to prejudice the ultimate unity ofLibya»

c) la futura Costituzione della Tripolitania e i criteri democratici e progressisti della amministrazione fiduciaria italiana.

4. Eritrea. Da parte inglese è stata ribadita l'intenzione di ottenere dall'O.N.U. in aprile l'annessione all'Etiopia della Eritrea (meno la Western Province che il Sudan annetterebbe, sia pure a malincuore!). Gli inglesi ritengono che comunque tale proposta raccoglierà in Assemblea la maggioranza dei 2/3. Per lo Statuto degli italiani in Eritrea verranno chieste garanzie che finora non sono state concordate tra Londra e Washington.

Ho dichiarato nei termini più espliciti che da parte nostra non lasceremo nulla di intentato per impedire l'approvazione di tale assurda proposta.

Si è poi parlato dell'invio al più presto di un nostro funzionario ali' Asmara e ho fatto presente che la qualifica di «liaison officer» non appariva soddisfacente. Su mia proposta è stata approvata la qualifica di «Italian Representative» e in tal senso si è successivamente espresso il consigliere Ward col ministro Zoppi.

5. Il Foreign Office mi ha messo direttamente in contatto col Colonia! Office e il 3 marzo sono stato ricevuto dal sottosegretario Cohen che si occupa delle colonie africane. Questi mi ha espresso il desiderio del Colonia! Office di stabilire rapporti di cordiale collaborazione con le nostre autorità coloniali e mi ha subito autorizzato a prendere contatto, accompagnato dal sig. Huijsman del Dipartimento relazioni internazionali del C.O., coi funzionari dei vari uffici competenti (Kenya, British Somaliland, Trusteeship, Amministrazione locale).

Successivamente il Foreign Office ha autorizzato, a mia richiesta, la missione a Londra del funzionario del M.A.I. dott. Zadotti per essere messo in rapporto con gli uffici del Colonia! Office.

6. Il 4 marzo ho avuto un ultimo colloquio, alla presenza di Clutton, col ministro di Stato McNeil il quale si è compiaciuto dei risultati raggiunti per la Somalia e dell'atmosfera di cordialità e maggiore comprensione dei rispettivi punti di vista creata dal franco scambio di

idee sulle altre questioni. Egli ha espresso la speranza che tale atmosfera sussista anche a New York, qualunque siano le reciproche posizioni ufficiali: in particolare mi ha chiesto quale atteggiamento assumerebbe l'Italia per la Cirenaica nell'eventualità che la Gran Bretagna rimanesse ferma sulla l a ipotesi (rinvio puro e semplice) per la Tripolitania.

Mi sono riservato di rispondere al mio ritorno da Roma, ma gli ho ripetuto ancora una volta che nell'opinione del Governo italiano la questione libica dovrà essere risolta integralmente e contemporaneamente. Ho infine esposto nuovamente a McNeil le ragioni per cui ci era impossibile accettare la proposta anglo-americana per l 'Eritrea e ho ripetuto anche a lui che al riguardo ci riservavamo la più completa libertà d'azione.

Il 5 marzo sono ripartito per Roma. Rientrato a Londra il 13 corrente sono stato ricevuto, per incarico di S.E. l'ambasciatore, il 17 corrente da Wright e, in base alle istruzioni ricevute a Roma gli ho detto, con preghiera di riferime a McNeil, che in caso di rinvio per la Tripolitania l'Italia lavorerà a Lake Success per ottenere che anche le decisioni sulla Cirenaica vengano rinviate. Wright ha insistito sulla necessità di stretti contatti a New York tra la loro delegazione e i nostri rappresentanti, compiacendosi che ciò possa essere facilitato dalla presenza di Clutton e mia.

630 1 Vedi D. 357.

631

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. 2270/34. Roma, 25 marzo 1949, ore 10,19.

Per opportuna conoscenza V.S. informola attuale situazione negoziati con Grecia.

Trattative collaborazione economica e accordo commerciale procedono normalmente nonostante alcune difficoltà sorte in relazione fornitura greca circa contingente tabacco.

In relazione telegramma n. 25 1 è stato tuttavia fatto chiaramente intendere che successo negoziati non può prescindere da pronta restituzione piroscafo «Città di Savona» come già assicuratoci.

In relazione suo telespresso n. 0202 è anche stato fatto presente che eventuale emissione decreto circa restituzione indennità percepite da proprietari beni italiani durante occupazione influirebbe sfavorevolmente sull'andamento negoziati.

Abbiamo infine insistito che in relazione affidamenti preliminari circa collaborazione economica teniamo ad elettrificazione due bacini Ladon e Voda, e non soltanto Ladon come ora delegazione greca pretenderebbe offrirei.

Quanto precede è stato anche ripetutamente esposto a questa ambasciata degli Stati Uniti che segue attentamente negoziati.

2 Non pubblicato.

631 1 Vedi D. 525.

632

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, GIARDINI

T. 2285/10. Roma, 25 marzo 1949, ore 15.

Suo [te l espresso 244/] 55 1 .

Pregola esprimere a codesto Governo nostro compiacimento per decisione addivenire stipulazione Protocollo amicizia e collaborazione.

Firma entro corrente mese riuscirebbe particolarmente tempestiva in vista imminenti deliberazioni N.U. su questioni nostro interesse, e data prossima stipulazione accordi analoghi con Cile e Uruguay.

Pregola telegrafare testo proposto da codesto Governo e mi riservo di autorizzare ulteriormente firma che potrebbe aver luogo costà.

633

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AIETA, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS

T. 2322/15. Roma, 25 marzo 1949, ore 21.

Con scambio note verbali ambasciata Polonia avvenuto data 24 marzo accordo commerciale italo-polacco è prorogato al 30 giugno 1949 1• In data 23 marzo u.s. è stato firmato contratto carbone tra rappresentanti E.A.C. e Centrale polacca per importazione 550 mila tonnellate carbone entro 30 giugno 1949. Con prossimo corriere verrà inviata copia Note verbali e relazione su trattative e previsioni scambi commerciali tra due paesi2 .

634

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2859/180. Parigi, 25 marzo 1949, ore 13 (perv. ore 15,45).

In relazione a quanto segnalato da Massigli a Gallarati Scotti il 22 corrente' circa opportunità che da parte nostra sia quanto prima presentato un programma con

creto delle misure disposte per nostro ritorno in Tripolitania, Quai D'Orsay fa presente che tale programma potrebbe molto utilmente formare oggetto di conversazioni tra

V.E. e Shuman2 .

632 1 Del 17 febbraio, non rinvenuto, ma vedi il D. 350. 633 1 Ed. in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni(ra l 'Italia e gli altri Stati, vol. LXVIII, cit., pp. 207-210. 2 Non pubblicati. 634 1 Vedi D. 621.

635

IL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2877/9. Guatemala, 25 marzo 1949, ore 23,07 (perv. ore 7,30 del 26).

Mi riferisco al telespresso di V.E. 31766 dell'8 corrente' e 3/667 del 28 febbraio2 e faccio seguito al mio telegramma 6 del 16 corrente3• Ministro degli affari esteri Guatemala disposto appoggiarci in pieno mi ha anche promesso che avrebbe influito sul Governo Costarica in nostro favore.

Ministro degli affari esteri Honduras mi ha telegrafato nostro punto di vista su Eritrea e Tripolitania è stato comunicato delegazione O.N.U. con istruzioni prenderlo in debita considerazione.

Governo El Salvador non ha ancora fatto conoscere risposta ma reggente nostro consolato mi ha informato ritenere sarà completamente favorevole. Stesso reggente avverte che ministro degli esteri Urquia parteciperà dibattiti O.N.U.

Ministro degli esteri Costarica ha sottoposto questione Giunta di Governo che si riunirà 29 corrente. Ho comunicato nostro incaricato d'affari promessa questo ministro affari esteri perché avverta quel ministro Guatemala.

Nessuna risposta ancora da Nicaragua alla mia ultima nota (circa rinvio della questione Eritrea). Alla precedente (attribuzione Eritrea in amministrazione fiduciaria all'Italia) aveva risposto informando che nostra richiesta era stata inviata delegazione O.N.U.

Prego avvertire nostro osservatore O.N.U. parendomi necessario mantenere continui contatti con cinque delegazioni che saranno sensibilissime cortesie che si volesse usare loro4 .

2 Vedi D. 428.

3 Con il quale Zanotti Bianco aveva dato un primo riscontro al D. 559.

4 Zanotti Bianco completò le informazioni fomite con questo telegramma con le seguenti altre due comunicazioni: «Reggente consolato San Salvador informa che delegazione El Salvador composta ministro degli affari esteri Urquia e avvocato Ramon Padilla come secondo delegato è partita New York 29 corrente. Detto reggente assicura che delegazione è molto ben disposta nostro riguardo. Consiglierei prendere contatto col medesimo ... » (T. s.n.d. 3092/13 del 31 marzo). «Governo del N i cara gua informa di avere inviato sua delegazione O.N.U. mia ultima nota verbale relativa rinvio della questione Eritrea e nostro punto di vista Tripolitania e Cirenaica. Cancelliere Porta telegrafa che non potrà conoscere decisione presa Governo costaricense prima fine settimana data attuale situazione politica ... » (T. s.n.d. 3346/17 del6 aprile).

634 2 Vedi D. 648.

635 1 Vedi D. 572, nota 2.

636

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 330/1047. Parigi, 25 marzo 1949.

Non so quello che Massigli ha riferito a Gallarati Scotti della sua conversazione avuta il 2 corrente con McNeil sulla questione coloniale'; ritengo possa forse interessarti quanto me ne è stato detto qui.

L'argomento principale di McNeil per sostenere la tesi del rinvio per la Tripolitania è stato in sostanza questo: «Non ci fidiamo del Governo italiano, sia perché ha dimostrato di non avere idee chiare di quello che vuole, sia perché non intendiamo in ogni caso assumere noi la responsabilità e gli oneri dell'amministrazione per conto degli italiani». Con questo discorso McNeil evidentemente alludeva da un lato all'evoluzione delle nostre proposte di sistemazione con ritorno al mandato, dall'altro al noto argomento della reazione in !oca in seguito a decisione favorevole all'Italia.

Come conclusione di tutto ciò, l'impressione molto netta di Massigli, condivisa dal Quai d'Orsay, è che ci convenga con la massima sollecitudine presentare un programma concreto di insediamento in Tripolitania, programma militare e politico, concepito in termini tali da rimuovere i dubbi di cui si è reso interprete McNeil, dando invece il senso di una fiduciosa sicurezza dei propri mezzi. Naturalmente non so fino a che punto tutto questo sia possibile, soprattutto ora che ho preso conoscenza della segnalazione di Tarchiani, e relativa risposta del ministro, circa l'enorme peso che, a conti fatti, rappresentano le nostre riparazioni economiche in dipendenza del trattato di pace. Per il resto non posso pronunciarrni, ma per quanto riguarda le colonie è evidente che la notizia ufficiosa testé confermata non agevolerà il negoziato coloniale.

Comunque sia e tanto per non lasciare niente di intentato, credo che convenga seguire il suggerimento francese ed approntare quanto prima questo programma che sarebbe bene comunicare subito ai francesi, per lo meno per la parte militare che mi si dice già ultimata da tempo e da tempo comunicata agli inglesi (che ciò nonostante parlano poi come ha parlato McNeil).

P S.: Sembra che da notizie pervenute al Quai da Washington Truman sia personalmente contrario al nostro ritorno in Tripolitania oltre che in Eritrea.

636 1 "'on risulta che Gallarati Scotti abbia riferito sul colloquio Massigli-McNeil.

637

IL MINISTRO A CANBERRA, DEL BALZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 235/78. Sydney, 25 marzo 19491•

Come ho già riferito, il ministro Evatt è partito per l'India e l'Europa il giorno dopo la presentazione delle mie credenziali sicché non mi è stato possibile avere con lui una seria conversazione sulle nostre colonie.

Ne ho parlato però al Dipartimento degli affari esteri con i suoi collaboratori diretti. Li ho trovati, in verità, tutti molto riservati e desiderosi di evitare una discussione in proposito, forse anche perché consapevoli dell'assoluta irrilevanza delle loro personali opinioni nei confronti di un capo come Evatt, che agisce, specie in questioni del genere, con la più assoluta indipendenza.

Mi è stato da tutti risposto che Evatt partiva «with an open mind», senza alcun piano prestabilito, e che i contatti che avrebbe avuto a Roma con V.E.2 , a Londra con il signor Bevin ed a New York con le varie delegazioni amiche, gli avrebbero fornito i necessari elementi di giudizio per questo problema che, in fondo, riguarda l'Australia solo indirettamente.

Risposta che mi sembra confermare quanto la passata esperienza ci ha già insegnato, e cioè che in questo campo l'Australia farà in sostanza quello che l'Inghilterra suggerirà.

Dei membri della delegazione australiana all'O.N.U. quello che ci potrà essere, ritengo, più utile è il vescovo ausiliario di Melbourne, Simonds, che, come ho telegrafato3 è, per inclinazione e per autorevoli incoraggiamenti ricevuti, a noi favorevole.

Potrà anche giovarci la presenza New York, durante l'Assemblea del direttore del Sydney Morning Herald, Hugh MacClure Smith, con il quale ho stabilito rapporti molto cordiali e che ho munito di una lettera per il ministro Mascia. Sebbene il suo giornale, che è il più autorevole di Sydney, sia all'opposizione, egli è amico personale di Evatt e, nelle conversazioni che ho avuto con lui, l 'ho trovato non solo bene informato ma convinto che una soluzione che concili le nostre esigenze e gli interessi britannici in Africa è ormai indispensabile.

Per quanto mi concerne ho fatto e faccio tutto il possibile allo scopo di promuovere negli ambienti ufficiali e nella opinione pubblica almeno una migliore conoscenza delle nostre ragioni, valendomi del materiale che codesto Ministero mi invia.

Ho rimesso al segretario generale del Dipartimento degli esteri il pro-memoria sull 'Eritrea4 . Ho anche preso utili contatti con alcuni giornali (Sydney Morning Herald e Argus di Melbourne) che sono fra i maggiori di Australia.

Ho infine iniziato, con una conferenza tenuta ieri alla Australian Society for International Affairs, un ciclo di discorsi sull'Italia di oggi nei quali sottolineo in modo particolare il nostro problema coloniale.

Sullo stesso tema parlerò domenica a duemila italiani e italo-australiani nella Town Hall di Sydney e a un certo numero di Rotary Clubs che mi hanno invitato.

2 Vedi D. 469.

3 T. s.n.d. 2848/9, pari data, non pubblicato.

4 Vedi D. 484.

Non mi illudo che questa attività abbia a sortire effetti notevoli, ma essa è se non altro un atto di presenza dopo tanti anni di silenzio, ed un doveroso tentativo di informare questa opinione pubblica sui nostri maggiori problemi del momento.

637 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

638

COLLOQUIO DELL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, CON L'ASSISTENTE SEGRETARIO DI STATO, RUSK

APPUNT01 . Washington, 25 marzo 19492 .

Ho iniziato il mio colloquio con Rusk dicendogli che dopo la mia conversazione con Acheson3 il quale mi aveva assicurato che il Dipartimento di Stato stava rivedendo la posizione americana nella questione delle colonie, non avevo avuto più alcuna notizia sul risultato di tale riesame.

Rusk mi ha interrotto per dirmi che riesame non significava necessariamente mutamento della posizione.

Gli ho risposto che il solo fatto che si era ritenuto necessario un riesame significava che la posizione stessa sembrava insoddisfacente. Comunque, in attesa di conoscere le decisioni americane, tenevo a sottolineare la necessità che, al fine di ottenere i richiesti due terzi dei voti dell'Assemblea generale, su qualsiasi progetto, si raggiungesse un preventivo accordo. Tanto più tenevamo ad una evoluzione dell'atteggiamento americano in quanto avevamo motivo di ritenere che la posizione di Londra avesse negli ultimi tempi subito una evoluzione favorevole nei nostri confronti.

Tenevo inoltre a ripetergli ancora una volta il nostro punto di vista ed a sottolineare soprattutto come per Italia il ritorno nelle nostre ex colonie, sia pure sotto forma diversa e più consona alle concezioni moderne, significasse soprattutto aver titoli per essere presente coi nostri tecnici e con le nostre maestranze all'organizzazione dell'Africa che, nel quadro dei principì del punto 4° del messaggio inaugurale del presidente Truman, avrebbe dovuto avere un considerevole sviluppo.

Per quanto riguardava in particolare l'assurdo progetto di annettere l'Eritrea all'Etiopia dovevo richiamare tutta la sua attenzione sul fatto che le nazioni arabe non avrebbero certo votato a favore di un progetto del genere. L'Eritrea era abitata, per di più della metà, da popolazioni musulmane che non avrebbero accettato la dominazione negussita, senza contare che con una amministrazione fiduciaria italiana, esse avrebbero potuto sperare di ottenere nel dovuto periodo di tempo un forma di indipendenza mentre invece con l'annessione all'Abissinia tale speranza sarebbe naufragata per sempre.

Rusk mi ha obiettato che le conclusioni della Commissione d'inchiesta per le colonie avevano escluso la possibilità di indipendenza per l 'Eritrea e per la Somalia considerate troppo arretrate.

2 Il telespresso di trasmissione di questo appunto non è stato rinvenuto. A Roma si provvide a ritrasmettere l'appunto a Gallarati Scotti e a Quaroni con il telespresso n. 3/1464/c. dell'Il aprile. 3 Vedi D. 332.

Gli ho risposto che ciò era vero allo stato attuale ma che non era però da escludere che l'apporto degli italiani, che sarebbero rientrati in Eritrea in caso di amministrazione fiduciaria italiana, nonché di quelli che vi avrebbero potuto trovare ulteriormente sistemazione, avrebbe potuto porre le basi per il sorgere di un nuovo Stato italo-indigeno, capace di raggiungere l'autogoverno: ciò del resto era avvenuto in alcune colonie africane inglesi e sviluppi del genere erano in corso in altri possedimenti europei in diverse parti del mondo.

Rusk ha osservato che sistemi del genere non erano nelle tradizioni dell'amministrazione coloniale francese ed italiana.

Gli ho risposto che il periodo delle guerre di conquista coloniale si era appena concluso e che non era ancora spenta l'eco della campagna inglese nel Sud Africa. Quella dell'avviamento dei popoli all'autogoverno era una concezione recente. Il Governo ed il popolo italiano l'hanno approvata, ne condividono i principi e gli scopi e sono pronti a tradurla in atto.

Rusk mi ha allora ripetuto la posizione americana a Parigi: trusteeship italiano sulla Somalia, annessione all'Etiopia dell'Eritrea del sud, indecisione sul futuro dell'Eritrea occidentale. Ha aggiunto che la delegazione americana aveva constatato l'impossibilità di ottenere i necessari due terzi dei voti dell'Assemblea per un trusteeship italiano sull'Eritrea, per le note ragioni «storiche» (ripetuta aggressione italiana dell'Etiopia dalle basi eritree, ecc.).

Ho osservato che avevamo dei dubbi su una così assoluta impossibilità di ottenere i due terzi dei voti per un trusteeship italiano in Eritrea ma che era comunque appunto per rispondere a tale obiezione che avevamo proposto un trusteeship multilaterale anglo-franco-italiano, o dell'Unione Europea, in cui la presenza di altre nazioni nelle funzioni di amministrazione costituisse la richiesta garanzia di sicurezza per l'Etiopia.

Rusk ha continuato l'esposizione della posizione americana a Parigi: rinvio per la Tripolitania, amministrazione fiduciaria all'Inghilterra per la Cirenaica. Ha motivato questa ultima decisione con la ormai provata tradizione inglese di concedere l'indipendenza a paesi da essa avviati all'autogoverno, nonché colla particolare efficienza dell'amministrazione coloniale britannica, ripetendo ancora una volta la poca fiducia americana nei sistemi coloniali francesi e italiani.

Gli ho risposto ripetendo l 'adesione italiana alle nuove concezioni coloniali e confermando che eravamo pronti ad assumerci per la Tripolitania gli stessi impegni che gli inglesi si sarebbero assunti per la Cirenaica.

Rusk mi ha detto che escludendo la possibilità di una amministrazione fiduciaria americana in Tripolitania, che il popolo americano non avrebbe gradito, il Governo di Washington avrebbe preferito che anche la Tripolitania venisse amministrata dall'Inghilterra. Questa aveva però declinato l'incarico.

Ho osservato come fosse allora naturale che questo incarico fosse affidato all'Italia.

Rusk ha allora tirato in ballo la resistenza degli arabi al nostro ritorno in Tripolitania.

Gli ho riposto che tale opposizione era, in massima parte, frutto di fantasia e di malanimo: mai durante la lunga permanenza italiana in Tripolitania, salvo le difficoltà connesse col primo periodo di occupazione, vi erano stati incidenti di rilievo tra la popolazione araba, del resto poco numerosa, e gli elementi italiani. Ho aggiunto che neanche ora, qualora incidenti del genere non venissero fomentati da elementi interessati e malintenzionati, non dovrebbero verificarsi disordini specie se potesse trovare applicazione un ragionevole piano di sostituzione della amministrazione britannica con quella italiana, che mi risulta essere allo studio per la Somalia, e se potremo, come è nostra intenzione, potenziare adeguatamente i servizi di polizia indigena. Di questo parere del resto, gli ho detto, sono anche i francesi che del Nord Africa se ne intendono certamente. Inoltre non comprendevo perché non dovesse essere prevista una resistenza araba anche al trusteeship inglese in Cirenaica.

Rusk mi ha allora domandato se, nell'ipotesi di un trusteeship limitato a dieci anni ma rinnovabile a giudizio delle Nazioni Unite per analoghi periodi di dieci anni, [l 'Italia accetterebbe].

Gli ho subito risposto che mi sembrava impossibile fissare limiti all'opera di avviamento delle popolazioni coloniali all'autogoverno che era legata a tante circostanze difficili a essere valutate in anticipo. Tutto al più si sarebbe potuta studiare una formula che lasciasse alle Nazioni Unite di giudicare il grado di maturità delle popolazioni affidate in amministrazione fiduciaria. Ho aggiunto però che una clausola del genere avrebbe dovuto essere naturalmente inclusa in ogni altro progetto di trusteeship e soprattutto in quello per la Cirenaica.

Rusk mi ha obiettato che le N.U. possono concedere un trusteeship ma è molto difficile per esse di decidere sulla concessione dell'indipendenza a un territorio sotto amministrazione fiduciaria. Ha aggiunto poi che la potenza amministratrice avrebbe potuto sempre rallentare l'opera di educazione delle popolazioni soggette ed allontanare così la data dell'indipendenza.

Gli ho risposto che alla prima difficoltà si poteva riparare con l'includere nello stesso progetto di trusteeship una clausola che desse alle N.U. facoltà di decidere la data della indipendenza del territorio sotto trusteeship, e che per quanto riguardava le manovre ritardatrici della potenza amministratrice ritenevo che le N.U. avrebbero sempre disposto di tali mezzi di controllo da rendere assurda una ipotesi del genere.

Rusk ha concluso il colloquio dicendo che il Dipartimento stava studiando attentamente la situazione ma che purtroppo egli non era in grado di anticiparmi i risultati di tale riesame: temeva anzi che, in vista della difficoltà di raggiungere i due terzi di maggioranza necessari per qualsiasi progetto (data la possibilità sempre esistenti di una collusione tra il voto del gruppo sovietico e quello del gruppo delle nazioni orientali che hanno di recente raggiunto l 'autogoverno), non era da escludere che a un certo momento si presentasse la necessità del rinvio per alcune questioni.

Gli ho risposto che in tal caso il rinvio avrebbe dovuto aver luogo per tutte le questioni, compresa quindi la Cirenaica, escludendo beninteso la Somalia sulla quale tutti ormai sembravano aver raggiunto un accordo per il ritorno all'amministrazione italiana.

638 1 li colloquio ebbe luogo in esecuzione delle istruzioni di cui al D. 545, vedi anche D. 615. Tarchiani trasmise subito una larga sintesi di questo colloquio con T. s.n.d. 2882/298-299 dello stesso 25 marzo. L'appunto sulla conversazione steso da Rusk è pubblicato in Foreign Relations ofthe United States, 1949, voi IV, cit., pp. 539-542.

639

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE. Vienna, 25 marzo 1949.

Gruber è rientrato da Londra lunedì scorso e sembrava che vi tornasse oggi, ma viceversa ha rinviato la partenza di qualche giorno e partirà forse ai primi della settimana entrante.

Io non ho sollecitato di vederlo né egli si è fatto vivo. Da parte mia ho seguito la tattica di non farmi parte diligente, per non avere l'aria di sollecitare nulla, finché il nostro atteggiamento non si sia concretizzato in una idea precisa; dalle ultime comunicazioni del 15 corrente, con cui mi avete mandato il promemoria rimesso alla legazione d'Austria nonché il resoconto del colloquio del ministro con Schwarzenberg1, mi è sembrato intendere che è ancora aperta la possibilità del noto provvedimento legislativo invalidatorio, e che non è ancora molto chiaro se e che cosa eventualmente venga da noi richiesto al Governo austriaco.

Da notizie indirette, tuttavia, mi risulta che i rapporti Schwarzenberg sono già qui giunti, e le prime ripercussioni sono state favorevoli, interpretandosi il colloquio con il ministro Sforza come un notevole addolcimento sulle iniziali intenzioni della Presidenza del Consiglio. Alla interposta persona che mi riferiva confidenzialmente queste impressioni, rispondevo che le mie non erano così ottimiste, e che la questione rimaneva tuttora aperta.

Mi risulterebbe anche che il problema generale della situazione determinatasi in materia di opzioni sarebbe stato portato in Consiglio di ministri e ivi discusso. Mi è stato anche detto che si studiava se e che cosa si potesse fare da parte austriaca, ma sono notizie vaghissime e quindi non ho la minima idea se corrispondano al vero e quale portata possano avere. Te le riferisco a puro titolo di cronaca.

Spero mi giungano col corriere di stasera le istruzioni per l'esame delle domande, che ci avete promesso; dopo di che, se sarà necessario, vi chiederò ulteriori istruzioni.

Scusa questa lettera forse un pò affrettata ma volevo approfittare del corriere odierno per mandarti qualche impressione che può sempre servire anche a voi2 .

640

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE GENERALE A WELLINGTON, DE REGE

T. 2354110. Roma, 26 marzo 1949, ore 23.

Suo 191 .

Per eventualità che non siano ancora pervenuti telespressi di istruzione relativi questione coloniale V.S. provveda illustrare codesto Governo ragioni e fondamento nostre aspirazioni chiedendo che delegazione neozelandese appoggi proposta trusteeship italiano per Somalia senza limite tempo, per Tripolitania anche di breve durata e rinvio questione Eritrea.

2 Per la risposta vedi D. 691.

In via subordinata chieda che delegazione voti almeno proposte su cui Inghilterra ed Italia sono d'accordo astenendosi in quelle in cui sono in antitesi.

639 1 Vedi D. 556.

640 1 Del 23 marzo, non pubblicato.

641

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 2355/79. Roma, 26 marzo 1949, ore 23.

Ministro Jugoslavia è venuto oggi a dirmi aver ricevuto da codesto Governo notizia che nostra delegazione pesca ha interrotto negoziati 1 nonché istruzioni farmi conoscere che, ad avviso Brilej, questione potrebbe essere ormai risolta in poche sedute. Ho detto a Ivekovic che tale non era nostra impressione perché risultava che delegazione jugoslava si era irrigidita su questioni che ritenevamo ormai superate, ma che comunque avrei raccomandato a V.S. riprendere conversazioni se richiestone da Brilej e purché da parte jugoslava si comprendesse che avevamo raggiunto limite estremo concessioni e ci si decidesse darci soddisfazione su questioni ancora sospese. Circa interdipendenza ho ripetuto che non vediamo difficoltà a parafare vari accordi in corso di negoziazione mano mano che saranno pronti e che essi entreranno poi in vigore tutti insieme. Gli ho sottolineato necessità, nell'interesse due paesi, fare questo onde poter affrontare in atmosfera amichevole e costruttiva prossime importanti trattative commerciali.

642

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. PERSONALE DA CONSEGNARE SUBITO 2908/181. Parigi, 26 marzo 1949, ore 20,45 (perv. ore 24) 1 .

Personalità americane sostengono meco che mia influenza personale, che esse esagerano, sarebbe aumentata dall'acquisito voto Senato. Eppure debbo partire domani sera avendo già convegno con Acheson il 29 e con delegati sudamericani per l'O.N.U. giorni seguenti. Una conclusione rapidissima sarebbe preziosa2 .

2 Vedi D. 650.

641 1 Su tale questione vedi D. 598.

642 1 Sforza si trovava a Parigi, il26 marzo, per la firma del trattato istitutivo dell'Unione doganale i taio-francese. Testo in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l 'Italia e gli altri Stati, vol. LXVIII, cit., pp. 238-246.

643

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2910/93. Belgrado, 26 marzo 1949, ore 19,30 (perv. ore 24).

Telegramma ministeriale 77 1 .

Ho conferito con questo ambasciatore Stati Uniti America. Egli ignora tuttora comunicazioni confidenziali fatte costì dal suo Governo. Si propone comunque entrare in conversazione con questo ministro degli affari esteri su oggetto di cui al telegramma ministeriale in riferimento.

A mio sommesso avviso, stato rapporti tra Jugoslavia e U.S.A. non (dico non) è, almeno per ora, tale da permetterei sopravalutazione possibilità pressioni ambasciatore americano su questo Governo.

644

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1011/174. Montevideo, 26 marzo 1949 (perv. il 30).

Il 22 marzo u.s. sono stato ricevuto dal presidente della Repubblica 1• Avevo domandato questa udienza perché avevo ritenuto che fosse ormai tempo di prospettare al capo dello Stato e del Governo la situazione che avevo riscontrata nei diversi settori, di illustrargli le varie trattative in corso, nonché alcuni indirizzi che avevo preso e che mi proponevo di prendere, il tutto allo scopo di assicurarmi della sua opinione e della sua adesione.

II colloquio è stato lungo, esauriente e cordiale. Si è fatto il giro de li'orizzonte passando per i diversi settori.

I) Negoziazioni in corso. Ho espresso al presidente il mio personale compiacimento (non avevo ancora ricevuto il telegramma n. 9 di V.E.)2 per avere questo Governo aderito -secondo quanto comunicatomi pochi giorni prima dal ministro degli affari esteri -alla mia proposta di addivenire a un protocollo di amicizia e di collaborazione del genere di quello che era stato esaminato di concerto tra lo stesso ministro, i suoi funzionari e questa ambasciata. Ho aggiunto che dichiarazione di tale natura sarebbe stata molto apprezzata dal Governo e dal popolo italiano. Ho continuato ricordando che era riuscito assai gradito a V. E. di accogliere la proposta uruguayana per un nuovo trattato di commercio del tipo di quello itala-statunitense e in relazione a quello che l'Uru

2 Del 23 marzo, con il quale Sforza aveva dato istruzioni a Tacoli di esprimersi come qui riferito.

guay sta negoziando con gli stessi Stati Uniti e che il nostro Ministero si proponeva di esaminare con sollecita cura l'anteprogetto in preparazione qui. Ho ricordato anche l'adesione da noi data all'altra proposta uruguayana per un trattato di arbitrato obbligatorio e ho espresso il voto che ben presto si addivenga al trattato culturale da noi suggerito.

Il presidente mi ha risposto che condivideva il mio compiacimento e che, a suo modo di vedere, le numerose trattative iniziate testimoniavano dei sentimenti dei due Governi e dei due paesi e davano luogo a bene sperare per lo sviluppo e il rafforzamento delle reciproche relazioni. Egli non è entrato nel merito dell'una piuttosto che dell'altra trattativa ed io, che non potevo prevedere il revirement poi verificatosi circa il Protocollo di amicizia (vedi mio telespresso n. 1001/169 in data 24 marzo u.s.) 3 , non ho avuto ragione di approfondire quello che non era più di un preambolo di cortesia alla conversazione.

2) Colonie. Ho fatto precedere il presente rapporto da un telespresso urgente nella stessa data 22 marzo che porta il numero 958/04 1 .

Non ho da aggiungere se non la seguente precisazione.

Di fronte ai molti argomenti a favore di un attivo appoggio uruguayano alle nostre tesi (opinione pubblica molto sensibile ai nostri interessi, vantaggi derivanti da buoni rapporti economici e politici col nostro paese, fiducia nella nostra ripresa, comprensione delle nostre necessità di collocamento di lavoro, riconoscimento delle grandi opere da noi eseguite, ecc.) vi possono essere due argomenti contrari: uno attuale e di minore importanza, e cioè l'anticolonialismo americano che si inquadra nelle ideologie del partito al potere, l'altro ipotetico, ma ben più grave, o ve si verificasse, e cioè l'eventuale pressione delle grandi potenze occidentali e in specie degli Stati Uniti.

Il primo argomento, quello dell'anticolonialismo, è stato se non battuto almeno di molto sminuito dall'indirizzo da noi preso tendente a preparare una autonomia dei territori coloniali, sia pure a scadenza non del tutto prossima. Su questo punto credo che la mia conversazione con il presidente sia stata particolarmente utile, perché dalla mia illustrazione, molto sintetica, egli ha potuto ricavare facilmente i dati, che evidentemente gradiva di avere a disposizione, per controbattere eventuali critiche a un atteggiamento che venisse denunciato non abbastanza rispettoso della libertà dei popoli. Debbo subito dire che mai ho saputo fino ad ora che critiche di tal genere siano state sollevate in nessun ambiente e che non mi pare che il Governo sarebbe mai il primo a farsi degli scrupoli dottrinari spinti fino a questo punto.

Il secondo argomento è il più importante. Il presidente mi ha ripetutamente assicurato che nessuna pressione era stata fatta al suo Governo circa l'atteggiamento da tenere alla prossima Assemblea dell'O.N.U. sulla questione delle nostre colonie. Ma per quanto egli abbia tenuto a ricordare che l'Uruguay si sforza sempre di difendere la più completa indipendenza della sua politica estera, è evidente che il ripetuto accenno alla mancanza di pressioni estere può confermare il dubbio che, se quelle pressioni si verificassero, l'Uruguay non potrebbe restare insensibile.

La mia opinione è che l'Uruguay alla prossima Assemblea ci darà un completo appoggio. Esso non vorrà esercitare influenze e pressioni su altre delegazioni se non nel modo più cauto e discreto per salvare la rigida riservatezza che continuamente si impo

ne: però, a condizione di non doversi esporre, esso potrà anche esserci utile nei rapporti con altre nazioni sudamericane non fosse che per fortificarle nel loro atteggiamento. Credo anche che l'Uruguay resisterà a deiie semplici soiiecitazioni che grandi potenze, e fra queste anche gli stessi Stati Uniti, gli rivolgessero perché ci togliesse il suo appoggio (e tale mia opinione si basa non solo suiia solidità dei motivi del suo favore per noi, ma anche suiia sua aspirazione di dimostrare la propria indipendenza); credo però che esso cederebbe quando si trattasse di pressioni vere e proprie, quando cioè si profilasse il pericolo di spiacere seriamente ai maggiori membri de II 'Organizzazione.

Nonostante tutte le comunicazioni fatte al ministro degli esteri e ai suoi principali coiiaboratori, nonostante tutte le conversazioni avute con essi, senza dire di tutte le pubblicazioni che ho ottenuto da questa stampa, non mi era sembrato, agli inizi del mio coiioquio, che il presidente si fosse formato deiia nostra questione coloniale un'opinione completa e bene inquadrata sui principali argomenti. Così ho creduto opportuno di destinare notevole parte deii'udienza a questo punto, anche tenendo conto di certa tensione intervenuta in questi ultimi tempi fra la frazione del partito cui appartengono i Batlle-Berres e queiia di Casteilanos e di una certa freddezza nei personali rapporti fra presidente e ministro degli esteri, tutte cose che possono influire sull'abbondanza e sulla cordialità delle informazioni in una materia che non è ritenuta di importanza essenziale per il paese.

Il presidente, seduta stante, per telefono, ha richiesto il Ministero degli affari esteri di un particolare rapporto e mi ha assicurato che sarebbero state inviate nuove istruzioni, a conferma, aii'ambasciatore Dominguez-Campora che sarà il capo della delegazione uruguayana all'O.N.U. Fino a questo momento non ho potuto appurare se dette istruzioni siano state inviate, ma seguo la cosa da vicino.

3) Emigrazione. Ho riassunto brevemente gli argomenti principali già trattati neiie tante conversazioni con i diversi organi competenti (vedi mio rapporto sintetico sull'emigrazione n. 818/145 dell2 corrente)3 restringendo la mia esposizione ai seguenti punti:

a) necessità di rendere più agili ed economiche le pratiche burocratiche specialmente per l'immigrazione per «chiamata»;

b) progetto per un'azienda agraria modello misto, per la costituzione della quale lo Stato uruguayano dovrebbe intervenire fornendo terreno, a mezzo de II 'Istituto de colonizaci6n, e crediti. (L'azienda potrebbe coiiocare agricoltori già ambientati presso i datori di lavoro ad eque condizioni e sostituirebbe i lavoratori coiiocati con altri in arrivo dall'Italia);

c) opera di bonifica statale attuando uno dei vasti progetti di massima sempre allo studio presso il Ministero dell'agricoltura e preferibilmente uno di queiii relativi alla difesa daiie acque di inondazione nel dipartimento di Rocha;

d) costruzione di strade e di case da parte dello Stato o con larghi sussidi dello Stato. (Ho insistito sull'importanza capitale di questo punto, sottolineando che un'emigrazione di buoni elementi da radicare alla terra è altrimenti impossibile);

e) albergo degli emigranti di cui è stato largamente trattato in un recente Consiglio dei ministri.

Il presidente ha voluto rispondermi punto per punto dimostrandosi al corrente delle principali questioni. Mi ha assicurato che l'emigrazione, entro certi limiti e soprattutto con certe cautele, è problema che gli sta molto a cuore e di cui valuta l'importanza. Egli ha tenuto a farmi osservare che, risvegliato come è stato nell'opinione pubblica e nella stampa oltreché negli ambienti deii 'Amministrazione, il problema è veramente di attualità.

Non ha voluto compromettersi con un giudizio definitivo sulle proposte concrete di una o più aziende agrarie modello o di una grande opera di bonifica, ma le ha definite molto interessanti e mi ha assicurato della sua personale attenzione.

A sua volta mi ha esposto il suo desiderio di sviluppare la produzione orto-frutticola nei pressi di Montevideo e dei capoluoghi di dipartimenti, con l'apporto del lavoro italiano e spagnolo. Avendogli fatto osservare nuovamente che si tratta non soltanto di credito ma insieme di disponibilità dei terreni necessari, di costruzione di strade e di case (queste tanto più numerose quanto più intensiva sia la conduzione), si è ritornato a parlare dell'Istituto de colonizaci6n, degli ostacoli frapposti dalla stessa sua legge istituzionale e di diverse iniziative che potrebbero essere prese dallo Stato

o da lui sussidiate al fine di assicurare le comunicazioni e gli alloggi. Al termine di questa succinta disamina il presidente mi ha pregato di mandargli un memoriale sulle diverse questioni e sulle diverse iniziative prospettate.

Ho già avuto nuove conversazioni col presidente dell'Istituto de colonizaci6n anche per potere redigere detto memoriale tenendo conto della situazione giuridica e delle opinioni degli ambienti interessati.

4) Relazioni economiche. Ho ringraziato il presidente dell'appoggio datomi dal Ministero degli affari esteri e da tutte le autorità per la costituzione della Commissione mista (vedi mio telespresso n. 693/123 in data 3 corrente e mio rapporto sintetico sulle relazioni economiche n. 896/152 del 18 corrente)4 e ho espresso la fiducia che la Commissione porterà a buoni risultati.

Ho sottolineato al presidente la necessità che da parte uraguayana, dopo che noi abbiamo riconosciuto che l'Uruguay non può comprare in dollari senza vendere in dollari per importi su per giù equivalenti, si comprenda che noi non possiamo vendere qui soltanto i prodotti più pregiati per i quali troveremmo migliore collocamento. Anche su questo argomento ho ottenuto dal presidente l'assicurazione che si darà prova di comprensione e di buona volontà.

Il presidente si è poi compiaciuto della nuova iniziativa da me presa per la costituzione della Società italo-uruguayana per lo sviluppo dei rapporti economici e mi ha cortesemente assicurato del benevolo appoggio delle autorità uruguayane.

5) Cultura. Il presidente ha manifestato il più vivo interesse per l'attività che si propone di svolgere nelle varie direttive (dalle manifestazioni artistiche e dalle mostre, alle conferenze, agli scambi d'informazioni, alle borse ecc. ecc.) l'istituenda Società italo-uruguayana degli Amici della cultura, il cui Comitato di studio, che ho formato, sta per ultimare i suoi lavori.

Si è poi accennato all'accordo culturale da noi proposto e il presidente mi ha espresso la speranza e la fiducia di vederlo presto ultimato.

Come V.E. avrà potuto rilevare, da questa udienza non è uscita nessuna decisione concreta e neppure nessun impegno preciso. Ma non era questione di questo. Essa mi è sembrata particolarmente utile per chiarire idee e propositi e forse anche per determinare atteggiamenti.

643 1 Vedi D. 620.

644 1 Vedi D. 618.

644 3 Non rinvenuto.

644 4 Non rinvenuti.

645

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 670/229. Mosca, 26 marzo 1949 (perv. i/4 aprile).

L'annuncio ufficiale emanato a Canberra dal ministro della difesa australiano Dedman secondo il quale «conversazioni ufficiali sono in corso per la conclusione di un patto tra paesi appartenenti all'Impero britannico ed altri», ha, com'è facile immaginare, suscitato qui il massimo interesse ed i giornali locali si sono immediatamente impadroniti dell'argomento.

In genere qui le idee non sono ancora chiare circa quelli che dovranno essere i probabili firmatari del nuovo patto: si parla degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, del Canada, dell'Australia, dell'India, della Nuova Zelanda, del Pakistan e di Ceylon: citando altre fonti si azzardano i nomi dell'Iran, del Siam, di alcuni paesi della America centrale e meridionale ed infine del Sud Africa.

Viene tuttavia considerato un punto fermo che l'iniziativa del nuovo blocco spetta alla Gran Bretagna ma che, quantunque formata in prevalenza da membri del Commonwealth britannico, la coalizione in parola avrà pur sempre, quale pilastro principale, gli Stati Uniti i quali se ne serviranno ai loro fini aggressivi.

Nei primi commenti non si accenna tuttavia ancora a scopi di «accerchiamento dell'U.R.S.S.» o di diretta aggressione contro di essa: si ha piuttosto l'aria di voler attribuire al nuovo blocco il carattere e le funzioni di puntello dei traballanti possedimenti coloniali dell'Asia sud-orientale. Si accenna, è vero, alla evidente connessione con il Patto atlantico, con quello mediterraneo ecc. ma è pur tuttavia il carattere di opposizione «al movimento per l'emancipazione nazionale dei popoli asiatici», che rivestirebbe il blocco del Pacifico, quello che maggiormente si tende, per ora, a sottolineare. Basandosi infatti su non meglio identificate «notizie di stampa» i giornali sovietici assicurano che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avrebbero già posto, quale condizione principale per la partecipazione al patto, quella di «concorrere attivamente alla repressione dei movimenti di liberazione nazionale».

È tuttavia facile prevedere che questa prima reazione, relativamente blanda, da parte dei sovietici, è destinata ad intensificarsi ed a cambiare di tono man mano che i contorni del patto diverranno più precisi e le conversazioni entreranno in una fase conclusiva.

È ovvia infatti la gravità che la conclusione di un simile accordo e la formazione di un solido blocco anche nel Pacifico, articolato con quelli dell'Atlantico e del Mediterraneo, rivestirebbero per l'Unione Sovietica la quale, pur essendo ormai più che una potenza continentale un continente essa stessa, non potrebbe guardare con indifferenza al saldarsi di quel cerchio il quale, sia pure a prudente distanza e prevalentemente sui mari del mondo, tende rapidamente a chiudersi attorno ai popoli di credo socialista.

646

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 673/232. Mosca, 26 marzo 1949 (perv. il 4 aprile).

Dopo la pubblicazione del Patto atlantico, a Mosca si continuano a seguire con la massima attenzione i minimi indizi di quello che potrà essere il futuro atteggiamento sovietico.

Finora non vi è alcun chiaro segno che i sovietici vogliano passare da uno stadio di violenta opposizione propagandistica a più concrete misure. Il Patto è stato pubblicato integralmente dalla stampa sovietica, senza però che si scatenasse in base al suo testo una nuova ondata più violenta di attacchi e di indignazione a freddo, quale ci si poteva attendere. Finora tutta l'attenzione dell'opinione pubblica sembra voler essere polarizzata verso l'imminente Congresso dei difensori della pace, che si terrà a Parigi ad aprile: ma non si vede quale nuovo contributo, se non di discorsi e di articoli, possa portare questa manifestazione al chiarimento delle rispettive posizioni, né tantomeno alla loro modificazione.

È stato qui rilevato, ed è ovvio, che la scelta di Gromyko a capo della delegazione sovietica all'Assemblea dell'O.N.U., in luogo di Vyshinsky, è un indizio che in quella sede non si dovrebbero attendere novità, nel senso di approcci per una eventuale distensione. Gromyko è piuttosto l'uomo della dura polemica che della trattativa; e d'altra parte se è vero che inviando a New York il suo primo viceministro l'U.R.S.S. continua nella precedente tradizione, è anche vero che, avendo declassato ora il ministro degli esteri, scegliendolo fuori del Politburò, fra i funzionari ministeriali, sarebbe stato altrettanto logico, e certo più promettente, fare di questo ministro-funzionario il capo della delegazione.

Sembra dunque che, se un tentativo di distensione dovesse esservi, esso non troverebbe quantomeno il suo punto di partenza nella prossima Assemblea, la quale sarebbe ancora riservata ai puri scontri oratori. Al riguardo, come ho già accennato (mio telegramma n. 49 del 19 marzo u.s.) 1 i sovietici hanno fatto sapere che intenderebbero in quella sede prendere l'offensiva contro i cosiddetti patti regionali, eh'essi considerano alleanze aggressive e mascherate. Si vedrà se alla minaccia seguiranno i fatti, ma l'informazione è di buona fonte; fu Molotov a dirlo alla signora Pandit in un loro incontro poco prima del suo esonero dal Ministero degli esteri.

Poiché dunque di segni concreti della supposta nuova offensiva di pace sovietica (di cui mio telespresso n. 601121 O del 16 marzo 1949)2 finora non è cenno, si continua qui da varie fonti ad attendersi una qualche più energica mossa da parte di Mosca, pur sempre contenuta nei limiti short of war. Le ipotesi più correnti continuano ad essere quella di una pressione sulla Finlandia da un lato, e quella di atti ostili verso la Jugoslavia (mediante inizio di azioni partigiane, specialmente in Macedonia) dall'altro.

2 Vedi D. 564.

Ho già detto ripetutamente che non credo alla prima ipotesi, per via della posizione svedese; e del resto freschissime informazioni da Helsinki mi confermano quel che in sostanza la nostra legazione colà va dicendo, ossia che Fagerholm e il suo Governo continuano imperturbabili per la loro strada, senza alcun segno di timore.

Che qualche cosa possa accadere in Jugoslavia è più probabile, benché ogni previsione sia azzardata; ma ad ogni modo si tratta pur sempre di ipotesi riguardanti un campo di azione, che non minaccerebbe alcuna zona critica guardata a vista dagli americani. Nulla quindi autorizza per ora preoccupazioni di prima grandezza, pur non potendosi affatto escludere che l'inizio della primavera porti la situazione a un maggior calore.

Intanto, anche per quel che riguarda il cambiamento di Molotov e di Mikoyan, finora i fenomeni esterni tendono a confermare che i due uomini continuano a rimanere in primo piano. È significativo come Mikoyan sia comparso in prima linea sia in occasione della venuta della delegazione coreana e dei relativi patti, sia in quella immediatamente successiva, della visita degli albanesi. Dando a parte notizia dettagliata di tali avvenimenti diplomatici, ho preferito unire alcune fotografie per mettere in rilievo quanto non solo Menshikov, ma lo stesso Vyshinsky siano apparsi ufficialmente in seconda linea dietro l'ex ministro del commercio estero, il quale è bensì uno dei tanti vicepresidenti, ma evidentemente è messo in vista come una autorità effettiva e non soltanto nominale. Le mie visite protocollari a Vyshinsky e Menshikov (il primo continua a ricevere al Ministero degli esteri, non, come Molotov faceva, al Kremlino) mi hanno del resto dato l'impressione di trovarmi pur sempre di fronte agli uomini di prima, aumentati di grado: ma non certo circondati da alcun segno apparente di maggiore potere.

N e i riguardi poi deIl' Italia, naturalmente i dibattiti alle due Camere nostre per il Patto atlantico sono stati ampiamente riportati e seguiti; non sono mancati i commenti, ma finora le prese di posizione nette, tali da far preludere a qualche azione diplomatica, sono state poche. Si può dire ch'esse si riducono al commento domenicale di Viktorov su Pravda (20 marzo, mio telegramma n. 51 )3 ove si invoca esplicitamente, come io previdi a suo tempo, la violazione da parte nostra del trattato di pace. Ma per il momento, ali 'infuori di tale cenno giornalistico, si rimane nella polemica generica, e l'attitudine ufficiale sovietica verso di noi rimane quella del più corretto e gelido silenzio.

646 1 Non pubblicato.

647

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 1103. Il Cairo, 26 marzo 1949.

Con l'avvicinarsi della dàta della partenza della delegazione egiziana per l'O.N.U., ho intensificato i miei contatti con gli esponenti del Governo e della politica

per illustrare il nostro punto di vista sulla questione delle colonie. Cerco di riassumere il più brevemente possibile qui di seguito le conversazioni da me avute in argomento.

l) Colloquio col ministro degli esteri. Khachaba pascià è da poche settimane rientrato a far parte del Governo, dopo una breve parentesi durante la quale egli se ne era allontanato volontariamente per divergenze di vedute col presidente del consiglio. Ora, ritornato al potere in situazione politicamente rafforzata essendo stato sempre favorevole al riavvicinamento con l 'Inghilterra oggi auspicato da tutto il Governo, si prepara a partire per gli Stati Uniti dove presiederà la delegazione egiziana alla prossima Assemblea dell'O.N.U.

Il ministro ha incominciato col dichiararmi di desiderare sempre di mantenere le migliori relazioni con l 'Italia, anche se su qualche questione gli interessi egiziani ed italiani siano divergenti.

Per quanto concerne le colonie, il ministro mi ha detto che l'Egitto voterà in favore dell'attribuzione all'Italia del mandato sulla Somalia. Questa è la sola novità sulle precedenti prese di posizione di questo Governo.

Per le altre questioni e cioè Libia ed Eritrea, il ministro non sembra essersi ancora fonnato un'opinione definitiva su quella che sarà la sua linea di condotta.

Per la Libia, riaffiora nella sua conversazione la solita tesi sostenuta dagli arabi dell'indipendenza e soprattutto dell'unità, in quanto, egli ha osservato, nessun Governo arabo può dare il proprio appoggio ad un progetto che consacri la spartizione della Libia in tre parti, ciò che avrebbe per conseguenza di porre gli arabi della Libia per una parte sotto l'influenza inglese, per un'altra sotto quella italiana, e per un'altra ancora sotto quella francese. Peraltro questo punto di vista teorico potrebbe essere riveduto a seconda dell'andamento delle discussioni come rileverai dal linguaggio meco tenuto dal sottosegretario agli esteri che riferisco qui appresso.

Per l'Eritrea il ministro ha ascoltato attentamente le mie argomentazioni, e non ha potuto opporre nulla quando ho osservato che era assurdo di pensare che l 'Etiopia potesse esser prescelta per condurre quelle popolazioni, in maggioranza musulmane, al benessere ed alla indipendenza. Mi ha soltanto risposto che l'Egitto non può fare a meno di seguire una politica di buon vicinato con l'Etiopia, che con l'Egitto ed il Sud Africa, è il solo Stato africano indipendente. D'altro lato non può neppure dimenticare che le sorgenti del Nilo si trovano appunto in Etiopia. È quindi probabile che la sua linea di condotta a Lake Success sarà influenzata da queste considerazioni. Tuttavia, a seguito delle mie insistenze, ha promesso di riesaminare ancora il problema quando arriverà a Lake Success, e di tenersi in contatto con il nostro osservatore all'O.N.U., al quale spiegherà lealmente il suo punto di vista quando la questione coloniale verrà discussa. Se ne avrà occasione, ne intratterrà anche il nostro ambasciatore a Washington. Sarebbe quindi bene che Tarchiani e Mascia ricevessero istruzioni di avvicinare il ministro degli esteri egiziano durante il suo soggiorno a New York, poiché egli stesso mi ha manifestato il desiderio di mantenersi in contatto con i nostri rappresentanti.

2) Colloquio con il sottosegretario agli esteri. Premetto che, a seguito della lettera a firma Castellani n. 3/773 del 9 marzo u.s. 1 , mi sono astenuto dal fornire ad Has

souna Pacha le maggiori precisazioni da lui richiestemi sul nostro progetto di istituzione di uno Stato indipendente italo-arabo in Tripolitania. Ho quindi cercato di !imitarmi a discutere con lui della questione dell'Eritrea, patrocinandone il rinvio, e di sorvolare su quella della Libia. Hassouna mi ha invece sottoposto a domande stringenti sulla questione dell'abbozzo di progetto da me presentatogli. Ha cercato di sapere se Washington, Londra e Parigi vi avevano dato o meno il loro assenso, nel qual caso egli si è dichiarato disposto a discuterne. Dato che ora dobbiamo fare macchina indietro, mi sono schermito per quanto meglio ho potuto. Il sottosegretario mi ha chiesto però di precisargli al più presto se America, Inghilterra e Francia daranno il via al nostro progetto. Allo scopo di incominciare a sganciarci, sono intanto riuscito a fargli dire che se manca l'approvazione dei Grandi è inutile che noi continuiamo a negoziare.

È tuttavia da tener presente che gli arabi sembrerebbero ora più proclivi ad abboccare all'amo che abbiamo loro lanciato, e che ora invece siamo costretti a ritirare. Ho anche trovato modo di far comprendere al sottosegretario che se l 'Italia riceverà l'offerta del trusteeship puro e semplice, non potrà rifiutarla. Egli ne ha convenuto, pur sottolineando che Egitto e paesi arabi saranno costretti ad osteggiare una simile soluzione. Facendo poi il punto della situazione, ha così concluso: l'iniziativa spetta quindi ora a voi; siete voi che ci avete fatto una proposta e dovete ora farci sapere se Parigi, Londra a Washington, soprattutto Washington, sono d'accordo. Nel qual caso si potrà cominciare a parlare. Ove invece si ritorni a discutere di una attribuzione pura e semplice del trusteeship, l 'iniziativa spetterà a noi, da un lato per esprimere ufficialmente e pubblicamente la nostra contrarietà a tale progetto; dall'altro, ove il trusteeship sulla Tripolitania sia effettivamente attribuito all'Italia, per esaminare se vi sia ancora la possibilità di giungere ad una successiva intesa con voi in vista di creare al più presto possibile uno Stato indipendente italo-arabo.

Ti prego quindi di volermi mettere in grado di rispondere alle precise domande di Hassouna, e di autorizzarmi, se così stanno le cose, a fargli sapere che il nostro progetto non ha trovato il gradimento delle cancellerie interessate e che pertanto deve considerarsi sospeso per il momento. E ciò per dimostrare la perfetta lealtà delle nostre proposte.

Quando io poi ho sottolineato con Hassouna il nostro desiderio che l'Egitto e gli altri paesi arabi votino in favore del rinvio per la questione dell'Eritrea, egli mi ha risposto che sarebbe ad essi più facile accontentarci, ove si trovasse una soluzione concordata per la questione libica.

3) Colloquio con Azzam Pacha. L'ho interrogato in merito a una nota pubblicata dalla stampa, secondo la quale la Lega araba, nella sua recente sessione, aveva deciso che gli Stati membri riaffermeranno a Lake Success il principio che le popolazioni dell'Eritrea dovranno decidere esse stesse del loro destino. Il segretario generale della Lega araba mi ha risposto che la questione era stata portata davanti al Consiglio dal Governo arabo-saudita, essendo questi stato avvicinato dall'Etiopia per attenerne l'appoggio. Mi ha spiegato che la decisione del Consiglio della Lega significava in pratica che ogni Governo era libero di decidere sulla propria linea di condotta.

Passando a parlare della questione della Libia, Azzam Pacha mi ha detto di considerare con favore un esame più approfondito del nostro progetto per la costituzione dello Stato italo-arabo di Tripoli. Ha aggiunto di essere accusato ora dagli esponenti libici di essere filo-italiano, e che perciò doveva ben precisare con noi il suo punto di vista. Teneva quindi a dichiararmi che era favorevole ad un accordo per la costituzione di uno Stato indipendente italo-arabo, ma rimaneva invece sempre nettamente ostile all'attribuzione pura e semplice del trusteeship all'Italia sulla Tripolitania («l shall fight it by all means»).

4) Colloquio con il col. Fiske, addetto militare dell'ambasciata degli S. U d'America. Fiske mi ha dato l'impressione di essere piuttosto pessimista per la questione dell'attribuzione dell'Eritrea all'Italia. Se ne mostrava sinceramente accorato, data l'amicizia che ha per il nostro paese e per la sua convinzione che sarebbe peggio che un'ingiustizia, un errore, di permettere all'Etiopia di governare l 'Eritrea. Tali sue impressioni traeva da notizie ricevute da Washington.

Più ottimista si è mostrato invece circa la possibilità dell'attribuzione dell'amministrazione fiduciaria all'Italia sulla Tripolitania. Mi ha detto però di non vedere di buon occhio un'intesa preventiva tra Italia ed arabi per determinare la struttura politica ed amministrativa futura di quel territorio. Il suo ragionamento in proposito trae la sua origine soprattutto da considerazioni strategiche. A suo avviso infatti gli Stati Uniti non incontreranno alcuna difficoltà ad intendersi con l'Italia per stabilire le basi strategiche in quella zona che sono loro indispensabili in caso di conflitto. Se invece si trovassero a dover trattare non solo con gli italiani, ma anche con gli arabi per questa delicata questione, gli americani temono di incontrare delle difficoltà e delle resistenze, tenuto conto dei noti principì cui si ispira la politica degli arabi.

Le considerazioni di Fiske coincidono con le più recenti informazioni di cui tu sei in possesso e comunicatemi da Castellani, secondo le quali a Washington e a Londra si mostrano più propensi a parlare per ora di mandato fiduciario puro e semplice. Anche il linguaggio tenuto da un alto funzionario di questa ambasciata degli Stati Uniti con Archi sullo stesso argomento, improntato al massimo riserbo sull'eventualità di una intesa italo-araba, costituisce un'ulteriore conferma.

Da questi colloqui si possono per ora trarre le seguenti conclusioni:

l) l 'Egitto voterà in favore dell'Italia per la questione della Somalia.

2) l'Egitto è fedele al principio dell'unità e indipendenza della Libia. Egitto e Lega araba sono sempre contrari ali 'attribuzione del trusteeship all'Italia sulla Tripolitania. Tuttavia, se avessero la certezza di potere ottenere l'istituzione di uno Stato italo-arabo a Tripoli con l'accordo delle potenze, sarebbero pronti a discuterne. E ciò evidentemente, tanto più se, con la definitiva attribuzione della Cirenaica all'Inghilterra, vedessero tramontata per sempre la possibilità di salvaguardare l'unità della Libia.

3) Per l'Eritrea le considerazioni di questo ministro degli esteri circa la necessità in cui si trova di tener conto delle richieste etiopiche, vanno completate con quelle di Hassouna, secondo le quali l'Egitto potrebbe più facilmente sacrificare la causa della vicina Etiopia, se potesse giustificare tale suo atteggiamento con dei vantaggi ottenuti dagli arabi in Tripolitania. In questa particolare questione influirà anche l'atteggiamento dell'Inghilterra, con la quale il ministro degli esteri desidera vivamente di giungere ad un regolamento generale dei rapporti reciproci.

4) Le mie impressioni sul posto confermano la vostra segnalazione e cioè che l'America (come pure la Francia) avversa un nostro riavvicinamento con gli arabi, basato sull'istituzione di un libero Stato a Tripoli. Ed è difficile pensare che l'Inghilterra vi possa essere favorevole.

5) Debbo ritenere che o ve l'ostilità di Washington, Londra e Parigi al nostro progetto sia confermata, ci troveremo costretti a sospendere senz'altro le conversazioni con gli arabi per la costituzione dello Stato italo-arabo. In tal caso sarebbe però bene spiegarne chiaramente i motivi al Governo egiziano e ad Azzam Pacha per non essere accusati di tirarci indietro ed anche per lasciare la strada aperta ad un'intesa di tal genere se e quando avremo ottenuto il trusteeship sulla Tripolitania. Ciò allo scopo di evitare che il nostro ritorno in quella colonia resti affidato soltanto alla forza.

Particolarmente su questo ultimo punto, ti sarò grato se vorrai farmi pervenire istruzioni2•

646 3 Vedi D. 596.

647 1 Non pubblicato.

648

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. PERSONALE 2921/182. Parigi, 27 marzo 1949, ore 19 (perv. ore 21,45).

Avuto oggi conferenza di quattro ore con Schuman, prima coi nostri collaboratori poi da solo a solo 1• Assicurato suo appoggio e piena solidarietà. Egli crede impossibile una soluzione favorevole per Eritrea ma io ho proposto talune formule evitanti scacco completo che gli sono piaciute. Dopo azione Washington farò del mio meglio New York per problema africano.

Parto stasera per New York, sarò 29 Washington per mia prima conversazione con Acheson.

649

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2924/60. Atene, 27 marzo 1949, ore 19,50 (perv. ore 23,30).

Ringrazio l 'E.V. comunicazione di cui al suo telegramma 34 1 . Rispondo facendo punto situazione a mio parere. Per noto divario organo direttivo e organo esecutivo (mio rapporto 657/256 del 16 corr.f azione conciliativa riducesi sempre a parole

2 Non pubblicato.

(mio telegramma 57 del 18 corr.)3 o fatti negativi causa ostruzionismo burocratico. Infatti circa questione prigionieri, restituzione beni, «Città di Savona», scuole archeologiche, accordo aeronautico, politica visti (suo telespresso 11649 del 13 aprile scorso )2 si è ottenuto finora molte promesse e nessuna soluzione concreta. Ad esempio, per restituzione beni, soltanto pochissimi sono stati effettivamente restituiti perché burocrazia si oppone, mentre tenta con raggiri finanziari confiscare beni stessi. Anche per questione coloniale dubito che appoggio greco, nonostante buon volere manifestatomi, vada oltre solita azione ai margini O.N.U.

Opinerei pertanto che in nome famosa «globalità» (tabacco compreso) prima di concludere attuali negoziati si ottenesse:

l) che non solo «Città di Savona» ma tutte le suddette pendenze fossero risolte secondo nostri desideri;

2) che Grecia esprimesse chiaramente suoi intendimenti per colonie (mio rapporto n. 746/277 del22 marzo scorso)4 perché organi burocratici non accelerino in tali questioni e si avrà perciò prova di quanto ho sempre dubitato e cioè che burocrazia e Pipinelis formino unico fronte in cui urtasi questo Governo;

3) che per le questioni che sorgeranno in fase esecutiva clausola di riserva anche per l'avvenire leghi organicamente nostro effettivo pagamento riparazioni ad azioni uffici esecutivi greci.

647 2 Vedi D. 657.

648 1 Il verbale del colloquio, redatto da Quaroni, è in allegato al D. 679.

649 1 Vedi D. 631.

650

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A WASHINGTON

T. S.N.D. 2365/1761 . Roma, 28 marzo 1949, ore 14.

Risultato Senato soddisfacente ma molto laborioso2 . Anche i favorevoli come Gasparotto ci accusano di atteggiamento polemico contro U.R.S.S. Motivazione filorussa Torretta viene sfruttata avversari. Richiamo tua attenzione su proposta socialista circa patto di non aggressione con orientali. Sventai insidia dichiarandomi favorevole tendenzialmente ma solo dopo nostra ammissione O.N.U. Polemica furiosa specie contro art. 4 per ingerenza straniera. Opposizione insistette su basi e istallazioni militari da non concedersi qualora Italia non sia belligerante. Sarebbe

4 Non rinvenuto.

2 Si riferisce alla seduta del Senato del 27 marzo (vedi Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1949, vol. V, pp. 6534-6569) in cui l'ordine del giorno Casati d'approvazione della dichiarazione del Governo ottenne 188 voti favorevoli, 112 contrari e 8 astensioni.

un successo se tuo intervento portasse modificazioni o almeno accertamenti interpretativi su automatismo, eventuale non belligeranza, basi e sopra tutto distensione Russia. Proclamazione fatta ieri sera da Scoccimarro di nuova guerra liberazione esige nostra armata vigilanza.

Felicitandomi successo Parigi3 invio migliori auguri 4 .

649 3 Con tale telegramma Prina Ricotti aveva comunicato le iniziative in favore della collaborazione italo-greca svolte da Markezinis e Papagos nel Comitato di coordinamento e l'intenzione degli stessi di sostenere, nella medesima sede, l'opportunità di appoggiare la tesi italiana nella questione coloniale.

650 1 Questo telegramma fu trasmesso dal Gabinetto del Ministero all'ambasciata a Washington con le seguenti istruzioni: «Pregasi rimettere immediatamente al ministro Sforza -e comunque prima inizio sue conversazioni costì-seguente comunicazione da parte presidente del Consiglio».

651

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2944/15. Copenaghen, 28 marzo 1949, ore 19,06 (perv. ore 20).

In colloquio avuto oggi con questo ministro degli affari esteri, che parte mercoledì per Washington, gli ho esposto nuovamente punto di vista italiano nella questione delle colonie sulla base comunicazioni codesto Ministero pervenute finora. Richiestogli circa atteggiamento questo Governo alla prossima Assemblea O.N.U. ministro esteri Rasmussen ha evitato impegnarsi pur mostrando comprensione nostri problemi; egli ha altresì tenuto a sottolineare amichevoli relazioni danesi. Ministro Rasmussen si ripromette incontrarsi a Washington con S.E. Sforza.

652

IL MINISTRO A DAMASCO, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2951/13. Damasco, 28 marzo 1949, ore 19,30 (perv. ore 21,30).

Mio telegramma 121•

Ho avuto due colloqui col presidente del Consiglio e ministro degli affari esteri di ritorno da Beirut dove, come si prevedeva, rappresentanti Stati arabi non hanno raggiunto alcun accordo circa indirizzo comune da adottare O.N.U. nella questione colonie italiane. Sarà quindi in sede Assemblea che di volta in volta decideranno atteggiamento da prendere secondo opportunità momento.

Tuttavia Azm mi ha assicurato che circa problema Eritrea tutti gli Stati arabi condividono riluttanza della maggioranza musulmana Eritrea a piegarsi al dominio Etiopia e, circa Tripolitania, per cui esistono molte incertezze e diversità vedute, Azm ha sottolineato nel corso Conferenza Beirut intenzione Governo italiano addivenire soluzione concordata con popolazione locale e Governo arabo.

Nei limiti solidarietà arabo-siriana farà il possibile darci prova sua amicizia e, a conferma, presidente mi ha domandato copia accordo italo-libanese2 per fame oggetto studio.

650 3 Vedi D. 648. 4 Per la risposta vedi D. 654. 652 1 Del 22 marzo, con il quale Cortese comunicava che, per eseguire le istruzioni del D. 600, doveva attendere il ritorno da Beirut del presidente del Consiglio.

653

IL MINISTRO A KARACHI, ASSETTATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2958/22. Karachi, 28 marzo 1949, ore 22 (perv. ore 7,30 del 29). Telespresso ministeriale 3/828 1•

Successivamente consegna nota ho avuto lunga conversazione con ministro affari esteri il quale parte domani 29 per gli U.S.A. Oggi avrà luogo Consiglio dei ministri nel quale verrà anche discusso punto di vista Pakistan circa nostre colonie. Ministro degli affari esteri peraltro ritiene che riuscirà ottenere ampi poteri discrezionali circa atteggiamento che per diverse questioni delegazione Pakistan potrà assumere. Circa Eritrea ministro affari esteri esprime sua opinione convenendo pienamente mie argomentazioni e dichiaratosi nettamente contrario qualsiasi forma annessione Eritrea da parte Etiopia.

Ha precisato che tale annessione non avrebbe alcuna giustificazione tanto più in quanto contraria aspirazioni popolazioni interessate. Invio dettagliato rapporto con pnmo mezzo.

654

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 2962/3071 . Washington, 28 marzo 1949, ore 22,24 (perv. ore 8,30 del 29).

Trovo Washington tuo telegramma2 .

2 Vedi D. 650.

Vedendo domani Acheson gli farò valere le necessità psicologiche che consigliano un accertamento interpretativo su automatismo. Trattandosi di trattato multiplo è impossibile pensare modificazioni.

Personalmente sono convinto si arriverà presto a qualche distensione ed il nostro amico di Parigi condivide mia impressione. Se ciò accade le imprecazioni e le vacuità della discussione saranno per la nazione nuova prova della malafede degli uni e debolezza morale degli altri. Dopo colloquio tomo domani nel pomeriggio New York per convegno coi principali nostri amici America latina. Ti telegraferò di là3 .

652 2 Vedi D. 238. 653 1 Vedi D. 484, nota l. 654 1 Minuta autografa.

655

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. RISERVATA 05885/76. Roma, 28 marzo 1949.

Mi riferisco al tuo telespresso n. 176/0361 , relativo alla nota questione degli archivi della Savoia. Quanto il ministro Schuman ti ha detto potrebbe, a mio avviso, darci ragionevoli speranze di una equa soluzione dell'importante problema.

Non sono però dello stesso parere i nostri tecnici ed i membri della nostra delegazione, i quali ritengono che gli ambienti archivistici francesi insisteranno, in sede di Commissione mista, per l'applicazione integrale dell'art. 7 del trattato di pace, nonostante le buone disposizioni più volte manifestate negli ultimi tempi da uomini politici e diplomatici di codesta Repubblica.

Tale pessimismo dei nostri ambienti tecnici è stato rafforzato dal rifiuto francese di aderire alla nostra proposta di dare alle due delegazioni un diverso carattere con l'inclusione di note personalità del campo storico.

Senza ulteriori e più precise assicurazioni da parte di codeste Autorità centrali, i nostri delegati stimano quindi che sia pericoloso per noi iniziare le discussioni a Torino.

Poiché d'altra parte i francesi, come rileverai dalla Nota verbale ricevuta nei giorni scorsi (acclusa in copia assieme alla precedente)2 , insistono di nuovo per una

2 Del 17 marzo e del 15 gennaio, non pubblicati.

sollecita convocazione della Commissione mista e lo stesso ambasciatore di Francia mi ha fatto ieri personalmente le più vive premure, ti sarò grato se vorrai cercare di tornare sull'argomento col ministro Schuman per ottenere qualche possibile maggiore assicurazione o per lo meno un ulteriore rinvio della questione.

Si potrebbe allo stesso tempo suggerire a codeste Autorità una soluzione, che del resto mi risulta ti è già stata accennata dall'Ufficio diplomatico del presidente della Repubblica, sulle seguenti basi:

a) consegna della serie di atti esclusivamente savoiardi, separati cioè dall'origine, ed archivisticamente distinti, relativi ad interessi locali ancora vivi;

b) consegna delle copie fotografiche dei documenti desiderati dalla Francia, aggiungendo eventualmente anche copie di materiale che non è contemplato dall'art. 7 del trattato;

c) creazione di un Istituto a carattere internazionale, retto da una convenzione italo-francese ed amministrato da un Consiglio misto al quale il Governo italiano consegnerebbe i documenti in questione ed anche altri per i quali l'obbligo di restituzione non esiste. Le spese dell'Istituto da crearsi in Torino ed anche di un certo numero di borse di studio potrebbero essere assunte dall'Italia.

Si risolverebbe così, con l 'accettazione di una tale proposta, la quasi secolare vertenza degli archivi della Savoia con la creazione di un nuovo organismo di collaborazione fra i due paesi.

Nel caso che dalle conversazioni che potrai avere con lo stesso Schuman o con altri ti rendessi conto della possibilità di accoglimento delle nostre proposte da parte francese, ti prego di riferire telegraficamente le tue impressioni, dovendosi al più presto dare una risposta all'ambasciata di Francia in merito alla convocazione della Commissione mista3 .

654 3 Vedi D. 671.

655 1 Del 2 febbraio, con il quale Quaroni aveva comunicato: «Schuman mi ha detto di non essersi dimenticato quanto V.E. ebbe occasione di dirgli a Cannes in merito agli archivi della Savoia. Avendo studiato la questione egli è venuto personalmente alla conclusione che quello di cui i francesi hanno diritto di domandarci la restituzione sono gli archivi amministrativi. Tutto quello che riguarda gli archivi storici e particolarmente quello che concerne la dinastia deve restare in Italia. Mi ha detto che questa è la sua opinione personale: essa non è condivisa da alcuni archivisti. Egli sa che dovrà affrontare una battaglia ma è deciso a farla e spera nel successo».

656

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE. New York, 28 marzo 1949.

Siamo arrivati stamane, non solo felicemente, ma con due ore di anticipo. Il ministro partirà stasera per Washington insieme a Tarchiani, che abbiamo trovato qui, per il colloquio con Acheson che è stato fissato per domani 1 . Ritornerà domani stesso in serata. Io resto qui e ripartirò con lui con il treno ufficiale del 31 marzo sul quale prenderanno posto gli altri ministri degli affari esteri.

Utilizzerò questo tempo (per vedere New York e) per studiare insieme a Mascia la situazione delle colonie.

656 1 Vedi DD. 661 e 671.

Il ministro si è persuaso, almeno così sembra, della necessità di rimanere a New York per dare battaglia sulle colonie. Il punto di vista del momento è il seguente: che, se riusciamo a Washington a far cambiare opinione agli americani e agli inglesi, il ministro potrebbe anche ripartire, ma se invece non ci riusciamo, non può disertare il posto. Questo potrebbe comportare anche un'assenza più prolungata. Tutti i nostri piani, perciò, sono in uno stato di vaghezza assoluta.

Sui colloqui Schuman riferirà, penso, Quaroni2 . In complesso sono andati bene. Per il Patto atlantico abbiamo stabilito questi due punti di fondamentale concorde interesse:

l) dobbiamo far di tutto per impedire che il centro di gravità della difesa dell'Europa occidentale si sposti troppo a nord; 2) dobbiamo delimitare la sfera dei nostri impegni ed obblighi.

Quest'ultimo punto è da intendersi, naturalmente, nel senso che, ogni qual volta si presenti un pericolo di guerra generale senza minaccia diretta alla sicurezza della Francia e dell'Italia, i due paesi, nella loro qualità di paesi che dovrebbero sostenere l'urto fisico della guerra, svolgeranno un'azione concordata in favore della pace.

Per le colonie, Schuman si è mostrato molto nero circa le possibilità di salvare l'Eritrea. Avendogli però il ministro detto che, oltre tutto, noi intendevamo chiedere un rinvio con incarico ai Governi italiano ed abissino di mettersi d'accordo con trattative dirette, Schuman ha accolto l'idea con favore e ha promesso di sostenerla. Io, personalmente, ho avuto due lunghi colloqui con Parodi e Couve de Murville; vago il primo, e molto più concreto il secondo. Del resto Murville verrà a Washington e poi a New York e naturalmente abbiamo convenuto di ritrovarci e di mantenerci in stretto contatto.

Ti accludo tre progetti di memorandum che probabilmente il ministro consegnerà domani mattina ad Acheson. L'origine è la seguente: in treno, e per di più nel tardo pomeriggio, il ministro mi ha detto che intendeva sollevare con il Governo americano, a scopo confesso e dichiarato di window dressing, due o tre questioni. Ne ha specificato due: il non-automatismo e la sovranità nazionale sulle basi. Ti immagini le mie obiezioni, molto esplicite. Gli ho detto che chiunque poteva sollevare la questione del non-automatismo eccetto noi italiani. E per le basi la cosa mi sembrava contraria all'art. 3 del Patto, eccetto che avrei tentato di rovesciarla con una richiesta italiana a potenziare delle basi, delle quali, incidentalmente, si sarebbe potuto trovare il modo di riconfermare il carattere nazionale.

Il risultato è quello che trovi nei tre memorandum acclusi. Mi sembrano innocui, ed è tutto quello a cui miravo. Li ho scritti in treno e tradotti in inglese a Parigi. Il non-automatismo è ridotto ad una formula politica limitata a un caso concreto, e non ad una formula giuridica che (eccetto per «codardia») sarebbe stato oltre tutto inutile ripetere visto che è già contenuta nel memorandum dell' 8 marzo3 . L'accenno alla nostra membership dell'O.N.U. è puro eyewash; il memorandum sulle basi, nonostante un'aggiunta finale e personale del ministro che avrei preferito evitare, mi sembra anche che possa essere bene accolto.

Questo è tutto, appena ci saranno altre novità, ti terrò informato.

3 Vedi D. 511.

ALLEGATO I

IL MINISTERO DEGLI ESTERI AL DIPARTIMENTO DI STATO

MEMORANDUM

CoNFIDENTIAL. March, 26'h, 1949.

The Italian Government have taken notice of the confidential message which the Department of State handed to the Italian Ambassador in Washington on the 8th of March.

In connection with the point of view set forth in said message concerning the advantages which might accrue to the security of the area as a whole if certa in countries did not become involved in war unless directly attacked, the Italian Government wish to draw the attention of the Government of the Unite d States to the situation which might arise at the Italian Eastem frontier if and when Yougoslavia, at least in a first stage, were ab le to keep out of war.

They are of opinion, therefore, that a policy presently directed to facilitate the non-intervention ofYougoslavia might be usefully pursued in accord with the other Governments participating to the North Atlantic Treaty.

ALLEGATO II

IL MINISTERO DEGLI ESTERI AL DIPARTIMENTO DI STATO

MEMORANDUM

CONFIDENTIAL. March, 26'h, 1949.

In connection with the provisions of Artide 3 of the North Atlanti c Pact, and in particular with the obligation for the participating Parti es of maintaining and developing their individuai and collective capacity of resisting on armed attack, the Italian Governement feel confident that the particular vulnerability of Italy due to her geographical position as well as to the limitation of armaments originating from the Peace Treaty, will be taken into due account.

As a consequence ofthis particular situation, the Italian Government trust therefore that an increase in the anti-aircraft defense of the national territory will be taken into consideration on a priority basis, and that the Italian Air Force will be enabled-through direct supplies ofmaterials as well as through the indirect assistance of the American Government to the national production -to complete, for defensive purposes, the building and equipping of their air bases, that as long as peaceful conditions can be maintained in Europe, should remain under Italian contro!.

ALLEGATO III

IL MINISTERO DEGLI ESTERI AL DIPARTIMENTO DI STATO

MEMORANDUM

CONFIDENTIAL. March, 26'h, 1949.

In connection with the provisions of artide 5 of the North Atlantic Treaty, and in particular with those concerning the obligation for the contracting Parties of reporting to the Security Council of the United Nations any armed attack against o ne of the Parti es, as w eli as with the obligation to terminate such action as might have been initiated when the Security Council has taken the measures necessary to restore and maintain intemational peace and security, the Italian Govemment feel confident that the Govemment ofthe United States will support in the way which deem the most appropriate the admission of Italy as a member ofthe United Nations.

At any rate, unti! this solution has been reached, the Italian Govemment feel confident that, should the above-mentioned situation arise, their cause would be represented and supported in the Security Council by the United States Govemment.

655 3 Per la risposta vedi D. 679.

656 2 Vedi D. 679.

657

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI

T. S.N.D. 2405/35. Roma, 29 marzo 1949, ore 17.

Tua lettera 26 marzo n. 11031•

Qualora si tornasse costì sull'argomento puoi dire che esplorazioni condotte in varie capitali hanno portato constatare che Assemblea O.N.U. può solo pronunciarsi su amministrazione fiduciaria o meno e che nostro progetto può solo essere discusso successivamente, ove tale amministrazione ci venisse conferita, in seno Consiglio per amministrazioni fiduciarie O.N.U. Pertanto tale progetto costituisce pur sempre meta che ci proponiamo raggiungere nel quadro amministrazione fiduciaria.

658

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. PERSONALE 2938/114. Londra, 29 marzo 1949, ore 13,15 (perv. ore 16). Tua lettera del 22 corrente 1 .

Jebb è esplicito nel confermare che mio passo di cui a mio telegramma 702 è interpretato dal Governo britannico nel senso che Italia, durante trattative per Patto atlantico e subito dopo, non si sarebbe prevalsa del Patto stesso come piattaforma per sollevare in quella sede questioni coloniali.

Notisi d'altronde che mia comunicazione a Bevin era già restrittiva rispetto alle istruzioni di cui al telegramma ministeriale l556/c. 3 che parlava di iniziative revisionistiche in generale.

657 1 Vedi D. 647. 658 1 Non rinvenuto. 2 Vedi D. 479.

659

IL CONSOLE GENERALE A WELLINGTON, DE REGE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2963/21. Wellington, 29 marzo 1949, ore 14,32 (perv. ore 11,35).

Suo telespresso 3/828/c. del 13 corrente1•

Ho presentato ed illustrato iersera a questo segretario generale nota relativa Eritrea e mi sono quindi espresso in merito questione generale secondo le istruzioni suo telegramma 102 . Il sig. Mac Intosh mi ha detto che questo Governo non ha ancora deciso propria condotta in proposito ma che ritiene rinvio ogni decisione Eritrea la migliore soluzione. Scorso ottobre primo ministro Fraser aveva accettato mal volentieri partizione Eritrea per non separarsi su questo punto da Inghilterra e America; egli aveva intenzione esigere per gli italiani che sarebbero rimasti sotto il dominio Etiopia le maggiori garanzie del cui scarso valore pratico si rendeva però conto.

Per quanto concerne Somalia nonostante che primo ministro fosse rimasto molto favorevolmente impressionato da alcuni Giovani Somali da lui incontrati a Parigi egli non ritiene che ci sarà mutamento opinione di questo Governo che aveva appoggiato trusteeship italiano. Per parte mia gli ho spiegato che i Giovani Somali, coi quali del resto avevamo avuto contatti soddisfacenti, non rappresentavano certo corrente preponderante nel paese né per numero né per prestigio: egli mi ha detto aver avuto, a differenza del suo superiore, uguale impressione.

Circa Cirenaica egli mi ha detto che era intenzione appoggiare richiesta dell'Inghilterra in seguito nota richiesta Eden; alle mie obiezioni che gli italiani si sentivano ottenere, in libera discussione con il senusso, compromesso soddisfacente per le tre parti interessate, egli mi ha accennato necessità basi strategiche dopo la perdita virtuale delle basi Egitto e Palestina. Anche su questo punto l'ho assicurato che l'Italia aveva intenzione venire incontro necessità britanniche nella misura più grande.

Per quanto riguarda Tripolitania egli mi ha confessato Governo Nuova Zelanda non aveva idee precise a parte gerenza araba non doveva essere costretta con la forza accettare eventuale ritorno Italia. L'ho assicurato che l'Italia e gli arabi si conoscono da molto tempo e che intesa con essi è sempre possibile. Egli ha aggiunto quindi che a

659 1 Vedi D. 484, nota l. 2 Vedi D. 640.

suo avviso soluzione migliore sarebbe trusteeship collettivo anglo-americano-italiano perché la presenza Inghilterra e America garantirebbe arabi circa loro libertà mentre Italia potrebbe avere ampie possibilità di espansione economica e di colonizzazione.

Nel confermarmi che linea di condotta Nuova Zelanda non sarà fissata che all'ultimo momento, egli mi ha praticamente esclusa possibilità astenersi dal voto quale non consona mentalità primo ministro e di questa opinione pubblica e mi ha detto infine che è probabile delegazione Nuova Zelanda finirà appoggiare proposte che saranno [avanzate] dal Governo inglese e dal Governo U.S.A.

Mi riprometto intrattenerlo ancora sulla questione non appena perverrà materiale preannunziato e riferirò.

658 3 Vedi D. 447.

660

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2976/7. Lisbona, 29 marzo 1949, ore 15,10 (perv. ore 17,15).

Dopo lunghe consultazioni con Madrid questo Governo ha deciso aderire Patto atlantico senza tuttavia averlo ancora ufficialmente annunziato. Questo ministro degli affari esteri partirà 31 marzo per Washington.

661

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 3001/312. Washington, 29 marzo 1949, ore 20,44 (perv. ore 6 del 30).

S.E. il ministro ha avuto cordiale colloquio, durato un'ora, con segretario di Stato, trattando ampiamente tutte questioni relative Patto atlantico, Unione Europea, Unione economica italo-francese e colonie.

Il ministro invierà da New York relazione diretta a presidente Consiglio 1• Mi limito pertanto a breve riassunto colloquio. Il ministro ha sollevato problema eventuale astensione, qualora esistano o sorgano determinate condizioni, da ricorso a misure di guerra previste dal Patto, questio

ne delle basi ed infine quella della rappresentanza da parte degli Stati Uniti degli interessi dell'Italia ove si determini necessità ricorso a Consiglio di sicurezza in applicazione clausole Patto e permanga attuale situazione assenza Italia da O.N.U.2 .

Sono state date ampie assicurazioni su tutte questioni trattate e per quello che concerne in particolare problemi pratici interpretazione ed attuazione trattato si continuerà a discutere sia tra questa ambasciata e Dipartimento di Stato, sia nel corso prossima riunione ministri degli esteri, sia infine, a parità di condizioni e con piena libertà, in seno agli organi che verranno istituiti per studiare applicazione Patto nei vari paesi.

Per quanto riguarda colonie, segretario di Stato si è mostrato sensibile ad argomenti espostigli dal ministro ed ha convenuto circa opportunità di discutere questione con inglesi e francesi al fine di raggiungere possibile compromesso prima apertura prossimi lavori Assemblea generale previsti 5 prossimo venturo.

Nonostante ciò il ministro ha riportato circa colonie impressione che situazione non (dico non) ci sia troppo favorevole e che non ci convenga nutrire eccessive speranze.

Acheson ha dimostrato vivissima soddisfazione per risultati ottenuti con diversi accordi italo-francesi considerati elementi fondamentali dimostrazione capacità cooperazione Europa occidentale nel quadro assistenza piano Marshall. Ha anche francamente convenuto che collaborazione italo-francese è elemento di grande importanza per eventuale ed auspicabile inclusione Germania in sistema democrazia europea.

Su tutti problemi si è deciso di ritornare non appena, con la presenza degli altri ministri degli esteri, sarà possibile cercare ed eventualmente raggiungere decisioni. Tanto Acheson quanto Hickerson e Dowling, presenti colloquio, hanno dimostrato viva simpatia per tutte questioni italiane.

661 1 Sforza non inviò una relazione ma un breve telegramma pubblicato al D. 671. Il resoconto americano del colloquio è pubblicato in Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 253-254.

662

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. URGENTE SEGRETO 660/034. Roma, 29 marzo 1949.

Con riferimento ai telespressi urgenti n. 2058/888 e 445/023 rispettivamente del 3 e dell'8 marzo 1 , si ha il pregio di comunicare che il consigliere economico di questa ambasciata americana, nel preannunziare a suo tempo l'invio della Nota verbale del 16 febbraio (già trasmessa in copia col telespresso del 28 febbraio) 2 , non ha mancato di precisare le effettive intenzioni del Governo americano, con osservazioni più o meno identiche a quelle formulate dalla Direzione finanziaria di codesto Dipartimento di Stato. Il predetto funzionario americano ha anche aggiunto, in tale occasione, che nessuna comunicazione in proposito sarebbe stata fatta alle autorità sovietiche.

2 Vedi D. 472, nota 2.

È evidente che la riserva americana di un eventuale ricorso ai quattro ambasciatori ci potrà essere utile nel caso non si raggiungesse un soddisfacente accordo sulla valutazione dei nostri beni da cedere.

Allo stato attuale delle cose ed a giudicare dali' interesse finora dimostrato dai sovietici nelle operazioni di stima in corso nelle tre capitali balcaniche, si ha l'impressione che Mosca desideri effettivamente arrivare ad un accordo su basi ragionevoli. È ancora presto però per poter prevedere se e su quali cifre tale accordo potrà essere raggiunto.

Le nostre valutazioni complessive che vengono ora presentate alle delegazioni sovietiche di Bucarest, Budapest e Sofia, sono di parecchio superiori a quelle (70 milioni di dollari) da noi indicate ai sovietici a Mosca nell'agosto scorso3 , in un promemoria che accompagnava una lista non completa né definitiva dei beni da cedere. Le attuali nostre valutazioni, basate sulle richieste documentate degli interessati, sono ritenute dai Ministeri tecnici superiori al valore effettivo dei beni in questione, valore che si aggirerebbe sulla cifra già indicata a Mosca che del resto corrispondeva all'incirca alla valutazione inglese (68 milioni di dollari) segnalataci nell'estate del 1948 da questa ambasciata britannica.

Codesta ambasciata potrà assicurare la competente Divisione del Dipartimento di Stato, circa la nostra precisa intenzione di trattare con i sovietici solo su una base di valutazioni reali ed effettive da dare alle proprietà da cedere.

Allo stesso tempo sarà opportuno chiedere a codeste Autorità qualche indicazione sulla cifra globale che, secondo gli esperti economici americani, potrebbe rappresentare una ragionevole base per un accordo con i sovietici. Una indicazione del genere è stata già chiesta nei giorni scorsi a un funzionario di questa ambasciata americana.

Sarà cura di questo Ministero di tenere informata cotesta ambasciata degli ulteriori sviluppi delle discussioni in corso a Bucarest, Budapest e Sofia per la valutazione dei nostri beni in quei tre paesi.

Con successiva comunicazione verranno fomiti gli elementi richiesti relativi alle trattative italo-greche e al problema delle riparazioni alla Jugoslavia.

661 2 Vedi D. 656, Allegati.

662 1 Vedi D. 472.

663

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 252/90 Nanchino, 29 marzo 1949 (perv. il 20 aprile).

Riferimento: Seguito mio n. 235/85 dell5 marzo 1949 1 .

In data 22 m.c., dopo otto giorni di laboriosi negoziati, è stata ufficialmente annunziata la formazione del Gabinetto Ho Ying-ching. I nomi dei nuovi ministri figurano nel foglio allegato e si unisce pure una biografia del nuovo premier2 .

Mentre il precedente Yuan esecutivo comprendeva quindici Ministeri e tre Commissioni, il nuovo consta di otto Dicasteri e tre Commissioni. La riduzione è stata ottenuta mediante opportune fusioni in un intento di economia e di maggiore efficienza. Quanto alla fisionomia politica della nuova compagine ministeriale, essa è caratterizzata, rispetto alla precedente, da una maggiore indipendenza verso la clique di estrema destra.

Il premier, generale Ho, ha tentato di assicurarsi una più larga base offrendo ad ambedue i partiti minori «Giovane Cina» e «Social-democratici» un posto di ministro senza portafoglio, ma l'offerta è stata declinata.

La nomina più interessante (vedi mio telegramma 46 del 25 marzo) 2 al?pare quella di Fu Ping-chang, attuale ambasciatore a Mosca, a ministro degli esteri. E tuttavia ancor oggi dubbia l'accettazione di detto portafoglio da parte del signor Fu, il quale è un diplomatico di carriera e legato da amicizia personale a vari esponenti del Kuomintang ed anche a Sung Fo.

L'offerta fatta a Fu ha comunque di per se stessa una valore indicativo. Essa ha voluto essere un gesto di buona volontà verso Mosca alla vigilia dell'inizio di negoziati di pace con i comunisti: e vuol servire a convincere i comunisti che il Governo è sinceramente pronto ad adottare una linea di neutralità in politica estera. L'offerta del portafoglio degli esteri a Fu è stata fatta dietro pressante suggerimento di Shao Litze, egli stesso ex ambasciatore a Mosca e che è il più autorevole fra i fautori della pace coi comunisti.

Il suggerimento è stato accolto anche perché nell'ambiente di Li Tsung-jen ci si rendeva conto che l'appoggio datogli dall'ambasciatore degli Stati Uniti nel suo contrasto con Sung Fo, cominciava a far troppo apertamente apparire Li come il protetto dagli americani; inoltre la formazione del Gabinetto Ho Ying-chin, per la personalità stessa del futuro premier, appariva come la formazione di un Gabinetto non per la pace ma per la guerra. L'offerta del portafoglio degli esteri a Fu, in deferenza al consiglio di Shao Li-tze, ha voluto correggere queste impressioni. Da notare che, mentre Wellington Koo a Washington lodava il Patto atlantico lamentando che esso non si estendesse all'Asia, Shao Li-tze, in un'intervista alla Reuter (23 corrente), annunciando che gli era stato offerto il posto di ambasciatore a Mosca in sostituzione di Fu, dichiarava che egli non avrebbe accettato a meno che il nuovo Governo non «spazzasse ogni traccia di politica anti-russa e di atmosfera anti-sovietica» e attaccava aspramente il Patto atlantico. Da Hong Kong Sung Fo faceva pure dichiarazioni per raccomandare una politica estera di neutralità; altri esponenti del Kuomintang raccomandavano «l'adozione di una linea di stretta neutralità e l'abbandono dell'ostilità verso la Russia».

Tali gesti e dichiarazioni non sembrano però impressionare né convincere i comunisti i quali -come han reagito contro il Patto atlantico con dichiarazioni che coincidono perfettamente con la reazione di Mosca-così sono stati particolarmente duri, in questi giorni, con Li Tsung-jen e il suo Governo che la loro radio non manca mai di qualificare bogus President e bogus government.

Finora il premier, generale Ho, non ha fatto alcuna dichiarazione di politica estera. Nella prima seduta del Gabinetto (24 marzo) egli ha fatto un discorso esprimendo fiducia circa le possibilità di raggiungere la pace interna e ha toccato i temi, oramai frusti, delle riforme militari, politiche, finanziarie, ecc. La genericità di queste sue prime dichiarazioni ben si attaglia alla figura politica di Ho il quale sembra, in questo momento, l'uomo di tutti e di nessuno.

Nella predetta seduta il Gabinetto ha stilato un telegramma ai comunisti per sollecitare la nomina della delegazione comunista che dovrebbe incontrare i negoziatori governativi e la fissazione del tempo e del luogo per l'incontro. La radio comunista, qualche ora prima, aveva lasciato intendere che i comunisti (verosimilmente per avere completato il loro dispositivo militare sulla riva nord dello Yangtze) erano pronti oramai all'inizio dei negoziati. 1127 un comunicato ufficiale comunista annunciava la nomina della delegazione comunista, e fissava Pechino come luogo dei negoziati, il l o aprile come data del loro inizio e confermava con il tono del vincitore che i negoziati si sarebbero svolti sulla base degli otto punti di Mao Tse-tung e invitava il Governo a inviare i propri delegati a Pechino alla data indicata.

In questi ambienti, sia cinesi sia stranieri, dopo qualche momento di euforia avutosi al momento della soluzione della controversia tra Li Tsung-jen e Sung Fo per la questione del trasferimento della capitale, si considerano con alquanto scetticismo le prospettive per il raggiungimento della fine della guerra civile. La radio ufficiale comunista ha più volte ribadito in questi giorni che sola base per i negoziati di pace rimangono gli otto punti di Mao Tse-tung. Ora, particolarmente due di tali punti sembrano offrire difficoltà insormontabili a meno che i comunisti non si lascino indurre ad accettare un'interpretazione molto elastica. Tali punti sono: la punizione dei cosiddetti «criminali di guerra» e la «riorganizzazione dell'esercito». Siccome anche Li Tsung-jen e Ho Ying-chin figurano nella lista dei «criminali di guerra» pubblicata dai comunisti, essi dovrebbero acconsentire a punire se stessi; inoltre la punizione di Chiang Kai-shek e degli altri leaders dei Kuomintang richiederebbe non solo il consenso, assai dubbio, di Li e Ho, ma la possibilità, che essi non hanno, di metter le mani su personaggi che sono ben lontani da Nanchino. Quanto alla «riorganizzazione dell'esercito» se essa dovesse voler dire (come volle dire per Fu Tso-yi a Pechino) incorporazione pura e semplice delle truppe nazionaliste nell'esercito comunista, non sembra verosimile che Li e Ho possano prestarvisi. '

Mentre ci si avvia alla fase dei negoziati ufficiali fra le due parti in tale atmosfera di scetticismo, viene annunciato che il governatore di Formosa, generale Chen Cheng, ha ricevuto, non si capisce bene da chi, pieni poteri per il governo dell'isola dove si concentrano lo spirito di resistenza del Kuomintang e parte notevole del tesoro governativo. Ciò mentre a Nanchino si è costretti a mandare reggimenti ad inseguire altri reggimenti che si avviano a passare dali' altra parte perché poco pagati. Per rialzare il morale e la disciplina delle forze governative si è deciso di dar le paghe ai soldati in dollari d'argento. Ma il fatto è che gran parte dei fondi governativi in argento e valuta estera sono stati, a suo tempo, dispersi e manovrati in modo che attualmente l'effettiva disponibilità di tali fondi non è nelle mani di Nanchino ma di uomini ligi a Chiang Kai-shek. Inoltre, mentre ormai è pacifico dopo la caduta di Sung Fo che i capi dei dicasteri siederanno a Nanchino, non v'è finora alcun accenno che gli uffici abbiano ricevuto ordini di rientrare da Canton a Nanchino, e da Canton si levano periodicamente voci che più o meno larvatamente parlano di lealismo a Chiang Kai-shek e dell'impossibilità di una pace raggiunta a prezzo di una «resa» ai comunisti.

Quanto all'aspetto militare della situazione occorre notare che continuano grandi ammassamenti di truppe comuniste sulla riva nord dello Yangtze. Attorno ad Anking, uno dei pochi centri che i governativi mantengono ancora sulla riva settentrionale, si sono avuti degli scontri che assomigliano più a dei combattimenti che a delle semplici scaramucce. Intanto, aerei nazionalisti (di provenienza americana) sono riusciti a colpire e incendiare l'incrociatore Chungking (dono britannico) recentemente (mio n. 231/81 del 14 marzo )2 passato ai comunisti.

Oramai sono giunte nella zona dello Yangtze, dalla Manciuria e dalla Cina del nord, anche le truppe di Lin Piao. Le truppe di Lin Piao sono bene in mano ai loro capi e non sembra avventato credere che la loro funzione sia duplice: e cioè, servire da massa d'urto scelta ove fosse decisa la traversata dello Yangtze, e in pari tempo assicurare l'osservanza delle direttive dei supremi organi comunisti da parte anche di gruppi, frazioni o unità militari che potrebbero lasciarsi andare a prendere iniziative politiche e militari che non quadrino coi disegni di tali supremi organi dirigenti.

662 3 Nel corso della missione dell'on. La Malfa a Mosca, ampiamente documentata nel volume I di questa serie undicesima ..

663 1 Vedi D. 557.

663 2 Non pubblicato.

664

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 550/3. Stoccolma, 29 marzo 19491•

Ho potuto parlare oggi a lungo con questo ministro degli affari esteri intrattenendolo particolarmente sulla questione delle nostre colonie. Pur dando corso alle diverse istruzioni comunicatemi fino ad oggi da V.E.2 per quanto concerne il punto di vista nella materia, ho ritenuto concentrare particolarmente la di lui attenzione sulla necessità che la Svezia modifichi possibilmente il proprio atteggiamento di astensione allorquando una decisione dovrà essere presa dall'Assemblea delle Nazioni Unite. Ho naturalmente fatto valere l'argomento che corrispondeva in fondo ad un interesse generale che una soluzione soddisfacente per tutti potesse essere adottata, e che verosimilmente questa soluzione sarebbe stata tale allorquando c'era motivo di ritenere che quella proposta avesse incontrato il consenso del Governo italiano come di quello britannico.

Undèn, che tra l'altro aveva avuto conoscenza del noto articolo del Times3 mi ha chiesto se, qualora una soluzione diciamo così concordata fosse approvata dall' Assemblea delle Nazioni Unite, il Governo italiano, che non è membro delle Nazioni Unite, avrebbe effettivamente ed ufficialmente confermato l'accettazione di tale soluzione. Gli ho risposto che, anche per motivi di carattere parlamentare e di opinione pubblica, non era verosimile che il Governo italiano accettasse come giusta una decisione che non restituisse integralmente all'Italia la totalità delle sue colonie ma che d'altra parte non si era

2 Vedi DD. 100, nota l e 484.

3 Vedi D. 611, Allegato.

mai sentito dire che fosse da essere considerato giusto un trattato di pace imposto dal vincitore; ma certo il Governo italiano avrebbe presentato ali' opinione pubblica una soluzione del genere come accettabile nell'interesse superiore di eliminare cause di attrito in una comunità internazionale della quale l'Italia era ormai parte attiva. Non sarebbero probabilmente mancate delle proteste sopratutto da parte di gruppi politici o di qualche organo della stampa ma è evidente che il Governo avrebbe raccomandato al Parlamento quanto aveva ritenuto egli stesso di dover rassegnarsi ad accettare attraverso negoziati ufficiosi.

Allora Undèn alla mia osservazione che il voto favorevole della Svezia era da considerarsi indispensabile per raggiungere il quorum dei 2/3 e veder così passata la relativa proposta, mi ha chiesto da quale gruppo di paesi potevamo prevedere delle difficoltà, giacché la Russia ed i suoi satelliti non erano sufficienti a raggiungere questa cifra.

Spiegando il suo concetto egli mi ha detto che la Svezia aveva degli interessi in Etiopia e che l'opinione pubblica svedese si era mostrata sempre molto sensibile su questo punto; che il rappresentante del Governo abissino aveva richiesto come noi l'appoggio della Svezia alla propria tesi che era verosimilmente opposta a quella italiana. Ho risposto al ministro degli affari esteri che qui le aspirazioni dell'Etiopia, che potevano essere accolte come ragionevoli, erano già state prese in considerazioni dallo stesso Governo italiano il quale ammetteva che le fosse concesso un qualche sbocco al mare. Ma, a mio avviso, nessun paese civile avrebbe potuto consentire che la colonia dell'Eritrea fosse consegnata in trusteeship ad un governo come quello abissino. Sulla qual cosa Undèn non ha replicato convenendo viceversa che nella peggiore delle ipotesi c'era modo di fare una discriminazione quando si fosse trattato di decidere separatamente per le quattro colonie.

Ho lasciato Undèn senza che egli mi avesse detto se intendeva o meno modificare le istruzioni della delegazione svedese ma mi è parso incline a riesaminare l'intera faccenda dalla frase che egli mi ha detto che l'atteggiamento di astensione non doveva essere considerato come assoluto ma piuttosto ispirato al fatto che questo Governo non aveva voluto immischiarsi in questioni di carattere territoriale.

Ho approfittato della mia visita per !asciargli abbondante materiale sulle nostre colonie che non dubito verrà esaminato con lo scrupolo che si suole mettere in questo paese nello studio di qualsiasi problema degno di considerazione.

Sarà quindi più che mai opportuno che il nostro osservatore presso le Nazioni Unite continui ad intrattenere con il signor Grafstroem e con i membri della delegazione svedese quei contatti che egli ha così utilmente iniziato tempo addietro.

664 1 Copia priva dell'indicazione della data d'arrivo.

665

IL CONSOLE GENERALE AD INNSBRUCK, BIONDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, E AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

TELESPR. 36/2425/111. Innsbruck, 29 marzo 1949 (perv. il )O aprile).

In ottemperanza alle superiori disposizioni questo Ufficio tiene tuttora in sospeso le domande di revoca dell'opzione per la Germania presentate dagli alto atesini dopo il 2 novembre 1948, in attesa di conoscere le decisioni circa il corso che s'intende dare a tali domande.

Poiché anche con l 'ultimo corriere nessuna disposizione al riguardo è pervenuta, q).lesto Ufficio ritiene opportuno informare senz'altro indugio codesto ministero e codesta legazione sugli sviluppi che, nel frattempo, la situazione ha avuto in questa zona.

Mentre dopo la pubblicazione della nota delibera del Consiglio dei ministri austriaco, la reazione da parte degli alto atesini non è mancata e numerose loro dichiarazioni hanno consentito di potere affermare che loro stessi avevano giudicato il provvedimento come una vera e propria imposizione, in queste settimane frattanto trascorse, senza che da parte italiana sia venuta una decisione sul trattamento riservato alle domande presentate dopo il 2 novembre 1948, l'atteggiamento di questi rioptanti appare sostanzialmente mutato.

Accurati e sistematici sondaggi che questo Ufficio ha effettuati e continua ad effettuare direttamente verso gl'interessati, hanno permesso di constatare come ormai sia assolutamente superato il momento psicologico che ci avrebbe consentito di manovrare sullo stato d'animo che il provvedimento austriaco aveva creato tra gli alto atesini.

Sembra assodato che l'Austria si sia rapidamente orientata e sottomano abbia lavorato questa massa di persone prospettando loro la situazione in questi termini: l'elemento russo si sarebbe sempre opposto acché l'Austria conceda la cittadinanza austriaca ad apolidi, e così pure nei riguardi dei cittadini di nazionalità germanica; tutti gli occupanti, e quindi, oltre ai russi, anche i francesi, gli inglesi ed americani, si opporrebbero ad una loro naturalizzazione austriaca.

Con tale premessa non è stato difficile all'Austria di convincere gli alto atesini a riacquistare prima la cittadinanza italiana, perché solo sotto questa loro nuova veste giuridica di cittadini cioè di un altro paese, sarà ad essa possibile di soddisfare, senza il rischio di complicazioni, le richieste di conferimento della cittadinanza austriaca a tutti coloro che hanno intenzione di non lasciare il territorio della Repubblica e di riacquistare la vecchia cittadinanza d'origine.

A maggiore giustificazione, e per rendere più plausibile questa teoria, l'Austria si richiama a tutti i provvedimenti di conferimento della cittadinanza austriaca presi nei riguardi delle donne che nel 1938 possedevano la cittadinanza austriaca e che successivamente hanno contratto matrimonio con alto atesini. Bisogna aggiungere, per precisione, che effettivamente molte di queste donne sono state reintegrate nella cittadinanza austriaca. L'argomento quindi non è confutabile.

Inoltre l'Austria ha insistito sul particolare che, pur riottenendo la cittadinanza italiana, gli alto atesini, in essa reintegrati, non verrebbero costretti a rientrare in Italia.

Contemporaneamente l'Austria ha continuato a corrispondere a tutti gli optanti le pensioni e non ha preso, fino ad ora, provvedimenti di licenziamenti nei riguardi degli impiegati statali o parastatali.

Il sottile lavorio cui gli alto atesini sono stati sottoposti in queste settimane non ha mancato di ottenere i suoi frutti.

Tanto che oggi la gran massa dei rioptanti dopo il 2 novembre 1948 non solo si è abituata all'idea del riacquisto della cittadinanza italiana ma in molti casi, scomparsa ormai la prima reazione provocata dal provvedimento austriaco, ci tiene a riavere la cittadinanza italiana che molti preferiscono rispetto a quella austriaca.

Capovoltasi così la situazione non si può più sperare di ottenere risultati favorevoli ai nostri interessi da un qualsiasi procedimento che intenda tener conto della libera volontà dei rioptanti.

Una simile procedura, per la sua intempestività, ci esporrebbe ad un fiasco.

Intanto è opportuno considerare che sono ormai trascorsi quasi due mesi dalla presentazione delle domande, considerando il termine del 5 febbraio u.s., e quasi cinque mesi se si considera la data del 2 novembre 1948.

Questo Ufficio pertanto si permette di richiamare l'attenzione sul disposto dell'art. 4 e dell'art. 7 del D.L. 2 febbraio 1948 n. 23, il primo riguardante «l'immediato inoltro a Bolzano delle domande ricevute», l'altro il termine di sei mesi sia pure con particolare riferimento al disposto dell'art. 5.

Devesi pure considerare che il perfezionamento delle domande, come previsto dalle disposizioni che hanno regolato l'andamento della revisione delle opzioni dal 5 febbraio al lo novembre 1948, raccolta della documentazione, certificati politici e penali, legalizzazione delle firme, indagini sul passato politico, ecc., non consentirebbe neppure «l'immediato» inoltro a Bolzano delle domande, moltissime delle quali, dall'esame preventivo effettuato, sono incomplete, ecc., e quindi occorrerà molto tempo a questo Ufficio prima di poteri e fare regolarizzare, cioè a dire prima che siano mature per l 'inoltro a Bolzano.

D'altro canto questo Ufficio non ha creduto di dovere procedere alla regolarizzazione di queste domande pervenute dopo il 2 novembre 1948, per evitare ripercussioni psicologiche, per non dare cioè l'impressione che le domande stesse erano state già prese in esame, quindi avviate verso il normale trattamento che hanno avute le altre presentate antecedentemente al 2 novembre 1948.

Questo Ufficio ha ritenuto suo dovere di riferire quanto precede anche perché gli vengano impartite quelle istruzioni che codesto Ministero e codesta legazione crederanno opportuno trasmettere in relazione alla nuova situazione creatasi.

666

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Washington, 29 marzo 1949 1•

Mi sono recato oggi da Bonnet per esaminare con lui la possibilità di conversazioni a quattro (Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Italia) sulla questione coloniale, e in particolare la opportunità che i ministri degli affari esteri d'Italia e di Francia s'incontrino al più presto col segretario di Stato per esporre e discutere il punto di vista franco-italiano su tale questione.

Nell'occasione l'ho messo al corrente del contenuto del mio colloquio del 25 corrente con l'assistente segretario di Stato Rusk2 .

2 Vedi D. 638.

Bonnet mi ha detto che quanto dettomi da Rusk corrispondeva più o meno alle informazioni in loro possesso: gli americani cominciano forse ad esaminare la possibilità di una qualche flessione nel loro atteggiamento contrario al trusteeship italiano in Tripolitania, ma non hanno ancora manifestato ufficialmente il loro pensiero al riguardo. Essi sono poi fermi sulle loro posizioni a noi sfavorevoli per la Cirenaica e per l 'Eritrea.

Bonnet ha fondato motivo di credere che gli americani non intendano, almeno per il momento, aderire a conversazioni a quattro preferendo attenersi all'attuale sistema delle trattative singole con l'Inghilterra, la Francia e l'Italia. Per quanto riguarda la possibilità di un incontro dei ministri degli esteri di Francia e dell'Italia col segretario di Stato, Bonnet teme che Acheson, in mancanza di una decisione degli uffici, sia restio ad impegnarsi in conversazioni.

Bonnet mi ha poi detto che la posizione francese, anche in seguito a rinnovate istruzioni da lui ricevute da Parigi, rimane inalterata ed a noi favorevole. Egli insisterà quindi nei punti di vista già manifestati ad Acheson e a Rusk, sottolineando come la Francia, nel quadro dei suoi speciali rapporti di amicizia con l'Italia, rafforzati ora dal Patto atlantico e dall'accordo per l'Unione doganale, sente l'obbligo di insistere perché il nostro paese abbia soddisfazione nelle sue legittime aspirazioni in Africa.

A proposito della questione sollevata da Rusk circa i limiti di tempo da porre ad un eventuale trusteeship italiano in Tripolitania, egli mi ha consigliato di non accettare alcuna limitazione in quanto le disposizioni dello Statuto dell'O.N.U. prevedono già sufficienti garanzie per la durata dell'amministrazione fiduciaria. Comunque, nel caso di un necessario compromesso, potremmo sempre aderire, in un secondo tempo, alla fissazione dei limiti rinnovabili di dieci in dieci anni.

Bonn et ha aggiunto che per l 'Eritrea effettivamente bisognerebbe insistere per il trusteeshjp multiplo (franco-anglo-italiano e eventualmente un rappresentante etiopico). È vero che le precedenti esperienze di amministrazione multipla non hanno avuto molto successo ma è anche vero che nel caso d eli 'Eritrea si tratta di un piccolo territorio con scarsa popolazione e in condizioni sociali (ferrovia, città di tipo europeo) che potrebbero offrire alle N.U. possibilità di riuscita).

666 1 Consegnato a mano al ministro presente a Washington.

667

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNT0 1 . Washington, 29 marzo 1949.

[Riferisco] sulla conversazione che ha avuto luogo il 21 marzo2 fra le seguenti personalità: il gen. Eisenhower; il gen. Bedell Smith, ambasciatore degli Stati Uniti a

2 Su questa conversazione Tarchiani non aveva riferito a Roma.

Mosca; sir Oliver Franks, ambasciatore britannico a Washington; Mr. Henri Bonnet, ambasciatore di Francia a Washington; l'ambasciatore Tarchiani; Mr. Hoffman, amministratore dell'E.C.A.

È stato discusso se la presente situazione internazionale lasci prevedere lo scoppio di un conflitto generale a breve scadenza. Argomenti pro e contro sono stati esposti da diverse personalità presenti. In particolare, il gen. Bedell Smith ha avanzato l'ipotesi che l'U.R.S.S. decida di affrontare la prova della guerra, prima che l'organizzazione difensiva dell'Europa occidentale abbia potuto consolidarsi. Il gen. Eisenhower ha sottolineato i motivi che indurrebbero l'U.R.S.S. a non lanciarsi in una terribile avventura. Fra l'altro, egli ha accennato al largo campo di attività che ora si apre innanzi all'U.R.S.S. in Estremo Oriente, senza rischi di guerra.

È stata prospettata altresì l'ipotesi che le differenze esistenti nella struttura economico-sociale di diversi paesi occidentali satelliti dell 'U.R.S.S. possa ostacolare la cooperazione fra tali paesi. In particolare, si è accennato alla Cecoslovacchia. Al riguardo, il gen. Bedell Smith ha osservato che Stalin ha più volte manifestato il proposito di adeguare il livello dei paesi satelliti a quello dell'U.R.S.S., onde realizzare un completa cooperazione su basi unitarie. Egli ha osservato altresì che i cechi hanno reagito molto blandamente, tanto alla dominazione tedesca quanto a quella sovietica e che Benes e Masaryk hanno nutrito un'ingenua fiducia nel «patriottismo» dei comunisti cechi.

Avendo l'ambasciatore Franks accennato alla possibilità che, dopo la morte di Stalin, si determini una disgregazione della organizzazione centrale bolscevica, il gen. Bedell Smith si è mostrato scettico in proposito.

L'ambasciatore Franks ha anche espresso dubbi sull'apporto che la Cina è in grado di dare all'U.R.S.S. Il gen. Bedell Smith ha però osservato che i cinesi possono certamente fornire un human power immenso.

Nella conversazione è stato trattato altresì il problema della Germania.

È stato ammesso concordemente che la Germania orientale sta cadendo in modo definitivo nell'orbita sovietica. Occorre pertanto inquadrare saldamente la Germania occidentale. Naturalmente, i tedeschi si faranno pagare molto cara questa cooperazione e non si sa fino a che punto ci si possa fidare di loro.

Eisenhower e Bedell Smith hanno affermato di aver sempre ritenuto impossibile mantenere Berlino come capitale del Reich.

Entrambi i generali hanno manifestato il parere che l'Italia e la Francia possano, qualora eliminino i pericoli interni, diventare importanti elementi di una linea di difesa Elba-Isonzo, o Elba-Piave. Eisenhower ha sottolineato l'importanza dell'opera svolta dall'E.C.A. al fine di consolidare l'Europa occidentale.

È stato anche accennato alla situazione di Tito, la quale è certamente considerata da Mosca come una situazione da eliminare al più presto.

L'ambasciatore Tarchiani, che ha a varie riprese partecipato alla discussione, sopratutto per domandare precisazioni, ha constatato infine che anche le personalità meglio informate si trovano oggi nella condizione di esprimere soltanto vaghe ipotesi sulle reali intenzioni del misteriosissimo potere esecutivo sovietico.

667 1 Consegnato a mano al ministro presente a Washington.

668

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 2449/84. Roma, 30 marzo 1949, ore 15,30.

Questo Ministero condivide considerazioni e conclusioni suo rapporto n. 754/382 del 23 corrente1 .

Per sua opportuna norma informasi che stato trattative di Roma può riassumersi come segue:

l) accordo per consegna navi italiane è pronto e sarebbe possibile parafarlo o firmarlo immediatamente;

2) accordo R.O.M.S.A. è pure pronto, salvo piccole questioni dettaglio;

3) accordo naviglio jugoslavo in acque italiane ha buone basi, ma trattative sono ferme mancando precisazione somma forfetaria richiesta da Governo jugoslavo ad integrazione nostre concessioni in massima concordate.

Tale somma si prevede esorbitante, tanto da dare impressione che si intende trascinare trattative. In ogni caso non è esatto che queste procedano lentamente per nostra colpa, essendo ferme per carenza da parte jugoslava. Da parte nostra si è data dimostrazione massima buona volontà in tutte le trattative ed anche venendo incontro in questi giorni sollecitazioni jugoslave per questione archivi e materiale ferroviario di cui a recenti telegrammi, nonché con noti affidamenti in materia commerciale. Atteggiamento jugoslavo ci lascia, invece, profondamente perplessi, dato che desiderio sbarazzare terreno reciproci rapporti da materie in trattazione dovrebbe essere reciproco.

669

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A WASHINGTON

T. S.N.D. 2457/187. Roma, 30 marzo 1949, ore 21.

Comprendo che non si possono introdurre mutamenti nelle formulazioni ma mi affido alla tua abilità, affinché non si abbia impressione di una nostra muta accessione globale1• Sono certo che troverai modo di dare ad adesione impronta nostra dignità e consapevolezza di questioni interpretative sollevate. Reazione pubblica si mantiene ottima ma bisogna premunirsi per altre battaglie e ogni particolare esecutivo corona la nostra vittoria. Eden in colloquio con me ieri caldeggiava per Tripolitania proposta Unione Europea. Ricevo in questo momento telegramma colloquio assai soddisfacente.

669 1 De Gasperi risponde al D. 661 menzionato nell'ultima frase del presente documento.

668 1 Non pubblicato.

670

L'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 3015/31. New Delhi, 30 marzo 1949, ore 18,30 (perv. ore 19,15).

Foreign Office secretary mi ha comunicato testè quanto segue 1:

l) in linea generale delegazione indiana avrà istruzioni sostenere amministrazione fiduciaria O.N.U. ed astenersi nei confronti altre soluzioni;

2) per Eritrea India non (dico non) appoggerà pretese Etiopia;

3) per Somalia India propende appoggiare punto di vista italiano;

4) per Cirenaica questo Governo non (dico non) è impegnato sostenere pretese britanniche; 5) per la Tripolitania qualora Gran Bretagna ottenga Cirenaica India potrebbe esaminare possibilità favorire nostro progetto; 6) avendo io avanzato ipotesi rinvio della questione salvo Somalia italiana il mio interlocutore, dimostrandosi personalmente favorevole, ha promesso ulteriori notizie.

Nel mentre richiamo mio telegramma per corriere 28 settembre u.s. 0192 e penultimo capoverso mio telespresso 22 corrente 1993 riservomi ulteriori notizie e riferirò più dettagliatamente per corriere4 .

671

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 3053/23. New York, 30 marzo 1949, ore 20,47 (perv. ore 8 del 31).

È difficile darti dettagli mia conversazione di ieri con Acheson1 perché molto dipeso dalla musica. Posso tuttavia assicurarti che la collaborazione italiana alla interpretazione del trattato è già un fatto compiuto e che si accentuerà ancora più.

Questa è la vera risposta alle menzogne dei comunisti e alle timidezze dei neutri. L'avvenire farà presto il resto.

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 489, nota l.

3 Non rinvenuto.

4 Vedi D. 697.

Acheson comprese l'interesse europeo e africano della nostra presenza in Africa il che valse per lui molto più di un reclamo coloniale impopolarissimo qui.

Ti prevengo che dissi a lui e ad altri che se una maggiore comprensione non si delinea io credevo dovere mio restare qualche giorno di più per parlare all'O.N.U. perché mi sarebbe parso indegno nascondere Governo dietro un ambasciatore.

670 1 Risponde al T. 1248/c. del 17 febbraio (vedi D. 100, nota 2), completando le informazioni già fomite con il D. 306.

671 1 Vedi D. 661.

672

COLLOQUIO DEL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, SOARDI, CON IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, SCHWARZENBERG

APPUNTO. Roma, 30 marzo 1949.

Il ministro d'Austria, principe Schwarzenberg, è venuto a vedermi stamane per leggermi la traduzione (o un estratto?) di una comunicazione che aveva ricevuta dal ministro Gruber in risposta al rapporto con cui gli aveva riferito la propria conversazione del 4 corrente con il ministro Sforza 1•

Il contenuto della suddetta comunicazione è il seguente: Gruber è soddisfatto dell'assicurazione data dal ministro Sforza che, ove il Governo italiano stimasse di dover prendere qualche severa decisione nei riguardi delle domande di revoca delle opzioni presentate successivamente alle note risoluzioni del Consiglio dei ministri austriaco nei confronti degli altoatesini residenti in Austria, il ministro Schwarzenberg ne sarebbe stato prima informato confidenzialmente.

Per quanto concerne le doglianze mosse dal ministro Sforza contro l'atteggiamento del Governo austriaco sulla questione delle riopzioni e sulle manovre degli «intriganti di Innsbruck permeati di falso patriottismo» che rivelerebbero tendenze ad aspirazioni nazionalistiche ormai superate dai concetti di solidarietà europea del tempo presente, Gruber risponde «di essere disposto, per parte sua, a controllare gli intriganti (sharfmaker) austriaci confidando che anche da parte nostra si provvederà a controllare i nostri».

Gruber ha comunque accolto con compiacimento la suddetta assicurazione del ministro Sforza in quanto essa ha contribuito a calmare le apprensioni esistenti negli ambienti interessati e gli ha dato a sperare che, da parte italiana, non si insisterà nel richiedere al Governo austriaco dichiarazioni impegnative circa il trattamento futuro degli altoatesini intenzionati a rimanere in Austria, dichiarazioni che il Governo stesso non è in grado di fare.

Sin qui il contenuto della comunicazione di Gruber a Schwarzenberg.

Quest'ultimo ha aggiunto peraltro risultargli che, durante un colloquio svoltosi con il sottosegretario per l'interno austriaco sig. Graf in occasione del suo recente soggiorno a Roma, il ministro Scelba ed il sottosegretario Brusasca avrebbero nuovamente insistito sulla necessità che il Governo austriaco faccia la dichiarazione di cui

sopra è cenno. Da una sua telefonata con il consigliere di Stato Innocenti, Schwarzenberg ha tratto l'impressione che il presidente De Gasperi è al corrente della richiesta fatta dal ministro Scelba e dal sottosegretario Brusasca a Graf e che la approva2 .

Il ministro d'Austria è convinto che Grafporterà la questione dinanzi al Consiglio dei ministri austriaco e, benché ritenga che l'avviso di Gruber contrario a qualsiasi dichiarazione del genere abbia a prevalere, non può escludere tuttavia che, in assenza dello stesso Gruber il quale si trova attualmente a Londra, il Consiglio dei ministri abbia a prendere in considerazione la richiesta degli on.li Scelba e Brusasca proponendo una dichiarazione austriaca non troppo impegnativa che possa essere poi fatta accettare anche a Gruber.

In vista di questa eventualità, Schwarzenberg suggerisce che il ministro Cosmelli, con il quale il Ministero degli affari esteri di Vienna potrebbe voler prendere contatto, riceva tempestivamente appropriate istruzioni3 .

672 1 Vedi D. 483.

673

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 507/178. Stoccolma, 30 marzo 1949 (perv. il 4 aprile).

Riferimento: Rapporto n. 471/166 dell9 corrente1•

Ho chiesto ad Undèn se egli pensava che la firma del Patto atlantico, come già la notizia della virtuale adesione dell'Italia e della Danimarca al Patto stesso, avrebbe potuto provocare reazioni dell'opinione pubblica e della stampa che indicassero un orientamento verso Occidente a contrasto con la linea politica seguita dal Governo svedese. Undèn ha risposto indirettamente alla mia domanda assicurandomi che nessuna modifica della linea di condotta da lui scelta sarebbe intervenuta.

Ho già detto all'E .V. che le ragioni della neutralità svedese dovevano ricercarsi nella tradizione ormai affermatasi in questo paese che da centotrentacinque anni è riuscito a mantenersi estraneo alla guerra; nella convinzione non soltanto del Governo ma di tutto il popolo svedese che bisognava ad ogni costo impedire un aggravamento della situazione della Finlandia; che i presenti armamenti della Svezia -attualmente i più rimarchevoli sul continente europeo -bastavano a difendere per un limitato periodo di tempo il territorio dello Stato da un'eventuale aggressione; che una adesione della Svezia al Patto atlantico avrebbe aggravato la sua posizione internazionale in quanto avrebbe provocato una tensione dei rapporti con la Russia senza fornirle per lo meno al momento attuale quegli aiuti e quelle garanzie che potessero rafforzare i suoi mezzi di

3 Vedi D. 756.

difesa. A quest'argomento Undèn ne ha aggiunto un altro. Egli ha espresso cioè l'opinione che la neutralità rispondesse alla necessità di adottare tutte quelle previsioni che si riferiscono ad un periodo di pace: e un'alleanza di carattere militare non poteva evidentemente mirare che alla previsione della guerra. Ora egli è invece dell'avviso che non convenga ad un piccolo paese legarsi ad una grande potenza in previsione della guerra in quanto l'esperienza insegna come le guerre possano completamente capovolgere delle situazioni alle quali le grandi potenze possono facilmente adattare la loro politica mentre non resta al piccolo paese che seguime la scia venendo così a trovarsi in situazione paradossale. Né è d'altra parte da attendere che le grandi potenze siano disposte a sacrificare i propri interessi per venire incontro alle esigenze del piccolo.

Questo ministro degli affari esteri ha poi soggiunto che nella sua concezione la Svezia doveva rimanere neutrale perché una fascia di paesi neutrali avrebbe potuto utilmente stabilirsi fra i due partiti contendenti. Secondo lui proprio a questa fascia neutrale dovevano aver pensato gli Alleati allorquando avevano concepito una Germania unitaria ma disarmata. Se no quale altro contributo avrebbe potuto dare la Germania in queste condizioni al mantenimento della pace in Europa? Egli non ha nominato l'Italia per quanto ne fosse chiara l'allusione avendogli io spiegato che il motivo dell'adesione dell'Italia al Patto atlantico doveva anche ricercarsi nel fatto che un paese disarmato quale era non poteva rimanere esposto ad una qualsivoglia aggressione senza premunirsi in qualche modo. A questa mia affermazione Undèn mi ha chiesto se il riarmo dell'Italia da parte degli alleati occidentali fosse già o meno una questione stabilita.

672 2 Vedi DD. 703 e 709.

673 1 Vedi D. 592.

674

IL MINISTRO A DUBLINO, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3075/6. Dublino, 31 marzo 1949, ore 14,30 (perv. ore 18,45).

Sono stato informato da questo ministro degli affari esteri che l 'Irlanda con ogni probabilità presenterà la propria candidatura alle prossime elezioni del Comitato esecutivo dell'O.E.C.E. In aggiunta al passo costà compiuto dal ministro Mac White il sig. MacBride mi ha pregato di far sapere a V.E. che il Governo dell'Irlanda sarebbe molto grato se in tale eventualità potesse essere assicurato l'appoggio italiano.

Nel pregare l'E.V. di farmi cortesemente conoscere al riguardo il nostro pensiero ritengo di dover ricordare che il Governo dell'Irlanda in questi ultimi anni ha appoggiato costantemente la tesi italiana in tutte le conferenze internazionali nelle quali era rappresentato, da ultimo non escluso il suo noto intervento spontaneo sul problema delle colonie 1 .

674 1 Con T. 2636/5 del 5 aprile d' Ajeta rispose: «Date circostanze attuali non sembra che candidatura Irlanda Comitato esecutivo O.E.C.E. abbia probabilità di successo. Si delinea invece probabilità sua elezione vice presidenza Consiglio alla quale daremo nostra cordiale approvazione».

675

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 3094/26. Beirut, 31 marzo 1949, ore 20,30 (perv. ore 7,30 dello aprile). Mio telegramma 22 1 .

Frangié mi ha detto che ha inviato al ministro Malik capo della delegazione Libano O.N.U. seguenti istruzioni:

l) è interesse arabi a collaborare regolamento questione colonie italiane; 2) richiesta rinvio per Eritrea e progetto italiano per Tripolitania appare ragionevole e presenta buon inizio per accordi; 3) è necessario fare ogni possibile pressione sull'Egitto per evitare suo eccessivo atteggiamento antitaliano.

Frangié ha aggiunto dovermi però dire con franchezza che, se Egitto richiede formalmente allineamento Libano col suo atteggiamento, Governo di Beirut potrebbe difficilmente rifiutarsi.

Ho risposto che ci rendiamo conto difficile situazione Libano. Ho tuttavia aggiunto che in questo momento in cui ogni Stato arabo tende marciare da solo confidiamo Libano riesca a sganciarsi votando nostro favore o almeno astenendosi.

Frangié ha risposto scriverà personalmente a Malik dandogli consigli in tal senso. Raccomanderei prendere tempestivi contatti Lake Success con Malik nonché con secondo delegato Lhoury, ministro Libano Londra.

676

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 451/160. Assunzione, 31 marzo 1949 (perv. il 15 aprile).

Sebbene questo Governo non sia stato ancora da noi riconosciuto, ho avuto stamane una lunga conversazione con il sottosegretario agli esteri signor Mareno Gonzàlez sulla questione della prossima riunione dell'Assemblea della O.N.U. a Lake Succes e del futuro delle nostre ex colonie.

Come ebbi l'onore di informare!, sull'argomento già avevo a diverse riprese intrattenuto il ministro degli esteri dottor Federico Chavez che aveva dato incarico al suo sottosegretario di telegrafare istruzioni al delegato del Paraguay alla prossima sezione della O.N.U. di appoggiare in ogni modo le rivendicazioni italiane.

676 1 T. s.n.d. 2878116 del 25 marzo, non pubblicato.

Il signor Moreno Gonzàlez mi ha detto che tali istruzioni erano già state inviate come riferito con mio telegramma n. 16, ma che egli voleva essere messo minutamente al corrente delle diverse fasi della questione per poter esserci maggiormente utile. Mi sono con lui minutamente intrattenuto sull'importanza vitale che aveva, non solo per noi, ma nell'interesse stesso dei territori delle nostre ex colonie e della pace mondiale, la soluzione della questione nel senso da noi desiderato ed ho appoggiato le mie parole lasciando un riassunto con allegata un'ampia raccolta di documenti.

Il signor Moreno Gonzàlez ha studiato il carteggio ieri sera e questa mattina alle sette ci siamo di nuovo veduti. Egli ha voluto ringraziarmi per le informazioni dategli e mi ha assicurato che oggi stesso avrebbe nuovamente telegrafato al signor Romeo Acosta, delegato paraguayano alla prossima Assemblea di Lake Success, per appoggiare in tutti i modi la tesi italiana.

È interessante notare che durante la conversazione il Moreno Gonzàlez ha dimostrato un particolare interesse a conoscere quale era l'atteggiamento dell' Argentina e del Brasile, ma non ha menzionato gli Stati Uniti.

Intanto la stampa locale pubblica da giorni e continuerà a pubblicare le notizie trasmesse da codesto Ministero, presentandole al pubblico come provenienti da uno speciale corrispondente, così il locale quotidiano El Paìs nel suo numero del 29 corrente ha pubblicato la notizia di cui al telespresso circolare di codesto Ministero n. 3/1024/c. del23 marzo2 .

675 1 Vedi D. 622.

677

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3108/61. Mosca, 1° aprile 1949, ore 14,50 (perv. ore 16,30).

Il memorandum sovietico 31 marzo circa Patto atlantico 1 è pubblicato per esteso da questi quotidiani. Esso non contiene alcun nuovo argomento rispetto comunicato 29 gennaio Ministero esteri né rispetto a successiva polemica stampa. Date le sue conclusioni esso potrebbe concretamente preludere ad una azione nei riguardi dell'O.N.U. nonché nei riguardi dei trattati con Gran Bretagna e Francia. Circa O.N.U., come già comunicato con telegramma 492 , sarebbe ora da prevedere la proposta di una risoluzione da parte di Gromyko contro gli accordi cosiddetti regionali. Ritengo sia difficilmente prevedibile un atto più grave quale sarebbe quello dell'uscita dell'U.R.S.S. dall'O.N.U. Invece non è da escludere una denunzia dei trattati suddetti malgrado le sfavorevoli ripercussioni che essa potrebbe avere presso questa opinione pubblica assai sensibile ad ogni indizio precursore di conflitto. In tal senso sono pure le prime impressioni raccolte in questi ambienti diplomatici.

2 Del 19 marzo, non pubblicato.

676 2 Non rinvenuto.

677 1 Vedi D. 692, Allegato.

678

IL MINISTRO A CIUDAD TRUJILLO, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 3129/5. Ciudad Trujillo, fO aprile 1949, ore 15,43 (perv. ore 7,30 del 2). Mio telegramma n. 41•

Questo ministro degli affari esteri che ho oggi nuovamente e lungamente intrattenuto circa questione colonie mi ha confermato che delegazione dominicana O.N.U. ha ricevuto istruzioni appoggiare nelle maniera più conveniente interessi italiani in decisioni circa assegnazione colonie italiane pre-fasciste. Ha aggiunto nota da me trasmessa con telespresso in data 30 marzo scorso n. 152/1302 ha tenore più attenuante delle istruzioni predette. Mi ha detto inoltre che istruzioni date signor Ureno non sono rigide ma devono servire per suo orientamento diretto in ogni caso appoggiare nostro punto di vista sia pure adattandosi ad eventuali compromessi che potrà ottenere nostra accettazione. Ha concluso aver impartito istruzioni predetto delegato affinché si mantenga in continuo contatto con Mascia specialmente nel periodo in cui questione verrà dibattuta in Assemblea generale.

Da parte mia suggerirei Mascia incontrarsi possibilmente anche con Enrico Marchena ministro consigliere in detta delegazione che dovrebbe essere maggiormente al corrente dettagli circa questione colonie per essere stato anche delegato supplente per ultime riunioni O.N.U. Parigi. Telegrafato Roma e Mascia presso consolato generale New York.

679

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 349/1104. Parigi, l o aprile 1949.

Ti accludo copia del processo verbale della conversazione fra Sforza e Schuman. Finita questa conversazione i due hanno avuto un breve colloquio téte à téte, in cui, secondo quello che mi ha detto Sforza, Schuman gli ha ripetuto le assicurazioni dateci in tema di colonie: gli ha detto che la Francia farà tutto il suo possibile per aiutarci, ma che dobbiamo renderei conto della difficile posizione francese di fronte ad inglesi ed americani e di comprendere quindi le limitazioni delle possibilità francesi. Sforza lo ha assicurato di comprendere.

Conoscendo Schuman non credo che questo debba essere interpretato come una messa delle mani avanti per l'eventualità di un lachage. Credo piuttosto si tratti di ammissioni oneste di uno stato di fatto.

Come vedi è stata trattata anche la questione di cui alla tua lettera n. 05885/76 del 28 marzo1• Per me la domanda fatta da Schuman, se siamo sicuri che gli storici sarebbero meno scocciatori degli archivisti, è abbastanza pertinente.

Schuman ha affermato di nuovo il suo punto di vista (che è quello del presidente) nella distribuzione delle carte; è perfettamente cosciente della politicità per noi della questione: assicura di aver date istruzioni alla sua delegazione: non vedo cosa si potrebbe domandare di più.

Come tutte le questioni itala-francesi derivanti da trattato di pace, non c'è altra soluzione che quella di spaccare il male in mezzo, il mezzo essendo sempre più dalla parte dei francesi. Ho la coscienza di aver fatto per questo tutto il possibile: non credo sia buona politica di insistere per rimandare la discussione: resta sempre aperta la possibilità di arrivare a un nulla di fatto e riportare la questione alle superiori autorità per deciderla nel campo politico: ma più si ritarda e più, temo, la questione si invelenisce.

Quanto alla questione dell'Istituto internazionale, allo stato attuale, non credo sia opportuno presentarla almeno per ora: sarebbe certo interpretata come un nostro tentativo di sgattaiolare fuori: meglio tenerla in riservo ed avanzarla se le conversazioni si mettono su di una strada possibile.

ALLEGATO

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, SCHUMAN

VERBALE2 . Quai d'Orsay, 27 marzo 1949, ore 15-16,30.

UNIONE DOGANALE. Schuman dice di ritenersi sicuro dell'approvazione parlamentare, ma che non mancheranno le opposizioni: a parte opposizione comunista già scontata, si avrà opposizione altri settori come è risultato dall'atteggiamento di certa stampa. Sul piano politico abbiamo la presa di posizione di P.E. Flandin; sul piano economico è già individuata la resistenza dei tessili con a capo Bussac e degli automobilisti; ancora meno articolata ma esistente è l'opposizione di certi settori della agricoltura.

REITIFICA DI FRONTIERA. Schuman si dichiara soddisfatto dello svolgimento dell'azione che sta conducendo personalmente: cita fra l'altro, i militari i quali, prima assai contrari, sono ora d'accordo.

ALTRE QUESTIONI ITALO-FRANCESI: Archivi della Savoia. Schuman ripete di essere personalmente d'accordo per la formula: alla Francia tutto quello concerne la parte amministrativa, all'Italia quello che è materiale storico con speciale riguardo a quanto concerne la dinastia dei

2 Erano presenti al colloquio Parodi, Fouques-Duparc, Quaroni e Guidotti.

Savoia: copie fotografiche dei documenti importanti contestati. Insiste però sulla necessità di risolvere la questione la quale, per ragioni demagogiche in parte, viene largamente sfruttata contro la politica italiana del Governo francese in Savoia: dice ad esempio che non gli sarà possibile presentare al Parlamento un nuovo progetto di rettifica di frontiera se non sarà prima risolta la questione degli archivi. Guidotti osserva che attualmente siamo noi in difetto in quanto la Commissione francese è stata composta e attende per iniziare i suoi lavori la nomina della Commissione italiana.

Quaroni rileva che il presidente Einaudi trova che la Commissione francese è composta soltanto di archivisti, che sono i più intransigenti: se ci fosse qualche storico esso comprenderebbe forse più facilmente il punto di vista italiano.

Schuman risponde che non sa se potrà essere possibile rivedere la Commissione francese il decreto essendo già stato fatto. Ha messo apposta gli archivisti, più esigenti, perché ritiene sia buona tattica mettere in prima linea gli oppositori: non sa se realmente gli storici sarebbero più accomodanti. Assicura comunque che la Commissione non sarà libera ma avrà delle istruzioni da parte del Governo francese e che queste istruzioni saranno nel senso già detto.

Sforza assicura che appena di ritorno a Roma provvederà alla nomina della Commissione italiana. Bisognerà cominciare col sostituire Einaudi alla presidenza della Commissione storica piemontese e conta nominarvi Bertone che è attualmente libero da lavori per l'Unione doganale.

Recupero beni italiani in Germania e francesi in Italia. Fouques-Duparc accenna alla questione ed alla nota che gli è stata rimessa a Roma: dice che da parte francese è necessario sollecitare una decisione in proposito da parte degli altri Stati rappresentati alla Commissione delle riparazioni e specialmente degli americani: che un sollecito è stato inviato il giorno stesso da parte del Quai d'Orsay.

Quaroni osserva che per tutto quello che concerne la questione della ricerca e restituzione di beni, del ripristino dei danneggiati è nato uno stato d'animo di esazione giuridica il quale non corrisponde allo stato dei rapporti esistenti fra i due paesi: è delicato stabilire a chi risalga la responsabilità di questo stato d'animo ma esso esiste e occorrerebbe che gli organi incaricati delle due parti di trattare queste questioni ricevessero delle istruzioni di espletare la loro missione in un'atmosfera più conciliante.

Schuman chiede se abbia in mente qualche caso specifico: Quaroni cita la questione dei vagoni ferroviari. Aggiunge che si tratta di questioni di carattere tecnico che sono fuori posto in una discussione fra ministri degli esteri: era del resto sua intenzione di venire a parlargliene. Per il momento basterebbe che i due ministri si dichiarassero d'accordo nel dare agli organi competenti delle istruzioni in senso conciliante. A che Schuman e Sforza si dichiarano d'accordo.

Accordo culturale. Fouques-Duparc riferisce che si è d'accordo sulle linee generali e che si tratta solo di mettere a punto alcune questioni delimitate.

Quaroni osserva che sarebbe bene far presto perché lo sviluppo delle relazioni culturali è giunto a tal punto che la mancanza di un quadro giuridico entro cui si possa svolgere ne ostacola il funzionamento. Nel quadro delle relazioni italo-francesi vi è un anello importante che manca.

Schuman rileva che però è solo da poco tempo che le trattative sono iniziate. Quaroni osserva che questo è esatto e non esatto allo stesso tempo: le trattative effettive sono iniziate da poco: ma sono più di due anni che se ne parla senza decidersi a iniziarle.

l due ministri si dichiarano d'accordo nell'impartire agli uffici competenti delle istruzioni di sollecitare la conclusione dell'accordo culturale.

Italiani condannati in Francia. Sforza attira l'attenzione di Schuman sulla presenza di numerosi italiani che hanno subito gravi condanne al momento della liberazione e fra i quali ce ne sono anche alcuni di condannati ingiustamente.

Schuman osserva che questo si è verificato sopratutto nel sud della Francia dove per varie ragioni l'eccitazione degli animi era maggiore o dove qualche ingiustizia è anche stata commessa. Dice che un provvedimento generale di amnistia sarebbe difficile, a parte ogni altra considerazione, per ragioni di politica interna francese. D'altra parte la Costituzione ha modificato il diritto di grazia il quale non viene più fatto su proposta del ministro della giustizia, ma su proposta del Consiglio superiore della magistratura che è presieduto dal ministro della giustizia e tiene conto delle sue raccomandazioni ma comunque ne limita il potere di decisione. Intanto molto si è fatto per la via della commutazione della pena che ha permesso di mettere in libertà alcune categorie.

Quaroni sostiene che è esatto: attualmente il numero dei condannati non dovrebbe superare i duecento: si è poi d'accordo con il ministro della giustizia per continuare gradatamente per questa via. Però ci sono alcuni settori, per esempio le condanne passate in Africa del Nord, che non sono stati toccati.

Schuman chiede che gli siano sottomessi dei casi singoli per i quali cercherà di fare del suo meglio.

Personalità espulse dalla Francia. Sforza attira l'attenzione di Schuman sul fatto che alcune personalità italiane, le quali oggi seguono con entusiasmo la sua linea politica, non possono entrare in Francia per articoli scritti sotto il fascismo.

Quaroni osserva di aver fatto presente varie volte, senza risultato, presso il Quai d'Orsay questo stato di cose: teme che se si continua a mantenere l'espulsione per cose scritte nel passato noi si finirà per essere obbligati a prendere misure analoghe nei riguardi di giornalisti francesi che, pure in passato, non ci sono stati particolarmente favorevoli.

Schuman rileva che è difficile per i francesi decidere in merito: la cosa sarà invece molto più facile se, da parte del conte Sforza, ci si renda garanti del loro atteggiamento presente. Quaroni farà presenti i casi singoli a Parodi.

PATTO ATLANTICO. Il conte Sforza ripete a Schuman la riconoscenza sua e del Governo italiano per l'azione svolta dal Governo francese in favore dell'Italia. Ritiene possa essere utile chiarire fin d'ora alcuni punti essenziali della linea di condotta che il Governo italiano intende seguire in seno al Patto atlantico ed in cui crede di ravvisare un interesse comune dei due Governi.

l) Il Governo italiano ha aderito al Patto atlantico come patto difensivo. Non ha nemmeno ragione di ritenere che il Governo americano abbia lui stesso una concezione del Patto che sia altra che difensiva ma comunque intende vegliare in questa direzione.

Schuman condivide il pensiero di Sforza per quello che riguarda le intenzioni del Governo americano: conferma che è anche ferma intenzione del Governo francese mantenere al Patto atlantico il suo carattere difensivo: la politica francese concorda quindi perfettamente con la politica italiana.

A richiesta di Sforza, Schuman dice che non esiste in Francia una corrente di pensiero neutralista come in Italia, però l'opinione pubblica francese non è unanime nel vedere nel Patto atlantico uno strumento difensivo.

Sforza dice che sarebbe opportuno che i due Governi si scambiassero con tutta franchezza qualsiasi informazione, qualsiasi sospetto di deviazione del Patto atlantico dalla sua linea difensiva, per concretare, se del caso, una azione comune. Schuman si dichiara d'accordo.

2) Sforza spiega la necessità in cui si trova il Governo italiano di assicurare categoricamente il paese che non sono richieste basi di nessun genere come contropartita al Patto atlantico: ha avuto già ampie assicurazioni in proposito dall'America ma conta ribadire l'argomento.

Schuman dice che la posizione della Francia è analoga. Aggiunge che in realtà la richiesta non è mai stata fatta da parte americana. Per quanto gli americani si mostrino molto elastici è da tener conto delle ragioni dei singoli paesi che sono infatti differenti. In Inghilterra esistono delle basi americane e l'opinione pubblica inglese le sopporta, in Francia la fierezza nazionale non le ammetterebbe, e non ce ne sono né in Francia, né nel territorio dell'Unione francese. La Francia è disposta a costruire delle basi che in caso di guerra potrebbero essere a disposizione degli americani, a consultarsi con loro per la loro dislocazione ed il loro equipaggiamento, ma debbono essere delle basi francesi.

Sforza dice che questo è esattamente il punto di vista italiano.

3) Sforza osserva che l'Italia, assumendo con piena coscienza la responsabilità e gli obblighi del Patto atlantico, intende precisare bene questi impegni e non prestarsi a loro interpretazioni estensive.

Quaroni osserva che questo è quello che anche il Governo francese sta facendo: cita ad esempio l'interpretazione dell'art. 6 relativo agli attacchi contro aerei o navi entro le zone previste. Schuman conferma che la Francia ha tenuto a precisare che deve trattarsi di un attacco e non di un incidente.

4) Sforza rileva che nell'insistere per l'inclusione dell'Italia nel Patto atlantico la Francia ha tenuto anche a evitare che il centro del Patto atlantico si spostasse verso il Nord, il che avrebbe potuto essere pericoloso per gli interessi della Francia. Questa tendenza settentrionale permane ed è interesse, gli sembra, comune della Francia e dell'Italia di svolgere una azione concordata per mantenere, in seno al Patto atlantico, un giusto equilibrio Nord-Sud.

Schuman conferma che questo è non solo interesse della Francia ma una necessità per il Governo francese, di fronte alla sua opinione pubblica, che, sotto l'impressione di avvenimenti anche recenti, è preoccupata per la possibilità che prevalgano concetti non del tutto conformi a quelli francesi per la difesa del suo territorio.

Quaroni osserva che, a questo scopo, hanno molto interesse i contatti fra i due Stati Maggiori: gli scambi di idee che hanno avuto luogo in questi ultimi tempi hanno portato alla constatazione della identità di vedute: ed è per questo che essi sono stati potuti condurre a termine in breve tempo. Ora si dovrebbe entrare in una fase esecutiva e di dettaglio mediante contatti fra i due capi del Servizio operazioni. Fin qui i contatti sono stati diretti e segreti in vista della conclusione del Patto atlantico, sarebbe opportuno decidere se questi contatti debbano continuare in forma diretta itala-francese o come parte del sistema atlantico.

Schuman dice che gli sembra opportuno continuarli sul piano diretto itala-francese, salvo a versarli più tardi, quando sarà costituito e funzionerà, nell'organismo generale del Patto atlantico. Sforza concorda.

Sforza riassume questa parte della conversazione rilevando che è lieto di constatare che esiste accordo su tutti i punti di maggiore interesse italiano: occorre quindi continuare i contatti in questo campo fra i due Ministeri degli esteri. Schuman concorda.

JuGOSLAVIA. Sforza dice che la posizione jugoslava è di grande interesse per l'Italia. Per la nostra difesa farebbe una grande differenza l'avere una Jugoslavia neutra se non amica, o l'averla alleata attiva della Russia. Ha intenzione di attirare l'attenzione del Governo america

no sulla necessità di far tutto quello che è possibile per influenzare l'atteggiamento jugoslavo in senso favorevole alla nostra sicurezza. Schuman dichiara di comprendere il nostro punto di vista e che l'interesse francese è identico.

GRECIA. Guidotti dice che, in materia di impegni collegati col Patto atlantico, da parte italiana si desidererebbe vedere un po' più chiaro quali sono gli impegni che si annuncerebbero nei riguardi della Grecia, sia sotto forma di patto mediterraneo sia sotto forma di garanzia delle potenze del Patto atlantico. Conosce, per esperienza personale, quanto sia critica la situazione greca e come sia sempre da temere un collasso. Per quanto importante sia la posizione greca sarebbe grave ammettere in principio come casus belli, un collasso, possibile, dell'attuale regime greco. L'attuale impegno americano verso la Grecia è giuridicamente meno impegnativo di quanto non lo sia l'assicurazione Truman all'Italia, data prima delle nostre elezioni: sarebbe imprudente andare più lontano.

Schuman dice che il patto mediterraneo non è attualmente in questione.

Parodi aggiunge che da recenti comunicazioni risulta che l'idea di una garanzia del Patto atlantico a Grecia e Turchia va rapidamente sfumando. In caso si tratterebbe soltanto di garanzia già esistente, ossia quelle inglese ed americana. Da parte inglese si ritiene che con la recente dichiarazione di Bevin ai Comuni è stato fatto il necessario.

CoLONIE. Schuman riassume la posizione inglese ed americana nei riguardi della Tripolitania e dell'Eritrea quale ci è stata più volte spiegata al Quai d'Orsay. Per quanto concerne le prossime conversazioni in America Schuman conferma che da parte francese si insisterà per la [Tripolitania] su trusteeship all'Italia aggiungendo se necessario un'assicurazione relativa alla futura indipendenza ad una data non precisata anche se supposta vicina. Ritiene che se da parte italiana si prende e si mantiene la stessa posizione si abbiano delle buone speranze di spuntarla. Insiste cortesemente sulla necessità da parte italiana di mantenerci fermi su questa posizione senza avanzare proposte di altro genere che potrebbero solo generare confusione.

Sforza assicura che si manterrà su questa posizione.

Circa l'Eritrea viene esaminata la possibilità di insistere per un rinvio. Data la possibile difficoltà di ottenere soltanto un rinvio, viene discussa la possibilità di un rinvio per cercare di ottenere una riunione per una discussione diretta fra Italia ed Etiopia su invito e coll'assistenza dell'O.N.U. Da parte francese Schuman conferma il suo appoggio nella misura del possibile e si conviene sulla difficoltà di concretare un piano comune d'azione prima di sapere come si metteranno le cose. Da parte francese non si nasconde che la posizione italiana nei riguardi dell'Eritrea appare assai difficile.

Quaroni osserva che, nel caso fosse risolta a nostro favore la questione Tripoli, si presenterà la questione dei confini fra Tripolitania e Fezzan: sarebbe opportuno decidere se si preferisca trattarla direttamente fra Italia e Francia o fra tutti gli interessati.

Schuman risponde che ritiene preferibile trattarla direttamente fra Italia e Francia (Sforza concorda): aggiunge che nel caso, per ora aleatorio, si dovessero identificare nel Fezzan delle risorse di una certa importanza, questo offrirebbe un caso concreto di collaborazione franco-italiana anche nel quadro dell'Unione doganale. Osserva che del resto la questione è anche connessa con la delimitazione della frontiera Tripolitania-Cirenaica.

Sforza chiede se possiamo contare sull'appoggio francese in favore della nostra tesi in materia di questa delimitazione di frontiera. Schuman risponde affermativamente.

678 1 Vedi D. 576, nota 3. 2 Si riferisce alla Nota 9797 del 30 marzo, con la quale il ministro degli esteri dominicano assicurava l'appoggio del suo Governo alla tesi italiana in materia coloniale.

679 1 Vedi D. 655.

680

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 350/1105. Parigi, l o aprile 1949.

Con lettera a parte ti invio una nuova proposta transazionale per l'affare di Rue Sédillot 1 .

Qui rispondo alla questione di principio, in quanto la tua lettera, ed un'altra precedente relativa alla questione dei beni2 , rispecchiano uno stato d'animo particolarmente irritato.

La tendenza a politicizzare ogni questione non è solo francese: anche noi facciamo lo stesso. Si parte da due punti di vista opposti. Da parte francese l'impostazione della loro politica non poteva essere più chiara ed esplicita (né credo di aver mancato di dirvelo senza ambagi): il trattato di pace è la liquidazione del passato e, come tale, va rispettato scrupolosamente: premesso questo, per l'avvenire siamo pronti a metterei una pietra su, e fare tutto quello che possiamo per l'Italia. Noi riteniamo invece il contrario: che cioè la politica di rapprochement debba dare i suoi risultati tangibili immediatamente sotto forma di addolcimento delle clausole del trattato di pace. Questo punto di partenza diametralmente opposto è uno, e non degli ultimi, equivoci che sono alla base dell'attuale stato delle relazioni italo-francesi. E di nuovo credo non mi potete rimproverare di non avervi ripetuto, in tutti i toni ed anche nei momenti più euforici, che i rapporti italafrancesi sono tuttora instabili. Se da parte vostra voi interpretate quello che vi scrivo come una ruse de guerre, per mettere le mani avanti in cerca di santi, la colpa non è mia.

In fatto, qualche piccolo progresso lo si è fatto. Tu mi chiedi cosa farebbe il Governo francese in un caso analogo: non esito a risponderti: un anno fa avrebbe risposto negativamente facendoci sentire, più o meno chiaramente, che l'opinione pubblica francese esigeva la nostra assoluta adempienza: oggi su dieci questioni, una si risolve a favore nostro. E di fatto di questioni ne sono state pure risolte, ultima per esempio quella della «Dalmatienne» che era delicata e la nostra situazione non del tutto chiara: solo che delle questioni risolte nessuno tiene conto, ci si ricorda solo di quelle non risolte.

Ma il problema va presentato sotto altra forma. Credo, onestamente, di avervi fatto tutte le mie riserve circa l'Unione doganale, in quanto unione effettiva, e sulla opportunità di non gettarci noi stessi alla testa dei

2 Non pubblicato.

francesi. Per ragioni che comprendo la volete fare ad ogni costo: non sono entrato in viva polemica perché, essendo convinto che tanto per ora non ci si arriva, ed essendo anche convinto dell'utilità politica del gesto, non ne valeva la pena. Comunque ora è firmata: di opposizione al Parlamento francese ce ne sarà e forte: se il Parlamento francese non la ratifica, direte che io non ho saputo fare. Per avere la ratifica occorre quindi che io cerchi di non urtare gli interessi di parlamentari influenti: non avendo altri mezzi di «influenzarli» non mi resta che quello dei piaceri.

L'Unione doganale c'entra però solo in quanto, in questo momento, ci interessa che il Parlamento francese non la respinga. Ma dobbiamo vedere la questione sotto un punto di vista più generale. Ci interessa in questo momento avere l'appoggio della Francia per varie questioni, fra cui il Patto atlantico, le colonie, eccetera? Abbiamo ancora interesse a poter continuare con un certo coordinamento politico fra Italia e Francia? Mi sembra di sì, se non altro per il fatto che non abbiamo altre alternative, non abbiamo a chi appoggiarci se non è la Francia. Se è così, bisogna che nonostante o a causa dell'equivoco fondamentale, manteniamo in piedi la finzione delle buone relazioni: e non c'è altro mezzo di riuscirei che quello di avere pazienza. Un giorno, quando avremo riacquistato del peso proprio, quando avremo qualche altra possibilità di azione, potremo fare anche noi pagare alla Francia il nostro appoggio: oggi non ci siamo. Resistere, discutere, protestare tutto questo è necessario per cercare di pagare il minimo possibile: ma non serve a nulla perdere la pazienza tanto ad un certo momento bisogna comprometterci. E serve ancor meno di voler impiantare tutte le questioni sulla base di comparse conclusionali, come fanno molti dei nostri uffici, perdendo di vista che giuridicamente esiste un trattato di pace, che noi abbiamo voluto firmare mentre si poteva non farlo: e che fingere che esso non esiste serve solo a noi, non di fronte ai terzi.

Se ci servano o non ci servano le cosiddette buone relazioni con la Francia, il cosiddetto rapprochement, siete voi che dovete deciderlo. Mi sembra che continuiate ad essere per il sì: è bene però che non vi dimentichiate che tutto questo i francesi intendono sia pagato: si può cercare di lesinare sul prezzo, ma non di più.

Se tu trovi che in tutte le piccole cose i francesi si comportano nei nostri riguardi con una mentalità da uscieri, non è a me che lo devi dire: sono pagato per saperlo e me ne accorgo ogni giorno se per caso avessi una tendenza a dimenticarlo: e ho la coscienza di non averlo mai nascosto. Si tratta, ripeto, di decidere se e fino a che punto ci conviene di far finta di non accorgercene o no.

680 1 Non pubblicata. La questione riguardava un immobile di proprietà italiana sito in Rue Sédillot, sede del Cercle de I'Union française, di cui il Governo italiano domandava la restituzione per adibirlo ad uso di scuola media. Quaroni aveva già riferito sull'argomento (R. 298/944 del18 marzo) sottolineando l'opportunità di ricercare un accordo poiché: «Il Governo francese tiene da una parte a rispettare i suoi impegni verso di noi: dall'altra non può non preoccuparsi delle reazioni dei deputati e senatori connessi con le colonie (circa un centinaio) i quali risentono come un'offesa personale di essere obbligati ad abbandonare questo loro circolo prima che sia pronta la sede in cui dovranno trasferirsi: il Governo francese ne è preoccupato per le ripercussioni che il loro atteggiamento può avere in Parlamento e indirettamente su tutto il problema dei rapporti franco-italiani».

681

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. 2556/126. Roma, 2 aprile 1949, ore 14, l O.

Come è noto nostro progetto contemplava partecipazione Unione Europea tutti paesi facenti parte O.E.C.E. Pertanto siamo in principio favorevoli, salvo scelta momento e procedura che potrà essere concordata costì. In linea di massima sembra ci convenga, in questa e in altre più importanti questioni connesse con Consiglio d'Europa, procedere con prudenza, in pieno accordo con anglo-francesi ove essi abbiano punti di vista comuni e cercare svolgere opera mediazione in caso divergenza2•

681 1 Del l o aprile, con il quale Gallarati Scotti aveva chiesto il parere del Ministero circa la richiesta avanzata da Turchia e Grecia di partecipare alle trattative per l'istituzione del Consiglio d'Europa.

682

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A KABUL, CALISSE

T. S.N.D. 2573/2. Roma, 2 aprile 1949, ore 20.

Prego telegrafare risultati passi fatti presso Governo afghano. Se fosse difficile ottenere adesione nostre tesi bisognerebbe che delegazione afghana ricevesse almeno istruzioni di astenersi dal voto di fronte proposte contrarie nostra tesi 1•

683

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N .D. 3160/191. Parigi, 2 aprile 1949, ore 13,17 (perv. ore 15).

Patto atlantico.

Quai d'Orsay non è affatto impressionato da nota sovietica'. Una reazione era prevista da tempo e questa è considerata assai debole. Debole e inabile. Non contiene nessun elemento nuovo, afferma cose non vere e identificando Russia con aggressore del Patto si dimostra inabile.

Quai d'Orsay non sa quale sarà la risposta che sarà concordata tra i vari ministri esteri interessati. Per conto suo è dell'avviso che convenga rispondere con tante note uguali di tono molto fermo.

Naturalmente non si esclude che questione venga portata alle Nazioni Unite, nel qual caso si avranno tanti discorsi quante le note.

681 2 Vedi anche D. 734.

682 1 Calisse rispose (T. s.n.d. 3275/3 del 5 aprile) che il ministro degli esteri gli aveva confermato il punto di vista afghano contrario alle proposte italiane, pur dichiarando di «adattarsi» ad eventuali tendenze più favorevoli ali 'Italia che fossero emerse dalle discussioni in Assemblea generale.

683 1 Quella inviata all'Italia è al D. 692, Allegato.

684

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. URGENTE 3172/3251 . Washington, 2 aprile 1949, ore 21,03 (perv. ore 8 del 3).

Finale riunione odierna2 ove abbiamo approvato la bozza del trattato e ove abbiamo posto le basi dei comuni organi futuri chiude un periodo in cui la libera collaborazione italiana si è affermata con dignità. Si potrà assicurarlo al Parlamento.

Alla riunione odierna la delegazione americana sentì più di una volta l'utilità della nostra presenza e me ne diede atto. Nel campo coloniale invece Schuman ed io, che siamo nel più intimo contatto, temiamo una nascosta volontà inglese di troppo ignorare i nostri interessi. Domattina ho una conversazione con Bevin3 . Se non lo convinco gli dirò che esporrò io stesso all'O.N.U. le nostre ragioni che sono le ragioni dell'Unione Europea.

Debbo fare ciò perché uno scacco coloniale senza nostra misurata ma ferma reazione minaccerebbe di danneggiare nello spirito degli italiani la fede nella via delle leali intese internazionali che raggiungemmo con l'O.E.C.E., con l'Unione i tal o-francese, con l 'Unione Europea.

685

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 534/229. Oslo, 2 aprile 1949 (perv. 1'8).

Nel momento in cui la Norvegia e la Danimarca entrano definitivamente a far parte delle nazioni aderenti al Patto atlantico, differenziandosi, in tal modo, dalla Svezia, vicina ed amica, in un così importante campo dei propri rapporti internazionali, credo sia dovere di questo Ufficio fare il punto di quello che, da Oslo, appare essere lo stato attuale delle relazioni interscandinave.

Col mio rapporto n. 745 del 3 dicembre scorso 1 , prima cioè che la Norvegia decidesse ufficialmente l'atteggiamento che la ha portata alla firma del Patto atlanti

2 Si riferisce alla riunione dei dodici ministri degli esteri dei paesi che avrebbero firmato il Patto atlantico, il cui verbale è pubblicato in Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 27 I -281.

3 Vedi D. 687.

co, nel riferire a V.E. come l'adesione della Norvegia a quel patto dovesse essere considerata fin da allora come un dato di fatto, aggiunsi che, indipendentemente dalle decisioni a cui andavano incontro, in una materia così delicata, i Governi di Osio, Stoccolma e Copenaghen, la «solidarietà» scandinava avrebbe, a mio avviso, continuato ad essere, anche essa e in qualunque caso, un dato di fatto incontrovertibile.

Che ciò fosse esatto può essere provato dalla constatazione che, di tale solidarietà, nei mesi scorsi, non si è mai cessato di parlare in questo paese. Quasi forse, anzi, a marcarne l'importanza, sulla collaborazione fra i tre paesi nei campi che non siano militari, la stampa norvegese ha posto, in questo periodo, più che mai l'accento.

La meno importante riunione di esperti delle tre nazioni, la manifestazione più irrilevante fra le molte che si succedono a getto continuo in una delle tre capitali fra tecnici delle più varie specialità, ha trovato nei giornali di Osio e in quelli di provincia largo spazio e gran lusso di titoli. Nel campo strettamente politico, i quotidiani tutti, senza distinzione di colore (ad esclusione naturalmente dei comunisti) non hanno tralasciato occasione per esprimere l'augurio che anche la Svezia, presto o tardi, possa decidersi a uscire dalla sua neutralità a tutti i costi: l 'argomento è stato trattato anche da uomini aventi responsabilità di Governo, e ieri stesso, il ministro degli esteri Lange, giungendo a Washington per la firma del Patto atlantico, pur esprimendo parere contrario ad un ulteriore allargamento del Patto, ha fatto eccezione per la Svezia la cui adesione egli ha definita «più che mai desiderabile». Le recenti dichiarazioni di militari svedesi (generale Swendlund, generale Nordenskiold) secondo i quali, malgrado tutto, una guerra eventuale coinvolgerebbe la Scandinavia intiera, e non solamente Norvegia e Danimarca, hanno avuto qui inoltre grande ripercussione: da alcuni giornali sono state dichiarate persino «sensazionali»; altri hanno voluto vedere in esse l'indice di un prossimo mutamento di uomini e di politica a Stoccolma.

Il che, naturalmente, da parte norvegese, non è altro che uno di quelli che gli inglesi chiamano wishfull thinking. Gli uomini responsabili di Osio sanno infatti perfettamente che la volontà svedese di rimanere neutrale ha radici troppo profonde in tutto il popolo per potere subire cambiamenti in un breve spazio di tempo, e che, con la zona di occupazione sovietica a sole 30 miglia da Amburgo e con il Baltico quasi esclusivamente in mani russe, la Svezia non ha nessuna possibilità di litigare, anche se solo sulla carta, con il Governo di Mosca. Senza contare che, pur essendo in tutto e per tutto occidentale, la Svezia stessa ha legami economici secolari con l'Oriente europeo, che la Norvegia, invece, non ha e non ha mai avuti.

È mia impressione però che, in tutto questo discorrere, la stampa norvegese abbia confuso e confonda, quasi inconsciamente, il concetto di «solidarietà scandinava» con quello di «collaborazione scandinava» e di «coordinamento scandinavo».

La «solidarietà» scandinava, come dicevo nel mio rapporto succitato, ha fondamenta di natura psicologica e direi quasi umana insite nei tre paesi, come entità statali, perché insite in ogni loro cittadino. La simiglianza delle lingue, la comunanza delle istituzioni, la identica concezione di «democrazia», lo sviluppo parallelo della previdenza sociale, il comune livello della vita materiale ed anche illivellamento della vita culturale ad una comune posizione intermedia e di mediocrità, rendono la mentalità dell'uomo della strada svedese o norvegese o danese quasi uguale e senza differenze apparenti. (Per lo straniero -va aggiunto fra parentesi -e specie per lo straniero latino, la vita giornaliera in questi tre paesi è anche uniformemente monotona. Ma di una tale monotonia gli scandinavi non si accorgono: in Norvegia, per lo meno, ne sono persino orgogliosi). La solidarietà nasce così spontanea da tutti questi elementi, e l'aggettivo «scandinava>> è parola di uso comune e diffuso, sostituita dall'aggettivo «nordico» quando per una ragione o per l'altra vi si vuole comprendere anche la Finlandia o la lontana Islanda.

Il quadro si presenta invece in maniera differente quando ci si trasporta nel campo della «collaborazione» e del «coordinamento».

Che la collaborazione fra i tre paesi sia non solamente desiderio comune, ma anche necessità comune è convinzione di ogni cittadino scandinavo. Non v'è infatti aspetto della vita delle tre collettività nazionali in cui tale collaborazione non sia in atto e non venga esplicata a mezzo di commissioni tripartite, di convegni frequentissimi, di scambi di pubblicazione, di memoria, di uomini, di idee. Basta aprire un qualsiasi giornale o una qualsiasi rivista norvegese per rendersi conto di ciò, per constatare come, dalle riunioni periodiche dei presidenti del Consiglio dei ministri degli esteri, sino a quelle dei capi delle società corali o di collezionisti di francobolli, v'è, in ogni periodo dell'anno, un processo continuo di osmosi e di endosmosi di uomini e di idee attraverso le tre frontiere.

Gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno dimostrato però che tutto questo lavoro assiduo ed attento è costretto, ad un dato livello, a subire una sosta. L'arresto, quasi brutale, si verifica proprio nei due punti in cui maggiormente la collaborazione sarebbe importante: nel campo, cioè, della politica e in quello della economia. In essi, ci si accorge che coordinazione e collaborazione non possono addentrarsi in profondità, perché, malgrado ogni sforzo in contrario, le strade dei tre paesi divergono ad un certo punto, senza nemmeno una lontana probabilità di parallelismo.

Si è troppo parlato negli ultimi tempi della questione politica, in relazione al Patto atlantico perché sia necessario riassumere qui, ancora una volta i dati di essa.

Ciò che, però, ha -a mio avviso -anche maggiore importanza è il fatto che siano state proprio le divergenze politiche fra Svezia da una parte e Norvegia e Danimarca dall'altra, a mettere in rilievo che complicazioni ancora più importanti nei rapporti scambievoli fra i tre paesi sorgono nel campo della collaborazione economica. E ciò proprio nel momento in cui, in tutto il continente, la collaborazione economica fra i paesi europei assume un aspetto di primaria importanza sia come problema a sé stante che-e forse maggiormente -in relazione al piano Marshall.

Da un esame, anche poco approfondito, delle economie scandinave risulta infatti, quasi a prima vista, che, allo stato attuale dei fatti, una unione economica fra Norvegia, Danimarca e Svezia non ha nessuna probabilità di realizzazione, e che, ove ragioni politiche dovessero renderla necessaria, la attuazione dovrebbe comportare un rivoluzionamento più che completo delle basi su cui i tre sistemi sono fondati. In simile caso, l'apparato che dovrebbe subire uno scombussolamento maggiore, sarebbe quello norvegese.

Nella analisi da me inviata a V.E. 2 del piano a lungo termine preparato dal Governo di Osio per l'O.E.C.E. ho cercato di mettere in luce come esso fosse basato su di un desiderio di raggiungere nel 1952 una specie di autarchia economica, più che su un vero tentativo di adattare il sistema norvegese ad una collaborazione con gli altri paesi del continente. In vista di una eventuale unione economica fra i paesi scandinavi il piano di cui si tratta dovrebbe subire una totale revisione a causa principal

mente del peso che verrebbero ad avere, in una Scandinavia economicamente unificata, la industria svedese e la agricoltura danese.

È facile vedere, in conseguenza, come il problema di una unione economica scandinava dovrebbe essere affrontato alle radici. Non esiste ancora, infatti, per citare solo alcuni elementi, una nomenclatura doganale uniforme, e non è stato ancora proceduto ad un esame approfondito dei metodi di impiego e di specializzazione della mano d'opera nel processo produttivo dei tre paesi. E se si pensa che gli studi iniziati pochi mesi fa per considerare la possibilità di un accordo di pagamento multilaterale interscandinavo, in sostituzione di quelli bilaterali già esistenti, si sono arrestati, dopo poco tempo, di fronte a difficoltà considerate per ora insuperabili, se ne può arguire come il problema di una completa unione doganale è destinato a rimanere ancora, e chi sa per quanto tempo, nel solo campo delle possibilità teoriche.

Scartata dunque la possibilità di una comune linea di condotta politica, scartata la possibilità di una unione economica, si può allora effettivamente parlare -vien fatto di domandarsi -della reale consistenza di una collaborazione fra i paesi scandinavi?

La risposta sarebbe negativa ove accanto ai concetti di «collaborazione» e di «coordinamento» non esistesse il fatto incontrovertibile della «solidarietà» scandinava di cui ho parlato sopra. È appunto tale solidarietà che altera i termini del problema, conferendogli un suo carattere tutto speciale.

Anche se, infatti, in termini di ordinario linguaggio e frasario diplomatico, il Governo di Stoccolma ha, oggi, scelto una strada diversa, se non opposta, a quella su cui si sono incamminati i Governi di Oslo e di Copenaghen; anche se le economie dei tre paesi non sono passibili di coordinazione e, sotto alcuni aspetti, sono anche concorrenti, i legami di «solidarietà» che uniscono i tre Governi, i tre paesi, ed i loro cittadini hanno delle radici così profonde, prendono origine da fattori psicologici talmente incontrovertibili, che malgrado tutto l'osservatore sul posto non può fare a meno di pensare che la «Scandinavia» non è solo una espressione geografica o un motivo letterario, ma è qualche cosa di più. Non facilmente definibile, ma ugualmente esistente.

Nel momento attuale in cui il problema di una Unione Europea incomincia ad uscire dalla nebbia in cui finora è stato avvolto, l'esistenza di una entità «Scandinavia», pur se solo basata su elementi ideali e psicologici, e non su dati di fatto, è buon auspicio per l'avvenire.

Anche a questo effetto ho voluto, sulla Scandinavia, attirare la speciale attenzione di VE.

684 1 Minuta autografa.

685 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 708.

685 2 Non pubblicato.

686

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A WASHINGTON

T. S.N.D. 2581/1951 . Roma, 3 aprile 1949, ore 14.

Odierno Consiglio ministri espresse riconoscimento e plauso per tuoi interventi Patto atlantico.

Circa colonie comprende difficoltà che sono valutate anche da opinione pubblica ed è certo che tu farai ogni sforzo per evitare o almeno rinviare soluzione psicologicamente incomprensibile Eritrea. Confido molto nel tuo personale intervento Assemblea.

686 1 Risponde al D. 684.

687

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 3199/3271 . Washington, 3 aprile 1949, ore 13 (perv. ore 7,30 del4).

Stamane lunga conversazione con Bevin. Sul principio egli si credeva così sicuro della sua posizione che mi pregò non parlare all'Assemblea. Finì per capire che un mio personale intervento era mio stretto dovere. Circa Eritrea rimase sulle sue posizioni dichiarandosi costretto a ciò dal sentimento moralistico della maggioranza del suo partito e dall'opinione pubblica indiana. Ciò ripetè anche quando dovè consentire meco che la cessione all'Etiopia sarebbe stata un pessimo servizio al prestigio di quel paese.

Circa Tripolitania finì per ammettere che non si opporrebbe al nostro mandato se Gran Bretagna riceveva subito Cirenaica.

Vedrò oggi Schuman e domani Acheson2 .

Sembra inevitabile portare tutto il problema all'O.N.U. A parte ogni possibilità di parziale vittoria o di rinvio ci conviene asserire nel modo più solenne nostri sentimenti e nostri diritti. Ciò farò senza ferire Inghilterra alla cui amicizia dobbiamo pensare.

688

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 3201/3281 . Washington, 3 aprile 1949, ore 14,40 (perv. ore 7,30 del 4)

Poiché niente deve essere lasciato intentato ti raccomando vivamente immediata pubblicazione di un comunicato preannunziante trasformazione Ministero Africa italiana in un ente o sottosegretariato per le Amministrazioni fiduciarie.

Tu sai quanto io sia indifferente alle competenze interministeriali ma credo necessario si dica che l'ente dipenderà dagli esteri come sola prova possibile che non pensiamo ad assimilazioni amministrative.

687 1 Minuta autografa. 2 Non si è rinvenuto alcun documento sul colloquio con Schuman, per quello con Acheson vedi D. 696. 688 1 Minuta autografa.

689

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 311286. Roma, 3 aprile 1949.

Mi riferisco al tuo telegramma n. 125 1 che riassume alla data del l o aprile lo stato dei lavori per il Consiglio di Europa e mi pare che l'azione svolta costì sia all'unisono con le direttive del Ministero. Ci ha un poco impressionato il punto 3 secondo cui il progetto inglese limiterebbe la competenza del Consiglio (quindi anche del Comitato dei ministri?) a questioni di carattere culturale ed economico sociale. Se così fosse tutta l'Unione Europea si ridurrebbe a niente e sarebbe una solenne presa in giro dell'opinione pubblica e delle nostre aspettative. Noi dobbiamo ovviamente sostenere che deve avere anche competenza politica per quelle questioni che ciascun membro ritenesse di dover fare iscrivere all'ordine del giorno. Bevin aveva detto che doveva essere una «piccola O.N.U. europea» e del resto il draft già concordato elude esplicitamente soltanto le «questions relating to national defence». Su questo punto mi risulta che i francesi sono decisi a battersi a fondo e per questo punto specifico non mi sembra possa valere la direttiva di «mediare» le divergenze anglo-francesi. È troppo grande, nella questione, il nostro interesse dato anche che non facciamo parte del Patto di Bruxelles i cui membri hanno preso l'abitudine di riunirsi per trattare anche questioni politiche. Quindi su questo punto occorre sostenere la tesi francese che è la nostra2 .

690

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3223/51. Sofia, 4 aprile 1949, ore 16,30 (perv. ore 18). Mio telespresso n. 444 del 30 marzo 1•

Nei circoli governativi e comunisti si cerca ridurre importanza crisi in seno partito comunista bulgaro, in quanto atteggiamento Traicio Kostov, che avrebbe criticato politica economica U.R.S.S. nei riguardi Bulgaria, sarebbe considerato come un «errore» suscettibile di essere corretto con autocritiche dello stesso interessato. In effetto plenum Comitato centrale partito comunista bulgaro ha escluso Traicio Kostov dall'ufficio politico e lo ha liberato da cariche governative; ma egli è rimasto, almeno per ora, membro Comitato centrale partito. Gli si vuole dare così il tempo di «correggersi».

Secondo il punto di vista ufficiale, è del tutto indipendente dalla questione Traicio Kostov la scoperta di un complotto per spionaggio, nel quale sarebbero implicate varie personalità militari e civili fra cui funzionari della Pubblica sicurezza, in relazione al quale sarebbero già avvenuti numerosi arresti.

Questo vice ministro esteri Ramenov mi ha oggi escluso che l 'uno e l'altro fatto, la cui coincidenza secondo lui è puramente casuale, possa comunque modificare politica estera Bulgaria ed in particolare attuale situazione rapporti bulgaro-jugoslavi; non si può tuttavia non rilevare che atteggiamento critico Traicio Kostov verso U.R.S.S., mentre elevato a difendere interessi economici bulgari verso chiunque, lo avvicina posizione assunta da Tito.

689 1 Del l o aprile, non pubblicato. 2 Per la risposta vedi D. 69 5. 690 1 Con esso Guamaschelli aveva riferito sulla crisi in atto nel partito comunista bulgaro e sulle voci dell'arresto di Trai cio Kostov.

691

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

L. PERSONALE. Roma, 4 aprile 1949.

Con riferimento alla tua lettera del 25 marzo 1 ti assicuro che la Presidenza del Consiglio ed il Ministero degli interni stanno esaminando la procedura più idonea da seguirsi nei riguardi delle domande di riopzione presentate dopo il 2 novembre.

Non sembra tuttavia che né la Presidenza né gli Interni abbiano particolare urgenza di prendere decisioni, anche perché ritengono che, con il lasciar dormire a lungo le istanze su cui grava la presunzione di nullità, i consolati competenti abbiano modo, in base alle insistenze personali dei rioptanti, di meglio accertare quali fra esse siano da ritenere formulate sotto la coercizione morale delle note decisioni del Consiglio dei ministri austriaco e quali invece per spontanea volontà degli interessati.

È comunque da tener presente, al riguardo, la necessità che di tale accorgimento non abbiano sentore gli austriaci onde evitare che essi possano influire ancora una volta per provocare artificiosamente solleciti da parte degli interessati2 .

2 Per la risposta vedi D. 7 51.

691 1 Vedi D. 639.

692

L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, KOSTYLEV, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. URGENTISSIMA 125. Roma, 4 aprile 1949.

Ho l'onore, per incarico del Governo sovietico, di trasmetterle, con preghiera di consegna al Governo italiano, il «Memoriale del Governo dell'U.R.S.S. relativo al Patto nord-atlantico» 1 , nonché il testo della dichiarazione del Ministero degli affari esteri dell'U.R.S.S. circa il Patto nord-atlantico2 menzionata in detto Memoriale.

ALLEGATO

MEMORIALE DEL GOVERNO DELL'U.R.S.S. RELATIVO AL PATTO NORD-ATLANTICO

Il 18 marzo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America ha pubblicato il testo del Patto nord-atlantico che nei prossimi giorni hanno intenzione di firmare i Governi degli U.S.A., Gran Bretagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Canada.

Il testo del Patto nord-atlantico ha confermato completamente quello che ha detto nella sua dichiarazione il Ministero degli affari esteri dell'U.R.S.S. in data del 29 gennaio di questo anno, che viene allegata a questo Memoriale, sia riguardo ai fini aggressivi di questo Patto come riguardo al fatto che il Patto nord-atlantico si trova in contraddizione con i principi ed i fini dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e con gli obblighi dei Governi degli U.S.A., della Gran Bretagna e della Francia, assunti da loro in base ad altri patti ed accordi. Le dichiarazioni contenute nel Patto nord-atlantico circa la sua destinazione di difesa e circa il riconoscimento dei principi dell'O.N.U. servono a fini che nulla hanno in comune coi compiti dell'autodifesa dei partecipanti al Patto, né con un vero riconoscimento dei fini e dei principi dell'O.N.U.

I partecipanti al Patto nord-atlantico sono le grandi potenze come gli U.S.A., la Gran Bretagna e la Francia. Pertanto il Trattato non è diretto né contro gli Stati Uniti d'America, né contro la Gran Bretagna, né contro la Francia.

Delle grandi potenze soltanto l'Unione Sovietica è stata esclusa dal numero dei partecipanti a questo Patto e questo si può spiegare soltanto col fatto che questo Patto è diretto contro l'Unione Sovietica. Che il Patto nord-atlantico sia diretto contro l'U.R.S.S., nonché contro i paesi della democrazia popolare, viene rilevato in modo ben definito anche dai rappresentanti ufficiali degli U.S.A., della Gran Bretagna e della Francia.

Per giustificare la conclusione del Patto nord-atlantico si dà come motivo il fatto che l'Unione Sovietica ha concluso patti di carattere difensivo coi paesi della democrazia popolare, però questi motivi non hanno nessuna consistenza.

2 Non pubblicato, ma vedi D. 194.

Tutti i patti dell'Unione Sovietica relativi all'amicizia e allo aiuto reciproco coi paesi della democrazia popolare hanno un carattere bilaterale e sono diretti soltanto contro la possibilità di una ripetizione di una aggressione germanica, il cui pericolo non può essere dimenticato da nessuno Stato amante della pace. In questi patti è del tutto esclusa la possibilità di intenderli quali patti diretti in qualche misura contro gli alleati dell'U.R.S.S. nella ultima guerra, contro gli Stati Uniti oppure contro la Gran Bretagna o contro la Francia.

Inoltre l'U.R.S.S. ha simili patti contro la ripetizione di una aggressione germanica, non soltanto coi paesi della democrazia popolare, ma anche con la Gran Bretagna e la Francia.

In contrasto con questi patti, il Patto nord-atlantico rappresenta non un patto bilaterale, ma un patto plurilaterale, il quale crea un aggruppamento chiuso di Stati, e ciò che è di importanza particolare, esso ignora la possibilità di una ripetizione dell'aggressione germanica non avendo, dunque, per suo fine l'impedire di una nuova aggressione germanica. E dato il fatto che di questo Patto delle grandi potenze, che avevano fatto parte della coalizione anti-hitleriana, soltanto l'U.R.S.S. non è partecipe, il Patto nord-atlantico deve essere considerato quale un Patto diretto contro uno degli alleati principali degli U.S.A., della Gran Bretagna e della Francia nell'ultima guerra, cioè contro l'U.R.S.S.

I partecipanti al Patto nord-atlantico stanno prendendo ampie misure militari, le quali in nessun modo possono essere giustificate dagli interessi della autodifesa di questi paesi.

L'effettuazione da parte degli U.S.A. in collaborazione con la Gran Bretagna e la Francia, nell'attuale atmosfera pacifica, di larghe misure militari, con l'inclusione dell'aumento di tutti i tipi delle forze armate, della elaborazione di un piano relativo allo sfruttamento dell'arma atomica, l'ammasso di riserve di bombe atomiche, che rappresentano un'arma di carattere nettamente offensivo, la costruzione di una rete di basi militari-aeree e militari-marittime ecc. tutto questo porta un carattere non affatto difensivo.

Il mantenimento del Comando militare anglo-americano unificato a Washington, che è stato organizzato durante la seconda guerra mondiale, la creazione recente di uno Stato Maggiore della cosiddetta Unione Occidentale a Fontainbleau (Francia), nonché l'intenzione di creare immediatamente il Comitato di difesa, previsto dal Patto nord-atlantico, non rappresentano affatto un indice di fini pacifici oppure difensivi da parte dei partecipanti al Trattato ma, insieme con l'effettuazione di altre numerose preparazioni militari, contribuiscono al rafforzamento della preoccupazione, dell'ansia e del fomento dell'isterismo di guerra, per il quale hanno tanto interesse gli istigatori di ogni genere di una nuova guerra.

Il Patto nord-atlantico è destinato a spaventare gli Stati che non sono desiderosi di sottomettersi al diktat di un aggruppamento anglo-americano di potenze, che pretendono il dominio mondiale, benché l'inconsistenza di un simile genere di pretese sia stata confermata di nuovo dalla seconda guerra mondiale finita con la sconfitta della Germania fascista, che anche pretendeva il dominio mondiale.

Al Patto nord-atlantico prendono parte anche paesi i cui Governi sperano di arricchirsi a spese dei partecipanti più ricchi a questo Trattato, costruendo vari piani circa il modo di ottenere nuovi crediti ed altri vantaggi materiali.

Non si può, nello stesso tempo, fare a meno di riconoscere la mancanza di una base dei motivi antisovietici del Patto nord-atlantico, in quanto è noto a tutti che l'Unione Sovietica non si accinge ad attaccare chicchessia e non rappresenta nessuna minaccia né per gli Stati Uniti d'America, né per la Gran Bretagna, né per la Francia, né per gli altri partecipanti al Patto.

La conclusione del Patto nord-atlantico e la creazione di un nuovo aggruppamento delle potenze non possono essere motivate dalla debolezza dell'O.N.U. È del tutto ovvio, però, che il Patto nord-atlantico non serve all'opera di rafforzamento dell'O.N.U., anzi, al contrario, tende a minare le fondamenta stesse di questa organizzazione internazionale, poiché la creazione del suddetto aggruppamento di potenze non soltanto non corrisponde ai fini ed ai principi dell'O.N.U., ma contraddice anche lo Statuto di questa Organizzazione.

I partecipanti al Patto nord-atlantico cercano di giustificarsi col fatto che questo Patto rappresenta, per modo di dire, un Patto regionale previsto dali' art. 52 dello Statuto dell'O.N.U.; però simili giustificazioni sono del tutto prive di una base e senza consistenza. Non si può trattare di carattere non regionale di questo Patto in quanto l'unione prevista da questo Patto abbraccia Stati situati nei due semisferi del globo terrestre, e non si è prefisso come fine la risoluzione di questi o quegli altri problemi regionali.

Questo viene confermato anche del fatto che, come è stato già dichiarato, alla partecipazione al Patto nord-atlantico vengono invitati Stati non membri dell'O.N.U. (Italia, Portogallo), benché l'art. 52 dello Statuto dell'O.N.U. abbia in vista la conclusione di accordi regionali soltanto tra i membri dell'O.N.U.

La creazione di un aggruppamento nord-atlantico di Stati non può essere giustificato col diritto di ogni membro dell'O.N.U. all'autodifesa individuale o collettiva, in conformità con l'art. 51 dello Statuto. Basta rilevare che un simile diritto secondo la Statuto dell'O.N.U. può sorgere soltanto nel caso di un attacco armato contro un membro dell'O.N.U., mentre, come è noto a tutti, nessun attacco minaccia né gli U.S.A., né la Gran Bretagna, né la Francia, né gli altri partecipanti al Patto.

È ovvio che l'appellarsi agli artt. 51, 52 dello Statuto dell'O.N.U. non ha consistenza ed ha per fine soltanto di celare i veri fini aggressivi di quell'aggruppamento militare degli Stati, che si sta creando con la conclusione del Patto nord-atlantico.

Nessuno può negare che il Patto nord-atlantico ed anzitutto l'art. 5 di questo Patto si trovi in contraddizione diretta con lo Statuto dell'O.N.U. Nel testo dell'art. 53 dello Statuto, dove si parla dei mezzi di coercizione in conformità con gli accordi regionali, è stato detto direttamente che «nessun genere di azione coercitiva è permesso in forza di questi accordi regionali oppure organi regionali, senza l'autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza», ad eccezione delle misure previste in modo particolare nei riguardi degli ex paesi nemici. Nonostante questo, l'articolo S del Patto nord-atlantico ammette l'impiego delle forze armate da parte dei partecipanti al Patto senza nessun genere di autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza. In tal modo, anche se si dovesse considerare il Patto atlantico quale un patto regionale, l'art. S di questo Patto è incompatibile con lo Statuto dell'O.N.U. Questo dimostra ancora una volta quanto infondate siano tutte le giustificazioni che il Patto nord-atlantico riconosce i principii ed i fini dello Statuto dell'O.N.U.

In base a tutto quello che è stato esposto più sopra, il Governo sovietico giunge alle seguenti deduzioni:

I. Il Patto nord-atlantico non ha nulla in comune coi fini dell'autodifesa degli Stati partecipanti al Patto, che nessuno sta minacciando e che nessuno si accinge ad attaccare. Al contrario questo Patto ha un carattere nettamente aggressivo ed è diretto contro l'U.R.S.S., ciò che non celano perfino i rappresentanti ufficiali degli Stati partecipanti al Patto nei loro discorsi pubblici.

II. Il Patto nord-atlantico non soltanto non contribuisce al rafforzamento della pace e della sicurezza internazionale, ciò che rappresenta un obbligo per tutti i membri dell'O.N.U., ma si trova in contraddizione diretta coi principi e coi fini dello Statuto dell'O.N.U. e finisce col minare l'O.N.U.

III. Il Patto nord-atlantico si trova in contraddizione col Trattato concluso fra la Gran Bretagna e l'Unione Sovietica nel 1942, in base al quale ambedue gli Stati hanno assunto l'obbligo di collaborare per la causa del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale

e di «non concludere nessun genere di accordi e di non prendere parte a nessun genere di coalizioni dirette contro l'altra grande potenza contraente».

IV. -Il Patto nord-atlantico si trova in contraddizione coli' Accordo concluso nel 1944 fra la Francia e l'Unione Sovietica, in base al quale ambedue gli Stati hanno assunto l'obbligo di collaborare per la causa del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e «di non concludere nessun genere di patto e non prendere parte a nessun genere di coalizione diretta contro una delle alte parti contraenti». V. -Il Patto nord-atlantico si trova in contraddizione con quegli accordi fra l 'Unione Sovietica, gli Stati Uniti d'America e la Gran Bretagna, conclusi nelle Conferenze di Yalta e di Potsdam; nonché nelle altre Conferenze dei rappresentanti di queste potenze che hanno avuto luogo sia durante che dopo la seconda guerra mondiale ed in base ai quali gli Stati Uniti d'America e la Gran Bretagna, nonché l'Unione Sovietica hanno preso su di sè l'obbligo di collaborare per la causa del rafforzamento della pace mondiale e della sicurezza internazionale e di contribuire al rafforzamento dell'O.N.U.

692 1 Vedi Allegato.

693

IL MINISTRO A BERNA, REALE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1/1506/493. Berna, 4 aprile 1949 (perv. il 7).

Riferimento: Mio rapporto n. 11981/335 del2 marzo u.s. 1 e precedenti2•

Un'interpellanza, presentata dal consigliere Oprecht, socialista e presidente della commissione degli affari esteri, ha offerto al capo del Dipartimento politico federale l'occasione per precisare dinnanzi al Consiglio nazionale, con ampiezza di dettagli e di argomentazioni, le ragioni che hanno giustificato e tuttora giustificano la partecipazione svizzera all'O.E.C.E. e la misura di tale partecipazione. Dall'argomento dell'interpellanza Petitpierre ha tratto lo spunto per estendere il campo delle sue dichiarazioni a quelle che sono le direttive fondamentali della politica estera elvetica sul piano della cooperazione europea. Il capo del Dipartimento politico ha escluso che l'atteggiamento svizzero possa concretarsi sia in un'adesione cieca sia in un'astensione sterile dando contemporaneamente torto alle due tesi estreme per concludere confermando quella che è stata finora la linea da lui seguita, non senza contrasti, di una «ragionevole partecipazione».

In sostanza Petitpierre ha voluto, manifestando -più nettamente di quanto egli non avesse fatto nelle sue ultime dichiarazioni -il proprio pensiero e quello della tendenza «attiva» che ha in lui il più coraggioso interprete in seno al Consiglio federale, ottenere il consenso più o meno esplicito ed unanime del Parlamento alla politica di sia

2 Vedi DD. 377 e 378.

pur cauta partecipazione alla collaborazione occidentale da lui finora perseguita. Più che una difesa di atteggiamenti passati pertanto, il suo discorso va a mio giudizio interpretato come un felice tentativo, abilmente mascherato, di esporre al Consiglio nazionale un programma per il futuro per essere poi implicitamente autorizzato a realizzarlo.

L'interpellanza del consigliere Oprecht, ovviamente concordata con lo stesso Dipartimento politico, si riferiva alla posizione svizzera nell'ambito della cooperazione europea, sulla quale domandava i possibili ragguagli. L'interpellante ha voluto tuttavia aggiungervi due spunti essenzialmente di politica interna, allorchè ha chiesto se fosse esatto che interessate pressioni in senso contrario alla cooperazione stessa fossero state esercitate sul Consiglio federale da parte del «Vorort» (Unione svizzera del commercio e dell'industria), che è il più potente organismo padronale della Confederazione, ed ha poi lamentato che la stampa della svizzera romanda fosse stata ben più ampiamente informata di quella della Svizzera tedesca sugli sviluppi della partecipazione elvetica all'O.E.C.E. Ambedue gli accenni, evidentemente sproporzionati all'importanza dell'argomento principale, avevano comunque una duplice giustificazione nell'appartenenza del consigliere Oprecht al partito socialista-donde l'accusa di subdole influenze capitalistiche -e nell'essere egli un esponente della Svizzera tedesca. Petitpierre, per quanto colto di sorpresa, ha rapidamente controbattuto.

Il capo del Dipartimento politico ha esordito rammentando gli scopi delle riunioni dell'O.E.C.E. svoltesi dal 15 al 17 febbraio a Parigi, riunioni alle quali egli stesso aveva rappresentato la Confederazione. Si trattava di discutere della proposta, formulata dal delegato irlandese nell'ottobre 1948, di esaminare «le modificazioni che sarebbe stato necessario apportare alla struttura dell'organizzazione per rendere più spediti i suoi lavori e rafforzame l'autorità». Fra le soluzioni contemplate nella fase di studio preliminare di tale proposta, ha detto Petitpierre, si è in particolare accennato all'eventualità della creazione di un Comitato ministeriale di cinque membri, destinato ad assumere la direzione effettiva dell'organizzazione. Ne derivavano due tendenze: una che mirava all'allargamento degli scopi dell'O.E.C.E., l'altra che addirittura puntava verso l'istituzione di una specie di governo economico dell'Europa. Poiché la Svizzera era contraria ad ambedue le tendenze, che avrebbero ugualmente prodotto una revisione della Convenzione di Parigi del 16 aprile 1948, era opportuno che essa potesse intervenire su un piede di parità con gli altri Stati alla discussione che si sarebbe svolta in seno al Comitato esecutivo.

Il capo del Dipartimento politico ha quindi ricordato le decisioni adottate dal Comitato esecutivo nel febbraio scorso e in particolare quella di nuovamente riunirsi in veste «ministeriale» il 4 marzo, per spiegare come il Consiglio federale abbia deliberato di non farsi rappresentare da uno dei suoi membri a tale seconda riunione. Venne deciso in questo senso, «senza che si sia manifestata alcuna divergenza», ha tenuto a sottolineare Petitpierre, soprattutto per motivi di politica interna. Il Consiglio federale pensa infatti che, pur essendo, in virtù della Costituzione, pienamente competente in materia di politica estera, esso deve, del pari, contare su un largo appoggio delle Camere e dell'opinione pubblica, cui deve rendere conto della sua azione diplomatica come delle altre sue attività. Visti l'importanza e il significato attribuiti dalla pubblica opinione e da almeno una parte della stampa al viaggio del capo del Dipartimento politico a Parigi, è parso quindi opportuno presentare un rapporto alla Commissione degli affari esteri e alle Camere prima di qualsiasi ulteriore viaggio all'estero di un suo membro. Non è tuttavia escluso, ha soggiunto Petitpierre, che il Consiglio federale debba prevedere di delegare uno dei propri membri a intervenire a una futura seduta del Consiglio dell'O.E.C.E., quando questo dovrà riunirsi sul piano ministeriale. Appunto perché aderente all'O.E.C.E., la Svizzera non deve perdere alcuna occasione per far comprendere la sua particolare situazione, sia sul piano politico che su quello economico. Il punto di vista elvetico deve essere sostenuto e difeso con la massima autorità ed efficacia. Finché i problemi verranno discussi nell'ambito puramente tecnico, la presenza di un consigliere federale non sarà necessaria. Ma allorché la discussione si sviluppa sul piano «governativo», non possono essere certamente delle considerazioni di ordine geografico ad impedirci di partecipare alle deliberazioni su un piede di eguaglianza con gli altri Stati. Nel 1922 il Consiglio federale inviò a Genova due dei propri membri, esso deve avere, oggi che la situazione è ben più difficile, la stessa libertà, della quale peraltro saprà non abusare.

Petitpierre ha quindi ricordato i viaggi compiuti ali' estero, fin dal 1856, da diversi membri del Governo della Confederazione, per dedurne che il principio, in particolari circostanze, è ammesso. Ciò che invece non è mai stato ammesso, egli ha soggiunto, è che il presidente della Confederazione si recasse ali' estero per rappresentare il Consiglio federale in quanto capo dello Stato. Per questo motivo le visite di capi di Stato stranieri in Svizzera non sono mai state restituite. L'attuale opinione del Consiglio federale è che i suoi membri possano recarsi oltre frontiera come privati, ma che varie ragioni rendono sconsigliabili missioni ufficiali troppo frequenti. Nella normalità dei casi, pertanto, gli interessi svizzeri ali' estero debbono essere difesi dai diplomatici o da delegati nominati volta per volta. La politica di neutralità esige un riserbo maggiore da parte della Svizzera che non da parte di altri Stati nel campo della politica internazionale. Ad ogni modo, il Consiglio federale non intende vincolarsi per l'avvenire, né in un senso né nell'altro. Ogni volta che si porrà il problema esso vedrà se sarà necessario o anche semplicemente opportuno di delegare ufficialmente uno dei propri membri per una missione all'estero.

Petitpierre ha quindi accennato agli ultimi sviluppi dell'attività dell'O.E.C.E. per trarre lo spunto da tale esposizione per formulare alcune interessanti considerazioni sulla posizione elvetica, prevalentemente sul piano economico, nel quadro della cooperazione europea. L'aiuto americano all'Europa, egli ha detto, presenta per noi, che non vi partecipiamo direttamente, dei vantaggi e degli inconvenienti. Favorendo lo sviluppo economico dei paesi duramente colpiti dalla guerra, permettendo loro di riorganizzare e migliorare le attività produttive, esso, indubbiamente, pone fine alla situazione di privilegio nella quale ci siamo trovati nel dopoguerra. Già vediamo e ancor più vedremo rinascere delle concorrenze con le quali ci troveremo in competizione sul mercato internazionale. Dovremo quindi riabituarci a delle condizioni più normali di quelle di cui abbiamo beneficiato negli ultimi tre anni.

Questi gli inconvenienti. D'altro canto, ha proseguito Petitpierre, l'aiuto americano ha fatto affluire in Europa dei dollari e dell'oro, che sono entrati nel «circuito economico» e che danno agli Stati che li hanno ricevuti nuove possibilità negli scambi bilaterali. Sotto questo aspetto, è chiaro che la Svizzera ne trarrà dei vantaggi e che, grazie appunto a tale aiuto americano, certe difficoltà che si manifestano sul piano bilaterale possono essere superate, a profitto, in particolare, dell'industria di esportazione, del turismo e dei trasferimenti finanziari. Senza l'aiuto americano gli scambi svizzeri con gran parte degli altri paesi europei si sarebbero gradualmente ridotti. «È nettamente preferibile il libero gioco della concorrenza in un'Europa sana che una situazione, necessariamente temporanea, di quasi monopolio in un'Europa malata».

La politica economica svizzera, ha detto l'oratore, segue attualmente due vie parallele. Da un lato verranno continuati gli scambi sul piano bilaterale, e dall'altro, nel quadro più ampio dell'O.E.C.E., si cercherà di favorire, con ogni sforzo, il rapido ritorno delle condizioni normali, che sole potranno permettere all'economia europea, nel libero gioco delle leggi economiche, di riacquistare la propria indipendenza e di assicurare l'esistenza dei popoli che ne sono tributari.

Petitpierre ha concluso il suo discorso dichiarando che la Svizzera continuerà a collaborare attivamente all'opera di ricostruzione europea, che è uno degli elementi essenziali da cui dipende il suo avvenire.

L'interpellante si è dichiarato soddisfatto. Una proposta di discussione presentata dal comunista Vincent, è stata respinta a forte maggioranza.

693 1 Non pubblicato.

694

IL CONSOLE GENERALE A WELLINGTON, DE REGE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 3282/23. Wellington, 5 aprile 1949, ore 12,20 (perv. ore 9).

Telespresso ministeriale circolare 3/235 del 24 gennaio e 3/366 dal 28 febbraio' e mio telegramma n. 21 2 • Ho presentato iersera a questo segretario generale nota relativa Tripolitania redatta secondo le istruzioni di codesto Ministero mettendo in rilievo che il Governo italiano riteneva negoziati con gli arabi avranno risultati favorevoli e che Governo britannico era stato tempestivamente informato.

Per quanto riguarda problema Cirenaica ho fatto presente punto di vista italiano circa necessità soluzione contemporanea a quella Libia. Ho parlato poi nuovamente della questione generale delle colonie sottolineando particolare sensibilità opinione pubblica italiana su questi punti e la necessità che nostro Governo non venga abbandonato dai paesi occidentali proprio di fronte tale delicato problema.

Signor Mac Intosh mi ha detto che il primo ministro era rimasto molto impressionato ragionevoli argomenti contenuti nota circa Eritrea e che senza alcun dubbio avrebbe approvato progetto costituzione Stato Tripolitania quale aderente spirito e lettera statuto O.N.U. e a scopo trusteeship. Il primo ministro, che era rimasto molto ammirato lotta condotta recentemente dal Governo italiano a favore Patto atlantico, è anche personalmente persuaso che è necessario sostenere politica democratica presidente De Gasperi e ministro esteri Sforza. Mi ha tuttavia confermato che la politica del Governo Nuova Zelanda a questo riguardo non sarà fissata che all'ultimo momento e che probabilmente rimarrà quella seguita anno passato a Parigi. A suo avviso anche quest'anno questione coloniale italiana resterà insoluta. Egli mi ha dato ancora assicurazione che le proposte Governo italiano verranno esaminate massima cura.

2 Vedi D. 659.

È molto probabile che il signor Fraser si riservi decidere azione Nuova Zelanda dopo «Caucus» partito laburista Nuova Zelanda attualmente in corso e i contatti che avrà prossimamente a Londra durante conferenza primi ministri Commonwealth.

694 1 Ritrasmettevano rispettivamente i DD. l 00 e 414.

695

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. 3285/128. Londra, 5 aprile 1949, ore 17,31 (perv. ore 20,40).

Mi riferisco alla sua lettera del 3 corrente n. 3/12861•

Concordo pienamente suo punto di vista circa competenza Consiglio Europa. Tengo a rilevare che fin dali 'inizio la delegazione italiana nei suoi contatti con le altre delegazioni e principalmente con i francesi e con gli inglesi ha chiaramente preso posizione affinché competenza del Comitato ministri non sia svuotata del suo contenuto essenziale ma comprenda in modo specifico questioni di carattere politico.

Questione sta attualmente nei seguenti termini:

l) ne Ila prima seduta plenaria il noto drafl, approvato aii 'unanimità, specificava all'art. 4 che il Comitato dei ministri poteva discutere «any question of common concem»: formula accettabile in quanto sufficientemente larga;

2) in sede di elaborazione della dichiarazione di cui sopra la Sottocommissione esperti giuridici ha accettato in principio di adottare per base discussioni preliminari progetto preparato dagli inglesi. Questo progetto (come segnalato con il mio telegramma n. 125)2 limiterebbe competenza Comitato ministri a questioni culturali, economiche, sociali. Già in tale sede di Sottocommissione nonché nelle numerose conversazioni che abbiamo a margine deiia Conferenza è stato messo bene in chiaro da parte nostra che tale formula appare inaccettabile perché troppo restrittiva;

3) risultato discussioni esperti giuridici sarà comunque esaminato in seduta plenaria ove, se ancora necessario, insisteremo per formula a noi soddisfacente neiio specificare competenza Comitato ministri in materia politica o per ritorno aiia formula già approvata preliminarmente di «question of common concem».

Concordo con l'E.V. che non è questo un punto nel quale il nostro intervento possa assumere carattere di mediazione.

Aggiungo in ogni modo che da conversazioni confidenziali mi risulta che gli inglesi non mettono in questione possibilità che Comitato ministri tratti di fatto questioni di carattere politico ma preferirebbero evitare di menzionare nella redazione tale possibilità anche perché, nel delineare competenze, trovano talune resistenze tra delegazioni del gruppo scandinavo e del Benelux.

2 Del l o aprile, non pubblicato.

695 1 Vedi D. 689.

696

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 3286/3321 . Washington, 5 aprile 1949, ore 11,31 (perv. ore 21).

Cerimonia ieri2 si svolse bene per noi visto che mia breve allocuzione3 fu forse più applaudita di ogni altra. In conversazione dopo pranzo iersera con Truman questi mi disse «vostro discorso ha mostrato la via dell'avvenire al Patto».

Avendo appreso ieri da Acheson che Bevin non gli aveva ripetuto quanto aveva finito per ammettere meco domenica4 cioè che ricevendo Cirenaica non si sarebbe opposto assegnazione Tripolitania a Italia, manderò oggi una mia lettera privata ad Acheson5 ripetendogli le parole di Bevin e confermando mia formale domanda di transazione nell'interesse di tutti:

l) Somalia ad Italia;

2) Cirenaica a Inghilterra e simultanea attribuzione Tripolitania a Italia con promessa rapido avviamento indipendenza;

3) Commissione inchiesta O.N.U. in Eritrea per chiarire tanti grossolani errori circolanti in proposito.

Associazione nazionale della stampa americana offrendomi oggi banchetto ove mio discorso sarà riprodotto da tutte le radio adombrerò le nostre ragioni ma riferendomi molto amichevolmente a un discorso pronunciato nello stesso luogo quattro giorni fa da Bevin.

Dobbiamo tener presente che i rapporti anglo-americani sono ora intimissimi e la stessa Francia ne prova amaramente gli effetti.

697

L'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARRO BIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 3288/S.N. New Delhi, 5 aprile 1949, ore 17,10 (perv. ore 20,40). Mi riferisco al mio telegramma n. 31 1 .

DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni.fra l'Italia e gli altri Stati, vol. LXVIII, cit., pp. 298-304. 3 Testo in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 241-242. 4 Vedi D. 687. 5 Vedi D. 698.

Foreign Office secretary mi comunica istruzioni definitive delegazione indiana:

l) sostenere amministrazione fiduciaria O.N.U.

2) astenersi qualsivoglia votazione per diverse disposizioni colonie;

3) appoggiare mozione rinvio parziale o totale.

A quanto pare Stati Uniti America avrebbero secondato progetto aggregare Eritrea a Sudan anglo-egiziano. Segue rapporto corriere aereo.

696 1 Minuta autografa. 2 Si riferisce alla firma del Trattato dell'Atlantico del Nord. Il testo è pubblicato in MINISTERO

697 1 Vedi D. 670.

698

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, ACHESON

L. PERSONALE. Washington, 5 aprile 1949.

Following our short conversation at the Presidential dinner1 , I wish to confirm to you that after a rather long exchange of ideas with Mr. Bevi n on Sunday moming2 h e declared to me that i t was for him of supreme interest to get Cyrenaica, but that h e had no reasons to oppose our getting Tripolitania.

If this contemporary solution for Cyrenaica and Tripolitania is adopted, I want to add --since my wish is that you know ali of our position -that I would gladly state at the U.N. that our intention is to bring as soon as possible to their independence ali the regions eventually confided to us. In my opinion, this would even be in the best understood interest of ltaly because i t would mean, in the long run, the creation ofnew friends an d clients.

l'Il have told you everything when I add that I have been surprised and shocked at the amount of conflicting statements on Eritrea which are currently made; I have even heard from important authorities that Eritrea should be given to Ethiopia out of consideration for the Moslem world, while the very majority of the Eritreans are Moslems and Ethiopia is a Christian nation.

I have come to the conclusion that my duty is to ask that a new Commission appointed by the U.N. and composed of impartial neutrals go to Eritrea and report objectively on the present situation.

T o take such an action would not deprive Great Britain of what is most needed in London, i.e., Cyrenaica, and would, at the same time, avoid sudden and cruel delusions on ltalian public opinion at the very moment we have worked so hard to show our countrymen that not only America but [also] England has acted with the most friendly consideration toward us.

I am leaving tomorrow moming for New York but 1'11 be ready and pleased to come and see you in Washington when you think that this may be desirable.

2 Vedi D. 687.

698 1 Vedi D. 696.

699

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 634/268. Ankara, 5 aprile 1949 (perv. il 9). Mio telespresso urgente n. 600/255 del 29 marzo u.s. 1•

Il riconoscimento da parte della Turchia dello Stato di Israele era scontato da tempo. Le discussioni vertevano soltanto sul momento più propizio per procedervi. La prossima molto probabile ammissione del nuovo Stato all'O.N.U. è certamente stata una delle ragioni determinanti di quella decisione. La Turchia si sarebbe trovata altrimenti imbarazzata nei suoi movimenti e a rimorchio. I lavori della Commissione di conciliazione per la Palestina -la cui conclusione si era pensato in un primo tempo di attendere-procedono d'altra parte con una lentezza che ha sconsigliato l'attesa.

La Turchia è comunque il primo paese musulmano che abbia riconosciuto Israele. Il suo gesto ha in questo senso un qualche rilievo, che gli avvenimenti siriani hanno del resto pressoché completamente sfuocato e relegato in secondo piano.

Tutta la politica estera turca si muove oggi d'altro canto attorno al problema dell'inserimento del paese in un sistema-atlantico, mediterraneo, o quel che si voglia -di sicurezza. Sicché il suo gesto è anche inteso a rimuovere uno degli ostacoli che si frappongono al conseguimento di quell'obbiettivo, che appunto presume la preventiva normalizzazione dei rapporti fra quegli Stati che di quei sistemi o di alcuni di quei sistemi dovrebbero far parte.

Occorre infine ricordare che la Palestina, e cioè in definitiva il settore ebraico dell'economia palestinese, è stato, nel 1947, il quarto cliente, come volume di scambi, della Turchia, subito dopo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l'Italia. Sicché il gesto odierno ha anche una portata di interessi concreti non trascurabile.

700

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 636/269. Ankara, 5 aprile 1949 (perv. !'8).

V.E. troverà in altra parte di questo corriere le dichiarazioni fatte alla stampa da questo ministro degli esteri al momento della sua partenza per gli Stati Uniti. Non ho gran che da aggiungere a quanto già scrissi precedentemente in proposito1 . La Turchia non si accontenta dell'assistenza militare che gli Stati Uniti le prestano sulla base della dottrina Trurnan, né di dichiarazioni protettive, già fatte o da farsi, solenni, incoraggianti, lusin

ghiere certo, ma non impegnative e dunque platoniche. Ritiene che i sacrifici cui si sottopone per tenere in piedi un esercito indubbiamente sproporzionato alle sue risorse e la funzione che codesto esercito compie anche a difesa degli interessi altrui, siano tali da meritare considerazione e compenso molto maggiori di quel poco che le si dà, a spizzico e col contagocce, dopo infmite discussioni, sopraluoghi di tecnici, inchieste di parlamentari. L'esclusione dal Patto atlantico, sotto il pretesto-rivelatosi, dopo l'inclusione dell'Italia, inesatto-che quel patto riguardasse soltanto i paesi rivieraschi di quell'Oceano, mentre si spinge invece ben dentro al Mediterraneo, ha provocato amarezza unanime che avrebbe certamente toccato i vertici dello sdegno, se la Turchia potesse consentirsi di nutrire sentimenti siffatti, e di manifestarli, nei confronti degli Stati Uniti. Il Sadak si reca dunque in America allo scopo preciso di ritentare quel che sinora non gli è riuscito: l'inserimento della Turchia in un sistema di sicurezza occidentale. Naturalmente egli si rende conto delle difficoltà che si frappongono, sia ad un'ulteriore estensione del Patto atlantico sino a comprenderla, sia alla conclusione di un accordo mediterraneo. Mi diceva dunque giorni or sono di semplicemente sperare che il suo viaggio e i suoi contatti giovino ad accelerare in qualche modo l'evoluzione politica che potrà un giorno condurre alla costituzione di un sistema di protezione anche delle regioni di cui la Turchia fa parte e di cui soltanto la Turchia, e non altri, assicura oggi la difesa. Non ha quindi eccessive illusioni sulla possibilità di far presto e conta, per poter superare ostacoli che sa grossi, sopra tutto sull'Inghilterra, che è già legata alla Turchia da un trattato di alleanza e dovrebbe dunque avere interesse e vantaggio a diluire codesti suoi impegni anche su altre spalle, diminuendo di altrettanto il peso che grava, a questo titolo, sulle proprie.

Questa opinione pubblica ha comunque reagito in questi giorni vivacemente contro ciò che considera l'abbandono e l'isolamento della Turchia. Vecchie tesi sulla possibilità di trincerarsi in una posizione di neutralità armata sono riaffiorate, che potrebbero anche porre una qualche radice se la politica sovietica non fosse quella che è e che non vi è speranza che non sia.

Resteranno dunque tesi effimere. Il Sadak si è limitato per parte sua a sottolineare che la Turchia si difenderà naturalmente con tutte le sue forze nel caso fosse direttamente attaccata. «Se non lo fosse, la sua posizione sarà esclusivamente determinata dai soli impegni formali ch'essa avrà sottoscritto».

699 1 Non rinvenuto. 700 1 VediD.617.

701

IL MINISTRO A CIUDAD TRUJILLO, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 167/139. Ciudad Trujillo, 5 aprile 1949 (perv. i/15).

Riferimento: Mio telespresso n. 152/130 del 30 marzo u.s. 1 e telespresso ministeriale n. 3/983/c. del21 marzo 19492 .

Ho l'onore di comunicare a codesto Ministero che da quando questa legazione, a seguito di precise istruzioni, ha cominciato a svolgere il suo interessamento in merito al problema coloniale italiano, ha sempre ricevuto dimostrazioni di simpatia e di comprensione. È da rilevare però che gli alti funzionari di questa Cancelleria, compreso lo stesso ministro degli esteri, hanno sempre manifestato che le questioni coloniali in genere non interessano in modo particolare la Repubblica Dominicana, anche per l'assenza di problemi d'indole analoga.

La teoria prevalente del Governo dominicano in tali questioni è che sia necessario favorire l'autonomia delle colonie (processo che ha subito una stasi negli ultimi anni), pur tenendo conto degli interessi già costituiti o di carattere generale.

A prova dell'attuazione della tendenza di assenteismo in questioni coloniali, sta il fatto che il Governo dominicano non ha preso atteggiamento alcuno né per la questione di Belice, né delle isole Malvine, né del!' Antartide, e che alla Conferenza del!' Avana sui regimi coloniali non ha inviato nessun delegato per partecipare ai lavori. Anche la Conferenza di Barbados relativa alla situazione dei territori inglesi nei Caraibi, è stata praticamente ignorata dal Governo dominicano.

Questa legazione non ha mancato di insistere varie volte presso queste Autorità competenti sul problema delle colonie italiane ed ha ottenuto l'invio di istruzioni non rigide circa l'appoggio che la delegazione dominicana doveva dare alle nostre argomentazioni da discutersi in seno all'Assemblea generale della O.N.U.

Detta mancanza di rigidezza, a mio subordinato avviso, va intesa a nostro vantaggio.

Effettivamente, come noto, vi sono state variazioni del nostro punto di vista e l 'invio di istruzioni di massima non rigide, ha fatto sì che esse potessero rimanere inalterate e che il capo della delegazione dominicana alla O.N.U. potesse agire a suo discernimento, tenendo tuttavia presente la linea di massima di condotta, cosa questa che non sarebbe potuta sussistere qualora le istruzioni fossero state rigide, mettendo la delegazione dominicana in condizione di dover chiedere nuove istruzioni ogni qualvolta le discussioni o atteggiamenti in seno alla O.N.U. si fossero scostate da quelle originarie.

Sono stati perciò particolarmente opportuni i contatti avuti alla Conferenza di Parigi dall'ambasciata italiana ed ultimamente a New York da Mascia con i principali esponenti della delegazione dominicana.

Ritengo ad ogni modo che detti contatti dovrebbero essere mantenuti anche nel corso delle imminenti discussioni che al riguardo avranno luogo a Lake Success.

Per quanto riguarda il colloquio avuto da Mascia con il sig. Henriquez-Urefia, l'ignoranza di quest'ultimo del problema si deve, a mio subordinato parere, al fatto che il sig. Urefia non ha preso parte ai lavori della Conferenza di Parigi ove, in sua vece, vi è andato il Lic. Enrique de Marchena, con la qualifica di delegato plenipotenziario aggiunto.

Devo confermare che anche prima di ricevere le comunicazioni di codesto Ministero n. 3/238/c. del 24 gennaio 1949 e n. 3/667/c. del 28 febbraio 1949 3 ,

questa legazione non ha mancato di seguire con particolare attenzione ed interesse la questione e di aver ricevuto sempre conferma che le istruzioni a suo tempo impartite a Parigi e che avevano formato oggetto del mio telegramma

n. -20 del 26 novembre 19484, rimanevano sempre in vigore (mio telespresso n. -1251108 dell4 marzo 1949)5 .

Malgrado tali assicurazioni inequivoche ricevute da questo Ministero degli affari esteri, la legazione ha continuato ad illustrare i problemi delle nostre colonie in ogni occasione propizia, valendosi delle argomentazioni fornite da codesto Ministero ed ha ottenuto che la questione fosse nuovamente sottoposta alle decisioni di questo presidente della Repubblica il quale, secondo la Costituzione, è la unica persona avente l'autorità di decidere sull'atteggiamento della Repubblica Dominicana in merito alla politica internazionale, ed ha ottenuto, secondo il desiderio espresso da codesto Ministero, che il tenore delle nuove istruzioni fosse più preciso delle anteriori.

Alti funzionari di questa Cancelleria mi hanno assicurato che le istruzioni impartite alla delegazione dominicana alla O.N.U. a New York, pur lasciando una certa libertà di azione per eventuali ripieghi di ultima ora, sono quelle di affiancare nel modo più efficace e completo la tesi italiana, con speciale riguardo al futuro dell'Eritrea e della Tripolitania.

Naturalmente per misura prudenziale, questo ministro degli affari esteri mi ha confermato verbalmente quanto precede e si è quasi scusato se nella nota n. 9797 del 30 marzo da me trasmessa in copia a codesto Ministero con il telespresso n. 152/130 del 30 marzo u.s., la Cancelleria ha ritenuto di adottare termini più temperati e ciò evidentemente perché, mi ha detto il ministro, «non sempre tutto si può mettere per iscritto».

Questa legazione inoltre, e come è noto a codesto Ministero, non ha mancato in questi ultimi tempi di intensificare la sua azione, dato che ha ritenuto che, approssimandosi la data di inizio dei lavori della O.N.U., poteva essere più efficace. Ha ottenuto infatti la pubblicazione di articoli sulla stampa locale e non ha mancato di creare negli ambienti della Presidenza della Repubblica, degli Esteri e locali, una atmosfera completamente favorevole al nostro punto di vista.

Devo aggiungere inoltre che a quanto mi è stato riferito da fonte attendibile, da parte di questa legazione britannica non vi sarebbero state in questi ultimi tempi efficienti argomentazioni contrarie al nostro punto di vista, e ciò malgrado che, a quanto sembra, l'Inghilterra abbia acquistato in questi giorni tutto l'eccedente della produzione zuccheriera pagando in dollari anziché in sterline come era stato proposto anteriormente.

701 1 Non pubblicato, trasmetteva vari documenti tra i quali la Nota di cui al D. 678, nota 2. è Non rinvenuto.

701 3 Vedi D. 428.

701 4 Non pubblicato. 5 Vedi D. 549.

702

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE SEGRETA 610. Ankara, 5 aprile 1949.

Tua n. 3/1022 del23 marzo'.

La delegazione turca alla prossima Assemblea dell'O.N.U. sarà presieduta da questo ministro degli esteri, che è già partito per gli Stati Uniti. Egli è perfettamente informato del nostro punto di vista in materia africana. Tu sai qual' è la situazione internazionale della Turchia. L'esclusione dal Patto atlantico ha qui provocato una grossa reazione e la nostra inclusione un senso di rispetto e di dispetto insieme: di rispetto per la nostra diplomazia (la solita frase) che riguadagna ciò che i militari perdono e di dispetto per un successo che li scavalca e li ripone in quell'ordine gerarchico che ritenevano, evidentemente a torto, di aver raddrizzato a loro vantaggio. Respinti dali' America, hanno comunque dato un colpo di barra verso la Gran Bretagna, che è infatti la sola che abbia con la Turchia impegni scritti e riconfermati (quelli con la Francia sono invece, come tu sai, considerati caduchi dalle due parti). Sta di fatto che la Turchia è oggi più che mai incastrata nel solco britannico.

L'atteggiamento filo-islamico, cui ha accennato Sarper con Mascia, è elemento subordinato, che non ha affatto l'importanza che lo stesso Sarper sembra attribuirgli: la Turchia ha riconosciuto Israele quando ha ritenuto che i suoi interessi glielo consigliassero e lo ha fatto senza tante chiacchiere ed esitazioni. Se mai rigalleggiano, nei confronti del nostro problema africano, vecchi ricordi della guerra italo-turca: postumi di vecchie ferite, cioè, e riflessi sentimentali, piuttosto che reazioni politiche.

Tutta la politica estera turca continua d'altra parte a muoversi verso l'inserimento del paese in un sistema di sicurezza, si chiami atlantico, mediterraneo o quel che si voglia. Rimando su questo punto ai miei rapporti sull'argomento.

Ora io credo che se vogliamo ottenere qualche cosa dai turchi alla prossima Assemblea dell'O.N.U. il solo argomento che potrà indurii ad assumere un atteggiamento che sia in contrasto, almeno parziale, con quello britannico, può essere appunto soltanto questo: patto mediterraneo.

Non so se il ministro Sforza si senta di toccare con Sadak, con cui credo avrà occasione di incontrarsi a New York, questo tasto. Io lo riterrei, tutto sommato, consigliabile.

Un'intesa mediterranea presuppone d'altra parte la preventiva ed equa soluzione delle maggiori questioni che toccano appunto quel mare: fra cui quella dei nostri territori africani. Sicché agire in un senso che ci sia favorevole significa in sostanza, per i turchi, spianare contemporaneamente la strada a quell'accordo. Ed è questo che ho detto al Sadak prima della sua partenza.

Del resto gli ostacoli e le difficoltà di quell'intesa sembrano ancora tanti che credo possiamo darci l'aria di assecondarla senza troppo rischio. Ed è comunque il solo argomento cui i turchi sono oggi, ripeto, quasi patologicamente sensibili.

Per parte mia insisto naturalmente perché la delegazione turca si decida a votare le mozioni sulle quali gli anglo-americani e noi fossimo d'accordo e si astenga, se proprio non può allinearsi sulle nostre tesi, per quelle dove ci fosse contrasto tra i diversi punti di vista.

702 1 Non rinvenuto.

703

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3308/77. Vienna, 6 aprile 1949, ore 13 (perv. ore 15,30).

Da fonte confidenziale indiretta mi risulta che sottosegretario Graf, reduce da Roma, ha qui riferito conversazione avuta con ministro Scelba circa optanti e richiesta fattagli da medesimo e che si reputa ispirata da presidente del Consiglio circa una dichiarazione pubblica che sarebbe sollecitata a Governo austriaco in materia optanti1• Anche Schwarzenberg ha riferito in argomento in eguale senso. Si attenderebbe ritorno Gruber da Londra per riesaminare questione anche alla luce recente colloquio ministro Schwarzenberg con V.E. e promemoria rimesso al medesimo2 .

704

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 33431103-104. Belgrado, 6 aprile 1949, ore 23 (perv. ore 7,30 del 7).

Stamane, in occasione esame minuta lettera da inviarsi a Governo jugoslavo come da telegramma ministeriale 66 1 , signori Brilej e Pavlic hanno rilevato che trattative commerciali dovrebbero cominciare dopo parafatura e non dopo firma accordo pesca. Come è noto Brilej aveva assicurato senatore Bastianetto e conte Macchi di Cellere che si sarebbe proceduto senz'altro alla firma. Brilej ha fatto riferimento a conversazione telefonica 23 marzo che sarebbe intercorsa tra ministro Zoppi e ministro lvekovic. Ho rilevato che in base suddetto telegramma ministeriale ho sempre parlato di firma e che comunque dopo 23 marzo Brilej aveva dato a Bastianetto sollecita assicurazione per poter far entrare in vigore accordo l 0 maggio.

Senatore Bastianetto ritiene, per ragioni tecniche e dato cicli pesca, che qualora accordo non entri in vigore l o maggio, successiva entrata in vigore non può datare che dal l o settembre. Pertanto semplice parafatura favorirebbe soltanto questo Governo che otter

2 Vedi DD. 483 e 519. Per la risposta di Zoppi vedi D. 709.

rebbe subito impegno aumento plafond e inizio conversazioni commerciali. Ho quindi detto a Brilej che, al punto in cui siamo, non può parlarsi altro che di firma immediata.

Devo segnalare che all'inizio conversazione Pavlic ha persino parlato di entrata in vigore accordo pesca alla conclusione delle trattative commerciali. Brilej ha escluso ciò ma è stato vago su data effettiva firma accennando a possibilità che tra breve possa essere concluso anche accordo per beni nazionalizzati facilitando così soluzione questioni interdipendenti. Di fronte mie proteste e a mia presa di posizione, Brilej si è riservato comunicarmi decisione suo Governo.

Riterrei opportuno nostra intransigenza anche perché questo Governo ha interesse di incassare prima rata canone pesca e vedere realizzata al più presto promessa Governo italiano aumento plafond.

Infine segnalo che, dopo aver raggiunto accordo con Brilej su punti lettera di cui al telegramma ministeriale suddetto, questa mattina Pavlic ha chiesto modificazione come da testo che invio con separato telegramma2 .

Poiché tale richiesta mi obbligava a chiedere istruzioni codesto Ministero, ho fatto ricadere su Pavlic conseguente ritardo definizione questione. Prego telegrafarmi punto di vista codesto Ministero3•

703 1 Sull'argomento vedi anche D. 672.

704 1 Vedi D. 550.

705

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK1

T. S.N.D. 3359-3349/337-338. Washington, 6 aprile 1949, ore 11,12 (perv. ore 7,30 del 7). Mio rapporto 241411088 del 14 marzo2 .

In seguito a firma Patto atlantico, Dipartimento Stato ha prospettato a paesi firmatari opportunità presentare a Stati Uniti Nota verbale contenente prima generica richiesta aiuti militari. Tali note serviranno a Governo americano per appoggiare di fronte a Congresso imminente proposta di legge concernente aiuti militari a paesi esteri. In vista di tale scopo, Dipartimento Stato ha suggerito che dette note verbali siano armonizzate col testo del Patto atlantico e menzionino principi cui esso si ispira fra cui:

l) «self help»; 2) mutua assistenza; 3) necessità di commisurare sforzo militare ad esigenze della ricostruzione

economica di ciascun paese; 4) obbligo per singoli paesi contribuire a comune difesa in relazione loro posizione geografica, capacità produttiva, risorse naturali, disponibilità di mano d'opera, eccetera.

Dipartimento di Stato si propone di pubblicare venerdì ore Il note verbali di tutti i paesi firmatari (beninteso salvo quelli che eventualmente non chiedessero per il momento alcun aiuto).

Ciò stante, prese istruzioni da S.E. il ministro, provvedo a presentare qui nota verbale sulle linee suindicate e ne invio testo per corriere3 .

Dipartimento di Stato ha confidenzialmente concordato fin da oggi con questa ambasciata risposta che verrà data alla nota anzidetta. Essa conterrà assicurazioni favorevole accoglimento e dichiarerà che Governo americano, nel rivolgere al Congresso richieste stanziamento, si varrà, per quanto concerne bisogni Italia e in attesa di previste ulteriori conversazioni, di informazioni già fornitegli da Governo italiano. Tali informazioni, benché nota americana ne ometta menzione specifica per ovvi motivi di riservatezza da noi prospettati, sono quelle da noi fomite in passato qui ed a ambasciata americana Roma e in particolare quelle date da generale Marras in occasione sua visita4 .

Da informazioni confidenziali risulterebbe che disegno di legge concernente aiuti militari riguarderà non solo paesi aderenti Patto atlantico ma anche altri, quali Grecia, Turchia, Corea, Filippine, qualche paese sudamericano, eccetera. Somma globale da richiedere sarà probabilmente decisa da Truman entro questa settimana: si ritiene oscillerà fra un miliardo e un miliardo e mezzo. Né nel disegno di legge né nei documenti che lo accompagneranno sarà menzionata ripartizione somma tra diversi paesi.

Aiuti consisteranno in forniture (aiuti diretti) e in assistenza finanziaria per produzione bellica (aiuti indiretti). Segretario Stato illustra probabilmente domenica sera, in apposito radiodiscorso, atteggiamento americano su tutta la questione.

704 2 T. 3345/105, pari data, non pubblicato. 3 Vedi D. 711. 705 1 Inviato anche al segretario generale agli esteri Zoppi. 2 Vedi D. 548.

706

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. 398/c. SEGR. POL. Roma, 6 aprile 1949.

Riferimento: Telespressi di questo Ministero n. 16/21773/c., 16/23282/c. e 16/25887/c., rispettivamente in data 13 luglio, 3 agosto e 14 settembre 1948 1 .

Con i telespressi di pari oggetto in riferimento questo Ministero ha tenuto lo scorso anno al corrente le ambasciate in indirizzo sugli sviluppi della «questione dell'Alto Adige» e ciò anche per eventuale norma di linguaggio in relazione all'interes

4 Vedi serie undicesima, vol. l, DD. 719, 761, 762, 765, 785 e, in questo volume, D. 3.

se dimostrato in passato alla questione stessa dall'opinione pubblica, sopra tutto anglo-sassone, e all'interessamento dei Governi dei vari paesi, in particolare di quello inglese, all'applicazione, da parte nostra, dell'Accordo De Gasperi-Gruber per l'Alto Adige di cui all'annesso IV del trattato di pace dell'Italia.

Successivamente alle segnalazioni sopracitate sono state firmate, e parafate, le seguenti convenzioni fra Italia ed Austria che ripetono la loro origine dall'accordo precitato: l) convenzione per il transito facilitato ferroviario fra il Tirolo settentrionale e quello orientale attraverso la Val Pusteria (Convenzione firmata il 9 novembre u.s., disciplina relativa attuata a partire dal 15 novembre u.s.; 2) convenzione per il transito facilitato stradale fra il Tirolo settentrionale e quello orientale, sempre attraverso la Val Pusteria (Convenzione firmata il 9 novembre u.s., disciplina relativa in corso d'attuazione; 3) convenzione per lo scambio facilitato di merci fra la Regione Trentino-Alto Adige ed i Uinder Tirolo e Vorarlberg (parafato il l o marzo u.s.)2 .

In sostanza è stata curata l'esecuzione dei vari pacta de contrahendo di cui al paragrafo terzo dell'Accordo De Gasperi-Gruber, con la sola eccezione dell'Accordo di cui alla lettera b) di tale paragrafo relativo ad una convenzione per il reciproco riconoscimento dei titoli di studio, tuttora in corso di negoziato. Analoga sollecitudine veniva da parte italiana dimostrata nell'attuazione in Alto Adige dell'autonomia regionale che ha pienamente soddisfatto all'impegno da noi assunto nel paragrafo secondo dell'Accordo di Parigi di concedere alle popolazioni della Provincia di Bolzano e dei Comuni finitimi bilingui della Provincia di Trento «l'esercizio di un potere legislativo ed esecutivo regionale autonomo». Il passaggio dell'esercizio dallo Stato alla Regione di quelle funzioni a questa delegate dallo Statuto autonomo è in corso dopo l'elezione dei corpi regionali avvenuta nel novembre dello scorso anno.

Del pari analoga sollecitudine il Governo italiano ha dimostrato nel curare una scrupolosa revisione delle opzioni istituendo, sotto gli auspici del Ministero dell'interno, un apposito apparato amministrativo-giurisdizionale e, sotto gli auspici di questo Ministero, attrezzando adeguatamente gli uffici diplomatico-consolari in Austria e in Germania per la raccolta e la prima istruttoria delle istanze di revoca dell'opzione.

Tale procedura di revisione ha seguito il suo ritmo normale fino all'autunno scorso epoca nella quale il Governo austriaco, constatando evidentemente che l'affluenza delle domande di revisione non aveva quel carattere plebiscitario e totalitario che esso auspicava, ha proceduto all'emanazione di norme con preciso carattere discriminatorio nei confronti degli alto-atesini residenti in Austria che non intendevano rioptare ed ha intensificato una propaganda, fino allora condotta in sordina, per spingere quanti più possibile optanti verso la riopzione per finalità politiche di cui sono ovvì i motivi irredentistici.

Di fronte a tali misure, che hanno netto aspetto coercitivo, laddove la revoca o meno dell'opzione doveva essere lasciata alla libera decisione individuale al di fuori di qualsiasi forma di pressione in un senso o nell'altro, il Governo italiano, pur non volendo minimamente dipartirsi dalla politica di cordiale vicinato alla quale si era

sempre ispirato, si è visto obbligato ad assumere la posizione di cui ai tre pro-memoria rimessi al Governo austriaco, in data rispettivamente del 2 ottobre, del 22 dicembre 1948 e del 9 marzo u.s. qui allegati3 .

Di tali pro-memoria si ritiene opportuno venga data copia al capo dell'ufficio competente di codesto Dipartimento degli esteri al quale vanno illustrati in modo che, senza drammatizzare affatto la occasionale divergenza di vedute fra Italia ed Austria, codesto Governo venga reso edotto dei precisi termini di tale divergenza. E ciò in previsione di eventuali doglianze costà, !asciateci intravedere dal Ballhaus ove intendessimo, come intendiamo, rimanere fermi sul punto di vista da noi espresso e sulle conseguenze giuridiche che logicamente ne discendono.

705 3 Vedi D. 729, Allegato l.

706 1 Non pubblicati.

706 2 Le prime due convenzioni erano state firmate nel corso della visita a Roma del ministro Gruber nel novembre 1948, vedi serie undicesima, vol. I, DD. 586 e 621.

707

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 158 8/409. Varsavia, 6 aprile 1949 (perv. l'Il).

Riferimento: Mio telespresso n. 1431/375 del29 marzo u.s. 1•

Come ho riferito con il telespresso sopracitato, la reazione dell'Episcopato alla dichiarazione governativa circa la sistemazione dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa non poteva essere che negativa, se non altro per la forma con la quale la dichiarazione stessa era stata redatta e pubblicata.

Infatti l'arcivescovo Choromanski ha inviato al ministro Wolski una lettera nella quale in sostanza viene fatto presente che non è possibile un compromesso finché il Governo userà tali metodi ed il clero sarà oggetto di accuse senza potersi giustificare. Nella lettera si protesta altresì perché la dichiarazione è stata subito pubblicata nella stampa quotidiana.

La risposta definitiva dell'Episcopato polacco, a quanto mi risulta riservatamente, sarebbe concretata in un'altra riunione e resa nota il24 corrente, cioè la domenica dopo Pasqua.

Nel frattempo il primate ha colto l'occasione del 50° anniversario dell'ordinazione sacerdotale del Papa per pronunziare, la scorsa domenica 3 aprile, un sermone nella Chiesa di Santa Croce. Dopo aver avvertito tutti i cattolici a non credere a quanto scrivono i giornali, monsignor Wyszynski ha protestato contro la libertà lasciata a coloro che vilipendono la Chiesa, mentre gli scritti dei cattolici sono strettamente censurati ed ha citato un esempio in proposito: mentre in un articolo di un giornale di Varsavia si parlava del Papa quasi come di un criminale comune, accusandolo di essere un capitalista, l'articolo di un vescovo era censurato semplicemente perché

conteneva una citazione del Nuovo Testamento. Il primate ha invitato i calunniatori del Papa a recarsi a Roma per constatare che egli non è un prosperoso capitalista, ma un uomo emaciato dalla tisi e consumato dal digiuno, che passa notti intere pregando per redimere l 'umanità dai suoi peccati.

Il primate ha quindi sottolineato che il Papa è il padre di tutti i cattolici e non può avere una politica di destra o di sinistra. Ha condannato l'odierna degenerazione della giustizia ed ha pronunziato parole veementi contro «quella diabolica istituzione», il campo di concentramento, che sussiste ancora dopo la guerra e nel quale tante persone ancora soffrono. Questa istituzione, nata con i barbarici sistemi di polizia di Hitler e Mussolini si sta diffondendo nel mondo. «Noi vediamo -ha detto monsignor Wyszynski -che si stanno sgombrando le rovine, ma al loro posto sta sorgendo una grande prigione. Noi non possiamo non domandarci per chi sono queste prigioni e quanta gente disgraziata vi dovrà soffrire».

Il primate ha concluso dicendo che gli attuali ideatori di grandiosi piani per una fratellanza internazionale sono in ritardo poiché la Chiesa da due mila anni insegna le stesse cose, ed ha quindi invitato tutti i cattolici a considerare il Papa come il loro vero padre ed a respingere le calunnie contro la sua persona come se si tratti di insulti alloro padre naturale.

Con questo sermone, il primate ha evidentemente voluto uscire dalla sua riserva per condannare, non solo gli attacchi quotidiani contro il Capo della Chiesa, ma anche l'attuale crescente tendenza del regime a seguire i sistemi polizieschi sovietici. Forte impressione ha prodotto l'allusione alla grande prigione che sta sorgendo sulle rovine della Polonia, e si spargeva subito la voce in città che il primate aveva detto addirittura: «con i mattoni presi dalle macerie delle chiese si costruivano immense prigioni invece di nuove case». Aggiungerò, incidentalmente, che la voce deve esser giunta anche alla nostra radio, dalla quale è stata ritrasmessa il 5 c.m.

Da parte governativa continuano intanto gli attacchi alle gerarchie ecclesiastiche ed alla politica «antipolacca e progermanica» del Vaticano. Naturalmente non si manca di far leva sul nazionalismo, sottolineando che la Santa Sede è contraria all'attuale frontiera Oder-Neisse. Alla discussione sul bilancio che ha avuto luogo in questi giorni al Sejm, alcuni deputati hanno pronunciato discorsi per dichiarare la loro solidarietà con il Governo nella questione religiosa. Il rettore dell'Università di Wroclaw (Breslavia), ha detto che il sentimento di obbedienza a Roma dei cattolici polacchi è oggi in conflitto con il loro istinto di conservazione ed ha sottolineato che la Polonia non è mai stata tra le figlie preferite della Santa Sede. Solo il deputato Frankowski (del minuscolo gruppo cattolico-sociale) ha timidamente protestato contro tali dichiarazioni, condannando espressioni come quella che afferma «prima la Polonia e poi il Vaticano», ma premettendo che tutti i cattolici considerano intangibile l'attuale frontiera e desiderano l'ordine e la giustizia sociale.

Naturalmente, per disorientare i fedeli, si fa tutto il possibile per obbligare gruppi di cattolici ad esprimere se non solidarietà con l'atteggiamento governativo, almeno critiche alla supposta intransigenza delle gerarchie ecclesiastiche. Qualsiasi dichiarazione di cattolici che può servire a sottolineare il silenzio mantenuto dalla Chiesa polacca, viene subito pubblicata sulla stampa e commentata. Perfino sul quotidiano cattolico indipendente Slowo Powszechne è comparso un ambiguo articolo nel quale -con tortuosi ragionamenti -si afferma che un modus vivendi fra Stato e Chiesa, pur non essendo indispensabile all'esistenza di ciascuno di essi, è tuttavia nell'interesse di ambedue, perché un conflitto profitterebbe solo al servizio informazioni degli anglo-sassoni.

Infine la malafede dell'autorità, che nella dichiarazione aveva fermamente espresso l'intenzione di mantenere l'istruzione religiosa nelle scuole, è resa sempre più evidente dal fatto che a molti sacerdoti viene perfino impedito con pretesti vari di presentarsi nelle aule.

Tutto ciò non spiana certamente la via per un eventuale compromesso e non è difficile prevedere che la risposta definitiva dell'Episcopato -che come ho detto sarà pubblicata il 24 aprile p.v. -non sarà di completa adesione alle richieste del Governo.

Del resto la Radio vaticana, a quanto viene diffuso da questa stampa, avrebbe attaccato apertamente le recenti dichiarazioni del Governo polacco, dimostrando così che anche la Santa Sede trova inaccettabili le condizioni che si pongono ali' esercizio dell'attività religiosa.

706 3 Vedi rispettivamente serie undicesima, vol. I, DD. 474 e 769 e, in questo volume, D. 519. 707 1 Non pubblicato.

708

IL MINISTRO A HELSINKI, RONCALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 466/146. Helsinki, 6 aprile 1949 (perv. il 26).

Come è noto oggi è il primo anniversario del Patto finno-sovietico 1 .

I partiti comunista e di unità socialista lo hanno festeggiato per conto loro domenica 3 corrente con un grande comizio sul piazzale della stazione centrale, al quale hanno partecipato oltre 7 mila persone. Tutto si è svolto in perfetto ordine sotto gli occhi della polizia. Mentre però questo ordine è elemento comune a tutte le riunioni finlandesi, più notevole è stato il tono relativamente moderato dei discorsi.

Ha parlato prima Aatos Wirtanen (fusionista), il quale ha attaccato la conclusione del Patto atlantico qualificandolo come strumento aggressivo, e svolgendo in proposito gli argomenti ormai noti. Egli ha dichiarato che anche la Finlandia ha cominciato ad assumere importanza venendo a trovarsi al centro di un delicato settore della politica internazionale. Il suo compito è perciò appunto tanto più necessariamente quello di creare relazioni fiduciose coll'U.R.S.S. secondo lo spirito del patto d'amicizia. Wirtanen ha qualificato come «assai preoccupante» il tono delle critiche sovietiche di stampa e radio, che devono porre gli organi statali, responsabili della conclusione del patto, di fronte alla loro responsabilità della osservanza di esso, allo scopo di evitare la ripetizione delle sciagure passate. Ed ha concluso auspicando la vittoria dei principi di pace e democrazia.

Dopo di lui ha parlato Hertta Kuusinen, con espressioni più decise del suo predecessore, accennando al «fulmine» che, sotto forma di un patto d'amicizia, ha colpito un anno fa gli ambienti della reazione finlandese, per iniziativa del grande amico della Finlandia, Stalin. Sono gli stessi ambienti, essa ha detto, che nel '44 si procuravano indumenti necessari per un viaggio in Siberia, ed ora hanno rialzato la testa. Accennando ad un'altra manifestazione pubblica organizzata per oggi dal Governo in occasione dell'anniversario, nel corso della quale dovrebbero parlare Fagerholm e lo stesso Paasikivi, la Kuusinen ha aggiunto che tale iniziativa non deve ingannare alcuno, poiché non è che una maschera. Se il Patto finno-sovietico non fosse stato concluso, essa ha aggiunto, non si parlerebbe oggi, a proposito del Patto atlantico, soltanto della Scandinavia e della Spagna fascista, ma anche della Finlandia. Nelle attuali condizioni, almeno ufficialmente, non se ne può parlare. Deve però essere ben chiaro che il popolo finlandese non potrà più essere spinto a formare un trampolino per un attacco contro l'U.R.S.S. L'amore all'indipendenza del paese deve indicare che il posto della Finlandia è accanto all'U.R.S.S.

Nelle circostanze attuali ci si sarebbe potuto aspettare un tono ben più aspro e violento. Lo stesso segretario generale, ministro Voionmaa, mi ha confermato, l'indomani del comizio, la sua soddisfazione per il tono generale dei discorsi e per l'ordine della manifestazione. Se si tiene conto del fatto che anche lo sciopero metallurgico, che pareva inevitabile, è stato composto d'accordo fra le parti, non si può non riconoscere a questa gente una buona dose di coscienza nazionale.

Rimane ora da vedere se il provvedimento di grazia, proposto dal ministro della giustizia a favore di Ryti (mio telespresso n. 417/130 del 26 marzo u.s.)2 , verrà perfezionato dal presidente. Fino ad oggi ciò non è avvenuto. Fino ad oggi, mi si è detto, «Paasikivi non ha avuto il coraggio» di farlo. Ma il provvedimento è considerato ormai sicuro per le condizioni di salute del detenuto. È stato invece liberato, sempre su iniziativa del ministro Suontausta, il colonnello Usko Haahti, uno degli ispiratori e maggiori esecutori della occultazione d'armi (nei cui riguardi ho riferito a suo tempo), il solo condannato ad una pena rilevante.

Il meno che si possa dire di tali manifestazioni, è che sono dei colpi di spillo, che ci si affretta a dare al grosso vicino, nel momento in cui questo ha, o dovrebbe avere, cose assai più importanti alle quali pensare. Se il Patto di cui oggi si celebra, almeno esteriormente, l'anniversario, è considerato qui come un male necessario ed una specie d'assicurazione sulla vita, il Patto atlantico ha portato, in certo qual modo, una garanzia di sicurezza fino alla frontiera nord occidentale della Finlandia. Se in questo avvicinamento vi possono essere dei rischi immediati, l'impressione generale qui è che sono maggiori i vantaggi, data la tendenza a comprendere la Finlandia fra quei paesi che, pur non partecipando al Patto atlantico, non saranno dimenticati, come ho osservato altra volta, dagli U.S.A. al momento opportuno.

In questa situazione, i bravi fmlandesi si considerano autorizzati a procedere imperterriti per la loro strada, senza tante delicatezze formali verso la vicina orientale, pensando, non senza ragione, che se questa riterrà necessario o soltanto opportuno venire alle vie di fatto colla Finlandia, lo farà senza preavviso e senza darsi la pena di cercare un pretesto, né nella liberazione di Ryti né in altro qualsiasi atto meno che amichevole di questo Governo.

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708 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 550.

708 2 Non pubblicato.

709

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. 2697/54. Roma, 7 aprile 194 9, ore 13.

Telegramma di V.E. n. 77 1•

Del colloquio Graf-Scelba e della richiesta che sarebbe stata rinnovata da quest'ultimo di una dichiarazione austriaca circa sorte altoatesini non rioptanti residenti in Austria questo Ministero ha avuto notizia pochi giorni or sono dal ministro Schwarzenberg2 . Sono in corso presso Presidenza Consiglio accertamenti di cui le sarà telegrafato esito3 .

710

IL DIRETTORE GENERALE DELL'EMIGRAZIONE, VIDAU, ALL'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. 2718/14. Roma, 7 aprile 1949, ore 21,45.

È nostra intenzione richiedere ambito piano E.R.P. crediti per finanziare nostra emigrazione. Poiché legge canadese autorizza ingresso ad italiani muniti piccolo capitale, si gradirebbe conoscere se richiesta crediti per fornire capitali gruppi nostri coloni desiderosi ottenere concessioni fondiarie in Canada trovi, come potrebbe desumersi anche da esplicite dichiarazioni questo addetto immigrazione, codeste autorità consenzienti e disposte dare adeguato sviluppo tale formula migratoria. Se condizioni per ottenere concessioni sono relativamente convenienti, ed ubicazione terreni in clima sopportabile, si ritiene che formula emigrazione in gruppi organizzati con capitale su base cooperativa sia consigliabile.

Ella vorrà quindi preannunciare che ci accingiamo fare suddetta richiesta crediti, facendo presente che nel caso si potesse dare iniziativa lo sviluppo desiderato e potessero essere concordate condizioni favorevoli, invieremmo elementi attivi e dotati spirito intrapresa, eventualmente accompagnati da esperti tecnici agricoli, sottolineando che applicazione formula su larga scala potrebbe permettere valorizzazione vaste zone incolte nello interesse del Canada1 .

2 Vedi D. 672.

3 Vedi D. 756.

709 1 Vedi D. 703.

710 1 Per la risposta vedi D. 1041.

711

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 2720/93. Roma, 7 aprile 1949, ore 23,30.

Faccio riferimento suoi telegrammi 103 e l 04 1•

Interdipendenza fra questioni in discussione Belgrado e a Roma fu, come è noto, sempre nostro punto fermo e anche recentemente (secondo quanto risulta anche da telegramma ministeriale n. 70)2 fu detto a Ivekovic che noi eravamo pronti a parafare gli accordi a mano a mano che questi sarebbero stati conclusi, salvo poi dargli vigore allo stesso momento, dopo però che sia stato raggiunto l'accordo su tutti quanti. Si lasciò inoltre comprendere che da parte nostra si era disposti a firmare e a far entrare in vigore allo stesso tempo i due accordi che da ambo le parti fossero definiti, e precisamente gli accordi riguardanti le navi da guerra e la pesca. In seguito si è consentito all'aumento del plafond e per iniziare le trattative commerciali si è subito deciso di invitare la delegazione jugoslava. Con ciò codesto Governo ha da noi ottenuto, contro la convenzione pesca, l'accordo per navi da guerra e l'impegno di aumentare gli scambi e di dare inizio immediatamente ai negoziati relativi; adesso quindi siamo noi ad essere in credito ed appare lecito aspettarsi che si giunga in pari tempo alla firma della convenzione per l'accordo navi, della pesca e l'inizio delle trattative per l'accordo commerciale. Tanto più in quanto la convenzione pesca entrerebbe eventualmente in vigore il l o settembre e pertanto saremmo obbligati a rinviare la consegna delle navi a tale epoca.

Spieghi a codesto Governo che, al punto in cui siamo e considerato anche lo sviluppo favorevole della questione beni e data anche la necessità di creare per le trattative commerciali una favorevole atmosfera, è nel suo interesse di non irrigidirsi su posizione a lei esposta3 •

712

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, T A COLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 3353/13-14-15-16. Montevideo, 7 aprile 1949, ore 0,40 (perv. ore 7,30).

Dopo minuziose discussioni si è giunti testo dichiarazione congiunta sotto trascritta. Esso, se approvato da V.E., sarebbe firmato sabato mattina essendo impossibile successivamente addivenire firma durante dieci giorni ferie pasquali. Attendo peraltro anche conferma questo presidente della Repubblica.

2 Riferimento errato, si tratta presumibilmente del D. 606.

3 Per la risposta vedi D. 749.

Ove VE. autorizzi, vorrà telegrafarmi d'urgenza in chiaro che sono investito pieni poteri per la firma dell'accordo. Questo Governo desidera dare larga pubblicità stampa ed attenderà per farlo che pervenga costà mio telegramma annunciante avvenuta firma onde assicurare contemporaneità diffusione notizie. Da parte Uruguay gradirebbesi stampa italiana desse analogo rilievo.

Segue testo dichiarazione congiunta.

«Governo italiano e Governo uruguaiano animati comune desiderio stringere e rafforzare sempre più vincoli amicizia esistenti tra i due paesi, dopo di aver esaminato congiuntamente le loro reciproche relazioni nei diversi settori, hanno constatato esistenza vasto campo per una collaborazione reale ed effettiva che dovrà risolversi in molteplici benefici per ambe parti.

N eli 'attuale situazione politica internazionale due Repubbliche perseguono obbiettivi comuni per quanto concerne consolidamento pace difesa della democrazia e delle libere istituzioni, come pure per quanto riguarda rafforzamento sistemi cooperazione internazionale ispirando la loro rispettiva attività ai nobili principì già stabiliti nello Statuto Nazioni Unite.

Tradizionale amicizia che lega due parti, comunanza della loro civiltà e della loro cultura e l'identità intenti costituiscono base più solida perché venga favorita intensificazione della loro collaborazione e dei loro scambi: in tale spirito i due Governi propongonsi mediante più frequenti contatti e scambi di idee prestarsi mutuo appoggio ogni qual volta sia possibile in tutto quanto concerne posizione giuridica due paesi nella comunità internazionale e la tutela dei loro rispettivi interessi legittimi.

Nel campo attività culturali, economiche, finanziarie, giuridiche e del lavoro si è pure constatata comune opinione che un rafforzamento delle relazioni ed un aumento dell 'intercambio risulteranno altamente benefici entrambe parti e contribuiranno rispettivo progresso nella pace e nel lavoro.

Sviluppo industriale agricolo e tecnico, una più stretta cooperazione per provvedere alla mano d'opera particolarmente quella specializzata e loro beni strumentali di consumo e materie prime, favorirà rafforzarsi economia ed elevarsi livello medio vita due popoli, ciò che costituisce aspirazione e fine negoziati che si stanno per iniziare. Infatti con questi intendimenti i due Governi propongonsi ampliare e perfezionare Convenzione 19 agosto e Protocollo addizionale 1° ottobre 1914 sull'arbitrato generale obbligatorio nonché Trattato di commercio 26 febbraio anno 1947. Essi intendono altresì aver frequenti contatti e scambi d'idee allo scopo di adottare quelle deliberazioni e quelle ulteriori intese che sembrassero convenienti onde assicurare la migliore attuazione prevista accordi nonché costanti sviluppi relazioni nel campo suddette attività. Essi propongonsi inoltre addivenire ad un accordo che favorisca sviluppo nel modo più ampio e completo dell'intercambio culturale e promuova anche in questo campo una più vasta reciproca conoscenza.

Due Governi dichiarano collaborazione fra i due paesi non potrà mai venire contrastare impegni internazionali da ciascuno di essi precedentemente assunti e si riservano facoltà stabilire analoghe intese con altri paesi egualmente amanti pace.

Fatto a Montevideo in duplice originale ciascuno in lingua italiana e spagnola facenti eguale fede» 1•

711 1 Vedi D. 704.

712 1 Per la risposta di Zoppi vedi D. 719.

713

L'AMBASCIATORE A N AN CHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 3379/48. Nanchino, 7 aprile 1949, ore 16,40 (perv. ore 18,20).

Da notizia comunicata in via confidenziale da Li Tsung-jen ad ambasciatore americano, e da questi a riunione ambasciatori potenze Patto atlantico, comunisti, malgrado inizio conversazioni pace Pechino, intenderebbero traversare Yangtse prossimi giOrni.

Non si esclude qui che ciò, se avverrà, intenda essere risposta sovietica a Patto atlantico. Si prevede che, ove tale eventualità si verifichi Li Tsung-jen costretto abbandonare Nanchino rivolga formale appello rappresentanti stranieri perché seguano Governo al sud e faccia intendere che qualora non riceva assicurazione in tal senso non gli rimarrà che capitolare.

Ambasciatore britannico, come tre mesi orsono, risolutamente favorevole restare Nanchino per stabilire contatto comunisti in vista soprattutto promozione interessi commerciali britannici qui. Ambasciatore americano incerto tra seguire stessa politica o fare gesto solidarietà con Li Tsung-jen (a lui più gradito di quanto lo fosse Chiang-Kai-shek) anche in considerazione posizione nettamente pro-sovietica assunta in loro recenti manifestazioni da comunisti cinesi.

714

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D.URGENTISSIMO PERSONALE 3386/340. Washington, 7 aprile 1949, ore l O, 15 (perv. ore 19,35).

Sarebbe estremamente utile e tempestivo che Dunn facesse valere qui forte reazione stampa opinione pubblica italiana rispetto questione colonie e dichiarazione Dulles a O.N.U., in stridente contrasto con effetti benefici Patto atlantico, mettendo rilievo grave nocumento per posizione Governo e Sforza specie data sua presenza qui 1 .

714 1 Vedi DD. 721 e 723.

715

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3387/66. Mosca, 7 aprile 1949, ore 19,27 (perv. ore 19,35).

Literaturnaja Gazete di ieri ha pubblicato un articolo di Tixonov riguardante ministro Sforza e contenente, oltre solita polemica anti-atlantica, alcune frasi di carattere ingiurioso.

Stamane ho protestato energicamente con Vinogradov, chiedendogli di intervenire presso direzione rivista e di evitare simili sconfinamenti dai limiti della decenza polemica.

In un primo tempo si è, come al solito, trincerato dietro la libertà d'opinione e di stampa rifiutandosi accettare mia protesta. In un secondo tempo, di fronte alla evidenza delle mie argomentazioni, mi ha promesso di esaminare attentamente quanto avrebbe potuto fare nel senso da me richiesto.

716

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 3397/342. Washington, 7 aprile 1949, ore 20,22 (perv. ore 7 dell'B).

Oggi, nel consegnare personalmente ad Hickerson, Nota verbale concernente aiuti militari, di cui a mio 337 1 , l'ho ancora una volta intrattenuto su problema colonie.

Gli ho ripetuto noti argomenti circa necessità raggiungere soluzione conforme a giustizia, ad interessi italiani e ad atmosfera createsi con nostra adesione Patto atlantico. Ho insistito su carattere estremamente conciliante delle proposte da noi avanzate a suo tempo e su opportunità fame oggetto conversazioni amichevoli. Ho segnalato profonde sfavorevoli giustificate reazioni opinione pubblica italiana in seguito a dichiarazione fatta ieri da Dulles e Lake Success.

Hickerson ha ammesso imbarazzo del Governo americano, che non è ancora riuscito assumere atteggiamento definito, cosicchè dichiarazioni Dulles sono risultate alquanto confuse. Ha ammesso altresì che sarà difficile ottenere maggioranza due terzi a favore assegnazione Cirenaica a Gran Bretagna senza contemporanea soluzione questione Tripolitania. Circa quest'ultima ha espresso opinione che eventuale decisione a

noi favorevole comporterebbe probabilmente un ritardo nella effettiva consegna. Ho detto che qualora America si orientasse in tal senso, occorrerebbe che assegnazione trusteeship italiano fosse fin da ora esplicita e che si stabilisse progressiva sostituzione occupazione e servizi fino a totale assunzione da parte nostra a data prefissa.

Comunicato a New York.

716 1 Vedi D. 705. Per il testo della nota vedi D. 729, Allegato I.

717

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 3398/33. New York, 7 aprile 1949 ore 11,31 (perv. ore 21).

Dichiarazione collettiva circa nota sovietica1 fu su mio consiglio modificata in modo da servire ugualmente per tutti i firmatari del Patto. Testo spedito costì dall'ambasciata a Washington servirà Ministero per una cortese risposta sulle stesse linee.

718

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

TELESPR. SEGRETO 3168/1374. Washington, 7 aprile 19491•

Riferimento: Mio rapporto n. 2414/1088 del14 marzo u.s.2 .

Informo codesto Ministero che a seguito delle prime conversazioni di natura confidenziale segnalate con il mio rapporto citato, questa ambasciata ha continuato a tenere il più stretto contatto con il Dipartimento di Stato sull'argomento in oggetto in discussioni che hanno avuto carattere gradualmente più ufficiale. Su di esse ho costantemente tenuto informato S.E. il ministro nel corso del suo soggiorno qui. Ne riassumo comunque il contenuto per conoscenza di codesto Ministero.

Con l'avvenuta firma del Patto atlantico, il Dipartimento di Stato ha iniziato la «offensiva» nei confronti del Congresso per facilitare l'approvazione della legge che dovrà essere votata in merito agli aiuti militari per i paesi membri del Patto e anche per gli altri che perseguono le stesse finalità degli Stati Uniti d'America. Di tale

«offensiva» fanno parte discorsi di alti esponenti del ramo esecutivo del Governo, quali il discorso pronunciato ieri dal generale Bradley su cui riferisco con rapporto a parte3 e il discorso che pronuncerà il segretario di Stato Acheson, presumibilmente domenica prossima in una radio-diffusione. Con essi l'Amministrazione intende esporre a grandi linee quello che sarà il contenuto della relazione che accompagnerà la proposta al Congresso della legislazione predetta, stimolare l'attenzione dei membri del Congresso su tale particolare legislazione e infine svolgere fin d'ora opera di persuasione sugli elementi più recalcitranti per ottenere un favorevole esame della legge. I funzionari del Dipartimento di Stato che hanno partecipato alla preparazione del progetto di legge sono tutt'altro che sicuri, secondo esplicite dichiarazioni da essi fatte, che le proposte in corso di formulazione possano avere rapido e benevolo accoglimento da parte del Congresso. Due sono soprattutto gli ostacoli maggiori che si oppongono a un sollecito passaggio della legge. In primo luogo i membri del Congresso sono contrari ad approvare nuovi stanziamenti prima del completo perfezionamento del Patto atlantico. Essi ovviamente tendono a collegare anche nel tempo le due legislazioni e a studiare la legge per gli aiuti militari successivamente alla completa entrata in vigore di quel trattato internazionale, il Patto atlantico, che costituisce appunto la base per la elargizione dei nuovi aiuti. In sostanza, essi dicono, è superfluo gravare l'erario e il contribuente americano di nuovi pesi, quando il Patto non soltanto non è stato ratificato, ma non si sono, per tale motivo, creati ancora quegli organismi che il Patto stesso prevede per il coordinamento dell'apparato militare dei paesi partecipanti.

In secondo luogo, vi è notevole riluttanza a prendere in esame i nuovi stanziamenti, in quanto, nella fase di leggera deflazione che attraversa in questo momento l'economia americana, non viene con favore vista l'imposizione di nuove tasse, imposizione che sarebbe necessaria per l'ottenimento dei fondi richiesti per l'esecuzione della nuova legge.

In realtà il finanziamento dei nuovi aiuti militari potrebbe avvenire o con la predetta imposizione di nuovi aggravi fiscali, o con l'apertura di un deficit di bilancio, o con la riduzione di altre spese, sia nel capitolo delle Forze armate, o sia anche in quello degli aiuti economici all'Europa. Tale dilemma fa già oggetto di varie pubblicazioni di stampa ed è stato anche menzionato in un conferenza tenuta ieri al Ministero della difesa, con l'intervento di alti funzionari militari e civili di tale Dipartimento, dal consulente economico del presidente, Eddie Nourse. (È da notarsi al riguardo che, avendo qualche giornalista riprodotto con troppa enfasi la parte del suo discorso con cui il Nourse faceva presente che si sarebbero dovute ridurre le spese su altri capitoli, il presidente Truman, nella sua conferenza stampa, ha tenuto a precisare che nessuna decisione era ancora stata presa al riguardo). In realtà mi risulta, da confidenze fatte da funzionari del Dipartimento, che, come ho già telegrafato, il presidente Truman esaminerà le proposte del Dipartimento stesso nei prossimi giorni e che è prevista una sua decisione entro la prossima settimana. È stato anche fatto presente che «teoricamente» la somma relativa alle proposte di cui trattasi varia tra un miliardo e due miliardi di dollari. È però assolutamente da escludersi sin d'ora che un

ammontare così elevato, come due miliardi, possa essere preso in considerazione. Si pensa piuttosto a una somma intermedia tra un miliardo e un miliardo e mezzo. Essa naturalmente costituirà la proposta dell'Amministrazione e potrà essere ulteriormente diminuita dai comitati per gli stanziamenti. Ovviamente l'ammontare dipenderà dal tipo di assistenza che si vuoi fornire e dal numero di paesi, oltre quelli facenti parte del Patto atlantico, che saranno inclusi nei provvedimenti legislativi.

In vista delle riluttanze da parte dei membri del Congresso, che ho sopra illustrato, mi sembra interessante segnalare a codesto Ministero i principi su cui l' Amministrazione baserà questa prima richiesta di stanziamenti, che deve essere forzatamente formulata in anticipo sulla entrata in vigore del Patto atlantico. Il segretario di Stato farà presente al Congresso che, con tali proposte, l'Amministrazione ha agito in base a un honest judgement di necessità dei paesi che intendono opporsi all'aggressione e che tale honest judgement ha indotto l'Amministrazione a formulare proposte immediatamente. È anche in base a un simile giudizio, alquanto unilaterale, che l'Amministrazione ha fatto i suoi calcoli, dato che essa non poteva che basarsi su informazioni in suo possesso e non era ancora in grado di disporre del tipo di informazioni e dei dati che si potranno avere solo quando gli organismi previsti dal Patto atlantico si saranno costituiti. D'altro canto l'Amministrazione ritiene che, anche se i paesi che beneficieranno dei nuovi aiuti militari non potranno armonizzare le loro richieste che in un secondo tempo, quanto si potrà concedere in questa prima fase del programma di aiuti sarà sempre talmente inferiore alle reali necessità che un eccessivo coordinamento non è assolutamente necessario. Ciò è dimostrato ad esempio, dalle richieste avanzate dai paesi del Patto di Bruxelles, che, a detta dei funzionari americani, sono talmente esorbitanti che se dovessero essere prese totalmente in considerazione condurrebbero a proposte del tutto eccessive e renderebbero impossibile qualsiasi concessione ad altri paesi. Alla domanda rivolta da questa ambasciata per conoscere su quali informazioni il Dipartimento di Stato si era basato per formulare le richieste relative all'Italia, i funzionari predetti hanno risposto che tali informazioni erano sia quelle fomite con le varie note di questa ambasciata nell'estate scorsa per il fabbisogno aeronautico, sia quelle fomite in occasione delle nostre richieste di surplus, e sia infine quelle più ampie e complete sottoposte dal generale Marras nel corso della sua visita negli Stati Uniti4 e dai nostri Ministeri militari agli addetti dell' ambasciata americana a Roma.

Come ho già riferito con il mio rapporto citato, rimane ferma l'intenzione di provvedere aiuto diretto con forniture di materiale americano e aiuto indiretto con assistenza finanziaria in dollari commisurata a quello che sarà il maggiore sforzo produttivo delle singole industrie nazionali.

Alla domanda di questa ambasciata intesa ad accertare se il Governo americano intendeva inviare ai paesi europei altro surplus, è stato assicurato che, ad eccezione di qualche genere in surplus presso la Marina, il Governo americano intendeva inviare materiale della riserva ad uso corrente delle Forze armate americane. I nuovi aiuti, in sostanza, nella loro forma diretta, saranno cioè costituiti da materiale fresco tratto dagli arsenali americani. Gli stanziamenti che saranno

richiesti dovranno servire appunto a rimpiazzare tale materiale tratto dalla riserva americana, oltre che finanziarie nuova produzione negli Stati Uniti e, come sopra detto, elargire aiuti indiretti. È stato anche confidenzialmente accennato che, per il calcolo del materiale che verrà fornito ai paesi beneficiari si sono usati i prezzi del 1945, allo scopo di consentire che le somme, certamente insufficienti, che verranno votate dal Congresso, possano giocare in misura maggiore per provvedere le forniture di cui trattasi.

Nei contatti avutisi, questa ambasciata ha anche cercato di accertare le proporzioni con cui verranno distribuiti gli aiuti. Il Dipartimento ha tenuto a precisare che non è assolutamente intenzione dell'Amministrazione di pubblicare, nel presentare la legge al Congresso, una qualsiasi ripartizione di assegnazioni, trattandosi di problemi che implicano anche questioni di segreto militare, sia per gli Stati Uniti e sia per i paesi partecipanti. D'altro canto non è assolutamente nei propositi del Governo americano di influenzare, attraverso la ripartizione degli aiuti, quelle che potranno essere le considerazioni di carattere strategico da adottarsi da parte degli organismi che verranno costituiti nel quadro del Patto atlantico. I problemi di carattere militare saranno soltanto esaminati di comune accordo da detti organismi, alla luce delle esigenze di ognuno e dei criteri che verranno concordemente decisi. Pertanto la risposta che l'Amministrazione americana può dare, anche nei confronti del problema della ripartizione, è che su di esso si è esercitato un honest judgement, sulla base delle informazioni disponibili. Ciò tanto più in quanto non sarebbe stato possibile disporre per un coordinamento delle necessità, e di conseguenza degli aiuti, prima della firma del Patto, firma che d'altra parte deve segnare l'immediato inizio della campagna nei riguardi del Congresso.

I funzionari hanno anche lasciato intendere che non si è voluto incoraggiare un simile coordinamento, o comunque un intersecarsi di contatti e di consultazioni, anche per non rompere il cerchio costituito dal Patto di Bruxelles che, malgrado non sia ufficialmente ammesso da parte americana, costituisce comunque un specie di nucleo embrionale di tutto il sistema del Patto atlantico. È ovviamente questo un elemento che dobbiamo tenere presente con molta attenzione, anche perché il fatto che i paesi del Patto di Bruxelles possano presentarsi come un tutto unico, renderà più facile ad essi ottenere la parte maggiore degli aiuti, non fosse altro per i maggiori affidamenti e le migliori garanzie che automaticamente offrono proposte coordinate a differenza di altre che vengono presentate in modo non armonizzato.

Per quanto riguarda il particolare problema dell'ammontare degli aiuti che vengono calcolati per l 'Italia, il Dipartimento si è mostrato molto riluttante a fornire qualsiasi precisazione, anche perché, come è ovvio, tale ammontare è in stretta relazione con quello globale e comprende anche aiuti indiretti che saranno proporzionati allo sforzo produttivo che noi potremo compiere.

Circa tale questione degli aiuti indiretti, ritengo opportuno ritornare nuovamente sull'argomento con codesto Ministero, perché mi sembra estremamente importante che i nostri Enti competenti, siano essi militari o economici, considerino fin d'ora molto attentamente le implicazioni del self-help e mutua! aid previsti dal Patto atlantico. Le informazioni che ho fornito con il mio rapporto citato sono state in pratica confermate anche nelle conversazioni successive con il Dipartimento. In sostanza gli aiuti indiretti saranno costituiti da finanziamenti in dollari delle materie prime che ci occorrono per le nuove fabbricazioni di guerra e da certi compensi, da prevedersi molto limitati, per l'influenza eventualmente sfavorevole sulla situazione economica generale, che una concentrazione di sforzi su produzioni non economiche quali quelle militari potrà comportare. Ciò che importa quindi è che rimane confermato che l'aiuto in dollari sarà proporzionato al nostro sacrificio in lire. D'altro canto, occorre anche tener presente che, quando si parla di mutua! aid, ciò non vuoi dire soltanto aiuto americano all'Europa, ma anche aiuti reciproci tra europei, e che tali aiuti reciproci comportano concessioni tra gli uni e gli altri paesi, le quali non dovrebbero avvenire con forme di pagamento normali. In altre parole, gli aiuti reciproci militari -secondo le intenzioni americane -non dovrebbero dare origine alla seconda edizione di un sistema di pagamenti intraeuropei, quale quello instaurato con l'E.R.P., ma piuttosto a compensazioni o ad altre forme che non dovrebbero rispecchiare interessi commerciali.

Il Dipartimento ha lasciato intendere al riguardo che alcuni dei paesi aderenti al Patto non sembrano per ora voler profittare in larga misura degli aiuti indiretti, soprattutto perché o la loro situazione economica generale o il loro potenziale produttivo, non consentirebbe un notevole aumento della produzione di materiale militare. Il Dipartimento sembra ritenere invece che, malgrado le limitazioni imposte dal trattato di pace, le quali dovrebbero in ogni caso, o almeno apparentemente, essere sempre da noi osservate, l'Italia avrebbe un notevole potenziale industriale per la produzione bellica non utilizzato, e potrebbe costituire un'area di produzione per gli aiuti reciproci notevolmente interessante (non escludo che tale opinione del Dipartimento sia originata non soltanto da informazioni obiettive sulle nostre industrie, ma anche da quelle convinzioni spesso illustrate a codesto Ministero secondo cui l 'Italia potrebbe, nel campo della produzione industriale fare di più, se da parte del Governo e degli enti industriali interessati si manifestasse una politica di investimenti o comunque un'attività produttiva più aggressiva).

È ovvio comunque che i criteri che, secondo le intenzioni americane, dovrebbero esser posti alla base del sistema di aiuti indiretti, comportano uno sforzo da parte dell'erario dei paesi partecipanti che non dev'essere sottovalutato. Mi sembra, in sostanza, che, per quanto concerne gli aiuti indiretti, i nostri enti competenti dovrebbero immediatamente porre mano a un accurato studio inteso a stabilire:

l) qual è il potenziale produttivo delle nostre industrie attualmente non utilizzato; 2) quale parte di tale potenziale potrebbe essere usato in relazione alle possibilità del nostro erario; 3) in quale modo il nostro erario potrebbe far fronte a tali nuovi aggravi (pressioni fiscali, riduzioni di spese su altri bilanci, ecc.);

4) in quale misura il Governo americano dovrebbe venirci incontro con finanziamenti in dollari, sia per la fornitura di materie prime e sia a titolo di compenso del genere sopra descritto;

5) quali potrebbero essere i nostri criteri e eventualmente le nostre proposte nei confronti del problema degli aiuti reciproci, sia per quanto riguarda ciò che noi potremmo fornire agli altri, sia per le forniture che noi potremmo ricevere dagli altri e sia infine per i provvedimenti che dovrebbero essere concordati con gli altri partecipanti per il funzionamento di un piano di aiuti reciproci. È da prevedersi infatti che, non appena il Patto atlantico sarà entrato in vigore, il sistema degli aiuti reciproci sarà posto ufficialmente allo studio, e, appunto perché si ritiene che l'Italia possa costituire un buon centro di produzione, è necessario che da parte nostra ci si prepari fin d'ora a formulare proposte che possano essere utili per la nostra economia.

A puro scopo di orientamento generico, menzionerò ora qui appresso le cifre che, sia pure con molta riluttanza, i funzionari del Dipartimento hanno ora ammesso aver costituito l'ultima base di studio per quanto riguarda l'Italia, nel quadro dei calcoli effettuati per la presentazione delle proposte di stanziamenti in Congresso. Tali cifre sono, come sopra detto, del tutto approssimative, anche [perché] si ignora l'ammontare degli aiuti globali, e sia perché l'ammontare degli aiuti indiretti dipenderà essenzialmente dalle nostre decisioni.

Per quanto concerne le forniture dirette, sembra che si calcoli che esse possano ammontare a 35/40 milioni di dollari. Per quanto riguarda il problema degli aiuti indiretti, il Dipartimento di Stato sembra calcolare che la produzione italiana potrebbe ammontare a una cifra aggirantesi su una somma corrispondente a 70 milioni di dollari. In relazione a questa, il Governo americano potrebbe fornirci aiuti indiretti per un ammontare che non dovrebbe superare i 30/35 milioni di dollari, e che comunque è per ora estremamente vago, in quanto la determinazione di tale ultima cifra dipende da una somma di fattori che è difficile per ora valutare.

Il Dipartimento ha tenuto comunque a ribadire che tali cifre sono tutt'altro che cristallizzate e che potranno essere suscettibili di mutamenti anche molto rilevanti in più o in meno.

Nel quadro della «offensiva» verso il Congresso, che ho descritto all'inizio di questo rapporto, va anche visto lo scambio di note che ha avuto luogo tra questa ambasciata e il Dipartimento di Stato, in merito alla nostra richiesta di assistenza militare. Su tale scambio, ritengo opportuno riferire con rapporto a parte5 , allo scopo di precisare le origini della richiesta americana e i dettagli delle conversazioni che hanno avuto luogo in merito.

717 1 Si riferisce alle discussioni tra i dodici ministri degli esteri dei paesi aderenti al Patto atlantico svoltesi il 2 aprile, per le quali vedi D. 684. Per la nota sovietica vedi DD. 677 e 692, Allegato. 718 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 548.

718 3 Telespr. 3176/1382, pari data, non pubblicato.

718 4 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 719,761 762,765,785 e, in questo volume, D. 3.

719

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, T A COLI

T. URGENTISSIMO 2733/12. Roma, 8 aprile 1949, ore 13,30.

Suoi 13-161 .

Approvasi testo ed autorizzasi firma.

Qualora tuttavia ciò non implichi ritardo gradirebbesi per maggior chiarezza di redazione che all'8° capoverso dalle parole «sviluppo industriale» alle parole

719 1 Vedi D. 712.

«materie prime» fosse sostituito il testo seguente: «Una più stretta cooperazione nello sviluppo industriale agricolo e tecnico con il migliore impiego della mano d'opera, particolarmente di quella specializzata, e dei beni strumentali di consumo e delle materie prime».

Con telegramma a parte vengono trasmessi pieni poteri. Gradirebbesi conoscere tempestivamente se previsto costà scambio telegrammi tra due presidenti Repubblica2 .

718 5 Vedi D. 729.

720

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS

T. 2736/16. Roma, 8 aprile 1949, ore 16.

In relazione a quanto S.V. ha riferito con telespresso 1407 del28 marzo1 questo Ministero è d'avviso che V.S. effettui passo informativo presso Ministero affari esteri polacco significando desiderio Governo italiano addivenire più presto possibile completa definizione rapporti commerciali e finanziari tra due paesi.

Poiché recente scambio note relative proroga accordo commerciale ha preparato terreno trattative nuovi importanti accordi2 , Governo italiano in vista future intese commerciali reputa opportuno anzi indispensabile definizione questioni finanziarie prebelliche insolute. V.S. voglia insistere su tale concetto. Proponga scambio vedute tra esperti finanziari polacchi e italiani per stipulazione accordo finanziario suggerendo che conversazioni potrebbero aver almeno inizio Roma in occasione trattative commerciali mese maggio. Conversazioni avrebbero oggetto beni italiani confiscati o nazionalizzati e tutte questioni finanziarie tra due Stati come prestito tabacco o titoli Stato polacco in possesso Stato italiano e altre. Appare necessario discutere anche questioni finanziarie prebelliche tra Stato polacco e Società o privati italiani. Per quest'ultime questioni Governo italiano dimostrazione suo spirito amichevole interporrà buoni uffici per sollecita definizione. Qualora venga fatto esplicito cenno questioni Batori e Assicurazioni V.S. risponderà che rimangono questioni private con Governo polacco ma che si troverà intesa.

Con prossimo corriere giungeranno dettagliate istruzioni e verbale riunioni Comitato interministeriale per recupero crediti italiani prebellici in Polonia3•

2 Vedi D. 633.

3 Per il seguito vedi D. 846.

719 2 Con T. urgentissimo 3490/17 del 9 aprile Tacoli comunicava che era stata firmata la dichiarazione congiunta e che erano state concordate le modalità per lo scambio di telegrammi tra i due presidenti. Il testo del telegramma di Einaudi (T. 2835/3 del IO aprile) fu il seguente: «Con la dichiarazione congiunta firmata ieri a Montevideo i nostri due Governi confermano solennemente la loro tradizionale amicizia ed il loro proposito di contribuire al consolidamento della pace ed alla affermazione degli ideali democratici. Mi è particolarmente gradito formulare in questa circostanza i più fervidi voti per la prosperità di V.E. del popolo e del Governo uruguayano». Per il testo della dichiarazione vedi MINISTERO DEGLI AFFARJ ESTERI, Trattati e convenzioni fra l 'Italia e gli altri Stati, vol. LXVIII, ci t., pp. 324-325.

720 1 Non rinvenuto.

721

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK

T. S.N.D. URGENTISSIMO 2759/29. Roma, 8 aprile 1949, ore 21.

Mi sono espresso con Dunn nel senso richiesto con telegramma da Washington 340 1 . Egli mi ha assicurato che già lo stava facendo e continuerà a farlo. Gli ho anche detto, il che corrisponde verità, che autorevoli membri Parlamento erano venuti ieri ed oggi vedermi ed esprimermi seria preoccupazione degli ambienti parlamentari e dei partiti Governo di fronte eventuali decisioni sfavorevoli. E ciò sia per indebolimento che ne deriverebbe al Governo, sia in vista prossime discussioni politica estera in sede ratifica Patto. Mi ha assicurato che avrebbe trasmesso anche queste informazioni e considerazioni. Presidente Consiglio si riserva convocare personalmente Dunn prossimi giorni, se ritenuto necessario. Ciò potrà però avvenire al più tardi lunedì mattina poiché pomeriggio Dunn si recherà Milano per inaugurazione Fiera2 .

722

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK

T. S.N.D. 2763/30. Roma, 8 aprile 1949, ore 22.

Seguo intenso lavoro costà e apprezzo tua opera. Suggerirei prolungamento tua permanenza costà oltre termine fissato se ciò può contribuire ad evitare soluzione prospettata Eritrea che qui ha suscitato reazione assai sfavorevole e agevolare soluzioni più favorevoli altre zone. Cordialità auguri.

723

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 3437/40. New York, 8 aprile 1949, ore 14,18 (perv. ore l del 9).

Vedo solo ora telegramma n. 340 di Tarchiani1 . Preferisco si ignori suo suggerimento. Trovo naturale che la stampa di opposizione mi attacchi e che perfino

2 Vedi D. 738. 723 1 Vedi D. 714.

certa stampa ministeriale si intimidisca. Un passo presso Dunn potrebbe essere male interpretato2 .

Quello che la nostra stampa dovrebbe fare è mostrare che essa è dolorosamente sorpresa per tante esitazioni ma confermare sua fiducia che all'ultimo momento interesse collettivo dell'Europa prenda il sopravvento su meschini appetiti e ancora più prossimi risentimenti.

Ciò dirò anche O.N.U. ove si desidera mio discorso per lunedì3 .

721 1 Vedi D. 714.

724

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 3440/11. Teheran, 8 aprile 1949, ore 17,30 (perv. ore 8 de/9).

Da ultimo miei telespressi 107 1 e 1132 e telegramma di VE. 143•

Questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri mi ha assicurato che era stato comunicato anche ambasciatore Entezam che il Governo iraniano era favorevole a costituzione di uno Stato della Tripolitania legato all'Italia da patto di collaborazione e a rinvio di ogni decisione circa Eritrea sembrando necessario esame più approfondito tale questione sulla base della nota italiana del 4 marzo4 . Delegato Iran era stato poi istruito a votare a favore tesi italiana, ogni qualvolta ciò fosse stato a suo avviso possibile tenuto conto precipuo atteggiamento americano, e comunque di astenersi quando gli sembrasse troppo difficile votare a nostro favore.

Avendo prospettato al mio interlocutore nel corso della conversazione argomento fatto valere dal ministro Abdul Illah con delegato Afghanistan, e cioè che prevalendo richiesta Etiopia per Eritrea avrebbe escluso per sempre indipendenza detto territorio, egli mi è sembrato molto colpito da tale argomento.

Da parte sua capo Sezione Nazioni Unite nel confermarmi quanto precede mi ha detto che, sempre nello spirito di darci ogni possibile appoggio, erano state inoltre telegrafate ad ambasciatore Entezam istruzioni al riguardo opportunità che egli si esprimesse favorevolmente alle nostre richieste nei suoi contatti con altre delegazioni e in particolare chiarisse nostra tesi a delegazioni Pakistan e Afghanistan dato che su di esse egli avrebbe anche ascendente.

D. 721) rispose: «<n mia conversazione con Dunn non ho fatto alcun accenno carattere personale». E Sforza replicò con T. s.n.d. 3502/42, pari data, «Sta bene». 3 Vedi D. 741.

2 Vedi D. 582.

3 Del 3 aprile con il quale Zoppi aveva comunicato: «Rendendoci conto difficile situazione codesto Governo eventualità contrasti posizione anglo-americana e nostra, potrebbesi suggerire che delegazione iraniana abbia istruzioni votare mozioni appoggiate congiuntamente da anglo-americani e da noi, astenendosi in caso diverso».

4 Vedi D. 484.

723 2 Con T. s.n.d. 2777/31 del 9 aprile Zoppi, che aveva già avuto il colloquio con Dunn (vedi

724 1 Non pubblicato.

725

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. 3449-3436/343-344. Washington, 8 aprile 1949, ore 14,44 (perv. ore 8 del 9).

Ho accompagnato oggi Pastore, Rocchi e Cannini da presidente Truman.

Pastore ha manifestato riconoscenza nazione e lavoratori italiani per aiuti americani, che hanno consentito promettente inizio ricostruzione economica italiana nonché efficace difesa contro tentativo comunisti impadronirsi intera organizzazione sindacale e conquistare attraverso essi potere politico. Ha altresì dichiarato che sua visita Stati Uniti costituirà esperienza preziosa per nuova organizzazione lavoratori italiana su basi democratiche. Ha infine sottolineato importanza che riveste per utilizzazione forze lavorative italiane «punto 4°» del programma presidenziale, concernente sviluppo regioni arretrate.

Presidente ha risposto con molto calore, compiacendosi per opera svolta da libere organizzazioni sindacali italiane augurando loro sviluppo. Al termine del colloquio presidente ha di sua iniziativa chiamato fotografi per documentare incontro.

Durante incontro con organizzatori sindacali, ho intrattenuto presidente su questione colonie italiane. Truman si è mostrato al corrente ed ha manifestato speranza che studio della questione, tuttora in corso presso organi competenti, permetta raggiungere soluzione capace di conciliare interessi di tutti. Gli ho ripetuto che Italia desidera appunto soluzione tale da rafforzare suoi legami amichevoli con principali potenze ed ho fatto appello a suo personale tempestivo intervento.

726

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK

T. S.N.D. 3461/351. Washington, 8 aprile 1949, ore 22,18 (perv. ore 10,30 del9).

Terminati colloqui a tre su questione tedesca2 , che avevano finora interamente assorbito segretario Stato, Schuman ha intrattenuto lungamente Acheson su questione colonie italiane. Egli ha molto caldamente sostenuto note tesi a noi favorevoli, insistendo su necessità raggiungere soluzione soddisfacente, non solo per dare a Italia appoggio che essa merita ma anche nell'interesse generale ed ai fini della collabora

2 Vedi D. 727.

zione fra Alleati. Egli inoltre ha nettamente escluso che eventuale stabilimento amministrazione italiana in Tripolitania possa dar luogo a disordini.

Acheson, che è sembrato assai impressionato, ha promesso fare ogni sforzo affinché atteggiamento americano tenga massimo conto di quanto prospettatogli da Schuman. Peraltro pressioni britanniche in senso opposto sono fortissime.

Schuman partirà oggi per New York, vi si tratterrà per dirigere personalmente delegazione francese, dedicandosi interamente a questione colonie.

726 1 Inviato anche al segretario generale agli esteri Zoppi.

727

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. 3462/3521• Washington, 8 aprile 1949, ore 22,23 (perv. ore 10,30 de/9).

Questa mattina Acheson, Bevine Schuman hanno raggiunto accordo su principali questioni concernenti Germania2• È stato deciso:

l) riunire tre zone occupazione alleata in Germania; 2) porre fine controllo militare Germania non appena sarà costituita progettata «Repubblica federale tedesca»; 3) governatori militari saranno sostituiti da alti commissari che costituiranno supremo organo di controllo alleato;

4) comandanti militari avranno unicamente funzioni comando forze occupazione;

5) è stato comunicato Assemblea provvisoria tedesca nuovo statuto di occupazione che potrà essere riveduto dopo un anno e che accorda Governo federale tedesco e Governi singoli Laender, nei limiti fissati dallo statuto, pieni poteri legislativi, esecutivi e giudiziari;

6) potenze alleate manterranno solo potere di supervisione generale su attività governativa tedesca. Provvedimenti andranno in vigore se non vi sarà opposizione alleata entro ventuno giorni;

7) potenze alleate avranno diritto di veto su questioni attinenti sicurezza o che comportino modifiche alla Costituzione tedesca;

8) saranno istituiti in ciascuna capitale dei Laender dei Consigli tripartiti alleati con poteri di supervisione. Questi voteranno a maggioranza con possibilità di appello ai Governi che dovranno però decidere sull'appello entro trenta giorni; per questioni relative sicurezza e Costituzione detti Consigli dovranno raggiungere unanimità;

9) Governo tedesco negozierà direttamente con quello americano accordo per piano Marshall e diverrà membro O .E. C.E. con pieni diritti;

l O) sono stati confermati e precisati accordi Londra circa smantellamento industrie, direttive per industrie proibite, costituzione autorità internazionale per Ruhr; 11) a richiesta comandi militari zona occidentale, Berlino non è stata com

presa nello Stato Germania occidentale.

In loro dichiarazioni alla stampa Acheson e Schuman hanno sottolineato che decisioni adottate lasciano possibilità Unione Sovietica aderirvi. Per parte loro si sono dichiarati disposti a riprendere in proposito conversazioni con Unione Sovietica.

Bevin ripartito subito non ha fatto alcuna dichiarazione.

727 1 Testo originale dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Washington. 2 Per i testi si veda Foreign relations ofthe United States, 1949, vol. III, Council ofForeign Ministers; Germany and Austria, Washington, United States Govemment Printing Office, 1974, pp. 175-186.

728

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPO MAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1442/339. Madrid, 8 aprile 1949 (perv. i/13).

La stipulazione del Patto atlantico ha provocato, come poteva essere preveduto, una delle abituali manovre della diplomazia spagnola tendente a gettare un po' di fumo negli occhi tanto su questa opinione pubblica quanto su quella internazionale.

Come è noto la Spagna non è stata presentita da nessuna potenza, non solo per una eventuale sua partecipazione al Patto atlantico, ma neanche perché facesse conoscere il suo punto di vista quanto al Patto.

Tuttavia Franco ha trovato modo di far credere di avere avuto anche la sua parola da dire. È noto che la Spagna è legata al Portogallo dal trattato di amicizia e non aggressione firmato nel 1939, sul quale l'ambasciata ebbe a suo tempo a riferire1•

A tale trattato fu poi annesso un Protocollo addizionale del 29 luglio 19402 , recentemente rinnovato, che prevede che i Governi spagnolo e portoghese si consultino «fra di loro circa i mezzi migliori per salvaguardare in quanto sia possibile i loro mutui interessi, sempre che prevedano o abbiano luogo fatti che per la loro natura possano compromettere l 'inviolabilità dei rispettivi territori metropolitani o costituire pericolo per la sicurezza o indipendenza di uno o l'altro dei due paesi».

Il Protocollo continua dicendo che qualsiasi delle due parti può prendere l'iniziativa della consultazione, quando si verifichi, o si consideri come probabile il verificarsi, di un fatto della natura di cui al precedente capoverso.

È stata la Spagna a provocare la consultazione. In un primo tempo era anzi addirittura circolata la voce che essa avesse minacciato di denunciare il cosiddetto Patto iberico ove il Portogallo avesse aderito al Patto atlantico.

2 Vedi serie nona, vol. V, DD. 326 e 330.

La voce era priva di fondamento. Non è però da escludere il sospetto che la Spagna abbia in un primo momento messo in dubbio che il Portogallo avesse diritto di partecipare al Patto atlantico.

Comunque, la manovra non aveva altro obbiettivo tattico che quello di indurre il Governo portoghese a far presente a Washington la desiderabilità che fosse prevista anche la partecipazione della Spagna, cosa che effettivamente fu fatta da quella ambasciata portoghese.

Ottenuto questo effetto di pura propaganda (è probabile che il Portogallo abbia anche genericamente promesso di risollevare la questione alla prima occasione), Franco ha dovuto ripiegare, dando alla stampa, d'accordo con il Portogallo, un comunicato di cui ad ogni buon fine allego il testo, e che rende noto che i due Governi, avendo proceduto alla consultazione, prevista dal Patto iberico, hanno riconosciuto che «gli impegni di amicizia e non aggressione vigenti fra la Spagna e il Portogallo continuano in essere in tutta la loro efficacia per la difesa degli interessi comuni, nonostante la partecipazione del Portogallo al Patto atlantico».

Posso aggiungere che anche presso questa ambasciata americana ho avuto conferma delle informazioni raccolte dalla nostra ambasciata in Washington che, cioè, non si pensa di invitare la Spagna ad aderire al Patto atlantico.

728 1 Vedi serie ottava, vol. XI, D. 374, di prossima pubblicazione.

729

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

R. SEGRETO 3310/1412. Washington, 8 aprile 19491•

Mio rapporto n. 3168/1374 di ieri2 •

Ho segnalato a codesto Ministero che, nel quadro dell'azione del Dipartimento di Stato nei confronti del Congresso per ottenere gli stanziamenti necessari per gli aiuti militari, va anche considerato lo scambio di note di cui al mio telegramma di ieri l'altro3 • In merito a tale scambio, ritengo opportuno fornire qualche ulteriore delucidazione a codesto Ministero.

Che il Dipartimento di Stato avesse fin dalle prime conversazioni lasciata intendere l'opportunità che i paesi partecipanti al Patto formulassero una richiesta di assistenza militare, avevo già fatto cenno a codesto Ministero nel mio rapporto n. l 088 del 14 marzo u.s. 4 . Allora tale desiderio del Dipartimento era stato accennato in modo alquanto vago e impreciso, dato che esso aveva menzionato solo i paesi del Patto di Bruxelles come quelli di cui il Governo americano avrebbe in ogni caso desiderato ricevere una richiesta di assistenza. Le difficoltà della presentazione in Congresso delle proposte per i nuovi aiuti, hanno indotto il Dipartimento ad accelerare i

2 Vedi D. 718.

3 Vedi D. 705.

4 Vedi D. 548.

tempi anche con altri paesi aderenti al Patto, e ad insistere presso di essi perché le loro richieste di assistenza fossero formulate al più presto e in ogni caso prima della presentazione delle proposte in Congresso.

Si era infatti pensato in un primo tempo che tale particolare problema, in vista anche delle attinenze che esso ha con il piano Marshall, fosse trattato da Harriman nelle varie capitali europee. Il Dipartimento, data anche la presenza negli Stati Uniti dei vari ministri degli esteri dei paesi partecipanti al Patto, ha invece deciso in questi ultimi giorni di completare i contatti iniziati ufficiosamente con conversazioni ufficiali qui a Washington.

Nel corso di tali conversazioni il Dipartimento ha fatto presente quanto segue:

-è già difficile ali'Amministrazione chiedere, nelle attuali circostanze, nuovi stanziamenti per aiuti militari. Tanto più difficile sarebbe se l'Amministrazione non potesse dimostrare al Congresso che tali aiuti sono stati chiesti dai paesi europei;

--occorre pertanto che tali paesi formulino tali richieste e che esse siano però armonizzate con i principi e lo spirito dell'articolo 3) del Patto atlantico;

-è infatti solo dimostrando (come avvenne anche nel caso dell'E.R.P.) che i paesi europei sanno aiutarsi da se stessi e coordinare i loro sforzi, che il Congresso americano potrà essere più facilmente persuaso;

--d'altra parte, non avendo potuto ancora stabilirsi alcun coordinamento, dato che il Patto non è ancora entrato in vigore e dovendo l'Amministrazione in ogni caso dimostrare al Congresso che essa ha elaborato le richieste di stanziamenti su informazioni attendibili e su richieste concrete, i documenti che l'Amministrazione va preparando dovranno per forza riferirsi alle informazioni e alle richieste fomite in passato dai paesi partecipanti. Ai passi quindi svolti in passato è opportuno si riferiscano le attuali richieste dei paesi partecipanti.

I punti sopra esposti servono ad illustrare i principi a cui si sono ispirati i testi delle note presentate dai vari paesi e delle risposte da essi ricevute.

Per quanto riguarda lo scambio di note con questa ambasciata, confermo a codesto Ministero che il Dipartimento di Stato aveva sottoposto uno schema che qui accludo con allegato l )5e che avrebbe dovuto servire come guida per la formulazione della richiesta italiana. Il Dipartimento si è naturalmente scusato di aver dovuto suggerire con tanto dettaglio la formulazione della nostra nota e ha fatto rilevare al riguardo che si trattava di elaborare un testo particolarmente accettabile al Congresso americano e che solo per tale motivo suggerimenti del genere venivano formulati. Tale schema è stato sottoposto a S.E. il ministro, il quale l'ha approvato, come base per la elaborazione della nostra Nota verbale.

Il testo di tale nota è contenuto nel comunicato stampa del Dipartimento di Stato, che qui trasmetto con allegato 2)6 . Tale comunicato stampa contiene anche la risposta americana. In merito a tale risposta ritengo opportuno segnalare a codesto Ministero che essa ha dato luogo a un approfondito scambio di vedute tra questa ambasciata e il Dipartimento, in quanto il Dipartimento stesso aveva proposto una formula di cui all'allegato 3f, secondo la quale «rimaneva inteso che le informazioni previamente

6 Vedi Allegato I.

7 Vedi Allegato Il.

date al Governo americano circa le necessità di assistenza militare rimanevano immutate». Al riguardo questa ambasciata ha fatto presente che le informazioni date sia prima e sia nel corso della visita del generale Marras dal Governo italiano, erano state formulate sulla base di presupposti diversi da quelli che si ponevano ora con la partecipazione dell'Italia al Patto atlantico e che tale circostanza della nostra adesione al Patto avrebbe forse reso necessario modificazioni nelle informazioni e nelle richieste a suo tempo presentate. È stato così possibile ottenere una risposta americana che lascia aperta la porta a ulteriori consultazioni e a eventuali mutamenti nelle nostre precedenti richieste.

È da notarsi che le risposte date agli altri paesi partecipanti (vedi allegati successivi)8 contengono la prima delle due formulazioni predette, quella cioè secondo la quale «le richieste si considerano immutate».

È da rilevarsi anche che nella presentazione delle richieste i paesi del Patto di Bruxelles hanno inviato una nota cumulativa e che, degli altri paesi, hanno avanzato richieste, oltre noi, la Norvegia e la Danimarca. Ciò conferma quanto ho riferito a codesto Ministero con il rapporto citato, in merito alle intenzioni di questo Governo ed evidentemente anche dei paesi partecipanti al Patto di Bruxelles che per ora tale gruppo continui ad operare con un nucleo unico, in attesa che si stabiliscano organismi più alti dopo l'entrata in vigore del Patto atlantico.

ALLEGATO l

DIPARTIMENTO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA

COMUNICATO STAMPA 2299 . Washington, 8 aprile 1949.

The following is the text of an exchange of notes between the Govemments of ltaly and the United States conceming the urgent need for military equipment for strengthening the ltalian armed forces during the fiscal year 1950:

ltalian Note:

«The Italian Ambassador presents his compliments to the Honorable the Secretary of State and has the horror to referto the steps previously taken by the Italian Govemment which emphasized to the United States Govemment the urgent need of some items of military equipment for the strengthening of the Italian Armed Forces. With reference thereto, the Italian Ambassador has the horror to stress that, following the signature by Italy of the Atlanti c Pact, and in view of the obligations ensuing from the participation of Italy in such treaty, the need for military assistance continues to be very urgent at the present time if the Italian military establishment is to be put in a position effectively to resist aggression.

Upon entering into the North Atlantic Pact, the Italian Govemment is aware that, in order fully to achieve the objective of this treaty, Italy must separately and jointly with the

other participants maintain and develop its individuai and collective capacity to resist armed attack by means of continuous and effective self-help and mutuai ai d.

While the Italian Ambassador reiterates the need for military assistance from the United States, he wishes to emphasize that the Italian Govemment realizes that any aid coming from the Govemment of the United States would be extended in recognition of the principi e set up above, under which prospective Pact members will extend to each other such reciproca! assistance as each country can be expected to contribute, consistent with its geographic location and resources and in the form in which each country can most effectively fumish such assistance. In relation thereto the Italian Ambassador wishes also to stress, under instructions from his Govemment, that in tum Italy is ready to provide to members of the Atlanti c Pact such reciproca! assistance as it can reasonably be expected to contribute, consistent with its geographic location and resources and in the form in which it can most effectively fumish such assistance.

The Italian Ambassador has also been instructed to point out that the Italian Govemment realizes that, since Italy is engaged in the effort of achieving economie recovery through the assistance generously granted by the American Govemment in the framework ofthe European Recovery Program, it would be harmful to increase military production to such an extent as to endanger the successful pursuance of economie recovery.

An increase in military production in ltaly, which would derive from the program of selfhelp and mutuai aid, and which Italy might plan for the furtherance of the aims of the North Atlantic Pact, must therefore be contained within such limits as to allow the successful prosecution of the program of economie recovery and the maintenance of economie viability. The ltalian Govermnent realizes in fact that economie recovery contributes strongly to the re-creation of confidence and hope in Europe and that a program of military aid must be pursued in such a manner as to facilitate the achievement of the goals of the European Recovery Program adding another stone to the structure of European recovery. Therefore, while Italy will devote its energies to increasing its ability to resist armed attack and thus contribute to European stability, the Italian Govemment will see that these programs will not affect the result of the European Recovery Program in ltaly. In this respect the ltalian Ambassador wishes also to stress that, in view of its shortage of dollars, the ltalian Govemment, in planning said increase of military production in Italy, will need some assistance from the United States in order to help meet the dollar costs wich will be involved in this new production. While the Italian Govemment will deeply appreciate any ai d of this kind that the United States Govemment will extend, i t will see to i t that the cost ofthe new military production in local currency be met from non-inflationary sources.

The Italian Ambassador expresses the hope that the United States, in view of the principles set up in the North Atlantic Pact, will be prepared to extend military aid in such a manner as to facilitate the participation ofltaly in such a program.

The Italian Ambassador will greatly appreciate receiving at the earliest convenience any information that the United States will kindly give on its views and the assistance that it is prepared to extend, and has the honor to thank for the Honorable Secretary ofState's interest in the mattem.

Washington D.C., April6, 1949.

United States Reply:

«The Secretary of State presents his compliments to His Excellency the Ambassador of ltaly and has the honor to referto his note requesting this Govemment's views conceming the provision of military assistance to the Govemment of ltaly.

The Executive Branch of the United States Govemment is prepared to recommend to the United States Congress that the Unite States provide military assistance to the Govemment of Italy in order to assist i t to meet the materia! requirements of its defense program. lt will be requested of the Congress that such assistance be in the form of military equipment from the United States required by Italy's defense program and the provision of some financial assistance for increased military production on ltaly's part required by its defense program. Such assistance would be extended in recognition of the principle of self-help and mutua! aid contained in the Atlantic Pact.

In connection with its recommendations to the Congress, the United States Govemment will a vai! itself of the information conceming items of military equipment urgently needed for the strengthening of the Italian armed forces which were earlier emphasized by the ltalian Govemment, and is ready to continue its consultation with the Italian Govemment in order to examine any relevant information in further detail».

Department ofState, Apri!, 7, 1949, Washington.

ALLEGATO Il

The Secretary of State presents his compliments to His Excellency the Ambassador of Italy and has the honor to refer to his note requesting the Govemment's view conceming the provision ofmilitary assistance to the Govemment ofltaly.

The executive Branch ofthe United States Govemment is prepared to recommend to the United States Congress that the United States provide military assistance to the Govemment of Italy in order to assist i t to meet the materia! requirements of its defense program. It will be requested of the Congress that sue h assistance be in the form of military equipment from the United States required by ltaly's defense program and the provision for some financial assistance for increased military production on Italy's part required by defense program.

Such assistance would be extended in recognition of the principle of self-help and mutua! aid contained on the Atlantic Pact.

1t is understood that the information previously made available to the United States Govemment by the Govemment of Italy conceming its requirements for military assistance remains unchanged.

Department ofState, Washington, D.C.

729 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

729 5 Non pubblicato.

729 8 Non pubblicati. 9 Un sunto della nota italiana e della risposta statunitense è pubblicato, nella traduzione italiana, in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 243-246.

730

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 329/156. Lisbona, 8 aprile 1949 1•

Come poteva prevedersi da tempo, il Governo portoghese ha aderito al Patto atlantico, perché non vi era per esso possibilità di astenersene. La decisione, presa

all'ultimo momento e resa pubblica soltanto dopo la partenza del ministro degli esteri per Washington, è stata preceduta da un comunicato che è apparso quasi una excusatio non petita, nel quale si affermava che, dopo essersi consultati con i dirigenti spagnuoli, si era riconosciuto che il Patto atlantico non conteneva clausole incompatibili con le stipulazioni del Patto iberico (tra Spagna e Portogallo), che è stato di recente rinnovato. Con tale comunicazione Salazar ha voluto rendere noto che il Patto iberico è per il Portogallo di gran lunga più importante di quello atlantico e che questo ultimo può essere accettato in quanto non pregiudica né indebolisce l'unione tra i due popoli iberici. Meglio sarebbe stato che al nuovo Patto partecipasse anche la Spagna, ma di fronte alla precisa e ribadita volontà degli Stati Uniti di non ammettere nel nuovo sistema di alleanza la Spagna di Franco, Salazar ha dovuto rinunziare a trascinarsi dietro l'alleato, ed è andato avanti solo, prendendo le possibili precauzioni di fronte all'opinione pubblica portoghese. Come è stato riferito, il Governo ha dato al paese l'assicurazione che nessuna cessione di basi militari è contemplata dal Patto. Tale dichiarazione appare per lo meno singolare, visto che il Portogallo ha già praticamente ceduto la base aerea delle Azzorre, mentre è d'altra parte evidente che in caso di necessità, e anche qualora in un eventuale conflitto armato riuscisse al Portogallo di mantenersi neutrale, gli Stati Uniti otterrebbero facilmente quelle qualsiasi basi portoghesi che risultassero loro utili ai fini bellici.

Il Portogallo è entrato così a far parte del sistema difensivo occidentale senza che ciò muti la sua già ben definita posizione internazionale, né gli porti alcun particolare vantaggio. Se da un lato con l'adesione al Patto atlantico, il Portogallo viene a ribadire i suoi legami con l'America, dali' altro esso si trova ad aver di fatto stabilito legami analoghi con altri Stati e viene in certo modo a trovarsi-suo malgrado -a far parte di quella che, sia pure in modo imperfetto e rozzo, appare come una unione di nazioni europee. Ora non è dubbio che il Governo portoghese, pur non negando l'influenza americana, non consentirebbe mai a riconoscerla ufficialmente, mentre ogni progetto di unione o federazione europea è stato sempre da esso decisamente osteggiato. Sono dunque due i problemi che si preferisce non formulare. Ora il Patto atlantico, dopo averli posti, li risolve in senso contrario ai principi e al programma di Salazar.

730 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

731

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D 3484/36. Stoccolma, 9 aprile 1949, ore 16 (perv. ore 18,15 ).

Riferimento mio telespresso urgente 3 1•

Questo segretario generale degli affari esteri mi ha detto che la delegazione svedese all'O.N.U. malgrado la reticenza di Unden, voterebbe verosimilmente a favore di quelle soluzioni concordate che si potessero con la Gran Bretagna raggiungere circa le nostre colonie. Essa manterrebbe atteggiamento di astensione in caso contrario.

731 1 Vedi D. 664.

732

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 3508/43. New York, 9 aprile 1949, ore 19,08 (perv. ore 7,50 dellO).

Articolo del New York Times di stamani molto favorevole a punti di vista italiani e discorsi di iersera del governatore Dewey e del sindaco di New York ad un banchetto in mio onore hanno colpito opinione pubblica. È per questo che penso che una tua conversazione con Dunn domani o lunedì potrebbe essere utile informandolo che Dewey arrivò perfino a definire incomprensibile una azione che potrebbe danneggiare il Governo che fermò 18 aprile marea sovietica.

Ricordati che Dunn parte lunedì pomeriggio per Milano'.

733

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 3525/45. New York, 9 aprile 1949, part. ore 3,45 dellO (perv. ore 18).

Tanto più ti confermo mio telegramma odierno circa Dunn 1 , che ho appreso da fonte sicura che, allo scopo di controbattere recentissime esitazioni americane, Governo britannico ha fatto osservare qui che in definitiva le due colonne antisovietiche sono i due Governi anglo-sassoni e che non si può permettere che, accanto alla Cirenaica, si installino amministrazioni che possono passare in mano dei comunisti. Tu ti immagini mia stupefatta e indignata protesta ma occorre che anche Dunn faccia sentire quanto questi vaneggiamenti sono pericolosi.

Piano conscio o inconscio inglese è chiaro: ricevere mandato Cirenaica e poi lasciare tutto allo Stato provvisorio e cioè in mani sue.

733 1 Vedi D. 732.

Nostra azione qui è di evitare maggioranza per Cirenaica se al tempo stesso Italia non ottiene Tripolitania. Dico Tripolitania perché per essa avremo molti più appoggi che per Cirenaica.

Io parlerò lunedì2 ma i discorsi possono cambiare le opinioni pubbliche non gli impegni diplomatici. Prima di partire cercherò rivedere Truman.

732 1 Per la risposta vedi D. 738.

734

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 3/1420. Roma, 9 aprile 1949.

Per quanto riguarda la questione dell'invito ad altri Stati di entrare a far parte del Consiglio d'Europa, questione che sta già assumendo aspetto di pratica attualità in seguito al passo fatto da Grecia e Turchia (tuo telegramma n. 132 del 7 aprile)', da un punto di vista di carattere generale noi dovremmo di massima essere favorevoli, dato che abbiamo in origine sostenuto la partecipazione di tutti gli aderenti all'O.E.C.E. e che ciò risponde alle nostre idealità; sta però di fatto che -in pratica -se vogliamo tendere a sottrarre a poco a poco al club di Bruxelles le questioni non militari per trasferirle al Consiglio d'Europa, non possiamo non riconoscere che ciò riuscirà tanto meno facile quanto maggiore sarà il numero dei membri del Consiglio d'Europa; e ciò perché è evidente e anche ragionevole la preoccupazione inglese, ed eventualmente francese, di non investire in questioni politiche importanti tanti paesi che hanno nelle questioni stesse interessi scarsi o nulli e il cui intervento può complicarne anziché facilitarne l'esame e la soluzione. È questo un punto da tenere, secondo me, presente nel determinare il nostro atteggiamento. Puoi prospettare queste considerazioni a S.E. il ministro se venisse direttamente costì.

735

L'INCARICATO D'AFFARI A MANILA, STRIGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 3514/14. Mani/a, l O aprile 1949, ore 12,04 (perv. ore 10,15).

Prima partire ieri sera per Baguio, presidente Quirino Elpidio -col quale ho avuto diverse conferenze in questi giorni -ha detto a questo sottosegretario per gli affari esteri,

Neri, di rinnovare a Romulo Carlos istruzioni ispirare atteggiamento delegazione Filippine nella questione ex colonie italiane a impegni derivanti dal trattato d'amicizia con l'Italia.

A Neri, che mi ha telefonato quanto precede, ho ripetuto specificare a Romulo Carlos nostre ultime richieste per Tripolitania e rinvio della questione Eritrea. Controllerò domani partenza istruzioni e loro tenore.

Pregherei interessare urgenza nostro osservatore O.N.U. illustrare nostre ultime richieste Romulo Carlos ed altri delegati Filippine: console generale New York, Melencio, deputato Nueno e senatore Tan. Senatore Confesor non fa parte delegazione: raccomando azione con console generale Melencio, persona amica e attiva.

733 2 Vedi D. 741.

734 1 Riferiva circa la comunicazione ufficiale del delegato inglese relativa alla richiesta di Grecia e Turchia di essere invitate a partecipare alla Conferenza del Consiglio d'Europa. Vedi anche D. 681.

736

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 3532/47. New York, 10 aprile 1949, ore 21,34 (perv. ore 8 dell'JJ).

Ieri ed oggi agito presso i principali sudamericani perché comprendano che il punto essenziale è che Inghilterra riceva Cirenaica solo se nello stesso momento Italia riceve Tripolitania. Se accadesse il contrario tutto sarebbe perduto ma io lavoro con fede. Anche mio discorso di domattina potrà giovarci alquanto con la sua serena fermezza.

So che Schuman agisce spontaneamente con calore facendo persino sentire in privato quanto sarebbe nocivo per tutti se uno scacco completo sulle colonie indebolisse l'attuale Governo italiano.

Gli sono tanto più grato ché io non potrei dire niente in proposito.

737

IL MINISTRO A GEDDA, ZAPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 696/91. Gedda, 10 aprile 1949 (perv. i/4 maggio).

Riferimento: Telespresso ll/04420/c. del 7 marzo 1949, giunto a Gedda il 4 aprile u.s. 1 . Lo scorso febbraio mi venne riferito da un giovane funzionario di questo Ministero esteri, che mi aveva chiesto il nome di un italiano qui residente disposto a dargli

lezioni d'italiano, che il Governo saudiano stava esaminando la possibilità di inviare a Roma un suo ministro plenipotenziario.

Ieri, ho parlato in proposito con S.E. Azzarkali, sostituto di Yussuf Yassin, assente, che mi ha confermato l'intenzione del suo Governo di aprire una legazione a Roma. Secondo Azzarkali il Governo attende che S.M. il re si compiaccia di designare la persona cui affidare tale incarico.

Ho fatto presente il nostro desiderio che fra le rappresentanze musulmane a Roma non rimanga assente l'Arabia Saudita, e S.E. Azzarkali mi ha risposto che parlerà in proposito con l'emiro Faysal perché a sua volta ne parli con Sua Maestà.

Qui sono tutti favorevoli all'invio di un ministro a Roma e molti aspirano a tale posto, cominciando dallo stesso Azzarkali, ma l'Arabia Sa udita manca del personale allo scopo indicato, e il re sarà obbligato di affidare l'incarico a qualche persona del suo seguito.

Ho anche intrattenuto al Azzarkali sui nostri trattati di amicizia e di commercio, quest'ultimo scaduto il l O febbraio 1942 e non prorogato, e lui è rimasto con me d'accordo sull'opportunità di stipulare un nuovo trattato di amicizia, commercio e navtgazwne.

Egli parlerà anche di questo con l'emiro Faysal, attualmente alla Mecca, e mi ha pregato di presentargli uno schema di tale trattato, che io preparerò seguendo la traccia di quello italo-greco e italo-libanese.

Sarei grato se l'E.V. volesse farmi pervenire, con posta aerea, copia del trattato italo-libanese non ancora giunta a questa legazione.

737 1 Vedi D. 505.

738

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK

T. S.N.D. 2868/391• Roma, Il aprile 1949, ore 21,15.

Ho chiamato Dunn stamane e l'ho pregato di far rilevare al suo Governo che di fronte all'Italia bisogna scegliere fra due politiche: o di fiducia nell'Italia democratica, e allora l'argomento del pericolo comunista in Tripolitania non è valido; ovvero di sfiducia e allora Patto atlantico e riarmo sono sprecati. L'Italia democratica è disposta alla collaborazione e a qualunque garanzia nella stessa forma fiduciaria. Ma essa non può difendersi su due fronti contemporaneamente, quello dell'aggressione comunista in Europa e quello della sfiducia anticomunista in Africa. Ho aggiunto che avevamo diritto alla politica di fiducia. Dunn trasmetterà subito negli stessi termini2 . Ringraziamenti cordiali ed auguri.

738 1 Risponde ai DD. 732 e 733. 2 Un riferimento a questo telegramma è in Foreign Re/ations of the United States, 1949, vol. IV, cit., p. 550.

739

L'INCARICATO D'AFFARI A MANILA, STRIGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 3536/15. Mani/a, 11 aprile 1949, ore 11,33 (perv. ore 9,50).

Seguito mio telegramma n. 141 .

Questo sottosegretario per gli affari esteri Neri, rettificando comunicazione telefonica di ieri, mi ha assicurato stamane che presidente Quirino Elpidio ha personalmente telefonato a Romulo Carlos a New York seguenti istruzioni:

«l) Per Somalia: appoggiare trusteeship ali' Italia.

2) Per Eritrea e Libia: usare suo miglior giudizio in relazione sviluppo della questione in Assemblea, tenendo presente specialmente relazioni Filippine con l'Italia in base trattato di amicizia».

Egli ha aggiunto che il presidente ha preferito telefonare istruzioni ed evitare metterle per iscritto, sia per colonie italiane che per ammissione Spagna O.N.U. (data delicata situazione interna per attacco da parte suoi avversari, culminata con atto presentato in Congresso contro di lui, mio rapporto 42 riservato )2 .

Sarei grato se mi si riferisse per mia norma e controllo circa atteggiamento dimostrato da Romulo Carlos.

740

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3562118. Assunzione, Il aprile 1949, ore 15,20 (perv. ore l de/12).

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 51• Questo ambasciatore Stati Uniti mi informa aver ricevuto istruzioni proprio Governo riconoscere attuale Governo paraguayano, ciò che egli farà mercoledì 13

2 Non rinvenuto.

corrente. Seguirò alla stessa data suo esempio e con me farà passo analogo questo mio collega di Francia e probabilmente questo ambasciatore Bolivia. Gran Bretagna in questo momento non ha ad Assunzione neanche un incaricato d'affari. Brasile riconosce sabato questo Govemo2 .

739 1 Vedi D. 735.

740 1 Il testo del telegramma, in data 6 aprile, era il seguente: «Ci rendiamo conto opportunità mantenere con codesto Governo le migliori relazioni in vista imminente sessione Nazioni Unite. All'uopo V.E. è stata già autorizzata mantenere costà rapporti di fatto, cui ella può dare ampio sviluppo anche in vista noti accordi interamericani circa stabilimento relazioni diplomatiche con Governi rivoluzionari». Con questo telegramma Zoppi rispondeva alle sollecitazioni di Ferrante per un pronto riconoscimento del nuovo Governo paraguayano anche al fine di attenerne l'appoggio sulla questione coloniale (Telespr. urgentissimo 381/135 del 18 marzo da Assunzione).

741

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 3590/50. New York, 11 aprile 1949, part. ore O, 15 del 12 (perv. ore 10,30).

Del mio discorso 1 tutti dicono fece profonda impressione tanto che i successivi oratori dell'America latina e Sud Africa parlarono tutti con rinnovato calore per la nostra causa. Subito dopo il mio discorso Dulles e il ministro McNeil mi scrissero per invitarmi domani a un ricevimento in mio onore. Ma esito a credere che ciò significhi molto.

Ora non mi resta che parlare Truman con rude franchezza. Fatto questo tornerei Italia a meno che i nostri amici non mi supplichino restare in vista di un possibile compromesso.

Sarebbe per me personalmente spiacevole ma mi rassegnerei specie se tu me lo consiglF.

742

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 380/1330. Parigi, 11 aprile 19491•

A ogni buon fine informo che, secondo notizie avute dal direttore degli affari politici d'Europa, la redazione del testo dell'Unione Europea essendo ormai virtualmente terminata, si pensa di poter firmare ai primi di maggio. Circa il luogo della firma, il Quai d'Orsay non sembra aver abbandonato la speranza che la scelta cada su Parigi o quanto meno su Strasburgo.

2 De Gasperi rispose (T. s.n.d. 2895/44, ore 19, del 12 aprile) confermando il suggerimento di cui al D. 722. 742 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

I recenti accordi a tre per quanto riguarda la Germania, accordi considerati soddisfacenti, non mancheranno di avere la loro influenza sull'Unione Europea. Dipende ora dalla Costituente di Bonn se sarà in grado di procedere rapidamente alla costruzione di un Governo tedesco. In caso affermativo, e potrebbe essere ai primi di luglio, l'ammissione della Germania sarebbe posta come prima questione all'ordine del giorno del Consiglio e de !l'Assemblea nella prossima riunione di Strasburgo. La Germania potrebbe essere ammessa in seno all'Unione Europea sia a parità di condizioni con gli altri firmatari, sia nella particolare condizione prevista dal nuovo articolo dello Statuto che contempla la qualifica di soci associati alla sola Assemblea. Su questa questione il Quai d'Orsay non ha ancora preso posizione ma a ogni buon fine, non ha ritenuto di privarsi della possibilità che gli è offerta da questa forma di associazione limitata.

740 2 Con T. 292116 del 13 aprile Zoppi telegrafava: «Sta bene».

741 1 Pronunciato la mattina all'Assemblea generale dell'O.N.U. Il testo è pubblicato in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 145-157. Con T. s.n.d. 2878/41 del 12 aprile De Gasperi comunicò a Sforza: «Tua impostazione efficace accolta qui molto favore. Ringrazio. Felicito».

743

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATA PERSONALE 376/1326. Parigi, 11 aprile 1949.

Per tua informazione credo possa interessare una conversazione che ho avuto, due giorni addietro, con il generale Mast, attualmente capo della Military Planning Commission dello Stato Maggiore francese.

Avendogli chiesto cosa pensasse dell'editoriale di Le Monde (miei 1277 e 1297 del 5 corr.) 1 in cui si parlava del riarmo della Germania, Mast mi ha detto che l'articolo era stato ispirato da lui. Lo Stato Maggiore francese riteneva che, nelle condizioni attuali, il pericolo tedesco doveva considerarsi come superato o, in ogni modo, come in seconda linea di fronte al pericolo russo. L'interesse della Francia era che la frontiera dell'Europa fosse stabilita all'Elba: era assurdo pensare che questa frontiera tedesca potesse essere difesa da truppe europee lasciando ai tedeschi il compito di stare a guardare: la copertura della frontiera doveva essere affidata ai tedeschi: data la necessità di mettere insieme tutte le forze di cui può disporre l'Europa era assurdo pensare di lasciare fuori la massa di ottimi soldati che potevano fornire 45 milioni di tedeschi. Era per questo che lo Stato Maggiore francese insisteva sull'ingresso della Germania nell'Unione Europea e, al più presto possibile, nel Patto atlantico. Bisognava al più presto immettere i tedeschi nella comunità europea e dar loro la sensazione della parte utile ed importante che essi potevano svolgervi: creare in loro, e in tutti, un patriottismo europeo.

Gli ho detto che il principio mi sembrava eccellente ed era comunque un principio che noi condividevamo: bisogna però rendersi conto che un popolo come il tedesco, con le sue qualità e con i suoi difetti, non avrebbe potuto partecipare alla comunità europea in condizioni di inferiorità: la partecipazione germanica sollevava anche quello della parità germanica.

Mast mi ha risposto che era perfettamente d'accordo: una volta fatto il primo passo (gli accordi di Washington)2 occorreva agire con rapidità: far funzionare al più presto il Governo tedesco, abolire il regime di occupazione, por mano al riarmo della Germania. Alla mia domanda che cosa ne restava allora della questione del controllo, mi ha risposto che la soluzione era da trovarsi nella rinuncia a parte della sovranità implicita nell'Unione Europea: gli organismi dell'Unione Europea, nella misura del loro sviluppo, avrebbero dovuto assumere essi il controllo della Germania: il controllo a cui avrebbe dovuto sottoporsi la Germania, non avrebbe dovuto essere maggiore

o differente da quello a cui avrebbe dovuto sottomettersi ogni altro Governo europeo: egli riteneva che era nell'interesse della Francia sottomettersi ad un controllo se per questa strada essa poteva sottomettere la Germania ad un controllo, senza offendere la sua giusta suscettibilità.

Parlandomi di «esercito federale», mi ha precisato che secondo le vedute francesi questo significa che i singoli eserciti dovrebbero restare nazionali, ma sottoposti ad un comando unico federale: la copertura di certe linee di frontiera, ad interesse internazionale, dovrebbe essere assicurata non dalle sole truppe nazionali, ma anche da reparti di altri eserciti europei. Facendo il caso dell'Italia mi ha detto che noi avremmo dovuto assicurare la difesa della frontiera dell'Isonzo, fornire elementi di rincalzo alla difesa del settore austriaco e assicurare la difesa del litorale adriatico fino alla Puglia, almeno fino a quando la situazione jugoslava non potesse essere considerata più solida al punto di vista occidentale: per questo avremmo dovuto fornire un minimo di trenta divisioni (ma noi siamo limitati dal trattato di pace, gli ho detto. Siamo della gente seria. Mi ha risposto: il trattato di pace sono sciocchezze: si tratta di sapere quello che è il massimo contributo che l'Italia può dare alla difesa comune dell'Europa). Ora su questa linea di frontiera, la maggior parte delle truppe di copertura essendo fornita dall'Italia, dovrebbero essere pure presenti divisioni francesi, inglesi, americane ecc. Egualmente sulla linea dell'Elba le truppe di copertura dovrebbero essere in maggior parte tedesche, ma con la presenza di divisioni francesi, inglesi, italiane, ecc.

A mia domanda se avrebbero anche accettato un comandante tedesco Mast mi ha risposto che, secondo l'idea francese, in principio, il comandante in capo avrebbe dovuto essere della nazionalità che fornisce il maggior contributo alla difesa deli'Europa. In un primo periodo prevedibile, vicino, probabilmente lo sforzo maggiore sarebbe stato francese: in questo caso era logico che il comandante in capo fosse francese: ma era possibile che dato il potenziale di uomini e industriale della Germania, fra qualche anno fosse la Germania a fornire il maggior contributo, nel qual caso il comandante in capo avrebbe dovuto essere tedesco. Questo a meno che un determinato paese mettesse in linea un generale riconosciuto, a criterio di tutti, il migliore. Per esempio era d'avviso che il comando delle truppe corazzate europee dovrebbe essere affidato al generale Guderian il quale è senza dubbio il migliore tankista del mondo. Così, secondo lui, i tedeschi avrebbero avuto due possibilità di avere il comando in capo: se avessero contribuito col maggior contingente o se avessero potuto produrre un generale riconosciuto di prim'ordine.

Ha finito dicendomi che riconosceva che le idee dei militari erano in anticipo su quelle del Governo e del mondo politico francese, eccezione fatta per qualcuno (credo intendesse Schuman) ma ha aggiunto che stavano facendo una attiva propaganda a favore delle loro idee; e che erano sorpresi della facilità con cui la gente si lasciava convincere della giustezza del loro punto di vista.

Su questo ultimo punto faccio alcune riserve, pur riconoscendo che anche al Quai d'Orsay hanno fatto indiscutibilmente dei passi avanti. Comunque trovo interessante che una sezione importante degli elementi permanenti, come i militari, sia così spinta avanti.

Mast mi ha chiesto, molto insistentemente, cosa si pensava da noi sia sulla politica tedesca, sia sulle sue tesi circa l'esercito federale. Gli ho detto che per quello che riguardava la Germania da noi si era d'avviso che occorreva al più presto rimettere la Germania nel giro: quanto alla realizzazione pratica di questa idea, a tutt'oggi, data la nostra situazione, eravamo solo vagamente al corrente della reale situazione tedesca: quindi ci era difficile pronunciare dei giudizi che non fossero avventati. Quanto alle sue idee sull'esercito federale, personalmente ritenevo che fossero giuste: soltanto che per quello che riguardava noi, prima di potere ammettere il principio della presenza di truppe straniere permanenti sul nostro territorio ci sarebbe voluto un certo lavoro di propaganda per combattere i residui della mentalità di neutralità.

Dato che Mast ha espresso molto vivamente il desiderio di continuare la nostra conversazione, mi faresti piacere se mi potessi dare un po' di orientamento; si tratta di conversazioni non ufficiali, si intende, ma è meglio non cominciarle in forma stonata.

Personalmente ritengo che, se si deve fare realmente una politica di Unione Europea, senza dubbio i militari francesi sono sulla strada giusta. Per quanto concerne più particolarmente noi, sarei d'avviso converrebbe stessimo un po' a vedere come realmente si mettono le cose: poiché, facendo attenzione a che non ci si accusi di fare una politica infida, dovremmo, secondo me, tendere a limitare i nostri impegni: che oggi il Patto atlantico sia difensivo non lo mette in dubbio nessuno: ma potrebbe, anzi secondo me, dovrà ad un certo momento diventare offensivo: ora mentre per la difensiva, trattandosi di un interesse nostro, non era il caso di negoziare, dovremmo invece negoziare, nella misura del possibile, ogni nostro impegno meno difensivo3 .

743 1 Non pubblicati.

743 2 Vedi D. 727.

744

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 382/1332. Parigi, 11 aprile 19491•

Mio telespresso n. 36311210 del5 corrente2•

2 Non pubblicato.

Gli accordi sulla Germania3 si sono rapidamente conclusi, mi è stato detto al Quai d'Orsay, perché i Tre si sono trovati a Washington animati da un medesimo desiderio, sincero e senza riserve: far uscire le varie questioni dal punto morto in cui si era arrivati e dare alla politica tedesca un impulso più rapido e più conclusivo. A dire del Quai d'Orsay l 'iniziativa è stata soprattutto dei francesi, i quali hanno insistito perché le conversazioni di Washington avessero luogo, mentre da parte degli inglesi si sono avute perplessità ed incertezze.

L'accordo è assai importante non tanto per il suo contenuto, quanto per lo spirito che lo anima e che animerà ormai i successivi sviluppi della politica alleata in Germania. Strettamente parlando infatti l'accordo di Washington non contiene in fondo molto di più di quello che già c'era nelle decisioni di Londra della primavera scorsa; esso ne costituisce più che altro un logico sviluppo e una pratica attuazione.

Le decisioni di Londra, osserva il Quai d'Orsay, erano rimaste alquanto nel vago, erano state alquanto svisate e inceppate nella loro pratica realizzazione, soprattutto perché questa era stata affidata ai comandanti militari, i quali non sono riusciti a sollevarsi su un piano superiore, restando ancorati a difficoltà procedurali e tecniche. Con gli accordi di Washington di questi giorni si è voluto tagliar corto a tutte queste questioni di dettaglio e tecniche ed assicurare nel più breve tempo possibile la effettiva realizzazione del nuovo regime della Germania occidentale.

Essi rappresentano quindi una svolta della politica alleata in Germania, nel senso che essi sanzionano e consacrano la ferma volontà degli Alleati di iniziare in Germania un regime di graduale libertà e di graduale riinserimento nella collaborazione europea.

Un anno fa, osserva il Quai d'Orsay, simili decisioni avrebbero contrariato il Governo francese ed in realtà le decisioni di Londra della primavera scorsa, che, come ho detto, sono all'origine delle decisioni attuali, trovarono, come si ricorda, un'accoglienza assai fredda a Parigi. Ma ora da parte francese ci si rende conto che non è più possibile ritardare la costituzione di questo Stato della Germania occidentale senza andare incontro a pericoli e difficoltà.

Del resto per quel che riguarda gli interessi francesi, il Quai d'Orsay afferma che quanto vi è di fondamentale è stato sufficientemente tutelato; gli Alleati cioè conservano i poteri sufficienti per impedire qualsiasi deviazione della politica tedesca, man mano che la sua gestione viene riassunta dagli interessati.

Per quanto riguarda l'accoglienza che i tedeschi stanno riservando alle decisioni di Washington, il Quai d'Orsay osserva che è naturale che nessun partito tedesco osi dichiararsi soddisfatto, anche in fondo essendolo abbastanza, perché teme di presentarsi all'opinione pubblica come un rinunciatario o come un collaboratore troppo sottomesso degli Alleati. In realtà però le decisioni sono troppo favorevoli alla Germania perché i partiti possano rifiutarle ed in particolare perché il partito socialista possa seguitare la sua opposizione alla revisione della Costituzione. Il Quai d'Orsay non sa ancora se i laburisti abbiano completamente cessato di incoraggiare l'atteggiamento negativo dei socialisti tedeschi: Bevin si è solennemente impegnato a Washington a sostenere le proposte alleate di revisione della Costituzione, ma sembrerebbe che vi siano ancora dei singoli elementi laburisti che

stiano intrigando c incitando i compagni tedeschi. Nell'insieme tuttavia si ritiene al Quai d'Orsay che alla fine i socialisti tedeschi finiranno per cedere, per non prendersi la gravissima responsabilità di far fallire con la loro ostinazione tutto uno Statuto che rappresenta per la Germania un favorevole progresso.

Quanto al tempo che sarà necessario per arrivare alla formazione di un Governo tedesco. il Quai d'Orsay ritiene che saranno necessari ancora alcuni mesi e che se si vuole accennare ad una data, questa non potrebbe essere prima del mese di luglio.

La successiva tappa per la Gem1ania, ha aggiunto il Quai d'Orsay. sarà la sua inclusione nell'Unione Occidentale. Questa tuttavia avvcnà in maniera attenuata con una fonna di partecipazione limitata. A Londra si è ammesso nelle discussioni in corso che i membri partecipanti della Unione inviano solo, in alcuni casi, i loro rappresentanti all'Assemblea dell'Unione senza avere rappresentanti nel Consiglio. Sarebbe appunto tenendo presente la Gennania che si è presa questa decisione: una pmiccipazione all'Assemblea c non al Consiglio sarebbe la prima tappa della ammissione della Gennania nell'Unione Europea.

743 3 Per la risposta vedi D. 763.

744 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

744 3 Vedi D. 727.

745

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L SEGRETA PFRSO~AU 1577. Londra, Il aprile /949.

Il Lord Cancelliere ha desiderato parlarmi in modo confidenziale invitandomi ad un pranzo intimo, rimanendo dopo noi due soli a colloquio.

Non so fino dove l'incontro nostro potesse essere stato concordato con il Forcign Offìce e andasse oltre ad una conversazione amichevole. In ogni modo ritengo doveroso trasmetterne subito i punti essenziali.

Tripolitania. Lord Jowitt desiderava dirmi francamente le sue impressioni personali dopo una breve visita in assoluto incognito fatta alla nostra colonia da Malta. Egli vi era giunto alla vigilia dei funerali dell'ammiraglio Fenzi «impenitente fàscista» (sono le sue parole), con un concorso appassionato degli italiani in cui, mi sembra, egli stentasse a distinguere quanto vi fosse di entusiasmo patrio c quanto di rimpianto del regime. In ogni modo ammetteva che la condotta degli italiani era stata perfettamente corretta. disciplinata, osservante delle disposizioni della B.M.A. Anche il mondo arabo era stato tenuto a freno per timore di disordini. Molti elementi facinorosi erano stati allontanati verso il deserto. Ma l'impressione di Lord Jowitt è che «il fermento fosse nell'aria» c sarebbe bastato uno zolfànello per fare scoppiare un tumulto. Tutte le sue informazioni prese sul posto concordavano con la sua impressione: che se pure si potesse contare su più di un 50% di favorevoli tra gli arabi ad un nostro ritorno vi era indubbiamente una tale forza ostile da rendere improbabile un ritorno «pacifico» dell'Italia e che conveniva da parte nostra misurare bene che cosa avrebbe significato per noi un «fàtto di sangue», tipo Mogadiscio 1 , col vasto mondo

arabo in attitudine avversa a ogni nostra pur giustificabile repressione. Gli pareva che da parte italiana o non si conoscesse la realtà o si desiderasse di ignorarla, ma in questo. a suo parere, stava appunto il pericolo.

Gli risposi con tutti gli argomenti che ritenevo più persuasivi: a cominciare dall'esempio della Somalia dove erano bastati pochi funzionari di buona volontà da parte nostra, quale Manzini, e qualche mutamento nella B.M.A. da parte inglese, per portare in pochi mesi a una reale pacificazione la colonia. Egli ammise che la buona. reciproca, leale volontà potesse far molto, ma disse anche che in Tripolitania bisognava aver il tempo di fare la stessa prova, di preparare il terreno al passaggio, e che era proprio l'impazienza che gli pareva pericolosa. Insomma il suo parere personale era decisamente per un rinvio del ritorno dcii 'Italia in Tripolitania.

Eritrea. D'altra parte con la stessa oggettività egli giudicava che la cessione deli' Eritrea ali' Etiopia fosse un gravissimo errore da parte anglo-americana. Lord Jowitt mi assicurò che egli aveva fatto tutto il possibile per persuadere di evitarlo c ancora avrebbe lavorato in questo senso. Ora che l'Italia era entrata nel Patto atlantico e nel Consiglio di Europa dalle due parti bisognava evitare irreparabili etTori e le loro incalcolabili conseguenze per aver voluto giungere a conclusioni intempestive e immature. La sua precisa convinzione, che non nascondeva né a me né ai suoi, era dunque che tanto in Tripolitania come in Eritrea fosse opportuno guadagnar tempo, il tempo necessario per trovare soluzioni e evitare sorprese.

È inutile io ripeta le mie risposte in contrapposizione. Data però l'alta autorità dell'uomo, la sua influenza politica c la sua costante amicizia per l'Italia fin dai giorni dopo Mogadiscio. non potevo ritenere per me questa conversazione confidenziale c un punto di vista che. pur non essendoci gradito, deve essere valutato da voi che avete tutti gli altri clementi per cui può inquadrarsi nelle discussioni di Lakc Success.

745 1 Per la documentazione sull'eccidio di Mogadiscio si veda il volume VII della serie decima.

746

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK

T. S.D.N. 2879/42. Roma, 12 aprile 1949, ore 14,30.

In conferenza ambasciatori Londra delegazione inglese aveva proposto formula che limita competenza Consiglio europeo a questioni culturali, sociali, scientifiche, escludendo in tal modo questioni politiche 1• In seguito intervento nostro e francese si era poi persuasa almeno sostituire elencazione suddetta con frase che stabiliva competenza a «questioni di comune interesse». In seduta ieri inglesi sono però tornati su formula primitiva e vi insistono. Ho dato a nostra delegazione istruzioni insistere a sua volta d'accordo con francesi su nostro punto di vista giacché formula britannica equivale silurare Unione Europea. Quaroni ne intratterrà Quai d'Orsay.

746 1 Sulle istruzioni date in proposito da Zoppi a Gallarati Scotti vedi D. 689.

747

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A KARACHI, ASSETTATI

T. 2903/18. Roma, 12 aprile 1949, ore 23.

Suo rapporto 140 1•

Data passaggio Roma codesto primo ministro e seguito coincide purtroppo con assenza da capitale presidente Repubblica presidente Consiglio e ministro affari esteri. Ali Khan sarà comunque fatto segno maggiori attenzioni.

Tuttavia Governo italiano sarebbe lietissimo accoglierlo quale suo ospite se occasione viaggio ritorno da Londra egli intendesse fermarsi Roma. S.V. potrà formulare invito tale senso2 •

748

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3597/70. Mosca, 12 aprile 1949, ore 14,58 (perv. ore 14,45).

Benché Enver Hoxha arrivando a Mosca il 21 marzo avesse preannunziato quale scopo della sua missione il rafforzamento dei legami economici con U.R.S.S. tuttavia qui si manifesta una certa sorpresa per il fatto che dopo venti giorni egli sia partito senza che sia annunciato alcun accordo politico del genere di quelli vincolanti gli altri Stati satelliti. Si pensa tuttavia che nella lunga permanenza non si sia trattato soltanto dell'accordo economico ora annunziato. Si segnala assenza di Dimitrov da Sofia e si ritiene che egli sia stato a Mosca in coincidenza con presenza delegazione albanese. Se ne deduce, secondo l'opinione prevalente, che la missione avrebbe avuto come compito principale quello di concordare una azione politica comune con speciale riguardo a probabile azione di molestia contro Tito mediante guerriglie partigiane in Macedonia.

Circoli più autorevoli continuano tuttavia ad escludere azione diretta sovietica o dei satelliti.

747 1 Non rinvenuto. 2 Con T. 3788/25 del 17 aprile Assettati riferì di aver formulato l'invito che era stato accettato «con viva riconoscenza» e indicò la data dell'arrivo a Roma. Per il colloquio con De Gasperi vedi D. 780.

749

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER TELEFONO 3608/113. Belgrado, 12 aprile 1949, ore 18,30.

Brilej mi ha stamani comunicato seguenti definitive decisioni suo Governo.

Governo jugoslavo disposto firmare subito convezione pesca alle seguenti condizioni:

l) firma contemporanea a Roma accordo navi guerra; 2) rilascio da parte mia lettera relativa aumento plafond e altre facilitazioni nei termini contenuti nel telegramma ministeriale n. 66 1 con le seguenti variazioni: a) sostituzione delle parole sia ... sia (punto 2 del suddetto telegramma) con le congiunzioni e ... e; b) aggiunta del seguente periodo: «nel corso delle trattative sarà anche benevolmente esaminato il problema delle forniture con il pagamento a breve scadenza»;

3) rilascio da parte mia una seconda lettera con la quale il Governo italiano si dichiara d'accordo successivamente si firmeranno ed entreranno in vigore contemporaneamente (dico contemporaneamente) i seguenti accordi:

a) accordo fra le due delegazioni che trattano a Belgrado la questione dei beni nazionalizzati (limitatamente all'accordo sui principi generali per l'indennizzo dei beni nazionalizzati oggi in trattazione);

b) accordo per la consegna dei macchinari R.O.M.S.A.;

c) accordo per la consegna delle navi mercantili jugoslave fino oggi naviganti e in mano italiana;

d) accordo sull'importo dell'indennizzo da versarsi a Governo jugoslavo per le navi mercantili jugoslave affondate in acque italiane2 .

750

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 276/94. Nanchino, 12 aprile 1949 (perv. il 24 maggio). Riferimento: Seguito mio 252/90 del 29 marzo'.

2 Zoppi rispose (T. precedenza assoluta 2917/103 del 13 aprile) approvando i punti l) e 2) ed autorizzando lo scambio di lettere di cui al punto 3) con il seguente testo: «Entreranno contemporaneamente in vigore appena conclusi seguenti accordi: l) accordo in trattazione Belgrado per nazionalizzazioni e beni italiani in Jugoslavia e territori ceduti; 2) accordo in trattazione a Roma, in massima già definito, per macchinari R.O.M.S.A.; 3) accordo pure in trattazione Roma per navi mercantili jugoslave in acque italiane e naviganti in mano italiana». 750 1 Vedi D. 663.

In data 31 marzo, alla vigilia della data stabilita dai comunisti per l'inizio delle conversazioni di pace, è partita per Pechino la delegazione governativa. I delegati sono sci, assistiti da alcuni consiglieri. da numerosi segretari. da alcuni funzionari delle poste e da due rappresentanti delle compagnie d'aviazione civile.

Alla vigilia della loro partenza i delegati hanno avuto intensi contatti con personalità del Governo c del Kuomintang. Il capo della delegazione generale Chang Chih-chung, si è recato in volo da Chiang Kai-shck, nel suo ritiro di Fcnghwa. Al suo ritorno a Nanchino, Chang Chih-chung ha reso di pubblica ragione alcune dichiarazioni che il Generalissimo gli a\ rcbbc fatto. In sostanza, in tali dichiarazioni Chiang ha dato il suo nulla osta all'inizio di negoziati coi comunisti, ma circa la condotta e i risultati del tcntati\o egli ne la~cia intera la responsabilità a Li Tsungjcn cd a Ho Ying-ching.

La radio comunista, nell'annunciai\~ l'arriYo dci delegati governativi a Pechino. non si è astenuta dall'usare i soliti appellativi di <<bogus» c <<criminali di guerra>> che impiega ogni volta che parla del Governo cçntrale e dci suoi componenti.

L'atmosfera in cui s1 sono iniziate le comcrsazioni può giudicarsi da quelle che sono state le più recenti manifestazioni della radio comunista. ora trasferitasi da Ycnan a Pechino. CtJsÌ. la radio di Pechino ha d,1to grande pubblicità a un ordine del giorno stilato alla fine di un comcgno. tenuto~i a Pechino. c che ha riunito, sotto la presidenza del maresciallo Li Chi-shcn, una dozzina di personalità «democratiche>>. In tale ordine del giorno si stigmatizza in termini \ 10lcnti la politica di oppressione che le :;utorit~1 inglc.~i. olamksi, francc~i. siamesi, tìlippinc conducono nei confi·onti dcglt ><< h·crs..::t~ Chincsc>>: una delle prime preoccupaziun1 del futuro Governo del popolo del ia C in a ~arù quella di prl'\\ L~dcre con energia alla tutela dci milioni di «(h (:rsc~b Chin,:s<>.

ln pan tempo Id radio comunista ha rcs,, noto un deliberato del Comitato ccntrak del partito che annuncw che ormai la politica interna dci comunisti cinesi sta per entrare in LIIW nU\>\'(~ n1:-.c. cioè daila Jasc :igLHW ~~ quella urbana: «in Un prossimo futuro è dalle città che partiranno le diretti\ c ckl p:1rtito per la \ila delle campap1c». Com··~ notu. b tendenza agraria che a'. C\;; finora p re\ a bo nel partito comunista cinese c che è legata al nome di Mao TLe-tung. era stata a lungo osteggiata da altri capi Cl\111lll1isti, specie dc~ Li Li-san. l ne\ itahilmcnh:. !a conqui~ta di grandi centri urbani come Pechino c Ticnt~in c la pro:-.pcttiva del possesso eli altre grandi città. hanno determinato uno ~posiamento dcll'as"c poi itico del partito comunista cinese; il parti tu considera chiusa la htsc agraria c si d\\ i a a di\ cntarc i l partito dcgl i oper:1i oltre che dci contadini: è uno spostamento vcrsu un<l linea di maggiore onodo:-.sia.

Sempre ~ccondo le notizie di lTusc dalla radio comunista, a Pechino v cngono S'.oltt uno dopo l'altro congressi di associazioni politiche. di organiuazioni femmini

li. studentesche. ccc.: tutte attività che sono intese a dare b sensazione di un risveglio intcllcttuak di un fermento di idee nella nuo\ a atmosfera conltllli;.ta.

Fra gli ordini del giorno Yotati alla fine di queste riunioni a Pechino. va sottolineato quello relativo al Patto atlantico. Es:-o è stato stilato alla vigilia della conclusione del Patto e porta la firma di Mao Tzc-tung. di Li Chi-sen c dci rappresentanti della Lega democratica (partito che era stato messo 1ìJOri legge dal Governo centrale) e di una mezza dozzina di altri piccoli partiti che hanno trasferito la loro sede da Hongkong a Pechino. L'ordine del giorno, di cu1 mi riservo inviare il testo, è una violenta

presa di posizione contro il Patto, e vi si dichiara che «se il blocco aggressivo degli imperialismi oserà provocare una guerra reazionaria, noi uniremo il popolo e, in nome dci principi di Sun Yat-sen, marceremo compatti assieme all'alleata della Cina, l'Unione Sovietica, e alle forze della democrazia mondiale».

Circa le possibilità di pace la radio comunista si faceva sempre più dura, affermando che Li Tsung-jen e gli altri esponenti del Kuomintang debbono onnai decidersi: o schierarsi con Chiang Kai-shek «number one war criminab> c con gli imperialisti americani, o «complete suiTcndcr to thc pcople»: una terza via non esiste.

Intanto, insieme e nel quadro di tale guerra di nervi, aumentava la pressione militare dci comunisti sui pochi capisaldi che ancora rimangono ai nazionalisti sulla riva settentrionale dello Yangtze, particolarmente in direzione dello Chinkaing c di Wuhu (rispettivamente a trenta chilometri ad est e cento chilometri a ovest di Nanchino) e in direzione di Hankow, e lo spiegamento di forze in vista del passaggio del fiume. Inoltre, tre tatti intervenivano a peggiorare la situazione e ad appesantire l'atmosfera di Nanchino: nella mattina del primo d'aprile avveniva qui a Nanchino un grosso taJferuglio tra studenti e militari convalescenti. Si ebbero un centinaio di feriti c contusi c uno studente deceduto in seguito a ferite. Subito la radio comunista si è impadronita dell'incidente gonfiandolo fino a chiamarlo «il massacro di Nanchimm c tracndonc occasione pt:r nuove c più violente accuse ai governanti di Nanchino.

L'altro fatto è costituito dalla pubblicazione di una lunga lettera di Fu Tso-yi (il comandante nazionalista del nord Cina che negoziò la «pace» di Pechino) a Mao Tzc-tung, in cui Fu riconosce i suoi errori, promette in futuro leale collaborazione a Mao Tze--tung per il bene del popolo, ecc.: un vero atto di contrizione. cui seguiva l'assoluzione e il compiacimento di Mao Tzc-tung. In tale sua risposta a Fu, Mao promette a tutti i membri dc! Kuomintang c delle forze governative il perdono <<purché si dimostrino capaci di di~tingucre il giusto dall'ingiusto». Non v'è dubbio che il gesto di Fu c la risposta di ìvlao siano valse a scuotere ancor più il morale e la volontà di resistenza delle minori gerarchie militari c civili del Kuomintang.

Infine, mentre a Pechino le due delegazioni prendevano i primi contatti non formali, ne partivano in aereo due misteriosi personaggi latori di un messaggio fH.'r Li Tsung-jen. Da quanto questi si è affrettato a comunicare ali 'ambasciatore Stuart (che. come riferii per fìlo:', ne informò i rappresentanti delle potenze del Patto atlantico) ~i trattava di un messaggio di Li Chi-sen (il capo delìa !ì·azione anti-Chiang del Kuomintang) per avvertire Li Tsung-jen che i comunisti vogliono un'adesione di principio «entrJ il 9 aprile» e prima di iniziare trattative <<formali» di pace sui seguenti punti: formazione di un comitato per la «riorganizzazionc» delle forze armate nazionaliste; il comitato dovrebbe essere effettivamente costituito entro il 12 aprile con Mao come presidente e Li Tsung-jen come vice presidente: con~enso all'occupaziouc pacifica di Nanchino e Shanghai; punizione degli arcicriminali Chiang Kai-shek, Chen Li-fu e Chen Cheng (attuale governatore di Formosa): in caso di rifiuto, i comunisti avrebbero passato lo Yangtze entro il giorno 12. l comunisti avrebbero deciso insomma di passare il fiume nei prossimi giorni in qualunque caso. pacificamente se la loro intimazione è accettata, con le armi se respinta.

750 è Vedi D. 713.

Sebbene il modo singolare con cui i comunisti han fatto pervenire la loro intimazione faccia pensare piuttosto a un tentativo di pressione e di intimidazione, Li Tsung-jen ha dichiarato all'ambasciatore americano di trovarsi in presenza di un ultimatum: che, come riferii per filo, avrebbe potuto porlo a breve scadenza nella necessità di abbandonare Nanchino.

Richiamato d'urgenza nella capitale il primo ministro Ho Ying-ching che si era recato a Canton per conferire con i capi del Kuomintang colà convenuti (e che vi ha avuto un lungo colloquio di un'ora e mezza con l'ambasciatore russo di cui ancora nulla è trapelato) Li inviava pubblicamente (7 aprile) una lettera personale a Mao Tzetung (di cui allego la traduzione ufficiosa inglese )3 nella quale, senza riferirsi ad alcuno specifico passo comunista, egli conferma la sua volontà di pace, si dichiara pubblicamente pronto a collaborare con i comunisti e con gli altri elementi democratici per la creazione di una nuova Cina secondo i principi di Sun Yat-sen; e circa il problema dei «criminali di guerra» offre il sacrificio della sua persona (la traduzione ufficiosa in inglese non rende il pittoresco del testo cinese: «se vi fosse ancora la pena del calderone dell'olio bollente Li Tsung-jen vi si offrirebbe»). In sostanza la lettera è un tentativo, di stile tipicamente cinese, di sfuggire alla pressione e di guadagnar tempo e insieme di rigettare sui comunisti l'impopolarità di un'eccessiva rigidezza. In effetti dopo due giorni Mao Tze-tung rispondeva e la sua lettera (che anche allego? non accennando a ultimatum, l'atmosfera è oggi di minor tensione che nei giorni scorsi. Comunque, quali che siano gli alti e bassi dell'attuale guerra dei nervi, nei prossimi giorni i comunisti dovranno pur rivelare le loro immediate intenzioni. Se il loro atteggiamento continuerà ad essere quello che la loro propaganda ha rivelato in questi ultimi tempi sembra vi sia scarsa speranza per Li Tsung-jen di sfuggire al dilemma: o rifugiarsi al sud e identificarsi con i suoi avversari della destra del Kuomintang dichiarando fallito il suo tentativo, o negoziare con i comunisti non più una pace ma una resa.

749 1 Vedi D. 550.

751

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 1641. Vienna, 12 aprile 1949.

Sono veramente dolente che questa corrispondenza di ufficio con il segretario generale che ha già sulle braccia tante e più gravi questioni di carattere internazionale, si prolunghi più del previsto e di ogni intenzione, ma mi riferisco alla tua ultima del 4 corrente' che mi pone anche la utilità di un chiarimento per norma mia e degli uffici dipendenti.

Sono d'accordo che nella presente fase, in attesa di quelle che potranno essere le iniziative o reazioni del Governo austriaco in relazione alle nostre comunicazioni del

751 1 Vedi D. 691.

3 febbraio u.s. 2 e che tuttora non si manifestano né si può prevedere quali possano essere, il più savio consiglio sia forse di non muoverei e di attendere gli eventi: poi si vedrà. Concordo quindi con Interni e Presidenza che non vi è alcuna urgenza di istruzioni per noi qui ma il mio accenno all'invio di queste, contenuto nella mia lettera del 25 marzo

u.s.3 , si riferiva esclusivamente a quanto mi scriveva Guidotti nella sua lettera del 10 marzo 1949 n. 280 e che per comodità tua di immediato riferimento trascrivo:

«Le norme e le istruzioni per la legazione e per il consolato generale di Innsbruck con le quali dovranno essere tradotte in atto le decisioni di massima adottate nella riunione (cioè la riunione di alti magistrati e funzionari da voi convocata per le note finalità interne), vi giungeranno più tardi. Secondo me, anche all'infuori di queste, c'è nel campo empirico e caso per caso tutta un'azione da svolgersi presso gli interessati che potrebbe, se guidata con opportuni accorgimenti, dare i suoi frutti. Ed è inutile che ti dica che contiamo molto sui consigli e le direttive che in questo senso vorrai dare a Biondelli.

Ti sarò grato se, credendolo utile, vorrai farmi sapere quel che ne pensi».

Era soltanto in relazione a questa «azione» ecc. ecc. che attendevo queste istruzioni e vi accennavo. Né Biondelli mi ha dato alcuna indicazione utile circa le sue conversazioni romane. Nel frattempo quindi mi sono astenuto da qualsiasi iniziativa e mi sembra, da quanto ora scrivi, di avere agito bene, ma ti sarei grato se il Ministero mi orientasse se approva o se invece debba svolgersi un'azione e allora precisamente quale da parte degli uffici consolari.

Nei riguardi più propriamente diplomatici, come ti prospettavo nella mia del 25 marzo, ho continuato nell'atteggiamento di apparente disinteresse in argomento verso queste autorità centrali e mi sembra che anche ciò coincida con le vedute di costì.

Una parola di benestare anche su questo punto mi sarebbe, tuttavia, per mia tranquillità, assai gradita.

Circa le insistenze personali dei rioptanti, per il momento non me ne sono state segnalate, e appare anche probabile che, salvo qualche fatto nuovo, e almeno per qualche tempo, non ne avremo: in genere nessun optante ha fatto mai insistenze vere e proprie per una sollecita o più sollecita evasione della sua domanda: li abbiamo educati e abituati a pazientare: le domande hanno avuto sempre un corso amministrativo regolare, più o meno rapido, ma sempre senza interferenze degli interessati e di terzi. Sono stato infatti sempre contrario da parte mia alle pretese affacciate a più riprese da più direzioni, austriache e italiane, per precedenze preferenziali da accordare nella trattazione delle domande, il che avrebbe creato un groviglio di clientele e speculazioni politiche, qui e in Alto Adige, pregiudizievole per i nostri interessi. Ogni rioptante sa che in ogni caso la procedura che la sua domanda fa aprire ha un andamento abbastanza lungo.

Sono quindi anche per questo d'accordo che, nel quadro della situazione attuale, convenga ormai guadagnare tempo in attesa di vedere gli sviluppi dei semi che sono stati gettati: il dato è stato tratto e vedremo che cosa accadrà4 .

3 Vedi D. 639.

4 Per la risposta vedi D. 814.

750 3 Non pubblicato.

751 2 Vedi D. 233.

752

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.!\.D. 3666/141. Londra, 13 aprile /949, ore 16.02 (pc1-v. ore /9.35).

i'v1io 133 1

Ieri mattina sono stato informato che alla seduta pomeridiana conferenza sarebbe stato prest:ntato progetto articolo primo dello Statuto Consiglio Europa nella redazione preparata da esperto legale britannico secondo la quale scopi del Consiglio erano nuovamente limitati a comune azione in campo economico sociale culturale scicntilìco legale amministratinJ.

Ritenendo. anche in b<bc istruzioni tckfonichc "cgretarw generale. che tale formulazione rcstrittiva non tì,)s~e a-;~olutamcnte accettabik. abbiamu. 111 diretta conversazione con Jebb prima dclb ~ccluta. messo in chiare• che a\Temmo insi~rito affinch<; tra gli scopi Comiglio I-'uropa fo-;se specificatamentc indicato quello di discutere questioni di interesse comune senza !imitarne natura. Tale era del resto base fondamentale del Con,iglio Europa. Nello schema allegato aìl'im'ito a prender parte alla conlèrcn/a preparatoria era d'altronde proposta 1<1 fòrmula <<discussirm of qtli> qi,m of comm un conccrn>> c formula stessa cr~1 stata accettata c messa a \ erhalc nelle pr~;.·cccknti ~edutc.

Jehb ha riccmosciuto fondamento nostra richicst« tanto più che loro esitazioni riguard;w~l'10 unic:-~mcntc la forma mentre ncìla sost,mz:.J cra\'amo d'accordo sulla essenziale portata politiL·a del Cun11tato ministri: ~lbl,iamo allora L~oneordato per C\ ilare discussi.mi al ta\olu conkrct1/a che inclu~ionc l'rase di cui '>Opra nel prPgctto inglese fossl' proposta dallo stcSSl' dckgato britannico.

Ciò è an cnuto c primi due naragmf! art. l sono stati quindi approvati unanimità nella tòrma "cgm:ntc:

a) SCOJ1ll Consiglio è realizzare unione più stretta tra i suoi membri al fine salvaguardare c promuovere ideali c principi che sono loro comune patrimonio nonché f~worirc loro progresso sociale cd economico:

b) tale obictti\o sarà raggiunto attrm crso organi Consiglio Europa mediante discus~ionc questioni interesse comune c mediante intese cd azione comune in campo economtco. sociale. culturale, scientifico. giuridico, amministrativo, tutela c sviluppo diritti dell'uomo c libertà fondamentali.

Terzo paragrafo stabilisce che azione Consigiio non debba portare pregiudizio a collaborazione dci membri a Nazioni Unite cd altre organizzazioni internazionali: paragrafo quarto specifica che questioni attinenti difesa nazionale non sono competenza Consiglio.

7".2 1 Del 7 aprile:. con il quale Ciallarati Scotti a\ eva riferito circa k pn>postc di formul<uionc dell'art. l dello Statuto del Consiglio d'Eumpa. Sull'argoml'nto \l'di anche DD. 6~9 c 746.

753

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 3674/19. Assun~ione, 13 aprile 1949, ore 22,35 (perv. ore 2 del 14).

Questo ministro degli affari esteri mi ha fatto leggere stamanc telegramma inviato rappresentante Paraguay O.N.U. nel quale rinnova istruzioni adoperarsi attivamente a sostegno aspirazione italiana riguardo alle colonie italiane conformando sua condotta a quella dei delegati Argentina Brasile Cile.

754

L'AMBASCIATORE A PARICìL QUARONI. AL SEGRETARIO GENERALE ACìLI ESTERI. ZOPPI

L. l'l'RSO'JALic 3921] 3S5. l'origi, 13 upri/e 1949.

Il presidente Wcizman, che '~ stato per due giorni di passaggio a Parigi in incognito, sulla via delLA.merica, mi ha pregato di passan,: a vcdcrlc>. Ti segnalo alcuni punti della conversazione che possono avere qualche interes~c:

l\ Wcizman è cstrcnJailll'ntc preoccupato ali 'idea del patto mediterraneo la cui creazione egli temeva imminente. L'ho ra-;~icurato. Egli teme di vedere Israele bloccato politicamente in una massa musulmana sotto influenza inglese c a lui ostile. Dice di c~~crc convinto della necessità che si concordi tì·a Italia c Israele una comune poi itica mediterranea.

2:• lb in mente un mollo vasto programma di lavori pubblici c di cnslruzioni elettriche in Israele. Vorrebbe allidan: nella maggior parte possibile le L·uslruzioni ni:cessariv all'industria italiana c far lavorare in Israele nostn grandi appaltatori. Mi ha però avvertito che le nostre imprese dovrebbero portare con loro soltanto tecnici c capi squadra: l'ammasso della mano d'opera dovrebbe cssert: locale. Israele ~.i tro\'a giù con un problema di esuberanza di mano d'opera che l'aftlusso disordinato di questi ultimi tempi non gli permette di assorbire che molto lentamente: tanto vero che egli ha dc:iso di limitare a 150 mila all'anno le immigrazioni.

3:' Per i punti l c 2, Weizman sarebbe disposto, anzi desideroso al suo ritorno dall'Amc,·ica di passare (in incognito) per l'Italia per prendervi contatto sia con i dirigenti della politica italiana. sia con imprese che potrebbero interessarsi ad Israele.

4,~ Vorrebbe esaminare anche l'eventualità della costruzione di una linea di n m igazione italo-isracliana.

s:, Si è mostrato molto intransigente per la questione dell'internazionalizzazione dci Luoghi Santi. La sua tesi è che egli non comprende quale sia lo scopo di questa internazionalizzazione. Se si tratta della libertà di amministrazione e del rispetto dei privilegi tradizionali delle istituzioni religiose in Palestina. Israele non ha nessuna intenzione di opporvi alcuna limitazione e si meraviglia anzi che ci sia chi lo sospetti di volerlo fare. Quanto alla libertà dei pellegrinaggi, trattandosi dal punto di vista di Israele di un movimento turistico e ciò nell'interesse di Israele, non vede perché si dovrebbe temere che esso possa opporvi delle restrizioni. Dato questo egli vede nel progetto di internazionalizzazione solamente un tentativo di voler autorizzare delle ingerenze straniere nella vita interna del nuovo Stato. Mi sembra sia orientato nel senso di una specie di «legge delle guarentigie» emessa in forma unilaterale da Israele il quale garantirebbe lo statuto dei Luoghi Santi. Per parte mia, gli ho negato, almeno per quello che ci concerne, qualsiasi scopo recondito. Gli ho detto che doveva comprendere che il nuovo Stato d'Israele era per noi un'incognita: tutti conoscevano lui ed avevano la massima fiducia personale in lui: ma nessuno sapeva cosa sarebbe lo Stato in pratica, il prefetto, il giudice o il commissario di polizia d'Israele.

6) È piuttosto preoccupato dell' atteggiamento incerto del Vaticano e si è, anche lui, violentemente !agnato di monsignor Testa. Ho cercato di spiegargli anche in base agli ultimi rapporti quale era l'atteggiamento vaticano. Mi ha chiesto se, nel caso egli si fosse recato a Roma, ci sarebbero state difficoltà da parte nostra che egli si recasse a visitare il Santo Padre per discutere direttamente la questione con lui. Gli ho detto che da parte nostra non c'era la minima difficoltà. Mi ha chiesto se noi potevamo aiutarlo per essere ricevuto dal Santo Padre: gli ho detto che certamente non ci sarebbero state difficoltà di principio da parte nostra ma non sapevo se questo sarebbe stato necessario: gli ho consigliato durante la sua permanenza a Washington di parlarne col delegato apostolico che è il tramite adatto.

Weizman conta di essere di ritorno a Parigi fra una diecina di giorni: si fermerà qui sempre in incognito qualche giorno e vorrebbe per quell'epoca che io fossi in grado di dirgli se può andare a Roma. Ti pregherei di mettermi in grado di rispondergli a meno che non crediate di farlo avvicinare anche dali' ambasciata a Washington. Nel complesso mi sembra che sarebbe interessante di riallacciare con lui nella sua nuova qualità di presidente le vecchie relazioni con l'Italia di cui egli mostra sempre ottimo ricordo, specie dei suoi colloqui con Mussolini 1 .

755

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 876/536. Sofia, 13 aprile 1949 (perv. i/16).

Riferimento: Mio rapporto 670/419 del 23 marzo u.s. 1•

Ritengo di un certo interesse trasmettere qui unito il testo (quale è stato pubblicato nel locale ebdomadario in lingua inglese «Free Bulgaria») di alcune dichiarazioni fatte alla stampa ungherese da Vassil Kolarov, in occasione del suo recente viaggio a Budapest (sull'argomento ha riferito anche la legazione in quella capitale col suo rapporto n. 1026/161 del21 marzo u.s. 2 .

Il «Free Bulgaria» fa precedere il testo di tali dichiarazioni dal titolo No Balkan Federation, mettendo così in risalto che il punto più importante dell'intervista è quello riguardante tale questione, in relazione al problema macedone. Effettivamente, il resto delle dichiarazioni di Kolarov (sui rapporti bulgaro-greci e sull'atteggiamento della Bulgaria nei confronti del Patto atlantico) non fa che ripetere argomentazioni ormai note, fra le quali si può tuttavia rilevare, per l'autorità di chi l'esprime, quella che conferma che «un accordo è possibile solo se la Grecia riconosce le frontiere esistenti, quali determinate alla Conferenza di pace di Parigi e rinuncia alla sue pretese di annessione di un decimo della Bulgaria».

Piuttosto nebulosa la forma in cui Kolarov si è espresso sull'argomento principale, quello del problema macedone, nel quadro di un ipotetica federazione balcanica.

Kolarov afferma in sostanza che tutte le notizie della «stampa capitalista, specialmente americana» per cui la Bulgaria vorrebbe creare una federazione balcanica della quale la Macedonia farebbe parte come una unità indipendente sono «pura fantasia».

Secondo Kolarov: «Noi abbiamo ripetutamente dichiarato e lo ribadiamo ora che per noi l 'idea di una federazione balcanica non esiste». Trattasi, secondo Kolarov, di uno slogan messo in voga venti anni fa dai partiti socialdemocratici e ormai superato (il ministro degli affari esteri bulgaro ignora totalmente le dichiarazioni ben note fatte al riguardo da Gheorghi Dimitrov nel gennaio 1948, che diedero luogo alla smentita sovietica che a suo tempo fece tanto rumore)3 .

Tali false notizie, sempre secondo Kolarov, avrebbero lo scopo evidente di presentare la Bulgaria come un paese aggressore e conquistatore, che vorrebbe in tal modo mettere le mani sulla Macedonia.

Aggiungo per esclusivo debito d'ufficio che vi è qui chi, con deduzioni per ora arbitrarie, vede in tale atteggiamento risolutamente contrario assunto da Kolarov nei confronti dell'idea di una federazione balcanica, idea alla quale Gheorghi Dimitrov pare non avesse completamente rinunciato nonostante l'opposizione sovietica, un elemento che potrebbe dare una certa consistenza alle voci che corrono circa una prossima successione del dittatore, voci fondate sulla sua prolungata assenza, sulle sue cattive condizioni di salute e sulla accresciuta attività ed importanza di Vassil Kolarov, nonché anche sulla caduta di Trai cio Kostov (che viene interpretata come un episodio della lotta per la successione).

3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 191.

754 1 Vedi serie settima, vol. XIII, D. 480 e vol. XIV, DD. 712, 728 e 742. Con T. 3109/192 del 19 aprile Zoppi rispose: «Tua lettera 39211385 del 13 aprile. Poiché mi risulta che Weizman si è intrattenuto a New York con ministro Sforza, sarebbe interessante che tu lo vedessi al suo ritorno costì anche per nostra norma in relazione varie questioni di cui lettera suddetta».

755 1 Con il quale Guarnaschelli aveva riferito sul particolare rilievo dato a Sofia alla visita di una delegazione bulgara in Ungheria per lo scambio degli strumenti di ratifica del trattato bulgaro-ungherese di amicizia, collaborazione e mutua assistenza.

755 2 Non pubblicato.

756

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPA AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. 2962/57. Roma, 14 aprile 1949, ore 17,30.

Mio telegramma 541•

Presidenza Consiglio, ha avuto assicurazione da ministro interni che nel suo colloquio con Graf egli si è limitato muovere rimostranzc per note decisioni austriache del 2 novembre rimettendosi alle detenninazioni che Austria avrebbe creduto di adottare di intesa con Governo italiano onde eliminare inconvenienti da noi lamentati.

Pertanto. qualora fosse prospettata costì possibilità di una dichiarazione austriaca nel senso da noi a suo tempo richiesto. V.E. potrà confermare che essa appare ormai superata.

757

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.'·i.D. 3723/59. lv'e11· York, 14 aprile 1949, ore 13,06 (perv. ore 24).

Iermattina Dullcs venne da mc per un lungo colloquio. La sera venne McNeil 1

Dulles sentì tutto il valore delle nostre ragioni, espresse vivo desiderio continuare così tì·anchi scambi di idee mostrando sperare che si raggiunga un accettabile compromesso. Nel corso della conversazione si lagnò che parlando con Dunnè tu avessi mostrato temere qui sfiducia anticomunista. Dulles mi dichiarò fiducia americana in noi era pienissima e che la ditTicoltà veniva dal sentimento anticolonialc prevalente alle Nazioni Unite c nel paese. Spiegai a Dulles che tu eri sicuro della fiducia americana ma che il tuo dilemma restava inattaccabile come sintesi di ciò che il popolo italiano rischia pensare.

McNeil ebbe invece il pregio di una brutalità assoluta: «Noi dobbiamo avere Cirenaica come base contro dei nemici che sono anche i vostri e voi dovreste aiutarci invece di ricattarci. È vero che Bcvin vi aveva detto che noi non ci opporremo se vi danno Tripolitania3 ma non possiamo spingerei ad aiu

2 Vedi D. 738.

1 Vedi D. 687.

tarvi perché ciò facendo perderemmo i voti degli Stati arabi necessari per il mandato Cirenaica». Tralascio tutto il resto per venire alla sua frase finale: «Ho troppa stima di voi e del vostro passato per non avvertirvi che i vostri amici sono troppo ottimisti e che voi correte il rischio di non avere neppure i voti sufficienti per ricevere Somalia».

Se tu pensi che mai come ora il Regno Unito fu influente qui per evidenti ragioni di difesa militare avrai quadro esatto situazione malgrado permanente ottimismo di vari nostri amici. Rimane comunque l 'incertezza delle votazioni e a ciò lavoro indefessamcnt . .:: rimanendo qui fino al 20, ultimo limite per rivederti prima di andare firmare Unione Europea.

Statrane in una conversazione con degli intimi di Truman mi sono persuaso che sarebbe improduttivo di insistere per vederlo ma invio invece adesso una lettera ad Acheson4 prospettando necessità allargare il problema nel!' avvenire.

Dovere tuo e mio resta riaffermare con offensiva non con difensiva che la nostra pohtica generale è la sola garantente salvezza sviluppo Italia.

Occorre ignorare ogni sovracccitazionc tipo Orlando al tempo di Fiume. Calma dcii' opinione è nelle mie mani al mio ritorno. Ma di ciò a voce con te solo.

ALLE(j;\TO l

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERL SFORZA. CON IL CAPO DELLA DELEGAZIONE STATUNITENSE ALL'O.N.U., DULLES

VERHAU'. NCJr York, 13 aprile 1949.

Il colloquio si apre con una esposizione del punto di vista generale del Governo italiano da parte del conte Sforza.

Fostcr Dulks. in risposta. dichiara che il Governo americano si rende picnmnentc conto dell'importanza dell'Africa. In una situazione quale quella di oggi. con l'Europa divisa dalla cortina di ferro, c una grande parte dell'Asia inclusa nella zona russa. soltanto l'Africa può riparare in parte a queste grandi perdite di mercati e di materie prime. L'asse economico che prima correva da Ovest ad Est deve ora passare da Nord a Sud. Questa è una condizione vitale per l'Europa occidentale: ma anche gli Stati Uniti sono grandemente interessati a questo S\ iluppo e come è stato accennato dal presidente Truman nel punto IV sono pronti a dare assistenza economica e finanziaria per lo sviluppo di questi territori.

5 Al colloquio erano presenti anche Sale, delegato statunitense all'O.N.U., Tarchiani c Cìuidotti che ha redatto il presente verbale. Il verbale americano è pubblicato in Foreign Rclations of"the Unitcd Srates, 1949. vol. VI. cit., pp. 546-55 l.

Naturalmente questi piani possono essere attuati soltanto sulla base di una pacifica e cordiale cooperazione tra i popoli dell'Europa occidentale e i popoli africani. L'Africa, come ha detto il conte Sforza, è destinata ad essere la scena sulla quale si svolgeranno nei prossimi anni avvenimenti decisivi; ma perché questi avvenimenti siano benefici, e non tragici, occorre assolutamente evitare qualsiasi pericolo di urto tra una potenza europea e una popolazione locale in qualsiasi parte de li'Africa.

Nello sviluppo del continente africano l'Italia ha certamente qualcosa da contribuire e gli Stati Uniti desiderano vedere l'Italia sostenere a major role in Africa. Foster Dulles rammenta a questo proposito le grandi qualità spiegate dai lavoratori italiani dovunque, negli stessi Stati Uniti, nell'America latina e in Africa. Vi è un solo fattore, prosegue Dulles, che può limitare questo desiderio del Governo americano; questo è dato dalla possibilità o dal timore che il ritorno dell'Italia in qualche regione possa provocare dei disordini e possa perciò mettere in pericolo l'attuazione di questa cooperazione fra l'Europa occidentale e l'America da una parte e l'Africa dall'altra parte.

Un altro punto il signor Foster Dulles tiene a chiarire; egli ha avuto l'impressione, sia dal colloquio del presidente De Gasperi con l'ambasciatore Dunn2 , sia dalla stampa italiana, che il Governo e l'opinione pubblica italiana considerassero l'atteggiamento del Governo americano verso le nostre rivendicazioni coloniali come metro e misura della fiducia e della stima dello stesso Governo verso il Governo e il popolo italiano. Questo concetto non potrebbe essere più errato e a riprova di ciò il signor Foster Dulles cita il caso della Francia e soprattutto dell'Olanda ove il Governo americano si trova costretto a prendere atteggiamenti divergenti o addirittura di recisa opposizione contro Governi che sono stati suoi alleati e per i quali ha la più alta stima.

In un senso più generale Foster Dulles sottolinea che nulla potrebbe essere più pericoloso che pretendere dagli Stati Uniti un appoggio della posizione coloniale degli Stati europei; questo è proprio l'argomento di cui si servono gli oppositori americani del Patto atlantico (Foster Dulles cita un recente opinion leader del Christian Science Monitor) e se effettivamente si verificasse una tendenza in questo senso ciò potrebbe essere fatale (it might wreck) tanto al Patto atlantico quanto allo stesso Marshall Pian.

Dopo queste osservazioni di carattere generale Foster Dulles passa ad esaminare le questioni singole (in realtà parlerà soltanto della Libia). Dopo avere esplorato la possibilità di un mandato inglese sulla Cirenaica e di un rinvio per la Tripolitania, sia pure con qualche prospettiva per l 'Italia di cooperare a questa amministrazione provvisoria, possibilità che il conte Sforza dichiara di non ritenere che possa essere presa in considerazione dal Governo italiano, la discussione si svolge sul timore di disordini in caso di mandato italiano sulla Tripolitania.

Agli argomenti menzionati dal conte Sforza, Foster Dulles risponde che il Governo americano ritiene di essere in possesso di informazioni attendibili e obiettive che starebbero a dimostrare come un tale pericolo sia reale. Questo punto di vista, naturalmente, è condiviso anche dal Regno Unito. Il test delle elezioni che si sono recentemente svolte a Tripoli non sarebbe probante perché i candidati che noi riteniamo filo-italiani non avevano svolto la loro campagna su una tesi pro-Italia. Il conte Sforza replica facendo osservare che però gli oppositori, che sono stati così nettamente battuti, avevano invece una tesi anti-italiana.

Foster Dulles accenna anche all'atteggiamento inglese. Gli inglesi dichiarano volersi disinteressare della Tripolitania, ma di non volere essere coinvolti in alcun modo nei disordini che potrebbero verificarsi all'arrivo delle truppe italiane. In altre parole gli inglesi vogliono lasciare il paese, nello stesso modo come hanno fatto per la Palestina, prima che si installi il nuovo regime. L'ambasciatore Tarchiani osserva a questo proposito che sarebbe assolutamente necessario che gli inglesi non drammatizzassero il fatto. Foster Dulles condivide pienamente questo parere e vede il pericolo precisamente nella possibilità che gli inglesi annuncino alle popolazioni locali un mandato italiano sulla Tripolitania come qualcosa che non è stato voluto da loro ma soltanto dalle Nazioni Unite e che perciò non si oppongano a manifestazioni contrarie alla decisione di Lake Success da parte delle popolazioni locali.

Foster Dulles ritiene che una formula che consenta di saggiare gradualmente (test aut) le reazioni locali con una progressiva immissione italiana dell'amministrazione potrebbe essere la migliore. Dubita però molto che gli inglesi, nel loro presente stato d'animo, accettino una simile soluzione. Egli pensa però anche che sino ad ora soltanto i principali punti di vista sono stati formulati, cioè soltanto quelli che presentano i maggiori divari; ritiene che le risorse e l'ingegnosità delle formule diplomatiche non siano state ancora esaurite.

Il conte Sforza, avendo in mente una comunicazione fatta la sera prima, immediatamente dopo un colloquio con Foster Dulles, dall'ambasciatore Arce, dice che il Governo italiano non sarebbe affatto alieno dal costituire a Tripoli un corpo consultativo composto di italiani e di arabi; oltre a ciò, naturalmente, le Nazioni Unite avrebbero ogni più ampio potere di controllare l'amministrazione fiduciaria italiana. La reazione di Foster Dulles a tale proposta rimane vaga.

Foster Dulles passa quindi a parlare della procedura, e chiede al conte Sforza se abbia già riflettuto su tale argomento. Osservando che dopo il dibattito generale, che egli ritiene possa chiudersi lunedì o martedì della settimana prossima, lo stesso Comitato politico dovrà iniziare la discussione sulle singole questioni territoriali, Foster Dulles chiede quale ordine a nostro parere sarebbe il migliore. L'Etiopia vorrà probabilmente connettere Somalia ed Eritrea. Da altra parte si proporrà la discussione separata della Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.

Il conte Sforza osserva subito che, per quanto riguarda l'ordine di precedenza, egli non ha nessun suggerimento preciso da fare. Ritiene però che la questione della Libia possa essere decisa soltanto nel suo insieme. L'ambasciatore Tarchiani osserva che porre la Somalia, che è la questione più facile, al primo posto dell'ordine del giorno potrebbe dare l'impressione di un timore da parte delle Nazioni Unite di affrontare le questioni più complesse. Si potrebbe perciò cominciare con una questione di media difficoltà come quella della Libia.

Nel prendere congedo dal conte Sforza Foster Dulles osserva che la discussione sarà lunga e non facile. Una formula di compromesso potrà essere trovata soltanto nella ultima fase quando le varie delegazioni si saranno stancate di far discorsi. Egli ha però fiducia sia nel lavoro costruttivo che può essere svolto in seno al Comitato, sia nei contatti fuori della Conference Room che è necessario proseguire e mantenere.

Dell'Eritrea Foster Dulles non ha parlato. A ripetuti accenni da parte del conte Sforza sulle possibilità di un mandato multiplo da affidarsi eventualmente ali 'Unione Europea non ha reagito in maniera distinta.

ALLEGATO Il

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI. SFORZA, CON IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI BRITANNICO, MCNEIL

YERRAU'6 New York. l 3 aprile l 949.

Libia. McNeil espone i motivi per cui all'Inghilterra preme di ottenere subito la Cirenaica. La Cirenaica è un caposaldo fondamentale dello schieramento occidentale ed è interesse comune che essa venga fortificata al più presto. Il Patto atlantico giustifica ancora di più il comune interesse. Egli ritiene che la Gran Bretagna ha una buona chance di ottenere l'amministrazione della Cirenaica con i voti arabi. Per questo essa. pur non avendo opposizione di principio contro il nostro ritomo in Tripolitania. non potrà appoggiarci in tale nostra aspirazione. Qualora tàccsse un accordo con noi perderebbe i voti arabi. Egli è d'altra parte convinto che noi non riusciremo ad ottenere la maggioranza di due terzi per la Tripolitania. Avremmo infatti 17 voti sicuramente contro. Dalla conversazione dci due ministri Sforza e Bevin3 era risultato che le due parti svolgerebbero la propria azione evitando di danneggiarsi a vicenda; al che il ministro Sforza ha immediatamente ribadito la nota posizione in tàvore di una soluzione simultanea per la Cirenaica c per la Tripolitania. McNeil porta poi il discorso sulle difficoltà che incontrerebbe il nostro ritomo in Tripolitania da parte delle popolazioni locali. Chiede se e quante tmppe abbiamo pronte e sottolinea il fatto che non si tratta di un atto amministrativo che possa passare alla chetichella ma di un atto politico di notevole impm1anza che può suscitare reazioni. Da parte italiana si è ribattuto svolgendo i noti argomenti.

Somalia. McNcil afferma che anche per l'assegnazione del trustccship della Somalia all'Italia si incontreranno notevoli difficoltà in sede di votazione alle Nazioni Unite. Egli promette comunque che la Gran Bretagna farà il suo possibile per aiutarci.

Eritrea. Sostiene che l 'unica soluzione che potrà ottenere i due terzi è quella che assegna la parte centrale e meridionale dcii' Eritrea all'Etiopia lasciando in sospeso la sorte della cosidctta western province. Anche a queste affermazioni da parte italiana sono state opposte le opportune obiezioni e confermato il nostro punto di vista.

756 1 Vedi D. 709.

757 1 Per i verbali delle due conversazioni vedi Allegati l e Il.

757 4 Vedi D. 759.

758

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 37261119. Belgrado, 14 aprile 1949, ore 21,20 (perv. ore 8 del 15).

Adesione Jugoslavia a punto di vista italiano circa tenore lettera su interdipenenza trattative Romano e R.O.M.S.A.; decisione irremovibile senatore Bastianetto di partire ad ogni costo domani; assenza da oggi da Belgrado del vice ministro

Bebler; rinunzia da parte jugoslava pretendere colla loro soluzione simultaneità firma accordo navi guerra; fondate preoccupazioni circa complicarsi nuove esigenze jugoslave, hanno condotto ieri sera a firma accordo pesca1•

Si è così finalmente realizzata interdipendenza accordo secondo tesi da lungo tempo sostenuta da Governo italiano.

Soluzione adottata faciliterà conclusione accordo beni nazionalizzati e permetterà di ottenere che ministro impegni Governo jugoslavo a indennizzare beni che, a mio modesto avviso, è di somma importanza ottenere prima di giungere a discussioni su problema riparazioni.

Permettomi compiacermi con intransigenza mantenuta da codesto Ministero in quest'ultima faticosa fase trattative, che mi ha consentito non deflettere da fermo atteggiamento con queste autorità.

757 6 Al colloquio era presente Tarchiani che ne riferì a Guidotti per la stesura del presente verbale, poi visto e corretto da Sforza.

759

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, ACHESON

L. PERSONALE. New York, 14 aprile 1949.

I had yesterday a long conversation with Mr. Foster Dulles 1 and I was most pleased to find in him a distinguished public man who, while fully aware of the necessity of lifting the problem of the Italian colonies above the piane of petty calculations of votes, is eager to consider i t in the light of that larger problem which confronts us ali, Western Europe as well as the United States; i.e. the full development of Africa as an integrant part ofworld economy.

I am leaving this country on the 20th by the «Queen Mary»; having stated my country's case as we see it, and in a manner which I believe is in accord with the broadest and most generous American principles, I feci my conoscience is clear but I am tormented by only one doubt: not to have made enough to make it possible for Italian public opinion to feel that the United States Govemment acknowledges the necessity-whatever be the decision ofthe United Nations-to keep in mind the demographic and economie necessities of Italy concerning her participation in Africa's development.

These, and these only, are the ideas upon which I think that it may be useful I bring back to ltaly an expression of American sympathy and interest. I am deeply convinced that i t is of interest to the relations between our two countries that the Italian people come to realize that the United States has taken a comprehensive view both of their particular necessiti es and of the broader issues involved.

Do you think i t might be of any use in this connection that I come to Washington and have a last interview with you? I would be most willing and desirous to do so, at your convenience2 .

758 1 Testo in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convezioni fra /"Italia e gli altri Stati, vol. LXV!ll, cit., pp. 331-339.

759 1 Vedi D. 757, Allegato I.

760

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, SOARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

Roma, 14 aprile 1949.

Ha avuto luogo oggi presso il Ministero degli interni, per iniziativa della Presidenza del Consiglio, una riunione interministeriale avente per scopo l'esame delle istruzioni da impartire agli Uffici competenti, per l'ulteriore trattazione delle domande di revisione delle opzioni presentate successivamente ai noti provvedimenti discriminatori austriaci.

Si è convenuto, in via preliminare, che potrebbe essere accettata come data dalla quale le domande si possono fondatamente ritenere viziate nella volontà, quella del 28 novembre, giorno successivo alla pubblicazione delle decisioni intimidatorie austriache, deliberate in data 2 novembre. Ciò sembrerebbe opportuno, per un motivo di equità, confortato anche dal fatto che il forte incremento nella presentazione delle domande risulta essersi verificato soltanto dopo che le decisioni suddette sono state rese di pubblica ragione.

L'esame della procedura più opportuna da adottare per l'invalidazione delle domande di cui trattasi ha dimostrato subito quale fosse la difficoltà fondamentale da superare: la notifica dell'impugnazione della domanda, che ai termini del decreto legislativo n. 23 la Commissione dovrebbe fare indicando all'interessato un termine per presentare le proprie deduzioni contro l'impugnazione stessa, avrebbe infatti messo in moto, per la presenza di elementi allogeni in seno alla Commissione e per la nota organizzazione propagandistica austriaca, lo stesso meccanismo di coazione, di pressioni sul singolo optante chiamato in tal modo nuovamente a confermare in forma solenne la sua volontà di optare.

È stato, in sostanza, constatato che qualora si fosse adottato per le indagini sull' effettiva volontà dell'optante la normale procedura attraverso le Commissioni, si sarebbe aperta la possibilità alla ripetizione della precedente manovra intimidatoria austriaca.

Inoltre, il tempo necessario a questa più lunga procedura avrebbe finito con l'addossare agli organi italiani l'odiosità di essa, e da parte austriaca non si sarebbe certo mancato di sfruttare e d'interpretare tale circostanza a nostro danno.

Nella ricerca di una soluzione che ovviasse pertanto a così gravi inconvenienti, si è data lettura del rapporto. n. 36/2425/111 in data 29 marzo u.s. del console generale ad Innsbruck2 il quale conferma la sostanziale impossibilità, per effetto della nuova propaganda austriaca in atto, di ottenere oggi dagli optanti delle dichiarazioni idonee a dimostrare il vizio di volontà nelle domande di riopzione già presentate.

Confermata così anche per tale via la difficoltà di giungere ad una soluzione soddisfacente, è stato constatato che le norme vigenti le quali regolano la procedura di revisione delle opzioni non potevano offrire mezzi o sistemi procedurali tali da consentire soluzioni diverse da quelle esaminate e già respinte per la loro pratica inefficacia ai fini di un reale accertamento dell'effettiva volontà dell'optante. E ciò tanto più che agli optanti rimarrebbe sempre aperta la possibilità del ricorso al Consiglio di Stato, ove la Commissione ne dichiarasse invalida la domanda per vizio di volontà, poiché la legge affida ad essa solo compiti semi-giurisdizionali, estranei a tale accertamento.

In conseguenza è stata sospesa l'elaborazione delle istruzioni agli Uffici competenti, in attesa che la Presidenza del Consiglio proponga una soluzione atta a superare le difficoltà procedurali dell'attuale legislazione, soluzione che sembrerebbe poter consistere nell'attribuire legislativamente al ministro per gli interni la facoltà di esaminare e di decidere direttamente sulle singole istanze presentate dopo il27 novembre 1948.

759 2 Per la risposta vedi D. 765. 760 1 Una annotazione a margine avverte: «Mandato al segretario generale informando che è stato comunicato anche a Cosmelli». 2 Vedi D. 665.

761

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

TELESPR. SEGRETO 3427/1477. Washington, 14 aprile 1949 1•

Si trasmettono due copie del documento interpretativo del testo del Patto nord atlantico, di cui al mio telegramma n. 275 2 .

Il predetto documento, che contiene alcune interpretazioni raggiunte di comune accordo nelle prime conversazioni esplorative, non ha carattere formale e si riferisce agli articoli 3, 4, 6, 8 e 9.

Esso dichiara inoltre al punto l) che la partecipazione dell'Italia al Patto non avrà effetto sul nostro trattato di pace e, al punto 7) riafferma lo scopo pacifico e difensivo del Patto e l'accordo delle parti perché ognuna di esse ne faccia pubbliche dichiarazioni richiamandosi ali' art. 51 della Carta delle Nazioni Unite piuttosto che al cap. VIII o, comunque, ad altri articoli di detta Carta.

ALLEGATO

IL DIPARTIMENTO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA ALL'AMBASCIATA A WASHINGTON

APPUNTO SEGRETO. [Washington, 14 aprile 1949].

During the exploratory talks which resulted in the draft treaty, agreement was reached on the meaning of certain phrases and articles. These agreements were not formai, but consti

2 Vedi D. 601.

tued the understanding of the rcpresentatives participating in the discussions as to the interpretatian of those phrases an d arti cles. The committee reviewcd those interpretations an d instmctcd thc Secretary to make note ofthem. Thcy are:

l) The participation of ltaly in the North Atlantic Treaty has no effect upon thc provisions ofthe Italian Peace Treaty.

2) Mutuai aid under Articlc 3 means the contribution by each Party. consistent witb its gcographic location an d resources and witb due regard to the requirements of economie recovery. of sue h mutua! aid as i t can reasonably be cxpected to contribute in the form in whicb i t can most etlcctivcly furnish it, e.g., tacilities, manpower. productive capacity. or military equipment.

3) Articlc 4 is applicable in thc cvcnt of a threat in any part of the world to the security of any of t h e Parti es. including a threat t o tbc sccurity of their ovcrscas territori es. 4) a. l-'or tbc purposes of Articlc 6 the British and American forces in thc Free Terri· tory of Trieste are undcrstood to be occupation forccs.

b. Thc words «North Atlantic area north of thc Tropic of Canccn> in Article 6 mean thc generai area of thc North Atlantic Oe<.~an north of tbat li ne. including adjaccnt sea and air spaccs bctween thc tcrritorics covered by that Article.

5) With rcfcrence t o Artici c R. i t is understood that no previow, intcrnational engagemcnts to witch any of tbc participating statcs are partics would in any way intcrfcrc with thc carrying out of tbeir obligations un der t bis Trcaty.

6) Thc Council. as At1iclc 9 spccitìcally statcs. is cstablisbcd «to considcr matters concerning thc implementation of tbc Trcaty» an d is empowcrcd to se t up sucb subsidiary bodies as may be neccssary. Tbis is a hroad rathcr than specific dcfìnition of tùnctions and is not intended to cxclude the pcrfonnancc at appropriate lcvcls in the organization of such planning tòr thc implcmcntation of Artici es 3 and 5 or other functions as thc Parties may agrcc to be necessary.

7) It is thc common undcrstanding that the primary purpose of this Treaty is to providc for the collectivc sclf-defense of thc Partics. as countries baving common intercsts in the Nortb Atlanti c area, while reaffinning their existing obligations for the maintenance of peacc and the settlement of disputes between thcm.

It is furthcr understood that thc Parties will, in their public statements, stress this primary purpose, recognizcd and preserved by Articlc 51, rather than any spccific connection with Chapter Vlll or otber Articlcs ofthe United Nations Charter.

761 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

762

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3741/62. Sofìa, 15 aprile 1949, ore 14 (perv. ore 16,30).

Telespresso ministeriale 06817 /c. dell' 8 corrente 1•

Questo ministro Albania, in colloquio odierno, mi ha detto che Governo di Tirana è ora disposto a riprendere trattative commerciali con l'Italia, e che prcannunzio da lui datomi verrà quanto prima seguito da comunicazione ufficiale fatta per mio tramite2 .

Ho preso atto e gli ho detto che avrei informato mio Governo.

762 1 Non rinvenuto, ma vedi i DD. 777 e 786.

763

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONl

L. PERSONALE 1 . Roma. 15 aprile 1949.

Ho letto la tua n. 376!1326 dell'Il aprile2 .

Ne ho mandata copia a Tarchiani che la tàrà vedere al ministro; altrimenti la vedrà al suo ritorno. Le idee di Mast mi paiono interessanti e larghe. Non posso darti direttive senza aver sentito il ministro. A mio parere sul principio della parità germanica a noi non conviene prendere una posizione di punta, né pro né contro. Essendo sempre rimasti fuori, per volere degli Alleati, da questa questione germanica c non avendo del resto un nostro atteggiamento peso deterrninante, non ci conviene di scontentare o i tedeschi o i francesi o gli inglesi. Tendenzialmente abbiamo evidentemente presente l'apporto politico, economico e militare che la Germania può dare all'Unione Europea e al Patto atlantico. Del resto credo che ciò sia onnai riconosciuto da tutti e ci si avvii per gradi alla «parità». Su questa strada marceremo quindi anche noi solidalmente con Londra e Parigi. Mi pare quindi che ti sei espresso bene con Mast.

Quanto all'ultimo periodo della tua lettera sono pienamente d'accordo con te, ma a leggcrlo qui starnazzcranno tùggcndo c dimenandosi come un branco d'oche. Quindi, al solito, ci si arriverà per forza di cose ...

764

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3775/65. Sofìa, 16 aprile 1949, ore 19 (perv. ore 24).

Seguito mio 62 1•

762 è Vedi D. 764.

763 Autogratà.

:~ Vedi D. 743. 764 Vedi D. 762.

Questo ministro di Albania ha chiesto oggi di vedermi nuovamente e mi ha comunicato ufficialmente, pur senza !asciarmi alcun documento scritto, che Governo di Tirana accetta la proposta da noi a suo tempo avanzata di riprendere rapporti diplomatici ufficiali con l'Italia a condizione di reciprocità2 . L'ho ringraziato per la comunicazione ufficiale fattami, che ho detto che avrei portato a conoscenza dell'E.V.

Nella cordiale conversazione che è seguita, mi ha detto non risultargli ancora se Governo Tirana intenda inviare quale suo rappresentante Roma un ministro o un incaricato d'affari; ma che egli si proponeva chiederne a Tirana in via personale e di mantenersi in contatto con me. A mia volta sarei grato conoscere intendimenti V.E. al riguardo3 .

765

IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, ACHESON, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK

L. PERSONALE. Washington, [ 16 aprile 1949 P.

I acknowledge the receipt of your communication of april 14, 19492 stating your intention to depart from the United States on April 20th and setting forth your hope that you may take back to ltaly an expression of American sympathy and interest in the just solution ofthe problem ofthe ltalian Colonies.

In recalling the fruitful conversations we have had the opportunity to conduct on this subject during your visit here, I am happy to reiterate my assurance that the United States Govemment, which has taken a comprehensive view both of the particular and broader issues involved in this problem, is fully conscious of the demographic and economie interests ofthe ltalian people in the future of Africa.

I shall, of course, be at your disposal if you desire to come to Washington again before your departure3 .

766

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI

T. 3101151. Roma, 18 aprile 1949, ore 12, 15.

3 Vedi D. 766.

2 Vedi D. 759.

3 Sforza riferì a De Gasperi il contenuto di questa lettera con T. 3795/62 partito da New York il

17 aprile alle ore 1,52, non pubblicato. Il colloquio Sforza-Acheson ebbe luogo il18 aprile, vedi D. 770. Il precedente incontro si era svolto il29 marzo, vedi DD. 661 e 671. 766 1 Vedi D. 764.

D'accordo. Esprima nostro compiacimento per decisione presa e dica che, salvo controproposte, daremo notizia pubblica giovedì prossimo decisione due Governi ristabilire rapporti diplomatici normali. Da parte nostra non abbiamo difficoltà invio Tirana ministro o incaricato d'affari. Preferiremmo ministro2 .

764 2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 259.

765 1 L'originale non è datato, ma i riferimenti a questa lettera contenuti in altri documenti (vedi qui la nota 3 e il D. 770) portano a concludere che essa sia del 16 aprile.

767

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 3453/15031 . Washington, 18 aprile 1949 (perv. il 26).

Come previsto, il ministro degli affari esteri turco Sadak, nel recarsi a Lake Success, si è fermato a Washington ed ha avuto modo d'incontrarsi con il segretario di Stato Acheson e con altri alti dirigenti della politica estera americana: l'accoglienza riservatagli da queste Autorità è stata tra le più calorose, quasi a voler sottolineare anche formalmente l'amicizia e l'interesse che gli Stati Uniti portano alla Turchia.

La visita si è svolta nella linea e con quegli obiettivi segnalati a V.E. dall'ambasciatore ad Ankara (dispaccio ministeriale n. 422/c. del 13 correntef

Sadak, sia pure nella forma la più blanda, ha espresso il suo rincrescimento perché, una volta allontanatisi dal puro criterio geografico con l'inclusione dell'Italia, non si sia trovato il modo di invitare anche la Turchia a partecipare al Patto atlantico. Si è detto d'altra parte convinto che, ora, non sia più possibile dar vita immediatamente anche ad un patto mediterraneo ma ha sostenuto esser comunque necessario che la garanzia americana si estenda in maniera precisa anche al Mediterraneo orientale: la salvaguardia della sicurezza e della pace in questa zona è infatti indispensabile per la sicurezza e la pace dell'Europa tutta.

Da parte americana si è tenuto sopratutto a ribadire a Sadak l'assicurazione che la firma del Patto atlantico non muta in nulla l'attuale situazione dei rapporti tra gli Stati Uniti, la Turchia e la zona del Mediterraneo orientale in genere: come è stato reiterato recentemente, anche dal presidente Truman e dal segretario di Stato, tutti gli impegni americani di assistenza militare ed economica alla Turchia ed alla Grecia mantengono infatti il loro pieno valore.

Il Governo di Washington si è tanto reso conto dell'importanza del settore mediterraneo orientale ai fini del mantenimento della pace europea che la prima netta e decisa posizione contro l'espansione sovietica l'ha presa, con l'enunciazione della cosiddetta «dottrina Truman», proprio in questo settore: questa presa di posizione del presidente degli Stati Uniti insieme con la continuazione degli aiuti militari ed economici debbono costituire e sono in effetti -una seria e non equivocabile garanzia americana alla Turchia.

Nella stipulazione del Patto atlantico il criterio geografico è stato certamente prevalente anche se non esclusivo: ciò sia per farlo rientrare nello spirito delle intese regionali previste dallo Statuto delle Nazioni Unite, sia per poter circoscrivere, in un qualche modo, l'ampiezza della zona difensiva che altrimenti, a seguito di successive connessioni. avrebbe dovuto estendersi a tutto il mondo. L'inclusione dell'Italia porta le lince avanzate di tale zona difensiva all'Adriatico ed al Mediterraneo orientale operando così un collegamento con quest'ultimo settore che altrimenti sarebbe mancato.

Il Governo americano non si oppone all'eventuale futura stipulazione di un patto mediterraneo ma ritiene del tutto inopportuno, per considerazioni insieme d'ordine in temo cd internazionale, iniziare ora un 'azione in tal senso.

Non sarà ditlicilc, inf~1tti, ottenere dal Congresso l'autorizzazione per la continuazione c, se necessario, per l 'aumento degli aiuti economici e militari già deliberati, ma appare del tutto sconsigliabilc dare a questa opinione pubblica anche la semplice sensazione che il Governo americano si accinga a sottoscrivere un altro patto di garanzia (con impegni finanziari e militari necessariamente non precisabili) quando ancora occorre superare resistenze notevoli in Congresso per la ratifica del Patto atlantico e per l'approvazione dci conseguenti invii di armi ai paesi europei che ne nn·anno richiesta.

Dal punto di vista intcrnaziPnale occone poi tener presente che:

-da un eventuale patto mediterraneo non dovrebbero essere esclusi, nel pensiero americano. i paesi del Medio Oriente c tali paesi attualmente non solo non sono uniti ma sono addirittura in stato di guerra tra loro;

-bisogna dare l'impressione all'Unione Sovietica che il mondo occidentale sta effettivamente operando una concentrazione di forze e non una dispersione di esse;

--bisogna evitare d'altra parte che il Krcmlino abbia la sensazione, attraverso la costituzione contemporanea di intese regionali tra paesi posti ai suoi immediati confini, che obiettivo principale del mondo occidentale sia veramente quello di costringere l'U.R.S.S. ed i suoi satelliti entro una cintura di ferro.

In conclusione si è fatto chiaramente capire a Sadak che:

-gli impegni americani in favore della Turchia equivalgono ad una vera c propria garanzia e non vi è quindi, per ora, necessità di ampliarli o di modificarli; -l'eventuale stipulazione di un patto mediterraneo non è una questione del momento ma solo una possibilità del futuro.

A quest'ultimo proposito si è anzi insinuato a Sadak che, come l'unione dei paesi dell'Europa occidentale è alla base del Patto atlantico, così un'unione dei paesi del Medio Oriente dovrebbe essere alla base di un futuro patto mediterraneo. Se la Turchia ritiene necessario il costituirsi di questa intesa regionale si adoperi dunque per accelerare il ristabilimento della pace nel Medio Oriente e per il formarsi di un'unione tra i paesi di tale zona.

Qui si pensa infatti che una rinascita dell'influenza turca nel mondo islamico potrebbe condurre alla formazione di un 'intesa nel Medio Oriente al disopra c al di fuori delle rivalità tra lbn Saud, Abdallah e Faruk: ciò che servirebbe particolarmente gli scopi che gli americani perseguono in Medio Oriente; scopi che, come è noto, se non contrastano con quelli perseguiti dagli inglesi, non sono sempre con essi d'accordo.

In questo quadro mi sembra acquistino maggiore interesse i contatti c gli accordi che si vanno intessendo in questi giorni tra Siria, Transgiordania, Iraq e Libano (cui certo non sono estranei gli inglesi), c l'atteggiamento filo-turco di cz-Zaym (dispaccio ministeriale n. 11 //07094/c. del 12 corrente)'.

766 2 Per la risposta vedi D. 778. 767 1 Ritrasmesso con Telespr. segreto 487/c. del 29 aprile alle ambasciate ad Ankara, Londra, Parigi e Teheran ed alle legazioni ad Amman, Atene, Beirut, Il Cairo, Damasco e Te! Aviv. 2 È la trasmissione a Washington del D. 700.

768

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3816/75. Mosca, 19 aprile 1949, ore 13,40 (perv. ore 14.30).

Premia pubblica oggi un commento di Viktorov sulle colonie italiane. Riportando commento del Times e ripetendo precedenti questione sulla falsariga del discorso Gromyko all'O.N.U. rinnova accusa mire colonialistiche e imperialistiche antisovietiche alle potenze occidentali. A proposito Italia sotto! ine a recenti discorsi di Sforza in occasione Patto atlantico e Assemblea O.N.U. per desumerne piena adesione Italia a quella stessa politica. Viktorov mette in forte rilievo che la sola proposta conispondcntc ad interesse delle popolazioni locali e della pace è quella sovietica confermando così che proposta sovietica O.N.U. è stata avanzata essenzialmente come affennazione di principio al fine di colpire opinione pubblica mondiale.

769

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER TELEFONO 3837/48. Oslo, 19 aprile 1949, ore 20,05.

Infonno V.E. ad ogni buon fine e per eventuale comunicazione per nostra delegazione New York, che segretario generale degli affari esteri Islanda, con lettera personale in data 5 ccmente giunta solo oggi mi comunica che, in caso di voto sulle colonie, Islanda «avrebbe intenzione» di astenersi giustificando astensione con la propria non belligeranza nelle guene passate. Ove astensione Islanda potesse esserci aritmeticamente utile potrei insistere a Reykjavik perché «intenzione» sia trasformata in decisione'.

767 1 Non rinvenuto.

769 1 Con T. s.n.d. 3148118 del 20 aprile Zoppi rispondeva: «Qualora non sia possibile ottenere da Islanda quanto veniva richiesto a Norvegia ... insista perché delegazione islandese abbia precise istruzioni astenersi sistematicamente».

770

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 3854/671• New York, 19 aprile 1949, ore 23,10 (perv. ore 10,35 de/20).

Colloquio ieri a Washington con Acheson fu basato su una cordiale reciproca comprensione che spero porti frutti. Siccome importa conservare legami intimi con gli Stati Uniti anche a costo di qualsiasi sacrificio che non ci umilii, preferisco ripeterti a voce il 262 tutti i dettagli del colloquio su cui ho conservato il segreto.

Dulles è venuto stamani3 rivedermi coll'evidente desiderio trovare una formula accettabile. Mi ha domandato se gradirei cessione Cirenaica a Inghilterra con sua provvisoria permanenza Tripolitania pei prossimi torbidi due anni ma colla contemporanea dichiarazione che Italia succederebbe subito dopo come fiduciaria e avrebbe frattanto un numero notevole di funzionari italiani sul posto.

Certo ciò ci eviterebbe probabili temibili incidenti militari se Inghilterra rimane ostile.

Ma poiché Dulles fece tenue allusione anche alla buona prova che frattanto daremmo di noi in Somalia osservai che la connessione era inaccettabile perché anche contro la volontà di un perfetto galantuomo come Attlee i periferici britannici potrebbero fomentare torbidi in Somalia per evitarci di avere poi Tripolitania.

Scrivo stasera lettera autografa ad Acheson4 per ricordargli che ciò che è terribile anche per lui è la vicinanza di una tale prova di disunione a pochi giorni dalla firma del Patto atlantico che fin da domani rischia venire diminuito da scarse votazioni per ratifiche e ciò non solo in Italia.

Parto domattina restando in contatto telefonico-telegrafico con Tarchiani anche durante traversata5 .

ALLEGATO I

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE STATUNITENSE ALL'O.N.U., DULLES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A NEW YORK

L. PERSONALE. New York, 19 aprile 1949.

I permit myself to express to you as you leave, the great pleasure which I have had in meeting you, coming to know you, an d talking over with you problems ofmutuai concem.

2 Data di ritorno a Roma di Sforza.

3 Nel pomeriggio Dulles fece pervenire a Sforza la lettera che si pubblica nell'Allegato I insieme con l'immediata risposta di Sforza (Allegato II). 4 Vedi D. 772. 5 Gli ultimi due capoversi furono trasmessi con T. s.n.d. 3145/153 (Londra) 195 (Parigi) del20

aprile con le seguenti istruzioni di Sforza per Quaroni: «Se rimango qualche ora 25 sera Parigi, gradirei visitare Schuman».

I know that you approach the problem of the North African colonies as an Italian, and from the standpoint of the country which is not only your own, but which has placed upon you the responsibility to conduct its foreign affairs. I know also, however, that you realize that in these matters the welfare of one nation can be truly served only within a framework which takes into account the welfare of others, and, indeed, there are practical considerations which require taking into account many viewpoints when the solution requires a two-thirds vote ofthe 58 states represented in the Generai Assembly.

I am sure that you know the importance which we in the United States attach to the welfare of Italy as a member of the new community of the W est, an d you can, I think, be confident that the United States will not, in this matter, take any decisions which ignore this point of view.

The outcome will probably not be what you, or we, or any other single state would most like, but fortunately we are at the beginning of a new way, which I am confident opens up not one, but many, future opportunities. Also, to build on diversity is the genius ofthe West.

I hope that the sea trip will give you a deserved rest. With every good wish for the future, I am sincerely yours.

ALLEGATO Il

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL CAPO DELLA DELEGAZIONE STATUNITENSE ALL'O.N.U., DULLES

L. PERSONALE6 . New York, 19 aprile 1949 (~era).

I did not need your letter in order to keep a deep recollection of my conversations with you. Your statesmanship has always been conscious of the necessiti es of decent compromises for everybody. I thank you for what you say about «the welfare of Italy». No body should forget that «non di solo pane vivit» Italy.

Hoping to meet you again in this small world, be lieve me sincerely yours.

770 1 Minuta autografa.

771

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 3852/69. New York, 19 aprile 1949, ore 23,10 (perv. ore 10,35 del 20).

Situazione a Lake Success si delinea attualmente nel seguente modo. Francia, Belgio, Olanda hanno preso in misura diversa posizione favorevole Italia. Così pure Stati America latina. Ad eccezione Francia ed Argentina, nessuno però ha detto chiaramente che voterà contro trusteeship inglese su Cirenaica se contemporaneamente non (dico non)

ven·à assegnata Tripolitania ad Italia. Ora è precisamente su questo abbinamento, e soltanto su questo, che si impernia intera situazione e si basa possibilità nostra azione anche per soluzioni di compromesso. Inglesi lo hanno capito benissimo e lavorano attivamente ad ottenere consenso Stati sud americani per soluzione parziale; dichiarano poter già contare su appoggio di tutti gli Stati arabi e su almeno quattordici Stati sud americani. In realtà non possono essere così sicuri come dicono ma è un fatto che si sono già constatati qua e là pericolosi segni di flessione. Occorre perciò intervenire energicamente.

In relazione a quanto precede pregola inviare d'urgenza a mia firma seguente telegramma a tutte nostre rappresentanze in capitali sud americane meno Haiti:

«Durante mio soggiorno a New York sono rimasto profondamente commosso da prove calda e generosa solidarietà di tutti Governi America latina c pmiicolarn1cnte di codesto Governo, perché giustizia sia resa all'Italia. È una manifestazione che il popolo italiano non potrà mai dimenticare. Vi è però un pericolo: che altri Governi propongano soluzione parziale per trusteeship inglese su Cirenaica ed eventualmente francese su Fezzan senza contemporanea assegnazione ali 'Italia della Tripolitania. Ora è precisamente da soluzione contemporanea per tutte tre le parti della Libia che dipende sorte non solo Tripolitania ma anche altre ex colonie italiane.

Se Stati sud-americani consentissero a soluzione parziale loro dichiarazioni in favore Italia c loro voti per trusteeship italiano su Tripolitania cd altre ex colonie rimarrebbero purtroppo dimostrazioni puramente platoniche. Se codesto Governo vuoi rendere un reale servizio all'Italia e alla Francia occorre perciò che dia istruzioni categoriche suoi rappresentanti Lakc Success dichiarare formalmente che voterà contro qualsiasi soluzione parziale Libia. Stati sud-americani, per loro numero e per grande prestigio di cui godono, sono in grado, se lo vogliono, avere una parte decisiva in questa questione che interessa vitalmente popolo italiano e che è ormai connessa anche col loro prestigio.

La prego di dire tutto questo a codesto Governo, e di adoperarsi al massimo perché siano impartite tali istruzioni. Telegrafi Roma risultato sua azione, Sforza»1•

770 6 Spedita autografa.

772

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, ACHESON

L. PERSONALE1 . New York, 19 aprile 1949.

Before I go I want to repeat to you how deeply l appreciated your wide comprehension ofall the different sides ofthe problems under discussion. l'Il not for

T. s.n.d. 3277173 del23 aprile comunicò a New York: «Ambasciate Buenos Aires, Rio de Janeiro, Santiago, Caracas e legazioni Assunzione e Panama telegrafano aver ricevuto nuove e precise assicurazioni che quei Governi hanno ripetuto rispettive delegazioni istruzioni non deflettere principio contemporaneità soluzione tutte questioni Libia».

get my second intimate conversation with you2 . You certainly felt how completely I opened my mind.

I havc bcen silcnt with evcrybody about my impression of your thinking of postponement. On my rcturn to New York r ha ve heard of new possible solutions. So much the better ifa decent one realizes.

But I cannot hide from you that what most worries me is the shameful proximity of the signature of the Atlanti c Pact with too evident a failurc of any solidarity among its signatories. And no body seems to think of it. You do, I know.

In spitc of diffcrence of age r ha ve known most intimately men like Bonar Law, Lloyd Georgc, Balfour .... Abovc ali thcy kncw that England is truly great when she lcads the way to generai understanding.

What may be good in postponement? That we eliminate immediate dangcrs of unpleasant reactions, even beyond the iron courtain, against thc Atlantic Pact. It is stili so frail! Who knows, a few months may sober the spirits, unless a decent compromise is discovered.

Do remember, please, that I have no personal limits to sacrifice; only limits imposed on me by the necessity not to create worse reactions.

771 1 Zoppi provvide alla prescritta trasmissione con il T. s.n.d. 3150/c. del 20 aprile e, con

772 1 «Spedita autografa», avverte un'annotazione.

773

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 695/032. Ankara, 19 aprile 1949 1

Non mi pare-sebbene non vi sia ancora qui alcuna notizia diretta-che il soggiorno di questo ministro degli esteri a Washington abbia avuto risultati cospicui. Né il Sadak sperava del resto di conseguirli. Par comunque certo che Acheson (il colloquio con Truman è stato di dieci minuti e di pura cortesia) pur riconfermando il vivo interesse americano alla integrità territoriale e indipendenza politica della Turchia, abbia posto bene in chiaro che gli Stati Uniti non sono, per ragioni note, disposti ad allargare il Patto atlantico sino a comprenderla, né, per ora, a favorire i progetti di organizzazione regionale di sicurezza mediterranea che sono da un pezzo nell'aria e debbono dunque restarvi. Se ne riparlerà quando il Patto atlantico sarà ratificato e il Congresso avrà preso le sue decisioni in materia di assistenza militare all'Europa. Cioè non fra breve. La dottrina Truman e la continuazione del programma di assistenza militare restano comunque, anche all'infuori di un accordo regionale nuovo e specifico, uno degli aspetti vivi e caratteristici della politica estera americana.

Risultati più concreti avranno forse avuto i colloqui in materia di assistenza economica. Che sarà dunque probabilmente aumentata, sebbene, come l'atteggia

773 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

mento del Congresso lascia presumere, non in quella misura che qui si sperava e ancora, ma con molta maggiore esitazione, si spera.

Dicevo che il Sadak è partito senza eccessive illusioni ed è esatto. Ma le illusioni erano nell'opinione pubblica, cui è stato forse troppo ripetuto che la Turchia è la pupilla degli occhi occidentali. Sicché non vi è dubbio che quelle inquietudini suscitate a suo tempo dall'esclusione dal Patto atlantico e il parallelo senso di scontento e di delusione siano oggi tutt'altro che spenti e il Sadak li ritroverà molto probabilmente dunque, al suo ritorno in patria, ancor vivi ed attivi.

772 2 Vedi D. 770.

774

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 518/l 79. Assunzione, 19 aprile 1949 (perv. 1'11 maggio).

R!ferimento: Seguito mio telespresso n. 00501/177 dell4 corrente'. Come avevo già preannunciato, con il mio telespresso in riferimento, ieri mattina sono stato ricevuto in udienza dal presidente della Repubblica.

Il dott. Molas Lopez, che già mi conosceva, è stato con me di una cordialità poco comune e mi ha trattenuto a colloquio per oltre un'ora. Con i voti per il suo Governo, gli ho espresso la nostra riconoscenza per le istruzioni da lui inviate al rappresentante del Paraguay all'O.N.U. di appoggiare le nostre rivendicazioni nella questione delle colonie. Egli mi ha risposto accennando ai suoi sentimenti di viva amicizia verso il nostro paese, per l'opera di civiltà da noi effettuata nel mondo intero, non escluso il Paraguay, ove gli italiani hanno saputo giungere alle più alte posizioni ed ha voluto anche ricordarmi che la propria consorte è figlia di italiani.

Questo argomento ci ha portato sul terreno dell'emigrazione: il Paraguay, egli ha detto, ha bisogno di mano d'opera e di mano d'opera italiana ed egli farà di tutto per dare una soluzione al problema, secondo i nostri desideri. Ho risposto che da parte nostra si sarebbe lieti di incanalare una forte corrente emigratoria in questa Repubblica, ma che era necessario per i nostri emigranti trovarvi le medesime condizioni che altre repubbliche americane ad essi offrono. Egli, con parole assai cortesi verso di me, ha voluto dirmi che conosceva la mia grande esperienza in materia e che avrebbe desiderato vedermi spesso, non già in via ufficiale, ma strettamente privata, sia a casa sua sia in casa mia (sic) allo scopo di «giovarsi di questa mia esperienza» anche in altre questioni, alcune delle quali non riguardano direttamente il nostro paese. Ho risposto che ero a sua completa disposizione.

Ho accennato alla famosa questione dei crediti dicendogli che ero a conoscenza delle attuali tristi condizioni del Paraguay che impedivano il pronto pagamento della

somma da tanti anni dovutaci, ma, ho aggiunto, era necessario studiare senza ulteriore ritardo una soluzione pratica. Egli ha condiviso pienamente questo mio parere.

Il presidente mi ha chiesto poi se fosse possibile, accanto alla emigrazione dei lavoratori agricoli, avere industriali per creare e dirigere piccole industrie. Gli ho risposto che certamente eravamo in condizioni di soddisfare in pieno tale proposito e che la unica difficoltà sarebbe stata la questione dell'acquisto del materiale che questo paese non poteva fare in dollari. Egli ha replicato chiedendomi se da parte nostra si sarebbe pronti ad accettare pagamenti in compensazione: gli ho risposto che un sistema di acquisti per compensazioni private non incontrerebbe difficoltà alcuna da parte nostra.

Come ho detto, la conversazione si è protratta per oltre un'ora e al momento di congedarmi egli mi ha pregato di chiamarlo per telefono domattina allo scopo di stabilire un appuntamento per una conversazione più ampia, che mi propongo di portare sui due principali punti dei crediti italiani e dell'emigrazione.

Sarà mia cura riferire immediatamente dopo.

774 1 Non pubblicato.

775

IL MINISTRO A DUBLINO, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1113/1821• Dublino, 19 aprile 1949 (perv. il 26).

Con telespresso a parte riferisco circa lo svolgimento delle cerimonie che hanno marcato il riconoscimento internazionale della Repubblica d'Irlanda2 .

Come avevo accennato nella seconda parte del mio te l espresso n. l 046/162 in data 13 corrente3 , le manifestazioni stesse sono state turbate dali 'atteggiamento astensionista assunto da de Valera e dal suo partito: è opinione generale però, che se il punto di vista di de Valera ha una base altamente nazionale (quale l'impossibilità di osannare ad una Repubblica che non comprende l'intiero territorio del paese), non sembrano tuttavia estranei all'atteggiamento del partito Fianna Fail, motivi di politica interna che si riassumono nell'intenzione di non creare, attraverso un unanime giubilo, un'aureola al Governo Costello che andrebbe più giustamente attribuita, ad avviso di de Valera e dei suoi seguaci, ai primi patrocinatori e propugnatori dell'ideale repubblicano, e cioè agli uomini del Fianna Fail.

Devo aggiungere che questo punto di vista è abbastanza diffuso nelle masse popolari. Se però l'assenteismo del Fianna Fail ha certamente sottratto alle manifestazioni una parte dei consensi che logicamente per un avvenimento di portata storica come questo avrebbero dovuto concorrervi, ciò non di meno dalle notizie sino ad ora pervenute, la

2 Telespr. 1112/181, pari data, non pubblicato.

3 Non pubblicato.

giornata di lunedì è stata sentita dalle popolazioni come una svolta della propria vita politica, e la folla è accorsa dovunque a dare risonanza alle manifestazioni ufficiali.

La stampa, anche quella filo-britannica come 1'1rish Times, è ormai diretta a dire al popolo che la Repubblica è stata creata e che nessun dissenso è più ammissibile intorno ad essa. Verso una totale fusione degli animi, elemento predominante è e sarà ancor più in avvenire, il telegramma augurale inviato dal re d'Inghilterra, e del quale ho già riferito il testo. Il sovrano, infatti, nel formulare voti per l'avvenire della nuova Repubblica, nel riaffermare la propria fiducia nei legami tra i due popoli, che perdureranno per la stessa vicinanza geografica dei due paesi, e nell'esprimere la propria gratitudine per il contributo di sangue dato dali 'Irlanda nella recente guerra, ha compiuto un gesto che, se può essere a prima vista giudicato una nuova dimostrazione di come gli inglesi siano beauxjouers, ha sopratutto gettato un seme di profonda collaborazione, il quale non dubito darà fecondi frutti in avvenire.

È interessante notare la risposta datami dal signor Laithwaite, nuovo rappresentante del Regno Unito a Dublino, col quale parlavo appunto del gesto del sovrano, e che mi ha testualmente detto: «È stata una decisione molto difficile da prendere, ma sono felice che essa sia stata presa».

Gli ambienti governativi, che non erano affatto sicuri dell'atteggiamento ufficiale della Corte d'Inghilterra, ne sono stati profondamente lusingati e soddisfatti. Tutto sommato, quindi, la proclamazione della Repubblica irlandese, sopravvenuta perfino con il crisma dall'antico sovrano, si è svolta nel più felice dei modi.

Circa le voci, che hanno accompagnato queste manifestazioni, su trattative in corso con Londra per trovare una soluzione al problema della partizione, nulla si sa oltre la frase attribuita a Bevin da Mac Bride, secondo la quale effettivamente sarebbero in corso conversazioni. Che ve ne siano è possibile: che queste possano però portare a breve scadenza ad una conclusione sembra tuttavia da doversi escludere. È probabile che Bevin, come mi è stato da fonte molto attendibile affermato, vedrebbe personalmente volentieri la chiusura del problema irlandese: e potrebbero aprirsi con essa nuove e forse inedite prospettive di collaborazione anglo-irlandese. Ma nessuna unità nazionale è possibile senza il volere della maggioranza dei cittadini: e nelle sei Contee del Nord, allo stato delle cose, è ancora l'orangismo che domina nel Parlamento, nel potere esecutivo e nelle amministrazioni circondariali.

775 1 Diretto per conoscenza all'ambasciata a Londra.

776

IL MINISTRO A PRAGA, VANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 795/458. Praga, 19 aprile 1949 (perv. il 26).

Riferimento: Telespresso di questa legazione n. 715/415 del 7 corrente 1 .

Come preannunciato nel surriferito telespresso, la delegazione cecoslovacca recatasi a Sofia per lo scambio delle ratifiche del patto di amicizia e mutua assistenza cecoslovacco-bulgaro, prima di rientrare a Praga, si è fermata a Budapest, dove è stato firmato un altro trattato analogo tra la Cecoslovacchia e l 'Ungheria.

La notizia ufficiale della stipulazione del nuovo patto è stata qui data il giorno 14; e, sebbene qualche rara voce fosse al riguardo già trapelata, essa è giunta improvvisa ed ha suscitato una certa sorpresa. Si riteneva generalmente-e questa era l'opinione fino a poco tempo fa espressa anche dalla legazione ungherese -che la conclusione di un patto di amicizia e mutua assistenza con l'Ungheria (l'unico che ancora mancava nella collana dei trattati bilaterali stipulati tra loro da tutti i paesi retti da regimi democratico-popolari) fosse ancora lontana; e ciò soprattutto a causa della questione delle minoranze magiare in Slovacchia che, sebbene definita formalmente, non era però considerata definita sul terreno pratico ed aveva anzi fino ad ora tenuto viva una notevole tensione nei rapporti dei due paesi.

Evidentemente la volontà dell'Unione Sovietica ha fatto anticipare i tempi, in omaggio al superiore interesse della concordia e dell'unione tra i paesi a democrazia popolare ed alle esigenze della politica di Mosca di fronte al blocco occidentale.

Tutte le reazioni ungheresi per la cattiva sorte toccata alle minoranze magiare in Slovacchia e tutte le contro-reazioni cecoslovacche hanno dovuto quindi essere per lo meno accantonate. È successo un qualche cosa di analogo a quanto avvenuto con la Polonia per lo spinoso problema delle rivendicazioni polacche e cecoslovacche in Slesia, messo anch'esso da un lato pur di poter proclamare ai quattro venti la realizzazione della solidarietà e collaborazione cecoslovacco-polacca nel quadro dell'unione di tutte le democrazie popolari.

Tutta la stampa ha naturalmente posto in grande rilievo l'avvenimento, pubblicando sotto grossi titoli la cronaca delle giornate trascorse dalla delegazione cecoslovacca a Budapest ed i vari discorsi pronunciati dai ministri di entrambi i paesi.

Un certo rilievo è stato dato alla sosta della delegazione a Bucarest, compiuta nel viaggio da Sofia a Budapest, ed alle accoglienze, fra cui un pranzo d'onore offerto dalla ministressa Pauker, con cui essa è stata ricevuta dal Governo rumeno. Durante questa breve sosta a Bucarest hanno anche avuto luogo -e la notizia è stata confermata dal presidente del Consiglio Zapotocky -delle conversazioni con vari rappresentanti di quel Governo al fine di perfezionare i rapporti economici e culturali già esistenti tra i due paesi.

Il trattato cecoslovacco-ungherese è naturalmente analogo agli altri accordi bilaterali conclusi tra loro dai vari Governi dei paesi al di qua della «cortina». E l'importanza ad esso data dall'Unione Sovietica è da attribuirsi al fatto che, come si è detto, era l 'unico che ancora mancava; ciò che rappresentava una crepa nel sistema del blocco orientale che ora viene invece ad essere consolidato.

La stampa ha posto in particolare rilievo il preambolo che precede le clausole dell'accordo. In esso si afferma che la concordia tra i due popoli ha potuto essere finalmente realizzata, grazie al fatto che i due paesi sono ora governati dal popolo.

Ali'articolo primo è sancito il reciproco impegno di prendere tutte le misure che si dovessero rendere necessarie per spezzare un attacco della Germania o di qualsiasi altro paese che si unisse ad essa. N el caso in cui una delle due parti contraenti dovesse essere trascinata in una guerra contro la Germania o i suoi alleati, l'altra dovrà prestarle immediatamente tutto l'aiuto militare e d'altro genere che le sarà possibile.

Le due parti si impegnano inoltre a partecipare ad ogni azione di carattere internazionale avente per scopo il mantenimento della pace e la sicurezza generale, in conformità ai postulati della Carta dell'O.N.U., e a consultarsi in tutte le questioni di interesse comune o attinenti alla pace.

Il trattato è concluso per la durata di venti anni e sarà successivamente rinnovabile ogni cinque ove non venga denunciato un anno prima dello scadere della sua validità.

Nel discorso che il ministro degli esteri Clementis ha pronunciato per l'occasione a Budapest (ne allego il testo ) 1 sono ripetuti i soliti luoghi comuni della solidarietà tra le democrazie progressive, dei loro sforzi per la pace, dell'aiuto disinteressato dell'Unione Sovietica, della possibilità di risolvere nei paesi in cui governa il popolo tutte le vecchie questioni fomentate un tempo dai regimi borghesi e guerrafondai, ecc. ecc.

Clementis si è inoltre scagliato contro la politica delle potenze occidentali in Germania, politica che avrebbe reso possibile il risorgere di un pericolo tedesco, ed ha rilevato che il patto cecoslovacco-ungherese si dirige appunto contro questo pericolo. Il che non significa che esso si rivolga contro il popolo germanico, che, nel caso di una nuova guerra, finirebbe anzi con l'essere ancora una volta il maggiore capro espiatorio.

Altri discorsi sono stati pronunciati, sempre a Budapest, in occasione della visita della delegazione agli stabilimenti «Sanz». In uno di questi discorsi il vice presidente del Consiglio dei ministri cecoslovacco, Siroky, ha fra l'altro detto che il nuovo patto serve la grande causa dalla pace e che «nelle prossime elezioni politiche ungheresi 11 popolo magiaro darà ai fomentatori di guerra la risposta che si meritano».

Al ritorno a Praga, la delegazione è stata accolta con marcata solennità. Erano alla stazione il vice presidente del Consiglio Fierlinger il presidente del Parlamento John, il ministro dei trasporti Petr, ecc. Era stato invitato ad essere presente anche il Corpo diplomatico.

Nel discorso (pure qui unito) 1 che, appena arrivato a Praga, ha pronunciato il presidente del Consiglio Zapotocky, è stato rilevato che il nuovo accordo risolve finalmente il problema della sicurezza della frontiera cecoslovacca con l 'Ungheria. Questa frontiera, ha detto Zapotocky, è stata sempre, nel passato, esposta ad essere violata, come, ad esempio, si è verificato nel 1938.

L'oratore ha poi accennato alle manifestazioni di simpatia di cui la delegazione cecoslovacca era stata oggetto in Bulgaria, Romania e Ungheria ed ai risultati realizzati dagli attuali Governi di questi paesi, di cui egli stesso aveva potuto rendersi conto de visu.

Anche la firma dell'accordo cecoslovacco-ungherese è stata seguita dal rituale scambio di onorificenze. Fra i numerosi decorati cecoslovacchi, i quattro membri della delegazione, e cioè Zapotocky, Clementis, Siroky, e Gregor (ministro del commercio estero), sono stati insigniti dell'ordine ungherese del Merito della Repubblica, mentre fra i vari decorati ungheresi, il presidente del Consiglio dei ministri Dobi, il vice presidente Rakosi ed alcuni ministri, fra i quali quello degli esteri, Rajik, sono stati insigniti dell'ordine cecoslovacco del Leone Bianco di prima classe.

Oltre al testo dei due citati discorsi del ministro degli esteri Clementis e del presidente del Consiglio dei ministri Zapotocky, allego anche il testo del comunicato emanato da questa stampa dopo la firma dell'accordo e un articolo di commento abbastanza interessante, pubblicato dal Rude Pravo, organo ufficiale del partito comunista cecoslovacco2 .

776 1 Non pubblicato.

777

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 916/557. Sofia, 19 aprile 1949 (perv. il 23).

Riferimento: Seguito miei telegrammi n. 62 e n. 65 del15 e 16 corrente 1•

Questo ministro di Albania ha chiesto di vedermi il 15 corrente. Ha incominciato coll'intrattenermi sull'argomento della previsione delle spese per il disincaglio del noto dragamine albanese (vedi mio telespresso n. 904/546 in data 15 corrente)2 e poi è passato all'argomento del visto di ingresso in Italia per Nesti Josif (vedi mio telespresso n. 905/54 7 in data 15 corrente )2; ed infine mi ha accennato alla vecchia richiesta albanese di inviare una piccola commissione economica in Italia per l'applicazione delle clausole economiche del trattato3 .

Gli ho allora risposto che mi meravigliavo di questa richiesta perché siamo noi che attendevamo una risposta al riguardo del Governo di Tirana. Gli era infatti ben noto che in proposito il Governo italiano aveva già da tempo risposto, accettando in principio di ricevere una commissione economica albanese ma ponendovi come condizione che una commissione italiana di assistenza e rimpatrio fosse accolta in Albania4. Dopo di che Tirana era rimasta muta. Del resto, ho aggiunto, bisognava, parlando francamente, constatare che questo sistema del mutismo di Tirana, eccetto nel caso del dragamine, sembrava essere un sistema costante. Infatti gli ho ricordato che non avevamo avuto risposta nei seguenti argomenti, trattati da questa legazione:

l) rimpatrio degli italiani indebitamente intrattenuti in Albania, e proposte per la loro assistenza;

2) ristabilimento dei reciproci rapporti diplomatici senza condizione;

3) commissione economica albanese in Italia e commissione di assistenza e rimpatrio degli italiani in Albania;

4) restituzione dei motopescherecci italiani «Rosa Madre» e «Nuovo Giuseppe».

2 Non pubblicato.

3 Per i precedenti su questa questione vedi serie decima, vol. VII, DD. 384, 549, 614 e 634.

4 Vedi serie undicesima, vol. l, D. 670.

Citavo a memoria gli argomenti principali, e non vi aggiungevo quello, più recente, del mantenimento dei cimiteri italiani in Albania.

Egli mi ha detto allora che era lieto che io avessi parlato francamente, perché ciò gli dava lo spunto per preannunciarmi che il Governo di Tirana era venuto nell'ordine di idee di ristabilire i rapporti diplomatici con l'Italia, e che era da attendersi presto una comunicazione ufficiale in tal senso che sarebbe stata fatta per il mio tramite. Gli ho risposto che prendevo atto della comunicazione e che, rimanendo in attesa della comunicazione ufficiale, avrei intanto messo al corrente il mio Governo. (Può osservarsi la coincidenza che questo colloquio si è svolto il venerdì di Pasqua del 1949, cioè esattamente a dieci anni di distanza dal venerdì di Pasqua del 1939, giorno che il Governo fascista scelse per lo sbarco in Albania).

L'indomani, 16, il ministro di Albania ha chiesto nuovamente di vedermi e, come ho già telegrafato, mi ha detto che era in grado di comunicarmi ufficialmente che il Governo di Tirana accettava la nostra proposta di riprendere i rapporti diplomatici con l 'Italia a condizione di reciprocità. Egli non mi ha lasciato nessun documento scritto. L'ho ringraziato per la comunicazione ufficiale, che ho detto avrei immediatamente riferito all'E.V.

Nella cordiale conversazione che è seguita egli ha detto, fra l'altro, che non gli risultava ancora se il Governo di Tirana preferisse inviare a Roma quale suo rappresentante un ministro o un incaricato d'affari, ma che si proponeva di accertare quali fossero al riguardo le idee del suo Governo, e di parlarmene ulteriormente; in quanto egli riteneva che la prossima mossa da farsi da parte di Roma come di Tirana, era quella della nomina dei rispettivi rappresentanti per la richiesta del gradimento.

Nella conversazione egli mi ha anche detto ritenere che il rimpatrio di una cinquantina di italiani, per il quale attendeva l'invio di una piccola nostra nave mercantile a Durazzo, sarebbe stato seguito da quello di tutti gli altri italiani desiderosi di rimpatrio. Mi ha chiesto se avevo informazioni circa l'arrivo della nave; e gli ho risposto che attendevo un telegramma al riguardo da un momento all'altro (successivamente giunto )2 .

Ritengo che la modificazione dell'atteggiamento di Tirana nei nostri riguardi quale risulta dalle comunicazioni di questo ministro albanese, debba probabilmente mettersi in relazione con il contenuto del te l espresso di codesto ministero n. 06817 /c. dell'8 corrente) 5 . Non mi sembra infatti possibile che su un così importante fatto nuovo quale la ripresa di rapporti diplomatici con l'Italia l'attuale Governo albanese non abbia agito senza essersi prima assicurato del consenso di Mosca. Questa ha probabilmente fatto osservare ai dirigenti albanesi come un ulteriore ritardo nella ripresa dei rapporti diplomatici con noi veniva a danno degli interessi albanesi, ogni applicazione delle clausole del trattato di pace a loro favore non risultando possibile, se non si ristabilivano prima contatti normali con noi.

Ciò non toglie che anche le nostre insistenze, pazienti ma costanti, verso gli albanesi di qui non abbiano avuto il loro peso. Debbo al riguardo precisare che, nel corso dei due colloqui con questo ministro di Albania, il richiamo da lui per due volte fatto

alla persona di Teodor Heba (già ministro albanese a Sofia, col quale, com'è noto a codesto Ministero, ebbi per primo qui dei contatti, e che è ora membro influente del comitato centrale del partito comunista albanese, quale presidente della Commissione dei Quadri, mi induce a pensare che lo Heba abbia avuto una parte importante nel determinare la modificazione dell'atteggiamento albanese verso di noi.

Riferisco quanto precede anche per opportuna norma del futuro nostro rappresentante a Tirana.

776 2 Non pubblicati.

777 1 Vedi DD. 762 e 764.

777 5 Non rinvenuto.

778

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTISSIMO 3875/68. Sofia, 20 aprile 1949, ore 13 (perv. ore 17).

Suo telegramma 51 1• Questo ministro Albania su istruzioni suo Governo prega sia soprasseduto rendere pubbliche domani giovedì decisioni due Governi ripresa dei rapporti diplomati

ci: Governo Tirana intendendo dare pubblicità notizia fra qualche giorno. Questo ministero Albania suppone che breve rinvio possa spiegarsi con desiderio Tirana far pubblicare notizia contemporaneamente nelle due capitali.

Ho detto al ministro Albania che rimanevano in attesa di ulteriori notizie2 .

779

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 3900/75. New York, 20 aprile 1949, ore 23,18 (perv. ore 8,30 del 21).

Corrispondenza Sulzberger New York Times su dichiarazioni attribuite presidente Consiglio 1 circa Libia hanno suscitato vivo interesse e qualche sorpresa. Prima reazione inglesi che mirano, come è noto, assicurarsi trusteeship individuale su Cirenaica senza ulteriori controlli appare nettamente sfavorevole, anche perché si dichiarano sorpresi da forma pubblica data a proposta senza preventivi sondaggi da parte

nostra. Francesi osservano che formula avrebbe avuto forse migliore accoglienza se avanzata in via di sondaggio da terzi. Di fatto alcuni sudamericani stanno lavorando precisamente su queste linee e cercano di ottenere consenso arabo. Comunque occorre tener presente che situazione è sempre fondamentalmente imperniata su possibilità

o meno per britannici di ottenere con due terzi voti attribuzione Cirenaica prima e indipendentemente soluzione altri problemi. Ciò porrebbe noi in posizione sfavorevolissima senza alcuna moneta di scambio in Africa e perciò costretti a subire volontà maggioranza che si formerebbe intorno blocco imponente inglese Dominions paesi anticolonialisti. In realtà, nonostante sforzi sudamericani trovare compromesso con arabi a mezzo complicati baratti questioni Israele Indonesia e Spagna e nonostante asserita buona volontà Stati Uniti favorire qualsiasi soluzione concordata che possa ottenere maggioranza, elementi positivi di un possibile compromesso non sono ancora in vista. In questa fase ogni intervento che non aderisca reale situazione Lake Success può rendere più difficile azione per compromesso rischiando creare malintesi. Soltanto allorquando proposta inglesi per sola Cirenaica avesse incontrato in Comitato sufficiente opposizione da scoraggiarli inoltrare proposta stessa Assemblea si aprirebbe via a possibili compromessi e magari a rinvio totale che alcune delegazioni a noi amiche sembrano attualmente considerare male minore2 .

778 1 Vedi D. 766. 2 Vedi D. 811. 779 1 Si riferisce all'intervista apparsa sul New York Times il 20 aprile edita in «Relazioni internazionali», anno XIII (1949), n. 18, p. 281.

780

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, CON IL PRIMO MINISTRO DEL PAKISTAN, LIAQUAT ALI KHAN

APPUNTO. Roma, 20 aprile 1949, ore 10.

Dopo un breve scambio di vedute sui rapporti economici tra i due paesi e sulle attività svolte nel Pakistan dalla delegazione economica italiana, l'on. De Gasperi ha illustrato l'atteggiamento italiano sul problema coloniale, senza peraltro fare esplicito riferimento all'intervento ostile del delegato del Pakistan all'O.N.U. Non si tratta, egli ha detto, di ripristinare il sistema coloniale, ormai da noi ritenuto superato, a tipo imperialistico. La nostra azione nei territori africani deve essere ispirata a propositi di effettiva cooperazione nel campo del lavoro intesa a contribuire ulteriormente al progresso dei territori africani ed a raggiungere il finale obiettivo della loro indipendenza.

Il primo ministro del Pakistan ha ascoltato l'esposizione del presidente, manifestando il suo interessamento, ponendo alcune domande di schiarimento, e promettendo di tener conto di ciò che aveva appreso. Dopo aver a suo volta esposto all'on. De Gasperi alcune delle difficoltà che il suo Governo deve fronteggiare, e di talune ana

logie che si riscontrano tra le situazioni dei due paesi, ha dichiarato di rendersi conto delle attuali nostre esigenze e di apprezzare l'opera, ispirata a criteri di libertà e democrazia, svolta dal Governo italiano.

779 2 Rispondendo ad una richiesta di informazioni di Tarchiani (T. s.n.d. 3899/76 pari data), Zoppi comunicò (T. s.n.d. 3190/67 del 21 aprile) che l'intervista era stata concessa da De Gasperi su richiesta di Sulzberger, appoggiata dall'ambasciata americana, e che il Ministero non ne era stato informato. Per la risposta di De Gasperi vedi D. 783.

781

COLLOQUIO DEL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, CON IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, IVEKOVIC

APPUNTO. Roma, 20 aprile 1949.

È venuto a vedermi il ministro di Jugoslavia di ritorno da Belgrado. Mi ha chiesto se siamo soddisfatti del primo risultato dei negoziati intrapresi alcun tempo fa 1• Gli ho risposto di sì. Mi ha detto che anche a Belgrado lo sono. Mi ha poi chiesto qualche precisazione in merito all'inizio dei prossimi negoziati commerciali: gli ho detto che con una settimana di preavviso sulla data di arrivo della delegazione jugoslava siamo pronti a ricevere quest'ultima per iniziare le trattative; mi ha chiesto quali sono le nostre idee in merito a tali trattative: gli ho risposto che dal punto di vista politico e commerciale vediamo con favore delle intese per scambi sempre più larghi ed utili ai due paesi, a condizione evidentemente, dal punto di vista strettamente economico, che si trovi per tali scambi un equilibrio soddisfacente e tale da evitare sacrifici che il bilancio italiano non potrebbe sopportare.

Circa le altre questioni pendenti mi ha detto:

l) per la R.O.M.S.A. devono arrivare gli esperti jugoslavi e le trattative procedono bene;

2) trattative Romano: gli sembra che il maggior ostacolo all'accordo sia quello della somma da noi richiesta: dieci-dodici miliardi di fronte ai cinque offerti da parte jugoslava. Mi ha detto che ci si potrebbe intendere a mezza via;

3) navi: il Governo jugoslavo ha deciso di scindere la questione delle navi da guerra da quelle mercantili e di non parlare per ora della prima, data la divergenza fondamentale del punto di vista jugoslavo da quello italiano. Per le navi mercantili propone di rimettere le due delegazioni a discutere in modo continuo: gli jugoslavi hanno qualche proposta.

Ho infine detto al ministro di Jugoslavia che se vogliamo facilitare la soluzione di queste questioni tecniche e di altre che non abbiamo ancora preso in esame e se vogliamo dare sviluppo agli accordi in corso e risolvere anche quelli che hanno carattere politico (per esempio frontiere) è indispensabile dare alle relazioni tra i due paesi quella distensione che sino ad ora è mancata sopra tutto per colpa jugoslava: basti citare la mentalità quasi di guerra che esiste ancora lungo la frontiera provvisoria con sequestri di militari e persone, basti pensare alla questione degli scambi degli amnistiati.

Gli ho detto che ben poco si potrà fare se non si abbandona tale mentalità che ha riflessi psicologici e quindi politici non trascurabili nell'animo degli italiani e che evidenziati quotidianamente in buona o in mala fede possono creare difficoltà anche insuperabili e comunque certo ritardatrici alla nostra opera di riavvicinamento fra paesi. Che se un soldato passa per sbaglio di un metro il cippo di confine lo si rimanda indietro dopo una stretta di mano ma non lo si arresta. Il ministro Ivekovic mi ha detto che è d'accordo con me, che aveva già detto le stesse cose a Belgrado e che le ripeterà.

781 1 Vedi D. 758.

782

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 3576/1522. Washington, 20 aprile 19491•

È stato annunciato che domani il segretario di Stato inizierà i contatti con i Comitati competenti del Senato per illustrare il programma dell'Amministrazione relativo agli aiuti militari ai paesi del Patto atlantico e ad altri allineati con gli Stati Uniti. A quindici giorni di distanza dalla firma del Patto stesso e dalla presentazione delle note da parte dei paesi europei contenenti le richieste generiche di aiuti, mi sembra opportuno fare il punto della situazione, esaminando le correnti di opinione che si sono andate manifestando in merito a tale problema e le possibilità che si presentano per una rapida approvazione da parte del Congresso del programma di riarmo, sopratutto nei suoi aspetti finanziari.

Ho segnalato con mie precedenti comunicazioni2 le dichiarazioni che hanno accompagnato sia la firma del Patto e sia la risposta americana alle richieste per aiuti militari, ponendo in rilievo in particolare quanto il segretario di Stato, Acheson, e il capo di Stato Maggiore del! 'Esercito, Bradley, hanno detto in relazione al problema della difesa americana e al relativo riarmo europeo. Tali dichiarazioni che, come ho segnalato, fanno evidentemente parte di un'azione concertata per esercitare persuasione e pressioni sul Congresso americano, consentono di trarre alcune conclusioni preliminari sull'atteggiamento generale della Amministrazione circa il problema predetto, e che mi sembra possano così riassumersi:

-Gli Stati Uniti intendono preparare la loro difesa, predisponendo quella delle democrazie europee, piuttosto che permettere una eventuale invasione comunista dei paesi europei e procedere alla loro «liberazione» successivamente.

-L'E.R.P. deve provvedere la parte finanziaria sostanziale per il rafforzamento del morale in Europa e contribuire a porre la base economica per il potenziamento militare che dipenderà dall'azione individuale di ciascun partecipante.

-Gli aiuti militari americani dovranno contribuire a completare il predetto potenziamento militare e dovranno forzatamente essere in una prima fase molto infe

2 Vedi DD. 548, 705, 718 e 729.

riori a quelle che saranno le richieste delle democrazie europee. È difficile per ora, se non impossibile, prevedere il costo totale del programma, non potendosi immaginare il suo costo nelle fasi successive.

-Gli Stati Uniti non intendono dipendere soltanto dalla forza aerea per la difesa dell'Europa e degli Stati Uniti stessi e la bomba atomica sarà tenuta in riserva per essere usata come ultimo mezzo, nel caso in cui le democrazie fossero profondamente minacciate.

-Si confida che una simile unione di forze dei paesi dell'Europa occidentale, con l'appoggio delle risorse degli Stati Uniti, presenterà un fronte sufficientemente agguerrito da far desistere eventuali aggressori dall'attaccare qualche singolo membro del gruppo.

Questo è per lo meno, a sommi capi, il programma che l'Amministrazione sembra avere intenzione di esporre al Senato americano, in appoggio alla richiesta di fondi per gli aiuti militari e sia in relazione alla ratifica del Patto atlantico.

Quali sono state le reazioni dei circoli parlamentari, politici e giornalistici a tale programma e ai propositi in varie occasioni manifestati dall'Amministrazione? A tale riguardo mi sembra opportuno segnalare che le due ultime settimane sono state caratterizzate, per quanto concerne il programma degli aiuti militari, da tre episodi salienti che mi paiono meritevoli di attenzione.

-Le dichiarazioni del consigliere economico della Casa Bianca, dr. Nourse, fatte in una riunione al Pentagono e da me già segnalate a codesto Ministero con precedente rapporto3 . Secondo Nourse ogni nuovo esborso per il programma di riarmo, renderebbe necessaria l'imposizione di altri aggravi fiscali o l'impostazione di un deficit di bilancio: ne deriva la ovvia conseguenza che, per evitare tali due spiacevoli soluzioni (tanto più preoccupanti in un momento di congiuntura economica decrescente), sarebbe necessario tagliare altri capitoli del bilancio americano o degli aiuti all'Europa.

-Le «rivelazioni» della Commissione Hoover, per la riorganizzazione amministrativa americana con le quali sono stati posti in luce notevoli sperperi delle Forze Armate americane nel corso degli ultimi anni finanziari.

-Un certo dissenso manifestatosi tra il senatore Connally, capo del Comitato degli affari esteri del Senato, e l'assistente segretario di Stato per le relazioni col Congresso, Gross, in merito ai «tempi» per la presentazione al Senato dei progetti di legge per il Patto atlantico e per il riarmo dei paesi aderenti al Patto stesso.

Ho elencato in dettaglio tali episodi perché essi potranno avere un certo peso sull'atteggiamento degli ambienti parlamentari in merito ai nuovi esborsi da imporre al contribuente americano per il nuovo tipo di aiuti.

Le dichiarazioni di Nourse sono state infatti registrate con una preoccupazione che è andata sensibilmente crescendo in questi ultimi giorni e che non è stata certo dissipata dalle dichiarazioni fatte in una conferenza stampa dal presidente Truman, nel corso della quale, è stato notato da molti, quest'ultimo si è riferito alle dichiarazioni di Nourse con una certa irritazione. Si è anche parlato al riguardo di dissensi nell'Amministrazione sulla politica di adottare per il reperimento dei mezzi necessari al programma di riamo. È indubbio che il

presidente Truman si trova di fronte a un gravissimo dilemma e che egli deve procedere con estrema cautela prima di adottare una qualsiasi decisione: la sua tendenza peraltro sembra quella di far ricorso a nuove imposizioni fiscali, piuttosto che a tagli in certi capitoli del bilancio, i quali potrebbero anche aggravare, sotto certi aspetti, le tendenze deflazionistiche che si vanno manifestando attualmente in questo paese. Si spera insomma che l'allargamento del programma di aiuti possa alla fme recare riflessi benefici al contribuente americano i cui sacrifici sarebbero quindi soltanto apparenti. Questa è per lo meno l'impostazione che sembra verrà data dal presidente e dall'Amministrazione al programma finanziario degli aiuti militari. L'atteggiamento riscontrato invece nel Congresso, già per quanto riguarda il secondo anno dell'E.R.P. e le difficoltà che si prevedono in sede di comitati per gli stanziamenti dell'E.R.P. stesso, lasciano prevedere una vivacissima lotta e la possibilità del rinnovarsi di una qualche collusione tra democratici del Sud e repubblicani atte a bloccare l'aumento degli oneri fiscali in relazione al programma di riarmo.

Tale opposizione non potrebbe trovare migliore alimento nelle sopraccennate rivelazioni della Commissione Hoover che hanno indubbiamente suscitato notevole scalpore negli ambienti parlamentari. Un recente editoriale del Ba/timore Sun indicava che tra i vari sperperi delle Forze Armate si potevano annoverare: uniformi a prezzi di 120 dollari ciascuna, case di modeste proporzioni in costruzione in Alaska per più di 58 mila dollari ciascuna, stanziamenti di più di l 00 milioni per un limitato numero di uniformi tropicali. È certo questo il clima più sfavorevole in cui potrebbe svolgersi una richiesta di fondi per spese che dovrebbero essere appunto amministrate dai Ministeri delle Forze Armate, ed è ovvio che se proposte verranno formulate, esse saranno sottoposte, come d'abitudine, ad un esame microscopico e accuratissimo affinché vengano effettuate in sede di stanziamenti notevoli decurtazioni. In sostanza si tratta di una lotta che si è ormai ingaggiata tra militari e politici da una parte e economisti dall'altra, per stabilire fino a che punto deve giungere il sacrificio economico americano per soddisfare le esigenze che la politica e gli interessi strategici americani indicano come vitali per la sicurezza degli Stati Uniti.

Vi è ora un altro elemento da considerare, quello cioè della situazione psicologica che si è creata in Senato. Occorre premettere che l'Amministrazione si è andata disponendo al nuovo compito di persuasione verso il Congresso, in preda alle più vive preoccupazioni. Esse derivano dal fatto che l'idea del riamo è ovviamente sgradita a molti gruppi di opinione in questo paese e ciò non solo agli avari di professione, dentro e fuori del Congresso, ma ai pacifisti e ai gruppi religiosi che vedono in un programma di riarmo qualcosa di perverso e vorrebbero sgravarsi di ogni responsabilità per iniziative che abbiano un qualunque carattere bellicoso e agli isolazionisti irriducibili che vedono già il materiale bellico americano cadere nelle mani di eserciti sovietici avanzanti. È appunto per queste preoccupazioni che l'Amministrazione elaborò una strategia accuratissima, invitando a collaborare, in una atmosfera di innegabile complicità, gli stessi paesi europei, e richiedendo ad essi come è noto di presentare note verbali per aiuti militari. Il presidente Adams ebbe una volta a descrivere il ramo esecutivo del Governo americano come «the Agency which, through devious ways, is entrusted with the task ofleading American Congress on the right path». Si tratta di vedere se le devious ways che l'Amminitrazione ha escogitato in questa occasione finiranno per irritare più che convincere il Senato americano. Acheson, in relazione alla presentazione al Senato del Patto atlantico per la ratifica, si è affrettato a dichiarare che Patto atlantico voleva dire, sì, un certo riarmo, ma che ad esso non era automaticamente collegato alcun aggravio per il bilancio americano: dichiarazione questa che, giungendo pochi giorni dopo altre fatte dallo stesso Acheson al momento della presentazione delle note verbali europee (che, notisi bene, hanno tutti capito esser state concordate coi paesi europei stessi) è stata considerata alquanto mendace e ha aumentato certe sospettosità da parte del Senato. In realtà il primo urto è avvenuto quanto l' Assistant Secretary Gross richiese, subito dopo la firma del Patto atlantico, al senatore Connally di accelerare i tempi per l'esame dei problemi concernenti sia la ratifica e sia gli aiuti militari e ciò allo scopo che non si creassero sentimenti di delusione e di perplessità o pericoli di arretramento da parte dei Governi e dell'opinione pubblica europea.

Connally rispose allora che l'Amministrazione non poteva imporre alcuna data al Senato americano per l'inizio dei lavori su certi particolari problemi. D'altro canto il problema del riarmo e le necessità finanziarie ad esso connesse, hanno suscitato gradualmente una maggiore dose di commenti che non lo stesso Patto atlantico. La conseguenza di tutto ciò è stata che si è formata una corrente di opinione nel Senato abbastanza forte la quale sostiene che il progetto di legge per gli aiuti militari avrebbe dovuto e potuto esser tenuto nell'oscurità fino a che il Senato non avesse ratificato il Patto atlantico. Sarebbe stato più saggio, viene rilevato, da parte deli'Amministrazione di far presente che gli impegni di difesa comune contro l'aggressione che venivano assunti con l'adesione al Patto erano di preminente importanza e immediatezza e che ogni questione collegata a tali impegni avrebbe potuto essere affrontata in un secondo tempo, dopo cioè che il Senato avesse potuto esaminare in profondità il Patto atlantico, in sede di discussioni per la ratifica. La presentazione delle richieste per il riam10 da parte dei paesi europei, istigata dallo stesso Dipartimento di Stato, è avvenuta nel momento in cui lo stesso piano Marshall veniva sottoposto ad accurate discussioni per l'eventuale riduzione dei fondi ed ha creato un elemento di disturbo, di cui forse il segretario di Stato dovrà pentirsi.

Ciò non vuoi dire che vi siano pericoli seri per la ratifica del Patto e per l'approvazione della legge per il riarmo. Si tratta di fenomeni tipici degli ambienti governativi e parlamentari americani, nei quali ogni corrente rivendica preminenza di interesse, indipendenza di azione e maggiore importanza agli effetti delle decisioni finali. È evidente che il Patto e le sue conseguenze nel campo del riarmo hanno già fatto sufficiente breccia perché debba temersi una totale retrocessione da parte del Senato. Ciò piuttosto di cui dobbiamo certamente preoccuparci è che la situazione che ho sopra descritto potrà comportare alti e bassi particolarmente appetitosi per certa propaganda avversa, la quale avrà modo di avvalersi di esitazioni o resipiscenze nel Parlamento americano per rivolgere agli Stati Uniti le solite accuse di egoismo e di tepidezza nei riguardi europei. Dobbiamo anche preoccuparci che in una simile situazione i lavori potranno anche essere ritardati e, credo, nella peggiore delle ipotesi, per quanto riguarda il programma di riarmo, concludersi soltanto alla fine dell'attuale sessione parlamentare se non anche al principio della prossima. Non possiamo al riguardo sottovalutare il fatto che lo stesso senatore Connally ha ieri dichiarato ai giornalisti, in relazione a domande fattegli appunto sulla situazione sopra descritta, che «il Patto Nord Atlantico sarebbe una iniziativa completamente buona se non fosse ad esso attaccato un programma di armamento». Pur assicurando che egli non desiderava essere frainteso come opposto al programma di aiuti militari, egli ha aggiunto ai reporters che l'interrogavano che egli sarebbe molto più lietamente favorevole al Patto se esso non comportasse esborsi per programmi di aiuti militari. Connally è ben noto per manifestazioni di tal genere, ed è risaputo anche che non è estremamente difficile ristabilire opportuno equilibrio nelle situazioni parlamentari a seguito di pressioni e insistenze della Amministrazione, quando la causa è fondamentalmente buona. Ho ritenuto però opportuno attirare l'attenzione di V. E. su alcune circostanze caratteristiche dell'attuale momento in Congresso, perché si sia da parte nostra preparati ad attendere con una certa pazienza gli sviluppi della situazione.

Vi è da domandarsi che cosa dovrebbero fare i paesi europei per facilitare l'andamento dei lavori presso il Senato. Dai contatti che costantemente vengono tenuti sulla questione con il Dipartimento di Stato, sembra potersi dedurre che la migliore politica da seguire da parte dei paesi europei, è per il momento quella di astenersi da altre iniziative. Né sembra che il Governo americano intenda per ora svolgere altri passi, in attesa che il Congresso si dichiari sulla vessata questione. Iniziative sporadiche, esortazioni con nuove richieste da parte europea, potrebbero forse condurre ad ulteriori irrigidimenti del Congresso americano con effetti indubbiamente molto dannosi per il successo finale dell'azione intrapresa dopo la firma del Patto atlantico presso questi ambienti parlamentari. Il Dipartimento di Stato ha anche negato nel modo più reciso che si abbia in animo in questo momento di inviare missioni militari americane nei paesi europei, in previsione della favorevole conclusione dei lavori in Congresso, secondo quanto riportato in una corrispondenza di ieri da un giornale di Washington. Il Dipartimento ha al riguardo dichiarato che sono graditi e ritenuti opportuni stretti contatti tra gli elementi militari dei Governi europei e le ambasciate americane. Da essi potranno scaturire buone impostazioni per il lavoro futuro (per quanto riguarda l 'Italia mi è parso cogliere che questo Governo vedrebbe con favore, nel quadro del programma di mutua/ a id, una prestazione di mano d'opera da parte dell'Italia agli altri paesi del Patto impegnati in produzione bellica). Al di là di tali normali contatti non sembra al Dipartimento opportuno andare almeno per il momento. Una intensificazione o diversa impostazione dei contatti stessi potrà aversi dopo che il Congresso avrà manifestato in modo più preciso le sue intenzioni.

782 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

782 3 Vedi D. 718.

783

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3210/70. Roma, 21 aprile 1949, ore 19.

Mia conversazione Sulzberger, raccomandata ambasciata americana, non intese formulare proposte precise né alcun testo mi fu sottoposto a revisione. È vero però che nel colloquio accennai possibilità soluzione tripartita Libia e a cooperazione in Eritrea anche con Etiopia, idee non nuove e variamente discusse che non possono turbare negoziati ufficiali 1•

783 1 Risponde al D. 779.

784

IL MINISTRO A L'AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 3937/22. L'Avana, 21 aprile 1949, ore 11,48 (perv. ore 24).

Ho telegrafato quanto segue a Italnation: «Mia lettera in data 2 aprile diretta ambasciatore Tarchiani 1 e promemoria Mascia 10 marzo2• Comunico che seguito nuovi miei passi vengo informato questo momento da ministro Haiti essere state inviate istmzioni a delegato Haiti O.N.U. senso confermare istmzioni impartite scorso anno favorevoli nostre richieste questione colonie africane».

785

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3941/71 1• Mosca, 21 aprile 1949, part. ore 0,30 de/22 (perv. ore 8,30).

Mi riferisco al mio telegramma n. 762 .

I sovietici hanno stamane comunicato la loro risposta. Aderiscono portare base peso ettolitrico a 78 kg. lasciando invariata percentuale estranei con reciproci abbuoni. Concedono riduzione spese di stivaggio e rate demorrage e despatch money. Rifiutano ogni altra concessione su condizioni contrattuali e cioè: circa la qualità e condizionamento non accettano clausole esclusione tarlatura e carbonatura; escludono possibilità controllo merci imbarco riaffermando incontestabilità loro certificato statale e non ammettendo alcun giudizio arbitrale circa quantità e qualità merci; per altre questioni ammettono soltanto arbitrato Mosca.

Quanto al prezzo considerano irreale riferimento mercato Chicago perché puramente speculativo e non base effettive esportazioni, e nemmeno applicabile, benché reale, prezzo mercato di New York perché corrispondente ad effettivo pagamento dollari. Pertanto ci richiedono di cambiare radicalmente base partenza mentre da loro canto promettono soltanto riduzione qualche dollaro su richiesta iniziale l 07. Da parte nostra si è invece riaffermata correttezza nostra offerta di massima dichiarandola suscettibile di qualche miglioramento e riservandoci di riferire e rispondere su complessiva posizione sovietica sopra enunciata.

2 Non pubblicato.

2 Dell'8 aprile, non pubblicato.

Nostra interpretazione è che probabilmente sovietici intenderebbero scendere verso l 02-100 dollari, rimanendo molto improbabile, se pure non assolutamente esclusa, eventuale ulteriore riduzione finale sotto 100 dollari, ma certo non mai sotto i 95.

Osservo per quanto riguarda tarlatura e carbonatura che certificato sovietico, tollera come massimo (che i sovietici affermano del tutto eccezionale) lo 0,2% di carbonatura e cinque insetti vivi chilogrammo. È nostra impressione che essi fanno questione prestigio mirando precostituirsi precedente per condizioni generali loro favorevoli e soprattutto non ammetteranno alcun caso controllo porti di imbarco. Forse si potrebbe sostenere una qualche forma di arbitrato imparziale collegandolo naturalmente ad una verifica quanto meno allo sbarco ed alla soluzione del dissenso sulle garanzie di qualità. Prego codesto Ministero dare istruzioni precise sul limite cui su tale premessa potrebbe giungere un tentativo transattivo.

Per quanto riguarda prezzo sembrami che sovietici siano fuori strada quando negano realtà ed applicabilità base prezzi americani, mentre invece, allorché oppongono che non paghiamo in dollari ma in prodotti a prezzi elevati, fanno giuocare un elemento che, malgrado qualsiasi dialettica, non può eliminarsi dalla valutazione e che ha effettivamente pesato sempre nelle contrattazioni analoghe qui fatte da altri Stati ed a mia conoscenza. Tenendo presenti tali elementi prego codesto Ministero dirmi se e fino a che punto potremo sorpassare il limite di 90 già fissato al quale, ripeto, i sovietici certamente non giungeranno.

Inoltre credo sia necessario inviare d'urgenza, con telegramma a parte, dettagliate informazioni sul funzionamento ed il valore pratico del mercato di Chicago per normale rifornimento a terzi paesi importatori liberi da norme vincolatrici circa allocations.

Se non si ritiene conveniente un avvicinamento sulle sopraindicate linee ovvero se i sovietici non aderissero ad esse ritengo che diverrà inevitabile sospendere trattative rimandandole ad epoca successiva, su di che pure prego inviare istruzionP.

784 1 Non rinvenuto.

785 1 Nella successione dei telegrammi in partenza da Mosca nella giornata del 21 aprile questo telegramma è collocato tra il n. 79 ed il n. 80. Ad esso tuttavia fu attribuito il n. 71 utilizzando un numero di protocollo precedentemente annullato.

786

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO RISERVAT0 1 . Roma, 21 aprile 1949.

l) I rapporti dall'Italia col Governo di Enver Hoxha non erano prima d'ora giunti ad una normalizzazione principalmente per l'atteggiamento adottato da quel Governo nella questione dei rimpatri dei nostri connazionali arbitrariamente trattenuti. Un primo contatto ufficioso si ebbe nel marzo 1945 con l'invio a Tirana dell'on. Palermo, allora sottosegretario di Stato alla difesa, che concluse con Hoxha il noto accordo per i rimpatri e per gli specialisti necessari alla ricostruzione dell' Albania2 .

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Autografo di Sforza del D, 770.

Nel luglio dello stesso anno fu inviata a Tirana a titolo pure ufficioso la missione Turcato, che cercò di applicare l'accordo Palermo-Hoxha e fece qualche proposta per la ripresa degli scambi commerciali3 . Ma, il 17 gennaio 1946, al capo della missione fu bruscamente notificato di lasciare il territorio albanese con la motivazione che il suo compito era da considerarsi esaurito4 .

Con la partenza da Tirana della missione Turcato la situazione degli italiani rimasti in Albania senza alcuna protezione andò rapidamente aggravandosi; si ebbero arresti, confische, persecuzioni, processi. Soprattutto tecnici dell'Agi p e medici trattenuti come specialisti furono vittime di queste vessazioni. Costretti a lavorare in difficilissime condizioni morali e materiali, alcuni di essi vennero processati sotto l'accusa generica di sabotaggio, e in qualche caso fucilati. Attraverso la Croce Rossa Internazionale e l'U.N.R.R.A. si cercò di venire in loro aiuto e di attenerne il rimpatrio, ma nessuno di tali Enti poté svolgere la benché minima azione: del resto U.N.R.R.A. e C.R.I. vennero anch'esse poco dopo espulse dall'Albania. Eguale risultato negativo ebbero i tentativi da noi fatti presso i Governi americano ed inglese, i quali ci fecero capire che un loro interessamento avrebbe potuto essere più di danno che di aiuto per gli italiani in Albania: del resto poco dopo anche le missioni americana e britannica vennero ritirate da Tirana.

Non rimaneva quindi che cercare di interessare alla situazione dei nostri connazionali il Governo francese, tuttora rappresentato a Tirana, e quello jugoslavo. Ma una nostra proposta di affidare alla Francia la tutela dei nostri interessi fu nettamente respinta dal Governo albanese5 . Migliore risultato ebbe, nel febbraio 1948, l'interessamento jugoslavo nella questione dei rimpatri: trecento italiani poterono rientrare in Italia nel febbraio-marzo 1948. Ma, in aprile, il Governo jugoslavo ci informò che il Governo albanese aveva deciso di sospendere i rimpatri degli italiani per «rappresaglia» al nostro diniego di dare applicazione all'articolo 75 del trattato di pace (restituzioni)6. A siffatta impostazione rispondemmo ponendo il rimpatrio dei nostri lavoratori trattenuti in contrasto con i principi fondamentali delle libertà umane come condizione essenziale perché, sul piano morale e giuridico, l'Albania potesse far valere i diritti che eventualmente le derivano dal trattato di pace7 .

Ai primi di maggio 1948 il Governo albanese prese l 'iniziativa di denunziare la nostra pretesa mancata applicazione dell'articolo 75 ai Governi dell'U.R.S.S., degli Stati Uniti, di Gran Bretagna e di Francia. Prendendo lo spunto dal passo albanese chiarimmo con le ambasciate nord-americana, britannica, sovietica e francese in Roma: a) quale fosse la nostra posizione formale nei confronti del Governo albanese, col quale non vi erano rapporti diplomatici né avevamo potuto accordarci per affidare a terzi paesi la protezione dei reciproci interessi; b) e, quanto alle restituzioni eravamo disposti a trattare col Governo albanese, se da parte di questo si mostrasse concreta buona volontà di completare il rimpatrio degli italiani trattenuti in contrasto con l'obbligo, sancito anche dal trattato di pace, del rispetto dei diritti e delle libertà individuali.

4 Vedi serie decima, vol. III, DD. 100, 118, 120 e 129.

5 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 70, 304 e 384.

6 Ibid., D. 549.

7 Ibid., D. 614.

2) Determinatasi la crisi nei rapporti fra Tito e i paesi cominformisti e principalmente l'Albania, l'azione di interessamento per la sorte dei nostri connazionali fu spostata a Sofia.

Nel luglio scorso, il ministro a Sofia stabilì un contatto col ministro di Albania8 in quella capitale per cercare di giungere ad una ripresa di rapporti ufficiali che avrebbe dovuto comportare, in primo luogo, il rimpatrio degli italiani. Per facilitare l'inizio di conversazioni Guarnaschelli fu finanche autorizzato a comunicare che avremmo potuto assumerci la cura di provvedere alla sostituzione di quegli elementi tecnici italiani i cui servigi fossero considerati indispensabili dal Governo albanese (il principio della sostituzione era alla base dell'accordo Palermo-Hoxha). Da parte albanese si rispose con la solita tattica di condizionare lo stabilimento di relazioni diplomatiche, e con ciò anche i rimpatri, alla soluzione delle questioni connesse con l'esecuzione del trattato di pace (restituzioni, riparazioni e criminali di guerra). Da parte nostra fu replicato che non intendevamo porre condizioni particolari all'inizio di rapporti ufficiali purché altrettanto fosse fatto dal Governo albanese, sottolineando che con la presenza di una nostra rappresentanza in Tirana la questione dei rimpatri potrebbe assumere un nuovo aspetto venendosi ad attenuare lo stato di costrizione in cui vivono gli italiani in Albania, mentre la presenza di una rappresentanza albanese a Roma porrebbe l'Albania sullo stesso piano degli altri paesi che vantano titoli giuridici derivanti dal trattato di pace. Comunicazioni in tal senso furono fatte dal ministro Guarnaschelli al ministro d'Albania il l O settembre9 •

Nel novembre Guarnaschelli, a seguito di una conversazione con l'incaricato d'affari albanese in Sofia, preoccupandosi che potesse rompersi il tenue filo colà stabilito con gli albanesi, chiese di essere autorizzato a proporre lo scambio di una missione economica albanese con una missione italiana incaricata di curare sul posto il rimpatrio degli italiani 10 . Tale autorizzazione gli fu data11 , raccomandando tuttavia di insistere sulla contemporaneità dello scambio di missioni. Ma anche per questa proposta che veniva a rappresentare una subordinata dell'altra relativa allo stabilimento di normali relazioni diplomatiche, non si ebbe risposta.

Ai primi di marzo il consigliere di questa ambasciata sovietica si informò sulle ragioni che impedivano un accordo con l'Albania circa l'applicazione dell'art. 75 del trattato di pace. Gli fu risposto che tutti i problemi economici connessi col trattato potranno essere esaminati soltanto dopo lo stabilimento di relazioni diplomatiche.

In data 16 aprile, il ministro a Sofia ha telegrafato «che il Governo di Tirana accetta la proposta da noi a suo tempo avanzata di riprendere rapporti diplomatici ufficiali con l'Italia a condizione di reciprocità» 12• Evidentemente il Governo albanese fa riferimento alle comunicazioni fatto da Guarnaschelli il l O settembre.

3) Sembra potersi dedurre che il Governo albanese si sia deciso a riconsiderare il suo atteggiamento negativo nei nostri confronti principalmente in vista delle possibilità di trattare con noi le questioni delle cosidette restituzioni (fra l'altro

9 Ibid., D. 410.

IO Jbid., D. 583.

Il Jbid., D. 670.

12 Vedi D. 764.

esso rivendica la riserva aurea della Banca nazionale d'Albania) e delle riparazioni (cinque milioni di dollari). Va aggiunto che l'Albania è, nell'attuale momento, in posizione di completo isolamento economico, ed è rifornita via mare soltanto dall'U.R.S.S.; negli ultimi mesi si sono infatti intensificati da parte albanese i tentativi di entrare in rapporti di affari con ditte italiane e di riprendere i traffici marittimi con i porti pugliesi. Risulta che il petrolio albanese viene attualmente inviato alle raffinerie russe del Mar Nero per l'impossibilità di servirsi delle raffinerie italiane che erano prima utilizzate per il tramite jugoslavo.

Va tenuto presente d'altra parte che la decisione albanese segue a pochi giorni di distanza dalla visita di Enver Hoxha a Mosca, la quale è stata principalmente posta in relazione con la trattazione dei problemi inerenti alla grave crisi economica dell'Albania oltre che con la funzione singolare che quel paese ha assunto nella guerriglia partigiana contro Tito e nella attività degli andartes greci.

Per quanto concerne l'Italia, lo stabilimento delle relazioni diplomatiche con l'Albania interviene mentre la situazione nei Balcani, quale è venuta prospettandosi negli ultimi mesi, mette in luce aspetti alquanto delicati per i nostri interessi sull'altra sponda del canale d'Otranto, aspetti che possono così riassumersi: a) la situazione interna albanese è caratterizzata da un sensibile indebolimento del partito comunista a seguito del defenestramento di Koci Hoxe e di numerosi altri capi del partito, del Governo e dell'Esercito. Pare che, nei giorni dell'arresto Hoxe, si sia creata nell'apparato governativo una situazione particolarmente difficile. La crisi, quale che ne fosse l'ampiezza, fu superata con l'invio per via aerea da Mosca di varie delegazioni sovietiche (amministrativa, di polizia, e militari) che sembra dirigono ora il paese; b) la posizione internazionale dell'Albania richiede un attento lavoro di osservazione. Essa è il solo punto di appoggio sovietico nel Mediterraneo da cui si può influenzare la situazione del Montenegro, della Macedonia e dell'Epiro e disturbare la costa pugliese, ma è anche insidiata dalla Jugoslavia attraverso un'attività anti-cominformista e dalla Grecia attraverso preparativi e incitamenti, rivolti in primo luogo ai nord-americani, per un'azione di ritorsione antisovietica da portare nell'interno stesso del paese. Il ministro in Atene ha segnalato a più riprese accenni di Tsaldaris ad una spartizione dell'Albania fra Grecia e Jugoslavia come misura intesa a neutralizzare l'azione sovietica per il collegamento territoriale bulgaro-albanese attraverso la creazione di una Macedonia indipendente 13 .

A parte quindi il vantaggio immediato che noi ci attendiamo da una ripresa delle relazioni e cioè la tutela dei nostri interessi e il rimpatrio degli italiani che non intendono restare nel paese, sembra oltremodo interessante avere a Tirana un nostro rappresentante diplomatico che segua la delicata vicenda che l'Albania sta ora attraversando.

Da parte albanese ci si chiederà certamente di entrare subito in contatto per sistemare pendenze derivanti dal trattato di pace, e per la ripresa di relazioni commerciali. Ci regoleremo ovviamente avendo presente quanto precede.

786n Vedi D. 274.

785 3 Vedi D. 890. 786 1 Ritrasmesso con il Telespr. riservato urgente 15/78 del 23 aprile alle ambasciate a Washington, Parigi, Londra, Mosca ed Ankara ed alle legazioni a Atene, Belgrado, Sofia, Bucarest e Budapest. 2 Vedi serie decima, vol. Il, DD. 80 e 108.

786 3 lbid., DD. 457, 466 e 722.

786 8 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 223.

787

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 721/013. Trieste, 21 aprile 1949 (perv. il 26).

Il generale Airey che ancora alcuni giorni or sono aveva creduto di poter escludere una sua andata a Washington (mio telegramma 21 del 12 aprile)!, mi ha oggi comunicato che, in seguito ad invito, partirà lunedì 25 per gli Stati Uniti, dove prevede di trattenersi una diecina di giorni e dove si propone, fra l'altro, di prendere contatto anche con l'ambasciatore Tarchiani. Lo accompagnerà il colonnello Parsons.

Ho chiesto al generale se gli risultassero o se comunque fosse in grado di anticiparmi gli argomenti che formeranno oggetto delle sue conversazioni. Mi ha risposto che non gli era stata indicata alcuna questione specifica, ma che aveva motivo di ritenere che si sarebbe parlato, oltre che del problema generale di Trieste, dell'applicazione del programma E.R.P. triestino (vedasi al riguardo il mio telespresso n. 2567/533 dell9 corrente)2 .

Essendo caduto il discorso sulla possibilità di una nuova dichiarazione di conferma della nota tripartita del 20 marzo3, ho rilevato che il momento utile, ai fini elettorali, appariva ormai trascorso, e che in ogni caso una tale dichiarazione avrebbe dovuto ottenere qualche specifico riferimento circa gli sviluppi dell'amministrazione locale. Ho aggiunto che l'opinione pubblica triestina mal intenderebbe i motivi della consultazione elettorale, che porterà inevitabilmente in Consiglio comunale elementi slavi e comunisti, se non dovesse esserci una contropartita, rappresentata appunto da una maggiore autonomia e da un più stretto coordinamento con l'Amministrazione italiana.

Il generale Airey ha mostrato di apprezzare le anzidette osservazioni, e, convenendo sulla scarsa utilità della nuova dichiarazione per il fatto che, pur ammesso che essa rientri nei propositi dei Governi alleati, non potrebbe essere resa pubblica che in data assai prossima al 12 giugno, ha prospettato l'eventualità di un «preannunzio» (da collegarsi con la sua visita a Washington e con gli imminenti comizi), riservando la dichiarazione vera e propria ad elezioni avvenute.

In relazione al viaggio di cui trattasi mi permetto di attirare l'attenzione sui te!espressi di questo Ufficio nn. 2568/534 e 2569/535 in data 19 corrente4 .

787 1 Non pubblicato. 2 Non rinvenuto. 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468. 4 Non rinvenuti.

788

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4008/53. Nanchino, 22 aprile 1949, ore 18,44 (perv. ore 24).

Ho proceduto oggi con vice ministro esteri Yeh reggente il Ministero degli affari esteri a firma del Trattato'. In vista situazione qui e sviluppo in corso prospetto opportunità non (dico non) si dia rilievo alla cosa. Trasmetto testF primo corriere.

789

L'AMBASCIATORE A LIMA, CICCONARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4022/16. Lima, 22 aprile 1949, ore 15 (perv. ore 5 del 23).

Mi riferisco al telegramma di V.E. 3150 circolare'.

Ho conferito con ministro esteri. Mi ha assicurato che avrebbe telegrafato subito categoriche e precise istruzioni alla delegazione peruviana Lake Success di fare dichiarazione voto e di votare contro qualsiasi soluzione parziale Libia.

Ammiraglio Diaz Dulanto ha osservato che gli era tanto più facile inviare dette istruzioni in quanto egli aveva già fatto sapere ambasciatore Belaunde che Governo peruviano ha approvato sue dichiarazioni circa ex colonie italiane, cui conclusione racchiude nostro punto di vista, cioè che il Perù desidera soluzione integrale problema e che non appoggerà soluzione parziale.

Infine ministro esteri ha tenuto dichiararmi che aveva già bene orientato nei riguardi nostri capo della delegazione peruviana alla vigilia partenza da Lima e che questi ha potuto successivamente chiarire sue idee e perfezionare suo atteggiamento in seguito conversazioni V.E.

Pregherei telegrafare quanto precede delegazione Lake Success per opportuno controllo prima della dichiarazione voto e votazione.

7881 Vedi D. 589. 2 Ed. in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l 'italia e gli altri Stati, vol. LXVIJI, cit., pp. 376-381. 789 1 Vedi D. 771, nota l.

790

IL MINISTRO A QUITO, PERRONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4024/11. Quito, 22 aprile 1949, ore 18,17 (perv. ore 5 del 23). Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 31501•

Questo ministro esteri mi ha assicurato che telegraferà subito al delegato Equatore presso N.U. di non (dico non) accettare soluzione parziale per Libia.

Nel corso conversazione ho chiesto se altri paesi avessero ultimamente interessato Governo Equatore al problema delle colonie ex italiane ed in quale senso. Questo ministro esteri mi ha confessato recente intervento francese sostanzialmente conforme ai nostri desideri (mio telegramma n. l 0)2 e quello del nunzio apostolico (mio rapporto n. 436/120)3 il quale nel mese marzo scorso ha soprattutto raccomandato che Eritrea sia restituita all'Italia.

Invece passi degli U.S.A. e Inghilterra rimontano al novembre scorso. Entrambi avrebbero allora desiderato che venisse affidata amministrazione fiduciaria della Cirenaica all'Inghilterra della Somalia all'Italia rinviando invece ogni soluzione per l 'Eritrea e la Tripolitania.

A tutti è stato risposto che il delegato Equatore alle N.U. avrebbe sostenuto tesi seguente: amministrazione fiduciaria ali 'Inghilterra della Cirenaica all'Italia degli altri tre territori.

791

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4026/40. Santiago, 22 aprile 1949, ore 19,30 (perv. ore 5 del 23).

Questo ministro esteri, che ho intrattenuto nel senso istruzioni di cui al telegramma di V.E. 3150/c.1 !asciandogli mio memorandum, mi ha assicurato atteggiamento Cile non si sarebbe discostato da linea sempre seguita contraria soluzione parziale Libia. Stamane sottosegretario di Stato per gli affari esteri mi ha informato che in conversazione telefonica con Santa Cruz a New York gli ha letto memorandum da me lasciato confermandogli istruzioni e ricevendone assicurazione.

2 Del 22 aprile, non pubblicato.

3 Del 17 marzo, non pubblicato. 791 1 Vedi D. 771, nota l.

790 1 Vedi D. 771, nota l.

792

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4027/39. Buenos Aires, 22 aprile 1949, ore 21,02 (perv. ore 7,30 del 23).

Già in colloquio con lui avuto 18 scorso presidente Peron mi aveva confermato considerare nostra lotta per le colonie come lotta comune e che delegazione Argentina aveva istruzioni adottare quella qualsiasi linea azione che a noi apparisse utile. In questo spirito mio passo secondo le istruzioni del 20 corrente mese' ha trovato immediata accoglienza. Avuto assicurazione istruzioni partite ieri stesso.

793

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4076/74. Atene, 23 aprile 1949, ore 14 (perv. ore 21,30). Telespresso n. 07086/c. dell' 11 corrente'.

Secondo telespresso suindicato ad Atene Colitto assumerebbe veste rappresentante diretto dell'organo che in definitiva a Roma con greci concluderà accordo, in base progetto da noi presentato nel concetto di globalità.

Se esatta è tale mia interpretazione, dovrei notificare Colitto in questa veste particolare. Mia opinione è che questo metodo frazionato di discussione diviso (sempre desiderato dai greci) fra Roma ed Atene, pregiudica trattative, rendendone fluide responsabilità, con probabile danno conclusioni.

Per non essere pregiudicata la trattazione unitaria delle varie questioni che Colitto qui ad Atene, come elemento distaccato, anche se assistito da questa legazione, si troverà dinanzi al Governo ellenico che, nei suoi confronti, eviterà di prendere qualsiasi impegno. Evidente interesse greco concludere tempestivamente accordo in questione in vista pagamento riparazioni potrebbe permetterei ottenere da questo Governo accoglimento nostra esigenza trattativa unica sede, inducendolo completare con funzionario qualificato quale Palierakis delegazione greca a Roma2 .

792 1 Vedi D. 771, nota l. 793 1 Non rinvenuto. 2 Per la risposta di Zoppi vedi D. 801.

794

IL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4077/19. Guatemala, 23 aprile 1949 (perv. ore 24jl.

Rispondo al telegramma circolare 3150 del 20 corrente2 .

Ho telegrafato Governi El Salvador, Costarica, Honduras, Nicaragua affinché provvedano nel senso desiderato da V.E. ed ho invitato console El Salvador e incaricato d'affari Costarica insistere personalmente. Governo Guatemala ha telegrafato suo delegato perché si metta in contatto col nostro osservatore e proceda d'accordo con lui. Da Costarica incaricato d'affari comunica che situazione politica essendo aggravata in seguito dimissioni Figueres e del Gabinetto è oggi ancora meno possibile ottenere dichiarazione e che quindi date attuali circostanze converrebbe agire direttamente sul delegato. Console San Salvador telegrafa che dato che ministro esteri capo delegazione si trova a New York sarebbe opportuno rivolgere richiesta personalmente a lui stesso che può decidere in merito. Comunicherò risposta Nicaragua e Honduras appena possibile. Avverto però che Nicaragua ha per norma seguire suggerimento U .S.A.3 .

795

IL MINISTRO ALL'AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4078/23. L'Avana, 23 aprile 1949, ore 15,03 (perv. ore 23,45). Telegramma di V.E. n. 3150/c. 1•

Mi sono recato stamane sottosegretario esteri per pregarlo precisare nuovamente delegato cubano O.N.U. istruzioni precedenti integralmente di cui al mio rapporto 51 O del 5 aprile2 nel senso contemporaneità mandato italiano su Tripolitania con mandato inglese su Cirenaica e francese su Fezzan.

Ho insistito Cuba esprimere parere contrario soluzione parziale Libia. Sottosegretario mi ha ripetuto che il Governo cubano ha sempre inteso assumere atteggiamento diretto contemporaneità decisioni anzidette ed ha assicurato verranno inviate

2 Vedi D. 771, nota l.

3 Con successivo telegramma Zanotti Bianco aggiunse: «Incaricato d'affari San José di Costarica telegrafa quanto segue: "Ho preso visione rapporto telegrafico 22 corrente delegato Costarica O.N.U. da cui risulta sua opinione contraria a soluzione parziale Libia. Il ministro degli affari esteri promessomi inviare istruzioni perché sia mantenuto tale atteggiamento"» (T. s.n.d. 4210/22 del26 aprile). 795 1 Vedi D. 771, nota l.

2 Non pubblicato.

nuovamente istruzioni tale scopo. A richiesta stesso sottosegretario ho consegnato memorandum senso richiesto. Da informazioni possesso questo Governo intenderebbesi giungere stavolta finale soluzione questione colonie italiane evitando recisamente nuovo rinvio.

794 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

796

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4081/59. Nanchino, 23 aprile 1949, ore 20,10 (perv. ore 22).

Ambasciatore americano comunicami in via strettamente confidenziale avere avuto or ora istruzioni rientrare a consultazione dopo arrivo comunisti. Washington si concerterà altri Governi specie britannico in vista atteggiamento comune. Stuart peraltro mi dice avere risposto essere suo punto di vista restare abbastanza a lungo per vedere cosa sia possibile fare con comunisti. Poiché ministro consigliere fu distaccato a Canton, se ambasciatore partisse, incaricato affari troverebbesi Canton. Decisioni americane circa rappresentanza a Nanchino non sono pertanto ancora definite.

797

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 1316/219. Montevideo, 23 aprile 1949 (perv. il 27).

Facendo seguito al mio telegramma di ieri 1 aggiungo alcuni particolari circa la conversazione che ho avuta col presidente della Repubblica e con il ministro degli affari esteri. Ho potuto intrattenere dell'argomento l'uno e l'altro insieme, approfittando d'un pranzo e concerto che ho offerto in onore del presidente.

Tanto il presidente che il signor Castellanos mi hanno dichiarato di essere molto sensibili alle parole con le quali, iniziando la conversazione, ho cercato di esprimere i sentimenti di soddisfazione e di riconoscenza di S.E. il ministro, del Governo e del popolo italiano per il valido aiuto che l'Uruguay ci ha prestato nel dibattito all'O.N.U.

Ho quindi preso ad illustrare la necessità che si addivenga ad una soluzione totale della questione libica insistendo sui due punti principali: che una soluzione parziale pregiudicherebbe così radicalmente la questione da rendere praticamente vana la difesa che gli Stati sudamericani hanno iniziato di questo nostro vitale inte

U.S.A. ci fosse il pericolo comunista in Italia.

resse e che la presa di posizione degli stessi Stati sudamericani, ove venisse frustrata da una soluzione parziale, verrebbe a sminuire la dimostrazione del loro grande peso politico. Il presidente ha mostrato di apprezzare le mie osservazioni e ha recisamente dichiarato: «Le cose non si fanno a metà e noi non ci fermeremo a metà nell'azione di appoggio che abbiamo promesso all'Italia».

Più cauto e come sempre propenso alle dilazioni, il ministro Castellanos è subito intervenuto per dire che si sarebbe immediatamente esaminato il mio suggerimento di dare istruzioni alla delegazione uruguayana perché si opponga ad ogni soluzione parziale: egli però ha tenuto a dichiararmi molto cordialmente di essere di massima favorevole e a confermare che l'Uruguay, tanto più dopo la firma della recente dichiarazione, intende di darci prova della sua amicizia in questa occasione.

La conversazione ha potuto svolgersi abbastanza a lungo per aggirarsi sulle supposte ragioni dei diversi atteggiamenti verificatisi all'O.N.U. I punti più interessanti della conversazione mi sembrano i due seguenti:

l) ha fatto qualche impressione l'atteggiamento statunitense che qui non era atteso, almeno nella forma così recisa che sembra avere assunto. Osservo in proposito che questa stampa, informata quasi esclusivamente dalle agenzie americane ed inglesi, insiste sulla completa adesione americana alla tesi inglese. Ho osato dire ai miei interlocutori che personalmente non condivido l'opinione di questa stampa e che mi attendo che gli Stati Uniti attenuino di molto il loro appoggio alla Gran Bretagna e possano addirittura agire su di essa in senso francamente moderatore, se gli Stati dell'America latina rimangono fermi sulle loro posizioni e si oppongono a quelle soluzioni parziali con le quali si tende a sottrarci le colonie una fetta per volta. Non è facile credere che gli Stati Uniti, per la questione della Libia, vogliano mostrare uno spiacevole contrasto con il compatto blocco delle nazioni sud-americane. Queste parole sono state accolte con evidente interesse, specie dal ministro Castellanos che ha tenuto a sottolineare al presidente la mia impressione su di una posizione statunitense meno rigida nella realtà di quello che sembri.

2) Entrambi i miei interlocutori, ma in modo particolare il presidente, hanno insistito sul pericolo comunista in Italia come supposta principale ragione del mancato appoggio degli Stati Uniti alle nostre richieste. È inutile che dica come io abbia vivamente insistito nel dimostrare che il preteso pericolo è inesistente, che, mai come oggi, il nostro Governo democratico è stato forte e che, oggi più di ieri, il popolo italiano si allontana dalla ideologia e dal metodo comunisti. Pur tuttavia il presidente ha lasciato intendere che, se questa ragione venisse manifestata, sia pure nei corridoi, essa potrebbe rendere più cauta l'azione dei paesi sudamericani.

Non credo che con questa allusione si sia voluto preparare una via di dignitosa ritirata, dopo le ripetute assicurazioni e la firma della dichiarazione di amicizia, per il caso in cui dovesse verificarsi una pressione statunitense che spiacerebbe di confessare. Ma anche per questa dannata ipotesi, mi servirebbe come valido argomento un chiarimento che la delegazione uruguayana potesse dare a questo Governo nel senso che il preteso pericolo non è ravvisato a Washington, o almeno non costituisce una delle ragioni principali dell'atteggiamento degli Stati Uniti. Per ciò col mio citato telegramma, mi sono permesso di suggerire un intervento del nostro osservatore presso la delegazione uruguayana e del suo esito desidererei di essere tempestivamente informato.

La preoccupazione presidenziale trova singolare riscontro in certe voci che avevo raccolto circa informazioni dell'ambasciatore Giambruno sulla nostra situazione interna. Ecco perché, sempre col citato telegramma, ho suggerito altro intervento presso l'ambasciatore uruguayano costì, intervento però che dovrebbe essere cauto e misurato perché sembra che le reazioni di questo rappresentante siano spesso eccessive e non avvengano sempre nel senso desiderato.

Concludendo ritengo che sia opportunissimo di toccare il tasto del prestigio delle nazioni dell'America latina, ma che sia anche opportuno, se possibile, di dare l'impressione che quel prestigio potrà avere una affermazione brillante e pur tuttavia non difficile né rischiosa perché la resistenza statunitense non è affatto irriducibile e perché non vi è nessun pericolo di rivolgimenti politici in senso comunista in Italia. Buono ma assai delicato mi sembra l'altro tasto che, osteggiando o respingendo le nostre richieste, si espone il nostro paese al pericolo comunista, perché allora può affermarsi l'impressione che quel pericolo non sia poi tanto lontano.

A chiusura della conversazione ho pregato il ministro Castellanos di compiere l'esame che aveva voluto riservarsi il più presto possibile e di dare le istruzioni alla sua delegazione entro brevissimo termine onde giungano tempestivamente. Ho insistito su questo punto fmo a farmi promettere una risposta definitiva nei primissimi giorni della settimana entrante. Mi riservo pertanto di dame comunicazione non appena l'abbia ricevuta.

Il presidente ha voluto dire l 'ultima battuta con tono deciso e rassicurante: «si esaminerà subito la cosa, ma l'assicuro, ambasciatore, che lei ha in noi (e accennava a se stesso e al ministro degli esteri) due grandi amici del suo paese».

Aggiungerò che l'ambasciatore francese ha fatto, negli scorsi giorni, un passo presso questo ministro degli esteri inteso ad ottenere che l'Uruguay appoggi la tesi francese.

797 1 T. s.n.d. 4029/20, con il quale Tacoli aveva riferito circa l'intenzione uruguayana di opporsi ad una soluzione parziale per la Libia e circa il timore di quel Governo che all'origine dell'atteggiamento

798

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 694/307. Oslo, 23 aprile 19491•

Questo ministro degli esteri mi ha detto ieri che conta recarsi personalmente a Londra il 3 maggio prossimo per la nota riunione in cui dovrebbero essere poste le basi costitutive del Consiglio di Europa.

Contrariamente alle volte precedenti ho trovato ieri il signor Lange molto meglio disposto verso una simile forma di collaborazione europea. Mentre egli aveva in genere evitato, prima, di approfondire l'argomento, si era mostrato un po' scettico sulla reale utilità di un nuovo organismo2 («l ministri degli esteri hanno già tante occasioni per incontrarsi e scambiare le loro idee ed hanno invece tanto poco tempo per studiare a fondo questioni e problemi», egli mi aveva detto un mese fa), ed aveva messo in rilievo, precedentemente, che la Norvegia non era ancora matura per l'idea, il signor Lange invece mi ha parlato ieri

2 Vedi D. 625.

a lungo della utilità della iniziativa del Consiglio di Europa. Ha espresso inoltre l'augurio che esso, durante l'estate, possa avere la sua prima riunione ufficialmente costitutiva.

Non so esattamente quanta parte abbia, nel linguaggio tenutomi da questo ministro degli esteri, una propria sentita evoluzione in senso «europeo» e quanta parte invece vi abbia una influenza inglese in tal senso, e la partecipazione, accanto al signor Churchill, di un membro del Governo inglese alla riunione di Londra di qualche giorno fa del movimento per l'unità europea.

Personalmente, il signor Lange, non è affatto contrario ad un sempre maggior sviluppo della collaborazione europea. Ma egli, come norvegese, non può sottrarsi al sentimento comune a quasi tutti i suoi connazionali di essere cioè contrario a qualsiasi provvedimento che significhi, anche lontanamente, diminuzione della sovranità nazionale. Come socialista convinto, poi, il Lange si sentirebbe disposto ad aderire incondizionatamente ad una idea federalista solo se tale idea dovesse essere realizzata sotto gli auspici dei vari socialismi europei. Ma, appunto forse per ciò, ha maggior valore quanto egli mi ha esposto ieri.

Il signor Lange mi ha aggiunto che la futura rappresentanza norvegese al cosiddetto parlamento di Europa sarà formata in maniera proporzionale alla forza dei partiti nello Storting. Il che praticamente significherà, a mio avviso, che, essendo quattro i seggi assegnati alla Norvegia, essi saranno coperti probabilmente da tre deputati socialisti e da un conservatore, lasciando fuori i liberali di sinistra, i cristiani democratici e, naturalmente, i comunisti.

798 1 Copia priva d eli 'indicazione della data di arrivo.

799

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

PROMEMORIA. New York, 23 aprile 19491•

Per avere maggiori dettagliate informazioni sul come si svolgevano i negoziati tra il gruppo latino-americano ed il gruppo arabo, sono andato a trovare a casa sua ieri sera l'ambasciatore Muftiz (Brasile). Egli mi ha detto che la sera precedente aveva avuto a pranzo i principali delegati arabi e l'ambasciatore Padilla Nervo, ed assieme avevano discusso ampiamente la formula di compromesso.

L'ambasciatore Muftiz mi ha detto che gli arabi avevano dato il loro consenso alla formazione di un Consiglio di supervisione che rappresentasse l'unità della Libia e che coordinasse le amministrazioni separate inglese, italiana e francese. La composizione del Consiglio accettata dal gruppo arabo era la seguente: Inghilterra, Italia, Francia, Stati Uniti e uno Stato arabo.

Ho chiesto a Muftiz se gli arabi avevano deciso quale fosse lo Stato che dovesse far parte di questo Consiglio. Egli mi ha detto che con tutta probabilità tale compito sarebbe riservato all'Egitto.

Ho aggiunto (e questo in via estremamente riservata e personale) che noi, senz'altro, avremmo accettato qualsiasi Stato scelto dal gruppo arabo; ma però sarebbe stata opera di saggezza per il futuro se quelli che dovevano procedere alla formulazione defi

nitiva della risoluzione avessero insistito riservatamente e accortamente con i maggiori esponenti del gruppo per la scelta di uno Stato arabo differente dall'Egitto. Era bene che i delegati amici sapessero che l 'Egitto era il centro di tutte le fila dei movimenti nazionalisti, xenofobi, irredentisti, indipendentisti di tutto il mondo arabo nordafricano. L'inclusione dell'Egitto d'altra parte non era vista di buon occhio né dalla Francia, né, ritenevo, dalla stessa Inghilterra; d'altra parte gli stessi Stati arabi avevano già dato segno di insofferenza che giungeva quasi all'irritazione, sulle richieste esagerate dell'Egitto che pretendeva di rappresentare il mondo arabo raccogliendone tutti i vantaggi.

L'ambasciatore Mufiiz mi ha fatto presente che era difficile da parte loro escludere l'Egitto, poiché era l'unico Stato arabo del continente africano e che, ad ogni modo, dovevano accettare la designazione ufficiale che avrebbe fatto il gruppo arabo. Comunque la formula sarebbe stata «uno Stato arabo».

Ho inoltre avvertito l'ambasciatore Mufiiz che, sebbene non sollevata ancora ufficialmente, esisteva una pretesa britannica di spostare le frontiere amministrative della Cirenaica includendovi una parte sostanziale della Tripolitania. Questa era una manovra inglese per diminuire ancor più il ristretto territorio tripolino già mutilato del Fezzan e dell'oasi di Gadames. I delegati nostri amici dovevano cercare il modo di escludere nel passaggio della risoluzione relativa alle tre amministrazioni una frase che menzionasse i confini amministrativi delle tre regioni precedentemente stabiliti dali' Amministrazione italiana.

Il signor Mufiiz mi ha infine detto aver incontrato resistenze abbastanza vivaci da parte di McNeil, resistenze che egli sperava tuttavia di sormontare.

799 1 Trasmesso dallo stesso Mascia a Roma con Telespr. 547 dali o maggio, pervenuto il 7.

800

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 722/014. Trieste, 24 aprile 1949 (perv. il 26). Riferimento: Telespresso urgente n. O13 del 21 aprile1•

Nel corso di un altro colloquio, ho tratto l'impressione che ben difficilmente questo comandante di Zona si indurrebbe a prendere in considerazione una riforma dell'attuale apparato amministrativo, nel senso di trasferire parte del potere esecutivo dal G. M.A. alla Presidenza di Zona. Del resto, il proposito di mantenere il

G.M.A. quale è attualmente, sia pure alleggerito di qualcuna fra le funzioni di minore importanza, è esplicitamente confermato nell'introduzione alla VI relazione trimestrale, il cui testo trovasi in questo momento ali' esame dei Governi di Londra e Washington e che dovrebbe essere reso pubblico nei prossimi giorni (mio telespresso n. 2568/534 del 19 corrente?.

Il generale Airey è comunque tornato sull'idea di un comunicato che, in coincidenza con la sua andata nella capitale statunitense, e senza assumere il carattere di

una nuova solenne dichiarazione, contenesse una conferma della politica alleata per Trieste. Conta d'intrattenersi al riguardo anche con l'ambasciatore Tarchiani.

Come ho già comunicato, il generale Airey partirà domani lunedì 25 in aereo. Lo accompagnerà, oltre al colonnello Parsons, il consigliere politico americano Baldwin. Le sue conversazioni verterebbero particolarmente su problemi economici, in ordine ai quali ha ricevuto da Washington un lungo questionario.

800 1 Vedi D. 787. 2 Non rinvenuto.

801

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. 3330/45. Roma, 2 5 aprile 194 9, ore 15.

Suo 74 1•

Si svolgeranno e si concluderanno a Roma come chiaramente inteso trattative per noto accordo questioni riguardanti trattato di pace. Che codesta legazione non solo segua, ma fiancheggi opera delegazione che tratta Roma è desiderato questo Ministero.

Servendosi nei limiti che giudicherà opportuni dell'opera di Colitto, per il quale non è previsto alcun particolare accreditamento, VS. vorrà adoperarsi senso suddetto. Con riferimento a suo n. 752 quanto precede è anche in relazione telegramma Colitto.

802

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTIN!, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4132/47. Rio de Janeiro, 25 aprile 1949, [tarda mattina] (perv. ore 21,30). Mio 46 1 .

In ulteriore conversazione direttore generale De Oliveira ha voluto informarmi che, dopo mio precedente colloquio, Itamaraty, nel confermare a rappresentante brasiliano O.N.U. istruzioni già impartitegli nel senso indicato, lo ha anche incaricato di svolgere opportuna azione fra colleghi sud-americani scopo

ricordare impegni concordati Parigi tra Repubbliche latino-americane in argomento nostre colonie.

801 1 Vedi D. 793. 2 Del 23 aprile, con il quale Prina Ricotti aveva trasmesso un telegramma in cui Colitto si esprimeva nello stesso senso del D. 793. 802 1 Del 22 aprile, con il quale Martini, rispondendo al T. s.n.d. 3 150/c. (vedi D. 771, nota l), riferiva l'assicurazione di De Oliveira che il Brasile si sarebbe opposto ad una soluzione parziale per la Libia.

803

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 4135/161. Londra, 25 aprile 1949, ore 21,07 (perv. ore 7 del 26).

Ho chiesto stamane a Strang se le notizie da Lake Success gli facessero ritenere che vi fosse possibilità di una via d'uscita da punto critico al quale sembrano giunte discussioni su nostre colonie.

Strang dopo aver confessato che personalmente trova piuttosto difficile rendersi preciso conto di quanto sta accadendo in Assemblea generale, mi ha detto che atteggiamento britannico nella questione è ad ogni modo riesaminato a Londra proprio in questi giorni (probabilmente profittando della presenza primi ministri Commonwealth).

Valendosi anche delle recenti dichiarazioni del presidente Consiglio1 , gli ho fatto allora notare che nostre richieste non potessero onestamente essere giudicate irragionevoli: per la Libia in particolare mi sembrava che dopo ripetute dichiarazioni inglesi (dal settembre 1948 in poi) che Gran Bretagna non intendeva restare in Tripolitania e non aveva obiezioni di principio a che vi tornasse Italia e dopo nostre prove di piena comprensione per esigenze britanniche in Cirenaica, punto di disaccordo era ridotto unicamente a tempo e modo più opportuni per mettere in esecuzione tali intenzioni reciproche.

In vista di ciò mi pareva assurdo continuare a mantenere posizioni antagonistiche, tanto dannose per i loro riflessi nelle opinioni pubbliche, quando unico ostacolo sembrava essere quello di trovare una formula che desse contemporanea ed uguale sicurezza a noi di riavere Tripolitania ed agli inglesi di restare in Cirenaica, soluzione finale che, ripetevo, mi sembrava doversi considerare già accettata dalle due parti nella sostanza.

Anche per Eritrea non potevamo essere accusati di intransigenza: avevamo attirato attenzione di tutti paesi civili sulla assurdità di una soluzione che sottoponesse alla rudimentale amministrazione etiopica un territorio già avviato ad un certo progresso ma avevamo suggerito alternative di indiscutibile praticità e buon senso, quali responsabilità collettive ecc. Pregavo quindi Strang di farsi interprete presso Bevin di tali mie osservazioni, che sapevo condivise appieno dal mio Governo, affinché ne fosse tenuto il debito conto nelle discussioni di questi giorni.

Strang mi ha assicurato che avrebbe immediatamente parlato a Bevin di quanto gli avevo detto e che evidentemente mostrava aver accolto favorevolmente.

803 1 Vedi D. 779.

804

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4143/162. Londra, 25 aprile 1949, ore 21,07 (perv. ore 8 del 26).

In colloquio avuto questa mattina con Strang 1 ho di nuovo sollevato problema nostra emigrazione accennando a mie precedenti conversazioni con Bevin. Egli mi ha assicurato che Bevin era molto interessato questione che sarebbe stata da lui appoggiata in conversazioni in corso con rappresentanti Commonwealth.

Nel pomeriggio Noel-Baker ha desiderato vedermi. Primo ministro australiano Chifley, che doveva essere presente colloquio, era stato trattenuto ultimo momento da impegni Conferenza. Noel-Baker mi ha esposto a nome di Chifley un progetto di cui riassumo qui di seguito sostanza:

l) Governo australiano desidererebbe concludere con Governo italiano un accordo per emigrazione in Australia di un contingente di ventimila italiani di ambo i sessi.

2) Era difficile stabilire quanti di tali ventimila italiani sarebbe stato possibile trasportare entro l 'anno corrente. Australiani ritengono che con navi a nostra disposizione non (dico non) possiamo trasportare più di quattordicimila emigranti in un anno. Chiedono quindi informazioni precise circa nostre possibilità trasporti marittimi in tale campo.

3) Se tale primo esperimento dà risultati soddisfacenti Governo australiano si proporrebbe rinnovarlo periodicamente considerando anche possibilità aumento quota nostri emigranti.

4) Noel-Baker mi ha infine detto che Chifley desidererebbe prima sua partenza da Londra avere ogni utile elemento carattere generale circa nostra mano d'opera disponibile per emigrazione (età media, divisione numerica per categorie di lavoro, proporzione mano d'opera qualificata ecc.).

5) Naturalmente questioni dettaglio e carattere essenzialmente tecnico dell'accordo saranno successivamente discusse Roma e Canberra.

Prego inviarmi urgenza elementi per mia conversazione con Chifley che avrò quanto prima2 .

804 1 Vedi D. 803. 2 Vedi D. 809.

805

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4169-4170/93-94. New York, 25 aprile 1949, ore 23,20 (perv. ore 13 del 26). Mio telegramma 89 1•

Domani mattina si riunirà nuovamente Comitato politico. Prima che si chiuda dibattito generale mi propongo comunque fare breve dichiarazione in cui, rispondendo a critiche fatte da varie delegazioni, farò bilancio opera civilizzatrice svolta da Italia. È probabile che intanto si continuerà audizione rappresentanti popolazioni locali.

Azione Padilla Nervo e suoi colleghi latino-americani ha subito sosta durante fine settimana. Delegato messicano conferma però che Foster Dulles non sarebbe ostile progetto compromesso per Libia secondo note linee e che inglesi lo accetterebbero purché nel mandato multiplo fosse assicurata presenza americana.

Principale difficoltà sembra ora provenire da gruppo arabo che in riunione tenuta stamani ha avanzato pretesa nomina governatore generale unico per Libia, preferibile estraneo potenze mandatarie. Arabi si oppongono inoltre designazione formale singole potenze amministratrici tre zone, presumibilmente per escludere Italia da Tripolitania oppure rendere puramente illusorio nostro mandato. Latino-americani hanno allora proposto che designazione per singoli territori venga fatta da Consiglio dei Cinque ove questioni verrebbero decise maggioranza semplice. Ho subito fatto presente che posizione Italia doveva essere chiaramente defmita. Se per ragioni tattiche si fosse preferito non designare in risoluzione ufficiale Assemblea potenze amministratrici tre territori, nostra posizione avrebbe comunque dovuto risultare da chiara intesa con Stati Uniti Inghilterra e Francia.

Mentre è opportuno che azione esplorativa sia compiuta per ora da latino-americani, con i quali ci manteniamo in continuo contatto, in una seconda fase che prevedo prossima prenderò contatti diretti anche con Dulles e McNeil per precisare nostro punto di vista.

Occorre inoltre tener presente che tendenza generale (nella quale concorrono anche latino-americani) è di tentare soluzione simultanea per tutte le colonie. Inglesi si servono di ciò per stabilire connessione tra Eritrea e Libia. Soluzione unitaria Libia, a loro parere, potrebbe essere varata soltanto a condizione che per Eritrea venga adottato loro noto progetto. Dichiarazione Lega musulmana di non volere assolutamente annessione Abissinia ha fatto forte impressione; ma anche di questo gli inglesi si servono per aprire la via ad annessione al Sudan della provincia occidentale come parte compromesso generale.

Americani d'altra parte si sentono sin ora legati da impegni presi a Parigi. Ma è prevedibile che, ove ne fossero liberati da votazione contraria, sarebbero aperti ad altre soluzioni, allora è evidente che ove si proceda spartizione Eritrea con cessione provincia occidentale al Sudan, sarebbe ancora più difficile salvare Asmara e Massaua che, ai termini statuto N.U., non costituirebbero entità geografica etnica sufficiente per essere avviata indipendenza sotto trusteeship. Mi propongo perciò di sostenere che una volta ridotte giusti limiti rettifiche

frontiera a favore Etiopia in zona Assab, territorio rimanente avrebbe consistenza sufficiente per costituirsi mandato e non sarebbe pertanto più necessaria spartizione. Non mi nascondo però che desiderio successo personale e collettivo da parte latino-americani, genemle stanchezza, e persistente opinione nord-americana che tutta Eritrea non è suscettibile di trusteeship in vista futura indipendenza potrebbero favorire soluzione a noi contraria.

805 1 Del 23 aprile, con il quale Tarchiani aveva riferito circa l'andamento delle discussioni sulle proposte latino-americana, inglese ed egiziana.

806

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 3667/1561. Washington, 25 aprile 19491•

Come risulta anche da diversi accenni apparsi sulla stampa locale in questi ultimi giorni, circola qui la voce che l'U.R.S.S. abbia offerto agli Stati Uniti di togliere il «blocco» di Berlino, a condizione che gli Stati Uniti si dichiarino disposti a togliere il «controblocco» della Germania orientale ed a riprendere le trattative sull'insieme del problema tedesco.

Ho cercato di accertare se e quale fondamento possa attribuirsi a tale voce. È risultato che effettivamente i sovietici hanno fatto qualche cauto sondaggio, non ufficialmente, a Washington per il tramite della loro ambasciata, ma prima a Berlino attraverso organi minori ed in modo piuttosto vago e recentemente a Lake Success: Malik ne ha parlato a Jessup, ma, richiesto da questi se era autorizzato a far ciò dal suo Governo, ha risposto che agiva a titolo del tutto personale.

La reazione ufficiale americana risulta dalle dichiarazioni fatte dal segretario di Stato ai giornalisti che lo interrogavano recentemente intorno al problema tedesco. Egli ha detto in sostanza che la porta delle trattative, per le normali vie diplomatiche, è sempre aperta; gli Stati Uniti sono sempre pronti a discutere; spetta all'U.R.S.S. dichiararsi disposta a fare altrettanto.

La reazione ufficiosa è stata, naturalmente, più complessa. Ai giornalisti che, in conversazioni private con alti funzionari del Dipartimento di Stato, domandavano se convenisse smentire le voci relative ai sondaggi sovietici o se, pur non smentendo le, convenisse presentarle in modo da scoraggiare ulteriori sondaggi, è stato risposto negativamente su tutti e due i punti: è stato consigliato, cioè, di registrare dette voci, possibilmente senza commentarle e dando l'impressione che il Governo americano è in una posizione di vigile attesa.

In realtà, il Dipartimento di Stato interpreta la mossa sovietica come un sintomo di una duplice preoccupazione sovietica: l'una derivante dal fatto che il rifornimento aereo di Berlino appare ormai assicurato per un tempo indefinito; l'altra derivante dall'accordo tripartito per l'organizzazione della Germania occidentaleZ. L'U.R.S.S., in pratica, vorrebbe rinunciare all'ormai inutile «blocco» e al tempo stesso ritardare, mediante la ripresa delle trattative sull'insieme del problema tedesco, la costituzione di uno Stato tedesco occidentale. Orbene: il Dipartimento di Stato, pur essendo pronto a trattare non solo la questione di

2 Vedi D. 727.

Berlino, ma anche quella generale della Germania è risoluto a rimanere fermo su due punti: in primo luogo, la normalizzazione della situazione di Berlino deve precedere la trattativa generale sul problema tedesco; in secondo luogo, né l'una né l'altra trattativa debbono comportare un ritardo nell'esecuzione dell'accordo tripartito (come si sa, tale ritardo si produrrà probabilmente per altre ragioni, e cioè per l'opposizione dei tedeschi stessi al progettato Statuto. Quindi non si può escludere che i sovietici, fomentando tale opposizione col rinnovato miraggio dell'unificazione della Germania, riescano ad ottenere indirettamente quello scopo dilatorio, che non riuscirebbero a conseguire direttamente).

Sui risultati di un'eventuale ripresa delle trattative in merito all'insieme del problema tedesco, lo State Department non si fa alcuna illusione. Esso ritiene che i sovietici potranno forse fare delle proposte spettacolari, quali quella del completo ritiro delle truppe d'occupazione tanto dalla zona orientale quanto da quella occidentale. Proposte di questo genere potrebbero avere un considerevole effetto propagandistico. Tuttavia, per ovvie ragioni, gli Stati Uniti non potrebbero accoglierle che con la massima riserva. In pratica, quindi, la ripresa delle trattative servirebbe soltanto ad accertare una volta di più che il problema tedesco non può essere risolto se non nel quadro di un'intesa generale fra Oriente e Occidente, oggi più lontana che mai.

806 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

807

IL MINISTRO A BAGHDAD, ERRERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 50/7. Baghdad, 25 aprile 1949 (perv. i/12 maggio).

Come ho telegrafato il 14 corrente 1 sono stato ricevuto in udienza dal reggente, per la presentazione delle credenziali. Ero accompagnato dal primo segretario.

2) Le tuniche scarlatte e gli alti kolbac di lungo pelo nero della Guardia reale che ho passato in rivista (salvo che per i visi oscuri dei soldati, essa è nella forma, una copia integrale di quella di White Hall) non rispecchiano certo i sentimenti attualmente nutriti verso l'Inghilterra dalla maggioranza della popolazione «pensante» di questo paese, e degli alti funzionari del Governo, malgrado che questo sia presieduto da Nuri El Said il quale, a torto o a ragione, è considerato come uno strumento della politica britannica.

3) Ero stato avvertito, con mille profonde scuse, che la Guardia reale non avrebbe potuto suonare, al mio arrivo, il nostro inno nazionale che non era stato possibile procurarsi e che invece sarebbe stata suonata «un'altra musica italiana». Fortunatamente, nell'atmosfera da operetta in cui queste cerimonie si svolgono in questi paesi, non venne suonata né «0 sole mio» né «Torna a Surriento». Cosa fosse, non sono in grado di dire. In ogni modo tutto è avvenuto con molta grazia e molte scuse, che non sembra sia il caso di attribuire alla cosa alcuna importanza. Vedrà cotesto ufficio del Cerimoniale se sia possi

bile farmi pervenire la partitura del nostro inno nazionale, che io rimetterei discretamente al corrispondente ufficio di questo Ministero degli esteri per eventuali occasioni.

4) Il colloquio con il reggente, vuotato dei convenevoli da ambo le parti, non ha presentato elementi di rilievo. Come è noto, egli è conosciuto come una personalità scialba, più preoccupato delle sue molte Rolls Royce e dei suoi amori che del resto. Mi è stato anche detto che in vista del termine della sua reggenza, che nella migliore delle ipotesi non potrà durare ancora che qualche anno: fino alla maggiore età di Faisal II, egli si preoccupi di assicurarsi una fortuna indipendente, associandosi a Nuri El Said in certe imprese tessili cui si cerca di dar vita qui. Al colloquio assisteva il ministro degli esteri. Erano presenti i vari ciambellani, cerimonieri, e tesorieri di corte, ecc.

5) Nei giorni successivi ho avuto colloqui con Nuri El Said, con il ministro degli esteri (dott. Fadil Jamali) e con il direttore generale (vice ministro, Ahmed El Rawi). Ad essi ho esposto le varie questioni che maggiormente c'interessano. Subordinatamente ho sondato il terreno circa la riapertura della legazione irachena in Roma.

6) Ho, naturalmente, trattato anche la questione coloniale, sulla quale riferisco con separato rapporto2 .

7) Circa la cessazione «formale» dello stato di guerra, Fadil Jamali ha suggerito che questa formalità potrebbe essere compiuta mediante un semplice scambio di lettere. Ho convenuto il principio, salvo l'approvazione di cotesto Ministero3 .

8) Circa lo sblocco dei beni, la ripresa della attività del Banco di Roma e della Società adriatica di sicurtà, come pure la eventuale stipulazione di un trattato di amicizia e di commercio simile a quello da noi stipulato col Libano, il ministro degli esteri ha avuto frasi incoraggianti e mi ha promesso che avrebbe dato subito istruzioni agli uffici competenti per lo studio delle varie questioni. Da successivi colloqui avuti con il direttore generale appare che egli lo ha effettivamente già fatto. Gli ho fatto pervenire copia del nostro trattato con il Libano per le considerazioni del caso.

9) Per quanto riguarda l'incremento degli scambi fra l'Italia e l'Iraq e l'impiego di tecnici e medici italiani, il direttore generale mi ha dato ampia autorizzazione a trattare direttamente con i ministri dell'economia e dell'assistenza sociale nonché con il presidente della Camera di commercio di Baghdad per vedere quanto sia possibile fare. Secondo lui il paese ha molto da vendere, ha bisogno d'importare molto, ha necessità di tecnici e di medici.

l O) Da un punto di vista generale tutti e tre i personaggi con i quali mi sono intrattenuto hanno affermato che è desiderio dell'Iraq di seguire una politica d'amicizia con l'Italia «dove presto sarà nominato come ministro una personalità di particolare rilievo» e non l'attuale incaricato d'affari a Bruxelles come è stato riferito a cotesto Ministero. Ahmed El Rawi, perfettamente al corrente dei nostri buoni rapporti con il Libano, mi ha detto: noi seguiremo in tutto e per tutto, meglio, copieremo, la politica libanese verso l'Italia.

11) Se si vuole però, come si deve, vedere oltre quello che può essere il valore di queste assicurazioni verbali, ci si deve domandare in che modo l'una o l'altra soluzione, a noi più o meno favorevole, della questione coloniale possa influire su questa apparentemente buona disposizione degli iracheni nei nostri riguardi. Sulla questione coloniale, come ho sopra detto, riferisco con separato rapporto.

3 Autorizzazione comunicata da Zoppi con il T. 4246/3 del 19 maggio.

807 1 T. 3705/2 con il quale Errera aveva comunicato l 'avvenuta presentazione delle lettere credenziali.

807 2 Non rinvenuto.

808

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 3372/161. Roma, 26 aprile 1949, ore 23.

Anche in relazione suo 161 1 trasmetto con mio 160 telegramma di Tarchiani che fa il punto situazione in data ierF.

Mi sembrerebbe il caso di proseguire possibilmente costì nostra azione a favore soluzione prospettata da latino-americani senza varianti suggerite da arabi, che appaiono contrarie interessi tanto italiani che inglesi e francesi. Per quanto si riferisce Eritrea è da tener presente che partiti locali, ad esclusione solo partito unionisti, si sono espressi o esprimeranno in senso contrario annessione Etiopia o spartizione e che anche in considerazione note sensibilità opinione pubblica italiana per quella colonia rinvio appare nella situazione attuale decisione migliore.

Soluzione su prospettata consentirebbe finalmente stabilire rapporti itala-britannici su basi sicuramente solide e suscettibili ogni migliore sviluppo. Ministro giungerà Roma mercoledì notte 3 .

809

IL DIRETTORE GENERALE DELL'EMIGRAZIONE, VIDAU, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 33781162. Roma, 26 aprile 1949, ore 22,30.

Suo 1621•

Progetto Noel-Baker ci trova consenzienti essendo utile e urgente impostare nostra emigrazione Australia su linee concordate tra due Governi nell'interesse comune. Questione trasporti non rappresenta seria difficoltà: se in questo anno saranno disponibili passaggi per dodicimila persone, migliorata situazione permetterebbe elevare tale cifra fino ventimila posti, distraendo navi oggi adibite servizi minore interesse, non appena Australia si sarà impegnata accogliere maggiore numero emigranti.

Disponiamo immediatamente ottima mano d'opera settore edilizio, agricolo, meccanico, industrie estrattive, età media 35 anni. Su ventimila emigranti circa 50 per cento potrebbero essere scelti settore agricolo, 20 per cento edilizio (un terzo qualificati: ortolani, viticultori, trattoristi, caciari, allevatori, vivaisti, nonché specialisti attività forestali); altro 15 per cento industrie estrattive non qualificati e 15 per cento in settore meccanico compresi tecnici varie categorie.

2 T. 160 del26 aprile, ritrasmetteva il D. 805.

3 Il 27 aprile.

Tali cifre sono puramente indicative lavoratori immediatamente disponibili, ma saremmo anche disposti concordare scelta diretta da parte australiana controllata nostri rappresentanti, secondo quelle esigenze professionali, sanitarie, culturali e qualitative cui australiani intendessero condizionare nostro flusso emigratorio.

Nel riprendere con Chifley progetto riferitole da Noel-Baker, che corrisponde ad accenno fatto a nostro ministro Canberra, VE. vorrà sottolineare che assumiamo responsabilità regolare questione trasporti e che sarebbe anche interesse australiano concludere accordo finché, come ora, è facile trovare in Italia, anche oltre cifre sopraindicate, elementi qualità disposti espatriare.

808 1 Vedi D. 803.

809 1 Vedi D. 804.

810

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. URGENTE 4174/226. Parigi, 26 aprile 1949, ore 13,45 (perv. ore 15,30).

Arrivato stanotte all'una, vedrò oggi Schuman 1 ripartendo Roma alle ventuno.

Tua felice intervista a Le Monde2 fece qui ottima impressione.

811

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4182/74. Sofia, 26 aprile 1949, ore 17,30 (perv. ore 18,30). Seguito telegramma 68 1•

2 Si riferisce ad una dichiarazione rilasciata da De Gasperi ad un giornalista di Le Monde, comparsa nel numero del 25 aprile, il cui testo, conservato in Archivio privato De Gasperi, Diario Bartolotta, pp. 17278-17279, era il seguente: «Nel rispetto della libera discussione democratica, il Governo italiano risponde agli attacchi mossi da taluno che, non senza malafede ed inganno, gli fanno carico della difficile situazione delle colonie e del peso dei trattati. Essi dimenticano, e noi qui glielo ricordiamo, che gli ostacoli dinanzi ai quali ci troviamo, anche per quel concerne i diritti dell'Italia sulle sue ex colonie, sono in parte le conseguenze di una politica che noi abbiamo sconfessata e combattuta per venti anni. Ciò detto, il sentimento e la volontà del Governo circa la base della questione concordano pienamente col sentimento del popolo italiano. Sarebbe ingiusto far colpa all'Italia di un comportamento che fu proprio di un regime di cui la nostra democrazia rappresenta risolutamente l'antitesi. Noi comprendiamo che certi ricordi della guerra abbiano potuto giustificare per qualche tempo una certa diffidenza nei nostri confronti. Ma noi chiediamo che, in cambio, si comprenda alfine che questa diffidenza non è punto giustificata poiché la nostra adesione al Patto atlantico e la nostra qualità di alleati corrispondono chiaramente alle nostre inclinazioni. Noi chiediamo, infine, che si comprenda, altresì, l'angoscia che prova il popolo italiano allorché pensa che gli si minaccia, addirittura, la perdita dell'Eritrea, la primogenita delle sue colonie, la terra d'oltremare in cui esso ha portato lo spirito dell'Occidente e non quello del fascismo». 811 1 Vedi D. 778.

Su istruzioni del suo Governo, questo ministro Albania propone che notizia ripresa rapporti diplomatici itala-albanesi venga pubblicata dai due Governi lo stesso giorno con un comunicato concordato succinto che potrebbe essere quello seguente:

«Su proposta Governo italiano, i Governi della Repubblica popolare d'Albania e della Repubblica italiana, desiderando instaurare relazioni normali fra i due paesi, hanno deciso di ristabilire rapporti diplomatici ufficiali e di procedere senz'altro allo scambio dei rispettivi rappresentati diplomatici».

Se Governo italiano è d'accordo nel testo predetto, ho concordato con questo ministro d'Albania che comunicato potrebbe essere pubblicato sabato 30 aprile, salvo obiezioni da parte Tirana.

Questo ministro d'Albania mi ha anche detto che Governo Tirana preferisce che rappresentante diplomatico albanese a Roma sia un ministro, come quello italiano a Tirana.

Egli ha anche espresso il desiderio del suo Governo che i gradimenti per i due rappresentanti diplomatici designati siano dati in quanto possibile contemporaneamente2•

810 1 Non si sono rinvenuti documenti relativi a questo colloquio.

812

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4192/165. Londra, 26 aprile 1949, ore 21,37 (perv. ore 7,30 del 27).

A complemento mio 161 1 credo opportuno informare che, da numerosi cordiali contatti avuti con Colonial Office sia direttamente sia tramite Zanotti, sono emersi seguenti due punti di indubbia importanza per nostra futura collaborazione con Gran Bretagna in campo coloniale:

l) desiderio ripetutamente manifestatomi di una stretta collaborazione tecnica per problemi inerenti amministrazione fiduciaria sia locale sia nei confronti del Trusteeship Council. Mi è stato accennato che quest'ultima collaborazione è già in atto con Francia e Belgio, essendo evidente interesse potenze coloniali restare solidali sulle varie questioni di principio che possono sorgere in seno al Trusteeship Council.

2) Mentre finora Colonia! Office aveva sempre e soltanto parlato di un nostro trusteeship sulla Somalia, in questi ultimi giorni sono stati fatti accenni all'eventualità di un trusteeship multiplo in Libia nel quale Cirenaica verrebbe affidata Gran Bretagna e Tripolitania ali 'Italia2•

2 Con T. s.n.d. 3398/164 del 27 aprile Zoppi rispondeva: «Possiamo assicurare Governo britannico e suoi vari organi interessati che è proprio nostra intenzione stabilire e mantenere stretti contatti collaborativi per quanto si riferisce amministrazione territori africani sia in loco, sia nei vari organismi internazionali».

811 2 Zoppi rispose (T. 3394/56 del27 aprile): «D'accordo tanto su testo quanto su data pubblicazione. Daremo comunicato 30 aprile salvo che da parte di Tirana si indichi altra data ferma». 812 1 Vedi D. 803.

813

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4213/95. New York, 26 aprile 1949, ore 20,50 (perv. ore 9 del 27). Miei 93 e 94 1•

Trattative cui accennavo ieri incontrano nuovo ostacolo dovuto al fatto che delegazione britannica afferma aver ricevuto telegramma Bevin nettamente contrario qualsiasi formula includente partecipazione italiana in trusteeship a cinque su intera Libia perché ciò comporterebbe «violazione promessa inglese al senusso non consentire ritorno Italia in Cirenaica».

Inoltre arabi mantengono loro pretese governatore generale per tutta Libia. In queste condizioni questa formula nei termini suddetti sembra almeno per ora aver perduto qualsiasi possibilità realizzazione pratica.

Latino-americani non nascondono loro disappunto ed hanno dichiarato a McNeil che non (dico non) sottoporranno a loro Governi alcuna soluzione se prima non sarà stata esplicitamente approvata da Governo inglese. Sarebbe stata però avanzata nel frattempo nuova formula: trusteeship italiano su Tripolitania da approvarsi subito ma con trapasso effettivo amministrazione entro periodo da determinarsi. Proposta non (dico non) potrebbe essere avanzata da inglesi data loro nota precedente opposizione: ma delegazione britannica dichiara averla sottoposta proprio Governo e attendere risposta entro quarantotto ore.

Ne discuteremo non impegnativamente domani con inglesi.

Questi però hanno già fatto sapere a latino-americani che, in caso provata impossibilità qualsiasi compromesso e mancanza maggioranza per Cirenaica, proporrebbero indipendenza Cirenaica stessa; naturalmente dopo essersi assicurati mediante trattato con senusso ampia libertà d'azione per proprie basi militari. Una decisione di tal genere ci porrebbe in situazione molto difficile perché, nonostante evidente carattere manovra, la proposta raccoglierebbe suffragi gran numero delegazioni attratte formula indipendenza. Trattiamo particolarmente su questo punto con amici latino-americani.

814

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

L. PERSONALE 07976/43. Roma, 26 aprile 1949.

Mi riferisco alla tua lettera del 12 aprile' per confermarti sostanzialmente quanto già ebbi occasione di dirti con la mia, in data 4 c.m. 2 .

Dall'esame del carteggio che frattanto ti sarà pervenuto, ed in particolare dalla lettera di Soardi del 15 aprile u.s. 3 penso che avrai potuto trarre quegli elementi di giudizio sulla situazione che desideri avere, nonché gli orientamenti necessari.

Anche in relazione a ciò mi sembra quindi che stia bene l'atteggiamento di apparente disinteresse da te assunto con gli austriaci e nel quale potrai continuare.

813 1 Vedi D. 805. 814 1 Vedi D. 751. 2 Vedi D. 691.

815

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 1021/505. Belgrado, 26 aprile 19491•

Mi onoro comunicare riservatamente che sabato scorso questo ambasciatore di Gran Bretagna ha avuto una lunga conversazione col vice ministro degli esteri Bebler. Durante la conversazione il dott. Bebler ha accennato al problema del Territorio Libero di Trieste.

L'ambasciatore di Gran Bretagna ha ricordato il punto di vista del Governo inglese, e cioè che il trattato di pace sulla questione è ormai superato e che il Territorio Libero di Trieste deve ritornare all'Italia.

Il dott. Bebler ha ritenuto di chiedere se il Governo inglese non avesse una proposta concreta per risolvere il problema.

L'ambasciatore di Gran Bretagna, riaffermato il punto di vista inglese, ha risposto che non ritiene che il suo Governo intenda mutare il suo punto di vista, a meno che non si raggiungesse una intesa con l 'Italia e con le altre potenze occidentali.

L'ambasciatore di Gran Bretagna ha allora chiesto al dott. Bebler se il Governo jugoslavo intendesse esaminare la questione nell'intento di risolverla. Il dott. Bebler, dopo esitazione, ha risposto, sia pur genericamente, lasciando intendere la possibilità di una tale intenzione.

Allora l'ambasciatore inglese avrebbe suggerito di cogliere l'occasione dell'invio della delegazione commerciale jugoslava a Roma per mandare una persona qualificata, come ad esempio un ministro, per fare sondaggi in merito col Governo italiano.

È assai probabile, come questo ambasciatore di Gran Bretagna non mi ha disconosciuto, che l'apertura del dott. Bebler con lui possa dipendere dalla circostanza che tempo fa, salvo errore, qualche giornale inglese aveva prospettato la possibilità di una soluzione del problema attraverso una spartizione del Territorio Libero fra l'Italia e la Jugoslavia.

Aperture del genere non sarebbero mai state fatte invece da parte jugoslava verso questo ambasciatore degli Stati Uniti, il quale però è informato della conversazione dell'ambasciatore di Gran Bretagna con Bebler.

Per debito d'ufficio devo anche comunicare che questo ambasciatore degli Stati Uniti, pur essendo pienamente favorevole alla tesi italiana, mi ha espresso la sua personale opinione che, qualora se ne presentasse l'occasione, potrebbe convenire all'Italia risolvere il problema anche se dovesse costare qualche piccolo sacrificio nella Zona B.

Per quanto l'accenno di Bebler possa non avere alcun seguito, sarà opportuno essere vigilanti.

814 3 L. 7456/40 con la quale Soardi aveva trasmesso il resoconto della riunione interministeriale del 14 aprile per la quale vedi D. 760.

815 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

816

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1855/361. Vienna, 26 aprile 1949 (perv. i/4 maggio).

Poiché dallo scambio di corrispondenza con la Presidenza del Consiglio, cortesemente comunicatomi con nota del 15 corrente n. 16/74021 nonché dalla documentazione inviatami con lettera in pari data n. 7456/402 , vedo che il rapporto del console generale del 29 marzo u.s. n. 36/2425/111 3 ha provocato presso le autorità centrali un tempo di arresto ed indotto anzi ad un completo riesame di tutta la situazione relativa agli optanti, e d'altra parte nel medesimo rapporto si afferma tra l'altro (fine della prima pagina) che il ritardo di una decisione italiana (quale? in realtà la decisione principale vi è stata ed è a tutti nota) circa il trattamento riservato alle domande di revoca presentate dopo il 2 novembre u.s. sarebbe la causa, sia pure in concorso con altre, del sostanzialmente mutato atteggiamento degli optanti, prego di volermi consentire di dire, per dovere d'ufficio, e per quel conto che si crederà di teneme agli effetti delle nuove decisioni, che tale affermazione è priva di fondamento e rappresenta una distorsione della realtà.

Se ritardo vi è stato da parte delle Autorità centrali, o meglio, se una cauta e salutare prudenza ha guidato nel non precipitare decisioni, ciò è stato, almeno in questa occasione, veramente fortunato e proprio per il meglio; ha impedito ulteriori complicazioni e il crearsi di una situazione di forse veramente assai grave pregiudizio.

E tutto ciò per la semplice ma grave ragione che la situazione descritta come nuova, non è affatto nuova, non è mai stata nuova: è puramente la situazione vecchia: meglio la situazione che è sempre stata, dato che solo degli osservatori superficiali e non informati di quello che era lo stato psicologico e le intenzioni e le reazioni della grande maggioranza degli optanti potevano essere tratti a conclusioni così generali e così pregne di responsabilità da fenomeni e manifestazioni, se non proprio marginali, tali peraltro, e per le persone e le circostanze peculiari in cui

2 Vedi D. 814, nota 3.

3 Vedi D. 665.

avvenivano e la diffusione loro effettiva, da dover comunque essere ridotti alle loro giuste e reali proporzioni nell'insieme del quadro, né poter essere neppure, ad ogni modo, troppo generalizzati, naturalmente con tutte quelle doverose riserve che impone un fenomeno così complesso e così vario come quello delle opzioni, che rende sempre azzardata e contingente ogni affermazione o interpretazione troppo assoluta o troppo esclusiva4 .

816 1 Non pubblicato.

817

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI

T. S.N.D. 3407/23. Roma, 27 aprile 1949, ore 15,30.

Riterrei conveniente che codesto Governo riconfermasse a propria delegazione O.N.U. istruzioni di non (dico non) prendere posizione contraria a Italia e di adoperarsi per favorire soluzione compromesso prospettata da sudamericani e che incontra tuttora ostacoli nel gruppo arabo. Predetta soluzione contempla tutela su Libia a cinque paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Francia e uno Stato arabo) con amministrazione effettiva italiana in Tripolitania, francese nel Fezzan e britannica in Cirenaica 1•

818

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A DAMASCO, CORTESE

T. 3410/8. Roma, 27 aprile 1949, ore 18,30.

Delegato siriano, Rafik Asba, in seduta 26 corrente Commissione politica

O.N.U. ricordato legami culturali commerciali con Italia ha espresso decisa opposizione ritorno Italia ex colonie asserendo essere suo interesse rinuncia territori per seguenti motivi:

l) esperienza Siria provato amministrazione altre potenze ostacola progresso culturale;

2) Italia non potrebbe assumersi nuovi obblighi finanziari;

3) vicinato potenze europee amministratrici territori confinanti ha sempre provocato sospetti, malcontenti, incidenti.

817 1 Per la risposta vedi D. 829.

Popoli interessati avevano mostrato unanimemente opposizione ritorno Italia. Se Italia ritornasse Africa probabilità eritrei somali, come dichiararono loro rappresentanti, opporrebbonsi colla forza. Aiuti americani concessi Italia per altri scopi servirebbero così nuova impresa militare.

Dichiarava inoltre non avere udito seri argomenti contro maturità territori per indipendenza. Riaffermava necessità unità Libia sostenendo che solo indipendenza può garantire unità. Ricordava benessere goduto prima occupazione italiana milione mezzo indigeni nell911 ridusseronsi ottocentomila alla partenza italiani. Concludeva dichiarandosi contrario ogni tentativo compromesso in corso.

816 4 Per la risposta di Zoppi vedi D. 957.

819

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A DAMASCO, CORTESE

T. S.N.D. 3411/9. Roma, 27 aprile 1949, ore 16.

Con telegramma odierno 81 le trasmetto riassunto dichiarazioni fatte O.N.U. da delegato codesto Governo, dichiarazioni che nessuno lo obbligava a fare e che mentre sono contrarie realtà come si può documentare, hanno netto carattere antitaliano. Simile atteggiamento non può alla lunga non influire su rapporti italo-siriani. È possibile che delegato abbia parlato di sua iniziativa o secondo istruzioni precedente Governo. Confidiamo che Zaim dimostri più realistica comprensione e dia conseguenti istruzioni2•

820

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A GEDDA, ZAPPI

T. S.N.D. 3413/25. Roma, 27 aprile 1949, ore 17.

Pregola interessare Imam Yemen perché confermi telegraficamente a propria delegazione O.N.U. istruzioni svolgere ogni possibile azione nostro favore per evitare annessione Eritrea ad Etiopia e perché, se venisse concesso mandato su Cirenaica ad Inghilterra, sia contemporaneamente assegnato mandato italiano Tripolitania. Per norma sua e dell'Imam informo che rappresentanti Lega musulmana Eritrea recatisi

O.N.U. si sono dichiarati decisamente contrari annessione ad Etiopia1•

819 1 Vedi D. 818. 2 Per la risposta vedi D. 845. 820 1 Con T. s.n.d. 4368/30 del 29 aprile Zappi riferiva di aver eseguito le istruzioni ricevute. Per la risposta yemenita vedi D. 852.

821

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI'

T. S.N.D. 34311169. Roma, 27 aprile 1949, part. ore 2,30 del 28.

Di fronte al costante ondeggiamento di parte inglese, basato forse su un'antica sfiducia che sentiamo non meritare e che dopo la firma del Patto atlantico ci pare offensiva, non ci sembra il caso di formulare proposte che sarebbero prese in considerazione un momento e subito dopo rigettate. Per esempio, sentire parlare ancora una volta di impegni col senusso, in relazione noto progetto mandato a cinque con amministrazione tripartita, non ci sembra una cosa seria.

Lei accentui piuttosto che qualunque formula che ci assicuri il ritorno in Tripolitania ci troverà concordi con la Gran Bretagna. Tarchiani ha istruzioni in proposito; lei poi, chiarendo ben inteso che parla a suo nome personale, può dire essere certo che noi non facciamo questione di una formula piuttosto che un'altra purché il riconoscimento del nostro ritorno in Tripolitania sia formale e assoluto.

Lei può anche a mio nome assicurare formalmente che noi siamo desiderosi di impegnarci a intese permanenti ed attive. Ho sempre detto che non si sta in Africa se non d'accordo con la Gran Bretagna. Se gli inglesi hanno dei sospetti (e ciò dobbiamo ritener lo, sia pure con stupore, vista la loro presente attitudine) noi non solo siamo pronti a qualunque intesa e garanzia, ma anzi lo desideriamo ardentemente.

Dopo il Patto atlantico queste intese sono più necessarie che mai2 .

822

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4240/169. Londra, 27 aprile 1949, ore 14,03 (perv. ore 19).

Mio 162 1•

Ho visto ieri primo ministro australiano Chifley e ho avuto con lui lungo e cordiale colloquio. Egli mi ha innanzi tutto pregato trasmettere al presidente Consiglio ed al ministro esteri un suo speciale saluto.

Ha quindi confermato quanto ho comunicato con mio telegramma 162, sottolineando i punti seguenti:

2 Per la risposta vedi D. 831. 822 1 Vedi D. 804.

l) con questo gesto l'Australia si apre alla emigrazione italiana senza differenze di regioni o di partiti politici, purché si tratti di uomini validi e di partiti democratici;

2) che l 'unico limite è costituito dalla difficoltà dei trasporti (che si spera di superare gradualmente) e che quindi, salvo miglioramenti imprevisti, non si prevedeva per ora una quota superiore a quattordicimila emigranti all'anno;

3) l'emigrazione italiana non dovrebbe per il momento comprendere famiglie troppo numerose, a causa della difficoltà di alloggiare. Si preferivano quindi, per lo meno all'inizio, giovani coppie o uomini soli che si facessero raggiungere più tardi dalle loro famiglie;

4) si desidera escludere nella maniera più assoluta qualsiasi agenzia intermediaria. L'emigrazione deve essere organizzata solo tra i due Governi. Unica eccezione potrà essere fatta per eventuali iniziative filantropiche degli enti religiosi;

5) l'attività delle agenzie private è stata già stroncata in Australia al fine evitare speculazioni poco pulite. (È forse questo fermo atteggiamento che è stato interpretato più o meno in buona fede quale indice di una politica australiana poco favorevole alla nostra emigrazione).

Circa preferenze australiane per nostre attività lavorative Chifley mi ha detto che si riserva far pervenire ulteriori precisazioni. Ha però fin d'ora accennato che si vedrebbe con particolare favore il maggior numero possibile di lavoratori dell'industria edilizia, dell'agricoltura e in generale degli operai qualificati. Mi ha dichiarato che ogni dettaglio doveva essere attentamente studiato tra i due Governi per assicurarne il successo, ma ha accennato che il nostro colloquio di oggi stabiliva in modo definitivo il generale atteggiamento dell'Australia nei confronti della nostra emigrazione. Ha anche tenuto dichiarare che il merito della sua idea risaliva a Bevin. Circa la pubblicità da dare alla notizia, Chifley ritiene utile che la stampa ne sia informata, ma evitando di comunicare qualsiasi cifra ed evitando soprattutto inutili esagerazioni che possono provocare illusioni e quindi delusioni all'atto pratico.

821 1 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 157-158.

823

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T S.N.D. 4266/44. Stoccolma, 27 aprile 1949, part. ore 0,30 del 28 (perv. ore 7,30).

Riferimento mio telegramma n. 361•

Il comunicato, di cui al mio telegramma in chiaro n. 432 , va messo in relazione alle nuove premure da parte dell'Abissinia onde ottenere che la delegazione della Svezia all'O.N.U. voti l'assegnazione all'Etiopia dell'Eritrea.

Da quanto mi risulta questo ministro degli affari esteri segue la questione delle nostre colonie molto attentamente e sarebbe stata riaffermata in termini generici la sua nota linea di condotta anche in considerazione del fatto che i lavori dell' Assemblea non sembrano che si orientino verso la sperata concordata soluzione.

823 1 Vedi D. 731. 2 In pari data, riportava un comunicato stampa ufficioso secondo il quale la delegazione svedese all'O.N.U. si sarebbe astenuta dalla votazione sul destino delle ex colonie italiane.

824

L'AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4268/14. Città del Messico, 27 aprile 1949, ore 16,16 (perv. ore 8 del 28).

Telegramma di V.E. n. 1350/c. 1•

Questo ministro degli affari esteri ad interim Tello mi ha ancora oggi data la più ampia assicurazione circa l'appoggio che il Governo messicano intende dare nella maniera più completa all'Italia perché la questione delle colonie sia risolta in suo favore. Mi ha detto di avere avuto ieri un colloquio telefonico con il delegato messicano Padilla Nervo al quale ha dato istruzioni tassative di non accettare in nessun caso una soluzione parziale della sorte della Libia.

Padilla avrebbe informato Tello che sarebbe stata avanzata una proposta per cui sarebbe data tutta la Libia in mandato fiduciario alla Francia all'Inghilterra all'Italia e a un paese arabo, con intesa che all'Italia sarebbe poi lasciata l'amministrazione della Tripolitania. Padilla ha assicurato Tello che questa soluzione sarebbe stata accettata dall'Italia in linea di massima. Avrebbe anche assicurato che egli si tiene in continuo contatto con Mascia.

Mi sono tenuto in questi giorni in contatto con questo ambasciatore di Francia sig. Bonneau che, data la competenza che ha della questione delle nostre colonie, ha avuto un lungo e molto conclusivo colloquio con il sig. Tello il quale mi ha poi detto come questo rappresentante della Francia si sia mostrato molto calorosamente favorevole all'Italia e come anche lui abbia insistito perché non sia accettata una eventuale soluzione parziale per la Libia. Il sig. Bonneau mi ha detto poi che dalle conversazioni [con] Tello ha tratto ferma convinzione che questo Governo sia assolutamente favorevole nostro paese pur mostrandosi deciso a mantenere una linea di condotta in pieno accordo con tutti i paesi dell'America latina. Ciò è sembrato tanto più notevole all'ambasciatore di Francia poiché lo stesso Tello non gli aveva nascosto che sono state fatte pressioni su lui da parte degli ambasciatori di Gran Bretagna e degli U.S.A.

Occorre ad ogni modo sorvegliare la condotta di Padilla Nervo che, dati i suoi noti precedenti filo-sovietici confermatimi anche da questo ambasciatore di Francia, può sempre non attenersi perfettamente alle istruzioni di questo Gover

no. Per questo prego V.E. di confermarmi telegraficamente se sia esatto che Padilla si tenga sempre in stretto contatto con Mascia e se sia esatto pure che sia stato accettato da parte nostra in linea di massima progetto di trusteeship su posizione di cui sopra2 .

824 1 Vedi D. 771, nota l.

825

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4274-4276/99-100. New York, 27 aprile 1949, ore 23,42 (perv. ore 12 del 28).

Mio 95 1•

Americani hanno comunicato stamane a titolo confidenziale a noi, a inglesi e a portavoce gruppo latino-americano progetto di loro risoluzione. Trasmetto testo con telegramma a parte2 .

Nel pomeriggio delegazione inglese ha fatto sapere che si opponeva progetto il quale pertanto non (dico non) verrà presentato, almeno in questa forma. Non è ancora chiaro quale sarà linea di condotta inglesi; se, come affermano, presenteranno loro progetto trusteeship immediato su Cirenaica con rinvio per Tripolitania, oppure tenteranno provocare modifica progetto americano in senso a loro favorevole.

È ormai inutile commentare in dettaglio quest'ultimo nella sua forma originale. Osservo soltanto che per quanto riguarda Tripolitania esso rappresentava notevole passo avanti rispetto a posizione partenza americana, in quanto includeva Italia in Commissione cinque potenze incaricata studiare e proporre progetto trusteeship su intera Libia. Paragrafo riguardante Eritrea riproduceva sostanzialmente impegno preso a Parigi con delegazione etiopica; ma Dulles si mostrava aperto a possibili emendamenti, una volta fosse constatata impossibilità ottenere maggioranza due terzi su proposta originale.

Ho chiesto vedere Dulles il quale invece è venuto a trovarmi stasera stessa. Mi ha detto in sostanza:

l) suo sforzo conciliazione naufragato per ostinazione Bevi n. Ha rilevato con amarezza inglesi dimostrano scarso spirito societario.

2) Ha riconosciuto che nostra posizione è fondamentalmente giusta e che abbiamo appoggio maggioranza latino-americani. Ha notato inoltre che anche tesi per Eritrea, attualmente molto divergenti, potrebbero essere avvicinate. Ha aggiunto

2 T. s.n.d. 4275/101, pari data, non pubblicato.

però che se inglesi vogliono show down per Cirenaica americani non (dico non) potranno opporsi perché legati da impegni assunti in precedenza.

3) Ha espresso timore che, se battuti su Cirenaica, inglesi, approfittando rinvio, tenteranno nuova manovra (chiara allusione minaccia, prospettata con mio telegramma n. 95, proporre indipendenza per Cirenaica e possibilmente per tutta la Libia).

4) Ha molto insistito perché facessi sapere a V.E. che egli, come le aveva promesso, aveva spiegato massimo sforzo per formula compromesso che tenesse conto interessi e sentimenti italiani; non rinunzierà ulteriori sforzi in questo senso ma deve constatare che difficoltà situazione, in seguito ostinazione britannica, sono molto aumentate. Nell'assicurarlo che avrei trasmesso suo messaggio e nel dargli atto sua buona volontà non ho però lasciato minimo dubbio circa nostra netta opposizione progetto inglese Cirenaica e a spartizione e annessione Eritrea.

È difficile al momento attuale fare bilancio situazione e ancora più prevedere sviluppi tattici e sostanziali nel futuro. È evidente che ci avviciniamo a momento risolutivo. È anche indubbio che Dulles personalmente si è notevolmente accostato nostre tesi e che si mostra irritato per ostruzionismo inglesi e scettico circa possibilità approvazione loro eventuale risoluzione per Cirenaica. Resta però a vedere quale sarà azione pratica delegazione americana (sempre notevolmente influenzata da African Division) quando Dipartimento Stato avrà definito propria posizione ufficiale; resta a vedere cioè se e quanta pressione sarà esercitata su latino-americani. Questi rimangono sempre nostra più forte linea difesa. Tutta la delegazione italiana ha svolto e svolgerà nei prossimi giorni intensa attività per consolidare questa nostra posizione e mantenere aperte possibilità intesa anche con altre delegazionP.

824 2 Con T. s.n.d. 3446/16 del 28 aprile Zoppi rispondeva: «Progetto mandato quintuplo per Libia (Stati Uniti Inghilterra Francia Italia Stato arabo) è da noi considerato accettabile compromesso purché assicuri effettiva amministrazione italiana Tripolitania come inglese Cirenaica e francese Fezzan. Padilla Nervo ha finora mantenuto stretti contatti con nostra delegazione ed ha attivamente diretto Commissione latino-americani che si preoccupa trovare soluzione sulla base suddetto progetto».

825 1 Vedi D. 813.

826

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3474/87. Roma. 28 aprile 1949, ore 22.

Suoi 99 e 100 1 .

Approvo suo contegno. Oggi, dopo mia relazione al Consiglio dei ministri, questo ha approvato pienamente mia azione e si è dichiarato unanimemente contrario qualsiasi clausola offendente apertamente sentimento e dignità nazionale. Ciò niente affatto per colonialismo ma per gravi ragioni psicologiche.

Mentre siamo disposti ogni compromesso ed ogni garanzia con Inghilterra come ho ieri sera telegrafato Londra2 , dobbiamo con rincrescimento avvertire che il rinvio sarebbe preferibile alle decisioni di cui sopra.

Prego dirlo Dulles da parte mia3 .

2 Vedi D. 821.

3 Per la risposta vedi D. 839.

825 3 Per la risposta vedi D. 826.

826 1 Vedi D. 825.

827

L'INCARICATO D'AFFARI A MANILA, STRIGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4280117. Mani/a, 28 aprile 1949, ore 13,59 (perv. ore 14).

Ho visto Romulo Carlos qui giunto per due giorni da New York. Ha detto a me ed al presidente che ritiene difficile che in questa Assemblea possa esser raggiunta quota due terzi per approvazione nostre richieste e anzi prevede pertanto rinvio della questione colonie a prossima Assemblea.

Presidente gli ha rinnovato istruzioni tenere atteggiamento amichevole. Io gli ho molto raccomandato adoperarsi per smorzare opposizione delegazioni asiatiche e di tenersi in contatto con Mascia, per il quale Romulo Carlos ha espresso calorosa simpatia sua azione osservatore.

828

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 42971176. Londra, 28 aprile 1949, ore 16,45 (perv. ore 19,25).

Telegramma ministeriale 162 1 .

Ho comunicato immediatamente a Chifley sotto forma promemoria dati di cui a telegramma ministeriale citato. Nostro sollecito interessamento ha fatto ottima impressione non solo su Chifley ma anche su Noel-Baker che mi ha chiesto d'urgenza altre due copie promemoria per documentazione sua personale e Bevin. Quest'ultimo, a quanto Noel-Baker ha tenuto espressamente a ripetermi, dimostra grande interesse alla questione e ciò conferma quanto dettomi in proposito da Chifley e da me riferito con mio telegramma 1692 .

829

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4309/31. Beirut, 28 aprile 1949, ore 20,20 (perv. ore 24).

Telegramma di V.E. n. 23 1•

2 Vedi D. 822.

Ministro esteri Frangié ha in mia presenza redatto telegramma al capo delegazione Libano O.N.U. dandogli istruzioni appoggiare proposte sud-americani. Egli ha inoltre incaricato ministro Malik cercare ottenere che predette proposte siano oggetto di un rinnovato e più approfondito esame se è esatto, come sembra da notizia stampa di stamane, che nuove difficoltà sono sorte contro di esse a causa atteggiamento delegato siriano.

828 1 Vedi D. 809.

829 1 Vedi D. 817.

830

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 4310/78. Sofia, 28 aprile 1949, ore 13 (perv. ore 24).

Seguito telegramma 77 1•

Questo ministro Albania, tornato a vedermi ancora una volta oggi, mi ha detto che suo Governo desidera avere comunicazione del testo comunicato italiano annunciante ripresa dei rapporti diplomatici, prima che esso venga pubblicato, per eventuali osservazioni. Ha promesso domani 29 comunicazione ufficiale con Nota verbale testo definitivo comunicato albanese, che mi ha preannunciato essere quello contenuto mio telegramma su citato.

In relazione a ciò egli ha osservato che, data ristrettezza, conveniva proporre un rinvio data pubblicazione, che doveva comunque rimanere contemporanea nelle due capitali. Dalla conversazione è risultato che Governo Tirana diffida come al solito, temendo chi sa che cosa.

Ad evitare equivoci, sarei d'avviso accettare spostare nuovamente data pubblicazione che, d'accordo con questo ministro Albania, potrebbe fissarsi per il 4 maggio. Prego telegrafarmi urgenza2 .

831

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4315/179. Londra, 28 aprile 1949, ore 21,57 (perv. ore 8 del 29).

Riferimento telegramma 169 1•

2 Con T. 3499/60 del 29 aprile Zoppi impartì le seguenti istruzioni: «Dica a codesto ministro d'Albania che non (dico non) riteniamo questione comunicato di tale importanza da essere ulteriormente discussa. Da parte nostra diremo semplicemente in conferenza stampa lunedì prossimo che "due Governi hanno concordato ripresa relazioni diplomatiche normali". Governo albanese dica quello che vuole».

Vidi oggi Strang ed in relazione a quanto V.E. mi esprime ebbi apertissimo colloquio. Osservai anzitutto che nonostante le dichiarazioni esplicite di Bevin e del Foreign Office in genere, ossia che Gran Bretagna non intendeva rimanere in Tripolitania e non si opponeva in via pregiudiziale al nostro ritorno in quella colonia, di fatto gli «ondeggiamenti inglesi» a Lake Success lasciavano supporre il contrario. Gli chiesi se una trattativa confidenziale diretta «a due» tra me e Bevin non potesse chiarire nostre reciproche posizioni e trovare punto di accordo.

Mi rispose ciò che cerco riassumere nei seguenti punti:

l) Tali conversazioni gli pareva sarebbero giunte troppo tardi in quanto McNeil aveva ormai la piena responsabilità di azione tattica e strategica a Lake Success dove gli «ondeggiamenti» dipendevano essenzialmente dalle situazioni variabili di giorno in giorno, anzi quasi di ora in ora, non giudicabili perciò dal Foreign Office. Per gli inglesi si tratta di appoggiare ad ogni costo qualsiasi soluzione che assicuri la Cirenaica alla Gran Bretagna (ciò che fin da principio mi ha affermato Bevin) e poiché la difficoltà (e il dubbio) è di trovare i due terzi dei voti necessari, McNeil deve tener conto, nella sua valutazione realistica dei mezzi e dei fini, della fluttuante realtà e particolarmente delle disposizioni di alcune grosse forze, quali il mondo arabo.

2) Sempre più appare agli inglesi che il mondo arabo non accetterebbe volentieri una soluzione in Libia in cui il ritorno italiano apparisse in modo troppo evidente come un nostro grande successo (per questo ritengo nella proposta del piano Massigli si tentava risolvere l'assetto libico in due tempi).

3) Dovendo risolvere nel suo complesso ed immediatamente la questione delle colonie italiane a Lake Success la assoluta interdipendenza tra una favorevole soluzione per la Tripolitania e il rinvio della soluzione Eritrea imbarazza gli inglesi (gli avevo fatto presente da tempo l'assoluta resistenza anglo-sassone sulla questione Eritrea e un possibile chantage).

Certo al punto in cui stanno le cose non è più il caso di fare dei sentimentalismi e delle mozioni di affetto con il Foreign Office. Non rimane che dimostrare a McNeil, con la matematica, che la Cirenaica non può essere assicurata alla Gran Bretagna che coi voti a noi favorevoli concorde la Francia. È ciò che ho cercato di dimostrare a Strang ed è l'unico argomento che mi è parso egli prendesse in seria considerazione.

830 1 Del 27 aprile con il quale Guarnaschelli aveva comunicato la nuova richiesta albanese di pubblicare, senza variare la sostanza del testo concordato (vedi D. 811), a Roma e Tirana due distinti comunicati sulla ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.

831 1 Vedi D. 821.

832

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 889/311. Mosca, 28 aprile 1949 (perv. i/4 maggio).

Benché sussistano ancora incertezze di interpretazione e timori di equivoci, penso, in conformità alla opinione prevalente qui, che il recente comunicato Tass del 26 aprile abbia segnato un progresso effettivo verso la levata del blocco di Berlino e la riconvocazione del Consiglio dei ministri degli esteri.

Gli indizi di questa volontà sovietica di riavvicinamento trapelavano da qualche tempo; più importante di tutti era stato il significativo comunicato del magistrato comunista di Berlino Federico Ebert (del 14 aprile, pubblicato qui il 16) relativo alla volontà di riprendere i rapporti economici fra le due zone della città. Era questa, in sostanza, una chiara manifestazione di volontà nel senso di tendere alla cessazione del blocco.

Ora il comunicato Tass, relativo alle conversazioni fra Jessup e Malik, non elimina, ripeto, tutte le incertezze. Sopratutto, ciò che non si comprende bene è se i sovietici siano disposti veramente a rinunziare alla condizione della previa sospensione della costituzione della Germania occidentale.

Su questo punto Jessup non ha domandato e Malik non ha parlato: ma quest'ultimo si è riferito al punto 3° della intervista Stalin-Smith, ove Stalin, valendosi della formula favorevole della domanda, ritornava in sostanza sulla esigenza di quella sospensione, quale premessa alla levata del blocco. Letteralmente quindi si potrebbe pensare ad una abile manovra, mediante la quale, rinunciando da un lato a risolvere subito la questione economica della valuta, Stalin avrebbe fatto tacitamente confermare da Malik la condizione politica relativa alla costituente di Bonn.

Indubbiamente gli americani saranno prudenti su questo punto, e mi consta positivamente che questa ambasciata degli Stati Uniti si rende pienamente conto di evitare anche al riguardo ogni equivoco, limitando nettamente l'accordo a due condizioni pure e semplici: da un lato levata del blocco, dall'altro convocazione del Consiglio dei ministri a data fissa.

Ma io non credo che i sovietici rifiuteranno il chiarimento, per correre senza alcun vantaggio il rischio di subire un rifiuto, giustificato dalla pretesa di imporre una condizione ormai superata.

La questione della sospensione del nuovo Stato germanico occidentale era stata infatti praticamente già superata a Mosca, allorchè Stalin e Molotov l'avevano invocata, senza però fame una condizione sine qua non.

Più chiaramente ancora essa era stata superata nel successivo cosidetto «progetto di risoluzione del Consiglio di sicurezza» presentato da Vyshinsky a Bramuglia (24 ottobre 1948) nonché nella lettera di Vyshinsky a Evatt e a Trygve Li e ( 16 novembre). Nel primo documento si prevedeva la levata del blocco contemporaneamente al regolamento della valuta, nonché la successiva convocazione del Consiglio dei ministri entro dieci giorni, senza chiedere alcuna sospensione dell'attività costituente di Bonn. Nel secondo, Vyshinsky accettava come accordo per la risoluzione di Berlino la direttiva data il 30 agosto ai quattro governatori di Berlino, con la contemporanea convocazione del Consiglio dei ministri, anche qui senza alcuna altra condizione.

Effettivamente, la poco felice domanda di Kingsbury Smith offriva più tardi a Stalin l'occasione di fare un passo indietro; ma difficilmente i sovietici potrebbero insistervi ora, senza offrire agli americani un facile motivo per rifiutare la convocazione dei quattro ministri.

Ma sopratutto, una simile condizione non offrirebbe ai sovietici alcun pratico vantaggio, perché nella realtà, il semplice fatto della convocazione dei ministri degli esteri basta ad assicurarla. In tale eventualità, evidentemente, i parlamentari tedeschi sospenderanno i loro lavori in attesa del risultato; toccherà agli Alleati garantirsi evi

tando un eccessivo prolungarsi delle discussioni del Consiglio, ma fino a che queste dureranno, certo la creazione della Germania occidentale non farà passi avanti. I sovietici sono troppo pratici per rompere su condizioni formali quando hanno a disposizione loro la forza delle cose.

Di conseguenza, pur tenendo il dovuto conto delle possibili sorprese, deve ritenersi che ci si sta avviando verso la chiusura dell'episodio di Berlino, in conseguenza di un progressivo avvicinamento delle tesi sovietiche a quelle americane: il ponte aereo è riuscito, la situazione economica in Germania orientale è cattiva e quella politica è dubbia, perciò i sovietici ritengono prudente uscire nel modo più elegante possibile da questo blocco non riuscito.

È Mosca che ha lentamente ceduto, sono stati gli americani ad irrigidirsi progressivamente, ed in questo non posso che condividere, nelle sue grandi linee, le informazioni recentemente trasmesse dal console generale di Zurigo (Telespresso ministeriale n. 06200 del l o aprile ) 1• È bensì vero che quell'informatore ha il privilegio, beato lui, di conoscere esattamente come si divide al riguardo la maggioranza dalla minoranza nell'interno del Politburò; altri pure credono di saperlo, salvo manovrare gli stessi nomi in modo del tutto diverso; soltanto gli osservatori residenti a Mosca, anche i più attenti, non ne sanno nulla.

Ciò premesso, i punti da chiarire sono attualmente due: anzitutto, insisteranno ancora gli americani, irrigidendosi fino alla fine e chiedendo la levata del blocco, senza condizioni, ossia senza nemmeno l'impegno a riconvocare il Consiglio dei ministri degli esteri, impegni che in passato erano disposti ad assumere? A quanto risulta presso questa ambasciata americana, tale estrema durezza non è da prevedere: i nord-americani saranno duri e prudenti per evitare sorprese, ma, pur essendo assolutamente scettici sull'esito del futuro Consiglio dei ministri, ritengono che valga la pena di affrontarlo per risolvere la questione di Berlino. Essi si rendono conto che, malgrado la piena riuscita del ponte aereo, la situazione attuale non può continuare stabilmente, e vi è un vantaggio nel fatto di farla cessare. È probabile, piuttosto, eh'essi prendano qualche precauzione per impedire che il Consiglio dei ministri si trascini troppo, paralizzando nel frattempo l'attività costituente della Germania occidentale. Quanto ai sovietici la domanda è: a che mirano i sovietici quando chiedono la convocazione del Consiglio dei ministri? Vogliono realmente tentare di giungere ad un accordo per una Germania unita, oppure si accontentano di fare della propaganda, e di disturbare la formazione della Germania occidentale, ben sapendo che la divisione attuale è ormai irrevocabile e conveniente aJ entrambe le parti?

Su questo punto, io continuo a non essere del parere di coloro i quali pensano che i sovietici scherzino colla tesi dell'unità della Germania, e si valgano delle forze comuniste e sindacali della Germania orientale per sostenerla, pur sapendo perfettamente che non vi riusciranno, ed anzi desiderando di non riuscirvi. La mia opinione contraria è fondata anzitutto sulla osservazione della costante campagna per l'unità, che si svolge in questo paese e nella Germania orientale, nonché tra i paesi satelliti più interessati. Ora, la politica estera sovietica conosce certo delle brusche svolte, ma non conosce, ch'io sappia, la politica del doppio giuoco, nel senso che si faccia apparire alla propria opinione pubblica, al proprio partito, proprio quello che non si vuole, mandandoli al sacrificio non soltanto per una

impresa difficile o quasi disperata (il che è indubbiamente avvenuto, e proprio in Germania) ma su una tesi falsa e fittizia, diretta a un falso scopo che non si vuole raggiungere.

Non vi è dubbio: i sovietici esiteranno molto prima di rimettere in discussione il regime comunista della Germania orientale. Ciò significa che non aderiranno alla unità germanica, se non a certe favorevoli condizioni: la prima sarà senza dubbio il riconoscimento della frontiera Oder-Neisse; la seconda, una effettiva controllata demilitarizzazione della Germania; la terza, forse, il controllo della Ruhr (a questa terza condizione tuttavia i sovietici sarebbero forse costretti a rinunciare, ammettendo cioè il distacco della Ruhr sotto il controllo occidentale, fino a che rifiutassero l'intemazionalizzazione dell'Alta Slesia).

Con questi limiti, essi potrebbero anche rinunciare al distacco della Germania, orientale; e le ragioni pratiche ci sono. È bensì vero, infatti, che in linea generale i sovietici preferiscono ora avere una base territoriale di azione nel paese che si tratta di comunistizzare, anzichè conservare semplicemente l'aiuto di partiti comunisti entro i quadri di Stati democratici capitalisti. In altri termini, essi preferiscono il sistema della guerra civile cinese, della suddivisione territoriale coreana, della repubblica indonesiana, e persino della lotta partigiana greca. Questa preferenza deriva loro dalla esperienza, che insegna come alla lunga, nel sistema democratico borghese, i partiti comunisti non riescono pacificamente a prevalere; il tentativo in Francia e in Italia non è riuscito, e probabilmente non riuscirebbe neppure in Germania.

Ma anzitutto, questa base della Germania orientale è già stata dai sovietici largamente sfruttata, e sta diventando debole: gli impianti più preziosi sono stati asportati, accattivati i tecnici migliori, e quel che resta è in condizioni economiche e morali troppo svantaggiose in paragone alla zona occidentale, per potere fornire una sicura base di operazioni.

A parte ciò, la preferenza sovietica per le basi territoriali di una azione più militare che rivoluzionaria, vale fino a che si tratti di territori onde si possa lanciare la guerra partigiana o civile, o prepararla, senza scatenare la guerra mondiale; la Germania non appartiene a questi paesi, anzi è proprio tipicamente il punto ove ogni atto di forza minaccia di convertirsi in fonte di conflitto generale.

Questo conflitto generale, almeno per una decina o quindicina d'anni, i sovietici non vogliono e non possono reggere. Ma possono essi credere che la continuazione della divisione della Germania, dell'Europa e del mondo in due consenta davvero il mantenimento di una pace prolungata? Qui è il punto essenziale: con tutta la loro propaganda, con tutti i loro allarmi nei riguardi di una guerra prossima (che non bisogna prendere alla lettera, ma nemmeno troppo alla leggera, né considerare unicamente e sempre come pura propaganda vuota di serietà) essi dimostrano di credere il contrario. E non hanno, almeno alla lunga, tutti i torti: perché questa situazione di equilibrio, di attesa colle armi al piede, di guerra fredda, di corsa agli armamenti non può certo presagire una pace duratura. Sarà questione di qualche anno, e poi la parte che si riterrà politicamente e militarmente più preparata o più minacciata si muoverà. In questo senso io condivido ugualmente alcune osservazioni acute dell'informatore del console generale di Zurigo circa l'inevitabilità del momento in cui l'aut-aut si porrà. Si tratta solo di sapere se sarà questione di mesi o di anni; per me sarà questione di alcuni anni.

Ai sovietici farebbe dunque comodo avere fra dieci o quindici anni una Germania orientale comunista, come punto di partenza per una azione rivoluzionario-militare contro il capitalismo dei monopolisti occidentali, tedeschi ed americani: ma dovrebbero pagare tale vantaggio lontano col pericolo più vicino, e più decisivo, di dover giungere prima ad un conflitto. Dovrebbero inoltre pagarlo con quel che i sovietici temono senza dubbio più di tutto, ossia colla creazione di una Germania occidentale militarmente forte, industrialmente riorganizzata con finalità militari, in mano, più o meno solidamente, agli anglo-americani, contrapposta ad una Germania orientale meno florida e meno sicura.

Queste sono, mi pare, le alternative che si pongono ai sovietici, date le quali i loro passi attuali verso una distensione temporanea sono da ritenersi serii: e la volontà loro di negoziare, sia pur duramente, per una Germania unita e demilitarizzata deve pure considerarsi probabile ed effettiva. Essa sola potrebbe dare loro il respiro necessario per guadagnare tempo, riallacciare più o meno rapporti fra mondo occidentale ed orientale attraverso la Germania stessa, potenziare nel frattempo le loro risorse economiche e militari.

Finora il corso dei fatti non smentisce questa interpretazione, che a me pare più corrispondente a quel che si può sentire ed intuire stando a Mosca.

Naturalmente, mi rendo conto perfettamente che gli anglo-americani non hanno attualmente alcuna seria volontà di offrire ai sovietici una Germania unita e demilitarizzata; anche se non diventasse comunista, essa sarebbe pur sempre una ben fragile barriera ali' avanzata sovietica.

I sovietici non ignorano questo, e quindi certamente non si fanno illusioni soverchie sul possibile esito delle future conversazioni di Berlino. Ma ciò non toglie che l'obiettivo della unità germanica, così come delineata a Potsdam, rimanga ancora per loro un obiettivo serio ed effettivamente desiderabile, che essi hanno interesse a perseguire non soltanto sui giornali, ma anche nella realtà delle negoziazioni diplomatiche.

Rinunziando ora al blocco di Berlino per sedersi al tavolo del Consiglio dei ministri degli esteri, essi tenteranno di giungere a una soluzione integrale del problema; e se non vi riusciranno, se ne varranno per la loro propaganda, rimanendo i campioni dell'unità germanica, e non rinunciando a ritentare la prova alla prima occasione.

832 1 Non pubblicato.

833

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1966/478. Varsavia, 28 aprile 1949 (perv. i/2 maggio).

Riferimento: Telespresso 1588/409 del 6 aprile c.a. 1•

Nella sua ultima riunione l'Episcopato polacco ha preso la decisione di entrare in trattative con il Governo. Alla nota dichiarazione che il ministro Wolski aveva consegnato il 14 marzo all'arcivescovo Choromanski è stato risposto in sostanza che la

Chiesa è disposta ad iniziare la discussione di tutte le questioni che dovranno formare oggetto di un regolamento giuridico dei suoi rapporti con lo Stato, purché venga salvaguardata la sua libertà di esercitare il potere spirituale, compreso il diritto d'insegnare, nonché il suo diritto di fondare e dirigere le varie istituzioni religiose. Per quanto riguarda tuttavia la questione dell'organizzazione amministrativa delle diocesi in Polonia si fa presente che le trattative sono di esclusiva competenza della Santa Sede. Nella risposta si assicura che il clero ha severe istruzioni di astenersi da qualsiasi attività politica (respingendosi quindi l'accusa che i sacerdoti appoggino l'attività clandestina antigovernativa) e si chiede che anche da parte del Governo si dimostri buona volontà ponendo termine alla campagna di stampa contro le gerarchie cattoliche.

A quanto mi risulta la decisione di entrare in trattative non sarebbe stata presa senza contrasti, essendo alcuni vescovi del parere che non convenisse cedere di fronte all'atteggiamento ricattatorio delle autorità. Ma alla fine ha trionfato l'opinione del cardinale Sapieha, che, come è noto, è stato sempre il più disposto al compromesso.

Naturalmente nessuno si fa illusioni circa le intenzioni del Governo. Si sa benissimo che questi agisce in base ad ordini che vengono dall'estero e che questi ordini sono di eliminare qualsiasi influenza della Chiesa cattolica. Ma appunto per tale ragione l'Episcopato ha ritenuto opportuno di non irrigidirsi in quanto nell'attuale momento lo scopo da raggiungere è quello di sopravvivere e di guadagnare tempo. Un irrigidimento avrebbe condotto ad una lotta più serrata che non sarebbe stata di vantaggio per la Chiesa polacca.

Nello stesso tempo però l'Episcopato ha ritenuto opportuno chiarire in una lettera pastorale la sua posizione, confutando le accuse rivolte nella stampa contro il clero e riaffermando i diritti che la Chiesa ritiene indispensabili per l'esercizio del suo potere spirituale.

La Pastorale, che porta la data del 25 marzo, è stata letta in tutte le chiese la domenica in Al bis (24 aprile) e consta di quattro parti.

Nella prima parte si accenna agli affidamenti che in un primo tempo il Governo aveva dato circa la possibilità di sormontare le difficoltà poste all'attività ecclesiastica; affidamenti che non sono stati seguiti dai fatti. Si afferma quindi che in Polonia l 'unione fra la Chiesa e lo Stato è sempre stata stretta e che in mille anni la nazione polacca mai ha dovuto difendersi contro l'educazione impartita dalla Chiesa. Si domanda poi chi può credere che la Chiesa rappresenti per la Polonia una potenza politica temibile e se l 'attività che tenta di separare nazione e Chiesa non rappresenti un gran pericolo per la nazione polacca.

Nella seconda parte si elencano le benemerenze del clero che è composto di persone nate nel paese ed uscite dalle campagne e dai sobborghi; persone quindi che conoscono i bisogni del popolo e sono sempre state in mezzo al popolo nei periodi tristi. Si nota quindi che è difficile dare ad intendere che il clero rappresenti potenze estere nemiche della Polonia. Il clero da secoli inculca alla nazione sentimenti del dovere e dell'ordine e la sua attività diretta a difendere la fede non può essere considerata un'azione di carattere politico. Si aggiunge poi che l'Episcopato è dolorosamente colpito dalle accuse e dalle condanne di cui sono oggetto, senza possibilità di difendersi, alcuni sacerdoti e si invita il clero a perseverare nella sua missione apostolica.

La terza parte elenca le attività benefiche e sociali degli ordini religiosi. Si afferma che tali ordini furono creati quando la Polonia non era indipendente, per esercitare una missione benefica e religiosa. Circa la minaccia di socializzare gli ospedali e le cliniche dipendenti dagli ordini si sottolinea che questi ordini hanno socializzato da tempo tali istituzioni con il loro lavoro ed i loro sacrifici. Si esprime quindi la speranza che le istituzioni cattoliche ed i diritti dei loro proprietari verranno rispettati.

L'ultima parte tratta delle scuole religiose. Si fa presente che la scuola moderna è opera della Chiesa, la quale, quando la Polonia non era indipendente, proteggeva le scuole dalla snazionalizzazione: ciò che viene continuato anche ora. Si esprime il desiderio che questi meriti storici siano rispettati e le scuole cattoliche mantenute. La Chiesa, si aggiunge, riconosce allo Stato ed alla famiglia il diritto di dirigere l'insegnamento, ma l'educazione di una nazione cattolica non può farsi senza la partecipazione della Chiesa. I genitori devono avere il diritto di non mandare i figli in scuole dove la religione non è insegnata. Si afferma poi recisamente che la nazionalizzazione delle scuole sarebbe un grave pregiudizio e si cita in particolare l'Università cattolica di Lublino per sottolineare che la limitazione dei suoi diritti costituirebbe una prova della persecuzione religiosa in Polonia.

La Pastorale termina esortando i fedeli a difendere la fede ed i diritti dei cattolici non partecipando ad attività atee e blasfematorie.

In questi ultimi giorni la campagna di stampa contro il clero è diminuita di tono se non di intensità. Anzi il 13 aprile è comparso sul quotidiano comunista Trybuna Ludu un articolo intitolato«... occorre buona volontà» nel quale si esprime l'opinione che si possa trovare una base per il regolamento definitivo delle relazioni fra Stato e Chiesa. L'articolo è significativo perché l'autore, che si nasconde sotto uno pseudonimo, è l'influente Berman, l'uomo di fiducia di Mosca.

Comunque, come ho accennato in principio, si tratta di manovre tattiche. Il Governo cerca di manovrare per mettere le gerarchie ecclesiastiche con le spalle al muro senza fame dei martiri. Queste ultime cercano di manovrare per guadagnar tempo ed evitare quello che è accaduto in altri paesi satelliti del Cremlino.

Frattanto nella stampa vengono ogni tanto pubblicate lettere di singoli sacerdoti (finora non più di quattro o cinque) che dichiarano di aderire alle proposte governative e di desiderare una collaborazione con il Governo. Anche il rappresentante della minuscola Chiesa evangelica d'Augsburg ha fatto sentire la sua voce indirizzando al ministro Wolski una lettera per associarsi all'opera svolta dalla delegazione polacca al Congresso della pace di Parigi.

833 1 Vedi D. 707.

834

IL CONSOLE GENERALE A WELLINGTON, DE REGE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T: S.N.D. URGENTE 4338/31. Wellington, 29 aprile 1949, ore 18,25 (perv. ore 13,40).

Ho veduto oggi questo vicesegretario generale degli affari esteri Shanahan al quale ho parlato di nuovo questione coloniale ripetendo buone ragioni punto di vista italiano e nostre proposte per soluzione problema Somalia Eritrea e Libia. Egli mi ha confermato che nella situazione presente questo Governo non ha ancora preso decisioni definitive che tuttavia:

l) circa Somalia em disposto appoggiare trusteeship italiano a tempo indeterminato;

2) circa Eritrea avrebbe appoggiato, sebbene a malincuore, la tesi anglo-americana. Riteneva però che ogni decisione sarà rinviata in mancanza raggiungimento maggioranza due terzi;

3) circa Cirenaica avrebbe appoggiato richiesta inglese;

4) circa Tripolitania mi ha detto che primo ministro aveva esaminato con molta [attenzione] proposta italiana, ma era rimasto perplesso di fronte informazioni pervenute dall'Alto Commissario a Londra che davano per sicuro arabi si sarebbero opposti con la forza ad un ritorno italiano sotto qualsiasi forma nonché a stipulazione trattato da noi proposto. Il mio interlocutore ha aggiunto però ove Governo italiano fosse stato in grado dimostrare che tali preoccupazioni erano infondate e che in ogni caso grande maggioranza tripolini avrebbe accettato ritorno Italia, con ogni probabilità Governo Nuova Zelanda avrebbe appoggiato nostra proposta. Gli ho allora accennato elezioni amministrative Tripoli e loro risultato a noi favorevole. Egli mi disse esserne al corrente ma che sempre secondo informazioni ricevute sentimenti popolazioni delle campagne sarebbero stati differenti.

Mi ha ripetuto che il primo ministro ha preso a cuore questione coloniale italiana e mi ha consigliato, ove V.E. avesse nuovi elementi e informazioni in proposito, di portarli a conoscenza signor Fmser attualmente a Londra. Per informazione di codesto Ministero comunico che primo ministro e segretario genemle lasceranno Londra 3 maggio p.v. diretti a New York. Il signor Fraser proseguirà quasi subito per Wellington mentre il signor Mac Intosh si fermerà una settimana e si recherà a Washington, New York, Ottawa.

835

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4355/180. Londra, 29 aprile 1949, ore 17,53 (perv. ore l del 30).

Conoscendone personale influenza su Bevin, ho stamane lungamente intrattenuto Lord Jowitt sulla questione colonie. Gli ho detto francamente che non riuscivo a rendermi conto delle ragioni per le quali, dopo che Bevin personalmente e il Foreign Office in varie occasioni ci avevano assicurato non essere intenzione britannica restare in Tripolitania né precludere nostro ritorno e dopo che avevamo per mesi discusso del problema su tale linea, atteggiamento McNeil a Lake Success sembrava impostato su basi ben lontane da tali favorevoli disposizioni.

Lord Cancelliere mi ha risposto che Bevin non aveva mutato sua opinione, che War Office era d'accordo che esigenze strategiche britanniche non comprendevano Tripolitania e che nella sostanza situazione non era mutata: rimaneva però come allora convinzione delle autorità militari in Tripolitania che trapasso all'Italia non avrebbe potuto avvenire ora e di conseguenza Governo britannico mentre aveva urgenza assicurarsi Cirenaica non poteva associarsi a soluzioni che prevedessero contemporaneità decisione per intera Libia.

Per Eritrea, alle mie argomentazioni che tenevano presenti anche considerazioni di cui a lettera segretario generale 311775 1 , Jowitt mi ha fatto notare che atteggiamento britannico era basato su formula americana conseguenza delle promesse fatte a Parigi da Marshall. Si rendeva conto che anche in Gran Bretagna una siffatta soluzione avrebbe suscitato reazioni negative (di ciò avevo avuto prova iersera quando in mia presenza alcuni membri House of Lords avevano chiaramente indicato a Jowitt che cessione Eritrea all'Etiopia non sarebbe passata senza forte opposizione); non vedeva però quale altra linea McNeil avrebbe ormai potuto seguire.

Ho replicato che in queste condizioni non ci rimaneva che lottare a Lake Success con ogni possibile lealtà ma con tutte forze a nostra disposizione per non far passare tesi britanniche: risultato sarebbe stato quello della solita confusione, nessuno avrebbe visto accettare proprie richieste ma si sarebbe aggravato reciproco risentimento e animosità. Nonostante successi di politica estera del Governo italiano con Patto atlantico e Consiglio Europa, opinione pubblica italiana che, a torto od a ragione, attribuisce importanza ancora maggiore a contingente questione coloniale, avrebbe potuto avere reazioni tali da indebolire posizione Governo a solo vantaggio correnti estremiste. E ciò quando non sarebbe stato impossibile con buona volontà trovare una via d'uscita date nostre ragionevoli aspettative. Avrebbe potuto accertare con Mallet se mie preoccupazioni pessimistiche fossero esagerate.

Jowitt si è dimostrato personalmente concorde circa mie vive apprensioni, dichiarando che avrebbe fatto presente a Bevin stesso gravità della situazione che avrebbe potuto derivare dal mantenimento attuali posizioni britanniche a Lake Success.

836

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4358/109. New York, 29 aprile 1949, ore 15,20 (perv. ore 8 del 30).

Delegato inglese ha fatto circolare tra delegazioni progetto risoluzione che qui riassumo: dopo aver dichiarato che indipendenza Libia deve essere raggiunta, dopo periodo interinale di assistenza e consiglio sotto sistema tutela, entro dieci anni se Assemblea generale riterrà che territorio è pronto per tale status, risoluzione propone che Cirenaica, senza pregiudizio sua susseguente incorporazione Libia, deve essere immediatamente posta sotto sistema tutela con amministrazione britannica secondo

termini accordo redatto a tal fine da sottoporsi a Consiglio tutela e, se accettabile, da approvarsi da Assemblea generale.

I Governi Egitto, Francia Italia, Regno Unito e Stati Uniti devono studiare termini e condizioni, incluse relazioni amministrative con Cirenaica, secondo i quali resto Libia possa essere posto sotto sistema tutela e predetti Governi dovranno sottoporre alla quarta sessione dell'Assemblea generale proposta contenente tali termini e condizioni assieme commenti del Consiglio tutela.

Circa Eritrea, territorio meno provincia occidentale, deve essere incorporato ali 'Etiopia e provincia occidentale incorporata adiacente Sudan secondo termini e condizioni che includano garanzie appropriate per protezione minoranze esistenti in Asmara, Massaua e altrove. Circa Somalia, territorio posto sotto trusteeship Italia.

Accordi relativi alle predette raccomandazioni dovranno essere approvati dall' Assemblea generale e il Consiglio tutela, ove si tratti di tutela, e Comitato interinale, ove sia il caso, sono autorizzati rappresentare Assemblea generale nella preparazione suddetti accordi 1 .

835 1 Non rinvenuto.

837

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4361/182. Londra, 29 aprile 1949, ore 21,10 (perv. ore 8 del 30).

A seguito mia conversazione telefonica di questa mattina con segretario generale e mio successivo colloquio con Massigli tengo a chiarire evidente equivoco circa portata mia precedente conversazione del 27 corrente con lo stesso Massigli.

A Massigli, con riferimento vostro telegramma 161 1 , esposi eventualità di «proseguire a Londra azione a favore della soluzione prospettata da latino-americani senza varianti suggerite da arabi che appaiono contrarie agli interessi tanto italiani che inglesi e francesi» e chiesi suo parere in proposito per non seguire linee divergenti presso Foreign Office. Egli telegrafò chiedendo istruzioni in genere ma, in seguito a successiva conversazione telefonica con ministro Zoppi, prima della mia visita a Strang del 27 corr.2,avvertii Massigli che conveniva attendere risultato colloquio Sforza-Schuman3 e che da mio colloquio con Strang mi pareva (telegramma 179)2 gli inglesi non avrebbero accettato volentieri progetto latinoamericani. Massigli inviava quindi a due ore di distanza dal primo un secondo telegramma in questo senso.

2 Vedi D. 831.

3 Non si sono rinvenuti documenti relativi a questo colloquio.

Resta d'altronde ben chiaro che tanto con Massigli quanto, e soprattutto, con Strang io parlai di un progetto latino-americano non facendo alcuna proposta mia e che a parere di Massigli non vi può essere stato equivoco da parte del Quai d'Orsay.

836 1 La risposta di Sforza a questo telegramma è nel D. 843.

837 1 Vedi D. 808.

838

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4364/80. Atene, 29 aprile 1949, ore 22 (perv. ore 8 del 30).

Da Pipinelis veniva ieri telegrafato Capsalis che carta bianca è stata concessa Doxiades per recarsi Roma concludere riparazioni non appena presidente della Commissione italiana possa a tale scopo fissare seduta plenaria. Doxiades rilevava svogliatezza e negligenza delegazione italiana cui io opponevo che tutto ciò dipende da costanti incertezze inaccettabili pretese Lavdas. Doxiades conveniva comunque reciproca colpa rispettivi funzionari. Confidenzialmente dicevami essere in grave imbarazzo per pressioni esercitate da ... 1 americano di cui miei telegrammi 245 e 246 del 16 settembre u.s. 2 . In particolare palesava pretese avanzate da parte inglese su Ladon e su piano generale elettrificazione causa interessi inglesi precostituiti in rapporto concessione impianti termoelettrici già esistenti.

Doxiades dicevami che di fronte suddette pressioni anglo-americane non avrebbe potuto dilazionare decisioni oltre 15 maggio prossimo. È mia opinione predetto esagera pressioni denunziate per accelerare conclusione trattative. D'altra parte convengo che nostro interesse sia concludere rapidamente perché ci troviamo oggi di fronte Governo politicamente debole e ansioso ottenere un qualsiasi successo, quindi favorevolmente disposto cedere se programmi settembre prossimo impegnino avvenire (mio telegramma

n. 81 )3 . Quanto sopra, naturalmente, nel quadro globale cooperazione per cui ho sollecitato Colitto concludere Palieraki col quale ha già avviato esame noto schema accordo4 .

839

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4378-4375/111-112. New York, 29 aprile 1949, ore 22 (perv. ore 11 del 30). Suo 87 e mio 109 1•

Proposta inglese non ha fatto per ora alcun progresso. Impressione generale è che difficilmente potrebbe raccogliere maggioranza semplice in Comitato politico, ancora meno maggioranza due terzi in Assemblea.

Sebbene sia ancora dubbio se queste condizioni inglesi le presenteranno, latinoamericani si preparano fronteggiare eventualità e si riuniranno domani per formulare alternativamente emendamento proposta inglese per Tripolitania ed Eritrea oppure progetto propria risoluzione.

Considerazioni tattico-procedurali (non ancora definite) dovrebbero determinare se tali iniziative precederanno o seguiranno rigetto risoluzione inglese.

Rivolgo frattanto ogni possibile opera persuasione su latino-americani per indurii prendere per Eritrea posizione altrettanto chiara che per Libia. Situazione in questo riguardo permane tuttavia incerta; anzitutto perché non risulta singole delegazioni abbiano su questo punto istruzioni altrettanto precise, in secondo luogo perché è da temere che desiderio successo formale, stanchezza prolungato dibattito e vaghe simpatie per Etiopia provochino cedimento su Eritrea ove ciò appaia condizione essenziale per raggiungimento soluzione generale con formula di compromesso per Libia ritenuta soddisfacente per noi.

Cerco naturalmente ottenere loro appoggio per formula trusteeship multiplo con partecipazione italiana su tutta Eritrea eccetto zona Assab (ed è questa una tesi che potrebbe guadagnare anche Stati arabi in quanto porterebbe a formazione di nuovo Stato musulmano ). Ma temo che idea spartizione tra Etiopia e Sudan (quale figura egualmente in progetto inglese ed americano) abbia già numerosi aderenti. In questo caso saremmo forse costretti ripiegare su formula amministrazione internazionale con partecipazione italiana su città Asmara e Massaua, ferrovia e adeguata zona circostante.

Per ogni evenienza prego V.E. indicarmi sin da ora se simile formula incontrerebbe approvazione Governo2 .

Poiché continuano sedute Assemblea generale attività Comitato politico è sospesa. Questione coloniale è tuttavia tenuta viva in continue riunioni e discussioni corridoio. Segnalo due formule che ci sono state comunicate in via sondaggio confidenziale da delegazione americana. La prima è trusteeship esclusivamente britannico su Cirenaica e contemporaneamente trusteeship a quattro o cinque potenze su Tripolitania. La seconda è immediato trusteeship inglese su Cirenaica e simultaneo annuncio tutela italiana su Tripolitania con effettivo trapasso amministrazione differito ad epoca ulteriore, eventualmente con graduale inserzione, sin da ora, di elementi italiani in amministrazione provvisoria britannica. Quest'ultima soluzione, secondo americani, potrebbe forse essere accettata da inglesi.

Per entrambe formule ho risposto, anche per motivi tattici, che sembravano difficilmente accettabili in quanto implicavano discriminazione verso Italia. Tuttavia non è escluso che possano essere prese in considerazione in caso estremo. E poiché necessità decisione può presentarsi improvvisa sarò grato a V.E. se anche su questi punti vorrà telegrafarmi suo pensiero3 .

3 Per la risposta vedi D. 844.

838 1 Gruppo di parole mancanti. 2 Non pubblicati. 3 T. 4365/81 del29 aprile, non pubblicato. 4 Per la risposta di Zoppi vedi D. 887.

839 1 Vedi DD. 826 e 836.

839 2 Per la risposta a questa prima parte del telegramma vedi D. 843.

840

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4413/113. New York, 29 aprile 1949, part. ore 1,50 del 30 (perv. ore 24).

Nuova riunione stamane latino-americani ribadito opposizione a soluzione unica trusteeship inglese Cirenaica e volontà trovare formula per Eritrea che salvi zona Asmara Massaua.

Mentre per Eritrea nulla per ora precisato, per Libia Padilla Nervo ha proposto a me e a delegazione inglese seguente progetto, per ora orale, di risoluzione che presenterebbe Comitato politico nel solo caso fosse accettato da Inghilterra ed Italia, perché solo in tal caso potrebbesi eventualmente trovare maggioranza due terzi.

Progetto è seguente: proclamazione immediata da parte Assemblea trusteeship inglese su Cirenaica, italiano su Tripolitania, francese su Fezzan.

Per assicurare cessione progressiva e pacifica amministrazione Tripolitania all'Italia, Assemblea nominerebbe un Consiglio che curerebbe tale cessione composto Stati Uniti, Italia, Inghilterra, Francia, uno Stato arabo, un rappresentante popolazione locale.

Si cercava da parte inglese escludere Francia. Ho insistito anche per proporzione numerica.

Questa proposta sarà telegrafata Londra. Mi pare nell'insieme ragionevole, ma occorremi approvazione V. E. per poter rispondere precisamente.

Differenza trattamento transitorio Tripolitania sarebbe giustificata dinanzi Assemblea e opinione pubblica da fatto che Inghilterra e Francia occupano i loro territori; noi dobbiamo rioccuparli ed è necessario evitare eventuali incidenti incresciosi anche per noi e assicurare un trapasso assolutamente pacifico e garantito da Nazioni Unite e autorevoli rappresentanti Occidente e mondo arabo.

Poiché si è riaccennato a cessione completa entro 1952, sarei grato precisarmi opinione V. E. su questa data o su formula più elastica 1•

841

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. 43/62891167. Roma, 29 aprile 1949.

Da circa un mese si trovano a Mosca funzionari dell'Alto commissariato per l'alimentazione e della federazione dei Consorzi agrari per concludere con gli enti

sovietici il contratto di acquisto di 200 mila tonnellate di grano. La conclusione di tale contratto è di grande importanza nel quadro degli scambi fra i due paesi di cui all'Accordo di Mosca dell' 11 dicembre 1948 1 . Infatti, il grano rappresenta la sola apprezzabile voce alle importazioni in Italia dall'U.R.S.S. e, ove il contratto non fosse concluso, verrebbe a mancare la necessaria contropartita per le forniture industriali che i sovietici vorrebbero ordinare in Italia. A questo proposito aggiungo che da alcuni mesi commissioni sovietiche stanno girando presso tutte le nostre principali aziende industriali ma non possono praticamente concludere alcun acquisto fino a quando non entra in azione il volano rappresentato dall'acquisto di grano russo da parte nostra.

Non vi è dubbio che la situazione è del tutto mutata dall'autunno scorso. La produzione mondiale di cereali assicura ormai possibilità di larghe importazioni da altri paesi a prezzi internazionali che sono notevolmente inferiori di quelli richiesti dai sovietici: in altre parole le buone previsioni circa il prossimo raccolto, le importazioni E.C.A. e l'accordo del grano recentemente firmato a Washington, a detta dei nostri enti competenti, hanno attenuato notevolmente l'interesse italiano all'acquisto del grano russo. I nostri funzionari dell'Alimentazione e dei Consorzi agrari si sono così presentati a Mosca con posizioni piuttosto rigide, tecnicamente giustificate dal divario tra i prezzi internazionali e i prezzi sovietici.

In questo primo mese di trattative è avvenuto ciò che si poteva facilmente prevedere: i negoziatori delle due parti si trovano ancora su posizioni divergenti; anzi, secondo un telegramma giunto recentemente dall'ambasciatore Brosio2 e di cui ti accludo copia per opportuna notizia, non sembra vi sia alcuna possibilità di accordo sul piano economico. Brosio sostiene che, ove i nostri negoziatori non abbiano istruzioni di compiere qualche altro passo verso la tesi sovietica, si dovrà addivenire ad una sospensione delle trattative.

Ripeto, l'atteggiamento dei nostri enti tecnici al riguardo è assai comprensibile. Non credo di dover discutere i riflessi tecnici del problema, se cioè, per esempio, non convenga fare qualche sacrificio per il grano al fine di assicurare alle nostre industrie ordinazioni sovietiche di prodotti che difficilmente potremo piazzare altrove, e se in certo senso qualche ragione non abbiano i negoziatori sovietici quando asseriscono che i prezzi più elevati del grano russo corrispondono ai prezzi più elevati (nei confronti del mercato internazionale) di gran parte della nostra produzione industriale e particolarmente di quella del settore armatoriale, che rappresenta una rilevante percentuale dell'esportazione prevista verso la Russia.

Ritengo invece utile attirare la tua attenzione sugli aspetti politici del problema. Già fin d'ora le naturali difficoltà incontrate dagli enti sovietici nella contrattazione con le nostre ditte hanno fornito lo spunto ai partiti di sinistra e agli organi della C.G.I.L. di sostenere la malafede del Governo italiano; nella stampa sono affiorate anche vere e proprie accuse di sabotaggio dell'Accordo da parte nostra. Una sospensione delle attuali trattative di Mosca per il grano, facendo cadere, almeno per il momento, ogni possibilità che la Russia si costituisca i fondi necessari per i pagamenti delle forniture indu

2 Vedi D. 785.

striali, renderebbe ineseguibile sul piano pratico l'Accordo commerciale dell' 11 dicembre 1948. Avremmo in tal caso vive reazioni da parte dell'opinione pubblica italiana. E non si tratterebbe solamente di partiti di sinistra o di organizzazioni sindacali; sarebbero con essi solidali sia gli industriali preoccupati di vedersi sfumare forniture di un certo rilievo, sia le correnti più o meno nazionalistiche che approfitterebbero del fallimento dell'Accordo commerciale per agitare contro il Governo l'accusa di aver rinunciato alla parte attiva degli Accordi di Mosca dell'anno scorso dopo avere subito il passivo dell' Accordo riparazioni e della cessione delle navi.

Ti sarei grato se tu volessi esaminare questo problema e, nel caso concordassi con le mie osservazioni, interessare il ministro dell'agricoltura e l'alto commissario dell'Alimentazione perché ai negoziatori a Mosca sia lasciata una certa larghezza di trattative o maggiori possibilità di compromesso.

840 1 Ritrasmesso da Zoppi all'ambasciata a Parigi (T. s.n.d. 3581/230 per telefono de11 o maggio, ore 13) con la seguente indicazione: «Prego comunicare a S.E. il ministro che transiterà domattina costì». A questa ritrasmissione Zoppi aggiunse il D. 849. Per la risposta di Sforza a Tarchiani vedi D. 851.

841 1 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 751.

842

IL CAPO DELL'UFFICIO SECONDO DEL SERVIZIO AFFARI GENERALI, STRANEO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZAI

APPUNTO. Roma, 29 aprile 1949.

L'ambasciata in Londra ha comunicato, in merito alla creazione del Consiglio d'Europa, che le è pervenuto dal Foreign Office l'invito ufficiale per il Governo italiano alla Conferenza dei ministri degli affari esteri per l'esame e la firma del documento preparato dalla Conferenza degli ambasciatori.

La Conferenza dei ministri degli esteri è indetta a Londra per il 3 maggio p.v. alle ore 10,30 al St. James Palace.

L'ambasciata in Londra ha inviato altresì il rapporto finale redatto dalla Conferenza degli ambasciatori, che ha avuto luogo dal 28 marzo al 12 aprile, ed il progetto di Statuto del Consiglio d'Europa. Ambedue i documenti sono contenuti nel qui accluso fascicolo a stampa2•

Su taluni punti del progetto, non è stato raggiunto l'accordo; la Conferenza degli ambasciatori allora ha presentato delle varianti su cui dovranno appunto decidere i ministri degli esteri.

Le questioni rimaste da decidere sono le seguenti:

l) Denominazione dell'Organizzazione. Nell'ultimo capoverso del preambolo è detto «Ont en conséquence decidé de constituer un Conseil de l'Europe ...».

2 Non si pubblicano.

Mentre gli inglesi preferiscono tale dizione, le delegazioni italiana e francese hanno proposto che l'Organizzazione assuma il nome di «Unione Europea». La denominazione di «Consiglio d'Europa» può essere invece conservata per designare gli organi dell'Unione stessa. Nelle istruzioni impartite alla nostra delegazione infatti con telespresso n. 31/98 del 21 marzo3 era detto: «Quest'ultima denominazione (quella cioè di Unione Europea) parrebbe a noi più opportuna in quanto sembra meglio corrispondere agli orientamenti ed alle aspirazioni dell'opinione pubblica nei vari paesi». Sembrerebbe opportuno pertanto che su questo punto V. E. possa insistere;

2) Denominazione dello strumento formale col quale viene creata l 'Organizzazione. Nel progetto qui accluso redatto dalla Conferenza degli ambasciatori, la denominazione usata è quella di «Statuto». La delegazione francese, d'accordo con la nostra, ha proposto la denominazione di «Atto costitutivo»4 ;

3) Preambolo. Le delegazioni del Belgio, dell'Irlanda, del Lussemburgo e dei Paesi Bassi, preferirebbero che invece di richiamarsi ai «valori spirituali», il preambolo si richiamasse ai «valori religiosi o cristiani»5 . Gli inglesi e i francesi preferiscono l'espressione «valori spirituali» che non creerebbe alcuna difficoltà per l'eventuale adesione di Stati non cristiani. Anche il nostro punto di vista concorda a tal riguardo con quello inglese e francese. Inoltre sembra utile richiamare l'attenzione di V.E. sull'ultima frase del terzo capoverso del preambolo, là, dove è detto: « ... en vue de répondre à cette necessité et aux aspirations manifestes des leurs peuples, de créer une organisation groupant les Etats européens dans une association plus étroite». Si osserva che le aspirazioni manifestate dall'opinione pubblica, nei vari paesi, sembrano essere piuttosto nel senso che si debba andare in modo più chiaro, sebbene assai graduale, verso una unione o federazione e non già verso una semplice «associazione» sebbene «plus étroite»;

4) Lo stesso richiamo all'attenzione di V.E. viene fatto anche in merito alla prima frase dell'art. l ove è detto: «Le but du Conseil de l'Europe est de réaliser une union plus étroite entre ses membres ... »;

5) Art. 6. L'alternativa contenuta nella parentesi quadra circa la fissazione del contributo finanziario per un membro associato da invitare, va aggiunta o meno all'articolo solo dopo che sarà stato definito il testo dell'art. 38 che nel suo capoverso b) tratta della suddivisione delle spese comuni;

6) Art. 14. In questo articolo è detto che ogni volta che un rappresentante nel Comitato dei ministri non sarà in grado di partecipare alle riunioni, un supplente o sostituto potrà essere nominato al suo posto. «Chaque fois qu'un représentant n'est pas à mème de sièger, un suppléant peut ètre nommé pour occuper son siège». Tale dizione renderebbe possibile la designazione di supplenti che siano dei funzionari. Simile eventualità sembra che si debba in ogni modo evitare al fine di conservare sempre al Comitato un carattere prettamente politico e mantenerlo strettamente sul piano dei Governi. V.E. potrebbe avanzare pertanto una proposta di modifica;

4 Annotazione a margine di Zoppi: «la differenza non mi sembra rilevante».

5 Annotazione a margine di Zoppi: «Preferiamo anche noi».

7) Art. 16. Il detto articolo stabilisce che il Comitato dei ministri regola con effetto obbligatorio tutto ciò che riguarda il proprio funzionamento interno, facendo però salvi i poteri dell'Assemblea consultiva di cui agli articoli 24, 27 ecc. La menzione dell'art. 27 sarà necessaria solo se verrà adottata l'alternativa b) dello stesso art. 27 che riguarda le condizioni alle quali il Comitato dei ministri può essere rappresentato nei dibattiti dell'Assemblea;

8) Art. 20. Questo articolo concerne le votazioni in seno al Comitato dei ministri e stabilisce il principio generale che le decisioni del Comitato debbano essere prese all'unanimità. Rimane da stabilire definitivamente da parte della Conferenza dei ministri degli esteri se questa unanimità debba intendersi:

a) dei voti effettivamente dati (non calcolando cioè le astensioni);

b) dei voti dei rappresentanti presenti (tenendo conto cioè delle astensioni);

c) di tutti i rappresentanti aventi diritto di far parte del Comitato dei ministri (siano cioè presenti o no).

Sembra da parte nostra che converrebbe, per evitare una eccessiva rigidezza, di adottare la soluzione a) e cioè che sia sufficiente l'unanimità dei componenti il Comitato dei ministri votanti, senza tener conto delle astensioni. Infatti se si adottassero le soluzioni b) o c) si arriverebbe alla conseguenza che basterebbe l'astensione o l'assenza di uno dei componenti del Comitato per rendere impossibili le decisioni da adottare ali 'unanimità.

Nell'annesso all'art. 20 (pag. 19) sono poi elencate tutte le questioni per le quali basta una maggioranza di due terzi o anche una maggioranza semplice. Anche per questo però occorre che la Conferenza dei ministri degli esteri determini come si debbano computare tali maggioranze. La lettera c) dell'annesso all'art. 20 stabilirebbe, se la Conferenza dei ministri lo approva, che le risoluzioni del Comitato dei ministri in merito agli articoli 4 e 5 e cioè circa l'ammissione di nuovi membri, debbono essere adottate con la maggioranza di due terzi di tutti i rappresentanti che hanno il diritto di far parte del Comitato e con non più di due voti contrari.

Si richiama l'attenzione deli'E.V. sul n. 11) dell'elenco delle questioni per cui basta la maggioranza di due terzi ove è detto: «aux questions relevantes des Articles 8 et 9». Ora le questioni contemplate dall'art. 8 riguardano:

l) l'invito ad uno degli Stati membri a ritirarsi dall'Organizzazione; 2) l'espulsione di uno degli Stati membri. Sembra che trattandosi di materia di così grave importanza V.E. potrebbe proporre che la semplice maggioranza di due terzi non dovrebbe essere reputata sufficiente;

9) Art. 25. Disposizioni riguardanti l'Assemblea consultiva. Questo articolo, nell'affermare che l'Assemblea si compone dei rappresentanti di ciascuno Stato membro designati secondo la procedura che ciascun Governo vorrà adottare, deve anche stabilire se possono sedere quali rappresentanti n eli' Assemblea anche i membri del Comitato dei ministri o altri membri dei rispettivi Governi.

A tal proposito il nostro punto di vista è contrario a che membri del Governo o del Comitato dei ministri facciano parte deli'Assemblea consultiva e in tal senso vennero impartite istruzioni a Londra con telegramma n. 124 in data 30 marzo scorso6;

10) Art. 27. Con il presente articolo è stata sancita l'opportunità di assicurare un collegamento fra il Comitato dei ministri e l'Assemblea consultiva e a tal fine viene stabilito che i membri del Comitato, sia singolarmente che in rappresentanza del Comitato stesso, possono prendere parte ai dibattiti dell' Assemblea. Su tale articolo però non è stato raggiunto l'accordo e sono stati redatti tre testi uno dei quali dovrà essere prescelto dalla Conferenza dei ministri degli esteri. Si esprime il parere favorevole alla scelta del testo contrassegnato con la lettera c) poiché sembra il più semplice e chiaro. (Les représentants au Comité d es Ministres peuvent prendre p art aux débats de l'Assemblée Consultative dans l es mème conditions que l es membres de l'Assemblée. Toutefois ils n 'y auro n t pas droit devote);

11) Art. 29. Questo articolo stabilisce la norma generale che per le votazioni all'Assemblea consultiva occorre una maggioranza di due terzi. Anche in questo caso è rimasto da decidere se tale maggioranza vada calcolata in base:

a) al numero dei votanti, oppure;

b) al numero dei presenti.

L'alternativa b) è più restrittiva di quella a). La delegazione francese aveva proposto anche nel presente caso delle votazioni dell'Assemblea una terza alternativa ancora più severa, come quella dell'art. 20 sulle votazioni del Comitato e cioè i due terzi di tutti coloro che hanno diritto di far parte dell'Assemblea. Tale proposta che era stata fatta dai francesi per scoraggiare le assenze, non è stata però accolta perché eccessivamente restrittiva;

12) Art. 38. Ripartizione delle spese. Non è stato raggiunto l'accordo circa le proporzioni da adottare nella suddivisione delle spese del segretariato e di ogni altra spesa in comune. In questo caso gli Stati minori hanno chiesto che non venga applicato il criterio proporzionale al numero dei seggi occupati, ma quello proporzionale alla popolazione. La Conferenza dei ministri degli esteri dovrà decidere fra le seguenti due alternative: secondo il numero dei seggi o tenendo conto della popolazione. Il punto di vista della nostra delegazione è quello di preferire il criterio della proporzionalità secondo il numero dei seggi e ciò per ovvi motivi di semplicità e di stabilità;

13) Art. 41. Emendamenti allo Statuto. Nel paragrafo d) di questo articolo è menzionato anche l'articolo 11 in merito all'entrata in vigore di eventuali emendamenti. Il detto art. 11 stabilisce che la sede del Consiglio d'Europa è Strasburgo. I francesi sono contrari alla menzione dell'art. 11 e vorrebbero che tale menzione venisse soppressa perché non si rischi l'eventuale modifica della sede con una procedura semplificata che non comporterebbe la ratifica da parte degli Stati membri. Sembra a tal proposito che noi possiamo concordare col punto di vista francese;

14) La Conferenza dei ministri degli esteri dovrà anche prendere in esame l'eventuale ammissione della Grecia e della Turchia (telegramma da Londra

n. 132 del 7 aprilef.

842 1 Il documento fu in effetti trasmesso al segretario generale affinché lo consegnasse al ministro. Zoppi vi fece varie sottolineature e vi appose due note (indicate a suo luogo), non lo firmò, come fece per il D. 848 anch'esso preparato dall'Ufficio Organizzazioni internazionali del Servizio affari generali, ma lo consegnò ugualmente al ministro, come risulta dal fatto che è conservato tra le sue carte personali insieme al D. 848.

842 3 Vedi D. 602.

842 6 Non pubblicato.

842 7 Vedi D. 734, nota l.

843

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3536/92. Roma, 30aprile 1949, ore 13,15.

Ove per Eritrea non fosse possibile ottenere rinvio puro e semplice 1 , soluzione accettabile per noi potrebbe essere deferimento questione a Commissione studio composta da Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Francia, Etiopia, Sud Africa ed uno Stato sud-americano. Presenza Sud Africa potrebbe essere giustificata e sostenuta con suo interesse, come maggiore potenza africana, partecipare esame problemi che concernono quel continente, e con esperienza da esso acquisita in questioni convivenza tra comunità europee ed indigene. Quanto alla proposta inglese per la Libia di cui al suo l 092 essa rimane per noi inaccettabile3 .

844

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3567/94. Roma, 30 aprile 1949, ore 20.

Seconda formula americana di cui al suo 1121 appare una decente base discussione e potrebbe da noi essere presa in favorevole considerazione ma alla condizione che immissione nostri elementi nella superstite amministrazione provvisoria britannica fosse immediata anche se graduale.

Circa proposta per Eritrea confermo mio 92 incrociatosi col suo 111 2 .

845

IL MINISTRO A DAMASCO, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4409/24. Damasco, 30 aprile 1949, ore 18,45 (perv. ore 22). Suo telegramma 9 1 .

2 Vedi D. 836.

3 Con T. s.n.d. 3542/c., pari data, Zoppi trasmise il testo di queste istruzioni, a Londra, Parigi e Pretoria dando la facoltà a Quaroni ed a Jannelli di informame riservatamente i rispettivi Governi di accreditamento. 844 1 Vedi D. 839. 2 Vedi DD. 843 e 839. 845 1 Vedi D. 819.

Già in occasione mia visita colonnello Zaim giorno 21 corrente, di mia iniziativa, avevo richiamato sua attenzione su penosa impressione causata in Italia da recidiva intemperanza discorsi delegato siriano O.N.U. Colonnello si scusò dichiarandosi non al corrente.

Soltanto oggi ho potuto vedere ministro affari esteri Arslan di ritorno da un viaggio.

Confutando falsità asserzioni delegato ho accennato a preoccupazioni circa futuro relazioni italo-siriane. Arslan mi ha mostrato unico telegramma istruzioni impartite in data 26 che contiene due soli punti:

l) richiesta indipendenza ed unità Libia; 2) invocazione analogia isole italiane dell'Egeo che non sono ritornate Italia. Si è dichiarato spiacente ed ha promesso inviare istruzioni di moderazione a questi giovani intemperanti subdelegati2 .

843 1 Risponde al D. 839.

846

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4435/33. Varsavia, 30 aprile 1949, ore 23,40 (perv. ore 11,45 dello maggio). Telegramma ministeriale n. 161•

Direttore generale affari commerciali secondo informazioni ministro plenipotenziario Lypzowski mi ha informato che Governo polacco accetta discutere questioni finanziarie senza però potersi pronunciare, per ora, su validità nostra richiesta.

Esperti polacchi in materia sono impegnati da tempo in trattative del genere che hanno luogo a Varsavia con altri paesi. Allo scopo di venire incontro nostri desideri di avviare soluzione problemi senza perdita di tempo si suggerisce qui che qualche esperto italiano si incontri fine maggio a Ginevra con delegazione polacca per esame preliminare questione. Scelta sede è dovuta al fatto che il ministro Lypzowski, il quale è stato incaricato eventuali trattative con noi, è rappresentante polacco alla Commissione economica europea e partirà prossimamente per sessione plenaria Ginevra.

Mi permetto suggerire che Di Nola sia incaricato fare primi sondaggi Ginevra.

847

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BOGOTÀ, SECCO SUARDO

TELESPR. URGENTE 911/07. Roma, 30 aprile 1949.

Riferimento: Rapporto n. 280 dell7 febbraio 1949 1 .

Nulla osta da parte di questo Ministero a che codesta legazione prosegua le conversazioni già iniziate costà per la conclusione di un accordo di amicizia e collaborazione analogo a quelli stipulati con l'Argentina il Cile e l 'Uruguay. La favorevole accoglienza che è stata fatta ai sondaggi compiuti indurrebbe infatti a ritenere che il Governo colombiano apprezzi l'utilità di un rafforzamento dei tradizionali legami esistenti fra i due paesi.

Si lascia comunque a codesta legazione di scegliere la procedura più adatta, tenendo presente sopratutto che è nostro proposito evitare qualsiasi interferenza con le questioni di interesse interamericano specie nei riguardi degli Stati Uniti.

845 2 Con T. s.n.d. 4521/27 del 3 maggio Cortese aggiungeva: «È venuto a rendermi visita Faris Khoury che mi ha detto di avere anche egli scritto delegato supplente O.N.U. dandogli istruzioni attenersi riserbo serissimo».

846 1 Vedi D. 720. 847 1 Vedi D. 335.

848

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 30 aprile 1949.

Come linea generale mi sembra che a noi convenga aver sempre presente che il nostro scopo principale è quello di rafforzare quanto più possibile il Comitato dei ministri, dandogli prestigio, e assicurandone la competenza anche in questioni politiche: fame insomma l'organo vero e proprio di una Unione Europea o di un «concerto delle potenze europee», nel quale queste ultime dovrebbero poter trattare ogni questione di interesse europeo intendendosi per tali pure quelle concernenti gli interessi della comunità europea e dei suoi membri anche negli altri continenti. Ciò è molto importante per noi che non apparteniamo né all'O.N.U., né al Patto di Bruxelles e che non abbiamo sinora avuto alcun modo di intervenire nelle questioni germaniche che sono tra le più importanti dell'Europa.

Se per rafforzare il Comitato dei ministri fosse necessario condiscendere alla tendenza inglese a limitare l'importanza della Assemblea, mi sembra che non si dovrebbe esitare ad affrontare questo sacrificio. Tanto più che è da considerarsi già un ottimo risultato il fatto che l'Assemblea sia stata costituita, e che la storia insegna che, una volta costituite, le Assemblee pensano da sé, se bene coadiuvate dall'opinione pubblica (in questo caso dalle opinioni pubbliche dei vari paesi), a valorizzarsi sempre più.

Per quanto si riferisce alla ammissione di nuovi membri (vi è la candidatura della Grecia e della Turchia) è da tener presente un doppio ordine di considerazioni. Col nostro memorandum del 24 agosto 1 avevamo proposto che all'Unione Europea partecipassero tutti gli Stati che già collaborano all'O.E.C.E. Per conseguenza l'accoglimento di nuovi paesi nel Consiglio d'Europa risponde alla direttiva da noi scelta sin dall'inizio.

D'altra parte se vogliamo ottenere che il Consiglio d'Europa diventi un organo politico (che nelle nostre intenzioni ultime dovrebbe svuotare il «club» di Bruxelles)

non possiamo non tener conto del fatto che la Gran Bretagna sarà tanto più restia ad affidare al Consiglio la trattazione di importanti problemi, quanto più numerosi saranno i membri del Consiglio stesso.

Converrebbe quindi, pur riaffermando il principio da noi già sostenuto, non discostarci troppo, in pratica, dall'atteggiamento britannico.

848 1 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 350 e 351.

849

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A PARIGI

T. S.N.D. PER TELEFONO 3586/231 1 . Roma, JO maggio 1949, ore 13,30.

Ho telegrafato a Tarchiani2 informandolo aver ritrasmesso a V.E. suo 1133 . Ho aggiunto, a mio avviso personale, che formula per Libia appare ad un primo esame suscettibile offrire base possibile intesa, sempre che possa anticiparsi data a 1950 e dare inizio immediato a nostro graduale inserimento. Anche proposta Commissione dovrebbe essere composta in modo evitare trovarci, noi e Francia, in minoranza, e sua competenza dovrebbe essere ben delimitata onde evitare possa crearci difficoltà piuttosto che facilitare trapasso amministrazione o rendere addirittura illusorio nostro trusteeship. Ho aggiunto che in attesa istruzioni V.E.4 restava tuttavia da considerare, quanto alle procedure, se sia tatticamente opportuno dare nostra risposta prima che sia conosciuta quella inglese.

850

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 3607/1861 . Roma, 2 maggio 1949, ore 19,30.

Questo ambasciatore di Francia mi ha riferito oggi informazioni inviategli da Quai d'Orsay cui le aveva trasmesse delegazione francese New York, secondo le quali interesse inglesi ottenere immediatamente Cirenaica è tale che essi sarebbero alla fine disposti «qualsiasi condizione ivi compresa immediata assegnazione Tripolitania ad Italia». Inglesi escludono soltanto poter far pressioni in tal senso «sia in Assemblea sia nei corridoi». Tanto comunico per opportuna conoscenza ad ogni buon fine.

2 T. 3585/95 del l o maggio, non pubblicato.

3 Vedi D. 840.

4 Vedi D. 851.

849 1 Trasmesso, ad eccezione della prima e dell'ultima fase, anche a Gallarati Scotti con T. s.n.d. 3587/184, pari data.

850 1 Inviato anche all'osservatore presso le Nazioni Unite con il n. 99.

851

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 4451/239. Parigi, 2 maggio 1949, ore 11,101•

Suo 1132 .

Confermo quanto Zoppi ha telegrafato a V.E.3 Occorrerà peraltro che ella chiarisca che possiamo accettare Commissione per Tripolitania e non per Cirenaica e Fezzan perché ciò, date le condizioni di fatto, non costituisce discriminazione a nostro scapito.

Circa opportunità di dare una risposta prima che quella britannica sia conosciuta mi pare sarebbe opportuno darla verbalmente a Dulles come prova della nostra volontà di facilitare opera di lui. Ma si tratta di materia tattica che debbo lasciare giudicare da V.E.

852

IL MINISTRO A GEDDA, ZAPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4455/32. Gedda, 2 maggio 1949, ore 11 (perv. ore 13,45). Mio telegramma n. 301 .

Primo ministro yemenita ha così risposto: «Imam ha ordinato di telegrafare alla delegazione yemenita O.N.U. affinché sia dato seguito favorevole alla vostra richiesta». Ho telegrafato miei ringraziamenti ali 'Imam.

853

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4496/119. New York, 2 maggio 1949, part. ore 0,55 del3 (perv. ore 11,20).

Miei 111, 112 e 1131•

T. s.n.d. 3600/98, ore 13,45. 2 Vedi D. 840. 3 Vedi D. 849, nota 2.

Delegazione inglese ci ha comunicato oggi, in via confidenziale, che probabilmente (sebbene non si facciano eccessive illusioni circa successo) presenteranno loro progetto di risoluzione (mio telegramma 109f ma che eventualmente sarebbero preparati ad emendamenti latino-americani per Libia ed Eritrea. Per Libia non si opporrebbero, ma neppure lo appoggerebbero; per Eritrea dovrebbero opporsi.

Primitivo progetto Padilla (mio telegramma 113) non sembra incontrare approvazione arabi. Pur non !asciandolo cadere stesso gruppo ha perciò preparato, per iniziativa rappresentante brasiliano Muiìiz, secondo progetto che comunico con mio telegramma 1203 . Inglesi dichiarano però che questo sarebbe inaccettabile, mentre il primo (per quanto riguarda Libia), potrebbe essere preso in considerazione come emendamento proprio progetto.

Circa meriti rispettivi due progetti, entrambi accettabili come basi di trattative, progetto Muiìiz presenta a mio parere, almeno in un primo tempo, maggiori garanzie contro pericolo manovra inglese proclamare o fare approvare da Assemblea indipendenza per tutta la Libia; pericolo che viene prospettato in maniera sempre più concreta e che dobbiamo tener presente. Presenta invece inconveniente insito tutti rinvii; cioè che attuale impossibilità mettersi d'accordo si riproduca invariata in seno previste Commissioni per studio proposte e dia perciò, alla lunga, mano libera a Inghilterra per sue manovre. Inoltre non (dico non) possiamo essere sicuri che situazione Assemblea settembre si presenti altrettanto favorevole per noi quanto attuale.

Per quanto riguarda Eritrea tengo presente istruzioni di V.E. di cui a telegramma 92 4•

Progetto Muiìiz tiene già conto azione svolta in questo senso su latino-americani. Debbo però far presente che rinvio di una sola questione appare estremamente difficile ottenersi non fosse altro perché contrario desiderio e ambizioni latino-americani. Rinvio Eritrea implicherebbe probabilmente anche rinvio altre due questioni5 .

851 1 Questo telegramma giunse a Roma alle 12,30 e di qui fu subito rispedito a New York con

852 1 Vedi D. 820, nota l. 853 1 Vedi DD. 839 e 840.

854

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 44841120. New York, 2 maggio 1949, part. ore 2,39 del 3 (perv. ore 8).

Per Libia nuovo progetto latino-americano prevede che Assemblea affidi a Governi Egitto, Francia, Italia, Inghilterra, Stati Uniti incarico studiare termini e modalità trusteeship, a condizione che termini predetti comprendano clausole indipendenza Libia entro dieci anni. Per Eritrea progetto prevede che stessi Governi, con

3 Vedi D. 854. 4 Vedi D. 843. 5 Per la risposta di Zoppi vedi D. 857.

sostituzione quello etiopico a quello egiziano effettuino studi e formulino raccomandazioni circa futuro Eritrea tenendo conto affinità storiche, razziali e religiose tra popolazioni eritree e quelle paesi e territori adiacenti, nonché libera determinazione abitanti ed assicurazioni futuro sviluppo. Raccomandazioni in questione per Eritrea dovrebbero includere disposizioni perché appena possibile venga adottato trusteeship

o simile tipo amministrazione internazionale. Infine Governo italiano è incaricato preparare termini accordo suo trusteeship Somalia.

Progetto conclude prescrivendo che Governi sopramenzionati si consultino con Trusteeship Council o, a seconda casi, con Interim Committee e presentino loro conclusioni a quarta sessione Assemblea generale 1 .

853 2 Vedi D. 836.

855

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2002/483. Varsavia, 2 maggio 1949 (perv. il 12)

Riferimento: Telespresso n. 1966/478 del 28 aprile u.s. 1•

La risposta del Governo alla pastorale dei vescovi polacchi non si è fatta attendere ed è stata violenta. In un articolo pubblicato il 29 aprile dal quotidiano comunista Trybuna Ludu, e che accludo nella traduzione francese, si accusa l'Episcopato di non volere l'accordo con lo Stato, malgrado la volontà di gran parte delle masse popolari, di voler far credere ai fedeli che la Chiesa è perseguitata e di difendere apertamente i sacerdoti che durante l'occupazione collaborarono con i tedeschi.

L'articolo, dopo aver ripetuto le note accuse sui piani imperialistici del Vaticano, conclude dichiarando che non verrà tollerato questo atteggiamento diretto contro gli interessi della democrazia popolare e che certamente non mancheranno nel clero patrioti sinceri ed onesti cittadini che sapranno trovare una via comune con la «Polonia popolare».

Il giorno successivo l'articolo che porta la firma di Albrecht, membro del Comitato centrale e dell'Ufficio propaganda del P.Z.P.R., è stato riprodotto da tutti i giornali allo scopo di dargli la massima diffusione possibile.

Dopo questa risposta, in cui si invita in sostanza una parte del clero a ribellarsi all'autorità superiore per mettersi d'accordo con il Governo, mi sembra che non si possa più parlare di trattativa tra il Governo e l 'Episcopato. La lettera con la quale quest'ultimo accettava in sostanza di iniziare le discussioni per un regolamento giuridico delle relazioni fra Stato e Chiesa (vedi telespresso in riferimento) non è stata

855 1 Vedi D. 833.

ancora consegnata ed è da presumere che non lo sarà mai. Tanto più che il Governo non ha esitato a ricorrere nuovamente a mezzi intimidatori e, ritenendo per ora prematuro arrestare qualche vescovo, ha fatto arrestare il 27 aprile monsignor Kaczynski, noto prelato, che a suo tempo era stato ministro del Governo in esilio a Londra. Monsignor Kaczynski, che era consigliere del cardinale Hlond e successivamente del nuovo primate mons. Wyszynski, pur essendo stato sempre contrario ad un accordo con l'attuale regime si era mantenuto negli ultimi tempi molto prudente e riservato. Ma il Governo, mettendo la mano su di lui, ha voluto far capire ai vescovi, sopratutto a quelli più intransigenti come il suffraganeo di Varsavia Choromanski, che se le gerarchie ecclesiastiche non cambiano rotta esso non esiterà a ricorrere alle misure più drastiche, precisamente come è stato fatto in Ungheria, Romania e Bulgaria.

854 1 Per la risposta del Ministero vedi DD. 856 e 857.

856

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3627/101. Roma, 3 maggio 1949, ore 13,35.

Suo 120 1•

Progetto circa Eritrea si avvicina a quello da noi avanzato con telegramma 92 2 . Occorrerebbe però fare tutto possibile per includere Sud Africa in Commissione e per non (dico non) vincolare con troppe condizioni preventivamente fissate libertà di giudizio e proposte Commissione stessa3 .

857

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3628/102. Roma, 3 maggio 1949, ore 14.

Suoi 119 e 120 1 ( incrociatisi con mio 98)2•

Nuovo progetto latino-americano (Mufiiz) per Libia implica rinvio ogni decisione con incarico a Commissione Cinque studiare questione e presentare progetto a IV Assemblea. Esso non sembra felice, data composizione Commissione che ci lascia in

2 Vedi D. 843.

3 Per la risposta vedi D. 858.

2 Vedi D. 851, nota l.

minoranza. Preferiremmo progetto Padilla (suo 113)3 che corrisponde a seconda formula americana di cui suo telegramma 1124, da noi in massima ritenuto accettabile con intesa che compito Commissione consisterebbe nel regolare modalità trapasso amministrazione e cercando di fare possibile perché in Commissione stessa venga incluso anche uno Stato latino-americano (miei 955 e 966). Se esatto quanto riferito con mio 997 circa interesse inglesi ottenere subito mandato Cirenaica, quest'ultima formula dovrebbe poter avere qualche possibilità successo a preferenza progetto Mufiiz che infatti (suo 119) inglesi hanno già dichiarato inaccettabile.

856 1 Vedi D. 854.

857 1 Vedi DD. 853 e 854.

858

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 4540/124. New York, 3 maggio 1949, ore 22,31 (perv. ore l O del 4). Suo 101 1 .

Ho fatto prudenti sondaggi per quanto riguarda possibilità includere Sud Africa in Commissione per Eritrea. Non è da escludere che in corso discussione si presenti forse opportunità farla proporre. Debbo però fare ogni riserva. Comune denominatore di tutti i progetti latino-americani è tentativo guadagnare o quanto meno neutralizzare voti arabi e asiatici. Sud Africa è in questo momento paese più impopolare presso quei gruppi ed è generalmente considerato esponente politica discriminazione razziale2 .

859

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATA A TEHERAN E ALLE LEGAZIONI A BEIRUT, DAMASCO E GEDDA

T. S.N.D. PRECEDENZA ASSOLUTA 3671/c.1 . Roma, 4 maggio 1949, ore 18,30.

Con telegramma a parte 3672/c.2 trasmetto testo risoluzione proposta da delegazione britannica e controproposta sud-americana relativamente questione colonie. Pre

4 Vedi D. 839.

5 Vedi D. 849, nota 2.

6 Del l o maggio, non pubblicato.

7 Vedi D. 850, nota l.

gola attirare d'urgenza su due progetti attenzione codesto Governo ponendo in rilievo che per quanto riguarda Libia proposta sudamericana presenta garanzie preservare unità territorio molto maggiori che risoluzione inglese la quale, nonostante vaghi accenni futura unità, propone intanto effettivo distacco Cirenaica. Per quanto riguarda Eritrea progetto inglese prevede annessione Etiopia di regioni con popolazione musulmana e annessione rimanente territorio a Sudan che è ancora lontano dall'ottenere indipendenza. Invece progetto sud-americano mira formare in Eritrea uno Stato musulmano indipendente conformemente desiderata grande maggioranza popolazione. Occorre che codesto Governo invii massima urgenza a propria delegazione O.N.U. istruzioni votare contro progetto inglese e a favorire progetto sud-americano. Telegrafi3 .

857 3 Vedi D. 840.

858 1 Vedi D. 856. 2 Zoppi rispose con T. s.n.d. 3677/104 del 4 maggio: «Mi rendo conto giuste considerazioni. Converrebbe allora almeno cercare ottenere inclusione rappresentante gruppo sud-americano». 859 1 Le stesse istruzioni furono inviate con telegramma separato (T. s.n.d. 3676/2 per Baghdad, 33 per New Delhi) anche ad Errera e Carrobio che risposero rispettivamente con i DD. 892 e 866. 2 Vedi D. 860.

860

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE AMBASCIATE A NEW DELHI E TEHERAN E ALLE LEGAZIONI A BAGHDAD, BEIRUT, DAMASCO E GEDDA

T. S.N.D. 3672/c. Roma, 4 maggio 1949, ore 18,30.

Progetto inglese propone:

l) circa Libia: a) raggiungimento indipendenza, dopo periodo interinale assistenza e tutela, entro dieci anni se Assemblea generale lo riterrà territorio pronto per tale status; b) Cirenaica, senza pregiudizio su susseguente in corporazione Libia, da essere immediatamente posta sotto sistema tutela con amministrazione britannica;

c) Governi Egitto, Francia, Italia, Regno Unito, Stati Uniti devono studiare termini e condizioni secondo i quali resto Libia possa essere posto sotto sistema tutela e sottoporre proposta a quarta sessione Assemblea generale;

2) circa Eritrea: territorio, meno provincia occidentale, deve essere incorporato Etiopia; provincia occidentale incorporata Sudan; 3) circa Somalia: territorio posto sotto tutela italiana.

Progetto latino-americano raccomanda:

l) circa Libia:

a) concessione indipendenza entro dieci anni data adozione risoluzione se Assemblea generale deciderà allora essere ciò opportuno; nel frattempo, in vista promuovere unità preparare indipendenza, venga posta sotto tutela internazionale; e a tale scopo:

b) Governi Francia, Italia, Inghilterra, Stati Uniti, Stato arabo studino termini e condizioni alle quali Libia possa essere posta sotto sistema tutela internazionale e che predetti Governi sottopongano alla quarta sessione regolare Assemblea proposta per tali termini e condizioni;

2) circa Eritrea: a) concessione indipendenza dopo un periodo interinale sotto sistema tutela internazionale; e a tale scopo:

b) Governi Etiopia, Francia, Italia, Inghilterra, Stati Uniti intraprendano studi e raccomandazioni concernenti futuro Eritrea prendendo in considerazione affinità storiche, razziali, religiose, popolo eritreo con popoli Stati o territori vicini come pure libera determinazione suoi abitanti e assicurazioni su futuro sviluppo purché predette raccomandazioni includano misure per trusteeship o altra simile amministrazione internazionale qualora possibile;

3) circa Somalia: idem come Libia omettendo menzione dieci anni e sostituendo Etiopia a Stato arabo.

859 3 Per le risposte da Teheran, Beirut e Damasco vedi DD. 908, 870 e 886. Zappi comunicò (T. s.n.d. 4765/36 de11'8 maggio) di aver ricevuto solo una generica assicurazione di esame della proposta italiana.

861

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A LONDRA

T. S.N.D. 3673/193. Roma, 4 maggio 1949, ore 18.

Tarchiani telegrafa 1 McNeil presentato ufficialmente noto progetto britannico. Foster Dulles appoggiatolo ammettendo per altro essere possibile costruttivi emendamenti che possano soddisfare in qualche modo aspirazioni italiane Libia, mentre dichiaratosi favorevole spartizione Eritrea tra Etiopia e Sudan. Latino-americani presentato controproposta che trasmetto con telegramma successivo2 .

862

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A LONDRA

T. S.N.D. 3686/195. Roma, 4 maggio 1949, ore 21,30.

Mio 193 1 . Ambasciatore di Francia mi ha oggi fatto conoscere che delegazione francese

O.N.U. considera nelle attuali circostanze progetto latino-americano di cui al mio telegramma 1942 accettabile, sia come eventuale soluzione rinvio sia anche soltanto a

fini tattici per compiere nuovo tentativo indurre inglesi, di fronte prospettiva rinvio totale, a modificare loro atteggiamento. Riservando giudizio definitivo V.E., ho detto che condividiamo tale parere; che converrebbe tuttavia cercare migliorare composizione Commissione includendovi almeno un sudamericano.

861 1 T. s.n.d. 45411123 del3 maggio, ore IO, di cui questo telegramma, trasmesso anche a Quaroni (n. 240), è una sintesi. 2 Vedi D. 862, nota 2. 862 1 Vedi D. 861. 2 T. s.n.d. 3674/194 (Londra) 241 (Parigi) del4 maggio, ritrasmetteva il T. s.n.d. 4542/122 del 3 maggio da New York contenente il testo definitivo del documento anticipato con il D. 854.

863

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 4547/185. Londra, 4 maggio 1949, ore 11,15 (perv. ore 14,20).

Lavori Unione Europea finiranno decentemente ma con maggiori riserve ed ostacoli dei previsti a causa renitenza particolaristica degli Stati nordici mossi forse paura del vicino sovietico.

Ieri sera mio primo breve scambio di idee con Bevin circa colonie. Mi chiese aiutarlo per Cirenaica. Gli risposi che nostro appoggio aveva un solo nome: Tripolitania. Lo rivedrò 1•

Miei doveri e contatti utili finiranno venerdì. Giorno stesso o sabato partirò per Roma2 .

864

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 4571/186. Londra, 4 maggio 1949, ore 19 (perv. ore 24).

Avendo riparlato con Strang dei più recenti sviluppi a Lake Success, ho riportato chiara impressione che viva preoccupazione degli inglesi assicurarsi subito Cirenaica li porterebbe a dare loro consenso ad una soluzione per il resto della Libia solo se soluzione stessa sarà tale da garantire loro numero sufficiente di voti per Cirenaica.

Tale atteggiamento potrebbe anche voler dire un consenso a soluzione a noi favorevole per Tripolitania ma per il momento tattica inglese sembra essere quella di sondare attraverso varie formule reazioni gruppi contrastanti, specialmente gruppo arabo e gruppo latino-americano.

Atteggiamento finale sarà quindi deciso in base pura matematica dei voti. Il ministro vedrà domani pomeriggio Bevin proseguendo con lui conversazioni iniziate iersera e di cui egli telegrafa presidente del Consiglio1•

863 1 Vedi D. 875. 2 Il secondo capoverso, fino alla parola «Tripolitania» fu ritrasmesso a New York con T. s.n.d. 3705/107 del5 maggio.

865

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 4596/187. Londra, 5 maggio 1949, ore 11,12 (perv. ore 14,10).

La prego dire ai rappresentanti Grecia e Turchia quanto sono stato lieto poter patrocinare ieri le loro valide ragioni pel primo. Li assicuri che, data la situazione, ciò che è stato ottenuto anche col valido aiuto di Bevin e Schuman era il massimo possibile. Personalmente sarò felice rivedere a Strasburgo i due loro ministri degli esteri1•

866

L'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 4632/36. New Delhi, 5 maggio 1949, ore 19,20 (perv. ore 8 del 6).

Effettuati passi disposti con telegramma n. 33 1 esponendo considerazioni V.E. e facendo vive premure perché questo Governo aderisca nostra richiesta.

Foreign Office secretary, pur ricordando che, come ho riferito, India aveva deciso astenersi qualsiasi votazione che non (dico non) vertesse su proposta propria o rinvio puro e semplice, ha apprezzato personalmente mie argomentazioni ed ha promesso telegrafare delegazione indiana per maggiori dettagli e per conoscere parere anche in relazione atteggiamento altri paesi. Pur non nascondendo difficoltà ottenere quanto chiediamo ripromettomi rinnovare passi e prego V.E. telegrafarmi possibile precisione circa data prevista per la votazione2 .

866 I Vedi D. 859, nota l.

2 Per la risposta di Zoppi, vedi D. 872.

864 1 Vedi DD. 863 e 875.

865 1 Il testo del trattato istitutivo del Consiglio d'Europa, firmato per l'Italia da Sforza a Londra il 5 maggio, è edito in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l 'Italia e gli altri Stati, vol. LXVIII, cit., pp. 466-489.

867

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 4650-4651/134-135. New York, 5 maggio 1949, ore 20,05 (perv. ore IO del 6). Mio 128 1 .

Su proposta delegazione russa Comitato politico ha aggiornato discussione colonie (tratterà intanto questione spagnola) sino a lunedì pomeriggio, restando però intesi che, qualora qualche delegato desiderasse intervenire prima di allora, presidente avrà facoltà convocare seduta intermedia. Non (dico non) è escluso che lunedì stesso si possa avere una prima votazione.

Nella mattinata delegato belga ha proposto seguente emendamento a risoluzione inglese: Commissione cinque potenze per Tripolitania e Fezzan anziché limitarsi studiare termini e condizioni eventuale trusteeship (mio telegramma l 09)2 dovrebbe sottoporre Assemblea generale effettivo progetto amministrazione fiduciaria di modo che soluzione problema intera Libia sia contemporanea. Emendamento presenta ovvio inconveniente, che, mentre per Cirenaica viene già deciso trusteeship inglese salvo approvazione formale sessione settembre, decisione circa potenza amministratrice Tripolitania non è indicata e resta affidata, senza alcuna garanzia per noi, a Commissione. Delegato Haiti, contrariamente affidamenti dati, si è dichiarato contrario risoluzione latino-americani associandosi invece a quella australiana con precisazione peggiorativa nei nostri riguardi nel senso che dalla Commissione sette potenze dovrebbero essere esclusi tutti Governi interessati. Unico punto in nostro favore è stata ammissione che, contrariamente sua prima impressione, riconosce ora che spartizione annessione Eritrea non (dico non) sono accettabili.

È probabile che a tale emendamento si opporranno anche inglesi. D'altra parte probabilità successo proposta latino-americana non appaiono incoraggianti anche se proposta stessa, in quanto raccoglie firme diciotto delegazioni ed adesione alcune altre, dovrebbe aver raggiunto suo scopo tattico principale che era di liquidare automaticamente risoluzione inglese e di conseguenza mantenere ancora porta aperta ad altri tentativi di compromesso.

Allo stato delle cose si accentua però pericolo che venga accolta, come ultima alternativa possibile, proposta australiana eventualmente con qualche modifica, oppure rinvio puro e semplice di tutte le questione; soluzioni comunque molto meno desiderabili per noi di quella proposta da latino-americani.

Nostra azione in questi giorni, che tutte le delegazioni utilizzeranno per intenso lavoro di corridoio, dovrebbe perciò essere rivolta: l) a sostenere nella misura del possibile risoluzione latino-americana; 2) a indurre nostri amici notificare a anglo-americani che si opporranno a risoluzione australiana. Questa però, presentata come proposta procedura, potrebbe essere approvata con maggioranza semplice, il che renderebbe estrema

mente difficile suo respingimento; 3) a ricercare nuovo terreno di intesa con inglesi. Questi infatti, se veramente vogliono Cirenaica, dovrebbero essere disposti all'ultimo momento formula compromesso che potrebbe accostarsi prima formula Padilla.

867 1 Del 4 maggio, con esso Tarchiani riferiva ancora sulle discussioni intorno ai progetti di risoluzione per le colonie ex italiane. 2 Vedi D. 836.

868

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 46441136. New York, 5 maggio 1949, ore 20,06 (perv. ore 9 del 6).

Mi riferisco a quanto ho precisato coi miei telegrammi 134 e 135 1 circa possibilità compromesso con inglesi. Come è noto delegazione britannica si è opposta sinora recisamente a tutte le soluzioni proposte da latino-americani (precedentemente a risoluzione ufficialmente presentata) e particolarmente a prima formula Padilla Nervo (mio 113)2 . Alcuni membri delegazione americana lasciano intendere che ciò sarebbe dovuto unicamente a ostinazione Bevin. Comunque loro atteggiamento viene ufficialmente motivato col fatto che una soluzione del genere non avrebbe alcuna probabilità di essere approvata perché incontrerebbe sicuramente opposizione arabi e asiatici.

Obiezione ha qualche forza ma potrebbe essere superata sia convincendo questi gruppi sia spezzandone lo schieramento.

Ora inglesi si trovano di fronte a questo dilemma. Loro proposta non ha nessuna probabilità essere approvata ed essi lo riconoscono per primi. Possono ottenere al massimo soluzione simile a quella australiana. Ma ciò significherebbe rinunzia attuale Cirenaica con forte pericolo trovarsi di fronte situazione identica a settembre; oppure, se vogliono Cirenaica, debbono pagare prezzo che è quello di appoggiare attivamente, assieme ad americani, prima soluzione Padilla.

Un discorso di questo genere potrebbe forse essere fatto, come tentativo, dal nostro ambasciatore a Londra, possibilmente allo stesso Bevin3 .

869

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 46451137. New York, 5 maggio 1949, ore 20,06 (perv. ore 9 del 6).

In lunga conversazione con delegato danese signor Lannung ho avuto conferma che questi, anche se genericamente ben disposto nei nostri riguardi, è sotto forte influenza inglese.

2 Vedi D. 840.

3 Vedi D. 875.

Ho potuto anche accertare che egli non ha ferme istruzioni da parte suo Governo. In queste condizioni non è dubbio che egli voterebbe in favore per una soluzione che incontrasse egualmente nostro appoggio ed inglese, ma, costretto a scegliere tra due soluzioni opposte, voterebbe per quella inglese e contro nostra. In situazione analoga dovrebbe trovarsi anche Norvegia (Svezia avrebbe ricevuto istruzioni astenersi in qualsiasi caso).

È probabilmente impossibile ottenere che Danimarca e Norvegia votino per noi contro Inghilterra, ma dovremmo almeno tentare di ottenere che si astengano dal votare per qualsiasi soluzione a noi contraria.

Mi permetto suggerire opportunità vengano date istruzioni nostri ministri Copenaghen Oslo compiere passi senso suindicato. Prego telegrafarmi risultato 1•

868 1 Vedi D. 867.

870

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4649/33. Beirut, 5 maggio 1949, part. ore 0,50 de/6 (perv. ore 10).

Telegramma di V. E. 3671/c. del 4 corrente 1 .

Ho immediatamente visto Frangie il quale mi ha confermato avere giorni fa telegrafato Malik appoggiare progetto sudamericano per tutela a cinque su Libia. Egli ha aggiunto che ora, di fronte due proposte, sudamericana e inglese, che contemplano intero problema colonie italiane, egli deve, per inviare nuove istruzioni Malik, attendere ritorno presidente del Consiglio dal suo viaggio Cairo e Baghdad. Ritorno previsto per 7 corrente. Ha riepilogato sforzi compiuti dal Governo Libano per mettere nostra tesi in buona luce ma ha anche ricordato averci detto a suo tempo (mio telegramma 26 del 31 marzo u.s.)2 che di fronte a una precisa richiesta egiziana Libano non avrebbe potuto sottrarsi obbligo allineamento con altri Stati arabi. Libano è oggi particolarmente legato all'Egitto causa recenti avvenimento Medio Oriente e non può rischiare voto favorevole troppo indipendente. Malgrado ciò tenterà indurre Riad Solh e ambienti musulmani ad approvare ultima proposta sudamericana o, in estrema ipotesi, ad astenersi. Prevedendo maggiori difficoltà per proposta sudamericana dopo violenta e contraria presa di posizione da parte delegati Siria, ho frattanto, già da parecchi giorni, svolto massima possibile azione per premere su maggiori personalità del paese. Ho chiesto e ottenuto intervento colleghi sudamericani. Segnalo in modo speciale pronte demarches presso Governo Libano da parte questi ministri Argentina

2 Vedi D. 675.

e Cile. Nunzio apostolico, che gode qui grande autorità, ha per parte sua, aderendo con sollecitudine a mia domanda, effettuato passi presso presidente della Repubblica.

Continuerò compiere ogni possibile opera persuasione.

869 1 Zoppi ritrasmise subito questo telegramma (T. s.n.d. 3742 del 6 maggio, ore 15,30) a Copenaghen (n. 22) e ad Osio (n. 21) con le seguenti istruzioni: «Pregola adoperarsi d'urgenza nel senso richiesto e telegrafare». Per le risposte delle due legazioni vedi DD. 902 e 885.

870 1 Vedi D. 859.

871

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATA PERSONALE 463/1618. Parigi, 5 maggio 1949.

Ti riferisco quanto mi ha detto ieri sera il generale Revers che, come tu sai, è stato recentemente in America.

l) La battaglia contro gli inglesi, che volevano concentrare la preparazione militare tra l'Inghilterra e il Medio Oriente, lasciando da parte l'Europa continentale, è da considerarsi vinta. Lo Stato Maggiore americano nella ultima conferenza di Key West è arrivato alla conclusione, ormai ferma, che si può e si deve difendere l'Europa in Europa. Non ritiene che i vari tentativi subdoli che gli inglesi continueranno a fare per il loro punto di vista hanno delle chances di successo: naturalmente occorre che da parte francese ed italiana si continui ad esercitare la necessaria vigilanza ed azione. Egli ritiene che il successo di Israele ed il fallimento degli Stati arabi hanno scosso il prestigio della politica inglese al Pentagono. Non è così ancora al Dipartimento di Stato, ma alla fin dei conti è il Pentagono che ha l'ultima parola.

Esiste tuttavia, a questo riguardo, una certa differenza di opinione fra i vari servizi americani: l'Esercito è convinto della necessità della difesa dell'Europa in Europa: quasi allo stesso punto di convinzione è la Marina. Meno orientata in questo senso è l'Aviazione, molto orgogliosa e convinta di poter fare da sé e di non avere nemmeno bisogno di basi in Europa continentale. Non attribuisce importanza a questa differenza di opinione poiché tutti questi conflitti sono, in ultima analisi, arbitrati dal presidente, tramite la sua cancelleria militare. Ora, a parte Eisenhower, l'elemento più influente di questa cancelleria è il generale Wedemeyer, completamente acquisito a questo ordine di idee.

2) Mi ha confermato che l'argomento su cui si basano principalmente gli inglesi è la insicurezza politica e la scarsa efficienza amministrativa sul continente. A sua idea, questa impressione di insicurezza che effettivamente esiste in America, è un pochino più forte per quello che concerne l'Italia, che non per la Francia (Revers mi ha detto si tratta di gradazioni quasi imponderabili): ciononostante lo Stato Maggiore americano è deciso a tentare la chance: la maggioranza ritiene che sia appunto l'aiuto militare e la sensazione di sicurezza che ne può derivare, che può consolidare la sicurezza interna dei due paesi.

Con gli americani ha proceduto ad un esame approfondito della possibilità di guerriglia e di sabotaggio e sui mezzi migliori per prepararsi a combatterle, in caso di guerra.

Mi ha confermato la ottima impressione fatta in America dal generale Marras 1 .

3) Secondo il concetto americano la linea da difendere è la linea Luebeck-Trieste. Il programma immediato di riarmo per l'Europa è previsto per un effettivo di trenta divisioni (invece delle nove attuali) per il complesso Patto di Bruxelles, che dovrebbe arrivare a quarantacinque divisioni comprendendo anche l'Italia (per divisioni si intendono naturalmente divisioni modernamente efficienti). Questo programma dovrebbe essere pronto per il 1952, anno delle elezioni inglesi, delle nuove elezioni presidenziali in America: per quella data, e in vista di una situazione politica possibilmente indebolita, occorre avere raggiunto un minimo di sicurezza.

La cifra di trenta divisioni è stata dettata dalla necessità di non spaventare il Congresso (ha notato come i militari americani hanno una grande paura del Congresso). Risponde dall'altra parte ad uno scopo preciso. Si conta che attualmente i russi abbiano in Europa, fra Germania e paesi satelliti, trenta divisioni, magari non in perfetta efficienza, ma in grado di muoversi immediatamente: attualmente queste trenta divisioni possono overnm l'Europa. Il giorno in cui ci siano di fronte trenta divisioni europee (quarantacinque colle italiane), la Russia, in quanto tale, sarebbe sempre molto più forte, ma non potrebbe più effettuare un colpo di sorpresa: sarebbe necessaria una mobilitazione ed uno spostamento a piè d'opera di nuove forze considerevoli. Data la rete di spionaggio che esiste nei paesi satelliti e specialmente in Germania ed in Polonia, questi movimenti sarebbero segnalati a tempo e ciò permetterebbe alle forze, specialmente aeree, americane di arrivare in Europa e di iniziare il lavoro di contro preparazione.

Ritiene che l'opera dell'Aviazione americana, anche senza tener conto della bomba atomica, potrebbe essere molto efficace: basterebbe la distruzione dei sette ponti sulla Vistola per disorganizzare tutti gli apprestamenti russi.

Per arrivare a questo risultato per il 1952 è però necessario mettersi all'opera subito. Per queste ragioni i francesi hanno sostenuto, e secondo Revers con successo, la tesi che attualmente il paese che è maggiormente in grado di adoperare efficientemente il materiale americano è la Francia, perché essa dispone delle riserve istruite giovani che, completate con reduci giovani della guerra, possono costituire un numero rilevante di divisioni. L'Inghilterra, avendo adottato un sistema di mobilitazione del tutto nuovo, si trova, attualmente, in crisi e non potrebbe mettere in piedi, nei prossimi tre o quattro anni, che poche divisioni: lo stesso vale per Belgio e Olanda. Ritiene quindi che in un primo periodo l'aiuto militare americano all'Inghilterra sarà minimo.

Mi ha specificato che tutto questo non concerne l'Italia: non era al corrente della situazione italiana ma riteneva essa fosse analoga alla situazione francese; per cui anche noi saremmo stati in grado di usufruire subito del materiale americano. Comunque quanto mi diceva si riferiva esclusivamente al Patto di Bruxelles.

A mia richiesta se si era tenuto conto che questa concentrazione dello sforzo sulla Francia avrebbe avuto come contropartita negativa che la Francia avrebbe dovuto sopportare anche un corrispondente fortissimo peso finanziario, mi ha detto che questo era stato preso in considerazione senza che però fosse, per il momento, stata fatta una scelta fra i vari sistemi che si sarebbero potuti adottare per rimediarvi.

Ho capito che la preferenza francese sarebbe per una forma di mutuo aiuto per cui i paesi che beneficierebbero come sicurezza dello sforzo francese, dovrebbero contribuire con produzione od altri sistemi ad alleviare il suo carico. (Punto di vista che, come tu comprendi, anche ammettendo che non si applichi al caso nostro, può creare dei precedenti pericolosi e che comunque vale la pena di seguire attentamente).

4) Dovrà anche mettersi allo studio tutto un vasto programma di sviluppo delle comunicazioni intereuropee. Per quanto riguarda noi mi ha detto che in vista della funzione dell'Italia nella difesa dell'Austria, occorrerà, al più presto, vedere di aumentare le attuali vie di comunicazioni fra l'Italia e la Francia e quelle fra l'Italia e l'Austria del tutto insufficienti.

È anche stato iniziato l'esame del problema del riequipaggiamento e della distribuzione della industria bellica europea che bisognerà fare sotto forma di un divisione del lavoro. Sarà anche necessaria la costituzione di nuovi centri situati in località meno esposte ai pericoli di prima aggressione. Personalmente (e gli americani sono d'accordo) ritiene che sia necessario por mano senz'altro alla creazione di tutta una base di produzione in Africa del Nord (intesa in senso lato e cioè fino a Dakar), non con il concetto inglese di base di ritirata, ma zona di operazione e che possa quindi lavorare e produrre con tranquillità. Su questo argomento egli vede di particolare importanza la collaborazione itala-francese in quanto noi dovremmo, per questo, fornire la mano d'opera necessaria. A questo punto gli ho fatto presente che questo, pur interessandoci molto, solleva alcuni problemi interessanti. Noi, anche a parte il criterio difensivo, eravamo interessati alla messa in valore dell'Africa e desiderosi di contribuirci: ma comprendesse che era necessario che questa messa in valore, fatta con il nostro contributo, non andasse esclusivamente a beneficio di altri: bisognava quindi che ci si garantisse una certa e giusta partecipazione alla distribuzione di questa nuova produzione (anche in tempo di pace), e ad una facilitazione per quello che riguardava i mezzi di pagamento. Bisognava tener presente anche che noi non avevamo solo un problema di mano d'opera, avevamo anche quello, non meno grave, della superproduzione di proletariato intellettuale: bisognava quindi prevedere che la nostra partecipazione non fosse solo di operai ma anche di ingegneri, amministratori, personale di segreterie, e a latere medici ed altri. Un arrangiamento per cui noi avremmo assunto solo il lavoro manuale mentre tutto il lavoro direttivo e meglio retribuito andasse esclusivamente ai francesi, anche se accettato per ragioni speciali al principio, avrebbe costituito, per l'avvenire, una situazione che poteva diventare spiacevole. Mi ha detto di comprenderlo e che ne avrebbe tenuto conto. Mi ha detto incidentalmente di avere particolarmente insistito coi militari in favore della Tripolitania a noi e di avere trovato un ambiente comprensivo.

5) Circa la Germania mi ha detto che, da parte sua, era d'avviso, in principio, che bisognava prevedeme il riarmo: ma che conveniva andarci piano e non consentire il riarmo tedesco prima che fossero seriamente ricostituite le forze degli Alleati occidentali. Il primo passo doveva essere il concedere ai tedeschi una polizia ed una gendarmeria bien etoffées: poi si sarebbe passati alla costituzione di unità di fanteria tedesche, artiglierie ed il resto essendo alleate: ultimo stadio la costituzione di un esercito tedesco vero e proprio. Questa gradualità importava non soltanto da un punto di vista francese ma anche per le reazioni russe. Le sue informazioni, concordanti del resto con quelle americane, erano nel senso che non c'era nulla che potesse significare intenzioni aggressive russe immediate: ma era anche evidente che i russi consideravano il riarmo della Germania come l'ultima provocazione occidentale: si doveva supporre la possibilità di una reazione: meglio quindi graduare ogni misura nel tempo, fino a quando le forze alleate fossero sufficientemente ricostituite (come vedi qui le sue idee non concordano del tutto con quelle del generale Mastf

Mi ha detto che gli americani invece vorrebbero vedere al più presto costituite delle unità di fanteria tedesche: egli è stato impressionato dal fatto che tutto il comando americano è in mano ad ufficiali di origine tedesca, molti appena alla seconda generazione: le simpatie per la Germania sono molto forti, e grande è l'ammirazione per la fanteria tedesca. Le tesi americane hanno anche l'appoggio dei belgi e in misura minore degli olandesi: questi due paesi non vogliono spendere per il loro riarmo e piuttosto che mettere in piedi delle divisioni belghe od olandesi preferiscono si costituiscano di nuovo delle divisioni tedesche: gli inglesi sono invece piuttosto per la tesi francese.

6) Per quello che riguarda l'organizzazione, Revers ritiene che il Consiglio politico del Patto atlantico sarà piuttosto a Parigi: questa sarebbe anche l'opinione degli americani, che vorrebbero in questa maniera marcare il concetto europeo del Patto. È in previsione di questo, del resto, che Bohlen si è fatto nominare ambasciatore aggiunto a Parigi considerando che la sua vera funzione sarà quella di rappresentante americano in seno al Consiglio atlantico. Per quello che concerne il Consiglio militare, gli americani avrebbero una certa tendenza ad averlo a Bruxelles, gli inglesi lo vorrebbero a Londra, i francesi ed i canadesi lo desidererebbero a Washington: ritiene che alla fine sarà questa la tesi che trionferà perché conta di poter convincere gli inglesi che è anche loro interesse che il Consiglio sia a Washington.

Mi ha detto che, da parte americana, si è assolutamente decisi che a questo Consiglio militare ristretto non prendano parte che i rappresentanti di quattro paesi, Stati uniti, Canada, Inghilterra e Francia, di cui ognuno sarebbe trustee per un certo numero di altri paesi. Gli americani ne fanno una questione di segreto, e di impossibilità di parlare in gran numero: vogliono quindi !imitarlo ai paesi che oltre a contribuire più largamente possono dare maggior concorso di idee.

Sotto questo Consiglio dovrebbero essere costituiti, probabilmente in Europa, tre grandi comandi: un comando del Nord (paesi scandinavi) centrato sull'Inghilterra: l'attuale comando del Patto di Bruxelles che comprenderebbe la Francia del Nord: un comando meridionale, Francia Italia e Austria: il tutto attualmente però molto allo stato di progetto.

Ho detto a Revers che questa decisione, di cui eravamo già in parte al corrente, sollevava un problema psicologico molto delicato. Doveva rendersi conto che se il Patto atlantico fosse stato concluso nel 1939 nessuno avrebbe messo in dubbio che i quattro sarebbero stati cinque e il quinto l'Italia: ora questo tasto sarebbe stato particolarmente sensibile all'opinione pubblica italiana ed al nostro Esercito in particolare. Data la situazione di fatto poteva essere anche necessario che noi ci si adattasse: ma bisognava curare molto la cosa in vista anche delle relazioni italo-francesi. Come minimo urgente mi sembrava necessario:

a) stabilire al più presto dei contatti completi e permanenti fra i due Stati Maggiori, in maniera da creare in noi, al più presto, la sicurezza e la fiducia che i nostri interessi sarebbero stati senza riserve sostenuti dai francesi;

b) chiarire il concetto di segreto: va bene che per il segreto potesse essere conveniente ridurre il numero dei partecipanti: ma bisognava che noi fossimo sicuri che, da parte francese almeno, questi segreti ci sarebbero stati comunicati senza riserve. Quale che fosse il nostro stato attuale, non ci potevamo dimenticare che eravamo stati una grande potenza ed avevamo la nostra fierezza: non ci si poteva aspettare una seria collaborazione dell'Esercito italiano qualora esso fosse stato messo, fin dall'inizio, in una situazione di semi fiducia e di semi collaborazione;

c) mi sembrava necessario fare apparire la nostra rappresentazione per parte della Francia non come una imposizione, ma come il frutto di un accordo italo-francese, nel quadro dell'Unione doganale ed ammettere sia pure teoricamente il principio dell'alternativa, che cioè, ad un dato momento la Francia fosse rappresentata nel Consiglio dall'Italia.

Revers mi ha detto che comprendeva perfettamente il nostro punto di vista e che lo aveva fatto presente, senza successo però, agli americani. Per i punti a) e b) non vedeva nessuna difficoltà a metter! i in esecuzione: per il punto c) era personalmente d'accordo ma era una questione che superava le sue possibilità di decisione; comunque la decisione avrebbe dovuto essere accettata anche dagli americani, il che non era facile. Per tutta questa questione la cosa non poteva essere riveduta che da parte americana: era su di loro che dovevamo fare pressione: da parte francese, militare, non si sarebbe fatta opposizione (ci credo con qualche riserva, in fondo sono ben fieri di prenderei sotto la loro protezione).

Gli ho poi fatto osservare che anche per i punti a) e b) non vedevo le cose tanto chiare: la continuazione dei contatti Charriére-Fongoli era in realtà arenata e non vedevo nessun entusiasmo da parte del Quai d'Orsay a riprenderli. Non per quello che concerneva Schuman, ma certo che l'atteggiamento di Parodi mi sembrava a questo riguardo molto meno caldo di quello di Chauvel.

Revers mi ha detto che la mia impressione non era del tutto infondata. Parodi, come sapevo, era socialista, gli inglesi non vedevano molto di buon occhio il riavvicinamento italo-francese e cercavano di ostacolarlo in tutti i modi servendosi dei socialisti (anche per quel che concerne l 'Unione doganale i socialisti stanno un po' ciurlando nel manico, osservazione mia a te). Parodi era stato imposto al Quai d'Orsay dai socialisti ed era da considerarsi come l'occhio deli'Inghilterra al Quai d'Orsay. Riteneva però che non era il caso che ne esagerassi l'importanza: era stato contrario al Patto atlantico, e poi eseguiva gli ordini avuti: lo stesso avrebbe finito per fare nel campo dei rapporti italo-francesi. Schuman e Queuille stavano vegliando a che tutto andasse per le regole, e a riinquadrare i socialisti.

Tieni presente che tutta questa conversazione è stata considerata da Revers come personale e strettamente confidenziale: quindi per i miei futuri contatti con lui, che hanno per me grossa importanza anche per la sua influenza politica, è bene che le persone che eventualmente parleranno con lui a Roma fingano di non saperne nulla.

Di tutto quello che mi ha detto considero degno di particolare attenzione il fatto dell'aiuto alla Francia per lo sforzo che dovrebbe fare: sembrerebbe che non concerna noi, ma non si sa mai: dati gli umori italiani figuriamoci cosa succederebbe il giorno che scappi fuori che noi disarmati per trattato dobbiamo sussidiare, in qualche forma, l 'Esercito francese.

L'altra questione delicata è quella della nostra esclusione dal Consiglio superiore militare. In sé la cosa non mi allarma particolarmente. Belle parole a parte non si poteva sperare di essere fin dal principio in vere condizioni di parità: del resto ci saranno sempre delle gradazioni: sono sicuro che ci sono molte cose che gli americani non dicono a nessuno: ci sono certo delle cose di cui essi parlano con gli inglesi e non con i francesi, e così di seguito. In realtà è questione di tempo: alla fine finiremo per entrare anche nel Consiglio superiore: lo faremo tanto più presto quanto più presto daremo, in tutti i campi, una impressione di efficienza, e quanto più sceglieremo bene i militari italiani che avranno contatti sia con gli americani, sia con gli altri atlantici: scegliendo persone serie, intelligenti, e che siano in grado non solo di domandare eloquentemente cose per noi, ma anche portare un serio contributo di pensiero ai problemi generali: cosa non tanto facile. Comunque resta che la cosa è delicata e creerà dei fastidi interni. Non credo in realtà ci sia niente da fare: qualsiasi cosa ci sia da fare può essere tentata solo a Washington perché credo che ai francesi in realtà la soluzione non dispiaccia.

Ti prego inoltre, in quanto possibile, di tenermi al corrente del contenuto dei colloqui dell' aeroporto3 .

871 1 Vedi serie undicesima, vol. I, DD. 719, 761, 762, 765, 785 e, in questo volume, D. 3.

871 2 Vedi D. 743.

872

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO

T. S.N.D. 3743/34. Roma, 6 maggio 1949, ore 13,30.

Suo 36 1•

Delegato indiano O.N.U. ha presentato mozione perché Libia e Somalia, in attesa maturità indipendenza, vengano poste sotto tutela internazionale con amministrazione diretta O.N.U.; e perché segretario generale O.N.U. nomini Commissione internazionale sette membri incaricata accertare desiderata popolazioni eritree annessione parziale o totale Etiopia. Votazione prevedesi principio prossima settimana.

Intervenga nuovamente presso codesto Governo facendo presente che mozione indiana è destinata essere respinta per insuperabili difficoltà tecniche amministrazione collettiva; per non disperdere voti conviene pertanto che indiani appoggino mozione latino-americani di cui mio 3672/c. 2 che ispirasi principi e preoccupazioni molto vicini quelli mozione indiana3 .

2 Vedi D. 860.

3 Per la risposta vedi D. 883.

871 3 Non identificati.

872 1 Vedi D. 866.

873

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4672/86. Atene, 6 maggio 1949, ore 12,30 (perv. ore 19,15).

Punto di vista greco relativo questioni Dodecanneso concorda in linea di massima con nostro progetto eccezione fatta art. 5 su cui sperasi chiarificazione entro settimana. Sarebbe molto opportuno che analoga opera di chiarificazione e fiancheggiamento legazione venga ora estesa su questioni almeno tecnico-economiche beni italiani cui art. 79: se non che Palierakis ha opposto Colitto che discussioni già svolgonsi a Roma ove Governo greco ha inviato istruzioni e richieste a noi ignote.

Ritengo anzitutto che greci vogliano creare un certo dualismo fra codesto Ministero affari esteri e questa legazione e che questa sia interpretazione da dare alle dichiarazioni Palierakis ed alle succitate istruzioni a nostra insaputa inviate a Capsalis.

In merito poi all'eventuale accordo su art. 79, paragrafo l, informo avere accertato proposito dei greci di soddisfare minori interessi singoli connazionali concittadini ma volere escludere da riscatto preesistenti attività industriali e commerciali che dovrebbero concorrere alla ripresa nostra penetrazione economica in Grecia. Tale eccezione greca sarebbe in evidente e grave contrasto con accordo cosiddetto di collaborazione economica al quale verrebbe così meno spirito informatore 1•

874

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO 4683/35. Varsavia, 6 maggio 1949, ore 18,30 (perv. ore 1,10 del 7).

Il presente telegramma è riservato e fa seguito al precedente n. 341•

Come accennato con telespresso urgente n. 0172 , poiché l'atteggiamento avverso da questo Ministero degli affari esteri inizialmente manifestato negli scorsi anni relativamente al nostro credito prebellico appariva immutato, ho ritenuto opportuno

2 Del 30 aprile, non pubblicato.

di insistere presso questo Ministero del commercio estero dove la questione viene considerata nel più vasto quadro dei rapporti economici fra i due paesi.

Il sottosegretario Kutin si è dimostrato comprensivo ed abbiamo concordato, dopo esame della situazione, la sua venuta a Roma dove, all'inizio dei lavori delle due delegazioni, egli dichiarerebbe pubblicamente che l'Italia, per quanto riguarda la questione predetta, sarà considerata alla stessa stregua degli altri paesi e che i primi contatti saranno dai rispettivi esperti subito stabiliti a Ginevra.

Sarà bene che tale dichiarazione sia verbalizzata. Mentre in relazione alla stampa italiana la sua importanza è ovvia e non occorre illustrarla, ritengo invece opportuno segnalare che la delegazione polacca nelle trattative in corso con la Svezia, si sarebbe impegnata ad esaminare ed avviare la soluzione di problemi analoghi (che hanno portata ben più vasta del nostro).

Qualora la Svezia fosse disposta a firma per lunga durata, occorrerà che ciò si tenga presente per il caso in cui noi venissimo in tale ordine di idee. Il direttore generale degli affari economici parte per Ginevra oggi.

Mi permetto di esprimere il subordinato avviso che il sottosegretario Kutin sia da parte nostra oggetto segno di particolare attenzione.

873 1 Con T. 4717/88 del 7 maggio Prina Ricotti riferì ancora: «Secondo Pipinelis Capsalis ha sempre creduto essere desiderio Governo italiano di trattare ad Atene e concludere colà questioni di principio dell'annesso XIV mentre l'intera questione relativa all'art. 79 del trattato avrebbe dovuto essere parallelamente trattata a Roma da un sottocomitato già nominato. Ciò conferma il rifiuto di Palierakis di cui a mio telegramma 86 che impedisce a Colitto e questa legazione di svolgere azione di cui a telegramma di V.E. n. 45». Il T. 45 è pubblicato al D. 801, per la risposta vedi D. 929.

874 1 Del 5 maggio, non pubblicato.

875

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI 1

T. S.N.D. 4687/191 2 . Londra, 6 maggio 1949, ore 24 (perv. ore 3,30 del 7).

Oggi lunga conversazione con Bevin che si lagnò duramente della nostra opposizione per Cirenaica e di aver fatto intervenire il Papa in America latina. Gli mostrai il ridicolo del primo lagno e gli dichiarai che per la solidarietà sud-americana con noi non avevamo bisogno dell'intervento del Papa ma che se il Pontefice era veramente intervenuto ciò doveva insegnare a lui che almeno al Vaticano si interessavano del prestigio di un Governo che aveva reso qualche servizio all'Europa. La sola cosa che mi colpì fu la minaccia che sentii sincera di evacuare Tripolitania ciò che avrebbe creato dei disordini che ce l 'avrebbero fatta perdere per sempre.

Dopo lungo dibattere e dopo studio di un breve mio promemoria in cui asserivo non solo necessità per noi della Tripolitania ma anche che Massaua e Asmara non fossero date in mano Etiopia e dopo che Bevin ebbe invano dichiarato che tutta quanta Eritrea spettava ormai all'Etiopia, finimmo dopo tre ore per consentire formula seguente che colle stesse parole Bevin invia a McNeil:

2 Da Londra Gallarati Scotti trasmise al segretario generale questo telegramma di Sforza, che iniziava indicando il destinatario come segue: «Per presidente del Consiglio e per immediata comunicazione a Tarchiani di quanto gli occorra». Con T. s.n.d. 3775/110 del 7 maggio Zoppi lo trasmise a Tarchiani, a New York, specificando che non aveva ancora potuto sottoporlo al presidente del Consiglio, al momento in Sardegna.

«Assemblea Nazioni Unite raccomanda:

Libia: a) Cirenaica sarà posta sotto trusteeship internazionale e Gran Bretagna ne sarà potenza amministratrice; b) Fezzan sarà posto sotto trusteeship internazionale e Francia ne sarà potenza amministratrice; c) Tripolitania sarà posta sotto trusteeship internazionale alla fine del 1951 ed Italia ne sarà potenza amministratrice. Nel periodo interinale continuerà amministrazione britannica ma questa sarà assistita da Consiglio consultivo composto da Stati Uniti Gran Bretagna Francia Italia Egitto (o altro Stato arabo) e da un rappresentante popolazione locale. Competenza e doveri del Consiglio consultivo come pure sua sede nonché procedura per trapasso amministrazione all'Italia saranno definiti dai membri del Consiglio stesso in consultazione con autorità amministratrice.

Eritrea: con eccezione province occidentali, Eritrea sarà ceduta all'Etiopia ma questa mediante un trattato con Nazioni Unite darà garanzia di uno speciale statuto per le città di Asmara e Massaua. I termini di tale garanzia saranno stabiliti dalle Nazioni Unite in consultazione con l'Italia. Province occidentali saranno incorporate nel vicino Sudan.

Somalia: sarà posta sotto trusteeship internazionale e Italia ne sarà potenza amministratrice».

Qui finisce formula concordata. Ritengo in coscienza che questo è solo modo per salvare Tripolitania e le due città eritree. Ritengo che è solo modo andare pacificamente Tripolitania perché senza questo accordo romperemmo forse per lungo tempo con Inghilterra che ci creerebbe in Africa ogni sorta di difficoltà. Eviteremo e rivolte e due anni di spese militari avendo invece tempo di prepararci. Se si specifica agli italiani a quale passato e quali pericoli sfuggiamo questo sarà un successo.

Parto domattina per Parigi Roma mentre Bevin parte per Berlino. Ho lasciato Gallarati Scotti ogni necessaria istruzione.

875 1 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 159-161.

876

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4 7 4/1681. Parigi, 6 maggio 1949 (perv. il l 0).

Riferimento: Mio telespresso n. 443/1563 del 28 aprile u.s. 1•

Il comunicato sulla riunione del Consiglio dei ministri degli esteri, mi ha detto stamane il Quai d'Orsay, non ha bisogno in sé di particolari commenti: c'è solo da osservare che quando si parla di fine del blocco, si tratta unicamente della cessazione

delle misure dirette ad impedire il traffico, ma naturalmente permangono ancora moltissimi inceppi alle relazioni fra le due zone, a causa della presenza delle due monete, che presuppone tutta una congerie di controlli e di permessi.

Quanto all'ordine del giorno della riunione di Parigi, gli occidentali hanno finito per rivenire sulla loro primitiva intenzione di fissarlo dettagliatamente e rigidamente. Da come si mettono le cose e per quanto verrà accennato più oltre, si è ritenuto più conveniente di indicare nel comunicato solo gli oggetti principali e lasciare la porta aperta anche a più ampie discussioni.

Quello che è importante da rilevare è invece, ha detto il Quai d'Orsay, l'estrema arrendevolezza russa che ha caratterizzato i colloqui; i sovietici sono improvvisamente diventati malleabilissimi e sembrano disposti a tutto accettare. Ciò rafforza le prime impressioni avute dal Quai d'Orsay, porta cioè sempre più a pensare che i sovietici non solo vogliano l'incontro ma abbiano intenzione di arrivare ad ogni costo ad una sua favorevole conclusione.

Il ragionamento che il Quai d'Orsay attribuisce ai sovietici è il seguente: il blocco di Berlino, puntando sui contraccolpi in Occidente di uno smacco francoanglo-americano, era diretto ad impedire l'organizzazione della Germania occidentale sotto l'egida dei Tre. Il blocco di Berlino è stato invece un fallimento e nel frattempo gli sviluppi della politica alleata hanno portato da un lato a un certo miglioramento economico nelle tre zone, dall'altro alla costituzione, ormai imminente, dello Stato della Gennania occidentale; nel fondo poi si delinea l'inclusione della Germania occidentale nella organizzazione politica e militare antisovietica.

La Russia doveva fare qualche cosa per impedirlo: scartata la guerra, non rimaneva che un rovesciamento della sua politica; arrivare cioè alla ripresa dei colloqui con l'Occidente e alla formazione a qualsiasi costo della Germania unitaria. Naturalmente l'U.R.S.S. sa che per ottenere questa unità germanica dovrà fare dei grossi sacrifici, accettare, come già ha accettato, grosse perdite di faccia, altrimenti gli Alleati avrebbero ottimi argomenti per impedirlo. Ma questi sacrifici rappresentano un male minore ora, e a più lunga scadenza devono portare dei frutti. I sacrifici saranno: accettare una costituzione democratica di tipo occidentale, consentire ad aprire le porte della zona orientale, ecc. Ma quando la Germania unitaria, nel giro di qualche anno, ricomincerà a contare, costituirà un fattore politico indipendente, grossi atouts possono venire nelle mani dei sovietici e grosse difficoltà potranno sorgere per gli occidentali. Una massa tedesca di 65 milioni di abitanti potrà facilmente sconvolgere la nascente e timida Unione Europea. L'idea nostra, ha osservato il Quai d'Orsay, è stata sempre di risolvere il problema tedesco nel quadro dell'organizzazione europea, ma se si è costretti a far nascere una Germania unitaria prima che quella organizzazione sia sufficientemente cresciuta per annettersi utilmente i tedeschi, si rischia un fallimento completo.

Nel calcolo russo entrerebbe poi anche l'intenzione di portare un colpo diretto alla organizzazione atlantica che, per i francesi, è essenzialmente fondata sulla presenza delle truppe americane nel centro d'Europa. Ricostruzione di uno Stato tedesco unitario vuol dire fatalmente evacuazione e l'allontanamento delle truppe alleate vuol dire sguarnire le difese esterne del gruppo atlantico e rendere assai più evanescente la garanzia americana.

Se questo ragionamento è esatto -nessuna informazione diretta lo conferma ma solo la logica -la situazione in cui si troveranno i Tre a Parigi sarà quanto mai imbarazzante. Poiché è da presumersi che i russi non solo si presenteranno con delle tesi clamorose favorevoli alla Germania e alla sua unità, ma, come già a New York, saranno disposti ad ogni concessione, sì che gli occidentali difficilmente potrebbero ostinarsi nella opposizione senza esporsi pericolosamente.

Non ci rimarrebbe, ha continuato il Quai d'Orsay,-ed è per questo che sembra che si è voluto lasciare un ordine del giorno abbastanza elastico -che allargare le discussioni, cavar fuori altre questioni ancor più insolubili di quella tedesca, tentare di creare una generale confusione e mandare ali' aria la Conferenza. Ma è questa una cosa molto delicata, connessa com'è con tutte le sensibilità tedesche protese verso la unità del paese.

Comunque sia -questi calcoli dopo tutto potrebbero essere anche sbagliati allo stato attuale delle cose non resta, ha continuato il Quai d'Orsay, per gli alleati occidentali che prepararsi al peggio nella maniera migliore, concertando una linea di condotta unica. Il che sarà fatto nei prossimi giorni.

Una idea che ritengo il Quai d'Orsay cercherà di sviluppare nelle conversazioni a Tre è quella -Schuman ne ha accennato in una dichiarazione alla stampa e il Quai d'Orsay me ne ha riparlato -di mantenere la Germania divisa in due, costituendo al di sopra dei due Governi zonali una specie di supergoverno federale con un controllo a quattro.

Non so quanto questa idea potrà aver fortuna; credo, da come parla il Quai d'Orsay, che i francesi stessi, pur vedendovi la soluzione migliore per loro, non si facciano molte illusioni e siano fin d'ora rassegnati a non rifiutarsi ad un eventuale progetto basato sulla estensione della costituzione di Bonn a tutta la Germania con libere elezioni in tutte le zone. Il più grave sarebbe, come sottolinea il Quai d'Orsay, il problema dei controlli, dato che, una volta ammessa l'unità germanica, sarebbe difficile di evitare la pericolosa intrusione dell'U.R.S.S. in certi settori molto delicati.

Fin qui le osservazioni che ci sono state fatte dall'Ufficio competente del Quai d'Orsay, la realtà è che man mano che la iniziativa sovietica si delinea e si afferma, gli occidentali in generale (anche a questa ambasciata di America mi si è ultimamente parlato di nervosismo, di preoccupazione, di trae) ed in particolare i francesi si rendono meglio conto dei pericoli e dei trabocchetti che li attendono, se l'offensiva di pace sovietica in Germania si prosegue e si sviluppa.

I francesi sono sempre stati attanagliati da due preoccupazioni di senso contrario: quella dell'aggravarsi della tensione russa-americana in maniera di minacciare un conflitto e quella di un accordo fra americani e russi dietro le loro spalle

o sulle loro spalle. Queste due costanti ansie della democrazia francese spiegano le reazioni e le contro-reazioni di soddisfazione e di timori; quelle passate e quelle di questi giorni.

L'idea della ripresa dei colloqui a quattro è stata infatti sempre un desiderio dei francesi, ma ora che sta diventando realtà preoccupazioni opposte stanno prendendo il sopravvento; non tanto, adesso, che gli americani si accordino direttamente con i russi lasciando fuori i francesi, ma che le cose, una volta messe in moto, vadano fatalmente troppo avanti, che non si riesca a sottrarsi a delle soluzioni che peggiorerebbero la situazione attuale e creerebbero per la Francia pericoli maggiori, rendendo sempre più vane le sue aspirazioni sull'assetto della futura Germania.

876 1 Con esso Quaroni aveva riferito circa le trattative preliminari, con particolare riferimento ai colloqui Jessup-Malik, in vista della riunione del Consiglio dei ministri degli esteri delle quattro grandi potenze. Si veda Foreign Relations ofthe United States, 1949, voi III, cit., pp. 750-751.

877

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 813/051. Atene, 6 maggio 1949 (perv. il 7).

Tsaldaris, richiamandosi a collaborazione personalmente promessagli da V.E., prega mio mezzo fargli sapere se in recenti numerosi contatti avuti da V.E. sia risultato che Russia abbia intenzione, a negoziati per Berlino, abbinare accordo per una sistemazione balcanica o comunque abbia parlato del problema greco.

Dissemi ritenere che di fronte eventuale iniziativa russa nei Balcani punti di vista italiano e greco dovrebbero coincidere. Sembravami molto preoccupato di una eventuale aperta ingerenza russa nel settore balcanico e per prima volta implicitamente ammetteva riconoscimento importanza appoggio italiano.

Penso che recente dichiarazione Acheson di non volere in alcun modo intervenire in Cina nonché rifiuto America considerare per ora patto mediterraneo dopo esclusione Grecia e Turchia da Patto atlantico ed infine le difficoltà incontrate da Grecia e Turchia persino a partecipare al Consiglio europeo cominciano a far riflettere Tsaldaris su sua errata e megalomane impostazione politica che lo ha condotto a sempre aggiornare un sostanziale riavvicinamento italo-greco alimentato anche da sciocca diffidenza pel Dodecanneso e Corfù e con pretesti d'ogni genere sin'oggi frapposti, da parte greca, ad una realistica e rapida liquidazione del passato su esempio francese.

Prego esaminare possibilità soddisfare richiesta Tsaldaris e nel contempo prego darmi precise istruzioni nell'eventualità che, nel nuovo quadro relazioni italo-albanesi, in un prossimo incontro conversazione avesse da cadere sul delicato problema albanese a proposito del quale V.E. conosce intenzioni confessatemi da Tsaldaris (mio telespresso urgente n. 012 del9 febbraio c.a.) 1•

878

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1952/392. Vienna, 6 maggio 1949 (perv. il 9).

Dopo le comunicazioni che feci il 3 febbraio a questo Governo, come da istruzioni di V.E. di cui al telegramma n. 22 in data l 01 , mi sono in genere astenuto dal ritornare in argomento con questo Ministero degli esteri, in modo da accentuare

878 1 Vedi DD. 216 e 233.

ormai un certo disinteresse per quello che potesse essere fatto o non fatto in argomento da parte del Governo austriaco e sottolineare la nostra libertà di azione.

Naturalmente non ho per contro mancato di seguire lo svolgersi della situazione presso gli uffici consolari e presso gli optanti e, nei limiti del possibile, presso le autorità austriache, quei nuclei o organizzazioni che più si interessano da vicino alla questione.

In linea generale mi risulta che è stata attivata la preparazione per definire le varie questioni previste dall'Accordo di Parigi e che per una ragione o per l'altra non hanno potuto ancora essere definite.

Si ha così il desiderio di affrettare l'entrata in vigore dell'accordo per l'abolizione del visto sui passaporti, che, almeno provvisoriamente, chiude la questione del traffico privilegiato persone tra Tirolo e Alto Adige. Ne ho riferito col mio più recente telegramma n. 94 del4 corrente2 •

Per quanto riguarda l'accordo per il reciproco riconoscimento dei titoli di studio di cui al connesso IV n. 3 lettera b) dell'Accordo di Parigi, e di cui alla corrispondenza con la Direzione generale affari culturali, mi riferisco al mio telegramma n. 88 del 28 aprile nonché al più recente n. 93 del 3 corrente3 .

Come pure ho riferito, il ministro Versbach che si trova ora a Roma è stato incaricato di occuparsi tanto dell'una che dell'altra questione.

In tale modo il quadro dell'Accordo di Parigi nella sua parte esecutiva verrebbe esaurito.

Circa la questione optanti mi risulterebbe, da fonti indirette, che le assicurazioni date da V.E. al ministro Schwarzenberg in data 4 marzo u.s. 4 , anche in relazione al contenuto del promemoria rimesso al ministro Schwarzenberg il 9 marzo u.s. 5 verrebbero interpretate nel modo seguente:

-il Governo italiano avrebbe rinunciato in sostanza al provvedimento legislativo che era stato minacciato, e senza innovazioni fondamentali della legge delle opzioni si procederebbe al massimo ad una più accurata indagine circa la cosiddetta «libera espressione di volontà» per un certo numero di casi limite in cui gli interessati stessi di «pressioni» o «coazioni morali» abbiano parlato.

-Qualsiasi innovazione sostanziale della legge delle opzioni o nella applicazione o interpretazione della stessa non avverrebbe, giusta la promessa di V.E., senza una previa consultazione con il Governo austriaco, in modo da concordare il da fare.

Queste informazioni sono assai recenti, e pur non potendo garantirne l'autenticità, potrebbero spiegare quel senso di moderato ottimismo che anche recentemente segnalavo con lettera personale a S.E. il segretario generale6 .

Per quanto riguarda le questioni patrimoniali ho riferito con il mio telegramma del 5 corr. n. 972 . A parte il dettaglio, la questione rientra nel quadro generale sopra accennato.

Al tempo stesso, sarebbe in preparazione una serie di disposizioni per cui verrebbe dato valore più impegnativo, oltre che di completamento, a quanto contenuto nelle note deliberazioni del Consiglio dei ministri dell'autunno scorso:

3 Non pubblicati.

4 Vedi D. 483.

5 Vedi D. 519.

6 Vedi D. 751.

a) per tutti coloro che hanno revocato l'opzione verrebbe confermata la nota equiparazione del 1945 fino al rimpatrio;

b) per coloro che non hanno revocato l'opzione, ma chiesto la cittadinanza austriaca verrebbe assicurata una certa correntezza e maggiore rapidità nella trattazione di questa domanda;

c) per coloro che non hanno revocato l'opzione né chiesto la cittadinanza austriaca verrebbe fissato lo stato di apolidi e non parlato di cittadinanza germanica, per ragioni molteplici e in particolare: l) perché l'Austria non vuole assolutamente riconoscere gli accordi Hitler-Mussolini; 2) perché la dichiarazione di cittadinanza germanica di quegli optanti li pregiudicherebbe, almeno ancora, gravemente dato che sarebbero minacciati di esproprio dei beni da loro posseduti e che diverrebbero «proprietà tedesca» in senso giuridico e tecnico;

d) in genere rimarrebbe aperta sempre la possibilità di acquisto individuale;

e) il Governo austriaco nella trattazione di ogni domanda, passata, presente, futura, di acquisto di cittadinanza da parte di Volksdeutsche applicherebbe come criterio di esclusione un concetto di carattere «epurativo» tipo art. 5 della nostra legge sulle opzioni, con tutti quegli adattamenti e aggiornamenti che oggi comporta la così mutata situazione psicologica e politica in materia di epurazioni;

f) a tutti i Volksdeutsche, cittadino o no, come ha del resto già dichiarato giorni fa il ministro dell'interno, verrebbe comunque assicurata la ulteriore e indefmita permanenza in Austria con la conservazione in particolare dei loro posti di lavoro, impieghi, attività, ecc.

Per le ragioni di cui al mio telegramma 96 del 4 corrente7 ho la impressione che non sia ormai più tenibile a lungo la situazione attuale, senza scoprire la realtà.

Dai vari uffici consolari mi viene anche segnalato una crescente richiesta di informazioni circa la sorte delle domande di revoca di opzione presentate, anche perché oltre l'arresto delle comunicazioni di ricevimento delle domande da parte della Prefettura di Bolzano, è anche sopravvenuto un rallentamento assai notevole per ragioni che ignoro e che potrebbero anche essere di coincidenza casuale, nell'arrivo di decreti di concessione di cittadinanza italiana8 .

877 1 Vedi D. 274. Per la risposta al presente documento vedi D. 927.

878 2 Non pubblicato.

879

IL CONSOLE GENERALE AD INNSBRUCK, BIONDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 57/4008. Innsbruck, 6 maggio 1949 (perv. iliO).

Riferimento: Telespr. n. 55/4007 del 5 c.m. di questo ufficio 1 .

A seguito del telespresso sopra indicato, si ha l'onore di comunicare che dalla stessa fonte si apprende quanto segue:

il 29 aprile c.a. sono giunte alla Landesregierung del Tirolo «disposizioni» riguardanti l'eventuale conferimento della cittadinanza austriaca agli alto-atesini optanti e rioptanti.

Tali disposizioni, premesso che tutte le domande di conferimento della cittadinanza austriaca presentate dagli alto-atesini sino ad oggi sono e resteranno inevase, preciserebbero come segue le direttive da tenere presente per il futuro:

l) Gli alto-atesini il di cui trasferimento in Alto Adige non può aver luogo per ragioni economiche o personali, possono presentare alle competenti autorità austriache (Capitanati distrettuali, Comuni, ecc.) un'istanza motivata e possibilmente documentata, specificando dettagliatamente i motivi che rendono impossibile il loro trasferimento in Alto Adige. I motivi riconosciuti come plausibili e degni di considerazione, sarebbero, per esempio: l'impossibilità di crearsi un'esistenza, d'iniziare un commercio o di avviare un'azienda, di trovare occupazione o alloggio, oppure quando la moglie ed i figli del petente siano in possesso della cittadinanza austriaca. Queste istanze verrebbero trasmesse a Vienna ad una Commissione speciale, appositamente costituita, alla quale spetterebbe l'esame di queste istanze. Riscontrandosi la realtà dei motivi addotti, sarebbe possibile il conferimento della cittadinanza austriaca anche prima del riacquisto di quella italiana da parte del richiedente. Verrebbero però prese in considerazione solo quelle istanze appoggiate da uno dei partiti politici attualmente esistenti in Austria.

2) Per i rioptanti, ai quali viene negato da parte italiana il conferimento della cittadinanza italiana, la Commissione, sul parere favorevole del Ministero austriaco, deciderà per la concessione della cittadinanza austriaca. Le persone di cui ai punti l) e 2) otterrebbero il conferimento della cittadinanza austriaca col pieno mantenimento di tutti i diritti acquisiti, cioè a dire senza pregiudizio per le pensioni, impieghi, ecc.

3) Tutti coloro i quali non hanno fatto uso del diritto alla riopzione per l 'Italia in base al D.L. 2 febbraio 1948 n. 23, potranno ottenere il conferimento della cittadinanza austriaca solo quando concorra il superiore interesse del paese e su motivato parere espresso dal competente Ministero. Sulle decisioni potrebbero favorevolmente agire i buoni uffici di uno dei partiti austriaci. La concessione della cittadinanza austriaca a tale categoria di persone sarebbe subordinata alla rinuncia da parte loro, rinuncia estesa a tutti i membri della famiglia, di qualsiasi diritto acquisito nei riguardi dell'Austria. In una parola tali persone non potrebbero in alcun caso rappresentare un aggravio per lo Stato austriaco.

L'informatore conferma che tali «disposizioni» verranno quanto prima rese di pubblico dominio mediante la stampa locale con un comunicato «opportunamente elaborato».

Aggiunge che negli alti ambienti della Landesregierung esisterebbe un vivo disappunto per il fatto che la Commissione di cui è cenno nelle «disposizioni», avrà la sua sede a Vienna e non ad Innsbruck.

Premesso che questo ufficio, pur potendo assicurare, in quanto ciò gli è stato confermato da diverse fonti, il particolare dell'arrivo alla Landesregierung delle «disposizioni» di cui sopra, e pur potendo definire «degna di fede» la fonte informatrice, deve ovviamente declinare ogni responsabilità circa l'esattezza dell'informazione ricevuta.

Considerato tutto l'atteggiamento austriaco nei riguardi della questione delle opzioni degli alto-atesini, valutati i molti e svariati sintomi, le impressioni degli informatori, ecc. si può giungere alle seguenti deduzioni:

in vista delle elezioni politiche ed in considerazione che sino al momento del loro svolgimento, la data non è stata ancora fissata, non sarà certamente definita la questione del conferimento della cittadinanza italiana alla massa degli optanti residenti in Austria, non era possibile non preoccuparsi di questo non insignificante numero di «elettori».

Che il tutto potrà ridursi ad una manovra, senza che l'Austria assuma impegni che non ha poi l'intenzione di mantenere, appare almeno molto probabile.

Del resto il testo stesso delle «disposizioni» sembra tradisca quanto già altre volte questo ufficio ha avuto occasione di segnalare e cioè che la concessione della cittadinanza austriaca agli alto-atesini sarebbe in genere subordinata alla loro condizione economica. All'Italia i nullatenenti, all'Austria i benestanti.

In proposito non è forse inopportuno segnalare che si sono già verificati casi di interventi di capitani distrettuali verso alto-atesini proprietari di industrie ed aziende importanti ed anche medie, per sollecitare loro la richiesta del conferimento della cittadinanza austriaca, al fine di evitare che tali industrie ed aziende diventino proprietà di cittadini italiani.

L'Austria inoltre sente pure la necessità di rimediare in qualche modo alle conseguenze della nota delibera ministeriale del 2 novembre 1948. Essa sa benissimo che l'impressione suscitata tra gli altoatesini non è stata favorevole. E, per quanto le reazioni non siano eccessivamente affiorate alla superficie, e pur avendo frattanto agito la lenta, ma sicura opera del tempo, l'Austria non può ugualmente esimersi dal compiere un gesto distensivo.

È evidente che l'Austria accusa la pesantezza di una situazione, quella creatasi dopo il 2 novembre 1948, dalla quale vorrebbe volentieri uscire. L'atteggiamento italiano rispetto alle domande di riopzione presentate dopo il 2 novembre 1948, viene generalmente addebitato all'Austria.

La prova di ciò è fornita dal sintomatico silenzio in proposito della stampa austriaca in genere, di quella tirolese in modo particolare. Dopo le prime reazioni e dopo l'ultima sfrontatezza, quella cioè di voler sostenere che la delibera del2 novembre 1948 rappresentava un atto di «generosità» verso gli alto-atesini, ad eccezione di qualche accenno incidentalmente fatto in occasione della trattazione di argomenti riguardanti l'Alto Adige, il tasto delle riopzioni è stato accuratamente evitato. E quando si pensi all'ininterrotto tambureggiamento della stampa, continuato per tutto un anno, sul binomio: Alto-Adige-opzioni, questo silenzio accusa chiaramente l'imbarazzo austriaco.

Non sembra quindi improbabile che il comunicato stampa, il quale dovrebbe dare al pubblico la versione del trattamento che l'Austria intende praticare agli altoatesini rioptanti e non rioptanti, sia redatto in modo da smuovere l'Italia ad uscire dall'attuale atteggiamento passivo e di attesa, invogliandola a pronunziarsi ed a prendere una decisione.

Questo ufficio sarebbe pertanto del subordinato parere che converrebbe forse fare di tutto per ottenere una precisa conferma del testo delle «disposizioni» viennesi e che, nel frattempo, si rimandasse ulteriormente ogni decisione circa il trattamento da usare ai rioptanti della seconda ondata. Sembra converrebbe attendere la «mossa» austriaca che potrebbe poi fornire lo spunto per quella opportuna nostra reazione basata su elementi positivi e pubblicamente noti.

Naturalmente non è escluso che l'Austria a sua volta faccia lo stesso ragionamento ed attenda invece di conoscere prima quali saranno le decisioni italiane.

Tuttavia si deve tenere presente che l'Austria è entrata nella fase della preparazione della lotta elettorale e pertanto in una particolare atmosfera di tensione politica nella quale predominano i particolari interessi dei partiti.

Questa situazione potrebbe anche forzare la mano inducendo a tenere in non cale il raziocinio, la ponderatezza, la valutazione circa la tempestività o meno di una manovra.

Sembrerebbe quindi che, mentre nulla ci impedisce di attendere ancora qualche tempo, l'Austria sia invece costretta a non indugiare oltre un certo limite. In proposito può acquistare un certo valore il particolare che le «disposizioni», frutto di trattative iniziate ai primi dello scorso marzo, siano ora finalmente giunte ai Governi regionali.

Si potrebbe pertanto ritenere attendibile il segnalato particolare di una prossima loro pubblicazione.

878 7 Con il quale Cosmelli aveva segnalato i problemi derivanti dalla soppressione delle comunicazioni da parte della Prefettura di Bolzano di conferma del ricevimento delle domande. 8 Per la risposta di Zoppi vedi D. 957. 879 1 Con il quale Biondelli aveva fornito le prime informazioni, ricevute da fonte confidenziale, sui provvedimenti in materia di opzioni adottati da parte austriaca.

880

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 111 7. Atene, 6 maggio 1949.

A integrazione del mio telegramma n. 80 del 29 aprile u.s. 1 chiarisco il concetto base che a Roma dovreste avere sempre presente per trattare con i greci costì. Pipinelis è l'inventore d'un sistema brevettato di ostruzionismo burocratico posto in essere qui da Contumas e costì da Capsalis.

Capsalis, per salvarsi la faccia con voi, fa le viste di stigmatizzare tutte le difficoltà che Lavdas vi inventa, viceversa è Capsalis che funge a Roma da strumento di Pipinelis e sfrutta l'atteggiamento di Lavdas. L'arrivo di Doxiadis (quando vi sarà possibile di farlo venire) sarà quindi un cambiamento di scena perché essendo lui l'esponente tecnico di chi vuole in Grecia concludere un vero accordo con l'Italia, non a solo nostro «dare» se egli, come mi si assicura, ha ottenuto «carta bianca», si deve ritenere che farà di tutto per giungere ad una rapida conclusione.

La «carta bianca» a Doxiades può perciò rappresentare la resa a discrezione di Pipinelis il quale, dopo il Patto atlantico, dopo le dichiarazioni di Acheson di non volere a nessun costo intervenire in Cina (cannonate alla «H. M. S. Ametiste» sul Yang Tse Kiang), dopo le risposte date a Sadak pel patto mediterraneo e dopo le difficoltà incontrate da Grecia e Turchia persino per partecipare al Con

sigli o europeo si sarà persuaso che non c'è niente da fare e che Contumas e Capsalis sono stuzzicadenti messi fra le ruote del destino che spinge la Grecia ad appoggiarsi all'Italia.

A riprova di quanto ti scrivo pensa che con lo scherzo della «globalità» siamo giunti oggi per andirivieni al punto di partenza e l'art. 79, par. l, di nuovo fa attrito come ti segnalo con il mio telegramma odierno n. 862 . Avevo dunque ragione quando l'anno scorso dicevo a Pipinelis questa vostra invenzione della «globalità» avrà per solo risultato quello di far perdere un anno di tempo.

880 1 Vedi D. 838.

881

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3804/111. Roma, 7 maggio 194 9, ore 19, 15.

Mio 1101 . Trasmetto a parte considerazioni presidente del Consiglio2 che ha inoltre raccomandato quanto segue:

È opportuno tener presente necessità evitare che in sede redazionale o di eventuali emendamenti intese intervenute a Londra3 subiscano alterazioni o interpretazioni che ne falsino sostanza e ne riducano portata tanto più che tali intese costituiscono limite estremo.

Circa Tripolitania, conformemente direttive precedentemente date, decisione relativa amministrazione fiduciaria italiana dovrà essere adottata da Assemblea fino da ora e quindi sarà contemporanea a quella relativa amministrazione inglese Cirenaica e francese Fezzan. Data 1951 dovrebbe essere intesa come termine massimo senza escludere possibilità accelerare tempi ove note preoccupazioni britanniche si rivelassero infondate. Comitato consultivo avrà competenza per periodo interinale amministrazione britannica e non oltre.

Circa Eritrea, qualora non vengano presentati e non prevalgano emendamenti rinvio, formula risoluzione che riguarda statuto speciale per città Asmara e Massaua da negoziarsi con Nazioni Unite in consultazione con Italia dovrà essere tale da non escludere massima latitudine detto statuto sino eventuale vera e propria internazionalizzazione predette città e applicazione garanzie che ne conseguono a tutti italiani Eritrea. Apposita Commissione internazionale dovrebbe venire costituita per studiare tale statuto cui entrata vigore dovrebbe essere contemporanea ogni altra decisione concernente quel territorio.

2 Vedi D. 882.

3 Vedi D. 875.

880 2 Vedi D. 873.

881 1 Vedi D. 875, nota 2.

882

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. s.N.o. 3807/c.1 . Roma, 7 maggio 1949, ore 21.

Opinione pubblica sarà certamente dolorosamente colpita da soluzione Eritrea. È perciò essenziale che impossibilità rinvio risulti evidente, e che nella presentazione appaia ineluttabile subire il compromesso per evitare perdita anche Tripolitania e risulti garantita con ogni possibile impegno la certezza del nostro ritorno in questo territorio2 .

883

L'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARRO BIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4701/38. New Delhi, 7 maggio 1949, ore 10,05 (perv. ore 11,20). Mi riferisco al telegramma di V.E. 341•

Appena pervenuta notizia circa mozione indiana avevo rinnovato passi tendenti convincere questo Governo difficoltà fare approvare e mettere in rilievo sensibile armonia mozione Sud America con i principi sostenuti dall'India. Foreign Office secretary, dopo aver dichiarato non essere stato preventivamente informato mozione indiana, mi ha detto aver telegrafato sua delegazione non insistere qualora venisse votazione proposta rinvio della questione. Pertanto mi sono sforzato dimostrare che sostanzialmente progetto Sud America significa facile rinvio con promessa indipendenza. Mio interlocutore, che spero rivedere oggi, pur mostrandosi sensibile mia argomentazione riservasi ulteriori comunicazioni non appena avuto notizia reazione delegazione indiana.

884

L'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4714/41. New Delhi, 7 maggio 1949, ore 15,45 (perv. ore 16,45).

2 Per la risposta vedi DD. 893 e 895. 883 1 Vedi D. 872. 884 1 Vedi D. 883.

Foreign Office secretary mi ha confermato aver telegrafato delegazione indiana non insistere propria mozione in caso che venisse votazione progetto rinvio con contemporanea istituzione commissione di studio incaricata sottoporre proposte concrete prossima Assemblea generale. Ambasciatore Menon ha aggiunto aver segnalato signor Setalvad che fra la mozione britannica e sudamericana, così come da me prospettato alla luce comunicazione questo Ministero, sembra preferibile l 'ultima, ed avergli chiesto precisione suo pensiero in proposito ed atteggiamento altri paesi. Ho naturalmente ribadito nostri argomenti in base alle istruzioni telegramma di V.E. 342 .

Prego telegrafarmi urgenza qualche notizia sullo schieramento attuale nei confronti proposte inglese latino-americana ed indiana3 .

882 1 Diretto per conoscenza anche alle ambasciate a Londra e Parigi.

885

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4735/54. Oslo, 7 maggio 1949, ore 16,20 (perv. ore 21).

In assenza ministro degli esteri ho veduto poco fa segretario generale degli affari esteri in merito al telegramma di V.E. 21 1• Mi ha risposto:

l) sino quel momento egli ignorava a quale punto fossero trattative per una soluzione di compromesso specie nei riguardi proposta di una tutela a quattro su Tripolitania e non in grado di dare quindi preciso affidamento circa adesione generica alla nostra richiesta;

2) che delegazione norvegese a New York ha istruzioni abbastanza late per determinare propria linea di condotta;

3) nell'informare delegazione stessa del nostro passo egli avrebbe chiesto urgenti dettagli circa stato attuale varie proposte onde poter sottoporre questione a Lange (che giunge qui stasera da Londra) e decidere se, alla luce di quanto da me fatto presente oggi, sia o meno il caso fornire in tempo utile specifiche istruzioni a New York. Aggiungo per conto mio che ho pochissima fiducia in una astensione norvegese per una soluzione patrocinata dalla Gran Bretagna. Mi richiamo su ciò a mio rapporto n. 330 del30 aprile u.s. 2 .

884 2 Vedi D. 872. 3 Nella lettera del 21 maggio diretta a Zoppi (vedi D. 965) relativa all'atteggiamento tenuto dalla delegazione indiana all'O.N.U. Carrobio rilevò il mancato invio delle notizie qui richieste. 885 1 Vedi D. 869, nota l. 2 Esprimeva riserve circa l'allineamento della Norvegia sulle posizioni inglesi.

886

IL MINISTRO A DAMASCO, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4742/29. Damasco, 7 maggio 1949, ore 19 (perv. ore 24).

Suo telegramma 3671/c. 1• Ho trascorso due ore con Faris El Khoury a cui mi lega ottima amicizia e che è factotum politica questo Governo. Tutti gli argomenti di V.E. sono stati discussi a fondo. Mi ha risposto:

l) che atteggiamento siriano verso Italia profondamente migliorato e che recenti istruzioni inviate O.N.U. sono ispirate questo mutamento;

2) che egli è sicuro che questione coloniale sarà rinviata per impossibilità raggiungere due terzi votanti data certezza seguenti voti contrari: sei russi, sei arabi legati da inscindibile vincolo azione comune e sei fiancheggiatori asiatici-africani, oltre almeno astensione Inghilterra per la tesi sudamericana e stesso caso sudamericano per tesi inglese.

887

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

TELESPR. URGENTE 45/948/0l 0. Roma, 7 maggio 1949.

Suo n. 801• Approvasi risposta data S.V. critiche formulate Doxiadis attività nostra delegazione trattative italo-elleniche accordo cooperazione economica.

Difficoltà e ritardi negoziato sono infatti stati causati esclusivamente noto atteggiamento Lavdas. Come V. S. vorrà far rilevare, forma più opportuna, interesse Governo e delegazione italiana per cooperazione economica due paesi è stato sempre fin dall'inizio caloroso e continuo, come ugualmente dimostrato firma accordo commerciale, particolarmente favorevole per Grecia, data anche inclusione diritti tiraggio.

Sembra inoltre opportuno precisare per quanto concerne acceleramento, da noi vivamente desiderato, trattative cooperazione per raggiungere loro conclusione, che da parte nostra si era immediatamente aderito richiesta legazione di Grecia fissare seduta plenaria presenza Doxiadis 5 c.m. Successivamente, dato suo mancato arrivo giorno fissato, si è reso necessario accogliere nuova domanda ellenica ulteriore rinvio seduta Il c.m.

Circa infine progetto accordo beni informola che delegazione sta esaminando osservazioni greche, che comunicansi per corriere, seconda e terza parte accordo stesso e rimane in attesa conoscere definitivo pensiero ellenico relativamente parte prima.

887 1 Vedi D. 838.

886 1 Vedi D. 859.

888

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AD ASSUNZIONE, FERRANTE

TELESPR. 20/0884 7/3. Roma, 7 maggio 1949.

Riferimento: Telegramma di codesta legazione n. 22 del 30 aprile 1949 1• Saremo lieti, in via di massima, di concludere col Paraguay un accordo di amicizia e collaborazione analogo a quelli recentemente stipulati con l'Argentina, il Cile e l 'Uruguay.

Le recenti complesse vicissitudini attraverso cui è passato codesto paese sembrano peraltro consigliare di attendere che l'attuale fase di assestamento si sviluppi in modo da fornire una base di sufficiente solidità per la ripresa di quella cordiale collaborazione che da parte nostra vivamente si auspica.

Vorrà pertanto codesta legazione continuare a seguire gli sviluppi della situazione locale e valutare tutti gli opportuni elementi di giudizio circa la tempestività della conclusione di un accordo di amicizia e collaborazione fra i due paesi e ciò anche in relazione agli eventuali riflessi di carattere interamericano.

Si fa pertanto riserva di impartire a suo tempo le eventuali istruzioni circa il testo2•

889

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1965/402. Vienna, 7 maggio 1949 (perv. il 9).

Il mio rapporto 1952/392 in data 6 corrente1 viene ad acquistare un certo valore di maggiore attualità in relazione al dispaccio di V.E. n. 8426/c. in data 3 corrente2 giunto col corriere di ieri sera e col quale si è pertanto quasi incrociato.

Da detto dispaccio, cortesemente comunicatomi, rilevo che è stato rivolto alla Presidenza del Consiglio un invito ad una rapida definizione delle decisioni da prendersi in relazione alle domande di revoca delle opzioni presentate dopo il 2 o il 27 novembre u.s., e ciò per le considerazioni e i motivi in detto dispaccio indicati: non viene peraltro detto in quale senso tali misure dovrebbero più precisamente concretarsi.

Voglia consentirmi VE. che in relazione a tutta questa così complessa situazione svolga alcune considerazioni che le esperienze e le riflessioni di questi mesi hanno meglio maturato. Le nostre reazioni alle note deliberazioni del Consiglio dei ministri austriaco dell'autunno scorso suppongo possano essersi ispirate a due punti di vista diversi e

magari concorrenti: un senso diretto di reazione contro una misura considerata sleale col desiderio di incriminarne per intanto il Governo austriaco e tirare eventualmente qualche vantaggio dalla infelice iniziativa del medesimo oppure, e più concreto e realistico, approfittare dell'occasione, partendo dall'apprezzamento che in definitiva 46 mila optanti siano troppi o in ogni caso troppo più numerosi di quanto si era previsto

o di quanto ci convenga, o di quanto si era disposti ad accettare. A meno di finalità che ignoro, suppongo che la nostra attenzione graviti piuttosto sulla seconda alternativa: gli optanti che hanno revocato la opzione sono troppi.

Non so se sia stato fatto, ma penso che la via per risolvere la questione passi necessariamente per questo interrogativo centrale: quale è il numero che viene ritenuto «equo», sopportabile, accettabile? Una volta chiarito questo, è allora possibile determinare il criterio eventualmente discriminativo: nel quadro della legge (purtroppo la legge non mi sembra offra uno strumento molto efficiente, giuridicamente, a questo scopo) o fuori della legge o con una modifica legislativa della stessa, con o senza il concorso del Governo austriaco.

A mio subordinato avviso l'interrogativo che si pone è pertanto: quanti optanti vogliamo respingere, parlo in sede di riottenimento della cittadinanza (problema completamente diverso da quello dell'effettivo ritorno in Italia)?

Se sono pochi, parlo sopratutto di quei pochissimi che in qualche modo hanno dichiarato di avere optato sotto costrizione morale, credo che sarebbe abbastanza facile farlo, senza bisogno di alcuna modifica di leggi e senza neppure parlame al Governo austriaco.

Se sono di più, ho egualmente l'impressione che si possa pure fare qualche cosa, sopratutto procrastinando indirettamente le concessioni, e vi sono mille modi per farlo decentemente, scegliendo determinate persone o determinati gruppi, dove è supponibile trovare minore o nessuna resistenza, sopratutto se accompagnato tutto ciò da altre misure ad hoc.

Se sono migliaia, non vedo come ciò sia fattibile in base alla legge sulle opzioni che è quella che è (e ormai non vale recriminare che poteva essere diversa), né come si possa farlo senza sollevare un vespaio: vespaio peraltro che potrebbe anche essere dilazionato e anzi quasi diluito nel tempo, tacendo per il momento e all'atto pratico dando a tutta la trattazione delle domande di opzione un ritmo rallentato, che si può giustificare in vari modi, defatigando così gli interessati e magari lo stesso Governo austriaco: col vantaggio pure indiretto ma assai sostanziale che quanto più si prolunga la residenza qui degli optanti revocanti, tanto più aumentano le probabilità che in Austria meglio si radichino e rinuncino o ritardino il loro ritorno stabile in Alto Adige, dato e non concesso del resto che debbano necessariamente in Alto Adige tornare a stabilirsi e che questo ritorno debba essere da noi facilitato con provvidenze collaterali. L'Accordo di Parigi non ne ha mai parlato, né alcuna altra stipulazione successiva che io conosca.

Tutto ciò, tanto più e meglio, se il Governo austriaco sia disposto alla lunga di pazientare, ipotesi su cui oggi non potrei esprimere alcun giudizio.

Le varie ipotesi sopra prospettate sono quelle più ragionevolmente possibili e la loro scelta, che d'altra parte può non essere esclusiva, dipende da un complesso di elementi di giudizio e di direttive che mi mancano e che rendono impossibile di pronunciarsi, date anche le sfumature, talvolta essenziali che ogni soluzione comporta perché sia completa ed efficiente, e che a loro volta non possono essere determinate che con la conoscenza di tutti gli altri dati del problema.

888 1 Con il quale Ferrante aveva comunicato la disponibilità del Governo paraguayano a firmare subito un protocollo di amicizia e collaborazione con l'Italia. 2 Per la risposta vedi D. 980. 889 1 Vedi D. 878. 2 Non pubblicato.

890

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 3819/50. Roma, 8 maggio 1949, ore 16,15.

Mi riferisco al telegramma di codesta ambasciata n. 71 1•

A conclusione di una riunione tenutasi per decidere sulla questione relativa all'acquisto del grano russo, i ministri tecnici hanno stabilito di continuare le trattative attualmente in corso e di autorizzare i nostri delegati a concludere sulla base di 95 dollari per tonnellata Fob considerando tale cifra come massimo prezzo da raggiungersi.

Il detto prezzo rappresenta l'estremo limite cui da parte del Governo italiano, data la situazione attuale dei rifornimenti granari, è conveniente e possibile giungere.

Si osserva che il continuo richiamo fatto dai delegati sovietici alla elevatezza dei prezzi delle merci italiane, e ciò per giustificare il prezzo che i sovietici richiedono per il grano, non ha un vero fondamento poiché le trattative svolte fino ad oggi da parte dei delegati sovietici con le industrie italiane sono sempre state basate sui prezzi di concorrenza degli altri paesi, e su tali basi sono stati conclusi i relativi contratti.

È nostra intenzione mantenere i rapporti itala-sovietici sui prezzi rispondenti alle normali situazioni del mercato sia per quanto riguarda le nostre forniture all'U.R.S.S. e sia per gli acquisti italiani in Russia2 .

891

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3822/112. Roma, 8 maggio 1949, ore 19,30.

Contenuto telegramma di questo Ministero n. 1101 è stato portato stamane a conoscenza di questi ambasciatori di Francia e Gran Bretagna. Presidente del Consiglio raccomanda, qualora venissero date in eventuali risoluzioni indicazioni o direttive di dettaglio, che siano sin da ora salvaguardati: beni, diritti ed interessi appartenenti allo Stato e persone fisiche e giuridiche italiane, anche in relazione paragrafo 19 annesso XVI trattato di pace di guisa che nessuna clausola economica detto trattato sia applicata a territori ex colonie. Ciò è molto importante soprattutto per Eritrea ed anche per evitare nuovi ingenti oneri finanziari.

2 Per la risposta vedi D. 907. 891 1 Vedi D. 875, nota 2.

890 1 Vedi D. 785.

892

IL MINISTRO A BAGHDAD, ERRERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4768/5. Baghdad, 8 maggio 1949, ore 20,30 (perv. ore 24).

Mi riferisco ai telegrammi di VE. n. 2 e 3672/c. 1•

Questo ministro degli affari esteri mi informa che, deciso rispettare due principi unità territoriale e libertà popolazione scegliersi governo, ha comunicato a questo ambasciatore Gran Bretagna che Iraq darà voto contrario proposta inglese. Pur preferendo proposta latino-americana Iraq presenterà terza proposta giudicando eccessivi anni per concedere indipendenza. Avendo chiesto se anche per Eritrea intendeva rispettare unità e autodecisione rispondeva affermativamente.

893

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4769/143. New York, 8 maggio 1949, ore 24 (perv. ore 6,30 del 9).

Suoi 11 O, 111 e 3807 /c. 1•

Non sono sinora riuscito prendere contatto con McNeil e con altri membri delegazione britannica che risultano assenti. Ho veduto però stamane Couve il quale mi ha detto avere appreso da McNeil ieri sera che inglesi non (dico non) avrebbero intenzione di presentare formula concordata a Londra. Sarebbe invece loro desiderio che tale risoluzione fosse presentata da nostri amici come emendamento ad originaria risoluzione britannica (mio telegramma 109)2 ; poiché emendamenti vengono votati per primi, inglesi potrebbero così, in caso che tali emendamenti fossero respinti, tentare ottenere voto favorevole sulla loro risoluzione.

Secondo Couve scopo manovra è evidente. Formula concordata a Londra può passare soltanto, e con difficoltà, a condizione attivo appoggio anglo-americano. Se presentata da latino-americani (ammesso che tutti accettino eseguire un così brusco cambiamento di fronte) formula concordata verrebbe respinta; dopo di che latinoamericani sarebbero naturalmente liberati da ogni impegno verso di noi, e risoluzione originaria inglese avrebbe maggiori probabilità essere approvata. Spero vedere McNeil e Dulles stasera o domani mattina3 e credo sia mio dovere insistere perché

2 Vedi D. 836.

3 Vedi DD. 894 e 900.

formula venga presentata da inglesi o da americani o meglio ancora congiuntamente. Anche in tal modo, poiché ogni singolo paragrafo sarà votato separatamente, data formulazione esiste sempre grave pericolo che trusteeship inglese su Cirenaica venga approvato, italiano su Tripolitania respinto; altrettanto dicasi per Eritrea.

Circa osservazione telegramma 111 mi permetto far presente che sarà ben difficile far risultare impossibilità rinvio dato che formula per Eritrea fa parte integrante di una risoluzione che ha il nostro appoggio; comunque non sarebbe materialmente possibile farlo risultare da testo risoluzione che non (dico non) può essere mutato. Impressione francese è che speciale statuto Asmara Massaua verrà interpretato in senso nettamente restrittivo. Dato che anche due città verranno poste sotto sovranità Etiopia, statuto speciale non potrebbe, secondo Couve, andare molto oltre note garanzie giuridiche per abitanti italiani. Occorrerebbe per mia norma conoscere esatta interpretazione concordata su tale punto.

Mi rendo infme conto necessità assoluta ottenere che statuti speciali, qualunque siano, entrino in vigore contemporaneamente trapasso territori. Per ottenere questo scopo occorrerà peraltro chiedere inclusione esplicita formula in questo senso in progetto risoluzione.

Mi ritengo senz'altro autorizzato domandare questa aggiunta alla delegazione inglese4•

892 1 Vedi DD. 859, nota l e 860.

893 1 Vedi rispettivamente D. 875, nota 2 e DD. 881 e 882.

894

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4755/144. New York, 8 maggio 1949, ore 21,48 (perv. ore 10,35 de/9).

Dulles disposto accettare progetto concordato Londra1 e lo appoggerà se proposto da altri in Assemblea. Francesi faranno altrettanto. Resta a vedere se McNeil potrà essere persuaso cambiare opinione possibilmente con pressioni combinate Londra e Washington. Lo vedremo domani. Dulles crede che nonostante opposizione arabi slavi e alcuni asiatici progetto potrà ottenere due terzi maggioranza. Poiché tale calcolo dipende da astensioni, che non si possono prevedere esattamente, potrebbe risultare alquanto ottimista.

895

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PERSONALE 4770/145. New York, 8 maggio 1949, ore 21,48 (perv. ore 9,15 del 9 ).

Mi riferisco al telegramma 3 807 del presidente del Consiglio 1 .

894 1 Vedi D. 875. 895 1 Vedi D. 882.

Come telegrafato più volte rinvio tutto problema colonie era possibilità maggiore sebbene pericolosa, se incondizionata, per minaccia britannica proclamare a breve scadenza indipendenza Cirenaica e Tripolitania. Risoluzione inglese per trusteeshep subito su sola Cirenaica non aveva alcuna possibilità adeguata maggioranza come pure più volte telegrafato. Altre risoluzioni (sovietica, indiana, irachena) vane manovre minoranza. Risoluzioni latino-americana e australiana, verso le quali si doveva marciare (la prima in nostro favore) proponevano eventuale rinvio condizionato a settembre di tutti problemi nostre colonie. Comunque eventuale mancanza maggioranza sufficiente per tutte risoluzioni finora presentate conduceva inevitabilmente rinvio automatico a settembre di tutte le questioni ivi compresa l'Eritrea.

Date queste circostanze di fatto non si può sperare oggi di far risultare impossibilità rinvio e ineluttabilità subire compromesso Eritrea. Faccio altresì osservare che tecnicamente non è possibile far risultare nel testo di una risoluzione o in pubbliche dichiarazioni due desiderata predetti. Ciò nonostante assicuro che tenterò tutto possibile nel senso richiesto da presidente Consiglio.

D'altra parte la data «fine 1951 » può apparire purtroppo sospetta perché McNeil ha parlato, come abbiamo ripetutamente segnalato, di proclamazione indipendenza Cirenaica con ovvie ripercussioni prima di tale data previo accordo con senusso di cui tripolini sotto influenza britannica hanno già dichiarato qui accettare sovranità.

Per nostra salvaguardia in Tripolitania dovremmo potere ottenere almeno fissazione durata trusteeshep per dieci anni se inglesi non avversino un emendamento di tal genere. Mi adopererò in ogni modo in tal senso.

Date probabili reazioni latino-americane ed arabo-asiatiche (circa mancato accenno indipendenza ed unità Libia) non ancora chiare ma prevedibili, non è da escludersi che accordo Londra sia bloccato e si vada al rinvio generale2 .

893 4 Per la risposta vedi D. 898.

896

IL CAPO DELL'UFFICIO DI CANTON DELL'AMBASCIATA IN CINA, CIPPI CO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 5/81. Canton, 8 maggio 19491•

A completamento della comunicazione da me fatta a codesto Ministero sulla autorizzazione accordata da questo Governo al proprio delegato all'O.N.U. a votare in favore della risoluzione latino-americana2 , ritengo utile riferire quanto segue:

2 Non rinvenuto.

Come l'ambasciata ha certo comunicato a suo tempo a codesto Ministero, in seguito a passi che essa svolgeva nella prima quindicina dello scorso aprile, questo Governo le dichiarava di avere istruito il proprio delegato all' O.N.U. a sostenere, in sede di discussione del problema colonie italiane, le soluzioni seguenti: per la Libia, simultaneità nelle decisioni da adottarsi per le varie parti di quel territorio; per l'Eritrea, opporsi (salvo per Assab) ad ogni proposta di annessione a favore dell'Etiopia, giudicata come «colonialistica»; per la Somalia, amministrazione fiduciaria a favore dell'Italia. Tali istruzioni aggiungevano, con particolare riguardo all'Eritrea, che qualora la distanza tra i punti di vista continuasse a rimanere accentuata, il delegato cinese doveva sostenere il rinvio.

Successivamente, il giorno 22 aprile, il sottoscritto apprendeva che il delegato cinese aveva invece proposto ali' Assemblea di sottoporre i suddetti territori, eccettuata l'Eritrea orientale da cedersi all'Etiopia, a tutela diretta da parte dell'O.N.U. da esercitarsi, durante cinque anni per Libia e Eritrea e dieci per la Somalia, da amministratori nominati dal «Trusteeship Council» e assistiti da consigli consultivi composti di cinque o sette membri dei quali uno italiano.

Essendo le comunicazioni tra Canton e Nanchino già interrotte, il sottoscritto si recava subito da questo vice ministro degli esteri reggente il dicastero nell'assenza del titolare a Shanghai, per esprimergli la propria viva sorpresa che il delegato cinese avesse sostenuto una tesi così diversa dalle istruzioni che, secondo questo Governo aveva comunicato ali' ambasciata, gli erano state impartite. Il vice ministro mi si mostrò mortificato e sorpreso per l'accaduto. Mi disse che egli aveva ricevuto poche ore prima un lungo telegramma dal delegato cinese nel quale questi cercava di spiegare l'atteggiamento assunto con considerazioni di atmosfera trovata in seno ali'Assemblea. (Credo opportuno qui di aggiungere che il delegato, ambasciatore Wellington-Koo, decano degli agenti diplomatici cinesi, gode negli ambienti di questo Ministero esteri di una posizione che gli consente, entro certi limiti e in un quadro tipico di questo paese nel quale si innesta oggi il progressivo stemperarsi di ogni unità di comando, una misura di latitudine nella sua azione quale non verrebbe tollerata negli altri agenti ali'estero di questo Governo).

Il vice ministro mi dava quindi formale assicurazione che avrebbe subito telegrafato a Wellington-Koo ordinandogli di attenersi al senso delle istruzioni ricevute e per dirgli che «he has exposed his Government to being suspected of illfaith». Successivamente, il vice ministro mi comunicava che Wellington-Koo aveva telegrafato assicurando che egli si sarebbe uniformato alle istruzioni avute, e chiedendo di venir autorizzato a votare in favore della risoluzione latino-americana come la più conforme ad esse. Tale autorizzazione gli veniva accordata da questo Governo.

Osserverò infine che con il voto da esso accordato a favore della tesi che è stata la più vicina a quella da noi sostenuta, questo Governo è venuto a dare la sua adesione, più in questa occasione che non nelle precedenti, al punto di vista del nostro Governo, cosa che qui non ho mancato di mostrare di apprezzare3 .

895 2 Per la risposta vedi D. 898.

896 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

896 3 Per la risposta vedi D. 1043.

897

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

T. S.N.D. 3830/c. Roma, 9 maggio 1949, ore 17,15.

(Per Guatemala) Prego comunicare a Governi Guatemala, Costarica, Honduras, Nicaragua

(Per l'Avana) Prego comunicare a Governo Cuba

(Per tutti gli altri) Prego comunicare a codesto Governo

(Per tutti) che ho concordato con Bevin soluzione compromesso questione colonie, ottenendo che inglesi accettassero decisione circa amministrazione italiana Tripolitania, e venisse proposto statuto speciale per Asmara e Massaua.

Se è stato possibile raggiungere tale soluzione ciò è dovuto in gran parte ad efficace azione svolta latino-americani in favore nostra tesi e Governo italiano tiene a ripetere a tali Stati e particolarmente a codesto Governo quanto abbia apprezzato loro amichevole e così valido appoggio. Lo comunichi costà a nome presidente Consiglio e mio.

Appellandomi ancora una volta a sentimenti amicizia codesto paese voglia ora pregare codesto Ministero esteri affinché impartisca istruzioni delegazione O.N.U. votare mozione concordata raccomandando che essa deve essere considerata tutto unico inscindibile, opponendosi tentativo qualsiasi parte fame votare separatamente uno o più punti.

898

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3837/113 1 . Roma, 9 maggio 1949, ore 15.

Suo 145 2 .

Prego V.E. spiegare da parte presidente del Consiglio e mia ai latino-americani che se abbiano accettato formula concordata è perché sapevamo che di fronte a tale formula l'appoggio americano al rinvio diveniva oltremodo dubbioso. Circa ineluttabilità compromesso Eritrea esso è già anche troppo evidente per l'impegno assoluto preso in proposito da Washington con Londra.

Suo 143 3 . La raccomandazione che si propone all'Assemblea formando un tutto organico, è giuridicamente impossibile qualsiasi decisione separata su dei singoli articoli.

2 Vedi D. 895.

3 Vedi D. 893.

898 1 In pari data Sforza trasmise questo telegramma a Gallarati Scotti e Quaroni con T. s.n.d. 3857/208 (Londra) 261 (Parigi).

899

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4800/249. Parigi, 9 maggio 1949, ore 18 (perv. ore 19,30). A telegramma 252 1•

Sabato 7 Schuman ha inviato istruzioni a Chauvel di appoggiare nuova proposta soluzione questione coloniale definita da V.E. a Londra «senza reticenze e senza entusiasmo».

Francesi ritengono che Egitto non gradirà sua partecipazione all'istituenta Commissione di studio perché troppo impegnato sostenere tesi unità Libia; sua presenza in tale sede non sarebbe d'altronde gradita dai francesi che preferirebbero rappresentante Libano.

Nuova formula metterà certamente in grave imbarazzo autorità britanniche in Tripolitania impegnate a fondo in soluzione del tutto diversa. Annunzio accordo che fosse raggiunto su nuova base ridurrà necessariamente opposizione tali elementi altrimenti assai pericolosa.

Per Massaua e Asmara francesi faranno di tutto per allargare il più possibile regime autonomia benché non si nascondano difficoltà conseguirlo.

900

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4803/146. New York, 9 maggio 1949, ore 21,40 (perv. ore 7,30 dellO).

Mi sono incontrato stamani con McNeil.

Premettendo che era in attesa conoscere risultati seduta nostro Consiglio ministri preannunciata da Mali et, egli mi ha confermato che sua delegazione non (dico non) intendeva prendere iniziativa e desidererebbe fossero americani a presentare progetto. Egli si riprometteva parlame con Dulles nel corso mattinata.

Mi ha poi chiesto se ritenevo che latino-americani avrebbero potuto presentare progetto compromesso. Gli ho risposto sembrarmi che latino-americani promotori concreto progetto soluzione molto difficilmente avrebbero accettato assumere nuova iniziativa.

Per quanto riguarda specifica interpretazione compromesso, McNeil ha confermato che eventuale risoluzione dovrà stabilire amministrazione fiduciaria italiana su

Tripolitania contemporaneamente ad altre due. Per quanto concerne effettiva cessione amministrazione McNeil mi ha confermato graduali parziali consegne amministrazione stessa prima fine 1951.

Circa portata statuto Massaua Asmara MacNeil mi ha confermato che testo inglese contiene espressione «città» mentre, per quanto era a sua conoscenza, Bevin aveva sempre avuto idea di uno statuto per gli «abitanti». Inglesi pensavano infatti che garanzie (che McNeil ha vagamente definito del tipo di quelle per gli stranieri di Shanghai) dovrebbero applicarsi non solo abitanti Asmara Massaua ma anche altre zone Eritrea cedute Etiopia. Inglesi provvedevano comunque, nonostante difficoltà assenza Bevin da Londra, a chiedere schiarimenti su questo punto a loro Governo. Per continuare conversazione mi occorrono precisazioni 1 .

899 1 Del 7 maggio, con il quale era stato ritrasmesso a Quaroni il D. 875.

901

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4804/147. New York, 9 maggio 1949, ore 21,40 (perv. ore 7,30 dellO).

Dulles mi ha detto Stati Uniti generalmente soddisfatti accordo Londra; notano però assenza accenno indipendenza e unità Libia e come non sia ben definita questione città Asmara Massaua, ricordando che Stati Uniti sempre si riferivano statuto abitanti. Replicato, con suo riconoscimento, che trusteeship non implica futura indipendenza; unità Libia non avversata da noi; amministrazione internazionale due città e statuto europei tutta Eritrea possono essere conciliati con sovranità etiopica come interpretazione accordo Londra da inglesi francesi ed americani. Dulles sarebbe disposto continuare studiare compromesso interpretativo su questo punto.

Dulles non contrario proporre accordo insieme inglesi francesi latino-americani se conterrà chiaro accenno indipendenza e unità elementi necessari nell'ambiente Nazioni Unite per ottenere due terzi. Secondo calcoli Dulles stamani, nonostante tutti gli sforzi congiunti, mancherebbero tuttora due voti. Stesso calcolo ci risultava e segnalo con riserva.

902

L'INCARICATO D'AFFARI A COPENAGHEN, PESCATORI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4821/23. Copenaghen, 9 maggio 1949, part. ore 0,31 dellO (perv. ore 8).

Riferimento telegramma di codesto Ministero n. 221•

902 1 Vedi D. 869, nota l.

Data l'assenza di questo ministro degli affari esteri ho conferito col direttore generale degli affari politici. Egli mi ha detto di avere oggi stesso ricevuto questo ambasciatore di Inghilterra che gli aveva consegnato il testo dello schema di risoluzione (che per corriere trasmetto in copia) concordata tra ministri Bevin e Sforza e destinata ad essere presentata all'Assemblea dell'O.N.U. per decidere la questione relativa alle colonie italiane. Ha aggiunto che, qualora confermato l'accordo italo-britannico, la delegazione danese all'O.N.U. voterebbe in favore di detta risoluzione. Comunque mi ha assicurato essere desiderio del Governo della Danimarca di non dare il proprio voto ad altra risoluzione non concordata con l'Italia e quindi sfavorevole a noi, che eventualmente potesse all'Assemblea venire sottoposta. La delegazione danese alle Nazioni Unite verrà informata in tal senso.

900 1 Per la risposta vedi D. 905.

903

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4828/149. New York, 9 maggio 1949, ore 21,40 (perv. ore 9 dellO). Suoll31 .

Assicuro V.E. avere svolto ogni possibile azione presso delegati latino-americani per spiegare motivi compromesso raggiunto a Londra. Loro accoglienza a formula concordata da V.E. appare in complesso favorevole, anche perché disposizioni per Libia assomigliano prima formula Padilla. Per quanto riguarda procedura innanzi Comitato e Assemblea debbo anzitutto far presente che né inglesi né americani hanno voluto ufficialmente far propria formula concordata Londra. Come ho detto in precedente telegramma2 si è ricorso espediente sottocomitato appunto per superare questo ostacolo. Conseguenza inevitabile è tuttavia che in seno sottocomitato formula stessa, che non vincola nessuno all'infuori Inghilterra e noi, subisca alterazioni di cui è difficile prevedere portata. Esempio tipico di questi possibili sviluppi è obiezione Dulles3 a statuto speciale per città eritree. Naturalmente, qualora ciò dovesse verificarsi, mi riserverei chiedere istruzioni insistendo intanto presso latino-americani perché neghino loro adesione tali modifiche.

È inoltre inevitabile, per costante norma procedurale, che risoluzione venga votata paragrafo per paragrafo salvo poi di passare a votazione di insieme. È proprio a questo punto che può presentarsi pericolo che ho già segnalato4 , che assegnazione Cirenaica venga approvata, Tripolitania respinta. È infatti possibile e anche probabile

2 T. s.n.d. 4829/148, pari data, non pubblicato.

3 Vedi D. 901.

4 Vedi D. 893.

che Cirenaica ottenga più voti che non Tripolitania. Se si constata sia in Comitato che in Assemblea che Tripolitana non (dico non) potrebbe ottenere maggioranza due terzi occorrerebbe che latino-americani, cioè quelli stessi che hanno votato in favore ogni singolo paragrafo, votassero ora compatti contro stessa risoluzione nel suo insieme in votazione finale. Loro voto contrario, assieme a quello slavo, dovrebbe essere ampiamente sufficiente per respingerla.

Si tratta però di una manovra di precisione tanto più delicata in quanto margine sarebbe sempre di pochi voti e che perciò potrebbe presentare qualche sorpresa.

903 1 Vedi D. 898.

904

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4830/150. New York, 9 maggio 1949, ore 21,40 (perv. ore 11 dellO).

Mio telespresso 440 1• Per iniziativa sovietica Consiglio sicurezza riprenderà domani discussione questione governatore Trieste.

Acheson dopo visita generale Airey ha diramato 5 maggio comunicato stampa lodando amministrazione alleata per stabilità raggiunta splendido esempio cooperazione anglo-americana e strenui sforzi entro quadro E.R.P. superare difficoltà economiche causate da separazione T.L.T. da Italia. Ricordando poi proposta 20 marzo2 ha aggiunto sperare che sua applicazione, onde contribuire stabilità internazionale e prosperità e sicurezza abitanti territorio, non venisse oltremodo ritardata.

Funzionario americano mi ha escluso formalmente che questione Trieste potesse essere discussa da prossimo Consiglio ministri esteri.

905

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3895/115. Roma, 10 maggio 1949, ore 21,20.

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468. 905 1 Vedi D. 900.

Circa effettiva graduale consegna amministrazione sarà bene che V.E. intrattenga McNeil sulla assoluta necessità morale della cosa allo scopo creare quella intesa italo-inglese che desideriamo. Circa statuto Massaua Asmara occorre accentuare che si tratta di autonomia di territori e non di privilegi di persone. Gli esclusivi privilegi di persone dovrebbero invece esistere per gli italiani fuori della zona delle due città. Così mi espressi con Bevin2 .

904 1 Non rinvenuto.

906

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4836/197. Londra, 10 maggio 1949, ore 13,50 (perv. ore 16). Mio 193 1•

Massigli mi ha detto stamane aver avuto istruzioni da Schuman di appoggiare «senza entusiasmo ma senza reticenza» formula da noi concordata con inglesi per colonie.

Mancanza entusiasmo si riferisce evidentemente Tripolitania ma da parte francese si giudica il compromesso in generale come molto saggio ritenendosi che ogni ostinazione su altre posizioni sarebbe stata dannosa e un possibile rinvio molto pericoloso.

907

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4845/91. Mosca, l O maggio 1949, ore 20. (perv. ore 22).

Mi riferisco al telegramma ministeriale n. 501 .

Pregiomi informare che Ferretti e De Pascale, mentre si uniformano alle istruzioni ricevute per quanto concerne il prezzo, rilevano che mancano le istruzioni richieste per quanto riguarda le altre condizioni contrattuali.

Da ripresa conversazioni odierna essi riportano con Mancini precisa convinzione che i sovietici rimarranno intransigenti sia su caratteristiche che su controllo di qualità e di peso, riaffermando incontestabilità loro certificati. Essi si irrigidiscono su questione prestigio, sostenendo che tutti altri Stati, ed in particolare Svizzera, Inghilterra, Belgio, Israele, Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia, hanno accettato integralmente loro condizioni tipo, salvo il controllo del peso alla partenza, eccezionalmente concesso nel luglio 1947 all'Inghilterra che non verrà rinnovato ulteriormente.

Prego quindi, interpellato Alto Commissariato alimentazione, comunicare urgenza se, in caso accordo prezzo, si possono accettare condizioni sovietiche in via di esperimento per questo primo acquisto, ove ciò sia indispensabile per evitare sospensione delle trattative2.

905 2 Vedi D. 875.

906 1 Del 7 maggio, con il quale Gallarati Scotti riferiva di aver informato Massigli, perché ne riferisse a Schuman, della formula concordata con Bevin per le colonie.

907 1 Vedi D. 890.

908

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, GUASTONE BELCREDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 4847/19. Teheran, l O maggio 1949 (perv. ore 23,30jl. Mio 162 .

Questo sottosegretario per gli affari esteri mi ha assicurato che sono state rinnovate istruzioni delegato Iran appoggiare proposte che ci favoriscono ogni qualvolta possibile e comunque sostenere quelle tendenti rinvio decisione definitiva circa nostre colonie a quarta sessione Assemblea.

909

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.O. 4849-4850/200-20 l. Londra, 10 maggio 1949, ore 20,30 (perv. ore 23,30).

In considerazione di quanto al telegramma di V.E. 2041 , ho ritenuto opportuno sottolineare in un colloquio con Wright (con cui Bevi n prima di partire mi aveva detto mantenere contatto) che da parte nostra non si poteva mettere in dubbio che formula concordata per colonie2 fosse accettabile nel suo complesso e che quindi non fosse passibile dì votazione per singoli articoli. Wrìght mi ha risposto che da parte

britannica si concordava pienamente e si intendeva agire in tal senso; ultima parola in proposito spettava però naturalmente all'Assemblea stessa.

Circa Eritrea ho dichiarato essere considerato da noi indispensabile che trapasso all'Etiopia non (dico non) avvenisse prima dell'approvazione del trattato che garantirà speciale statuto per Asmara e Massaua: mi ha risposto che pur essendo il trattato una questione di competenze delle Nazioni Unite, «non era intenzione inglese che territorio fosse ceduto prima che fossero date le garanzie».

Sul modo di presentare risoluzione all'Assemblea, Wright è d'opinione convenga lasciare la decisione alle delegazioni a Lake Success tra le quali vi sarebbe un certo disappunto perché intese itala-britanniche si sono raggiunte a loro insaputa; ritiene però preferibile che formalmente proposta non sia fatta da delegazione britannica. Ho insistito su opportunità evitare sorprese associando alla proposta sin dalla sua presentazione la corresponsabilità delle delegazioni amiche specie di quella Stati Uniti.

Wright ritiene che se lavoriamo d'intesa e con perfetta chiarezza reciproca, maggioranza due terzi potrà essere raggiunta sia pure di misura. È stato però molto esplicito nell'aggiungere che se tale maggioranza dovesse mancare, intera questione avrebbe dovuto essere rinviata per periodo forse anche lungo e in tal caso «the demand for independence in Tripolitania would certainly grow and might become irresistible and it would also give an opportunity for intrigue in the other colonies».

Da Jebb inoltre ho avuto conferma della seria volontà del Foreign Office di far passare la formula concordata; ha accennato però che anche a Bevin non mancheranno serie difficoltà e critiche da varie parti.

Nel colloquio odierno Wright ha accennato con molta preoccupazione a reazioni provocate specie nel mondo arabo da ultime trasmissioni delle radio italiane circa intese itala-britanniche per colonie, mostrandomi anche estratti segnalazioni ricevute in proposito. Ha insistito su importanza che da parte Governo italiano come quello britannico si eviti di fare o dire qualsiasi cosa che possa irritare Assemblea Nazioni Unite, pregiudicandone diritto decidere questione colonie, od eccitare arabi che potrebbero provocare dimostrazioni tali da dare anche a Lake Success impressione che ritorno italiano in Africa sarebbe accompagnato da violenza.

Wright si rende conto difficoltà frenare stampa in regime di libertà espressione, ma confida che almeno la radio (più facilmente controllabile dalla Presidenza del Consiglio e più direttamente accessibile agli indigeni nelle trasmissioni nella loro lingua) possa essere indotta a coadiuvare intelligentemente opera Governo.

907 2 Per il seguito vedi D. 916. 908 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza. 2 Dell'8 maggio, con il quale Belcredi informava di aver eseguito le istruzioni di cui al D. 859 e d'essere in attesa di risposta. 909 1 T. 3825/256 (Parigi) 204 (Londra) del 9 maggio, ritrasmetteva il D. 893. 2 Vedi D. 875.

910

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 48711158. New York, l O maggio 1949, ore 22 (perv. ore 9 del!' 11).

Consiglio sicurezza ripreso oggi esame questione governatore Trieste. Malik ripetuto note accuse contro potenze alleate per violazione trattato pace, accordo New York ministri esteri, sabotaggio lavori Consiglio affermando che esse hanno fatto gesto, puramente formale, restituzione territorio ad Italia in periodo elezioni avendo in mente futura spartizione colonie italiane fra loro, Francia e Inghilterra consolidando loro posizione in Africa e Stati Uniti per mezzo piano Marshall assoggettando economicamente territori. Potenze alleate hanno preteso chiedere altresì rispetto trattati pace a Ungheria Bulgaria, con evidente inframmettenza affari interni, mentre violano trattato di pace Italia sabotando nomina governatore prolungando indefinitamente occupazione militare trasformando Trieste in base militare verso Balcani. Malik chiesto infine votazione risoluzione sovietica proponente Fluckiger quale governatore.

Dopo breve analogo intervento bielorusso Consiglio respinto risoluzione sovietica con due favore nessuno contro nove astenuti.

910 1 Vedi D. 904.

911

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 854/3 72 1• Ankara, 10 maggio 1949 (perv. i/14).

A telespresso n. 15/87 del 29 aprile2•

l. Le informazioni dell'ambasciatore Quaroni di cui al telespresso in alto citato, sono perfettamente esatte. Questo ambasciatore di Francia mi conferma che gli uffici giuridici del Quai d'Orsay hanno, dopo lungo esame, riconosciuto la validità del trattato franco-turco del '39. Gli stessi uffici hanno peraltro posto in chiaro che dalla dizione «lui prèteront toute l'ai de et toute l'assistance en leur pouvoim deve intendersi esclusa l'assistenza militare, appunto perché la Francia non è più militarmente presente in Siria.

Si era rimasti intesi che Schuman avrebbe, alla prima occasione propizia, proceduto a una dichiarazione in proposito e questa occasione si è presentata durante l'ultimo incontro fra i ministri degli esteri turco e francese. Al suo ritorno in Turchia, e cioè ier l'altro, il ministro Sadak ha dunque dichiarato alla stampa che «il signor Schuman, nel corso del nostro ultimo colloquio, mi ha assicurato che il trattato tripartito anglo-franco-turco del 1939 è tuttora in vigore. Il Governo di Vichy non lo ha denunziato, e, del resto, un trattato non può esserlo se non nelle forme previste dalle sue stesse disposizioni». Il Sadak non ha fatto tuttavia cenno alcuno alla riserva francese relativa all'assistenza militare, che è dunque tuttora ignorata dal pubblico.

Piuttosto che di una novazione bipartita, parrebbe dunque trattarsi di una riaffermazione di validità del vecchio trattato tripartito, che non sarebbe stato infatti mai denunciato e non avrebbe dunque mai perduto vigore, salvo ad interpretarne, in vista delle mutate circostanze di fatto, in modo molto più restrittivo le clausole relative ad un'eventuale assistenza militare.

2. -D'altra parte, per venire incontro ai desideri della Turchia, Schuman ha, com'è noto, sostenuto vivacemente nel recente convegno di Londra l'opportunità della sua ammissione immediata nel Consiglio europeo. Codesta iniziativa e la dichiarazione di validità dell'accordo del '39, quantunque disarmato dal suo impegno più efficace, dovrebbero, nel pensiero francese, bastare ad acquetare la Turchia, naturalmente per quel che concerne la Francia. La quale non pare comunque disposta ad andare più oltre. 3. -Mi riservo di approfondire la questione relativa alla così detta «clausola russa» e cioè al protocollo n. 2 annesso al trattato del '39. Ritengo tuttavia estremamente probabile che detto protocollo sia considerato sia da parte turca che inglese come tuttora valido. Questa stampa, compresa quella ufficiosa, lo ha dato ripetutamente per certo e questo ambasciatore sovietico -sebbene le sue fonti di informazione sieno molto limitate, ma che è comunque il maggiore interessato in materia mi diceva ier l'altro di essere persuaso che nulla sia stato mutato in proposito. 4. -La riconferma francese della validità del trattato del '39, ma in modo così attenuato da trasformarlo in sostanza in puro e semplice patto di consultazione, non vale certamente, alla lunga, ad acquetare la Turchia, che è, come è noto, alla ricerca di garanzie ben altrimenti concrete ed impegnative. Giova tuttavia a dare a questo ministro degli esteri, di ritorno da un lungo e sostanzialmente infruttuoso viaggio, l'illusione, e di darla all'opinione pubblica, ch'egli non rientra in definitiva con le mani assolutamente vuote, come l'opposizione, che giunge infatti sino a domandarne le dimissioni, a gran voce sostiene. Sicché si dà qui in questo momento all'iniziativa francese un rilievo puramente artificiale e temporaneo, che non avrebbe, in altre condizioni, certamente avuto. 5. -Per quello che infine riguarda la nostra proposta di accordo di conciliazione non so, né le ho, per ragioni di opportunità e tempestività, più sollecitate, quali sieno sino ad oggi le reazioni turche, che il prolungato silenzio lascia del resto presumere. Questo Governo, ripeto, è alla ricerca -ed è stata una ricerca affannosa -di garanzie ben altrimenti concrete ed impegnative. Il non averle ottenute lo pone in cattiva postura di fronte all'opinione pubblica, che ha infatti vivacemente reagito contro l'esclusione della Turchia dal Patto atlantico e la mancata realizzazione di un patto mediterraneo allacciato a quello. Tutto il resto lo interessa molto meno o non lo interessa affatto. Si rende perfettamente conto che la nostra partecipazione al Patto atlantico ha diminuito di altrettanto il nostro interesse, e quello francese, a porre in piedi un accordo mediterraneo. E può darsi che presuma che la firma con noi di un accordo di conciliazione, con annesso preambolo di amicizia, che agli effetti turchi non avrebbe che scarsa o nessuna utilità pratica, possa diminuire quel nostro eventuale interesse ancora di più e così precludere piuttosto che sgomberare le strade dell'avvenire. Mi riservo comunque di accertare quando vedrò Sadak, che è appena rientrato in Turchia, come le cose effettivamente stanno e se i propositi turchi abbiano, dopo l'infruttuoso viaggio, subito per avventura una qualche evoluzione e quale. E riferirò in conseguenza.

911 1 Ritrasmesso a Londra, Parigi e Washington con Telespr. 1511070 l/c. del 3 giugno. 2 Non pubblicato, è la ritrasmissione di un dispaccio di Quaroni ugualmente non pubblicato, ma vedi poi il D. 964.

912

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4910/252. Parigi, 11 maggio 1949, ore 21,20 (perv. ore 24).

Il Consiglio economico, organo costituzionale chiamato ad esprimere un parere tecnico sul progetto di Unione doganale, ne ha l'altro ieri iniziato l'esame nel seno della Commissione dell'economia nazionale. Si è avuto immediatamente sentore di una vivace opposizione tanto che lo stesso Quai d'Orsay ha sentito la necessità di seguire attentamente il dibattito intervenendo non appena ha appreso che predetta Commissione aveva concluso con un parere contrario adottato con tredici voti contro quattro e tre astensioni. È così che il Consiglio, prima di iniziare il dibattito generale conclusivo, ha accettato di ascoltare martedì prossimo il ministro Schuman per poi pronunciarsi in via definitiva entro il 24 maggio. È possibile, come anche qualche giornale ammette, che l'intervento di Schuman possa indurre il Consiglio a modificare la decisione sfavorevole adottata in sede di Commissione. Tuttavia ciò è tutt'altro che sicuro e l'atteggiamento assunto fin dal principio dal Consiglio economico (vedi tel espresso 124/344 del 4 febbraio? consiglia di procedere con la massima prudenza. Se anche in sede di discussione parlamentare dovesse affermarsi la tendenza francese a dimostrare che il trattato, assolutamente sconsigliabile e pericoloso da un punto di vista economico, deve essere con gran fatica varato per superiori ragioni politiche, ciò equivarrebbe in pratica a dar vita a un morto.

Parodi, con cui ne ho parlato oggi, era perfettamente conscio delle difficoltà della situazione e degli interessi e delle influenze che stanno in giuoco contro l'accordo.

Per mio conto gli ho fatto chiaramente presente necessità che, a parte risultati che si possono ottenere, si abbia da parte Governo francese presa di posizione chiara e precisa se si desidera anche a Parigi, come ritenevo, evitare ripercussioni sfavorevoli su rapporti italo-francesi. Ho attirato sua attenzione sul fatto che opinione pubblica italiana avrebbe potuto arrivare a conclusione che politica di riavvicinamento con l'Italia era voluta sì da Governo ma non (dico non) condivisa da Parlamento francese: il che toglieva molto valore a quanto dalle due parti si stava facendo.

Parodi mi ha detto che Schuman era rimasto personalmente molto colpito, che si stava attivamente occupando della questione e che si riservava di parlarmene fra qualche giorno. Credo che se ne occuperà realmente con la riserva che è talmente preso da preparazione Conferenza Quattro che credo non gli sia facile dedicare a questa questione molto del suo tempo.

Riterrei intanto opportuno fare il possibile perché nostra stampa minimizzi l 'accaduto.

912 1 Non pubblicato.

913

IL MINISTRO A QUITO, PERRONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 810/216. Quito, Il maggio 1949 (perv. Il 23).

Riferimento: Telegramma ministeriale n. 3830/c.1 e mio telegramma n. 122 . Non appena ricevuto il telegramma in riferimento ho subito dato notizia verbalmente e per iscritto a questo Ministero degli affari esteri dell'avvenuto accordo fra

V.E. ed il signor Bevin per una soluzione di compromesso nella questione delle ex colonie italiane in Africa.

In pari tempo gli ho espresso, a nome di V.E. e del presidente del Consiglio dei ministri, i sensi della più viva riconoscenza del Governo e del popolo per l'amichevole appoggio dato sinora dalle repubbliche latino-americane in generale e dall'Equatore in specie alle nostre giuste pretese in materia.

Il ministro degli affari esteri ha mostrato di apprezzare tale mia comunicazione ed a sua volta ha espresso il suo compiacimento per aver potuto fare cosa gradita all'Italia.

Per quanto riguarda poi il voto da dare in seno all'Assemblea delle Nazioni Unite alla mozione concordata, egli mi ha detto che poiché il delegato equatoriano aveva già dato il suo completo appoggio alla tesi massima dell'Italia era ovvio che non sarebbe mancato il medesimo completo appoggio per una soluzione più attenuata, se questa veniva considerata da noi come soddisfacente. Ed ha aggiunto che trattandosi di una soluzione di compromesso era del pari evidente che non si sarebbe potuto tollerare approvazioni separate sui singoli punti, ma soltanto approvare la mozione in parola come un tutto unico inscindibile.

Ed in tale senso (come ho già informato codesto Ministero con il telegramma in riferimento) mi ha assicurato avrebbe subito date telegraficamente istruzioni al delegato equatoriano a Lake Success.

914

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA E A PARIGI, ALLE RAPPRESENTANZE IN AMERICA LATINA E ALLA DELEGAZIONE ITALIANA A NEW YORK

T. S.N.D. 3954/C. Roma, 12 maggio 194 9, ore 17.

(Solo per Londra e Parigi) Ho telegrafato tutte rappresentanze presso paesi latino-americani quanto segue:

2 Pari data, non pubblicato.

(Per tutti) In sede Sottocomitato politico cui è stato demandato studio preliminare questione coloniale si sono verificate incertezze circa situazione da riservarsi a città Asmara e Massaua. Trattasi come noto due centri europei cui salvaguardia è stata considerata nei miei colloqui con Bevin1 condizione e contropartita essenziale per soluzione questione Eritrea nel senso voluto da Gran Bretagna. Formula da adottarsi è pertanto quella, su cui Bevin dichiarò suo completo accordo, di città aventi statuto speciale con forme che saranno studiate da Commissione internazionale speciale, ma che sino da ora possono prendere come esempio Tangeri, statuti antiche città anseatiche, settlement europei in Cina, ecc. Trattasi quindi di autonomie di territori e non di privilegi di persone. Per quanto si riferisce queste ultime, ovunque si trovino anche fuori dette città, dovranno inoltre essere adottate altre garanzie ad esempio tipo noti statuti 18962 per Tunisia ampliati nel campo giurisdizionale. È il minimo che si possa chiedere incorporando territori e popolazioni evolute in altro di civiltà notoriamente arretrata. Compromesso costituisce in ogni caso un tutto inscindibile.

Prego far presente d'urgenza quanto precede a codesto Governo perché dia precise istruzioni in questo senso a propria delegazione O.N.U. invitandola a mantenere su questione atteggiamento preciso e intransigente. Ove tale formula non potesse prevalere verrebbe a mancare presupposto essenziale per soluzione questione Eritrea come esposto nel mio 38303 .

(Solo per Londra) Ricordi da parte mia a Bevin che se accettai il compromesso fu per creare una collaborazione feconda con Inghilterra e in considerazione degli impegni solenni con essa presi dagli Stati Uniti pur sapendo a quali attacchi sarei andato incontro. Ma, indifferente come sono agli attacchi ed alla impopolarità, non lo sono al mio onore ed esso mi impone di ricordare a Bevin che per me lo statuto territoriale per Asmara e Massaua è essenziale. Non posso tradire due città italiane da generazioni. Senza quello statuto nessuna intesa è possibile. Naturalmente ammetto la teorica sovranità etiopica tale quale Impero cinese l'aveva su Shanghai.

913 1 Vedi D. 897.

915

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE TARCHIANI, A NEW YORK

T. S.N.D. 3986/120. Roma, 12 maggio 1949, ore 22.

Bevin ha detto a Gallarati Scotti 1che Australia e Nuova Zelanda intendono astenersi ciò che comprometterebbe esito votazione. Bevin ha chiesto nostro accordo per

2 Vedi serie terza, vol. I, D. 226.

3 Vedi D. 897.

offrire ad Australia partecipare come sesto membro Consiglio per Tripolitania ritenendo che con ciò voto favorevole quei due Domini potrebbe essere assicurato. Ho fatto presente a Gallarati Scotti quanto riferito da V.E. con telegramma n. 1602 circa atteggiamento Australia nei nostri confronti che lascia poco bene presagire per attività che essa potrà svolgere nel Consiglio suddetto. Si concerti con McNeil e esponga opportunità che, in tale eventualità, anche per conservare numero dispari si aggiunga un settimo membro: Argentina.

914 1 Vedi D. 875.

915 1 Gallarati Scotti riferì subito a Zoppi, per telefono, il contenuto delle comunicazioni di Bevin. Ne fece poi oggetto di un telegramma (T. s.n.d. 4976/207, ore 20,15) affinché rimanesse agli atti.

916

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 3987/54. Roma, 12 maggio 1949, ore 23.

Con riferimento ai telegrammi già trasmessi in merito' si prega V.E. di considerare principalmente l'interesse che ha l'Italia a che le trattative per il grano attualmente in corso a Mosca non falliscano. Ciò avrebbe come conseguenza l 'ineseguibilità dell'accordo italo-russo dell' 11 dicembre 1948. Quindi i delegati italiani sono autorizzati, come ultima ratio, pur resistendo con molta energia sulle posizioni illustrate dalle precedenti comunicazioni, ad avvicinarsi alla tesi sovietica fino ad accoglierla integralmente per ciò che concerne le modalità di consegna. Quanto precede vale sempre che ciò sia considerato assolutamente indispensabile perché le trattative non vengano interrotte. Per quanto riguarda il prezzo resta inteso quanto già comunicato.

917

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI, SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4945/204. Londra, 12 maggio 1949, ore 14, l O (perv. ore 17,45).

Telegramma V.E. 218 1•

916 1 Vedi da ultimo D. 890. 917 1 T. s.n.d. 3903/218 (Londra) 270 (Parigi) dell' 11 maggio, ritrasmetteva il D. 905.

Circa portata statuti speciali per Eritrea ritengo utile ricapitolare come si addivenne alla specifica menzione delle «città di Asmara e Massaua» per le quali si intende ottenere misure di più ampia autonomia che non garanzie a persone e beni italiani in Eritrea in genere (telegramma ministeriale 212)2 .

N el mio colloquio del 16 dicembre 1948 con Bevin3 quando egli mi confermò che progetti anglo-americani prevedevano perdita totale Eritrea, replicai che assegnazione all'Etiopia di città europee come Asmara e Massaua avrebbe provocato sicuramente forte indignazione ovunque e anche in Gran Bretagna: fu allora che Bevin dichiarò che interessi europei in Eritrea e italiani in particolare avrebbero trovato sufficiente protezione da parte speciali organi controllo, mentre per città Asmara e Massaua avrebbe potuto essere studiato un regime particolare del genere di quello delle «città anseatiche». Nella discussione del 6 corrente di V.E. con Bevin4 , di fronte alla di lui intransigenza per Eritrea, mi permisi interloquire ricordando espressione «città anseatiche» che aveva lui stesso usata nell'occasione sopra citata. Come V.E. ricorda Bevin non oppose osservazioni, approvando poi senza ulteriore commento la precisa dizione «città» contenuta nella formula concordata.

915 2 De!l'11 maggio, non pubblicato.

918

L'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 4954/46. New Delhi, 12 maggio 1949 ore 21 (perv. ore 22).

Mio 44 1•

In seguito alle istruzioni suo Governo questo Alto commissario britannico è intervenuto presso questo Governo chiedendo appoggiare o almeno rispondere su nuovo progetto per le colonie. Gli è stato risposto appoggio era assolutamente impossibile ma che verrebbe telegrafato delegazione esaminare sul posto possibilità astenersi. Effettivamente è stato telegrafato in tal senso. Mi risulta però che delegazione considera esito votazione estrema incertezza (e so che anche Londra se ne preoccupa) per cui valuta il suo voto come decisivo e, preoccupata ripercussione opinione pubblica sia interna che internazionale, proponesi votare contro anche in Comitato ed in Assemblea generale.

3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 758.

4 Vedi D. 875.

917 2 T. s.n.d. 3868/212 (Londra) 265 (Parigi) dellO maggio, ritrasmetteva il D. 900.

918 1 DellO maggio, con il quale Carrobio aveva chiesto conferma alle notizie stampa sull'accordo i tal o-britannico per le colonie.

919

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

S.N.D. 4975/206. Londra, 12 maggio 1949, ore 20, l O (perv. ore 7,30 de/13). Mio 201 1 .

Ufficio Africa del Foreign Office ha oggi convocato un segretario di questa ambasciata per ripetere con senso di massima gravità ed urgenza le preoccupazioni del Governo britannico possibili conseguenze nelle colonie e a Lake Success delle trasmissioni radio italiane.

Foreign Office ha ricevuto un messaggio dell'amministratore Tripolitania che afferma «se italiani volessero di proposito rendere più difficile loro pacifico ritorno non potrebbero farlo meglio di quanto già non faccia loro propaganda radio». Ufficio Africa comprende che stampa italiana non può fare a meno rispecchiare delusione di certi settori opinione pubblica oppure sottolineare in appoggio al Governo vantaggi delle recenti intese: lamenta però che nostra radio dia diffusione in varie lingue agli articoli più estremisti e imposti in generale questione coloniale in modo tale da dare alimento ai movimenti di protesta che già hanno avuto luogo specie in Tripolitania con pericolosi riflessi nell'opinione pubblica mondiale, nei Parlamenti e nelle delegazioni a Lake Success.

Foreign Office mi prega quindi segnalare alla più seria attenzione di codesto Ministero urgente necessità orientare in modo più opportuno nostre trasmissioni radio. Medesime raccomandazioni mi sono poi state fatte personalmente da Bevin anche egli molto preoccupato dell'effetto di una incauta propaganda sugli arabi della Tripolitania.

920

L'AMBASCIATORE A CARACAS, CASSINIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 03162/452. Caracas, 12 maggio 1949 (perv. il 25).

Riferimento: Telegrammi circolari di codesto Ministero n. 3830 e 3954 del 9 e 12 maggio corrente'. Ho l'onore di assicurare di aver trasmesso i ringraziamenti a questo Governo a nome di S.E. il presidente del Consiglio e dell'E.V.

In quanto alla mozione che verrà votata circa le colonie africane, questo ministro degli esteri dr. Gomez Ruiz ha subito inviato un telegramma alla delegazione venezuelana all'O.N.U. confermando e integrando le precedenti istruzioni a noi favorevoli e specificando altresì che la delegazione stessa dovrà opporsi a tentativi di votazioni separate di uno o più punti.

919 1 Vedi D. 909. 920 1 Vedi DD. 897 e 914.

921

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 1718. Il Cairo, 12 maggio 1949.

Faccio seguito alla mia lettera n. 1103 del 26 marzo u.s. 1 relativa alla questione coloniale.

Con la partenza del ministro degli esteri Khachaba Pacha per l'America, le direttive della politica egiziana in merito a questo problema si sono spostate dal Cairo a Lake Success. Tanto più che il primo ministro Abdel Hadi Pacha, che ha l'interim degli esteri, è completamente assorbito dalle questioni inerenti alla situazione interna del paese, la quale, negli ultimi mesi ha continuato a mantenersi fluida e preoccupante, e che a Khachaba Pacha sono stati conferiti i più ampi poteri di decidere sul posto la linea di condotta da seguire, sulla base dei noti principi della politica egiziana e d'accordo con i delegati degli altri Stati arabi.

Di conseguenza, al Cairo, i lavori dell'O.N.U. sono stati seguiti quasi esclusivamente attraverso le corrispondenze dei giornali. L'accordo SforzaBevin2 è giunto quindi del tutto inatteso, provocando molto disorientamento. Le reazioni sono ovviamente sfavorevoli, dato che la tesi degli arabi è stata battuta in pieno. Niente indipendenza, niente unità della Libia, ma spartizione a tre. I giornali fino a tutt'oggi, si astengono dai commenti, privi come sono di direttive. Ma le corrispondenze da New York lasciano intendere che gli arabi sono stati ancora una volta beffati dalla perfida Albione, la quale, dopo essersi impegnata a non lasciar tornare l'Italia nelle sue colonie (e qui si giuoca sull'equivoco tra Libia e Cirenaica), ha tradito gli arabi promettendo di consegnare Tripoli all'Italia, ed i musulmani dell'Eritrea incorporandoli nel Sudan, che è praticamente una colonia britannica.

Sono queste le prime reazioni della stampa e degli ambienti governativi, tanto confuse che molti si rivolgono a noi chiedendo chiarimenti.

Come ricorderai Khachaba Pacha prima di partire per Lake Success mi disse che si sarebbe tenuto in contatto col nostro osservatore all'O.N.U. e col nostro ambasciatore a Washington, che avrebbe osteggiato qualunque soluzione in Libia che non rispettasse il principio della unità e dell'indipendenza, che per l'Eritrea doveva tener conto della sua politica di buon vicinato con l'Etiopia, e che per la Somalia avrebbe votato a favore dell'Italia, mentre dalle frammentarie notizie che giungono qui sembra che l'Egitto abbia dato voto contrario in sede di sottocommissione politica. Da allora sono però passate circa sei settimane, ed è anche passata molta acqua sotto i ponti. Soprattutto si sono verificati due importanti fatti nuovi: il colloquio di Khachana Pacha col conte Sforza a New York (l'ho appreso solo ora dai nostri giornali, che qui arrivano con grande ritardo causa la censura) e l'accordo Sforza-Bevi n.

2 Vedi D. 875.

Ti sarò quindi grato se, quando ti sarà possibile, mi vorrai ragguagliare in proposito specie, per mia norma di linguaggio, sul colloquio tra il ministro Sforza e Khachaba Pacha, il quale è atteso prossimamente al Cairo3 .

921 1 Vedi D. 647.

922

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE

T. S.N.D. URGENTISSIMO 4030/26. Roma, 13 maggio 1949, part. ore 0,30 del 14.

In votazione odierna Comitato politico O.N.U. delegazione svedese si è astenuta dal votare mozione relativa attribuzione Tripolitania ad Italia. Pregola intervenire subito perché in votazione Assemblea generale che avrà luogo domani sabato delegazione svedese voti mozione stessa in senso favorevole. Trattasi come noto mozione concordata tra Italia ed Inghilterra1•

923

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, GUASTONE BELCREDI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 4032/20. Roma, 13 maggio l 94 9, part. ore O, 3 O del l 4.

In occasione voto odierno Comitato politico O.N.U. delegazione iraniana si è astenuta.

Pregola intervenire d'urgenza perché in votazione che avrà luogo domani sabato Assemblea generale delegazione iraniana riceva istruzioni votare a favore onde assicurare necessaria maggioranza due terzi 1•

924

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 4033/24. Roma, 13 maggio 1949, part. ore l dell4.

In votazione odierna Commissione politica O.N.U. Libano ha votato contro assegnazione amministrazione Italia della Tripolitania.

Voglia insistere costà perché in votazione Assemblea domani delegato libanese abbia istruzioni astenersi e indurre Yemen fare altrettanto. Ciò considereremmo prova amicizia 1•

921 3 Vedi D. 969.

922 1 Per la risposta vedi D. 930.

923 1 Identiche istruzioni erano state inviate ad Ankara con T. s.n.d. 4031/38 in pari data. Per la risposta da Teheran vedi D. 938.

925

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 5004/172. New York, 13 maggio 1949, ore 18,28 (perv. ore 7,30del14).

Risoluzione proposta da Sottocomitato è stata approvata nel suo insieme con 34 voti favorevoli 17 contrari 7 astenuti 2 assenti. Precedente votazione su singoli paragrafi ha dato seguenti risultati: per Somalia 36 voti favorevoli 17 contrari 5 astenuti. Per Eritrea 36 favorevoli 6 contrari 15 astenuti per parte riguardante cessione ad Etiopia mentre è stata respinta parte relativa annessione Sudan provincia occidentale. Per Cirenaica 35 favorevoli 17 contrari 5 astenuti 2 assenti. Per Tripolitania 32 favorevoli, 17 contrari e cioè sei slavi Birmania Egitto Iraq Libano Etiopia Pakistan Filippine Arabia Saudita Yemen Siam Siria, 8 astenuti e cioè Australia Cina Haiti India Israele Liberia Svezia Turchia, assenti Afghanistan ed Iran. Tripolitania è dunque sola parte risoluzione trasmessa Assemblea che non (dico non) ha ottenuto maggioranza due terzi necessaria in Assemblea. Secondo interpretazione data da Evatt a Parigi, in Assemblea paragrafo che non ottiene in votazione parziale maggioranza due terzi viene cancellata da testo integrale sottoposto a votazione finale. Non vi è dubbio d'altra parte che risoluzione verrà votata per paragrafi oltre che nel suo complesso così come avvenuto oggi in Comitato.

In aggiunta a quanto si sta facendo qui sarebbe urgente intervenire per quanto possibile data brevità tempo presso Governi tuttora suscettibili impartire loro delegazioni nuove istruzioni almeno per quanto riguarda Tripolitania (e possibilmente anche Somalia) anche se essi intendono mantenere invariato loro atteggiamento rispetto alla risoluzione nelle sue parti rimanenti o nel suo insieme. In particolare sarebbe bene comunque effettuare urgentissime pressioni (ancora non si conosce data votazione Assemblea ma si ritiene avverrà domani o domenica) su Cina, Svezia, Turchia, Israele nonché sebbene con scarse speranze su Libano Filippine Siam. Data estrema urgenza pregherei telefonare subito Stoccolma Ankara e possibilmente Israele 1•

s.n.d. 4033/24 per Beirut, al T. s.n.d. 4032/20 per Teheran, al T. s.n.d. 4030/26 per Stoccolma, tutti del 13 maggio, per i quali vedi DD. 923 nota l, 924, 923 e 922. Non si è rinvenuto riscontro telegrafico per il consolato a Gerusalemme.

924 1 Per la risposta vedi D. 936.

925 1 Con T. s.n.d. 40381123 del 14 maggio Sforza rispose: «Fatte tutte raccomandazioni per telefono o telegrafo Turchia, Libano, Iran, Svezia ed Israele al quale promettemmo invio immediato ministro plenipotenziario e riconoscimento de jure». Si riferisce, nell'ordine, al T. s.n.d. 4031/38 per Ankara, al T.

926

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5016/34. Madrid, 13 maggio 1949, ore 16 (perv. ore 21).

Telespresso urgente di questa ambasciata 014 del29 aprile1•

Rientrato Madrid dopo mio breve congedo ho appreso non senza meraviglia che questo Governo, senza consultarci neanche quanto convenienza della data, aveva fatto partire per Roma parte di una delegazione destinata negoziare nuova convenzione aerea.

Stesso sottosegretario Tomas Sufier non è riuscito fornire a Cittadini ragione di questa iniziativa che è probabilmente dovuta unicamente ad ambasciatore Sangroniz.

Questa ambasciata, pur avendo sempre auspicato un acceleramento tempi nel negoziato aereo, aveva ritenuto, anche su informazioni di codesto Ministero, indispensabile risolvere preliminarmente alcune questioni pregiudiziali che avrebbero dovuto costituire premesse indispensabili per un più concreto negoziato. Fra queste questioni principalissima è quella del tipo di materiale aeronautico che saremmo in linea di massima disposti a concedere, a prezzo di favore, in cambio dell'esercizio da noi richiesto di alcune linee aeree oltre Madrid (quinta libertà).

Da parte spagnola si è insistito, ed anche recentemente, perché fosse fornito materiale americano mentre da parte nostra è stata presentata lista abbastanza ampia di materiale di nostra produzione. Ambasciata era appunto in attesa di una risposta di massima a questa nostra offerta quando Governo spagnolo ha creduto fare partire per Roma sua delegazione.

Poiché delegati sono ormai costì mi astengo, salvo contrarie disposizioni codesto Ministero, dal compiere ulteriori passi per chiarire intendimenti di questo Governo. Ritengo tuttavia opportuno fare presente quanto segue:

l) nostro preciso interesse non prestarci ad eventuale tentativo di comprendere fra merce fornita con trattato di commercio attualmente in discussione anche materiale aeronautico di qualunque specie. Questo ci priverebbe delle scarse armi che abbiamo per ottenere in sede di accordo aeronautico concessione quinta libertà.

2) Ritengo convenga interpretare iniziativa spagnola invio, non concordato, di una sua delegazione come implicita accettazione della lista di nostro materiale aeronautico da me a suo tempo presentata su istruzioni di codesto Ministero.

È opportuno in ogni caso approfittare presenza Roma tecnici spagnoli per determinare in maniera concreta ammontare in pesetas dell'indennizzo che ci si chiede per esercizio quinta libertà. Fino ad ora su questo argomento si è rimasti necessariamente nel vago.

3) Ove non dovesse essere possibile concludere convenzione aerea secondo linee generali desiderate dal nostro Ministero dell'aeronautica ritengo non convenga scartare a priori proposta di questa ambasciata di limitarsi intanto a stipulare una convenzione minore limitata al solo traffico fra i due paesi ciò anche in previsione aumento turismo Anno Santo.

926 1 Non pubblicato.

927

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

TELESPR. URGENTE 977/013. Roma, 13 maggio 1949.

Riferimento: Telespresso urgente n. 051 del 6 u.s. 1 .

Non risulta sino a questo momento che l'U.R.S.S. abbia avanzato accenni a voler trattare questioni balcaniche in occasione delle prossime conversazioni sulla Germania. Sulle questioni balcaniche, come le è noto, è costante lo scambio di informazioni fra questo Ministero e questa legazione di Grecia e con lo stabilimento di una nostra legazione a Tirana saremo in grado di estendere tale collaborazione anche ali' Albania, come si viene facendo per la Bulgaria paese col quale la Grecia non ha relazioni diplomatiche.

Circa la ripresa delle nostre relazioni diplomatiche con l'Albania, cui quest'ultimo paese si è di recente indotto ad addivenire, richiamo l'appunto allegato al telespresso di questo Ministero n. 15/78 del 23 aprile u.s. 2 .

Assicuri Tsaldaris che su tutto ciò rimarremo in contatto con lui.

928

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1039/342. Mosca, 13 maggio 1949 (perv. il JO giugno).

I sovietici tengono, di fronte alla imminente riunione del Consiglio dei ministri degli esteri a Parigi, l'abituale atteggiamento di prudenza.

Le loro notizie stampa consistono anzitutto in succinti resoconti sulla levata del blocco, che si afferma qui essere avvenuta in perfetto ordine. In secondo luogo, esse mettono in evidenza l'attività delle organizzazioni politiche comuniste e filo-comuniste della Germania orientale, per la riaffermazione del principio della unità della Germania, alla vigilia e in vista della riunione di Parigi. Infine, e in stretta correlazione con le precedenti, vengono qui diffuse le notizie circa l'affrettata approvazione della Costituzione di Bonn, mettendo in risalto il contrasto fra le anteriori divergenze dei partiti tedeschi e il precipitoso accordo da essi raggiunto dopo l'annuncio dell'imminente Consiglio dei ministri. I sovietici ne traggono la conseguenza che le potenze occidentali vogliono mettere il prossimo Consiglio di fronte al fatto compiuto della

2 Vedi D. 786, nota l.

creazione della Germania occidentale. Facendosi eco della stampa comunista germanica, oggi J. Korolkov in una corrispondenza alla Pravda da Berlino scrive che «la decisione di Bonn costituisce una barriera sulla strada delle trattative di Parigi».

In sostanza, analogo atteggiamento i sovietici tennero alla vigilia dell 'ultimo fallito Consiglio dei ministri a Londra; anche allora misero in evidenza la posizione della stampa occidentale, la quale prima ancora della riunione ne scontava già l'insuccesso, per dimostrare che gli occidentali non avevano alcuna intenzione di giungere ad un accordo. Oggi attribuiscono alla deliberazione di Bonn un valore equivalente.

Si potrebbe dunque dire che la pubblica posizione sovietica di fronte alle imminenti trattative è diffidente e scettica.

D'altro canto, tuttavia, è da segnalare un singolare cambiamento nella opinione degli ambienti americani di Mosca. Alle prime notizie della levata del blocco e della nuova conferenza, essi apparivano decisamente scettici: consideravano la riunione come qualcosa che non si poteva evitare, ma che avrebbe costituito unicamente un imbarazzo: «prima finirà meglio sarà», dicevano in sostanza, riferendosi, naturalmente, ad una conclusione negativa.

Attualmente invece, l'apprezzamento è un po' cambiato, nel senso almeno che gli americani si attendono la possibilità di una tale presa di posizione sovietica, che li costringa a trattare seriamente e renda più difficile uno scioglimento facile e rapido del convegno.

Qualcuno va più in là e non esclude nemmeno più che a una soluzione si possa giungere, tanto che un diplomatico riassumeva ieri sera le previsioni sulla conferenza in questo modo: «gli inglesi pensano che fallisca col novanta per cento di probabilità, per gli americani invece esse sono oggi fifty-fifty».

Alla radice di questo cambiamento degli americani, dalla certezza negativa verso il dubbio, sta l'incertezza sulla interpretazione delle ultime mosse sovietiche: hanno consentito i russi a levare il blocco unicamente perché la situazione a Berlino e nella Germania orientale si era fatta intenibile, o anche e soprattutto perché volevano portare al Consiglio dei ministri qualche proposta clamorosamente conciliante, tale da costituire un passo effettivo verso la pace per la Germania?

Evidentemente, in analogia a quanto prevedevo nel mio precedente rapporto 1 , gli americani si stanno convincendo che i sovietici non agiscono soltanto in funzione della propaganda, ma di concreti fini politici: e temono di essere messi in difficoltà da qualche concessione sovietica, che li metta nell'alternativa di subire una Germania unitaria, oppure di esporsi alla impopolarità nei riguardi delle popolazioni tedesche.

Questo è lo stato d'animo generale. Di più, in linea di fatto, non si può dire, perché informazioni concrete sugli intendimenti reali dei sovietici mancano.

Tuttavia, non si deve dimenticare che assai spesso fra gli intendimenti e gli interessi ultimi dei sovietici e le loro effettive mosse si frappone la loro pesantezza e angolosità, il loro dogmatismo politico e diplomatico, il quale fa sì che anche allorquando essi vorrebbero sorprendere l'avversario con proposte larghe ed ardite, lo fanno con tanta rigidità e con tante riserve, da privarle di vera efficacia.

Io non dubito, e l'ho già detto, che i sovietici vogliano in questo momento tentare di arrivare a un accordo; ma penso che difficilmente saranno capaci di fare tutti i sacrifici necessari per arrivarvi. In questo essi faciliteranno, probabilmente, il compito degli anglo-americani.

In fin dei conti, non bisogna dimenticare che questa levata del blocco di Berlino, così come si è verificata, ha costituito senza dubbbio una sconfitta diplomatica sovietica di prima grandezza. Non è certo un episodio di questo genere, che possa alla lunga mutare il corso degli eventi politici, ma esso indubbiamente serve a rilevare i lati deboli, le insufficienze della diplomazia di questo paese.

Questa constatazione aiuta a prevedere ragionevolmente quel che potrà avvenire;

o i sovietici troveranno improvvisamente la genialità e la elasticità necessarie, oppure offriranno ancora una volta agli anglo-americani buoni argomenti per un nulla di fatto, e per lo sviluppo della loro preparazione di una Germania occidentale separata.

927 1 Vedi D. 877.

928 1 Vedi D. 832.

929

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. 4077/54. Roma, 14 maggio 1949, ore 22,30.

Confermasi, con riferimento suoi telegrammi 86, 88 1 , 892 , essere stato provveduto chiarire ministri Capsalis e Doxiadis che intero negoziato relativo questioni dipendenti trattato di pace, i vi comprese quelle relative annesso XIV, viene continuato qui a Roma.

Circa andamento trattative V.E. continuerà ad essere tenuta informata.

Informasi infine, per sua opportuna conoscenza che, in accordo nostra delegazione, Doxiadis rientra Atene ricevere istruzioni, così da essere, per ripresa conversazioni, che si svolgono soddisfacentemente, nuovamente Roma martedì.

930

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5088/47. Stoccolma, 14 maggio 1949, ore 21 ,lO (perv. ore 24).

Ho dato immediatamente corso istruzioni impartitemi con telegramma 26 1 . Consiglio dei ministri riunitosi oggi non ha creduto modificare istruzioni di cui delegazione

svedese era già in possesso. Tanto mio collega britannico quanto delegato svedese Nazioni Unite erano giorni fa inutilmente intervenuti il primo per svolgere opera di persuasione, l'altro per prospettare fedelmente situazione illustratagli da nostro delegato.

Sembrami stia al fondo di questa decisione preoccupazione non scontentare Mosca.

929 1 Vedi D. 873. 2 Del 7 maggio. con il quale Prina Ricotti aveva informato circa l'imminente partenza per Roma di Doxiadis incaricato, con pieni poteri, di condurre le trattative italo-greche. 930 1 Vedi D. 922.

931

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5090/395. Washington, 14 maggio 1949, ore 13,37 (perv. ore 24).

Da accenni fatti in via personale presso Dipartimento, non si esclude qui possibilità che atteggiamento assunto da partito cominformista triestino circa restituzione Trieste all'Italia costituisca indicazione intenzioni U.R.S.S. fare quanto prima dichiarazione favore tale restituzione.

Con tale mossa, da vedersi nel quadro recenti iniziative appeasement russe,

U.R.S.S. potrebbe, secondo interpretazione data da stesso Dipartimento, conseguire vantaggio ritiro truppe alleate, rafforzamento partito comunista in Italia, ed esautoramento Tito nei confronti sua pubblica opinione. Dipartimento sembra peraltro intenzionato mantenere atteggiamento vigilanza non assumendo, almeno per il momento, nuove concrete iniziative, dato che esse potrebbero originare reazioni sfavorevoli da parte di Tito con perdita vantaggi finora conseguiti da Stati Unitit dopo suo allontanamento da Cominform 1 .

932

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5097/96. Mosca, 14 maggio 1949, part. ore 0,45 de/15 (perv. ore 7).

Raggiunto oggi accordo grano, prezzo 95.

Si è ottenuto, circa condizioni, che con lettera separata dal contratto Exportkleb prometterà di fare ogni sforzo per dare grano praticamente esente da carbonatura. Altre condizioni invariate su base sovietica. Martedì l 7 sarà firmato contratto.

931 1 Per la risposta vedi D. 961.

933

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5098/98. Mosca, 14 maggio 1949,part. ore 0,45 de/15 (perv. ore 7,30).

Questa ambasciata Francia mi comunica che autorità sovietiche hanno imposto al parroco francese di questa Chiesa cattolica, ove da centocinquanta anni officiano sacerdoti francesi, la consegna delle chiavi per sostituirgli un sacerdote cattolico polacco che pare non riconosca autorità Vaticano. Ambasciata francese ha presentato una nota di protesta accennando anche alla libertà esercizio culto ortodosso consentito in Francia a sacerdoti sovietici. La Chiesa era soprattutto frequentata dal Corpo diplomatico di Mosca. Predetta ambasciata mi ha pregato di dame comunicazione a codesto Ministero per opportuna notizia.

934

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5105/212. Londra, 14 maggio 1949, ore 21,10 (perv. ore 7,45 del 15).

Non essendo riuscito a parlare oggi a Bevin impegnatissimo, ho rivisto Wright. Mi disse che situazione a Lake Success risultava sempre ugualmente sospesa a piccolissime differenze di voti per raggiungere i due terzi. Australia rimaneva punto duro da superare. Nostro rifiuto (così era stato interpretato da Australia) a farla entrare nella Commissione per Tripolitania l'aveva inasprita e resa vieppiù ostinata. Da parte inglese si faceva il possibile per vincere sua resistenza ma «il dottor Evatt è su certe questioni non facile a piegare».

Comunque Wright desiderava farci sapere che istruzioni date da Bevin erano improntate a massima lealtà verso impegni presi con noi, ma che non era più possibile dirigere dal Foreign Office la delegazione e che a McNeil erano stati dati perciò piena responsabilità e pieni poteri di giudicare e decidere secondo la situazione fluida e difficilissima in cui esitazioni stesse, di poche ore, potevano farci perdere possibilità raggiungere voti necessari; pensava perciò che due delegazioni italiana ed inglese potevano essere utilmente in contatto e risolvere come potevano situazione mutevole di ora in ora. «Se non riusciamo questa volta il problema delle colonie non si risolve più». Mi è parsa evidente una certa ansietà per i pochi voti mancanti. Feci pervenire a Bevin promemoria traducente punto di vista V.E. di cui a telegramma 3954/c. 1 su statuto città Asmara e Massaua perché non rimanessero o sorgessero equivoci. Wright mi

disse che impegno preso da Bevin con Sforza coincideva con nostre interpretazioni. Che intenzione di Bevin era chiaramente per un trattato tra Nazioni Unite e negus che sancisse tale statuto. Ma che erano ormai ben note difficoltà da parte Stati Uniti e che interpretazione inglese concorde con la nostra su «statuti municipali» non vincolava le altre delegazioni. Anche su questo punto però Inghilterra avrebbe lavorato, per quanto le era possibile, nello spirito dell'accordo. Feci ben presente che per noi tale questione rappresentava un punto essenziale dell'accordo stesso.

934 1 Vedi D. 914.

935

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS

T. S.N.D. 4090/39. Roma, 15 maggio 1949, ore 21,05.

Mio 381• Assemblea generale O.N.U. procederà votazione per raccomandazione sorte antiche colonie lunedì pomeriggio.

Prego, agendo d'intesa con codesto rappresentante britannico, insistere nuovamente presso codesto Governo affinché sua delegazione voti a favore sia singole parti sia testo complessivo raccomandazione suddetta facendo presente che voto Turchia a favore Tripolitania potrebbe essere determinante per conseguire maggioranza necessaria due terzi per intera raccomandazione, giacché gruppo sudamericani è unanime votare contro raccomandazione complessiva qualora decisione su Tripolitania non abbia precedentemente ottenuto necessaria maggioranza due terzi. Pertanto eventuale astensione Turchia finirebbe praticamente per colpire non soltanto noi ma anche Inghilterra e fare quindi giuoco russo.

Dica che apprezzeremo voto favorevole Turchia come vera prova amicizia2•

936

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO URGENTE 5116/3 5. Beirut, 15 maggio 1949, ore 13,35 (perv. ore 15).

Subito dopo aver ricevuto telegramma di V.E. n. 241 ho raggiunto Frangie in una sua proprietà nel Libano ... 2 e ho, più tardi nella serata, intrattenuto a lungo presi

2 Per la risposta vedi D. 941.

2 Manca.

dente della Repubblica. Ho fatto appello all'amicizia Libano sviluppando nuovamente tutti gli argomenti che già avevo loro presentati durante i giorni scorsi e che erano stati appoggiati da apposite rinnovate demarches del nunzio apostolico e dei ministri di Francia Argentina e Cile.

È chiaramente apparso da tali colloqui come l'atteggiamento definitivo del Libano, dopo che ogni composizione fra le varie tesi si è rivelata impossibile, sia stato determinato, così come Frangie presentiva e come ci aveva avvertito, dalla precisa volontà di Riad Solh e dagli impegni presi da lui durante il suo recente viaggio al Cairo. Presidente della Repubblica ha in mia presenza telefonato a Frangie e a Riad Solh. Mentre il primo ha risposto affermativamente, incitando il presidente a fare pressione su Riad, questo ultimo ha fatto presente impossibilità per Libano di opporre un rifiuto alla precisa domanda di allineamento fattagli dall'Egitto in un momento in cui il Libano ha bisogno di tutto appoggio egiziano presso nuovo minaccioso Governo siriano.

Ho parlato io stesso per telefono a Riad Solh, in presenza presidente della Repubblica, sviluppando con la maggiore possibile fermezza tutti i nostri argomenti che ho anche messo per iscritto in una lettera indirizzatagli subito dopo. Ritengo tuttavia che ben difficilmente egli potrà mutare atteggiamento dati gli impegni da lui presi al Cairo.

935 1 Vedi D. 923, nota l.

936 1 Vedi D. 924.

937

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI

T. SEGRETO URGENTISSIMO 4089/25. Roma, 15 maggio 1949, ore 20,50.

Suo 35 1•

Ho intrattenuto sull'argomento questo ministro del Libano facendo appello trattato amicizia che mi sembra imponga come atteggiamento minimo decente almeno astensione altrimenti rischierebbe trovarsi svuotato contenuto. Gli ho detto che non è sull'Egitto, ma su Italia e Francia che Libano può e deve contare per salvaguardia sua indipendenza e suoi interessi che coincidono coi nostri. Mi ha promesso intervenire d'urgenza.

938

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, GUASTONE BELCREDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO URGENTISSIMO 5120/21. Teheran, 15 maggio 1949, ore 13 (perv. ore 21).

Telegramma di V. E. 201•

938 1 Vedi D. 923.

Questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri assicurami che mattina 14 corrente sono state telegrafate istruzioni delegato Iran perché in riunione Assemblea generale O.N.U. voti favore progetto basato su formula Sforza-Bevin.

937 1 Vedi D. 936.

939

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5121/36. Beirut, 15 maggio 1949, ore 23 (perv. ore 8 ore 16).

Mio telegramma odierno 1•

Oggi ore 17 Governo Libano ha telegrafato al capo della delegazione Libano all'O.N.U. trasmettendogli nostra domanda, facendo presente nostre ragioni e !asciandolo libero decidere circa astensione.

Mi viene dato riservato consiglio pregare V.E. inviare istruzioni urgentissime nostro ambasciatore prendere immediato contatto con capo delegazione Libano Malik per esercitare su di lui ogni possibile opera di persuasione scopo ottenere astensione. È necessario sopratutto che nostro ambasciatore richiami l'attenzione Malik (che è colà sottoposto a continue pressioni del ministro degli affari esteri egiziano) su votazioni discordi gruppo arabo circa Eritrea e quindi su piena possibilità per delegazione Libano assumere libertà d'azione Tripolitania astenendosi conformemente particolari interessi Libano e suoi rapporti amicizia con l 'Italia.

940

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 50511799. Parigi, 15 maggio 19491•

Informazioni e sondaggi che ho potuto fare in questi giorni non fanno che confermare l'impressione, che ho già trasmessa a V.E. con il mio telegramma n. 252 dell' 11 corrente2 , che cioè, con il voto contrario espresso dal Consiglio economico, il progetto di Unione doganale abbia ricevuto sostanzialmente, anche se non formalmente, un colpo gravissimo se non mortale.

2 Vedi D. 912.

Dico sostanzialmente in quanto è possibile, in teoria almeno, che se il Governo francese getta tutto il suo peso nella bilancia, se esso sa abilmente insistere sul carattere politico dell'accordo stesso, e soprattutto se mantiene il suo proposito di porre su questo argomento la questione di fiducia, che esso riesca a farlo passare, di stretta misura, al Parlamento, con qualche considerevole emendamento restrittivo, e con la promessa tacita, ma precisa, di non fame poi niente in pratica.

Il Governo ha mostrato, in teoria almeno, di non volere abbandonare la battaglia poiché a due giorni di distanza dal voto del Consiglio economico, il progetto di Unione doganale è stato approvato dal Consiglio dei ministri e si continua a dire che esso sarà depositato agli Uffici del Parlamento. Schuman parlerà lui stesso personalmente al Consiglio dell'economia per difendere l'accordo. Nonostante questo è mio dovere fare molte riserve su tutti i se da me elencati: Schuman oltre ad essere personalmente impegnato (un voto del Parlamento contrario lo metterebbe in posizione tanto delicata da rendere le sue dimissioni praticamente inevitabili) ha una tenacia tutta alsaziana: però nello stesso suo partito ci sono dei jlottements. Si osserva che il ministro degli esteri deve già affrontare alla Camera dei dibattiti difficili: Patto atlantico, Unione Europea, certamente anche questione tedesca per cui non conviene aggiungere un altro dibattito difficile, forse il più difficile di tutti, come il caso nostro. Se questa è la situazione del M.R.P., che in questo affare è il più impegnato di tutti, figuriamoci quello che accade in altri partiti.

Analizziamo infatti la situazione degli interessi quale essa è stata rivelata dal dibattito al Consiglio economico. La posizione dei comunisti era nota in anticipo: ma sulle questioni concernenti la mano d'opera, e che, sotto varie forme, si riassumono nella preoccupazione che il «basso livello di vita» italiano (cosa in realtà discutibile oggi) influisca in senso deleterio sul tenore di vita francese, né F.O. e nemmeno i sindacati cristani si sono grandemente distaccati dalla linea dei comunisti, il che già da sé solo significa un settore politico non indifferente contro l'Unione doganale, in seno al partito socialista.

In testa dell'opposizione stanno come è noto i tessili, con a capo Marcel Boussac, personalità pittoresca, non molto dissimile dal nostro Marzotto, il quale si è lanciato nella lotta con tutto il suo impeto, e con la dovizia di mezzi a sua disposizione: anche lui ha concentrata una buona parte dei suoi sforzi finanziari per influire sul partito socialista. Lascio da parte le influenze inglesi su cui non ho dati precisi, solo impressioni.

Le ragioni profonde del!' atteggiamento dei tessili vanno ricercate nel fatto che l'industria tessile francese essendo, per la maggior parte, molto arretrata nei confronti della nostra, in fatto di attrezzamento, teme la concorrenza, sul mercato francese, della nostra produzione. A questo timore, si aggiunge una nota di risentimento attuale: il Governo francese aveva chiesto ai tessili di praticare alcune riduzioni sul prezzo dei tessuti, specie di largo consumo, per concorrere alla campagna di abbassamento del costo della vita, o di rivalutazione dei salari che dir si voglia, che il Governo sta intraprendendo con molto fracasso, anche se il successo reale non è finora particolarmente incoraggiante. I tessili hanno rifiutato: allora per far loro un dispetto, il Governo, come risulta dalle conversazioni Morabito, sta ammettendo un contingente abbastanza largo di tessuti italiani all'importazione. I tessili francesi rispondono attaccando con maggior violenza il Governo attraverso l 'Unione doganale.

In senso nettamente contrario si è anche pronunciata l'Associazione des petites et moyennes entreprises, diretta dal noto signor Gingembre: le ragioni vere di questa opposizione non sono riuscito ancora a capirle: come arma di propaganda essi stanno sventolando il pericolo dell'invasione della Francia da parte di piccoli commercianti italiani, pericolo vero od immaginario a cui queste classi sono molto sensibili. È una associazione a sfondo piccole classi medie, che è bene organizzata ed è riuscita ad assumere un peso non indifferente; ed è una delle colonne d'appoggio del partito radicale.

Opposizione forte da parte dei produttori, specie vinicoli dell'Algeria ed opposizione, meno forte, ma crescente di tutti i vinicoli di Francia il cui atteggiamento influisce, in fondo, su tutti i partiti, dal radicale all'estrema destra.

Last but not least l'atteggiamento del Comité des forges, il quale da una posizione di neutralità (proprio in favore non si è mai nettamente pronunziato) sta ora dando qualche segno di passare ad una posizione nettamente ostile, come conseguenza, mi si dice, delle conversazioni attualmente in corso a Stresa. Essi stanno dicendo che è oltre un anno che essi fanno dei tentativi per raggiungere un accordo con la siderurgia italiana: che ci hanno fatte delle proposte più che ragionevoli, ma che noi continuiamo a menare il can per l'aia, che mostriamo di non aver voglia di impegnarci, che è difficile trattare seriamente con noi, ecc. ecc.

Contrari nettamente e violentemente tutti i settori dell'automobile.

Come V.E. vede, uno schieramento di opposizione tutt'altro che indifferente. Resta ancora e decisamente a favore, tutta la direzione del Patronat, con Villiers alla testa, tutta gente che, abbastanza sinceramente, e sia pure con qualche riserva, è in favore dell'Unione doganale. V.E., del resto, che li ha incontrati tutti a pranzo all'ambasciata, ha potuto, di persona, rendersi conto delle loro disposizioni. Se non che la situazione del Patronat è un po' equivoca, analoga del resto a quella che esiste alla nostra Confederazione dell'industria: per ragioni di collaborazionismo (come da noi di fascismo) alcune fra le personalità più rappresentative dell'industria francese non possono figurare a posti direttivi del Patronat: debbono restare in seconda linea: risultato, una direzione che non è in grado di imporre la sua autorità: e l'esistenza, di fatto se non di diritto, di un altro Patronat clandestino il quale non si ritiene sempre obbligato a seguire le direttive di quello ufficiale.

Credo di aver sufficientemente ripetuto da più di un anno a questa parte3 che un accordo fra il Comité des forges e la siderurgia italiana era condizione sine qua non perché si potesse soltanto sperare di varare l'Unione doganale. Confesso che non sono ancora riuscito a capire chi è che non vuole l'accordo tra le due siderurgie; se cioè è il Governo che non lo vuole, o gli industriali o quali degli industriali: perché, a parole, tutti sono pronti a farlo. Certo si è che c'è qualcuno che non lo vuole e che questo qualcuno riesce a non far marciare quelli che, sembrerebbe, lo vorrebbero: e certo è anche che, nonostante tutte le promesse fatteci, al di là delle vaghe prese di contatto non si arriva.

Se ci convenga o no, come Italia, di arrivare ad un accordo con la siderurgia francese, alle condizioni che i francesi ci offrono, non spetta certo a me di decidere (anche se ho in proposito una opinione mia personale). Quello che mi permetto di ripetere, una volta di più, è che senza un accordo con il Comité des forges, l 'Unione doganale non si farà: quin

di bisogna decidersi: o si vuole l'Unione doganale, ed allora bisogna volere anche l'accordo con la siderurgia francese: o non si vuole l'accordo con la siderurgia francese, ed allora bisogna anche rassegnarsi a non volere nemmeno l'Unione doganale. Non voglio dire che l'accordo col Comité des forges basti da solo a fare l'Unione doganale: ma è certo che contro il Comité des forges, il Padre Eterno stesso, sceso personalmente in Francia, finché la Francia resterà quella che è, non riuscirebbe a fare l'Unione doganale.

A mio parere si tratta di cercare adesso di salvare, se non l 'Unione doganale in quanto tale, l'atmosfera dell'Unione doganale, in vista delle ripercussioni che essa ha avuto, ed ha sui rapporti itala-francesi: ossia il lato politico della questione che, per me, ha la sua importanza.

Credo di non avere molte illusioni, né di averne fatte molte al mio Governo sullo stato reale, attuale, dei rapporti itala-francesi: tuttavia mi sembra che, nella situazione nostra presente, questi cosiddetti buoni rapporti colla Francia, ed anche una certa coincidenza di interessi che esiste, siano un fattore a cui non conviene rinunciare. Mi auguro che, risolta la questione coloniale, si possano sviluppare anche dei buoni rapporti coll'Inghilterra, per cui la politica colla Francia non sia, fra l'altro, la sola che possiamo fare: può essere che gli svolgimenti del problema tedesco portino i francesi a guardare i rapporti con noi con meno spirito di suffisance: ma comunque tutto questo è ancora roba di avvenire: non mi pare sia ancora giunto il momento di rischiare di mandare a quel paese i nostri rapporti colla Francia. Credo, con questo, di interpretare anche il pensiero di V.E. E questi rapporti continuano ad essere delicati.

Mi sembra quindi che la cosa che dovremmo evitare ad ogni costo è quella di vedere il patto di Unione doganale rigettato dal Parlamento francese. Poiché temo,

V.E. mi corregga se mi sbaglio, che un gesto di tal genere, sarebbe interpretato dall'opinione pubblica italiana nel senso di dire: che vale di parlare di riavvicinamento alla Francia quando la Francia non ci vuole. Ragionamento che sarebbe anche sbagliato perché non è così che ragionano, in realtà, i francesi, ma che credo sarebbe fatto da noi con conseguenze poco gradevoli.

A questo fine le alternative che si presentano sono due:

l) lasciare portare il patto davanti al Parlamento, e lasciare al Parlamento francese piena libertà di toglierei quel poco di sostanza che ci resta ancora, e farlo approvare con la intesa che tanto non se ne farà mai niente: seguire cioè, mutatis mutandis, l'esempio di Bruxelles;

2) approfittare del fatto che il Parlamento francese ha prima delle vacanze un ordine del giorno ben riempito, e far rimandare tacitamente la discussione all' autunno prossimo, insabbiando la cosa nella Commissione. Nel frattempo, lasciare che il tutto vada in sordina: siccome fra O.E.C.E., Unione Europea ed altre istituzioni si stanno mettendo in cantiere molte questioni di collaborazione economica e finanziaria a carattere paneuropeo (e qualche cosa, non so se di sostanziale o di soltanto apparente, ne verrà pur fuori) ci sarebbe possibile fra qui e l'autunno, se la situazione non cambia, di defluire senza scosse, il patto di Unione in questa crescente e più vasta collaborazione paneuropea.

La prima operazione è, ripeto, teoricamente possibile; ma certo pericolosa. Quello che debbo, in tutto questo affare, con dispiacere, constatare è la leggerezza con cui esso è stato trattato dal Governo francese. Non si può dire che da parte nostra non sia

stato detto con tutta chiarezza a Schuman, e ad altri, che, prima di firmare, bisognava essere sicuri del voto: evidentemente, ad un certo punto, di fronte alla affermazione precisa di Schuman che si sentiva ragionevolmente sicuro, non potevamo dirgli: lei si sbaglia. Soprattutto sorprendente è che Schuman abbia, sia con me che, ripetutamente, con V.E., della precedente consultazione del Consiglio economico, data una interpretazione decisamente ottimista, mentre (nostro rapporto n. 344 del 4 febbraio u.s.)4 essa conteneva in realtà, in germe, tutti gli elementi del susseguente parere negativo. La realtà è che probabilmente, il povero Schuman ha avuto, durante tutto questo periodo tante e gravi cose sulle spalle che non gli hanno permesso di occuparsi dell'Unione doganale come sarebbe stato necessario. E purtroppo questa situazione continua.

La seconda operazione è molto più facile: dato il tempo necessario, e la pazienza necessaria, mi sento di condurla in porto salvando l'aspetto politico dell'Unione. Dirò anzi di più; entro certi limiti, ritengo sia possibile di ottenere che gli stessi interessi che oggi si agitano contro l'Unione doganale con la riserva che essi sono contrari all'Unione doganale sì, ma non al rapprochement, in cambio della morte in dolcezza dell 'Unione doganale mettano la loro attività al servizio del rapprochement sul piano politico.

Credo sia evidente, da questo mio rapporto, che personalmente propenderei per la seconda alternativa. Siccome però tutto questo può avere delle ripercussioni anche di politica interna italiana, e siccome al rischio di una bocciatura in Parlamento fa riscontro nell'altra ipotesi il rischio della morte dell'Unione, prima di parlarne con Schuman vorrei conoscere il pensiero di V.E. e del Governo italiano in proposito.

Non è certo possibile imporre al Governo francese la nostra volontà nel caso che egli volesse scegliere la prima alternativa: però possiamo influire. Schuman è evidentemente imbarazzato nei nostri riguardi: dato l'uomo come è, se noi ci presentiamo, come avremmo il diritto di farlo, in veste di creditori, si sentirà obbligato o di condurre la battaglia a fondo o di andarsene, il che nel complesso non sarebbe un bene per noi. Se noi invece ci limiteremo a mostrarci dispiaciuti di non riuscire, ma faremo vedere che non vogliamo creare delle difficoltà al Governo francese e teniamo soprattutto a mantenere e consolidare gli attuali buoni rapporti, credo che finirà lui stesso, per forza di cose, a propendere per la seconda alternativa. Il che poi non impedisce che il progetto si possa anche ripescare. Comunque, quello che mi sembra indispensabile è di mettere bene in chiaro che se il Governo francese si dovesse decidere a dare battaglia lo fa per volontà sua, e non per pressioni nostre. Il Governo ci può benissimo cadere, e cadendo per colpa nostra, non troveremmo certo il suo successore molto ben disposto verso di noi.

Per questo, a mia opinione, conviene in primo luogo che la nostra stampa minimizzi quanto è accaduto, e pro tempore parli il meno possibile dell'Unione doganale; oggi si dimentica presto tutto e che soprattutto ci asteniamo dal fare pressioni. Con questo intendo soprattutto che ci asteniamo dal far fare pressioni dagli americani: alla fine si verrebbe a sapere che siamo stati noi a provocarle: ciò potrebbe darci il successo di far votare il progetto (non di fare l'Unione doganale) ma lo pagheremmo in risentimento francese in mille altri campi, nei quali poi gli americani si guarderebbero bene dal difenderci. Se gli americani faranno una pressione -ne dubito -che la facciano per conto loro, ma non per istigazione nostra.

Non vorrei che V.E. interpretasse tutto questo nel senso che intendo abbandonare la battaglia di fronte al primo insuccesso, anche se non me ne nascondo la gravità. Non ho nessuna intenzione di abbandonarla, fin che c'è una speranza: e questa speranza secondo me c'è ancora.

Quello che è necessario intanto è di riconsiderare seriamente tutta la questione. Se siamo al punto in cui siamo è dovuto al fatto che, specialmente da parte francese, non si è tenuto conto sufficientemente della potenza, e della resistenza, degli interessi organizzati. Si è ritenuto cioè che per realizzare l'Unione doganale bastavano qualche ministro e qualche direttore generale.

Ho la coscienza di averlo detto fin dal principio: capisco che per fare accettare le mie tesi sarebbe stato necessario che da parte italiana si credesse di più in me, che non ai francesi con cui si era in contatto, i quali si mostravano invece ottimisti. Gli uomini di Stato della III Repubblica, abituati ormai da decenni a compromettersi con i grandi interessi non avrebbero fatto questo errore: gli uomini di Stato della IV Repubblica pagano il fio dei loro sogni: non si sono accorti che, col passare del tempo, tutto il vecchio mondo di dietro la scena della III Repubblica si è riorganizzato e che la IV Repubblica, ormai, non differisce dalla III che per alcune sue etichette.

Di questa lezione bisogna che teniamo conto, da una parte e dall'altra, se vogliamo salvare l'Unione. Per quello che ci concerne, dovremmo cominciare a fare un esame serio di coscienza. Vogliamo noi veramente l'Unione doganale, o per essere più esatti, siamo in grado di volerla?

Su due punti capitali bisogna che da parte nostra si prenda una decisione:

l) se vogliamo fare l'Unione doganale, ripeto, bisogna volere anche l'accordo delle due siderurgie, e volerlo, più o meno, alle condizioni che ci hanno fatte i francesi: non credo che, attualmente, la congiuntura sia tale da indurre i francesi a condizioni differenti. Quindi bisogna decidersi una volta per tutte: vogliamo fare questo accordo, riteniamo che tutto sommato non sia svantaggioso per noi? Allora decidiamoci a farlo e non ci perdiamo più tempo;

2) da una parte e dall'altra si dice che l'Unione doganale non deve risolversi in una cartellizzazione dell'industria similare dei due paesi. Principio sacrosanto che non potrei che sottoscrivere, in teoria. Ma in pratica, l'esperienza ci dimostra che il Governo francese certamente, forse nemmeno il Governo italiano, non sono in grado di imporre la loro volontà ai grandi interessi: accettata questa premessa, sia pure spiacevole, che sarebbe difficile discutere dopo le esperienze di questi giorni, vorrei sapere, dato il parallelismo e la non complementarietà della produzione dei due paesi, quale maniera ci sia di evitare la concorrenza che, almeno da parte francese, si teme e dalla quale ci si vuole difendere, altra che gli accordi di produzione, il che non è che una forma eufemistica per dire di cartelli? Vogliamo essere anti cartelli, è una teoria che non discuto, ma allora l 'Unione doganale da parte francese non si farà: se invece ammettiamo il principio dei cartelli e lasciamo gli interessati mettersi d'accordo alle spalle dei consumatori, allora l'Unione doganale la si può fare.

Tutto questo può essere anche brutale: ma resta il fatto che se si vuole il fine, bisogna volere anche i mezzi.

Questi due punti vanno esaminati seriamente, da parte nostra, e va presa una decisione. È soltanto dopo presa questa decisione che si può cominciare a discutere se e come si può ripescare l 'Unione doganale.

Di tutto questo mi riservo di intrattenerla verbalmente quando avrò l'onore di vederla, nei prossimi giorni a Tolosa: le prospetto intanto il problema poiché sarebbe bene che, sia pure in linea generale soltanto, la questione cominciasse ad essere seriamente presa in esame dal Governo italiano.

Siccome poi non potrei esimermi dal parlare, a lungo, con Schuman e con altri, vorrei pregare V.E. di volermi far conoscere al più presto il suo pensiero su quanto le ho riferito5 .

939 1 Vedi D. 936.

940 1 Copia priva de li 'indicazione della data di arrivo.

940 3 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 331.

940 4 Non pubblicato.

941

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 5150/26. Ankara, 16 maggio 1949, ore 21,22 (perv. ore 7 del 17). Telegramma di V.E. n. 391 .

Eseguito istruzioni di V.E. Questo ambasciatore Inghilterra ha agito contemporaneamente a me nello stesso senso. Ambedue abbiamo avuto precisa sensazione grave perplessità turchi, malgrado loro vivo desiderio far cosa gradita, schierarsi contro tesi araba soprattutto per quanto riguarda Libia ed essere sola potenza islamica ad assumere tale atteggiamento contrastato.

Se ne sconterebbero vaste ripercussioni che astensione avrebbe naturalmente permesso evitare. Ho comunque insistito in tutti i possibili modi ed argomenti.

Mio passo e quello britannico sono stati portati telefonicamente conoscenza Sadak che trovasi malauguratamente Stambul e da cui decisione ultima dipende. Rientrerà Ankara domani mattina. Tanto io che l'ambasciatore Inghilterra lo vedremo subito nella speranza vincere sua riluttanza e giungere in tempo2 .

942

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 881/377. Ankara, 16 maggio 1949 (perv. il 20).

Non sono andato in America-ha dichiarato in sostanza ieri questo ministro degli esteri alla Grande Assemblea nazionale -né per sollecitare di far parte del

2 Vedi D. 944.

Patto atlantico, né per procedere alla firma di un qualunque accordo. Anche i meno iniziati sanno che un patto è il frutto di una lenta elaborazione e non si conclude in tre giorni. Ma era cosa naturale ed anzi necessaria ch'io avessi un qualche scambio di idee su un avvenimento che, come il Patto atlantico, ha avuto così vaste ripercussioni nel mondo.

Il Sadak ha dunque collocato la sua missione negli Stati Uniti in un quadro molto più modesto, appunto per poi affermare, come ha fatto, che date quelle premesse, era perfettamente arbitrario attendersene cose grosse. Che non vi sono state semplicemente perché non potevano esserci. Ciò naturalmente non toglie che il pubblico le attendesse.

Il Governo turco è rimasto poi dell'opinione che non si tratta ormai di inserire la Turchia nel Patto atlantico, viste le limitazioni geografiche cui è stato bene o male e piuttosto male che bene circoscritto, ma di provvedere, tamponandone le pericolose lacune, alla sicurezza dell'Europa mediante l'estensione dei sistemi regionali ad altre zone che oggi ne sono escluse. Ed il patto mediterraneo ~la cui conclusione dipende peraltro dal verificarsi di alcune condizioni e circostanze ~è ancora la migliore strada per conseguire codesto obbiettivo. «Le ultime conversazioni da me avute, ha assicurato il Sadak, sia con gli uomini di stato britannici sia con quelli americani sono state sotto ogni punto di vista incoraggianti e positive».

Il resto delle dichiarazioni è stato dedicato al calore delle accoglienze, alla cordialità dei colloqui con Truman e con Acheson, alle assicurazioni di comprensione e di buona volontà e eguali cose di cui abbonda la letteratura politica di questi anni.

Il ministro ha dato infine lettura di due messaggi: il primo di Inonii a Truman, il secondo di questi a quello. Tanto più amichevole il messaggio Truman, in quanto non si spinge più in là dei noti limiti e dunque la cordialità annacqua le limitazioni e le annebbia.

Vi si riafferma tra l'altro «non aver il presidente alcun dubbio che il signor Sadak lascia il nostro paese con la persuasione che la firma del Patto dell'Atlantico settentrionale non ha affatto diminuito l'interesse che gli Stati Uniti portano al mantenimento dell'indipendenza e dell'integrità territoriale della Turchia e dei paesi situati fuori di quella zona. La conclusione dell'accordo anzi, consolidando la sicurezza delle nazioni che vi partecipano, rafforza anche quella della Turchia. Questi principi, che sono stati per la prima volta enunciati proprio per la Turchia e la Grecia, si estendono anche a quegli altri popoli della comunità delle nazioni che amano la pace e la libertà».

Trasmetto in altra parte di questo corriere il testo integrale delle dichiarazioni Sadak e dei messaggi Truman-Inonii 1•

L'atmosfera che il Sadak ha trovato al suo ritorno in patria era d'inquietudine e di disagio. Le sue dichiarazioni l'hanno almeno temporaneamente alleggerita. Sebbene la situazione resti press'a poco quella che era prima della sua partenza, nessuno ha mai dubitato dell'interesse anglo-americano alla difesa delle frontiere turche, non fosse che per la buona e fondamentale ragione che esse esattamente coincidono con quelle che assicurano la difesa degli interessi, strategici

ed economici, appunto americani ed inglesi. Ma la questione era ed è un'altra. Come, in concreto, è assicurata codesta difesa? E da quali preventivi impegni? E quali i compiti e il destino dell'esercito turco nel quadro dei piani strategici anglo-americani?

Il Sadak non ha risposto, né davvero poteva, a codesti interrogativi, che sono poi proprio quelli che inquietano l'opinione e la turbano. Si è limitato ad assicurare che il suo viaggio ha riconfermato in termini ancora più convincenti l'interesse americano alla difesa della Turchia e che da codesta esplicita riconferma, che può concretamente tradursi anche in una maggiore assistenza militare ed economica, il paese può e deve trarre quella meditata forza d'animo che gli consenta di rassegnarsi all'esclusione dal Patto atlantico, e, insieme, alla elaborazione necessariamente lenta di un qualche altro sistema regionale di sicurezza che includa finalmente anche la zona di cui la Turchia fa parte.

Dicevo che le dichiarazioni Sadak hanno alleggerito l'atmosfera d'inquietudine ed è esatto. Anche la sua posizione personale, che pareva scossa, si è rafforzata. Ma resta nell'animo dei turchi ancorata ciononostante la persuasione che i sacrifizi che il paese compie per la causa comune non sono adeguatamente apprezzati e l 'idea di rappresentare nel mondo qualche cosa di più di quel che effettivamente non sieno e l'incertezza di non conoscere se la Turchia è, nei piani alleati, territorio da difendere

o avamposto da sacrificare. Sicché la politica estera turca resta imperniata sulla conclusione di un patto regionale di sicurezza, sussidiario a quello atlantico, e, in attesa, sul proposito di toglier di mezzo (vedi atteggiamento turco nei confronti di Israele, o di un consolidamento dei paesi arabi, o della Spagna franchista) gli ostacoli che si frappongono al conseguimento di quell'obbiettivo.

Vale la pena, per ultimo, di notare che il Sadak, nelle dichiarazioni alla Grande Assemblea, non fa cenno alla riconferma della validità del trattato del '39 da parte francese. Forse perché, mi pare, avrebbe, in questo caso, dovuto pur dire qual cosa anche delle note grosse riserve fatte dal Quai d'Orsay in materia di assistenza militare. Ciò che lo avrebbe condotto evidentemente a diluire la portata dell'iniziativa, e, insieme, l'effetto sull'opinione. Ed è dunque meglio glisser.

940 5 Con T. 4294/298 del 21 maggio Zoppi rispose: «Ne intratterrò il ministro al suo ritorno. Intanto esamina situazione con Grazzi. Riservomi telegrafarti stato conversazioni Stresa dopo interpellati interessati». 941 1 Vedi D. 935.

942 1 Non pubblicati.

943

L'AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5203/S.N. Città del Messico, 17 maggio 1949, ore 18, 16 (perv. ore 7,30 de/18).

Ho effettuato a due riprese a questo ministro degli affari esteri ad interim comunicazioni di cui ai telegrammi di VE. 3830 e 3954/c. 1•

Sig. Tello, che già mi aveva fatto presente che in linea di massima Governo messicano è contrario ad assegnazione di territori a nazioni vincitrici, conformemente a quanto fu stabilito dopo la prima guerra mondiale, e che quindi era anche contrario alla spartizione de!l'Eritrea tra Etiopia e Sudan, me lo ha confermato.

Per quanto concerne invece questione Libia, egli conferma pienamente necessità soluzione unica e inscindibile e in tal senso ha ripetuto istruzioni a Padilla Nervo. Telegrafato Roma a New York.

943 1 Vedi DD. 897 e 914.

944

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA T. S.N.D. 5205/27. Ankara, 17 maggio 1949, ore 20,36 (perv. ore 7,30 de/18). Mio 26 1•

Ministro Sadak che, stamane, subito dopo suo arrivo Ankara mi dichiarava, dopo lunga discussione, esser disposto dare istruzioni perché delegazione turca voti in favore nostra tesi, qualora suo voto risultasse determinante per conseguimento necessaria maggioranza due terzi, mi telefonava invece nel tardo pomeriggio per informarmi che Consiglio dei ministri, ove questione è stata subito dopo lungamente dibattuta, non (dico non) ha ritenuto di poter aderire sua e nostra proposta ed ha dunque riconfermato pur con vivo rincrescimento opportunità che delegazione si attenga precedente atteggiamento astensione.

Decisione assai difficile soprattutto determinata da persuasione che Turchia non può schierarsi, sola potenza musulmana, contro tesi sostenute da tutto il mondo islamico, senza rischiare alienarselo in modo grave e duraturo.

Stessa decisione astensione sarebbe già considerata come un mezzo tradimento alla causa comune ed una grossa indicazione in favore nostro ed avrebbe come tale suscitato reazioni serie.

Di fronte unanimità Consiglio Sadak non si è sentito insistere.

Egli mi prega comunicare a V.E. che Governo turco tiene vivissimamente amicizia italiana ed egli più che ogni altro, ma il fatto stesso che, insieme alla nostra, esso ha creduto in queste circostanze di dover resistere alle altrettante vive pressioni dell'amica ed alleata Inghilterra, deve persuaderei che atteggiamento turco è motivato da ragioni davvero invincibili.

Naturalmente si augura che voto turco non sia determinante e che la questione discussa in questo momento ali' Assemblea possa giungere alla soluzione per noi più favorevole.

944 1 Vedi D. 941.

945

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 517/1862. Parigi, 17 maggio 1949 1•

I lavori della Commissione preparatoria del Consiglio d'Europa che si sono iniziati una settimana fa, procedono, per ora, assai spediti. I francesi vi mettono un effettivo e serio interessamento; sanno che il successo, almeno per la parte organizzativa, dipende da loro e hanno messo al fuoco i loro migliori tecnici sia per i lavori delle sottocommissioni sia per gli allestimenti che dovranno essere fatti a Strasburgo. Anche da parte inglese viene mostrato interesse, per quanto esso sembri essere più apparente che sostanziale, limitandosi più a delle dichiarazioni di buona volontà che a una efficiente e diretta partecipazione ai lavori della Commissione. Per parte nostra non abbiamo mancato di dare la massima collaborazione possibile, partecipando attivamente ai lavori di tutte le sottocommissioni e non tralasciando occasione di riaffermare tutto l'interesse che l'Italia apporta al Consiglio d'Europa e tutto il desiderio di prendere la massima parte di responsabilità in tale iniziativa.

Questo rapido e in massima soddisfacente sviluppo dei lavori della Commissione fa sorgere nel mio animo una preoccupazione ed è che ad un certo punto i lavori della Commissione possano, per così dire, trovarsi sfasati nei riguardi di quelle decisioni superiori che devono essere prese dal nostro Governo e senza le quali, ad un certo momento, noi potremmo, contro ogni nostro intendimento e proposito, inceppare e rallentare l'andamento dei lavori della Commissione, sì che da elemento propulsore, come siamo e come vogliamo essere, potremmo diventare un elemento di ritardo.

Mi voglia quindi permettere di attirare la sua particolare attenzione su alcune questioni relative al Consiglio d'Europa che andrebbero prese al più presto in esame dai competenti organi governativi per le decisioni del caso.

Anzitutto vi è la questione della ratifica. Come V.E. sa si lavora su uno statuto e su un arrangement che devono essere ancora ratificati. Ritengo che per quel che riguarda la Francia, essendosi l'Assemblea riaperta, la ratifica non tarderà ad intervenire; bisognerebbe che anche noi non la dilazionassimo, dato che essa è evidentemente la base di tutte le successive decisioni.

La seconda questione è la scelta dei delegati. Lei già conosce le decisioni che sono state prese dagli inglesi, per quel che riguarda la Francia sembra che il Governo si riservi la scelta di tre delegati e tre supplenti, per i restanti (15 delegati 15 supplenti) i capi di vari partiti della maggioranza parlamentare comporranno una lista che verrà votata in Assemblea. Non so ancora chi verrà designato, ma una cosa è certa, che la delegazione comprenderà tutti i grossi calibri parlamentari specializzati in questioni di politica estera, poiché è ferma intenzione dei francesi di potenziare al massimo il loro intervento nella Assemblea. Mi sono stati fatti i nomi, come probabili delegati, di Reynaud, Bidault, Blum, Guy Mollet, Lapie, Herriot, Bonnefous.

Bisognerebbe che anche noi facessimo altrettanto, scegliendo fra le persone più qualificate e tenendo anche presente che, per essere le lingue ufficiali il francese e l'inglese, i delegati dovranno poter seguire i dibattiti in una delle due lingue.

Una questione altrettanto importante è quella dell'ordine del giorno provvisorio del Comitato dei ministri e dell'Assemblea, ordine del giorno che dovrà, com'è noto, essere preparato dalla Commissione. Tale questione è stata per ora accantonata, appunto perché essa necessita decisioni superiori dei Governi e verrà, credo, presa in esame dalla Commissione ai primi di giugno. Per quella data dovremo aver pronte, per mantenere un ruolo direttivo nella Commissione, delle proposte concrete da presentare, con tutti gli argomenti del caso per appoggiarle. Non mancherò di tenerla informata, man mano che verrò a sapere quali siano le idee degli altri in proposito ed in particolare dei francesi.

Vi sono poi delle questioni minori per quanto importanti, come la nomina del presidente provvisorio dell'Assemblea, che si suppone dovrebbe essere un francese e per cui noi, se decidiamo in tempo, potremo prendere l'iniziativa della proposta, e quella del finanziamento. Su quest'ultimo argomento ho inviato agli uffici di codesto Ministero un primo preventivo provvisorio, che aggiornerò man mano che avrò altri elementi. Voglia però permettermi di rivolgere a lei un appello affinché la concessione dei crediti sia fatta tempestivamente.

945 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

946

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA

T. 4185/44. Roma, 18 maggio 1949, ore 20.

Presidente delegazione commerciale spagnola1 ha dichiarato che suo Governo non intende desistere da richiesta circa inclusione forniture attrezzature e macchinario pesante entro contingenti accordo normale a detrimento tradizionali nostre forniture mercato spagnolo, come ad esempio autoveicoli, prodotti dalla media piccola meccanica ecc. Egli invece chiede lasciare sostanzialmente inalterate contropartite d'esportazione verso Italia, costituite prevalentemente di merci secondaria importanza.

A questo si aggiungono altre difficoltà relative al sistema di pagamento, in specie alla tenuta del clearing (da noi richiesta in dollari di conto) e alle garanzie considerate necessarie dall'Ufficio italiano cambi in relazione all'utilizzo del fondo di finanziamento.

Inoltre spagnoli, pur accettando Protocollo di collaborazione economica con Italia ai fini di assicurarsi investimenti e aiuti di carattere tecnico, hanno escluso possibilità autorizzare sotto qualsiasi forma forniture speciali al di fuori contingenti dell'Accordo normale e di ammettere comunque affari globali di reciprocità.

In tali condizioni stesso presidente delegazione spagnola ha fatto presente opportunità sospendere trattative.

Anche da parte nostra, tenuto conto che già Accordo avrebbe presentato gravi difficoltà di esecuzione a causa applicazione da parte spagnola complicato e poco chiaro sistema cambi multipli, non si vede come si possa giungere a favorevole conclusione trattative ove delegazione spagnola rimanga su sue posizioni circa problemi sopra indicati.

Stamane ambasciatore spagnolo, nel confermare posizione intransigenza sua delegazione, ha fatto tuttavia presente che Governo Madrid desidererebbe sospensione trattative non apparisse ai settori interessati come brusca rottura.

A tal fine sembra a questo Ministero che converrebbe prorogare Accordo vigente per tre mesi dopo scadenza. In questo senso V.S. potrà intrattenere codesto sottosegretario Commercio estero2 •

946 1 Vedi D. 926.

947

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5253-5243-5258/183-184-185. New York, 18 maggio 1949, ore 7,50 (perv. ore 18,30).

Seduta Assemblea generale sospesa stamane ore 2,45 con risultati già noti attraverso comunicati agenzie ma che comunque riassumo: Cirenaica approvata con 36 favorevoli 17 contrari 6 astenuti; Fezzan approvato con 36 favorevoli 15 contrari 7 astenuti; Tripolitania respinta con 33 favorevoli 17 contrari 8 astenuti; Eritrea, parte riguardante cessione Etiopia, approvata con 37 favorevoli 11 contrari 10 astenuti; Somalia respinta con 35 favorevoli 19 contrari 4 astenuti.

Risoluzione respinta nel suo complesso con 37 voti contrari 14 favorevoli e 7 astensioni. Hanno cioè votato compatti contro essa tutti latino-americani (con unica eccezione Nicaragua astenuto) nonché slavi arabi asiatici. Quest'ultima votazione accolta da applausi, era stata preceduta da dichiarazioni chiarissime delegati Argentina Salvador Uruguay Francia e Sud-Africa i quali tutti avevano annunciato che avrebbero votato contro in considerazione risultato sfavorevole Italia per Tripolitania e Somalia. Compattezza nostri amici ha fatto molta impressione; ed è stato notato che, mentre decisioni favorevoli Italia sono state respinte soltanto con piccolissimo margine voti, risoluzione generale che dopo decisioni precedenti si risolveva in assegnazione Cirenaica Inghilterra ed Eritrea Etiopia è stata respinta con maggioranza schiacciante.

Analisi voti dimostra inoltre che per quanto riguarda Tripolitania Australia ha votato in favore mentre Liberia si è astenuta. Responsabilità fallimento, in parte favo

rito anche da eccessivo ottimismo anglo-americano, è dovuta unicamente ad Etiopia che ha creduto potersi prendere lusso di astenersi da Tripolitania e ad Haiti che sino all'ultimo momento ha fatto credere si sarebbe astenuto ed ha votato poi contro.

Più serio è invece risultato Somalia contro cui hanno votato Liberia (nonostante Assemblea avesse approvato sua proposta limitare nostra tutela a quindici anni), India Haiti ed Etiopia.

Dopo respingimento risoluzione generale, nonché della nota proposta russa trusteeship collettivo, è stata respinta anche, sempre grazie a voti latino-americani, mozione Pakistan per nomina di Commissione d'inchiesta composta rappresentanti sette Stati da designarsi a discrezione presidente Assemblea, date disposizioni personali Evatt nei nostri riguardi, composizione tale Commissione sicuramente risultata a noi sfavorevole.

Assemblea si riunirà ancora oggi ore 15. Latino-americani si propongono presentare nuovamente loro risoluzione originale, cercando però di ottenere appoggio anglo-americano mediante qualche mutamento per Eritrea per la quale non (dico non) si farebbe parola di trusteeship. Sono comunque d'accordo con loro che mi sottoporranno emendamenti prima dell'inizio seduta.

Non è escluso infine che si faccia tentativo estremo di superare punto morto presentando parafrasi progetto respinto stamani, e contando naturalmente di avere questa volta favorevoli Haiti, Etiopia e Liberia cui delegati si sarebbero dichiarati sorpresi e addolorati risultato loro manovre. Votazione Somalia, dato maggior margine voti contrari, rimarrebbe però molto incerta; mi propongo perciò di esaminare molto attentamente situazione prima di incoraggiare tentativi di questo genere.

Abbiamo cercato metterei in comunicazione telefonica con Roma appena terminata seduta ma servizio era momentaneamente interrotto.

Dopo votazione contraria per Tripolitania e Somalia (e prima che avesse luogo votazione per risoluzione generale con noto esito) Guidotti ha fatto presente a Clutton che accordo Londra impegnava i due Governi a risoluzione nel suo insieme. Essendo cadute due parti integranti di essa, era pertanto preciso dovere delegazione britannica dichiarare pubblicamente che avrebbe ora votato contro risoluzione generale. Guidotti ha fatto anzi osservare che, mentre risoluzione stessa sarebbe sicuramente caduta per volontaria opposizione nostri amici latino-americani e francesi, britannica era sola delegazione che fosse obbligata in linea giuridica e politica da accordo Londra a prendere tale atteggiamento.

Clutton si è però rifiutato di farlo e, dopo aver consultato Cadogan (McNeil non si è fatto vedere in questi ultimi tre giorni), ha confermato rifiuto. Sua delegazione ha infatti votato in favore risoluzione generale.

Segnalo questo episodio a VE. non perché abbia avuto alcuna ripercussione pratica, ma perché costituisce, a mio parere, chiara violazione spirito e lettera accordo Londra. Evidentemente inglesi nonostante fosse caduta Tripolitania hanno per un momento nutrito illusione di poter ottenere Cirenaica con voti latino-americani che noi avevamo apportato.

Calcolo si è dimostrato clamorosamente errato. Tuttavia episodio getta luce singolare su atteggiamento delegazione inglese. Dapprima si è rifiutata presentare essa stessa risoluzione incorporante accordo Londra in tutte le sue parti, ed in seguito, nonostante avessimo sempre mantenuto i più stretti contatti, ha tentato introdurre Australia in Consiglio per Tripolitania adducendo situazioni di fatto che votazione ha dimostrato poi insussistenti (Australia e Nuova Zelanda hanno infatti votato a favore).

V.E. giudicherà se, ad ogni buon fine, rifiuto inglese non debba essere segnalato a Londra1 .

946 2 Per la risposta vedi D. 962.

948

L'AMBASCIATORE TARCHIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5283-5280/187-188. New York, 18 maggio 1949, ore 22,24 (perv. ore 9,25 de/19).

Con telegramma 186 1 sono stati comunicati risultati ultime votazioni su differenti proposte per modalità rinvio questione coloniale. Respinto progetto Cuba Uruguay Costarica che rimetteva questione durante mesi estate a esame Comitato interinaie (piccola Assemblea), e prevedeva anche eventuale Commissione d'inchiesta è stato approvato semplice rinvio generale a sessione settembre. Questione stessa viene così automaticamente iscritta in agenda prossima sessione il che rappresenta per noi, in confronto altre soluzioni rinvio, formula migliore.

Mi consenta ora V.E., in attesa più dettagliato rapporto che le sottoporrà Guidotti2, riassumere alcune considerazioni generali.

l) Gruppo latino-americano, che in complesso ha manovrato con ammirevole precisione e compattezza, ha dominato situazione. Ad esso si deve risultato ultima votazione contro risoluzione generale, con la quale gruppo stesso ha confermato sua forza ed ha dimostrato in modo palese che Inghilterra non (dico non) può risolvere problema Cirenaica entro Assemblea senza suo concorso e, di conseguenza, senza nostro appoggio. Ritengo che ai nostri amici, dei quali occorrerà coltivare assiduamente disposizioni durante prossimi mesi, debba essere espressa in modo particolarmente caloroso e solenne nostra riconoscenza. Salvo iniziative più vaste alle quali si potrà pensare in seguito sarebbe urgente incaricare nostri rappresentanti trasmettere messaggio orale, o meglio ancora scritto, di ringraziamento a firma di V.E., nominando espressamente ed elogiando opera ciascun delegato rispettivo Governo presso Nazioni Unite3 . Trasmetto con questo corriere elenco aggiornato dei delegati latino-americani.

2) Successo latino-americano nel bloccare, dopo fallimento accordo Londra per Tripolitania e Somalia, risoluzione generale non può però nascondere fatto che gruppo araboasiatico è altrettanto compatto contro di noi. Si deve anzi rilevare che delegazioni colore hanno trovato, e proprio in reazione ad accordo Londra che naturalmente è stato presentato come tipico mercato potenze imperialistiche, una maggiore coesione attorno bandiera anti

948 Pari data, non pubblicato.

c Vedi D. 1032.

1 Vedi D. 955.

colonialismo. Loro vittoria di oggi per Tripolitania e Somalia ha consacrato tale unione; qualsiasi speranza di poterla intaccare (salvo note posizioni marginali) sarebbe illusoria. Inghilterra ha avuto così modo di constatare, non solo propria impotenza, ma anche la nostra nel risolvere problema entro Nazioni Unite. Mentre prima constatazione, se isolata, avrebbe forse potuto indurla maggiore compromesso (anche per Eritrea), simultaneità seconda constatazione potrebbe ora metterla sulla via ricerca per conto proprio nuove soluzioni, quale ad esempio indipendenza. Sarebbe imprudente lasciarsi cogliere di sorpresa.

3) Accordo Londra ha tuttavia servito salvare, almeno per il momento, solidarietà nazioni Patto atlantico ed ha portato inoltre Inghilterra e Stati Uniti a nuovo importante riconoscimento nei nostri riguardi. Tuttavia accordo stesso è ora caduto e Governi Londra e Roma possono considerarsi quanto meno in linea giuridica liberi da impegni precedenti. Nostro Governo ha perciò possibilità di scegliere tra due vie:

a) basarsi su risultati politici accordo di Londra e cercare di risolvere situazione a settembre su quelle stesse linee, lavorando nel frattempo posizioni marginali che hanno questa volta determinato sconfitta. Sarebbe vano nascondersi che risultato è incerto, tanto più che ho impressione che accordo Londra non (dico non) fosse popolare presso Foreign Office; suoi avversari potrebbero perciò fare ogni sforzo per liberarsene;

b) ricercare nuove soluzioni, impostando problema coloniale in termini più moderni, appoggiando eventualmente idea indipendenza o brevi trusteeships collettivi su ciascun territorio, e mirando soprattutto difesa interessi politici e nostre collettività.

4) Mi permetto infme far presente che, dal punto di vista politica interna, Governo italiano ha in questo momento occasione unica per uscire da impasse coloniale. Se informata chiaramente circa realtà situazione, nostra opinione pubblica potrebbe forse superare posizioni sentimentali sulle quali è rimasta sinora e considerare problemi in termini più realistici.

94 7 Vedi D 960, nota 2.

949

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 4207/238. Roma, 19 maggio 1949, ore 13, 15.

Dopo voto O.N.U., parmi essenziale salvaguardare e consolidare ciò che considero risultato più importante mia recente intesa con Bevin, vale a dire spirito reciproca comprensione e collaborazione da cui era appunto scaturita possibilità compromesso.

Tale leale collaborazione, che deve costituire caposaldo nostra politica estera, mi propongo fermamente continuare e in tale spirito riterrei conveniente procedere con inglesi appena possibile ad un esame della situazione in vista esplorare possibilità soluzione questione rimasta sospesa in seguito decisione O.N.U.

Ove Governo britannico si orienti, come spero, nello stesso senso le invierei istruzioni del caso. Occasione potrebbe essere offerta da viaggio di Strang nel Mediterraneo (che vedo annunciato da stampa). Egli potrebbe sostare Roma al suo ritorno 1•

949 1 Per la risposta vedi D. 963.

950

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PERSONALE 5300/215. Londra, 19 maggio 1949, ore 13 (perv. ore 15).

Ti prego prendere in considerazione che qualora mie dimissioni potessero essere utili a te e a De Gasperi a significare il segno della mie corresponsabilità, e solidarietà intera anche nella sfortuna per quanto riguarda l'accordo raggiunto con Bevin, sarò lieto di offrirle subito ad un vostro cenno 1 .

951

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 4243/240. Roma, 19 maggio 1949, ore 22.

Tuo 215 1•

Al contrario. Tu devi invece rimanere anche per accentuare colla tua presenza continuità di una politica che vuole stretta intesa coll'Inghilterra e che desidera quindi (mio 238)2 che essenza del compromesso sia mantenuta.

952

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE1 . [Roma, 19 maggio 1949, mattina]l.

Permettimi di riassumere la storia dei recenti avvenimenti circa il dibattito sulle ex colonie italiane in seno all'O.N.U., e di trame alcune considerazioni anche di carattere personale.

2 Vedi D. 949.

2 La minuta dattiloscritta, con correzioni autografe, di questa lettera, è priva di data. È stata attribuita alla mattina del 19 maggio poiché logicamente si colloca tra l'arrivo a Roma dei DD. 947 e 948 e la partenza del D. 949 firmato da Sforza dopo che De Gasperi ne ebbe respinto le dimissioni.

La questione delle ex colonie italiane è l 'ultima dolorosa eredità della guerra fascista; la abbiamo affrontata in condizioni di assoluta impotenza giuridica, giacché il trattato di pace aveva imposto all'Italia di rinunciare per sempre alle colonie, lasciando solo aperta la loro futura differente destinazione.

La imparità politica era altrettanto grave. Agiva contro di noi l'unanime anticolonialismo americano che si è affermato anche contro interessi strategici degli Stati Uniti, quando impose l'abbandono delle Filippine; è tuttavia dover mio aggiungere che i governanti americani non mi hanno mai nascosto questa situazione morale pur confermandomi il loro ardente desiderio di amicizia intima con l'Italia; il che i fatti provano anche ai ciechi.

Agiva contro di noi presso molte lontane nazioni dell'O.N.U. il ricordo di eccessi e crudeltà dei nostri totalitari; erano su cento banchi, a Lake Success, le riproduzioni del libro di un figlio di Mussolini esprimente il piacere di vedere, dall'alto di un sicuro aeroplano, gli abissini contorcersi pel fuoco della iprite che bruciava i loro piedi nudi.

Agiva infine contro di noi la gelida abbiezione circa gli ottanta miliardi l'anno che dovremmo spendere in Africa. Le mie asserzioni circa la necessità morale per un popolo come l'italiano di non assentarsi dali' Africa persuasero molti ma non i più.

Tutto ciò spiega perché il compromesso imbastito a Londra3 parve agli stranieri un insperato successo. Non noi, certo, dobbiamo parlare di successo, bensì di dolorosa transazione. Quello invece di cui il Governo democratico deve fieramente rivendicare i risultati è che l 'Italia sia riuscita con un paziente lavoro a far valere presso tutti gli spiriti sereni i suoi singolari diritti di lavoro e di buona amministrazione prefascista ed a stabilire le premesse per la nostra collaborazione alla futura, forse prossima, grande opera dello sviluppo pacifico dell'Africa.

Prima del compromesso con Bevin la situazione si poneva in questi termini: gli americani avendo fatto un gesto amichevole verso di noi alleggerendo le loro pressioni sulle Repubbliche Sudamericane perché votassero le proposte a noi contrarie, potei sperare sul rinvio della questione alla prossima sessione dell'Assemblea, e sulla possibilità di una sempre più stretta collaborazione con le nazioni democratiche occidentali in modo da raggiungere una soluzione più rispondente alle richieste italiane. Di questo parlai con Evatt, presidente dell'Assemblea, il giorno prima di partire da New York, ed egli si dimostrò perfettamente concorde con me sul rinvio. Di questo parlai con Acheson e con Foster Dulles che mi risposero4 , anche per iscritto, assicurando che gli Stati Uniti tenevano in sommo grado all'amicizia della Italia e si auguravano che questa dolorosa eredità della guerra fosse composta senza danneggiare minimamente le relazioni feconde che esistono fra i due paesi.

Ma tornato a Roma e subito ripartitone per Londra dove dovevo discutere e firmare lo statuto del Consiglio europeo, fui informato di un peggioramento della situazione in seno all'Assemblea, in seguito alla sopraggiunta stanchezza di tal uni nostri amici e alle cresciute aggressività orientali e asiatiche. Ciò lasciava pre

4 Vedi DD. 757 e 770.

vedere due pericoli: o un rinvio che già contenesse presupposti di una soluzione a noi contraria alla prossima sessione dell'Assemblea o, seconda ipotesi più probabile, una soluzione parziale del problema, diretta alla attribuzione immediata della Cirenaica ali' Inghilterra, de li'Eritrea ali 'Etiopia e al rinvio di tutto il resto. Questo, a non parlare di Asmara e Massaua che tanto significano per noi, ci poteva togliere la possibilità di mai ritornare in Tripolitania. Mi posi quindi il dilemma: o volare di nuovo a New York, ricominciando un'azione personale in vista di un compromesso accettabile, o trattare una soluzione di compromesso direttamente con la Gran Bretagna. Vagliato ogni elemento di giudizio sentii che a Londra avrei ottenuto garanzie maggiori di quelle sperabili a Lake Success e che, ottenendo le a Londra, creavamo anche quell'intesa diretta con l 'Inghilterra che ci è indispensabile se vogliamo fare la politica che la nostra missione storica ci impone ma che non possiamo assolvere che a una condizione: ristabilire fidenti leali rapporti colla nazione britannica.

Sapevo bene che rischiavamo dolorosi sacrifici di cui solo in avvenire avremmo altrove qualche compenso; ma oggi che il compromesso è stato respinto, non abbiamo la riprova che esso era molto migliore di quanto a taluni non parve?

L'Assemblea dell'O.N.U. avrebbe dovuto decidere tenendo in maggior conto i diritti di un popolo che dà costanti prove del suo rinnovato spirito democratico e della sua lealtà internazionale. Ma la storia, anche all'O.N.U., non è finita ieri5; e intanto il compromesso itala-britannico è servito almeno a creare un ponte, una possibilità di intesa futura fra noi e l'Inghilterra. Da essa noi ci attendiamo la maggiore lealtà nel tener fede allo spirito del compromesso. Dal canto nostro, gli errori fascisti devono aver insegnato a tutti che l'amicizia itala-britannica è un elemento essenziale per la collaborazione in Africa, almeno tanto quanto lo è in Europa per garantire la pace e la ricostruzione economica.

Se guardo la mia coscienza, so che quello che era in mio potere di fare l 'ho fatto, e potrà ancora valere. Ma non posso restare al mio posto se non so con altrettanta certezza che quanti contano nella nostra maggioranza concordano con te nella valutazione dei fatti. Fu la cordiale unione di tutte le forze democratiche italiane che permise la nostra libera entrata nel Patto atlantico, strumento e garanzia di pace; fu tale unione che permise il ristabilimento di una perfetta e feconda amicizia con la Francia, ideale cui tu ben sai quanto io mi sia consacrato fin dagli anni più torbidi; fu infine tale unione che permise all'Italia una sua speciale azione per la realizzazione del Consiglio dell'Europa, fulcro di quell'Unione Europea che è condizione essenziale della nostra pace e della nostra prosperità.

Tale opera è appena iniziata; occorre una fede intensa e una lealtà quasi religiosa agli ideali che si perseguono. Ma son certo che anche altri potrà, come per le «colonie», far meglio di mé.

6 Gran parte di questa lettera costituì il nucleo centrale del discorso che Sforza fece alla Camera il 26 maggio. Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati. Discussioni, 1949, vol. VI, seduta del 26 maggio 1949, pp. 8925-8930.

950 1 Per la risposta vedi D. 951.

951 1 Vedi D. 950.

952 1 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 163-168.

952 3 Vedi D. 875.

952 5 Vedi DD. 947 e 948.

953

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 4208/1842. Washington, 19 maggio 1949 (perv. il 28).

Le linee generali del piano americano per la prossima riunione del Consiglio dei ministri degli esteri sono ancora quelle da me riferite a V.E. con il mio rapporto

n. 4090/1776 del 12 corrente': le conversazioni di questa settimana con Londra e con Parigi non vi hanno apportato modifiche sostanziali; i francesi, specialmente, si sono opposti al progettato ritiro delle truppe di occupazione dalle zone limitrofe della Germania ma anch'essi sembra abbiano ora accettato, in massima, il principio dell'opportunità di consentire eventualmente ad una riduzione delle forze e delle zone di occupazione. Si sarebbe comunque concordato di consentire subito soltanto a delle soluzioni di carattere provvisorio che dovrebbero divenire poi definitive solo gradualmente e dopo essere state vagliate attraverso la loro attuazione pratica. (Ritiro graduale delle truppe, collegamento tra il Governo della Germania occidentale unificata ed eventuale Governo «popolare» della Germania orientale, smilitarizzazione ecc.).

Vi è stato però, in questi giorni, un notevole cambiamento nello spirito con il quale i dirigenti e gli esperti americani si apprestano ad affrontare la prossima riunione dei Quattro: la diffidenza ed i sospetti verso i sovietici permangono inalterati, ma alle perplessità, al disorientamento, ai timori provocati, nei primi giorni, dali 'iniziativa sovietica per lo sblocco di Berlino, si è ora sostituito un accentuato ottimismo fondato sulla saldezza delle proprie posizioni e sulla speranza di poter, questa volta, piegare i sovietici a delle concessioni sostanziali. Di questo cambiamento di spirito ho avuto chiara prova anche attraverso conversazioni con alcuni degli esperti che stanno per partire per Parigi: quali le ragioni?

Secondo l'analisi compiuta in questi giorni dagli esperti del Dipartimento di Stato la nuova mossa sovietica, pur inquadrandosi perfettamente nella complessa azione condotta dal Kremlino per la conquista di posizioni politiche n eli 'Europa occidentale, avrebbe avuto luogo non già per libera iniziativa di Mosca ma sotto la pressione di una costrizione morale, derivante dal successo del ponte aereo alleato verso Berlino, e di necessità economiche, conseguenti alle restrizioni messe in atto dai paesi europei dell'Occidente negli scambi con quelli dell'Oriente.

A Parigi perciò il Kremlino si riprometterebbe di conseguire dei vantaggi economici più che dei successi politici: il blocco economico occidentale infatti avrebbe avuto gravissime ripercussioni sulla situazione interna della Germania orientale e dei paesi satelliti e la stessa Unione Sovietica starebbe subendo una certa depressione economica; anche la vittoria dei comunisti in Cina per essere sfruttata a vantaggio di Mosca comporta uno sforzo e degl'impegni economici formidabili cui il Kremlino non è oggi in grado di far fronte. Vyshinsky, mi si è detto, farà certamente largo uso

di argomenti polemici c propagandistici come quelli dell'unità della Germania, del ritiro delle truppe di occupazione, del trattato di pace, ecc., ma cercherà sopratutto di spianare la via ad un più attivo scambio tra il mondo occidentale e quello orientale allo scopo di accrescere la produzione e migliorare il tenore di vita in Germania orientale c nei paesi satelliti e poter così intensificare anche i rapporti economici tra la Germania orientale e l'U.R.S.S.: ciò che potrebbe servire, in seguito, a far gravitare l'economia tedesca ncii'orbita sovietica anziché in quella occidentale.

Gli americani si proporrebbero perciò di usare largamente dell'anna economica per premere sul Kremlino: si son posti anche il problema dell'eventuale estensione del piano Marshall c lo hanno risolto negativamente per l'opposizione che certamente s'incontrerebbe in Congresso e da parte dci paesi partecipanti. Si pensa piuttosto di servirsi nelle discussioni con i sovietici dell'eventuale estensione di tale piano alla Germania orientale per scopi dialettici, in ogni caso subordinandola però alla condizione che Mosca non solo si pronunci in favore dell'unificazione economica della Germania, ma accetti di restaurare, nella zona da loro occupata, una libera attività economica e s 'impegni alla restituzione ai tedeschi di tutti quei beni di cui i sovietici si sono arbitrariamente impossessati. Ma ci si rende conto che i sovietici, i quali oggi controllano la metà della produzione industriale della Germania orientale, saranno molto restii ad abbandonare le posizioni economiche vantaggiose che si sono conquistate.

D'altra parte le necessità economiche dei paesi dell'Europa orientale sono tante c le possibilità di rifornimento degli Stati Uniti e del mondo occidentale così vaste che sembra possibile, ai fini di un ristabilimento di più normali correnti commerciali tra Est cd Ovest, nella gamma delle merci disponibili, quelle che non accrescono eccessivamente il potenziale bellico.

Ma non è solo il fàttore economico che rende ottimisti -se non sul risultato finale almeno sulle proprie possibilità-questi dirigenti alla vigilia della riunione di Parigi.

Per la p1ima volta infatti i tre paesi occidentali si presentano a discutere con i sovietici avendo, in precedenza, raggiunto tra loro un perfetto accordo su tutte le principali questioni c avendo un programma comune che potrà applicarsi non solo alla Gem1ania occidentale ma a tutta la Germania; essi inoltre si sentono forti materialmente (per l'avvenuta stipulazione del Patto atlantico, per i successi economici conseguiti con l'attuazione del piano Marshall, per la vittoria conquistata con il ponte aereo verso Berlino) e moralmente perché pensano di avere onnai dalla loro parte la maggioranza dci tedeschi.

Quest'ultima convinzione è stata ora confermata dall'esito delle elezioni nella zona della Germania occupata dai sovietici e da sondaggi effettuati in questi ultimi giorni presso i principali uomini politici tedeschi: questi infatti avrebbero assicurato che l'offerta di elezioni libere su tutto il territorio germanico c l'estensione ad esso della Costituzione di Bonn, accompagnate dal diradamento effettivo delle truppe di occupazione, dall'impegno al ritiro totale di queste entro un certo periodo di tempo e infine dalla promessa di far partecipare anche la Gennania orientale ai benefici del piano Marshall, avrebbero avuto l'approvazione del popolo tedesco che preferisce queste concrete soddisfazioni minori a quelle integrali che «a parole» sono fatte ad esso balenare dai sovietici.

Gli americani infine credono che gli occidentali possano ancora usare de!l 'arma della restaurazione dei confini della Germania orientale, ma sono restii a servirsi di quest'arma, senza che si presenti un'inderogabile necessità, per gli effetti contropro

ducenti ch'essa potrebbe avere sia presso l'opinione pubblica polacca, sia presso quella tedesca ove i sovietici si rifiutassero di consentire a tale restaurazione.

Sono questi gli elementi di forza basandosi sui quali gli americani pensano di poter indurre i sovietici, a Parigi, a delle concessioni sostanziali e ritengono, comunque, di non dover rinunziare a nessuna delle posizioni sin qui conquistate.

È da prevedere quindi che l'atteggiamento dei rappresentanti americani alla riunione di Parigi sarà piuttosto fermo: Acheson non ha bisogno in questo momento di raggiungere, per fini di successo personale, un accordo a tutti i costi e deve anzi ben guardarsi dall'apparire, com'è stato accusato di essere al momento della sua nomina, un filo-sovietico.

Né qui si nutre alcuna preoccupazione per il caso che anche questa nuova riunione dei Quattro fallisca: anche in questo caso, mi si è detto al Dipartimento, l'U.R.S.S. eviterà di compiere atti che possano condurre ad una nuova guerra. Si continuerà nella incerta situazione odierna del «no peace, no wam.

953 1 Non pubblicato.

954

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO JANNELLI, A CAPETOWN

T. 4254/23. Roma, 20 maggio 1949, ore 16,15.

Prova di solidarietà e amicizia dataci da Sudafrica, cui delegazione in recenti dibattiti Assemblea O.N.U. ha costantemente abilmente difeso nostri diritti e interessi, ha commosso popolo e Governo italiano che non la dimenticheranno.

V.E. voglia subito recarsi da codesto ministro esteri per esprimergli in forma ufficiale questi sentimenti a nome presidente Consiglio e mio aggiungendo parole di ringraziamento e apprezzamento per opera personale svolta Lake Success da rappresentante codesto Governo.

Faccia dare a tale passo massima diffusione stampa locale.

955

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA~

T. 4256/c.2 . Roma, 20 maggio 1949, ore 18.

Durante recenti dibattiti Assemblea O.N.U. delegazioni paesi latino-americani si sono battute con abilità e compattezza in difesa diritti e interessi italiani che sono riusciti a tutelare validamente. Questa prova di solidarietà e di amicizia ha profondamente commosso popolo e Governo italiano che non la dimenticheranno.

2 Inviato a Guatemala con n. di protocollo particolare 4255/9 in pari data.

V.E. (V.S.) voglia subito recarsi da codesto ministro esteri per esprimergli in forma ufficiale questi sentimenti a nome presidente del Consiglio e mio, aggiungendo parole di ringraziamento e apprezzamento per opera personale svolta a Lake Success da rappresentante codesto Governo.

Faccia dare a tale passo massima diffusione stampa locale.

955 1 Esclusa Haiti.

956

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5373/52. Santiago, 20 maggio 1949, ore 21 (perv. ore 7 del 21).

Telegramma di V.E. 4256/c. 1•

Mi sono subito recato dal ministro degli affari esteri, che di mia iniziativa avevo già ringraziato per atteggiamento cileno, e gli ho espresso in forma ufficiale nostri sentimenti gratitudine rimettendogli anche nota scritta.

Ministro degli affari esteri ha apprezzato particolarmente nostro atto, mi ha espresso rincrescimento che non si sia potuto questa volta ottenere piena soddisfazione per l'Italia e augura che ciò si consegua in prossima Assemblea, nella quale, ha aggiunto, Italia può fin da ora contare su appoggio Cile.

Data diffusione stampa mio passo.

957

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

TELESPR. RISERVATO 09850/97. Roma, 20 maggio 1949.

Riferimento: Telespressi di codesta legazione n. 1855/361 e n. 1952/392, rispettivamente del 26 aprile u.s. e del 6 maggio c.m. 1•

Questo Ministero ha preso buona nota di quanto comunicato da codesta legazione col telespresso surriferito n. 361 in merito alle notizie fomite dall'Ufficio di collegamento in Innsbruck con suo rapporto 2425 del29 marzo u.s. 2 .

Al riguardo si ritiene opportuno precisare che il predetto rapporto del console generale Biondelli non è stato che uno degli elementi di valutazione presi in esame nella riunione interministeriale dell4 aprile u.s. 3 .

2 Vedi D. 665.

3 Vedi D. 760.

Le circostanze decisive che hanno indotto a ritenere necessaria l'adozione di un provvedimento nei riguardi delle domande di riopzionc presentate dopo il 27 novembre u.s. e cioè dopo la pubblicazione delle note decisioni emanate dal Consiglio dei ministri austriaco il 2 novembre, sono state:

l) l'impossibilità di tenere in sospeso indefinitamente le domande di cui trattasi senza provocare, da parte degli interessati c di codesto Governo, reazioni giustificate in base all'art. 4, ultimo capoverso, del Decreto legislativo n. 23 del 2 febbraio 1948 (circostanza confermata da VS. con il telegramma 4 corrente n. 96)4;

2) gli effetti delle note decisioni del 2 novembre c della propaganda svolta successivamente tra i rioptanti che hanno fatto ritenere illusoria. come giustamente ha rilevato anche V.S.. la speranza di ottenere lo spontaneo ritiro delle domande da parte degli interessati la cui volontà era stata coartata. E ciò perché perdura la coercizione che li ha indotti a rioptarc al fine di valersi dci vantaggi riservati dal Governo austriaco esclusivamente a coloro che hanno chiesto la revoca della opzione;

3) il fatto che il Decreto legislativo 2 febbraio 1948 n. 23 non contempla, all'art. 5 in cui sono elencate le cause di esclusione dal riacquisto della cittadinanza italiana, il caso del vizio di consenso, caso che non potrebbe pertanto essere validamente contestato agli interessati a norma dell'art. 7 del Decreto legislativo suddetto.

È stata di conseguenza unanimemente ravvisata. nella riunione del 14 aprile, l'opportunità di emanare un provvedimento legislativo che, richiamandosi alle considerazioni svolte nei noti promemoria del 2 ottobre. del 22 dicembre c del 9 marzo", cd ai principi generali di diritto secondo i quali non è ammissibile che diventi cittadino italiano chi è stato indotto a chiedere la cittadinanza da provvedimenti che ne limitano od annullano la libertà di decisione. elimini. per quanto concerne le domande di riopzione presentate dopo il 27 novembre. i limiti di tempo previsti dal Decreto legislativo n. 23 e sancisca la possibilità di invalidare per vizio di consenso le domande stesse stabilendo altresì quale sia l'organo competente a decidere in materia sulla base delle informazioni attinte a mezzo degli uffici consolari.

Una prossima riunione intcrministerialc avrà il compito di concertare le misure da adottarsi nei confronti delle domande di cui trattasi cd, a questo proposito, sarebbe utile ricevere al più presto conferma dci nuovi provvedimenti austriaci prcannunciati dall'Ufficio di Innsbruck con i telespressi 4007 c 40086 e da codesta legazione con il rapporto 1952/392, nonché con i telegrammi 101 e 1057 .

Per quanto concerne infine il colloquio che ebbe luogo il 4 marzo u.s. tra il ministro Sforza cd il ministro Schwarzenbcrg~, esso si è svolto nei termini di cui all'appunto trasmcssole con telcspresso n. 4942 del 15 marzo u.s. redatto personalmente da S.E. il ministro9•

5 Vedi serie undiccsima, vol. l, DD. 474. 769 e. in questo volume, D. 519.

" Vedi D. 879.

~ Dell'Il e 13 maggio con i quali Cosmelli aveva informato circa il rinvio della pubblicazione delle nuove nonne austriache relative agli optanti alto-atesini.

x Vedi D. 483.

9 Vedi D. 556.

956 1 Vedi D. 955.

957 1 Vedi DD. 816 e 878.

957 4 Vedi D. 878, nota 7.

958

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TEl.ESPR. URGENTE 018. Madrid, 20 maggio 1949 (perv. il 21).

Disappunto provato a Madrid per votazione O.N.U. è grandissimo, tanto più che Governo aveva data per scontata vittoria spagnola alle Nazioni Unite.

Diplomazia spagnola era stata mobilitata per influenzare alcuni paesi che con loro voto avrebbero potuto permettere raggiungere due terzi maggioranza richiesta. È notevole unanimità con quale blocco arabo ha votato per Spagna così come voto favorevole Grecia c Turchia. Non può dirsi, nonostante conclamata solidarietà ibero-americana, che paesi centro-sud America abbiano risposto con eguale unanimità. Sono ben quattro quelli che hanno votato contro Spagna e vari ad essersi astenuti.

Stampa spagnola ha ricevuto istmzioni di non accusare colpo; ha anzi sviluppato tema che Spagna aveva ottenuto grande vittoria morale la quale non poteva essere inficiata da piccolo calco letto matematico che la privava per due voti da prescritta maggioranza.

Commenti anzi hanno rivelato meglio che in altre occasioni quale è mentalità e spirito prevalente in questo paese. Giornale ispirato da ministro esteri non ha esitato dichiarare che Spagna aveva trionfato senza modificare di un apice posizione segnalata da Caudillo.

Sebbene qualche collega estero la pensi diversamente, ritengo che questi commenti di vittoria c di riconoscimento della bontà posizione spagnola ci sarebbero stati serviti anche in occasione di una vera e propria vittoria. La tesi è che sono gli altri che devono venire verso la Spagna e non già la Spagna verso gli altri.

In .;trctta relazione con discussione di New York deve porsi discorso che Franco ha pronunciato 18 maggio in occasione solenne riapertura Cortes, nelle quali, per prima volta, sono entrati far parte piccolo gruppo consiglieri eletti con suffragio di vario grado da municipi, sindacati, ecc.

Discorso di Franco ricordava, per analogia, nonostante diversità elementi storici, discorsi che pronunciava Mussolini quando sforzavasi galvanizzare opinione pubblica italiana contro imposizione sanzioni.

Franco ha ripetuto sua nota tesi circa servigi resi da Spagna con sua neutralità a causa alleata, cd ha esaltato sua politica interna. Ha attaccato non soltanto comunismo ma anche socialismo, che ha classificato come prima indispensabile tappa in cammino verso comunismo. Ha polemizzato aspramente con Inghilterra citando documenti archivio segreto spagnolo che tendono provare duplicità politica inglese tanto nei riguardi Spagna tanto nei riguardi Francia. Ha praticamente riaffermato suo deciso proposito di rimanere al potere fintanto sua salute che è ottima glielo permetterà ed ha concluso voltando le spalle all'Europa ed auspicando una sempre più stretta collaborazione fra Spagna e America.

È stato molto guardingo nei riguardi Stati Uniti e pur avendo dichiarato che molte delle difficoltà attuali sono dovute a incertezza politica nordamericana, ha concluso suo discorso con nota simpatia e speranza per Stati Uniti, verso cui Spagna è condotta a collaborare da imperativo della realtà.

Impressione destata da discorso Franco fra colleghi Corpo diplomatico è abbastanza negativa. Si riconosce unanimemente che egli ha quasi totalmente, salvo qualche piccolo accenno, passato sotto silenzio quella che è accusa principale che gli viene mossa di mantenere cioè Spagna sotto regime totalitario e di averla privata di alcune elementari libertà proprie dei paesi democratici. Di non aver fatto nulla né sopratutto promesso nulla per un graduale ristabilimento di queste libertà. Per esprimermi con un linguaggio da noi facilmente comprensibile, egli ha dato, con suo discorso, un ulteriore giro di vite.

È ancora troppo presto per fare previsioni quanto a risultati immediati del voto Assemblea Nazioni Unite. Tutto lascia supporre che nella sostanza cose resteranno come sono.

Forse avevano ragione coloro che nell'interesse stessa Spagna avrebbero preferito che problema non fosse stato discusso. Impressione che si ritrae da Madrid è infatti che situazione spagnola sia piuttosto peggiorata che migliorata.

Con sola eccezione qualche Stato arabo di minore importanza che già stava stabilendo relazioni diplomatiche normali con Spagna, e con designazione probabile di un ambasciatore del Brasile, di un ministro della Colombia, non si prevede qui arrivo di altri capi missione.

Dei paesi europei, i soli che potrebbero in base a loro voto giustificare relazioni diplomatiche normali con Spagna, sono Grecia e Turchia. Ma incaricati affari a Madrid di questi due paesi, nonostante voto favorevole dato a Spagna da loro delegati a Lake Success, dubitano che loro Governi vadano più in là di questa manifestazione elettorale di buona volontà.

959

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA 4227/1861. Washington, 20 maggio 1949.

C'è stata contro di noi l'insurrezione delle nazioni anticoloniali di cui lei aveva personalmente visti i primi sintomi, più i russi: era una cosa attesa e scontata, dato il «record» del fascismo che nessuno vuoi dimenticare e tutti gli Stati colored ci gettano in faccia di continuo.

Questo non si poteva evitare. (Miracolo che siamo riusciti a far dimenticare l' anticolonialismo ai latino-americani).

Americani e inglesi hanno fatto il possibile e mi pare non si possa dubitare della loro buona fede per tentare di accaparrarci voti marginali (Liberia, Haiti, Siam, Turchia, India) e per fare astenere alcuni altri avversari (Afghanistan, Iran). Ma l'azione non è riuscita, sia per malafede di alcuni promettitori, sia per l'atmosfera tesa delle N.U. (specie alle 2 del mattino) che facilita i gesti impulsivi, astiosi e di meccanica imitazione.

(L'Australia, nonostante lo scacco subito, ha votato favorevolmente e quindi non ha rappresentato, con la Nuova Zelanda, l'elemento dubbio immaginato a Londra).

D'altronde sarebbe bastato che l'Etiopia, largamente, e a fondo, catechizzata da tutti, votasse sì anziché astenersi, com'era suo interesse. Dopo l'esito era sconsolata; ma troppo tardi.

Sui russi non c'era nulla da fare.

l latino-americani, sono stati magnifici e meritano il ringraziamento affettuoso che lei ha loro rivolto a nome del popolo italiano 1• I francesi hanno agito con piena lealtà e vigile intelligenza. La Turchia (con la scusa di non scontentare gli arabi, e forse anche in ricordo del 1911) non ci ha facilitati.

Israele (per timore degli arabi e odio ali 'Inghilterra) ha voluto per forza astenersi.

I più violenti (sebbene non direttamente interessati) sono stati Haiti e Filippine. L'haitiano ha fatto il patetico e Romulo ha pronunziato discorsi incendiari contro di noi; entrambi hanno avuto senza dubbio un certo effetto sugli Stati asiatici ancora incerti, se ve n'erano.

Gli inglesi ci avevano assicurato, fino all'ultimo minuto, il sì del Siam. È venuta l'astensione. Dell'India il sì o l'astensione: è venuto il no.

Il nostro compito principale (visto che non potevamo influire sugli ostilissimi avversari altro che con conversazioni che sono risultate sempre nulle di effetti) era quello di mantenere non tanto fedeli (che lo erano) quanto uniti tra di loro (cosa assai più difficile) i latino-americani, cui si aggiungevano francesi e sud-africani. In tutto 20 voti.

A questo siamo riusciti completamente, con non poche fatiche; sì che, nonostante qualche patema d'animo, c'è stato possibile bloccare, ad ogni istante, l'attribuzione della Cirenaica ali 'Inghilterra e dell'Eritrea all'Etiopia, senza che, contemporaneamente, non passassero Tripolitania e Somalia per noi.

Da questa esperienza si trae l'insegnamento che presso le N.U. non si può, in alcun caso, ottenere di più ed è facilissimo ci sia, eventualmente, concesso di meno, salvo un rovesciamento totale di situazione internazionale in questo momento imprevedibile.

Già sull'accordo di Londra2 (e senza possibilità di rimedio da parte nostra, date le convinzioni e le passioni dcll 'ambiente) erano stati votati emendamenti mutilatori:

l) il trusteeship sulla Tripolitania durava dieci anni (otto per noi) e poi succedeva l'indipendenza automatica senza intervento delle N.U. (emendamento egiziano);

2) il trusteeship sulla Somalia ha rischiato di essere ridotto a quindici anni, e prolungato solo a giudizio del!' Assemblea (emendamento liberiano). La Liberia ha votato poi contro la Tripolitania e la Somalia perché il suo suggerimento (che certo ripresenterà a settembre) è stato respinto con 23 no, 19 sì e 9 astenuti.

Non era una rosea prospettiva: spese e non profitti possibili, se nel frattempo non potevamo conquistarci l'animo delle popolazioni e creare quella cooperazione italo-indigena, che auspichiamo; cosa che non è così facile a realizzarsi, specie ora che i colored sono sotto l'influenza e attive propagande russe, arabe e asiatiche.

2 Vedi D. 875.

È possibile che a settembre (con una più precisa preparazione di corridoio, specie da parte anglo-americana), si possa arrivare a varare, con un voto appena sufficiente, un compromesso simile a quello fallito il l S maggio. Sarebbe però evidentemente (salvo la soddisfazione morale che ha certo la sua importanza) un poverissimo hargain date le riduzioni già avvenute e quelle da non escludersi in futuri adattamenti tra le varie delegazioni polarizzatc nei noti gruppi.

Avremmo per pochissimo tempo, e con forti spese, c con moltissimi fastidi, naturali e artificiali, amministrazioni coloniali che potrebbero, anziché rimarginare, allargare il solco tra noi c i popoli di colore.

So troppo bene che la questione delle colonie è sopratutto di politica interna. E perciò riconosco che è ditTicile, c forse temerario, dare consigli da lontano, senza avere in mano il polso del paese.

C'è però da domandarsi se una tempestiva revisione delle nostre richieste nel campo politico-amministrativo (pur rivendicando diritti economici e morali, e la salvaguardia delle nostre popolazioni) non potrebbe maturare da ora a settembre, prima di ricominciare una giostra che finirebbe in tragico se ci conducesse (per imprevedibili giochi di passioni c di interessi anche personali: c'è chi dice sia corso del denaro da dollari 5 mila in su) al medesimo risultato, con una decisiva ripercussione ai nostri danni all'interno c all'estero.

Credo che nulla debba essere fatto ora, con precipitazione, ma che tutti dobbiamo pensare. con profondo senso del permanente interesse italiano, a misurare con estrema cautela le possibilità c le impossibilità del settembre, c rinunciare a dare battaglia (con opportuni accorgimenti) se v'è una ragionevole presunzione che si debba perdere. sia pure per un voto, tenendo conto che, come è stato ampiamente dimostrato in questo mese di dura esperienza, nessuno è padrone dcii'Assemblea delle N.U. che può dare ogni sorta di sorprese e specialmente quelle a noi sfavorevoli.

959 1 Vedi D. 955.

960

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A LONDRA, ANZILOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE. Londra, 20 maggio 1949.

Dal telegramma n. 238 1 mi sembra di capire che intendiamo impiegare i quattro mesi (scarsi) che rimangono fino alla prossima riunione dell 'O.N.U. cercando in conversazioni con gli inglesi un nuovo accordo che partendo da quello Sforza-Bevin e sulle stesse basi di «cordiale collaborazione» abbia maggiori probabilità di essere approvato dali'Assemblea.

Se a queste conversazioni con gli inglesi noi attribuiamo l'importanza di un window dressing non solo opportuno ma necessario di fronte agli inglesi, agli Stati Uniti, al mondo in generale e alla nostra stessa opinione pubblica, sono perfettamente d'accordo. Ma se crediamo che queste possano portare ad un risultato positivo per noi credo che ci prepariamo una nuova e più spiacevole delusione.

Tu sai che io ho sempre sostenuto la necessità di cercare di metterei d'accordo con gli inglesi; e il nostro ritorno nella politica europea col Patto atlantico e Consiglio d'Europa si è fatto -con vari intoppi per il Patto atlantico --seguendo più o meno questa strada. La cooperazione economica e militare con la Gran Bretagna per la ricostruzione e la difesa dell'Europa occidentale-cooperazione che non è e non sarà sempre facile -è necessaria almeno finché dura la situazione di oggi c, secondo me, qualsiasi squabble aver Africa dovrebbe essere mantenuto in limiti tali da non intaccare a fondo questa cooperazione. Ma parlare di cordiale collaborazione con gli inglesi nelle questioni coloniali e africane significa, almeno oggi c finché i laburisti rimangono al potere o non cambiano idee, rifiutare di vedere le cose come sono.

Io non so quanta buona fede ci fosse da parte di Bcvin nel concludere l 'accordo con Sforza. Non so-questo tu probabilmente lo sai già-se e quanto la delegazione britannica a Lake Success si sia adoperata per farlo passare (nel telegramma

n. 23 72 arrivato ora trovo una risposta parziale su questo punto). Non so. anzi dubito, se, se fosse stato approvato all'O.N.U., gli inglesi avrebbero eseguito in buona fede la parte dell'accordo che riguardava la Tripolitania: prima del 1951 molte cose avrebbero potuto accadere. Ma quello che escludo è che gli inglesi limitino le loro attività per quanto riguarda la Tripolitania durante questi quattro mesi alle loro «cordiali conversazioni» con noi. Le corrispondenze da Tripoli di alcun giornali inglesi, in particolare il Daily Mai/, sono state interessanti c abbastanza eloquenti in questi ultimi giorni. Circa la «spontaneità» delle dimostrazioni di Tripoli siamo, credo. tutti d'accordo. E dobbiamo riconoscere che sono state organizzate bene c hanno raggiunto lo scopo: quello cioè che a Lakc Succcss le parti dell'accordo SforzaBevin tàvorcvoli agli inglesi hanno avuto la maggioranza, quelle favorevoli a noi no. Questa sarà, credo, la base su cui gli inglesi lavoreranno in vista della prossima sessione d eli' O.N.U. Quanto alla Tripolitania, se prima di settembre non ci sarà a Tripoli il «movimento irresistibile per l'indipendenza», annunciato da Wright (telegramma dell'ambasciata n. 200)3 ne sarò sinceramente sorpreso. Intanto si comincia già a dire che gli arabi della Tripolitania hanno perduto, per colpa del «tradimento» di Bcvin, la fiducia negli inglesi e non accetterebbero più neanche un trusreeship britannico c che soltanto ]"indipendenza può ormai soddistàrli. La B.M.A. non ha lavorato male questa volta.

Sento che a questa parte così negativa della mia lettera dovrebbe seguire qualcosa di positivo. Ripeto che secondo me oggi la «cordiale cooperazione» itala-britannica in Africa non esiste semplicemente perché gli inglesi per ora almeno non la vogliono: ci si arriverà D)rse più tardi col tempo c la pazienza. Settembre non è lontano c in tre mesi c mezzo non si può far molto. Ma rimango del parere che scrissi a Guidotti in gennaio cioè che, per quanto riguarda l'Africa e limitatamente a questa, non possiamo per ora ottenere dei risultati altro che per mezzo di forze che agiscano su Londra dal di fuori; in altre parole per mezzo di una pressione degli Stati Uniti. Dato che all'O.N.U. il voto del Guatemala vale quanto quello di Washington potremmo essere tentati di cercare

una soluzione attraverso un bribing appropriato e intelligente di certi delegati. Ma, anche a parte e dopo quello che succederà a settembre all'O.N.U. e finché a Londra non cambieranno le idee, non vedo altro che una pressione interna negli Stati Uniti, paragonabile a quella che ha permesso agli ebrei di prendersi la Palestina a dispetto di Bevin, che potrebbe permetterei di fare dei passi avanti. E poiché non credo che gli itala-americani da soli ne siano capaci ritorno all'idea, del tutto vaga per ora, di un'alleanza con i sionisti. Questo suggerimento potrà sembrarti, dopo la mia destinazione a Tel Aviv, il solito procedimento per valorizzare un posto prima di andarci: se Guidotti ti ha fatto vedere la lettera che gli scrissi nel gennaio scorso ricorderai che l'avevo suggerito quando l'idea di andare a Tel Aviv non rallegrava affatto la mia esistenza.

Farsi aiutare dal Vaticano nell'America latina, da Sion negli Stati Uniti e mantenere le apparenze per quanto riguarda l'Africa, e la sostanza per quanto riguarda l'Europa, della collaborazione con la Gran Bretagna laburista può sembrare un tour de.fòrce ma non dovrebbe essere impossibile. Il Vaticano ha saputo fare ben altro nel corso della sua storia. Noterai che non ho nominato i paesi arabi: probabilmente sbaglio ma non vedo come potremmo ottenere da loro un appoggio positivo nelle questioni africane.

PS.: Da un colloquio che G.S. ha avuto ora con Wright4 sembrerebbe che gli inglesi siano poco disposti a continuare le conversazioni e che non si considerino più legati dali 'accordo Bevin-Sforza. Se sarà veramente così la prima parte di questa lettera sarà dimostrata e superata.

960 1 Vedi D. 949.

960 2 Del 19 maggio, ritrasmctteva a Londra il T. 185 del 18 maggio da New York, per il quale vedi D. 947. 3 Vedi D. 909.

961

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 43011274. Roma, 21 maggio 1949, ore 15.

Suo 395 1•

Non risulta esservi stato finora un qualsiasi mutamento in atteggiamento partito cominformista di Trieste cui esponenti in pubblici discorsi ancora avant'ieri hanno chiesto nomina governatore e sgombero truppe anglo-americane e jugoslave dalle Zone A e B. Perciò preoccupazione costì manifestatale non appare giustificata. In linea di massima anche noi cerchiamo perseguire entro limiti ragionevoli politica intesa incoraggiare avvicinamento Jugoslavia, tuttavia circa questione Trieste non potremmo ovviamente condividere una politica che da altri venisse avviata verso formule transazionali che si allontanino dichiarazione tripartita che è e resta per noi base soluzione questione triestina. Conviene pertanto seguire questione con massima attenzione e prevenire ed evitare ogni deviazione da tale dichiarazione.

961 1 VediD.931.

960 4 Vedi D. 963.

962

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5410/39. Madrid, 21 maggio 1949, ore 17,30 (perv. ore 21). Telegramma di V.E. 44 1•

Sottosegretario Commercio estero che ho visto stamane mi è parso vivamente desideroso non venga data impressione che trattative commerciali siano state bruscamente interrotte. Anche egli non è contrario al rinnovo per il vecchio accordo ma ha espresso opinione che prima di adottare questa soluzione per la quale disponiamo di oltre un mese, esaminassimo insieme, dopo il ritorno capo delegazione spagnola da Roma, se esiste possibilità avvicinarsi punti di vista dei due Governi continuando eventualmente conversazioni a Madrid.

Al riguardo mi ha citato alcune tardive istruzioni da lui inviate alla sua delegazione perché accettasse aumento alcuni contingenti merci spagnole di interesse per noi e mi ha fatto comprendere che era disposto riesaminare questione clearing in dollari di conto.

Egli avrebbe pertanto istruito Sangroniz prendere accordi con codesto Ministero perché, sia attraverso un comunicato che, preferibilmente, attraverso semplici informazioni da passare alla stampa, venisse reso pubblico che, dopo un primo scambio di idee in Roma, conversazioni commerciali italo-spagnole verranno riprese a breve scadenza.

Impressione negativa di queste informazioni verrebbe attenuata da circostanza che, come egli mi ha comunicato, sarebbe stato invece raggiunto accordo per una convenzione aerea limitata traffico fra i due paesi. Ritengo anche io che sia questa linea di condotta migliore da seguire anche perché, data mentalità spagnola, permanere su situazione di rottura significherebbe ostacolare totalità quel modesto traffico che può ancora essere compiuto dentro o fuori dello attuale accordo.

Sarò grato a V.E. se vorrà farmi conoscere per mia istruzione e norma linguaggio quali decisioni saranno state adottate in proposito2 .

963

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5421/218. Londra, 21 maggio 1949, part. ore 1,56 del 22 (perv. ore 8,35).

In assenza Bevin e Strang ho conferito lungamente con Wright ponendo subito colloquio su direttiva indicata da V.E. con telegramma 23 81: consolidare risultato più

2 Per la risposta vedi D. 966. 963 1 Vedi D. 949.

importante recente intesa ossia spirito reciproca comprensione c collaborazione da cui era scaturita possibilità compromesso.

Wright alquanto preoccupato c cauto nelle risposte dichiarò essere stato incaricato da Bevin assicuram1i sua migliore buona volontà aiutare Govcmo italiano c particolam1cnte VE. nella situazione. che comprendeva difficile. de1ivante da mancato voto Nazioni Unite.

Espressi allora sembram1i essenziale mettere subito basi collaborazione che avremmo dovuto mantenere prossimi mesi per non trovarci. come già avvenuto due volte, a non aver concretato azione comune sino vigilia rinnovate discussioni Nazioni Unite. Pur comprendendo opportunità non agire affrettatamente ritenevo che esame preliminare nostre posizioni tosse massima utilità perché tre mesi passano presto: esistevano due circostanze favorevoli. da un lato incontro ministri esteri Pmigi dall'altro il viaggio Strang Medio Oriente.

Wright rispose ritenere prematura qualsiasi discussione: Governi non avevano ancora esaminato loro eventuale nuovo atteggiamento in situazione così diversa da quella precedente il voto e ministri esteri a Parigi non avrebbero avuto clementi sufficienti: viaggio Strang non sarebbe andato oltre esame personale situazione Medio Oriente che crasi prefisso. Replicai che per parte nostra consideravamo accordo Bevin-Stòrza come qualcosa acquisito a cui ci sentivamo legati pensandolo unica possibile base compromesso. Ma se ciò tosse anche pensiero Governo britannico Wright non volle chiarire, dandomi anLi impressione che personalmente si riportas-.c a quanto mi m eva detto sin dal l Ocorrente sui pericoli del rinvio (mio 200)2.

Accennando questione voto mancante per Tripolitania Wright lamentò che nostra non accettazione Australia nel Consiglio con~ultivo avesse f~ltto mancare maggioranza già in sede Commissione ciò che aveva pregiudicato in partenza posizioni in Assemblea. Alla sua lagnanza opposi allora la nostra nel senso di cui al telegramma di VE. 237'. Tale osservazione da me fatta nella fom1a più calma provocò vera esplosione indignazione c Wright insistette che Inghilterra era stata lealissima, che aveva fatto pressioni su amici e nemici_ che aveva lavorato sino all'ultimo momento perché risoluzione passasse per intero, ma che di fronte situazione in cui accordo non era più salvahile sarebbe stato assurdo pretemkrc che delegazione inglese non tentasse salvare ciò che poteva.

Ribattei essere comunque inutile recriminare passato: guardando al futuro perché non iniziare subito in Tripolitania esperimento graduale pacificazionc concordata sull'esempio di quanto avevamo fatto Somalia? Tale lavoro era possibile ma richiedeva perfetta lealtà reciproca nei rapporti con arabi e a tale proposito in via del tutto amichevole gli dissi ritenere utile anche al Forcign Offìce conoscere quanto ci veniva riferito su atteggiamento certi funzionari periferici che non sembravano certo aver dato appoggio sincero alle intese prese a Londra e accennai a segnalazione di cui al telegramma di VE. 2364 .

Ciò suscitò altra tempestosa protesa di Wright che affermò con forza che aveva sperato che, anziché riportare solite voci maligne sulle quali Mallet già era stato intrattenuto da Palazzo Chigi, Governo italiano mi avrebbe incaricato ringraziare autorità britanniche perché nelle recenti dimostrazioni di migliaia di arabi esse avevano così bene difeso incolumità italiani. Soli feriti erano stati nove arabi un poliziotto libico c un poliziotto inglese.

1 Vedi D. 960, nota 2.

4 Del 18 maggio, con il quale Sforza informava circa le voci di un possibile appoggio britannico a manifestazioni anti-italiane svoltesi a Tripoli.

Ribattei che sicuramente ciò era stato constatato anche in Italia e che nostra stampa responsabile e opinione pubblica avevano comunque dato prova evidente di non considerare più Inghilterra, dopo intese Bevin-Sforza, come nemica nostri interessi in Africa: era però importante che questa impressione potesse rafforzarsi senza nuove delusioni del popolo italiano. Wright acconsentì vivamente osservando solo non comprendere come stampa governativa o radio non avessero messo in maggior luce che veri nemici dell'accordo erano stati Russia e satelliti sui cui voti non potremo contare neanche in settembre.

962 1 Vedi D. 946.

963 2 Vedi D. 909.

964

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 541/1964. Parigi, 2 l maggio 1949 (perv. il 31).

Dal Quai d'Orsay ci è stato confermato quanto già riferito circa il rinnovamento, per così dire, del trattato franco-anglo-turco del 1939: nel senso che Schuman, in occasione della ratifica del Patto atlantico, farà probabilmente una dichiarazione constatante la permanenza degli antichi legami con la Turchia.

Per quanto riguarda l'attenuazione attraverso tale rinnovamento del vecchio trattato, il Quai d'Orsay ha rilevato che nella sua forma originale il patto era costituito da due parti: una politica, che sarà quella a cui alluderà forse il ministro Schuman c che si può considerare come tuttora in vigore, e un 'altra militare, basata soprattutto sulla presenza di truppe francesi in Siria c nel Libano la quale, date le mutate circostanze, è da ritenere scnz'altro decaduta.

Per contro il Governo turco vorrebbe che anche la così detta «clausola russa» in base alla quale la Turchia non avrebbe potuto essere trascinata in un conflitto armato contro l'U.R.S.S .. sia da considerarsi come decaduta.

In sostanza, un istrumento diplomatico di dieci anni tà a carattere esclusivamente anti-italiano c basato sulla presenza nel Medio Oriente della famosa annata franco-britannica di Wcygand, dovrebbe essere ora rinnovato in senso antirusso e con l'assenza militare dci francesi se non anche dei britannici. sostituiti almeno in Turchia dagli americani.

965

L'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

l. PERSONALE 1615/327. New Delhi, 21 maggio 1949

Ora che la discussione sulle colonie italiane si è chiusa con un nuovo rinvio, mi sembra utile rivedere l'atteggiamento indiano durante la recente sessione dell'O.N.U., alla luce delle notizie in mio possesso.

In una prima fase parmi che la delegazione indiana si sia attenuta a quanto era dato prevedere in base alle assicurazioni datemi: Setalvad nella sua dichiarazione del 14 aprile sosteneva il principio dell'amministrazione fiduciaria diretta dell'O.N.U. e tale principio difendeva in successivi interventi, sempre astenendosi da critiche, accuse od attacchi all'Italia.

Quando si è iniziata la seconda fase, quella cioè di preparazione e presentazione delle mozioni, si è avuto qualche ondeggiamento. La delegazione indiana, conformemente a quanto previsto, ha presentato una mozione in cui sosteneva il principio del trusteeship collettivo diretto, ma, di fronte ai progetti britannico e sud-americano, aveva qualche esitazione. In seguito alle istruzioni ministeriali ed ai numerosi miei interventi, sia verbali che scritti, si riusciva tuttavia ad ottenere che questo Governo facesse presente alla propria delegazione: l. che fra i due progetti, inglese e latino-americano, sembrava preferibile il secondo; 2. che, di fronte ad un'eventuale proposta di rinvio, non conveniva insistere nella mozione indiana, evidentemente destinata ali 'insuccesso. Il Governo di New Delhi, tuttavia, non si sentiva di dare istruzioni categoriche alla propria delegazione considerando indispensabile !asciarle una certa libertà di manovra a seconda dell'atteggiamento delle altre delegazioni.

È a questo momento che è intervenuto il fatto nuovo e che ha avuto inizio l'ultima fase. Rimasto senza riscontro ai miei telegrammi nn. 41 e 44 del 7 e del l Omaggio1 e quindi senza notizie ufficiali e senza istruzioni aggiornate, ho dovuto !imitarmi a tenermi al corrente e, come ho telegrafato in data 12 corrente con n. 462 , ho accertato che ancora una volta questo Governo, in seguito ad intervento britannico, aveva praticamente dato mano libera alla propria delegazione a Lake Success. Questa, però, mi risultava trovarsi in uno stato di singolare nervosismo e nello stesso mio telegramma facevo prevedere il voto contrario.

Il comportamento della delegazione indiana ed il fatto che essa, nella votazione parziale, abbia votato contro le parti relative alla Somalia ed alla Tripolitania, mentre si era astenuta per la parte relativa alla Cirenaica e, a quanto pare, trovato modo di essere assente al momento della votazione per l'Eritrea, mi sono sembrati tanto lontani da quanto mi era stato ripetutamcnte assicurato da questo Foreign Secretary, che mi sono recato da lui per farglielo rilevare e per richiamare la sua attenzione sul fatto che, agendo in tal guisa, l'India aveva praticamente preso posizione non già contro «qualsiasi forma di ripartizione», ma contro di noi. L'ambasciatore K. P. S. Menon mi pregava di esprimere al Governo di Roma il suo profondo rincrescimento per quanto era accaduto, aggiungendo che un telegramma della delegazione indiana che esponeva la linea di condotta che essa si proponeva di seguire e chiedeva eventuali istruzioni, era disgraziatamente giunto troppo tardi per consentire a questo Governo di intervenire. Dalla copia del telegramma che ho veduto apparirebbe effettivamente che esso è pervenuto a Delhi il 17 sera tardi e che è stato comunicato al Foreign Secretary soltanto ill8 mattina allorquando, nel telegramma stesso, era detto che la votazione avrebbe avuto luogo il 17 sera.

Ho risposto al mio interlocutore che prendevo atto delle sue dichiarazioni, ma che rimaneva pur sempre il fatto e che noi non potevamo non registrarlo. L'ambasciatore K.

P. S. Menon mi ha ripetuto il suo rincrescimento, soggiungendo che doveva riconoscere

2 Vedi D. 918.

che la delegazione era loro sfuggita di mano ( «has slipped out from our hands») e che probabilmente essa si era lasciata guidare soltanto dal desiderio di impedire che l'ultima proposta britannica fosse approvata. Al che mi è stato facile rispondere che essa non aveva, però, pensato che, votando come aveva fatto, aveva non già difeso (secondo il punto di vista indiano) gli interessi delle popolazioni, di tutte le popolazioni e l'integrità della Libia, ma si era opposta soltanto e particolarmente alle parti a noi favorevoli.

Le dichiarazioni che il capo della delegazione indiana ha fatto il 19 corrente a Lake Success e che sono state diramate dalla Reuter avallerebbero in qualche modo la tesi dell'ambasciatore Menon. Il loro evidente imbarazzo e la stessa contradizione che contengono mi sembrano dimostrare che ad un certo momento la delegazione indiana si è lasciata trascinare e, forse abbagliata dalla parte che le si è voluta far giuocare, ha perduto di vista la linea di condotta che le era stata tracciata. A dare questa impressione concorrono anche il fatto che la delegazione ha voluto insistere sulla propria mozione sebbene l'esito contrario della votazione fosse più che sicuro e la circostanza che, in sottocomitato, essa ha appoggiato una mozione irachena per l'immediata indipendenza della Libia, allorquando il signor Setalvad nella sua enunciazione programmatica e nella sua mozione aveva riconosciuto che i territori delle colonie italiane non erano ancora politicamente maturi per l'indipendenza.

Quali siano state le vere cause di tutto ciò è difficile indovinarlo di qui e mi pare inutile perdermi in illazioni, quando l'osservatore e la delegazione italiana all'O.N.U. potranno sicuramente fornire tutti gli elementi del caso.

Rimango pertanto in attesa delle istruzioni che l'E.V. vorrà, eventualmente, compiacersi darmi in previsione delle future discussioni 3 .

965 1 Vedi D. 884 e D. 918, nota 2.

966

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA

T. 4320/47. Roma, 22 maggio 1949, ore 15,30.

Telegramma ministeriale n. 441•

Presidente delegazione commerciale spagnola ha dichiarato che suo Governo era disposto accordare piccoli aumenti contingenti minerali ferro, ossido ferro, ghisa e potassa. Ma tale concessione è stata ritenuta insufficiente colmare sproporzione economica esistente fra voci di importazione e di esportazione in Italia proposte dagli spagnoli.

Ministro Arguelles quindi rientrerà prossimi giorni Madrid. Comunicato stampa concordato fra due delegazioni presenta avvenuti negoziati come scambi vedute fra esperti ai fini trovare possibili basi di futuro accordo.

Delegato spagnolo si è riservato sottoporre a suo Governo progetto di scambio di lettere per proroga accordo tre mesi nonché progetto di protocollo per collaborazione econo

965 :~ Per la risposta vedi D. l 031.

966 . Vedi D. 946.

mica di carattere piuttosto generico ma tale da prevedere possibilità di investimenti, forniture speciali ed aiuti tecnici previa approvazione di volta in volta da parte Commissione mista.

Poiché questo ambasciatore spagnolo, nel corso di conversazione avuta con funzionario Ministero esteri, ha lasciato capire di essere favorevole a firma protocollo collaborazione economica da noi proposta ma non a proroga vecchio accordo, si è sottolineato nel modo più esplicito da parte nostra che Governo italiano non avrebbe consentito la firma di tale protocollo se non contemporaneamente al nuovo accordo commerciale oppure a proroga vecchio accordo.

È ovvio che protocollo rassicurerebbe nostri importanti settori industriali sulla possibilità avvenire di investimenti e forniture in Spagna. Ma ovc esso fosse firmato isolatamente senza far parte di un normale sistema di scambi commerciali, potrebbe dar luogo all'interno cd all'estero ad interpretazioni politiche che specie in questo momento sembra opportuno evitare.

967

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI. AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. 4353/70. Roma, 23 maggio /949, ore 21.

Nel fare comunicazione di cui al telegramma ministcriale n. 45 1 abbiamo inteso dare alla nostra rappresentanza Israele situazione identica a quella della rappresentanza britannica quale era stata indicata da V. S. con telegramma n. 51 2 .

Pregasi pertanto t~tr presente al Govcmo israeliano che reciproci rappresentanti Roma c Tcl Aviv dovranno essere accreditati nella stessa tonna ed alle stesse condizioni previste per scambio rappresentanze tra Gran Bretagna cd Israele (telespresso di V.S. n. 156)'.

Voglia assicurare per telcgrafo4 .

968

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPL AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 23 maggio 1949.

È venuto Mallet. Aveva ricevuto il resoconto della conversazione Gallarati Scotti-Wright 1 c istruzioni di chiarire ancora i motivi che avevano indotto la delega

2 Del 27 febbraio, non pubblicato.

1 Non pubblicato.

4 Silimbani assicurò con T. 5516/99 del 24 maggio.

96R 1 Vedi D. 963.

zione britannica a votare a favore della risoluzione benché mutilata: ragioni di politica verso l'Assemblea e che Cadogan e Clutton avevano chiarito a Tarchiani e Guidotti. Gli ho replicato che effettivamente quel voto ci aveva sorpreso, che noi in condizioni analoghe ci saremmo comportati diversamente, che comunque non mi pareva il caso di recriminare, ma piuttosto di guardare all'avvenire. Il colloquio Gallarati Scotti-Wright, gli ho detto, aveva avuto luogo perché avevamo appunto dato istruzioni al nostro ambasciatore2 di esprimere al Foreign Office il nostro pensiero nel senso che, pur nella situazione creatasi dopo il voto dell'O.N.U., cosideravamo un dato positivo il fatto che era stato possibile raggiungere un accordo fra Italia c Gran Bretagna, che le due delegazioni avevano collaborato per far approvare una tesi comune e che si era arrivati al rinvio nonostante tale collaborazione e non su di un contrasto itala-inglese come a Parigi. Il Governo italiano auspicava che questa collaborazione potesse essere mantenuta e che si rimanesse in contatto per esaminare la situazione ed esplorare possibilità di soluzione della questione. Mallet ha risposto che riteneva tale fosse anche il sentimento del suo Governo, che il ribadire ora le vecchie proposte o il formularne di nuove potrebbe creare imbarazzi alle varie B.M.A., ma che il Governo britannico avrebbe esaminato volentieri quanto volessimo fargli conoscere. Gli ho detto che naturalmente l'esame della situazione ed eventuali contatti dovrebbero rimanere assolutamente segreti.

Siamo poi venuti a parlare delle manifestazioni a Tripoli. Anche su questo punto aveva istruzioni di ripetere quanto detto da Wright a Gallarati Scotti. Gli ho ripetuto le informazioni che ci erano pervenute, sottolineando che non eravamo naturalmente in grado di vagliarle non avendo nessun nostro funzionario di fiducia a Tripoli; e a questo proposito gli ho ricordato che già lo avevo intrattenuto su questo argomento richiamando i favorevoli risultati delle missioni Manzini e Gropello a Mogadiscio ed Asmara. Gli ho suggerito di proporre al Foreign Oftice che un nostro funzionario possa, in un primo tempo, fare un breve viaggio a Tripoli per prendere contatto col Comitato italiano e con la B.M.A. Dopo questa prima missione e considerati i suoi risultati c le eventuali reazioni, si potrebbe pensare ad un ufficio stabile: ne ha preso nota.

Ha infine ripetuto che conviene spiegare all'opinione pubblica italiana l'atteggiamento negativo della Russia e dei suoi satelliti.

967 1 Vedi D. 570, nota 2.

969

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI

L. PERSONALE 3/2304. Roma, 24 maggio 1949.

Rispondo a quanto mi chiedi con la tua lettera del 12 corrente n. 17181 .

968 'Vedi D. 949. 969 1 Vedi D. 921.

I due colloqui che il ministro ha avuto a New York con Khachaba pascià si sono svolti in una atmosfera cordiale, ma non mi risulta che, a parte la reciproca promessa di sviluppare in ogni campo rapporti fra i due paesi, sia stata approfondita alcuna speciale questione.

Non possiamo comunque essere affatto soddisfatti dell'atteggiamento tenuto da Khachaba pascià e dalla sua delegazione a Lake Success nella questione delle colonie: in ogni occasione, sia nelle dichiarazioni fatte al Sottocomitato ed alla Commissione politica, sia nelle votazioni delle varie proposte, l'Egitto ha non solo costantemente combattuto la tesi italiana (il che era nel suo diritto), ma ha attaccato l 'Italia e talvolta in una forma tale che l'antitesi dei nostri punti di vista non era sufficiente a giustificare.

Nel difendere il principio dell'unità e della indipendenza della Libia, gli oratori egiziani si sono soprattutto preoccupati di vilipendere l 'Italia e di farla apparire come incapace di amministrare in trusteeship una delle sue antiche colonie. Anche nella questione della Somalia essi hanno votato contro di noi, quando potevano benissimo astenersi (e non ci dicano che ciò è stato fatto per mantenere la compattezza e l 'unità di voto del gruppo arabo, giacché in altre questioni le sei delegazioni hanno votato in modo diverso). Ho l'impressione che sia stato poi proprio l'Egitto a pretendere dagli altri cinque arabi un atteggiamento sistematicamente ostile all'Italia; (non possediamo ancora la documentazione completa dei dibattiti e di quanto è avvenuto a Lake Succes, che mi riservo di mandarti appena possibile, tuttavia dai telegrammi della nostra delegazione tale impressione appare giustificata). E tutto ciò non può certo facilitare lo sviluppo di cordiali rapporti tra i due paesi.

Ti unisco, comunque, gli estratti di vari telegrammi da New York, sia della nostra delegazione sia di Agenzie di informazione, relativi ali' attitudine tenuta dall'Egitto a Lake Success2 .

970

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5538/86. Sofia, 25 maggio 1949, ore 13,50 (perv. ore 17,30).

Seguito mio telegramma n. 84 1• Questo ministro Albania comunica che Governo albanese concede gradimento F ormentini quale ministro Italia a Tirana. A sua volta Governo albanese chiede gradimento nomina signor Zenel (ripeto Zenel) Hamiti (ripeto Hamiti) quale ministro Albania Roma. Questi, secondo infor

mazioni datemi da ministro Albania, è nato nel 1919, ammogliato, e partigiano, già funzionario Ministero dell'industria, e recentemente ha coperto carica presidente Consorzio petroli Kussovo.

Pregasi telegrafare appena possibile2•

969 2 Non pubblicati.

970 1 Del 16 maggio con il quale Guamaschelli aveva comunicato di aver trasmesso al Governo albanese la richiesta di gradimento per la nomina di Formentini.

971

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5568/277. Parigi, 25 maggio 1949, ore 22 (perv. ore 11 del 26).

Schuman mi ha detto 1 di essere rimasto molto soddisfatto che proposte russe non avevano avuto carattere demagogico di propaganda tedesca ed erano state invece «borghesi» ed in fondo tali da spiacere ai tedeschi perché tornare alla situazione degli accordi di Potsdam era per i tedeschi passo indietro.

Egualmente sorpreso era rimasto dal fatto che da parte russa non sia stata sollevata pregiudiziale arresto lavoro organizzazione Germania occidentale, ma che anzi limitando campo economico funzioni organo unitario per Germania essi hanno implicitamente riconosciuto opera in corso svolgimento nel campo politico. Egli e con lui altri Alleati occidentali considerano proposta russa come interessante anche se prima di entrare in discussione in merito occorrono alcune precisazioni che in principio russi si sono dimostrati pronti a fornire.

Schuman ritiene che «test» intenzioni russe sarà dato dal riprendere o no questione dieci miliardi dollari riparazioni Zona occidentale, richiesta in sé inaccettabile che basterebbe da sola far cadere negoziato.

Ritiene sia difficile trovare formula soddisfacente per funzionamento Comitato economico unitario a quattro. Russi hanno già detto che esso deve, secondo loro, funzionare su base unanimità, ossia con diritto veto da parte russa, il che come da esperienza precedente basterebbe paralizzare ogni possibilità d'azione. Riconosce d'altra parte essere impossibile chiedere ai russi rinunciare diritto veto essendo essi ben consci che in tutte questioni importanti si troverebbero uno contro tre.

Schuman si è dichiarato comunque moderatamente ottimista nel senso che mentre esclude si possa arrivare modus vivendi il quale permetta almeno in Europa pacifica convivenza due mondi per periodo ragionevolmente lungo, ritiene sia intenzione dei russi che Conferenza porti diminuzione tensione attuale il che già sarebbe certo vantaggio.

Uguale impressione mi è stata espressa da Fitzpatrick. Tutti constatano con meraviglia quanto Vyshinsky faccia del suo meglio per mostrarsi accomodante. Schuman si raccomanda tenere riservate queste informazioni.

970 2 Con T. 5221/76 del 21 giugno fu comunicata l'avvenuta concessione del gradimento per la nomina del ministro albanese a Roma. Formentini giunse a Tirana ill8 settembre, la cerimonia di presentazione delle credenziali avvenne il 5 ottobre.

971 1 Schuman riferiva sui lavori della sesta sessione del Consiglio dei ministri degli esteri delle quattro grandi potenze in corso a Parigi.

972

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO SEGRETO. Roma, 25 maggio 1949.

Nel telegramma inviato da V. E. ali 'ambasciatore Gallarati Scotti il 19 maggio 1 e del quale il nostro ambasciatore a Londra si è valso nel suo colloquio con Wright2 , è detto che ci proponiamo di continuare nello spirito di collaborazione itala-inglese che aveva portato al noto compromesso, «per procedere con inglesi appena possibile ad un esame della situazione in vista esplorare possibilità soluzione questione rimasta sospesa in seguito decisioni O.N.U.».

Ricevendo l'ambasciatore Mallet il 23 u.s.3 ribadivo questo concetto dicendogli che «il Governo italiano auspicava che questa collaborazione potesse essere mantenuta e che si rimanesse in contatto per esaminare la situazione ed esplorare possibilità di soluzione della questione».

Ritengo conveniente per noi mantenere questo atteggiamento essenzialmente per due motivi: uno sostanziale e l 'altro tattico. Dal punto di vista sostanziale è infatti nostro interesse continuare a ricercare una soluzione della questione delle ex colonie d'accordo con la Gran Bretagna per evidenti motivi di politica generale oltre che per facilitare il nostro ritorno in Africa. Dal punto di vista tattico è poi indispensabile, qualunque cosa avvenga, che se dovessimo riprendere la nostra libertà di azione, la responsabilità di ciò cada sul Governo inglese.

Si tratta ora di vedere quali nuove vie esplorare per sottoporre all'O.N.U. una soluzione che abbia qualche speranza di prevalere. Ho ragione di ritenere che gli inglesi non vorranno insistere sul compromesso del 6 maggio c mi sembra che convenga a noi, pur salvaguardandonc lo spirito e l'essenza, approfittare di questo umore inglese e della decisione dell'O.N.U. per rivederne talune clausole.

Eritrea. Nell'intento di risolvere la questione, col compromesso del 6 maggio, avevamo praticamente sacrificato l'Eritrea. Conviene esaminare obiettivamente, e anche indipendentemente dalla emozione suscitata in Italia da tale progetto, quale sia stata la reazione da esso suscitata tra le popolazioni interessate e all'O.N.U. In Eritrea, sebbene vi fosse divisione di opinioni (registrata a suo tempo anche dalla

2 Vedi D. 963.

1 Vedi D. 968.

Commissione di inchiesta delle quattro potenze) circa l'eventuale scelta di una potenza mandataria per quel territorio, vi era sempre stata unanimità quasi assoluta (registrata anche essa dalla Commissione suddetta) sul principio della integrità del territorio medesimo. Questo era del resto anche il parere espresso dal generale Drew, amministratore capo del!' Eritrea (di cui possediamo un rapporto intercettato) il quale si era altresì reso conto del fatto che la maggioranza della popolazione era contraria sia all'annessione all'Etiopia, sia anche a un mandato etiopico. Infatti in questo senso si sono poi espressi i rappresentanti dei maggiori partiti eritrei a Lake Success: la Lega musulmana, il Partito Eritrea nuova, la Gioventù musulmana, l' Associazione dci meticci, il Partito liberale c la Comunità italiana. Il solo Partito unionista è favorevole all'Etiopia: si tratta di un partito che ha svolto la sua attività con mezzi intimidatori c le cui formazioni giovanili sono state recentemente sciolte dall 'amministrazione britannica.

Quando il progetto di risoluzione relativa ali' Eritrea fu portato dinanzi all'O.N.U. si ebbero due votazioni indicative dello stato d'animo delle varie delegazioni e dell'Assemblea in genere. L'attribuzione del! 'Eritrea occidentale al Sudan venne respinta dalla Commissione politica con 19 voti contrari, 16 a favore, 21 astenuti c 3 assenti. L'attribuzione della maggior parte dell'Eritrea all'Etiopia ottenne in seno all'Assemblea 37 voti favorevoli, 11 contrari, 10 astenuti c l assente. Ma l'analisi di questi voti rivela che dei 37 voti favorevoli ben 15 erano stati dati dai paesi dcii' America latina da noi sollecitati e nel desiderio di consentire il concentrarsi della maggioranza dei voti sul compromesso di Londra, mentre ciò nonostante ben quattro paesi sud-americani si erano astenuti dal voto, tre paesi arabi c asiatici avevano votato contro e altri sei paesi arabi e asiatici si erano astenuti: segno che l'annessione della Eritrea all'Etiopia non convinse la maggioranza dci paesi musulmani.

Sono state in questi giorni di passaggio a Roma le delegazioni dci partiti eritrei di ritorno da Lake Success. Esse hanno dichiarato concordemente al Governo italiano che sono contrarie alla proposta spartizione del loro territorio di cui desiderano salvaguardare l'unità c l'integrità c hanno aggiunto che, interpretando l'accordo di Londra come un abbandono da parte del Governo italiano della primitiva richiesta di tntsteeship sull'Eritrea, esse si ritengono libere (comunità italiana compresa) di avanzare e sostenere la richiesta di indipendenza presso le Nazioni Unite e i singoli Stati membri. Esse si propongono, prima di partire da Roma, di avvicinare le rappresentanze dci paesi dell'America latina, di prendere contatto al Cairo con la Lega araba e di inviare dali' Asmara missioni presso gli Stati musulmani. Chiedono al Governo italiano di non ostacolare la loro azione. Ci siamo limitati ad ascoltarle non potendo prendere posizione, per dovere di lealtà, prima di consultarci col Governo britannico. Sembra tuttavia che tale atteggiamento degli esponenti delle popolazioni italiana ed indigena dell'Eritrea non potrebbe essere da noi contrastato senza esporci a critiche, sia in Italia sia in Eritrea, sia anche in seno alle N.U., tanto più che una richiesta di indipendenza, dati gli umori dell'Assemblea, rischia forte di avere la maggioranza in seno all'Assemblea medesima. Riterrei piuttosto che questo atteggiamento delle popolazioni eritree ci offra la possibilità di ricercare una soluzione soddisfacente per le varie parti interessate c accettabile dall'O.N.U., e che su di essa dovremmo cercare di avviare riservate conversazioni con Londra, conversazioni che dovrebbero sfociare in una proposta di risoluzione che accogliesse il principio dell'indipendenza dell'Eritrea e demandasse alla Gran Bretagna, all'Italia e all'Etiopia di formulare, unitamente ai rappresentanti delle popolazioni locali, il modo di attuarla.

Libia. Mi rendo conto che il puntare, per una soluzione per noi più vantaggiosa della questione eritrea, sui desideri delle popolazioni si ritorce a nostro danno nella questione della Tripolitania. D'altra parte, dopo l'emendamento norvegese il mandato sulla Libia dovrebbe terminare automaticamente nel 1959. Iniziando il nostro nel 1951, lo eserciteremmo per otto anni di cui uno verrebbe inevitabilmente perduto come periodo di assestamento. C'è quindi da chiedersi se anche per la Libia allo stato attuale delle cose il problema non sia da impostarsi secondo criteri nuovi.

Una soluzione appropriata di questo problema dovrebbe essere ricercata nella costituzione di due Stati, uno in Tripolitania ed uno in Cirenaica, rispettivamente associati all'Italia e alla Gran Bretagna, con un regime speciale per il Fezzan sotto controllo francese. Ciò senza pregiudizio della unità della Libia considerata come meta finale. La costituzione di tali Stati e la forma della loro associazione con l'Italia e la Gran Bretagna dovrebbero venire liberamente concordate con le rappresentanze delle popolazioni locali secondo modalità da stabilirsi; per quanto riguarda la Tripolitania, tali modalità dovrebbero essere stabilite d'accordo con l'Italia e previa una adeguata preparazione dell'ambiente locale. Una soluzione di questa natura, risultante cioè da un libero accordo con le popolazioni locali, non potrebbe essere respinta dall'O.N.U.; vi è persino da chiedersi se sarebbe necessario sottoporla alla sua approvazione.

Su queste linee si potrebbe molto cautamente riabbordare la questione con gli inglesi, mantenendo il tutto riservato e segreto essendomi impegnato con Mallet a mantenere il segreto anche sul semplice fatto di una eventuale ripresa di conversazioni, oltre che, naturalmente, sulla sostanza di esse.

972 1 Vedi D. 949.

973

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 0154. Parigi, 25 maggio 1949 1•

Schuman mi ha detto stamattina che era stato abbastanza soddisfatto dei risultati delle spiegazioni da lui date al Consiglio dell'economia in merito all'Unione doganale. Egli non riteneva che di essere riuscito a smontare alcuni degli oppositori e a decidere qualcuno degli esitanti. Non si sentiva di fare delle previsioni sulla votazione che il Consiglio economico avrebbe fatta nella sua prossima seduta, ma riteneva almeno di essere sicuro che non si sarebbe avuta una maggioranza così schiacciante contro: il che avrebbe diminuito gli effetti negativi della decisione del Consiglio economico nei rispetti del Parlamento. Mi ha detto che comunque sarebbe stato molto difficile che il patto di Unione doganale potesse essere presentato al Parlamento

prima della seconda metà di luglio. A parte il fatto che dovranno aver luogo prima due importanti dibattiti, il Patto atlantico e l'Unione Europea, il patto di Unione doganale deve passare praticamente all'esame di tutte le Commissioni parlamentari: procedura lunga e non scevra di difficoltà. Egli si stava ora preoccupando (il che è esatto) di trovare dei buoni relatori presso le singole Commissioni: buoni nel senso di avere personalità decisamente favorevoli all'Unione e nello stesso tempo di sufficiente prestigio presso i loro colleghi.

A mia richiesta sulle previsioni che si potevano fare circa l'atteggiamento del Parlamento, mi ha detto che riteneva le difficoltà serie ma non insormontabili. Interpretando la mia mancanza di commenti come dubbio circa quanto egli si diceva (il che era del resto esatto), mi ha chiesto se la mia opinione fosse differente. Gli ho risposto francamente che le difficoltà mi sembravano maggiori di quanto lui prevedesse e che soprattutto avevo l'impressione che le opposizioni invece di scemare stessero aumentando. Abbiamo discusso per qualche tempo la situazione di uomini, partiti e interessi nei riguardi dell'Unione doganale. Da parte mia, riassumendo le mie impressioni gli ho detto che, a mio avviso, una questione di primaria importanza era quella di evitare che la discussione sul patto dell'Unione doganale potesse avere una sua ripercussione sullo sviluppo dei rapporti italafrancesi, sviluppo che dovevamo ritenere soddisfacente e che era nell'interesse di tutti e due. Gli ho ripetuto che il rigetto del patto da parte del Parlamento francese avrebbe avuto in Italia delle ripercussioni imprevedibili ma certo gravi su tutto l'insieme dei rapporti italo-francesi poiché, anche se a torto, sarebbe stato interpretato come una disapprovazione da parte del paese, rappresentato in Parlamento, della politica seguita dai due Governi. Piuttosto che rischiare un voto contrario se non si era ragionevolmente sicuri del voto era meglio rinviare l'esame del patto a un momento più favorevole. Schuman mi ha detto che questo era anche il suo pensiero, e che non avrebbe in nessun caso cercato di prendere dei rischi irragionevo

li. Come sapevo, il Governo francese attuale era oggetto di attacchi da ogni parte. L'Unione doganale poteva, in certe condizioni, prestarsi a delle manovre antigovernative: in queste condizioni, come per altre cose, molto dipendeva dalla scelta del momento opportuno. Gli ho detto che il Governo italiano era sempre deciso a marciare nella via dell'Unione doganale, che data la situazione parlamentare italiana, in questo ben differente da quella francese, esso non temeva sorprese parlamentari. Però il Governo italiano non solo teneva in primo luogo ai rapporti politici generali con il Governo francese ma era, per evidenti ragioni, desideroso di non creare delle difficoltà al Governo francese, sia all'attuale, sia a quello che eventualmente dovesse sostituirlo (avendo lui stesso parlato della possibilità di una crisi, questo mio accenno non era una gaffe). A mio avviso quindi, il Governo italiano non considerava l 'accordo firmato a Parigi come una cambiale di cui avessimo il diritto di esigere il pagamento.

Ho creduto fare questa dichiarazione in realtà a mio nome personale, poiché senza dirmelo chiaramente Schuman me la stava chiedendo. È stato invero molto soddisfatto e mi ha chiesto: «Insomma, lei crede che se di fronte a difficoltà parlamentari io mi trovassi nella necessità di dover rinviare il dibattito il Governo italiano e il conte Sforza personalmente non riterrebbero questo un atto di malafede da parte mia?». Certamente no, gli ho risposto.

Questo quanto mi ha detto Schuman. A completare il quadro aggiungo che ho avuto riservatamente visione del processo verbale della seduta Schuman al Consiglio economico. Schuman ha effettivamente ribattuto molti degli argomenti dell'opposizione: il suo argomento principale è però stato che il testo dell'accordo diceva chiaramente che il Governo non aveva nessun potere di prendere delle decisioni di qualche importanza senza l'approvazione preliminare del Parlamento c del Consiglio economico: il che è stato interpretato da molti dci presenti come una specie di dichiarazione da parte del Governo che, entro certe determinate condizioni, era disposto a non andare molto più in là della firma de li'accordo.

Quanto ai sondaggi che ho potuto fare in questi giorni presso i principali gruppi parlamentari, essi non fanno che confermare la mia prima impressione molto pessimista sulle possibilità che l 'accordo così come è adesso passi al Parlamento, oserei dire specialmente nei partiti della maggioranza governativa. Mi riservo di dare a VE. fra qualche giorno un esposto più dettagliato della situazione parlamcntare2 . Per quanto mi riguarda, visto che l 'accusa principale che viene fatta al patto di Unione doganale è quella di essere fatto esclusivamente a vantaggio dell'Italia, mi astengo dal fare qualsiasi cosa che possa essere scambiata per «pressione». L'ho anche detto a Schuman, osscrvandogli che adottavo questa linea ritenendo che era quanto di più utile potessi fare per non intralciare o rendere più difficile l'opera del Governo, ma che ero completamente a sua disposizione qualora egli ritenesse utile un mio atteggiamento differente. Schuman mi ha detto che al contrario condivideva il mio punto di vista c che, come del resto fin qui avevamo sempre fatto, si riservava di dirmi lui stesso se quando ed in quale direzione un mio intervento diretto o indiretto avrebbe potuto essere utile.

973 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

974

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1329/493. Atene, 25 maggio 1949 (perv. i/27).

Come riferito con telegramma n. lOl del 21 corrente1 , le notizie provenienti dalle varie capitali sui contatti avutisi a Lake Success fra delegati anglo-russo-americani in merito alla questione greca, il successivo comunicato della «Tass» e le dichiarazioni del Foreign Office e del Dipartimento di Stato, infine le voci circa la possibilità che la questione greca venisse inserita nel!' ordine del giorno della Conferenza di Parigi, hanno provocato in questi circoli politici e governativi e sulla stampa una reazione che si può definire nettamente sfavorevole. Sembra che lo stesso Governo,

974 1 Non pubblicato.

preoccupato del tono apertamente ostile dei commenti della stampa, abbia invitato recentemente i direttori dei giornali a cessare tale campagna.

Ciò non sorprende quando si tenga presente quanto segnalato con telespresso n. 1157/442 del 9 corrente2 circa l'atteggiamento rigidamente intransigente tenuto fino ad oggi da quei circoli nei confronti della ribellione e dei modi per debellarla. È ovvio infatti che si facciano le più ampie riserve c si palesi apertamente il proprio scontento non appena i Grandi sembrano inclini a prendere in esame la questione greca, poiché non vi è dubbio che il risultato più probabile di tale esame della Conferenza di Parigi ovc -non si è esitato di affermarlo apertamente --essa sarebbe divenuta uno dei tanti oggetti di marchandage fra i Grandi nei loro vani tentativi di arrivare ad un'intesa. L'esperienza ci ha insegnato purtroppo, scrivono in sostanza i commentatori, che nulla di buono vi è da attendersi da simili discussioni le quali portano fatalmente a risultati che tengono conto solo delle esigenze dci Grandi, esigenze che troppo spesso si rivelano inconciliabili con quelle dei paesi più direttamente interessati. La questione greca non ammette che un 'unica soluzione: la resa senza condizioni dci ribelli e la cessazione degli aiuti dei satelliti. Ciò è tanto più vero dal giorno in cui è apparso chiaro che i ribelli intendono staccare dalla Grecia una parte del territorio nazionale. Ogni discussione, ogni esame della questione che non sia volta a raggiungere tale obbiettivo è quindi più che vana, è dannosa.

Questa tesi hanno sostenuto, con sfumature varie e varia intonazione, anche i membri del Governo c le personalità politiche che i giornalisti si sono affrettati ad intervistare desiderosi di trovare nelle loro dichiarazioni appoggio e conforto alle opinioni da essi espresse.

Con notevole sollievo sono stati accolti quindi i comunicati del Foreign Office e del Dipartimento di Stato in risposta a quello della «Tass» i cui punti principali erano, com'è noto, i seguenti: cessazione delle ostilità, amnistia generale, ritorno alla legalità del partito comunista, elezioni controllate dai Grandi, ritiro delle truppe anglo-americane. Tale sollievo si è accresciuto ulteriormente quando da Parigi è giunta la notizia che !'«agenda» della Conferenza non prevede alcuna discussione ufficiale sulla questione greca. È opportuno anzi segnalare che subito dopo la pubblicazione della notizia suddetta si è potuto rilevare negli articoli c nei commenti della stampa un'intonazione generale meno decisamente intransigente. Lo stesso ministro dell'ordine pubblico, Rendis, pur ribadendo recentemente l'esclusione di ogni compromesso con i ribelli, ha aggiunto che ove la guerriglia cessasse il Governo «potrebbe usare larga clemenza». Timidi accenni ai quali l'esperienza del recente passato ammonisce di non dare troppo valore, ma che tuttavia non vanno trascurati.

Atmosfera d'attesa: così potrebbe essere definita, in conclusione, quella odierna. Se le ripetute assicurazioni degli anglo-americani di non voler negoziare alle spalle dei greci, nonché l'esclusione del problema ellenico dall'ordine del giorno della Conferenza di Parigi hanno certamente valso a distendere gli animi assai eccitati di questi circoli politici, non è meno vero che le preoccupazioni e i timori circa gli effettivi intendimenti dei Grandi nei confronti della questione greca sono tutt'altro

che scomparsi specie nelle alte sfere governative, pienamente consapevoli, come è confermato dai timori espressimi da Tsaldaris e riferiti con telespresso urgente n. 052 del 6 corrente1 e telegramma n. 101 del 21 c.m., dell'approssimarsi del giorno in cui la politica da esse tenacemente segnata verrà sottoposta ad un giudizio definitivo.

973 2 Vedi D. l 057.

974 2 Con il quale Prina Ricotti aveva segnalato le preoccupazioni del Governo c della stampa greci circa le voci di negoziati fra i Grandi sulla questione greca.

975

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 5610/103. Gerusalemme, 26 maggio 1949, part. ore 0,30 del 27 (perv. ore 13,45).

Riferimento mio telegramma n. 99 1•

Da questo ministro degli affari esteri sono stato pregato di fargli visita lunedì mattina desiderando egli parlarmi circa la forma da noi richiesta per lo scambio delle rappresentanze diplomatiche. Dato il riconoscimento recente de jure da parte della Francia e la nomina dei ministri plenipotenziari rispettivi, prevedo l'esortazione ad evitare l'esempio dell'Inghilterra e seguire invece la Francia quale migliore soluzione della forma di accreditamento pieno.

Sarei grato, per mia norma di linguaggio, per qualche notizia circa le nostre intenzioni ed istruzioni eventuali2 .

976

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER POSTA AEREA 5699/222. Londra, 26 maggio 1949, ore 19 (perv. ore 14 del 30).

Ebbi iersera all'ambasciata belga lunga conversazione su questione colonie con Spaak ed Eden. Spaak mi espresse suo disappunto per mancata decisione su formula che riteneva la migliore possibile e per il momento insostituibile. Aveva sempre pensato che nessuna soluzione poteva essere trovata senza previa diretta intesa anglo-italiana e riteneva che accordo non fosse stato approvato perché più che altro era mancato tempo organizzarne presentazione. Si domandava ora se Consiglio Europa, che doveva proporsi soluzione problemi positivi, non avrebbe potuto discutere utilmente anche questo.

2 Per la risposta vedi D. 981.

Eden osservò allora che ciò era appunto quanto proposto al presidente De Gasperi nella sua ultima conversazione 1• Per conto suo era persuaso che attribuzione trusteeship ai paesi dell'Europa occidentale collettivamente, i quali a loro volta avrebbero potuto rendere responsabili Inghilterra, Francia e Italia nella temporanea amministrazione della Libia, avrebbe impedito reazioni arabe. Ma Bevin, cui aveva esposto sue idee, gli aveva subito obiettato complicazioni pratiche di simili trapassi di responsabilità. Anche Eden non vedeva per ora con chiarezza direttive da prendere ma me ne avrebbe comunque riparlato al più presto.

Oggi inoltre mi sono lungamente intrattenuto in argomento con Healy del partito laburista. Egli ritiene personalmente che non approvazione nota formula sia stata a tragedy dato che essa evidentemente sembrava unica base possibile compromesso. Ammetteva d'altra parte esistenza nello stesso partito laburista di forte opposizione a Bevin su questo punto e riteneva che se la questione dovesse essere in questo momento riproposta negli stessi termini in Parlamento e ali' opinione pubblica britannica le opposizioni sia da parte laburisti che da parte conservatori sarebbero acute.

Anche egli ritiene quindi che Governo non potrebbe per ora definire proprio atteggiamento.

975 1 Vedi D. 967, nota 4.

977

IL CAPO DELL'UFFICIO DI CANTON DELL'AMBASCIATA IN CINA, CIPPI CO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 13/151. Canton, 26 maggio 19491•

Con telespresso 5/81 dell'8 corrente2 riferivo sulla decisione di questo Governo di istruire il suo delegato all'O.N.U. a votare in favore della risoluzione latino-americana. Com'è noto nella successiva votazione avutasi all'O.N.U. ill8 corrente sul progetto Sforza-Bevin, la Cina significava la sua astensione.

Ho avuto occasione di incontrarmi negli scorsi giorni con questo vice-ministro degli esteri e di intrattenerlo sulla cosa. Egli mi ha detto che aveva ricevuto una comunicazione dal delegato cinese ambasciatore Wellington Koo nella quale questi spiegava che aveva creduto di astenersi dal votare sul progetto Sforza-Bevin in quanto esso rappresentava una modifica rispetto alla precedente posizione del Governo italiano, alla quale il Governo cinese aveva aderito e sulla quale le istruzioni che egli aveva erano basate. Il delegato d'altra parte non aveva avuto il tempo per chiedere nuove istruzioni, e aveva infine creduto di aderire alla proposta polacca di rinvio alla sessione di settembre, ritenendola conforme allo spirito delle istruzioni che già aveva.

2 Vedi D. 896.

Mi è stato facile far notare, che il delegato cinese dispone di una certa latitudine nella esecuzione delle sue istruzioni, e che ciò appunto gli consente di adattare la sua azione alla fluidità che necessariamente caratterizza i lavori deli' Assemblea. Ho aggiunto, né ciò mi è stato contestato, che essendo stato il delegato già autorizzato a votare in favore della risoluzione latino-americana, egli avrebbe pur potuto giudicare di aderire alla tesi successivamente appoggiata dagli stessi paesi latino-americani c da noi voluta: praticamente, in tal caso la votazione del progetto Sforza-Bevin avrebbe portato a conseguenze ben diverse. Non ho creduto di dire più di questo. Va intàtti ricordato che questo Governo aderiva in origine alla nostra tesi sopratutto in quanto la considerava collimare (Eritrea) con la propria nota posizione tendenzialmente contraria al colonialismo. Mi riservo ogni modo di tornare ad avvalermi, a titolo personale, della argomentazione predetta in eventuali occasioni future, per far comprendere a questo Governo che lo considero avere una certa misura di obbligo verso di noi, ciò riusccndomi facile vista la latitudine con la quale il delegato cinese ha già altra volta dato prova d'aver la facoltà di usare le sue istruzioni. Ove codesto Ministero credesse, potrei ali' occorrenza lasciare intendere questa essere anche l'impressione riportata sulla cosa a Roma.

Praticamente, devo ritenere che questo Governo si era più che altro adattato a vedersi fìgurarc nel gruppo dci paesi latino-americani per la necessità di riparare, nei nostri riguardi, alla deviazione del proprio delegato rispetto alle istruzioni avute e sulle quali eravamo al corrente (mio telespresso citato). Ritengo perciò che la posizione assunta da Wellington Koo coll'astenersi dal votare sul progetto Sforza-Bevin abbia incontrato l'approvazione di questo Governo, il quale si è visto così ricondurre dal suo ambasciatore sulla propria posizione ortodossa di minor distacco rispetto alla «famiglia» degli altri paesi asiatici e dei paesi arabi.

Forse per veder di attenuare l'impressione d'una certa speciosità che poteva produrre l'argomentazione del delegato cinese come mi era stata riferita, questo Ministero esteri ha creduto ora di preparare un breve appunto3 sull'atteggiamento cinese in materia di colonie durante i lavori testè chiusi si dell'Assemblea. L'appunto mi è stato rimesso a titolo personale c come «guida» da questo direttore trattati. Anche se esso nulla modifica, lo trasmetto in allegato perché espositivo della linea assunta da questo Governo nel difendere l 'atteggiamento seguito.

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI DELLA REPUBBLICA DI CINA

AI'PLNTO CONFIDEJ\ZIAU «0"' FORMER ITALIA[', COLONIES»

l) Aprii Sth. A t the istancc of the Counscllor of the !tali an Embassy, Canton, the Chinese Delegation was instructed to support following proposals:

977! Vedi Allegato.

A. Somaliland under Ttalian trusteeship;

B. Other territories, except a stripe to the sea for Ethiopia, undcr trusteeship rather than outright annexation;

C. lfnecessary, postponement till next session.

2) Aprii 20th. In the light of the speech delivered by the Chinese Chief Delegate to the UN Assembly, he was further instructed to carry the following:

A. Support for the proposal that Somaliland be placed under ltalian trusteeship;

B. Opposition to any arrangement akin to outright annexation.

3) May 6-11 th. Cab l es from the Chinese Delegation reported that most of the UN Membcrs and Italy were inclincd to give generai support to the joint proposals made by the eighteen Latin-American countries and suggested that the Chinese Delegation should be authorized to do the same. After consultation with the Counsellor of the Italian Embassy, Canton, authorization on that effect was given. Owing to the above arrangcments, the Chinese Delcgation abstaincd whcn the Ttalo-British proposal was put to votc.

4) May 18th. The Chincse Delegation votcd for postponement as proposed by the Polish Reprcscntat;ve.

976 1 Non sono stati rinvenuti documenti su questa conversazione.

977 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

978

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, ZAMBONI 1 , AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1130/385. Mosca, 26 maggio 19492 .

La mancata approvazione da parte dell'Assemblea del progetto, cosidetto Bevin-Sforza, di soluzione del problema delle colonie italiane, ha qui suscitato notevole soddisfazione e quasi tutti i giornali del giorno 20 corr. registrano le dichiarazioni di Malik, secondo le quali «la discussione e il fallimento della risoluzione angloamericana rimarranno nella storia dell'O.N.U., come un evento memorabile».

Non si era mancato in questa stampa, nei giorni passati, di mettere in evidenza la bontà della proposta sovietica di amministrazione collettiva, proposta recentemente migliorata, per «esaudire insistenti richieste delle popolazioni interessate c degli Stati limitrofi di ciascuna colonia» nel senso di una maggiore partecipazione, nel Consiglio consultivo per ciascuna colonia, di rappresentanti indigeni locali c degli Stati limitrofi, nonché nel senso di un'abbreviazione del termine per il raggiungimento dell'indipendenza da parte di ciascun territorio.

La proposta sovietica, si è a lungo qui insistito, ha riscosso l'approvazione delle delegazioni di molti paesi, specialmente di quelli che ben conoscono, per recenti esperienze, il triste significato delle dominazioni coloniali. Tuttavia, sempre secondo la tesi ufficiale sovietica, tale proposta, che mirava indubbiamente a tutelare gli interessi delle popolazioni, quelli dell'O.N.U. e della pace, non ha potuto prevalere a causa delle solite pressioni del blocco anglo-americano.

2 Copia priva del! 'indicazione della data di arrivo.

A questo atteggiamento sovietico, onesto ed obbiettivo, si sono infatti opposte, secondo la versione ufficiale locale, le macchinazioni anglo-americane dirette a salvaguardare, soltanto ed innanzi tutto gli interessi strategici delle potenze anglo-sassoni, le quali prescindevano completamente dall'interesse delle popolazioni, dell'O.N.U. e della pace. Alla teoria sovietica della necessità di applicare, a tutte le colonie italiane, una soluzione unica e armonica, ha fatto riscontro la tendenza avversaria a spezzettare e dividere tra gli interessati, e secondo le buone tradizioni coloniali-imperialiste, i territori in questione, attribuendone le varie parti a questa o quella potenza imperialista, a secondo dei piani strategici precedentemente formulati alle spalle dell'O.N.U., alla quale si voleva poi imporre una soluzione d'imperio.

Quanto all'Italia, le si è voluto qui attribuire una parte ben meschina: essa infatti, tenuta in un primo momento all'oscuro delle complicate manovre anglo-americane, si è dovuta limitare a riaffermare agli anglo-sassoni le sue buone intenzioni di mettere a loro disposizione «tutte le basi e tutte le facilitazioni possibili» nel caso che le venisse attribuita l'amministrazione fiduciaria di almeno qualcuna delle sue colonie.

Questo all'epoca in cui l'Italia non faceva ancora parte del Patto atlantico, e la questione coloniale poteva ottimamente servire, secondo i sovietici, quale «esca» per indurre il nostro paese ad entrare a far parte della predetta coalizione politico-militare. Una volta avvenuto ciò, qui si è detto, non vi era più alcuna ragione per rifiutare qualche soddisfazione agli italiani dato che questi, «avendo ormai il laccio al collo» non potevano più destare preoccupazioni circa la loro sincerità e circa la loro disposizione a mantenere le promesse, dato che le ferree clausole del trattato imponevano ormai loro di mettere a disposizione dei firmatari del Patto qualsiasi base, metropolitana o coloniale: da qui l'improvviso accordo Bevin-Sforza e la concessione della Tripolitania all'Italia.

Il rinvio della soluzione della questione delle colonie italiane non è stato apparentemente bene accolto dai sovietici: ma la loro soddisfazione per il rigetto dell 'ultima proposta anglo-americana è stata tale da lasciare in ombra quel disappunto.

«È questo uno dei risultati positivi della terza sessione dell'Assemblea dell'O.N.U. -proclamano questi giornali-ed è una dimostrazione che l'O.N.U. può ancora qualche cosa contro le macchinazioni imperialiste anglo-sassoni».

978 1 Brosio aveva lasciato Mosca per congedo il 20 maggio e vi rientrò il 23 luglio.

979

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 4406/1936. Washington, 26 maggio 1949 (perv. il 31).

Mi sono recato oggi a trovare Rusk, il quale, in assenza del segretario di Stato e data la poca esperienza di affari internazionali del sottosegretario reggente Webb, dirige in effetti gli affari politici del Dipartimento. Inoltre, come ho già segnalato, nel quadro della riorganizzazione attualmente in corso dei servizi del Dipartimento di Stato, Rusk assumerà l'importante carica di sottosegretario aggiunto for substantive matters, diventando in sostanza il sostituto di Acheson per le questioni politiche.

Più che altro ho voluto dare alla visita il carattere di una generale ripresa di contatti dopo la mia assenza da Washington ma, come era del resto naturale, la nostra conversazione si è svolta molto sulla questione coloniale tanto più che Rusk, negli ultimi tempi, si era attivamente occupato di tale questione.

Il colloquio con Rusk mi ha confermato una impressione che avevamo del resto già riportata da altri contatti col Dipartimento di Stato, e che cioè questi uffici si sono concessi un riposo dalle fatiche «coloniali» e non hanno ancora proceduto ad un riesame della situazione. Rusk mi ha addirittura detto che sarà solo nel corso del prossimo mese che gli americani saranno in grado di esprimere una opinione un po' meditata sui nuovi aspetti del problema. Mi ha però esortato a mantenermi in contatto con lui, sottolineando quanto egli e i suoi collaboratori tengano a conoscere il nostro punto di vista, a ricevere le informazioni che noi potremo fornir loro, nonché a procedere, per quanto sia possibile, d'accordo con noi nell'elaborazione di una pratica soluzione.

Rifacendo un po' la storia degli avvenimenti di New York, Rusk mi ha detto che il Dipartimento era stato colto di sorpresa dall'accordo di Londra. Il piano era stato però accettato da Washington, specie con gli emendamenti suggeriti o approvati dagli Stati Uniti, e, nel vivissimo desiderio di giungere ad una soluzione che ponesse termine a questa spinosa questione, il Governo americano avrebbe visto con piacere la sua adozione da parte dell'Assemblea generale.

Il Dipartimento non era, per il momento, al corrente delle reazioni e dei propositi del Governo inglese nei confronti della situazione verificatasi con il voto sfavorevole dell'Assemblea. Da parte sua il Governo americano non è in grado, allo stato attuale, di fare previsioni circa gli umori della prossima Assemblea e di valutare quindi la relativa situazione. È impossibile pertanto dire sin d'adesso se a settembre si potrà nuovamente partire dalle posizioni raggiunte al momento della votazione. Rusk ha tenuto a minimizzare le possibilità americane di influenzare il voto degli altri membri delle Nazioni Unite, curando in tal modo di evitare un affrettato impegno statunitense ad una azione di persuasione degli astenuti o dei contrari che possa assicurare i voluti risultati.

Egli ha poi domandato il mio pensiero circa una eventuale dichiarazione di indipendenza per tutta la Libia, confermando in certo modo, sia pure indirettamente, l'impressione da noi riportata a Lake Success, e da me ripetutamente segnalata a

V.E. da New York, e cioè che gli inglesi hanno, anche durante il corso delle discussioni dell'O.N.U., mantenuto un piano di riserva che prevede l'indipendenza della Tripolitania e della Cirenaica (con previ accordi col senusso). Gli ho risposto che, come doveva risultare anche al Dipartimento di Stato, la Libia non era ancora preparata per l'indipendenza. Se la potenza occupante decideva però di assumersi la responsabilità di un fatto compiuto del genere, sarebbe stato difficile per noi oppor

ci. Intendevo però mettere bene in chiaro fin da ora che, ove una ipotesi siffatta dovesse realizzarsi, sarebbe stato necessario -e contavamo per ciò sui buoni uffici del Governo americano -provvedere alla salvaguardia degli interessi degli italiani sia residenti in Africa sia profughi in patria.

Rusk ha poi accennato alle recenti manifestazioni anti-italiane in Tripoli, tema frequentemente sollevato sia a New York sia qui da parte inglese e americana. Gli ho detto francamente che ritenevo che le manifestazioni fossero più artificiali che naturali e ho osser

vato che egli doveva certamente rendersi conto del fatto che troppi elementi a T ripoli avevano interesse a dimostrare che vi era animosità delle popolazioni locali contro gli italiani.

Abbiamo quindi esaminato insieme il quadro delle votazioni d eli'Assemblea generale per la Tripolitania e per la Somalia. Gli ho fatto osservare che con un po' più di cura (e non vi era stato certo difetto da parte nostra) si sarebbe potuto evitare che il progetto per la Tripolitania venisse respinto per un solo voto e che, sempre con opportuna opera di persuasione, si sarebbe potuto assicurare il passaggio della soluzione per la Somalia il cui voto era stato più che altro influenzato dall'atmosfera creatasi in seno ali'Assemblea dopo il voto contrario per la Tripolitania. Rusk mi ha ripetuto le difficoltà di influenzare i voti contrari. Gli ho detto che mi rifiutavo di credere che gli Stati Uniti non potessero esercitare una influenza su almeno qualcuno dei contrari, ad esempio Haiti; comunque non doveva certo essere impossibile ottenere che alcuni degli astenuti votassero a favore. Gli ho citato l 'Etiopia per la Tripolitania, l'Afghanistan e l'Iran per la Somalia, la Liberia e il Siam per ambedue i progetti.

Rusk mi ha detto che, a sua impressione, un piano di soluzione sulle linee dell'accordo di Londra, con qualche emendamento atto a sopire le apprensioni anti-colonialistiche dell'O.N.U., potrebbe ancora essere preso in considerazione dalla Assemblea a settembre scmprcché avvenimenti di maggiore portata, c che non è possibile prevedere, non mutino tutta la situazione. Egli ha cercato quindi di chiarire questa ultima frase piuttosto sibillina con l'affennare che a settembre l'agenda dell'O.N.U. sarà così ingombra di questioni importanti che il problema coloniale sarà destinato a passare in secondo piano.

Gli ho fatto osservare che gli emendamenti cui egli aveva accennato non avrebbero potuto essere sostanziali in quanto il Governo italiano con l'accordo di Londra aveva veramente dato la massima prova di conciliazione. Ritenevo pertanto che da parte nostra non fosse possibile fare ulteriori concessioni; naturalmente eravamo pronti ad esaminare qualsiasi ragionevole suggerimento.

Gli ho anzi detto che, dopo esserci rispettivamente consultati con Londra, sarebbe stato bene che l'Italia e gli Stati Uniti si mettessero d'accordo circa un piano comune, giacché soltanto gli sforzi congiunti dei nostri tre Governi, appoggiati da quello francese e dai latino-americani, potrebbero offrire una speranza di ottenere la necessaria maggioranza deil'Assemblea. Rusk mi ha ripetuto la preghiera di tenermi in contatto con lui, assicurandomi che avrebbe immediatamente interessato gli uffici perché riprendessero a studiare il problema alla luce degli avvenimenti di Lake Success.

In questo primo contatto con Rusk ho creduto opportuno !imitarmi all'esame della situazione delineatasi in seguito ai lavori dell'O.N.U. Come ho già scritto a

V.E. 1 , io penso che sia necessario studiare sin da adesso qualche altra soluzione che ci permetta di uscire dal punto morto dell'eventuale, e sempre possibile, ripetersi della situazione del 18 maggio. Condivido però l'opinione di V.E. 2 che, almeno in questo primo periodo, si possa continuare ad agire nello spirito dell'accordo di Londra ricercando con l'Inghilterra e con gli altri paesi la via migliore per assicurare il passaggio della soluzione colà concordata.

2 Vedi D. 949.

Pertanto ho preferito in un primo tempo trattare con Rusk solo dell'accordo di Londra, mettendo però sin da ora il Dipartimento di fronte alla responsabilità della sua parte di azione per assicurarne eventualmente il passaggio in Assemblea.

979 1 Vedi D. 959.

980

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 699/238. Assunzione, 26 maggio 1949 (perv. il 17 giugno).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 20/08847/3 del 7 corrente'.

In riscontro al telespresso ministeriale in riferimento ho l'onore di riferire che la situazione interna del Paraguay, dopo tre mesi di governo dell'attuale presidente Molas Lopez, è venuta se non a normalizzarsi del tutto, certamente a portare dovunque ordine e disciplina. Si può dire che dopo le complesse vicissitudini che hanno sconvolto questo paese da sì lungo tempo, si sia giunti finalmente ad un periodo di tranquillità materiale e morale che non potrà non portare i suoi buoni frutti.

Per quanto ci riguarda particolarmente, abbiamo già avuto più di una prova, non solo dei sentimenti di amicizia che legano questo Governo a noi, ma ancora dell'intenzione di volerli maggiormente sviluppare: basti citare il comportamento del Paraguay verso di noi nella questione delle colonie, l'imminente designazione di un ministro plenipotenziario presso il nostro Governo (mio telespresso n. 00670/230 del 19 corrente e n .... in data d'ieri)2 ed infine il vivo desiderio espressomi da questo Ministero degli affari esteri di addivenire con noi alla firma di un protocollo di amicizia analogo a quelli recentemente conclusi tra noi e l'Argentina e tra noi e il Cile (mio telegramma n. 22l

Mi permetto quindi, in vista delle considerazioni su esposte, di esprimere in via subordinata il parere che si possa addivenire senz'altro alla firma di detto accordo non appena il Paraguay avrà nominato il suo ministro a Roma4 .

981

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI

T. SEGRETO 4482/73 Roma, 27 maggio 1949, ore 22.

2 Non rinvenuti.

3 Vedi D. 888, nota l.

4 Per il seguito della questione vedi D. 1087.

Panni in linea generale sia innanzi tutto doveroso evitare sottostare a ricatti. Pertanto, sino a quando non interverrà riconoscimento de jure, che speriamo possa presto aver luogo, non vediamo ragione discriminazione fra rappresentanze paesi che si trovano nella stessa situazione. Tanto più poi quando eventuale discriminazione dovrebbe essere a danno paese (Italia) che ha dimostrato coi fatti sua amicizia ad Israele e a vantaggio altro paese che non può certo vantare analogo atteggiamento2 .

980 1 Vedi D. 888.

981 1 Vedi D. 975.

982

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5625/42. Madrid, 27 maggio 1949, ore 17,05 (perv. ore 19,45).

Questo Ministero degli affari esteri mi comunica che è stato concluso a Roma l'accordo aereo italo-spagnolo che dovrebbe essere perfezionato 31 corrente1•

Allo scopo di mettere ambasciatore Sangroniz in grado procedere firma in tale data Ministero degli affari esteri lo ha fornito pieni poteri telegraficamente riservandosi spedirgli quelli regolari appena firmati dal Capo dello Stato.

983

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER POSTA AEREA 5700/226. Londra, 27 maggio 1949, ore 18 (perv. ore 14 del 30).

Ho intrattenuto stamane Jebb anche su problema delle colonie quale si presenta dopo il mancato voto di Lake Success facendogli presente opportunità che non si perdessero mesi preziosi per una preparazione sulle posizioni da prendere concordemente alla prossima Assemblea. Egli mi parve esitante circa probabilità di mutare situazione a vantaggio dell'accordo Bevin-Sforza prima di tale epoca. A suo parere i massimi sforzi erano stati fatti da tutte le parti per raggiungere i voti necessari. Haiti aveva mancato alla promessa fatta di votare in nostro favore. Data l'impostazione dei blocchi pro e contro non vedeva facilità mutare in modo sensibile le posizioni raggiunte. Gli chiesi allora quali erano le sue previsioni dato le sue dichiarazioni piuttosto pessimiste. Mi rispose che per quanto poteva giudicare si sarebbe giunti probabilmente a un nuovo rinvio e che in seguito a tale rinvio, se nulla poteva essere concluso entro l'anno, ciascuno avrebbe fatalmente

ripreso la propria libertà d'azione. Per parte nostra gli esposi linea perfettamente leale cui rimanevamo fedeli fino volontà contraria dell'altra parte. Gli dissi anche, a titolo affatto personale, mio pensiero che prima della separazione dei tre ministri attualmente a Parigi (Acheson, Bevin, Schuman) vi potesse essere tra loro una confidenziale discussione su questa grave questione che avrebbe poi potuto essere ripresa a Strasburgo tra i tre ministri Sforza Bevin Schuman. Mi parve trovasse giusto il mio punto di vista.

981 2 Per la risposta vedi D. l 009.

982 1 Testo in MINISTERO DEGLI AFFAR! ESTERI, Trattati e convenzioni fra l 'Italia e gli altri Stati, vol. LXVIII, cit., pp. 639-659.

984

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNT01 . Roma, 27 maggio 1949.

Ricevuto Mallet che ha chiesto mio avviso su nostra comune situazione dopo rigetto compromesso Londra.

Gli ho detto esso era formulato mia frase nel discorso di avant'ieri Camera («l'essenza e lo spirito di quello che si concluse dovrà ancora valere. Se altre ipotesi sorgeranno, se altre proposte si formuleranno, noi le esamineremo»)2 .

Ha convenuto che ciò poteva costituire un comune pensiero dei due Governi e che telegraferebbe a Londra. Siam rimasti intesi fin d'ora:

l) che bisogna aspettare qualche tempo (ma poco) prima di ricominciare scambi di idee;

2) che appena cominciati essi dovranno rimanere segretissimi;

3) (ma detto da me solo) che sarebbe utilissima l'urgenza di un provvedimento: mandare a Tripoli a titolo ultra-ufficioso un nostro serio agente (non elevato in grado per non far urlare che si manda un alto commissario) che rimanga in cordiale contatto le autorità locali e gli arabi. Magari resterebbe un mese poi partirebbe e tornerebbe, senza pubblicità.

Cosa piaciuta a Mallet che telegraferà.

985

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 568/2045. Parigi, 27 maggio 1949, (perv. il 3 giugno).

Ho trovato Couve de Murville molto meno pessimista sulla situazione delle nostre colonie di quanto non lo si fosse generalmente al Quai d'Orsay.

2 Vedi D. 952, nota 6.

A mia richiesta mi ha detto che, dopo l'accordo Bevin-Sforza1 , la delegazione inglese aveva onestamente giuocato il giuoco ed aveva collaborato con piena lealtà con i francesi (Couve è molto anglofilo quindi le sue affermazioni vanno prese con riserva).

Era molto seccato dal giuoco fatto da Haiti: riteneva però che il caso Haiti fosse curabile: ha lamentato la sciocchezza dell'abissino il quale non aveva capito niente della situazione e si era giuocata l'Eritrea, almeno per il momento: mi ha detto di sapere che ad Addis Abeba si era stati molto malcontenti della sua azione e che delle cattive sorprese potevano attenderlo al suo ritorno.

Non dava importanza alla votazione per la Somalia, che era stata influenzata da quella per la Tripolitania: se la Tripolitania fosse passata sarebbe passata anche la Somalia.

Sempre secondo lui, se il nostro progetto non era passato, gli inglesi si erano convinti con i fatti che la loro proposta originale, concernente la sola Cirenaica, non poteva passare: e considerava questo come un netto vantaggio.

A suo avviso l'accordo Sforza-Bevin era stato raggiunto troppo tardi, non per colpa nostra: era mancato il tempo per una sufficiente preparazione sul piano Governi e si era provocata una naturale reazione in certi ambienti per il fatto che una questione deferita all'O.N.U. era risolta dietro le scene e si domandava poi brutalmente all'Assemblea di ratificare l'avvenuto.

Sostanzialmente ritiene che l'accordo Bevin-Sforza potrebbe essere ripreso, almeno come base di discussione, se gli inglesi sono d'accordo. Occorrerebbe certamente, pro forma, apporvi qualche modificazione: potrebbe forse bastare un cappuccio panlibico che potesse essere considerato come una soddisfazione per il mito arabo dell'unità della Libia.

Gli ho chiesto se, nel caso questo si dimostrasse non sufficiente, non riteneva fosse possibile riprendere il vecchio progetto da V.E. avanzato per l'Eritrea, affidando tutte le nostre ex colonie all'Unione Europea la quale poi ai fini pratici dell'amministrazione avrebbe potuto fame una ripartizione corrispondente agli accordi di Londra. Mi ha detto che a suo avviso questa soluzione non aveva molte chances: dovevamo tener conto dell'ambiente ferocemente anticolonialista che esisteva nell'O.N.U. e forse anche di più nell'opinione pubblica americana. Ora l'Unione Europea aveva il difetto di raggruppare tutte le potenze coloniali d'Europa: avrebbe accumulato tutti i risentimenti.

Sempre a titolo personale esplorativo, gli ho chiesto se non si sarebbe potuto affidare il mandato collettivo al Consiglio del Patto atlantico, dove c'erano anche l'America ed il Canada, il Consiglio a sua volta avrebbe fatto la stessa distribuzione interna. Mi ha risposto che non ci aveva pensato, ma che l'idea poteva essere buona. Comunque, ha insistito che bisognava intanto cominciare coll'insistere sul mantenimento dell'accordo di Londra: ogni altra soluzione avrebbe dovuto essere presa in esame solo dopo che questa si fosse mostrata impossibile: sul che ho concordato con lui.

Mi ha detto che bisognava lasciare passare un po' di tempo: la conferenza a quattro che attirava l'attenzione di tutti i Governi era un ottimo pretesto: appena finita questa si sarebbe potuto cominciare a parlare con Londra e con Washington.

Schuman, che ho visto poco dopo, mi ha detto all'incirca le stesse cose: era evidentemente sotto l'impressione di quanto gli aveva detto Couve: si è molto interessa

to delle possibili ripercussioni interne italiane della cosa e, su questo punto, ho ritenuto opportuno di non calcare le tinte.

Lo ho poi pregato di vedere presso Bevin se egli personalmente si riteneva ancora legato dall'accordo preso con VE., poiché su questo punto le impressioni della nostra ambasciata a Londra non mi sembravano ancora molto precise: e lo ho pregato anche di insistere presso di lui perché consideri l'accordo in vigore. Mi ha promesso di farlo.

Riferisco quanto precede per puro debito di ufficio perché non ho attualmente nessun elemento per giudicare se e fino a che punto l'ottimismo di Co uve possa essere considerato giustificato.

984 1 Autografo.

985 1 Vedi D. 875.

986

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTIN!, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1886. Rio de Janeiro, 27 maggio 1949 (perv. il 3 giugno).

Ho l'onore d'informarla che, in esecuzione delle istruzioni impartitemi col telegramma ministeriale in data 20 corrente 1 , mi sono subito recato dall'ambasciatore Cyro de Freitas Valle, che, come noto, occupa le funzioni di ministro interino degli affari esteri durante l'assenza di Fernandes.

Ho espresso ufficialmente al ministro, a nome del presidente del Consiglio e di VE., i sentimenti di gratitudine del popolo e del Governo italiano per l'atteggiamento tenuto dal Brasile alla Assemblea dell'O.N.U. in difesa dei diritti e degli interessi del nostro paese. Non ho mancato di aggiungere la espressione di uno speciale apprezzamento per l'opera personale svolta dal delegato del Brasile alla O.N.U., ambasciatore Mufiiz.

La stampa di questa capitale ha dato notizia del ringraziamento ufficiale dell'Italia al Brasile con un comunicato, di cui allego copia2 , che è stato compreso anche nella trasmissione del giornale radio.

987

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 4423/1953. Washington, 27 maggio 1949 (perv. il 31).

Le invio -qui accluso -un appunto circa una conversazione che si è avuta, la sera del 20 corrente, con il capo del Policy Planning Staff del Dipartimento di Stato, George Kennan.

2 Non pubblicato.

V.E. vi troverà, insieme con altre informazioni generali, conferma di quanto le ho riferito finora sulle origine e sulla portata dell'attuale riunione dei quattro ministri degli esteri 1 .

Kennan ha messo sopra tutto l'accento sul fatto che la Germania presto tornerà ad essere un soggetto -e non sarà più un oggetto -di politica internazionale e sulla necessità che siano i popoli europei a facilitare, senza pregiudizi e miopie, il rinserimento di una Germania democratica nella grande famiglia europea. Ed egli ha anche accennato alla possibilità che l'Italia assuma un ruolo speciale nel raggiungimento di questo obiettivo.

ALLEGATO

CONVERSAZIONE DELL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, CON IL DIRETTORE DEL POLICY PLANNING STAFF, KENNAN

APPUNTO. Washington, 20 maggio 1949.

Germania. Non è molto probabile che la Conferenza di Parigi arrivi a dei risultati positivi e, sotto alcuni aspetti, definitivi. Sarà piuttosto una battuta interlocutoria per chiarire elementi del passato e preparare le basi per il momento in cui si affronterà sul serio la questione della sorte della Germania in tutte le sue implicazioni.

Mentre in questo primo momento i protagonisti sono ancora quattro e il quinto, la Germania, è in un certo senso in sordina e dietro le quinte, nel secondo momento bisognerà adattarsi all'idea di trattare direttamente con quella Germania che nell'intervallo si sarà praticamente ricostruita dal punto di vista politico. Sotto questo aspetto ha ragione Lippmann, ma ha torto quando sostiene che una Germania unita sarà forzatamente schiava della Russia. Il passato indica effettivamente che vi sono state delle intese fra Russia e Germania, ma non sembra che la Germania da tali intese sia uscita sacrificata, anzi, il contrario. Basti ricordare il Trattato di Rapallo, che fu concluso da una Germania sconfitta e relegata dai vincitori al ruolo di quantité negligeable.

Non appena lo Stato della Germania occidentale si sarà regolarmente costituito, si assisterà con molta probabilità ad un capovolgimento della situazione politica tedesca. Mentre fino ad oggi i capi dei singoli partiti della Germania occidentale non hanno, di fronte ai tedeschi di tutta la Germania, un prestigio particolare, in quanto i tedeschi hanno sempre attribuito scarso valore ai partiti ed ai loro capi, quando uno di questi capo-partito sarà assurto alla dignità di primo ministro di un Governo autonomo tedesco, attraverso tutta la Germania correrà la parola d'ordine di obbedirlo e riverirlo come rappresentante del nuovo Reich. Questo sanno i capi dei partiti politici della Germania occidentale ed è per questo che essi hanno superato le primitive esitazioni nell'approvare la Costituzione di Bonn e la creazione di un nuovo Stato, esitazioni che loro provenivano dal timore di poter essere accusati dal resto dei tedeschi come dei sanzionatori della spartizione della Germania stessa.

Inoltre, il modo con cui sono stati eletti in seno ai partiti prima e nei Parlamenti singoli dopo, fa sì che questi uomini godano effettivamente di un largo prestigio anche nella Germa

nia orientale. Né è da scartarsi, naturalmente, l'elemento umano del loro desiderio di non lasciarsi sfuggire il potere dalle mani nel momento in cui stanno per acquistarlo.

Le votazioni dei giorni scorsi nella Germania orientale provano effettivamente come sia profondo e radicato il sentimento anti-russo anche in quella zona della Germania nella quale, per la presenza fisica delle truppe sovietiche, esprimere un parere costituisce un rischio. A proposito di tali elezioni, si è probabilmente nel vero nel ritenere che i voti contrari ai sovietici sono stati molto superiori a quelli effettivamente annunziati. I russi evidentemente non hanno potuto celare i dati di tale votazione perché il numero altissimo di votanti contrari avrebbe permesso alla voce pubblica di giungere ad un calcolo approssimativo di essi, circolando da gruppo familiare a gruppo familiare, da stabilimento a stabilimento.

Un tentativo di celare tale stato di fatto, avrebbe finito per distruggere completamente ogni capacità dei tedeschi di credere in qualsiasi cosa i russi nel futuro avessero voluto annunziare. Del resto, si hanno dei sintomi abbastanza chiari che fanno ritenere che anche molti iscritti al partito socialista unitario, se pure non hanno osato palesare i loro veri sentimenti, al momento opportuno faranno atto di fedeltà al nuovo governo tedesco che sorgerà dalla Costituzione di Bonn.

Anche nei riguardi di tale Costituzione, Lippmann esagera quando deplora che gli Alleati hanno permesso che tale Costituzione fosse formulata in modo [da] dare al futuro governo possibilità di trattare a nome di tutta la Germania. È evidente che, nei limiti delle facoltà concesse al nuovo governo, gli Alleati mirassero appunto a dare a chi deterrà il potere del nuovo Stato tedesco la capacità di parlare e trattare a nome del popolo tedesco e questo anche in considerazione dell'eventuale stipulazione del trattato di pace.

I colloqui di Bevin coi socialisti tedeschi non possono preoccupare. È evidente che la Germania nel futuro rappresenterà una terza forza nella vita europea e di questa terza forza senza dubbio i socialisti tedeschi sono il nerbo più organizzato e più forte.

Dal punto di vista americano, è ovvio, d'altra parte, che non ci si debba mischiare troppo in questioni interne tedesche e che quindi sia da evitare il compromettersi sin da oggi a favore di progetti, di riforme sociali a base di nazionalizzazioni sul tipo di quelle applicate in Inghilterra e patrocinate ora dai socialisti tedeschi.

Il rientro della Germania sulla scena politica e la sua funzione nel futuro, di svolgere cioè un ruolo di terza forza, pongono in primo piano il problema fondamentale, che è quello di inserire questa nuova Germania nell'Europa occidentale. Per noi americani questa opera è al di là delle nostre possibilità pratiche e ideali. Possiamo essere larghi di consigli e di aiuti materiali, ma l'attività specifica di portare la pecora smarrita tedesca nell'ovile democratico occidentale, dev'essere compiuta dai popoli europei stessi. Qui però si presenta una difficoltà ed è quella dell'atteggiamento francese. Quel popolo ricco di storia e di tradizioni politiche, non riesce a liberarsi da vecchi temi del passato e crede ancora nella possibilità di risolvere il problema della Germania secondo le linee se non del testamento di Richelieu, per lo meno secondo i principi di Napoleone.

Ma è necessario, e qui è un punto che voi europei residenti a Washington potete chiarire ai vostri Governi e alle vostre opinioni pubbliche, che questa iniziativa nei riguardi della Germania sia presa al più presto. Qui forse potrebbe presentarsi un'interessante funzione per l'Italia.

Russia. I motivi della cessazione del blocco di Berlino e dell'apparente o fondata resipiscenza dei sovietici può attribuirsi a tre motivi principali: l) il Kremlino si dev'essere reso conto che la linea Lubecca-Trieste è troppo esposta e lontana dai centri di rifornimento per poter essere difesa a lungo. (A questo punto Kennan si è dilungato in una teoria strategico-mi li

tare sul valore delle linee di demarcazione, che presentano dei salienti e che sono favorite ed accettate da Stati che nutrono propositi aggressivi, mentre coloro che vogliono effettivamente rimanere sulla difensiva cercano di tutto per eliminare tali salienti e creare una difesa più rettilinea possibile. A parte gli altri suoi aspetti deleteri, il colpo in Cecoslovacchia può essere considerato come una delle manifestazioni più nette di questa volontà difensiva dei russi, in quanto appunto con tale colpo essi miravano ad eliminare uno dei salienti più pericolosi. Se avessero avuto intenzione offensiva, l'esistenza di un saliente non avrebbe avuto alcuna importanza; un esercito attaccante in marcia si lascia un saliente alle spalle, salvo a reciderlo dopo).

Il secondo motivo, che si connette al primo, è il senso di malessere economico e di agitazione che va permeando gli Stati satelliti dietro la cortina di ferro. In questi Stati satelliti serpeggia sempre più la tendenza a criticare la decisione russa, presa a suo tempo, di respingere il piano Marshall. Si fa da molti notare quanti e quali vantaggi il piano Marshall avrebbe potuto recare loro. Non escluderei a questo proposito che anche nel Politburo di Mosca vi siano degli alti esponenti del comunismo sovietico che pensino che se la Russia fosse stata saggia ed astuta avrebbe potuto essere essa la beneficiaria di un piano Marshall e non l'Europa occidentale. In realtà se ci si rifà ai periodi semi-idillici del 1945, diviene chiaro che i russi avrebbero potuto ottenere dall'America un notevole ammontare di aiuti per la ricostruzione del loro paese. Il loro atteggiamento negativo ed ostile ha fatto sì, invece, che questi aiuti si riversassero sull'Europa occidentale.

Il terzo motivo è forse quello cinese. È ovvio che il crollo del Governo nazionalista cinese, (perché di crollo e di disintegrazione totale di quel regime si deve parlare, più che di una vittoria dei comunisti), è una grande e grave disfatta per l'America. Ma di qui a gridare al disastro, come fa Alsop, ci corre.

La Cina ha delle ingenti ricchezze naturali, ma commisurate all'enorme entità della sua popolazione, queste risorse sono appena sufficienti per mantenere in vita i trecento e più milioni di cinesi. Il paese è quasi totalmente sfruttato, centimetro per centimetro. Le foreste sono state distrutte per dare posto a coltivazioni intensive e l'esperienza insegna che tutte le volte che mediante miglioramenti tecnici o nuove colture si è aumentata la produzione, la popolazione è dal canto suo aumentata, in modo correlativo, cosicché i benefici sono stati eliminati. Se si vuoi ritenere che il beneficio per uno Stato sia quello di conquistare uno sterminato numero di alleati laceri e affamati, allora si può dire che veramente Mosca sta conseguendo un successo strepitoso, ma in quest'epoca in cui contano le risorse e specialmente lo sviluppo industriale di un paese, si può dire con una certa verosimiglianza che l'aggregarsi all'impero sovietico di un'enorme massa di cinesi, porterà più pensieri e preoccupazioni ai dirigenti sovietici che non benefici. Mi ricordo personalmente di una frase di Stalin detta in mia presenza e per mio tramite, quale traduttore, ad un americano che gli domandava se un'eventuale adesione della Cina al mondo sovietico avrebbe portato ai russi dei grandi benefici, Stalin rispose: «sciocchezze, noi abbiamo in Siberia e in tutta la Russia asiatica milioni di persone le cui condizioni sociali ed economiche dobbiamo rialzare, e le nostre risorse sono appena sufficienti a questa immane opera. Non ci mancherebbe altro che complicassimo i nostri problemi col voler preoccuparci anche della sorte di centinaia di milioni di cinesi, né ciò ci sarebbe possibile».

Estremo Oriente. Il dilagare del comunismo nell'Asia sub-orientale dev'essere accettato ormai come un fatto incontestabile. Rimarranno bensì delle isole di resistenza, ma la marea comunista giungerà ben presto alle soglie della Malesia. In Indocina i francesi non sono riusciti a frenare il movimento comunista che dilaga sempre più. Soltanto in Malesia la situazione è migliore poiché colà gli inglesi hanno ora bene in pugno la situazione.

Fonnosa. La situazione di Formosa può in un certo senso accostarsi, dal punto di vista giuridico, a quella dei territori della Germania orientale ceduti a titolo provvisorio e in attesa di un trattato di pace, alla Polonia. Ma per Formosa vi sono degli impegni e degli atti che vanno al di là di questo aspetto giuridico, cosicché non è da pensare che si possa far tornare Formosa al Giappone o staccarla definitivamente dalla Cina. Però bisogna tener presente che a Formosa esiste nella popolazione uno stato d'animo nettamente anti-cinese, e l'amministrazione giapponese è stata in quell'isola di gran lunga superiore a quella cinese. E i formosani forse oggi detestano di più i cinesi dei giapponesi. Siccome non è naturalmente il caso di riportare quest'isola sotto il dominio giapponese, l'unica soluzione che forse si presenta è quella di fare di Formosa uno Stato e un territorio autonomo.

986 1 Vedi D. 955.

987 1 Vedi D. 953.

988

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER TELEFONO 5649/286. Parigi, 28 maggio 1949, ore 14,35.

Quai D'Orsay mi ha fatto sapere di un passo compiuto ieri da questa ambasciata inglese in merito Libia: in seguito agitazioni verificatesi a Tripoli ed anche a Bengasi Governo britannico ha inviato sul posto due esperti per esaminare situazione. Conclusione inchiesta è stata decisione emanare proclama da parte autorità britanniche col quale, compatibilmente con obblighi internazionali e conformemente tesi sostenuta O.N.U. nonché al desiderio delle popolazioni, si prende posizione a favore indipendenza Cirenaica sotto senusso nonché unità Libia.

Proclama dovrà essere reso di pubblica ragione il primo giugno od anche prima.

Francesi si propongono dare istruzioni ambasciatore Londra far presente che Governo francese si ritiene tuttora legato da accordo Bevin-Sforza e che testo proclama nello spirito se non nella lettera va oltre questi impegni. Non si crede marcare maggiormente propria disapprovazione sia perché proclama è assai abilmente redatto sia soprattutto perché si ritiene che esso debba riscuotere piena approvazione americani 1•

989

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO URGENTE 4525/2461 . Roma, 28 maggio 1949, ore 22,30.

Quaroni telegrafa quanto segue:

(Riprodurre telegramma n. 286 da Parigi)2 .

989 1 Trasmesso anche a Parigi con il n. 313. 2 Vedi D. 988.

V.E. comprenderà mia viva sorpresa apprendendo che in conversazione iersera con Mallet3 udii da lui che bisognava attendere qualche tempo prima di ricominciare utili scambi di idee mentre egli apprese da me che nostra intenzione era «mantenere spirito ed essenza del compromesso pronti esaminare altre ipotesi e proposte». Mallet non obiettò niente.

Dica a Bevin che egli sa che io prevedevo tutti gli attacchi che mi si farebbero e che mi erano indifferenti se riuscivo ristabilire nostri antichi rapporti. Ma una decisione radicale presa senza alcun contatto con noi apparirebbe audacemente contraria allo spirito che ci animò ed avrebbe conseguenze diametralmente opposte a quelle da me sperate.

Ciò è tanto più strano che un'intesa comune non è affatto difficile se si pensi che già a Cannes proposi Stato italo-arabo in Tripolitania4 . Con un minimo di buon volere si può trovare una formula che convenga anche a noi.

È necessario un suo contatto immediato costì5 .

988 1 Per la risposta vedi D. 992.

990

IL MINISTRO A L'AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 8471177. L'Avana, 28 maggio 1949 (perv. il 6 giugno).

Ho l'onore di riferirmi al mio telegramma n. 32 ed al mio telespresso urgente

n. 02 del 27 maggio corrente 1 .

L'ambasciatore Tarchiani e l'osservatore italiano presso le Nazioni Unite ministro Mascia mi hanno informato dell'atteggiamento particolarmente contrario ai nostri punti di vista nei confronti del problema delle colonie da parte del delegato di Haiti all'Assemblea dell'O.N.U., senatore Saint Lò.

Haiti è stata così l 'unica nazione, geograficamente facente parte dell'America latina, ad opporsi ai nostri desiderata per il ritorno, sotto forma di mandato, delle nostre colonie in Africa.

Il Governo haitiano in un primo tempo, e cioè in data 11 settembre 1948, in un memorandum di cui allego copia2 , e che era firmato dal ministro degli esteri di allora signor Manigat, dava ampio affidamento che la delegazione haitiana presso l'O.N.U. avrebbe appoggiato il punto di vista italiano per la soluzione della questione delle nostre colonie.

4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

5 Questo telegramma giunse a Londra alle Il del 29 maggio. Gallarati Scotti si affrettò a rispondere (T. segreto 5678/227 del 29 maggio, ore 13,20): «Poiché Bevin trovasi tuttora Parigi assicuro

V.E. che prendo immediatamente contatto con Foreign Office». 990 1 Il T. 32, del 27 maggio, preannunciava l'invio del Telespr. 02 che conteneva in sintesi le con

siderazioni qui più ampiamente esposte. 2 Non pubblicato.

Il ministro degli esteri signor Manigat nel mese di dicembre u.s. veniva sostituito dal signor T. Brutus il quale mi faceva sapere, e ne informavo codesto Ministero con il mio tel espresso n. 4241104 del 21 marzo corrente anno3 , che il Governo haitiano per motivi di indole generale e di principio non era più in grado di appoggiare le nostre richieste per la questione delle colonie. Era stato però deciso di inviare istruzioni al delegato haitiano nel senso di astenersi dal votare in occasione della discussione del problema delle colonie italiane davanti all'Assemblea dell'O.N.U.

Ai primi di aprile facevo nuove urgenti pressioni sul Governo haitiano per mezzo del ministro di Haiti in Avana signor Zéphirin, il quale, molto di buon grado e dimostrando anche in quell'occasione comprensione ed amicizia per il nostro paese, mi assicurava che avrebbe nuovamente insistito sia presso il ministro degli esteri signor Brutus e sia presso lo stesso presidente della Repubblica, affinché fossero modificate le istruzioni precedentemente inviate al delegato haitiano dallo stesso ministro Brutus, nel senso di ottenere un atteggiamento favorevole per la questione delle colonie.

Il ministro Zéphirin, infatti, mi informava telefonicamente il 21 aprile u.s. di aver ricevuto da Porto Principe comunicazione ufficiale, con preghiera di darmene subito comunicazione, che il Governo haitiano, al fine di venire incontro ai nostri desiderata e darci una prova di amicizia, aveva inviato nuove istruzioni al delegato presso l'O.N.U. nel senso, questa volta, di confermare le istruzioni inviate lo scorso anno dal ministro Manigat, e cioè favorevoli alle nostre richieste per quanto riguarda la questione delle colonie. Pertanto telegrafavo a V.E. in data 21 aprile, telegramma

n. 224 , comunicando tale nuovo atteggiamento.

Mi onoro allegare al presente rapporto copia della comunicazione inviata dal ministro Brutus al signor Zéphirin in data 12 aprile c.a. che questi, molto gentilmente, ha tenuto a consegnarmi2 .

Ciò nonostante, secondo quanto ho potuto apprendere, il senatore Saint Lò ha sistematicamente e deliberatamente ignorato tali istruzioni, ed ha votato o contro o si è astenuto, soprattutto in occasione del compromesso raggiunto da V.E. con la Gran Bretagna.

Sono intervenuto nuovamente, poi, presso questo ministro di Haiti in data 19 maggio corrente, ed egli mi assicurò che avrebbe parlato della cosa con il ministro degli esteri signor Brutus. Purtroppo egli ebbe conferma che il senatore Saint Lò non aveva tenuto conto delle istruzioni ricevute.

Circa la figura del capo della delegazione haitiana presso l'Assemblea dell'O.N.U. mi onoro riferire quanto segue.

Il senatore Saint Lò è nato a Porto Principe l' 11 settembre 1903. È stato successivamente avvocato, giudice del Tribunale civile di Porto Principe, professore di letteratura al Liceo di Pétionville, segretario di Stato al Ministero dell'educazione nazionale e della salute pubblica. Fu eletto senatore in seguito alla rivoluzione del gennaio 1946 ed ha caldamente appoggiato la candidatura dell'attuale presidente signor Estimé. Gli si riconosce un ingegno versatile, ma nessuna dirittura né professionale né morale.

4 Vedi D. 784.

Politicamente il suo atteggiamento deve mettersi in rapporto con l'indirizzo seguito dagli attuali dirigenti della politica haitiana, inteso a rivendicare l'uguaglianza della razza nera e dello Stato haitiano di fronte alle altre razze ed agli altri Stati. In occasione della seduta dell'Assemblea nazionale haitiana del 4 febbraio

u.s. il senatore Saint Lò combattè l'approvazione della mozione d'urgenza ed il voto immediato del progetto di legge presentato dal ministro degli esteri per la ratifica del Trattato di pace itala-haitiano da me firmato il l O dicembre 1948 a Porto Principe. Il suo intervento però, devesi onestamente riconoscere, era unicamente basato su motivi giuridici, in quanto egli sosteneva che il Governo haitiano prima di restituire i titoli di proprietà ai cittadini italiani avrebbe dovuto attenerne l'autorizzazione dalle Camere.

Sarebbe quindi da escludere, secondo anche quanto mi è stato concordemente affermato, che il senatore Saint Lò nutra particolari sentimenti di inimicizia verso il nostro paese. Posso affermare che egli ha agito, in occasione della votazione dei vari progetti favorevoli o di compromesso per la questione delle nostre colonie, assolutamente in contrasto con le direttive che il ministro degli esteri signor Brutus gli aveva fatto pervenire. Questo suo atteggiamento deve pertanto considerarsi del tutto personale ed indipendente. Non credo che il presidente della Repubblica ed il signor Brutus siano contrari, per principio, alle nostre tesi per la questione delle colonie, ma invece, soprattutto tenuto conto della circostanza che il Governo haitiano ha vivo interesse e desiderio che l'Italia partecipi ufficialmente ali 'Esposizione internazionale di Porto Principe, desiderino farci cosa gradita.

Mi occorre anche fare presente, affinché V.E. possa farsi una idea esatta della peculiare posizione della Repubblica di Haiti in seno alla comunità delle Nazioni latino-americane, quanto segue. Innanzi tutto, come ben noto a V.E., la popolazione della Repubblica di Haiti è composta per il 99,6% di neri e solamente il 0,4% di bianchi. Nella Costituzione della Repubblica di Haiti sono infatti considerati veri e propri cittadini haitiani coloro che appartengono alla «razza africana». Non può quindi parlarsi in alcun modo di uno Stato di origine, di formazione latino e iberico-americana, bensì unicamente di una nazione composta di neri nella stragrande maggioranza e situata geograficamente nel continente americano.

Oltre a tutto ciò è da tenere presente che dopo la rivoluzione del 1946 l' elemento mulatto che dirigeva le sorti della piccola Repubblica delle Antille da innumerevoli anni è stato praticamente eliminato dal potere, ed infatti oggi vi è un governo al cento per cento di razza nera. Pochi sono i mulatti che ancora ricoprono cariche di importanza. In questo clima politico germinano facilmente uomini politici del tipo del senatore Saint Lò, che sono in sostanza dei paladini accaniti della redenzione della razza nera dalla dominazione dei bianchi, e quindi tenacemente assertori della indipendenza di tutte le colonie tuttora oggi in possesso degli Stati europei. Mi risulta, ad esempio, che il Governo haitiano fa una certa propaganda nel Congo belga per incitare quelle popolazioni a rendersi indipendenti.

Essendo Haiti, come è noto, il paese di questo continente che per primo si è reso indipendente, e che ha abolito il regime della schiavitù sin dalla fine del secolo XVIII, esso è il paladino -in ogni occasione -dell'abolizione del sistema coloniale, ovunque. L'atteggiamento del senatore Saint Lò deve essere posto in stretta relazione con questa importante circostanza che fa sì che ogni delegato haitiano all'Assemblea dell'O.N.U. approfitti sempre dell'occasione di poter parlare da una così alta tribuna ai delegati di 58 nazioni, in favore della redenzione della popolazione nera di tutto il mondo.

È noto, a riprova di ciò, che gli Stati Uniti, onde evitare che i discorsi del senatore Saint Lò possano avere ripercussioni sulla popolazione di razza nera della Repubblica stellata, non usano mai tradurre, nelle trasmissioni radio della National Broadcasting Corporation i discorsi dei delegati haitiani, pronunziati in francese.

Ho tenuto a spiegare particolareggiatamente questa peculiare situazione della Repubblica di Haiti in seno alla comunità delle vere nazioni latino-americane.

Tutto ciò premesso, è tuttavia mio dovere onestamente riconoscere che noi godiamo delle simpatie nella classe dirigente e nella popolazione di Haiti. Durante i miei frequenti soggiorni a Porto Principe ho avuto modo di constatare che questi sentimenti sono più diffusi che io non avessi sperato. In Haiti si segue con vera simpatia l'opera dell'attuale Governo italiano, sia nel campo della politica interna, sia in quello internazionale. Naturalmente però le esigenze della politica interna haitiana fanno sì che troppo spesso motivi contrastanti di politica locale facciano assumere alla politica estera del Governo haitiano atteggiamenti non conformi e non corrispondenti ai veri sentimenti del popolo haitiano.

Dopo la chiusura della sessione dell'Assemblea dell'O.N.U. sono intervenuto nuovamente presso questo ministro di Haiti per ottenere che, in occasione dell'apertura della nuova sessione dell'Assemblea prevista per settembre, venga sostituito il capo della delegazione haitiana senatore Saint Lò.

Ho appreso ieri che questi sarebbe stato nominato ministro di Haiti a Parigi, e pertanto vi è veramente da sperare che egli non ritorni più a New York. Ho chiesto anche che oltre al senatore Saint Lò venga sostituito possibilmente un altro membro della delegazione haitiana, e precisamente il deputato Demesnin, molto ostile a noi.

Avrei ragione di ritenere che la delegazione haitiana presso l'O.N.U. nella sessione di settembre verrà modificata e si atterrà strettamente alle istruzioni impartite.

Mi recherò la settimana prossima a Porto Principe per la firma del contratto che comporta la cessione gratuita al Governo italiano del terreno su cui verrà costruito il nostro padiglione dell'Esposizione internazionale per il Bicentenario di quella città.

Comunicherò in quell'occasione, telegramma di codesto Ministero n. 165 , che il Governo italiano ha deciso la sua partecipazione ufficiale a detta manifestazione. Sono certo che questa nostra evidente prova di amicizia, che per noi rappresenterà anche, ne sono convinto, un buon affare per l'incremento delle nostre importazioni in Haiti, sarà molto bene accolta dal Governo haitiano.

Mi recherò a conferire con il presidente della Repubblica e, valendomi anche di tale circostanza, cercherò di ottenere una assicurazione definitiva che il delegato haitiano presso l'O.N.U. verrà sostituito e che le istruzioni già inviate dal ministro degli esteri verranno scrupolosamente osservate per quanto riguarda il problema delle nostre colonie.

989 3 Vedi D. 984.

990 3 Vedi D. 604.

990 5 Del 24 maggio, non pubblicato.

991

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. PERSONALE S.N. 1 . Roma, 29 maggio 1949, ore IO.

Non volli intercalare iersera2 un cenno personale ma mi sembrerebbe mancare della totale franchezza che per parte mia sento dover usare con Bevin non informando lo tuo tramite che nella eventualità prospettata mi troverei quasi certamente obbligato dimettermi.

Tale dimissione avrebbe poca importanza in sé ma potrebbe averne in mano di chi la sfrutterebbe come reazione ad un atto da indicare come moralmente criticabile.

992

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO URGENTISSIMO PER TELEFONO N. 45411314. Roma, 29 maggio 1949, ore 21,50.

Suo 286 1 e mio 313 2•

Gallarati Scotti vedrà domattina il solo funzionario importante presente Foreign Office e dolente impossibilità telefonare Bevin mi consiglia vivamente fare intervenire subito Schuman presso costui per ottenere almeno ritardo di qualunque notificazione per qualche giorno allo scopo di trovare una formula comune.

Prego VE. agire massima urgenza aggiungendo Schuman che occorrendo potrei dopo mio discorso su Francia e Italia il 2 a Tolosa correre Parigi per trovarmici il 3 o 4. Ma ella sa tutto della situazione anche morale e si esprima quindi in tutto a nome mio3 .

993

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER TELEFONO 57211228. Londra, 30 maggio 1949, ore 21.

Trasmetto traduzione nota confidenziale consegnatemi oggi da Mc N eil.

2 Vedi D. 989, nota l.

3 Per la risposta di Quaroni vedi D. 994.

«Governo S.M. intende fare nei prossimi giorni una dichiarazione al Congresso nazionale della Cirenaica, per tramite dell'amministratore capo, circa i piani futuri del Governo di S.M. per l'amministrazione di quel territorio.

Governo di S.M. è spiacente che Governo italiano abbia avuto notizia di tali propositi da terzi e non direttamente e preliminarmente dal Governo di S.M. Tuttavia il Governo di S.M. non era in grado di dare prima d'ora tale informazione poiché una decisione circa la dichiarazione e il suo testo esatto è stata adottata solo oggi.

Nel prendere la decisione questa mattina il Gabinetto aveva dinanzi a sé le osservazioni fatte dal ministro degli esteri italiano all'ambasciatore di S.M. a Roma il 27 maggio1 e confida che l'attuale testo venga incontro alle difficoltà italiane nell'argomento.

Il Governo di S.M. desidera assicurare il Governo italiano che, dopo aver lealmente dato esecuzione durante le discussioni della Assemblea generale Nazioni Unite all'accordo che era stato raggiunto e dopo che la risoluzione è stata respinta senza sua colpa, deve ora riesaminare ex nova quale sia la miglior soluzione alla luce delle discussioni in sede di Assemblea. Il Governo di S.M. desidera mantenersi in stretto contatto con il Governo italiano circa il futuro dei territori nello stesso spirito di amicizia che ha ispirato l'accordo, ed è particolarmente ansioso e desideroso di discutere con il Governo italiano ogni questione concernente il futuro dei territori quando ciò sia appropriate.

Il Governo di S.M. spera tuttavia che Governo italiano per parte sua si renda conto che Governo di S.M., in quanto potenza occupante dei territori, ha particolare responsabilità e che la comunicazione di cui sopra non può essere interpretata nel senso che l'azione amministrativa del Governo britannico nei territori sia subordinata al benestare italiano. Il caso della Cirenaica è di carattere speciale in vista degli impegni assunti dal Governo di S.M. col senusso nell942 e pertanto l'aver consultato preliminarmente il Governo italiano sull'attuale azione del Governo britannico sarebbe stato contrario allo spirito di tali impegni».

Alla detta nota era allegato seguente testo dichiarazione che sarà fatta dall'amministratore capo.

«l) È per me gran piacere presenziare riunione plenaria dell'Assemblea del Congresso nazionale della Cirenaica dietro invito vostro presidente. 2) So che questa Assemblea comprende rappresentanti urbani, rurali e delle tribù di ogni parte del territorio, e che il Congresso nazionale è l'ente nominato da

S.A. l 'Emir per assisterlo e consigliarlo nella trattazione degli affari del popolo cirenaica. So anche che siete in questo momento preoccupati sul futuro del vostro paese e ansiosi di conoscere la policy del Governo di S.M. data la mancanza di qualsiasi risultato positivo delle recenti deliberazioni a Lake Success.

3) Il Governo di S.M. ha preso nota del vostro interesse in questi problemi e sono ora autorizzato, dopo un attento esame compiuto dal Gabinetto britannico, a fare seguenti dichiarazioni in questa propizia occasione alla presenza di S.A. e dinanzi ai capi del popolo:

a) il Governo di S.M. riconosce l'Emir, che è il capo liberamente eletto del suo popolo, quale capo del Governo della Cirenaica;

b) riconosce formalmente desiderio dei cirenaici di self-government ed adotterà ogni misura compatibile con i suoi impegni internazionali per promuoverlo;

c) in consultazione con l 'Emir istituirà un Governo cirenaica con responsabilità su gli affari interni e gradirà la visita dell 'Emir a Londra per discutere tale questione;

d) nel prendere questa decisione desidera sottolineare che nulla sarà fatto che possa pregiudicare il futuro della Libia as a whole.

4) In conclusione sono lieto di assicurarvi che «His Majesty's Government appreciate the desire of the Emir and the people as expressed in recent statements for the promotion of a close and lasting association with Great Britain and his Majesty's Government for their part affirm their most sincere desire to consolidate the friendship and good will which have existed between them since their common ordeal in the recent war, and their earnest wish to establish these relations on the foundations best calculated to ensure their development to our mutuai satisfaction».

991 1 Questo telegramma non è compreso nella raccolta dei telegrammi in partenza da Roma, ma solo nel registro dei telegrammi in arrivo a Londra. 2 Nelle istruzioni di cui al D. 989.

992 1 Vedi D. 988.

993 1 Vedi D. 984.

994

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER TELEFONO 5723/290. Parigi, 30 maggio 1949, ore 22,50.

Suo 314 1• Ho esposto a Schuman situazione anche morale che sarebbe creata di fronte azione unilaterale da parte britannica sollecitando suo urgente intervento presso Bevin. Mi ha detto:

l) documento britannico è redatto con estrema abilità per cui è impossibile attaccarlo di fronte anche perché esso avrà certamente tutto l'appoggio americano. Preso alla lettera infatti esso non è che promessa da parte inglese appoggiare selfgovernment per Cirenaica sotto senusso ed unità libici. Esso è velenoso in quanto appoggiare unità Libia contemporaneamente self-government Cirenaica significa in realtà favorire unità libici sotto senusso.

2) Opportunità non procedere per via unilaterale in vista rapporti itala-britannici e ripercussioni italiane può invece essere benissimo sostenuta ed è in questo senso che egli intendeva parlarne con Bevin.

Ho molto insistito su questo secondo punto facendogli presente che in realtà non esisteva contraddizione per posizione due paesi; era nota nostra posizione favorevole creazione Stato anche Tripolitania che poteva benissimo rientrare idea selfgovernment. Si sarebbe potuto mettersi d'accordo fra Inghilterra e noi per dichiarazioni concordate e contemporanee concernenti Tripolitania e Cirenaica o, meglio ancora,

dare proclama forma constatazione V.E. e Bevin nell'accordo raggiunto a Londra intendevano precisamente che due province avrebbero avuto self-government. Quanto a dichiarazione ed anche ad istituti diretti mantenere principio unità libici noi non vi eravamo mai stati contrari: se non ci eravamo pronunciati espressamente era stato sopratutto in vista preoccupazioni francesi. Schuman ne ha convenuto.

Quanto a sua proposta venire qui dopo Tolosa mi ha detto che avrebbe dovuto prima sentire Bevin. A prima vista però cosa gli sembrava non troppo opportuna dato inevitabili ripercussioni suo viaggio su opinione pubblica e stampa.

Mi ha comunque detto che avrebbe visto Bevin probabilmente stasera, certo domattina e gli avrebbe parlato nel senso da noi desiderato, e mi avrebbe subito informato risultato colloquio. Prevedeva Bevin gli avrebbe detto di non sapeme niente.

Gli ho raccomandato far presto vista imminenza data proclama.

Ho impressione che lo farà. Ho trovato Schuman molto più cosciente pericoli che progetto inglese rappresenta per Francia che non suoi uffici. Occorre naturalmente tener presente che in un momento in cui è in discussione questione tedesca posizione francese di fronte agli americani non è delle più forti.

994 1 Vedi D. 991.

995

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5735/229. Londra, 30 maggio 1949, ore 22,10 (perv. ore 7,30 de/31).

McNeil mi ha convocato oggi dopo seduta Gabinetto. Mi sembrò molto ansioso giustificare la non comunicazione ali 'Italia delle dichiarazioni sulla Cirenaica 1 . Disse che se vi era stata una differenza tra Italia e Francia ciò era dovuto solo al fatto che essendo presenti Parigi Schuman ed Acheson, Bevin aveva pensato utile fame parola con essi in quanto compartecipi trattato di pace. Quanto ali 'Italia si era preferito non fare comunicazione che, se fosse trapelata anzi tempo, avrebbe potuto essere interpretata da arabi come accordo italo-inglese per la Cirenaica con conseguenti reazioni locali e perché nulla poteva essere detto sul proclama prima di avere interrogato il Gabinetto sulla sua opportunità.

Quanto all'urgenza tali dichiarazioni McNeil asserì che era dovuta anche al timore che senusso medesimo, dopo gli ultimi awenimenti, decidesse fame una lui stesso intempestiva ed inopportuna. Amministratore capo aveva fatto presente necessità che Governo inglese prendesse posizione decisa ed inequivocabile ed aveva proposto suo draft che aveva dovuto essere sottoposto all'esame Consiglio di Gabinetto di oggi.

Non era però in nessun modo nelle intenzioni inglesi escludere Italia da opportuna collaborazione per quanto riguardava avvenire della Libia.

Feci allora osservare a McNeil quanto loro silenzio prima, e loro unilaterale azione ora, potessero riuscire gravemente dannosi e suscitare viva reazione in Italia dato che qualunque atto di questa natura si sarebbe inevitabilmente ripercosso nostro sfavore e dato che, quali partecipi ormai del Patto atlantico e del Consiglio europeo non potevamo essere tenuti fuori da decisioni di portata che trascendeva interessi esclusivamente inglesi.

Venendo ai punti sostanziali chiesi due chiarimenti che desideravo fossero pienamente franchi:

l) Domandai a McNeil se egli riteneva che azione inglese Cirenaica potesse accordarsi con impegno morale preso nell'accordo Bevin-Sforza. Mi rispose che accordo non sarebbe mai potuto passare nella forma attuale, ma che nello spirito non vedeva incompatibilità tanto più che quanto Inghilterra proponeva agli arabi della Cirenaica era meno di quanto Sforza stesso aveva pubblicamente promesso agli arabi della Tripolitania con progetto di Stato contrattuale.

2) Gli chiesti se unità della Libia prospettata nelle dichiarazioni fosse intesa come soluzione sopra un piano esclusivamente anglo-arabo o ammettesse che potesse risolversi sopra un piano anglo-italiano-franco-arabo. Mi rispose che non vedeva possibilità ripresentare alcuna proposta di soluzione per Tripolitania che non tenesse conto di un accordo anglo-i tal o-arabo (e francese s' intende). Difficoltà era sul come giungere a tale accordo. Gli risposi che da parte mia, come già prima di Lake Success avevo detto più volte, non ritenevo che questa difficoltà fosse insormontabile se esisteva vera buona volontà da parte inglese di pacificare situazione in Tripolitania tenendo conto che arabi erano fatalmente stati influenzati dall'Inghilterra contro di noi durante il periodo della guerra: prima di ogni altra cosa era necessario smontare «questo stato d'animo» in uno spirito nuovo.

McNeil disse che riteneva dovessimo continuare i contatti per una collaborazione e una ricerca di soluzioni.

995 1 Vedi D. 993.

996

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 4558/249 (Londra) 316 (Parigi). Roma, 30 maggio 1949, ore 23,45.

(Per tutti) Seguenti istruzioni sono dirette a Londra e Parigi.

Mallet mi ha consegnato oggi copia nota dichiarazione Cirenaica 1 allegando motivi che inducevano Governo britannico adottare tale linea condotta e sottolineando, su istruzioni Bevin, che non dovremmo vedere in ciò alcun atto inamichevole

verso Italia, Bevin stesso essendo deciso continuare lavorare con noi per consolidare amicizia e collaborazione fra i due paesi.

Ho ripetuto a Mallet argomenti da me già espostigli in precedente colloquio (mio Londra n. 246, Parigi n. 313)2 e gli ho detto che se pure avessi potuto rendermi conto delle deboli ragioni restavo convintissimo che il procedere di sorpresa e senza alcuna previa consultazione con noi costituiva, dopo intese Londra e dopo recenti scambi vedute su opportunità esaminare congiuntamente situazione, un atto tale da nuocere gravemente a rapporti italo-inglesi.

Ho spiegato Mallet reazione profonda che iniziativa britannica susciterebbe nell'opinione pubblica e nello stesso Governo italiano tanto più che progetto analogo per Tripolitania era stato da noi avanzato in marzo3 e che proprio inglesi ce lo avevano fatto ritirare cosa che non potrei esimermi dal render nota. Dovrei del resto render noto nostro pensiero in nuovo senso a tutti i nostri antichi sudditi. Questo grave incidente rischia scuotere nelle masse quella fede per i nuovi organismi internazionali per i quali abbiamo tanto operato.

Ho poi detto Mallet che il 2 sarò Tolosa e potrò essere il 3 a Parigi dove conferirei con Bevin non già per indurlo a mutare suoi programmi relativi Cirenaica, sui quali posso anche dichiararmi d'accordo, ma per esaminare con lui come affrontare in termini analoghi questione Tripolitania e salvaguardare così anche situazione psicologica. Se Bevin non comprende, ho concluso, elementare necessità morale aderire a tale concetto e rinviare di qualche giorno progettata dichiarazione, ne dedurrei che Governo britannico non tiene affatto ad amicizia italiana e ne trarrei le conseguenze del caso4 .

Conto che V.E. esprima subito tutto quanto precede con estrema fermezza.

(Per Londra) Ricevo suo 228 5 che non cambia in niente quanto precede. Basta osservare che non abbiamo mai pensato a dover dare dei «benestare» per amministrazione Cirenaica ma abbiamo pensato e pensiamo che mai ci saremmo condotti in modo analogo con qualsiasi Governo amico6 .

996 1 Vedi D. 993.

997

IL MINISTRO A PRAGA, VANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1108/615. Praga, 30 maggio 1949 (perv. il l O giugno).

Preceduto da un'intensa azione di propaganda, che ha permeato tutto l'organismo del partito ed è dilagata da un capo altro del paese, si è svolto dal 25 al 29 maggio il IX Congresso del partito comunista cecoslovacco, a cui si è voluto dare

3 Rectius febbraio: vedi D. 357.

4 L'ambasciatore Mallet riferì questo colloquio al collega americano Dunn, il quale, con T. segreto del l o giugno, ore 13, ne informò il segretario di Stato Acheson allora a Parigi. Vedi Foreign Relation ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., p. 562.

5 Vedi D. 993.

6 Per le risposte da Londra e Parigi vedi rispettivamente DD. 1004 e 1006.

un particolare carattere di solennità essendo il primo congresso dopo il colpo di Stato del febbraio 1948.

Migliaia di artefici hanno trasformato per l'occasione la capitale elevando a tutti gli angoli cartelloni e scritti e simbolici monumenti di cartapesta che gli osservatori, comunisti e non comunisti, sono stati unanimi nel dichiarare volgare decorazione da fiera.

Milioni di bandierine di carta (cecoslovacche e sovietiche) sono state distribuite dai «decurioni» (si chiamano così i fiduciari del partito che hanno la sorveglianza di dieci famiglie) due per ogni finestra; cosicché tutti i proprietari di finestre hanno dovuto concorrere al monotono addobbo appiccicando ai vetri le bandierine sovietiche e ceche.

Oltre alle delegazioni dei paesi satelliti, condotte tutte da personalità di second'ordine, non v'erano figure internazionali di grande rilievo, se si eccettuano Malenkov del Politburo dell'U.R.S.S. e Togliatti. Questi sono stati pure i due personaggi intorno ai quali, per motivi diversi, si è concentrata l'attenzione degli osservatori. Su Malenkov si sono appuntati gli sguardi sospettosi di tutti coloro che pensavano che la sua venuta non potesse essere giustificata dalla semplice parte di comparsa al Congresso e che l'influente membro del Politburo non poteva decentemente tornarsene a Mosca senza aver almeno presenziato ad una conferenza del Cominforrn. A Togliatti si è guardato invece come al rappresentante più in vista del comunismo occidentale di cui il Congresso ha fatto il numero d'attrazione anche per la grande manifestazione di popolo organizzata in Piazza della Città Vecchia a Praga.

Effettivamente, malgrado alcune voci raccolte da qualche organo di stampa estera su una presunta riunione del Cominforrn che sarebbe stata tenuta qui in occasione del Congresso, non risulta che vi sia stata alcuna manifestazione collettiva degna di nota, oltre i naturali ed ovvii scambi d'idee soliti in tali casi.

Il Congresso s'è iniziato coi saluti d'obbligo: nel porgere il saluto del partito comunista italiano l'on. Togliatti, dopo il noto attacco al nostro Governo 1 ha annunciato che i comunisti sono in Italia, due milioni e che la parte migliore del paese si è pronunciata per il socialismo.

Hanno quindi avuto principio i discorsi ufficiali. Il presidente Gottwald ha tracciato in dieci punti le direttive per l'azione futura dei partito.

Al primo posto ha collocato il piano quinquennale che dovrà essere attuato in tutti i settori dell'economia nazionale: ha aggiunto subito però che la produzione dovrà essere aumentata, migliorata e resa più economica.

Ha dichiarato quindi senza ambagi che oramai bisognerà favorire in ogni modo il settore socialista dell'economia a detrimento di quello privato. Analogamente nella campagna, bisognerà conquistare al partito i piccoli e medi contadini e isolare i grandi proprietari ed i contadini benestanti.

L'apparato amministrativo dovrà essere ancora perfezionato per accelerare la marcia verso il socialismo ed occorrerà creare una classe dirigente traendola dalle file dei lavoratori. Quanto al Fronte Nazionale, esso dovrà essere mantenuto e rafforzato; mentre resta come un imperativo categorico immanente al regime l'obbligo di condurre una lotta senza quartiere contro la reazione. Nel campo della politica estera il Governo contribuirà al mantenimento della pace e ad assicurare l'indipendenza dello Stato: per questa la Cecoslovacchia sa di poter contare sull'U.R.S.S. e sulle democrazie popolari. Quanto agli altri paesi, il presidente ha formulato l'augurio ch'essi non s'impiccino negli affari interni della Cecoslovacchia e rinuncino alla politica discriminatrice che praticano adesso nei suoi confronti.

Slansky, segretario generale del partito, ha fatto il bilancio delle forze comuniste del paese, ha dettato norme perché i gregari del partito partecipino più attivamente alla vita delle organizzazioni, e ha ammonito le gerarchie dipendenti a non escludere dalle rappresentanze economiche, sociali e politiche gli elementi non comunisti, specie nelle campagne.

Il presidente del Consiglio Zapotocky ha rilevato, come oramai è suo uso, le manchevolezze della produzione e ha accennato ai rimedi da apportare; in modo speciale ha insistito sull'idea «di risolvere il problema dei salari adottando un sistema che contribuisca all'incremento della produzione, giacché le ricompense non devono essere, come taluni affermano, in corrispondenza alle esigenze dello stomaco, ma al rendimento dell'operaio».

Trattando a sua volta della politica estera il ministro Clementis si è scagliato contro la reazione che fino al febbraio 1948 aveva boicottato con ogni mezzo l'amicizia con la U.R.S.S. cercando di aggiogare il paese alla Francia ed al piano Marshall. Egli ha sottolineato che l'esigenza fondamentale della politica cecoslovacca è quella di garantirsi da una nuova aggressione tedesca ed ha chiarito i motivi per cui la Cecoslovacchia non poteva legarsi né alla Francia né al piano Marshall.

Durante il Congresso, e precisamente venerdì scorso [il 27], è stata organizzata una grande adunata pubblica in Piazza del Municipio alla quale ha parlato anche l'on. Togliatti. Il capo dei comunisti italiani, dopo il noto attacco che anche in questa seconda occasione ha rivolto al nostro Governo, ha detto che, tra non molti anni, il popolo italiano si libererà dalla schiavitù e si unirà ai popoli liberi.

Di particolare importanza per l'ulteriore sviluppo delle relazioni tra la Chiesa e le autorità civili è stato il discorso del ministro delle informazioni Kopecky. Egli ha fatto ricadere su alcuni vescovi ligi a Roma la responsabilità della tensione esistente attualmente nel paese.

Il tono del discorso di Kopecky è stato di un'asprezza senza precedenti. Le minaccie proferite contro il Vaticano e contro coloro che ne seguiranno le direttive sono state precise ed inequivocabili. I traditori, ha detto il ministro, non saranno tollerati anche se vestiranno l'abito sacro e, quanto ai rapporti col Vaticano, ha aggiunto che la Cecoslovacchia lo tratterà da amico o da nemico a seconda che esso si comporterà da amico o da nemico della Cecoslovacchia e dei suoi alleati.

Il ministro dell'istruzione Nejedly ha affrontato, e risolto di colpo il problema dell'educazione della gioventù e della infanzia: il marxismo-leninismo non dovrà essere soltanto una materia d'insegnamento nelle scuole, ma dovrà permeare tutte le altre materie e la sostanza stessa dell'insegnamento. Lo Stato dovrà impadronirsi della scuola materna, la frequenza alla quale dovrà essere obbligatoria per tutti, e l'apprendimento del russo dovrà cominciare dall'età di otto anni: queste in breve le direttive della politica scolastica.

Dopo cinque giorni di seduta i 4800 delegati del Congresso hanno votato, all'unanimità un ordine del giorno di fiducia al Comitato centrale con l'aggiunta che i discorsi pronunciati durante il Congresso dalle personalità dirigenti del partito costituiranno il programma della sua futura attività.

Tanto Gottwald quanto Slansky sono stati rieletti rispettivamente alle cariche di presidente e di segretario generale del partito.

996 2 Vedi D. 989.

997 1 Le frasi in questione, come riferite con il T. 5614/27 del 27 maggio, erano le seguenti: «Quante calunnie falsità ed offese sono state giornalmente da noi diffuse contro vostro paese da persone che stanno alla testa nostro Governo. Questi miserabili nemici nazione, questi uomini venduti imperialisti stranieri, questi agenti delle più oscure forze reazionarie, non si contentano diffondere odio fra i partiti democratici ed operai, essi cercano ancora di seminario fra le nazioni che si sono liberate dal giogo del capitalismo e dell'imperialismo».

998

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3480/672. Trieste, 30 maggio 1949 (perv. i/1° giugno).

Nel corso del suo soggiorno a Washington il generale Airey ha avuto, a quanto egli mi ha detto, numerosi scambi di vedute sia coi «Combined Chiefs of Staff», che col Dipartimento di Stato in merito al futuro ed alla struttura del G.M.A. Da ogni parte ci si sarebbe resi conto della necessità di adottare, perdurando la situazione attuale, delle misure tendenti a rendere meno grave il peso di una amministrazione militare, facilitandone i contatti con la popolazione locale. Ed il problema è stato ritenuto tanto più urgente in quanto, dopo la costituzione di un Governo tedesco, Trieste sarebbe l'ultimo territorio europeo sottoposto tuttora ad amministrazione militare dagli occidentali. Da parte americana pertanto si sarebbe espressa l'opinione, che del resto Airey pienamente condivideva, che occorra evitare di dare l'impressione che in questa Zona, per circostanze del resto impreviste, si mantenga una situazione giuridica meno favorevole che nella stessa Germania. Tuttavia, a quanto mi ha dichiarato Airey, è sembrato che non fosse possibile lo smantellare il G.M.A., il cui mantenimento sarebbe espressamente voluto dal trattato di pace. (In realtà il trattato di pace prevede la nomina del governatore e, nel periodo che la precede, la continuazione delle occupazioni alleata e jugoslava. Se il governatore, come gli occidentali hanno dichiarato ripetutamente, non potrà essere nominato, non ne consegue che si debba mantenere il regime transitorio di occupazione, ma soltanto che la nuova situazione così creatasi dovrà essere convenientemente affrontata). La soluzione verso la quale i Combined Chiefs of Staff, d'intesa coi loro Governi, si sono orientati, a quanto mi ha detto Airey, sarebbe pertanto la «civilianization» del G.M.A.: «borghesizzazione» che si penserebbe d'ottenere consentendo agli ufficiali britannici di vestire l'abito civile e sostituendo gli ufficiali americani, cui tale facoltà non è concessa dal regolamento militare, con funzionari civili provenienti dall'America, cui si aggiungerebbero alcuni tecnici dell'E.R.P. Un ulteriore passo sarebbe contemporaneamente compiuto, naturalmente dopo le elezioni, verso una diminuzione dei controlli alleati: ed esso

consisterebbe nell'affidare a funzionari italiani (o triestini) il Dipartimento dell' educazione (nel quale si porrebbe fine alla bipartizione fra uffici scolastici italiani ed uffici scolastici sloveni) nonché l'Ufficio del lavoro e l'Ufficio prezzi.

Mi sono astenuto dal commentare con Airey il piano che egli mi ha esposto: del quale, nella migliore ipotesi, si può dire che pecchi di ingenuità.

Di fatti, limitandosi ad osservare le cose da un punto di vista puramente locale, è certo che uno straniero, comunque si vesta, è sempre straniero; e che un governo militare, anche se si presenti come agnello, non cessa di essere lupo; voglio dire non può mancare di continuare a mostrare, inevitabilmente, quella distanza dalla vita locale, quella irresponsabilità, quella divergenza di vedute, quegli sfasamenti che rendono, alla lunga, tale forma di amministrazione fra tutte la più insopportabile in un paese civile.

Da un punto di vista internazionale, le misure cui mi ha fatto cenno Airey, insignificanti come sono, lasciano pienamente aperta la questione del T.L.T., senza consentirci di trarre alcun vantaggio anche da un esito favorevolissimo delle elezioni; di modo che, obbiettivamente, la situazione post-elettorale non potrebbe mancare, per i motivi cui ho avuto occasione di accennare più volte, di essere, per i partiti italiani e per la causa italiana, meno favorevole che la situazione attuale. Inoltre, non si deve dimenticare che l'amministrazione, cui le elezioni daranno luogo, avrà solo due anni di vita; e che, perdurando l'attuale stato di cose, noi potremmo trovarci nella necessità di affrontare un'eguale lotta, fra due anni, quando le forze centrifughe locali avranno avuto modo di consolidarsi; il che praticamente ci impedirà, fra l'altro, di provvedere dopo il 12 giugno alla normalizzazione dell'apparato amministrativo locale, affrontandone il risanamento mediante l'opportuno snellimento degli organici del personale statale.

Comunque, quelle che ho ricordato più sopra, sono le direttive cui il G.M.A. sta ispirando i suoi progetti di riforma, che sono in corso di esame, proprio in questi giorni, presso il «Council» alleato, come mi ha confermato questo consigliere politico americano. Nulla di concreto tuttavia, a quanto mi ha detto il signor Baldwin, sarebbe stato deciso finora. In pratica, si sarebbe concordi, in questi ambienti alleati, sull'opportunità, che, dopo le elezioni, gli organi eletti godano di maggior prestigio e di maggiori poteri di quelli che li hanno preceduti. (Questo concetto deriva tuttavia, probabilmente, da un'inesatta conoscenza del nostro diritto amministrativo. Di fatto, l'amministrazione comunale di Trieste esercita già tutti i poteri attribuiti ai comuni dalla legge italiana: e, partendo dalla necessità di un parallelismo fra gli ordinamenti triestini e quelli italiani, non si vede quali maggiori o diverse facoltà possano esserle affidate). Nello stesso tempo il G.M.A. desidererebbe tener fermamente in pugno la situazione locale. Partendo da queste divergenti premesse i vari uffici alleati stanno elaborando, non senza difficoltà, alcuni progetti, più o meno secondo il quadro generale brevemente tracciatomi da Airey.

Queste in breve, almeno attualmente, le intenzioni alleate. Rimane a vedere fino a che punto esse coincidano coi nostri interessi. Al riguardo sarà forse opportuno ripetere alcune osservazioni, non nuove, certo, ma che converrà particolarmente non dimenticare oggi:

l) dalle prossime elezioni, qualunque ne sia l'esito, non potranno che uscire delle amministrazioni comunali a noi più sfavorevoli delle attuali. Quindi la necessità di controbilanciare tale svantaggio con una più ampia partecipazione italiana all'amministrazione statale;

2) sarebbe per noi essenziale il poter raggiungere una partecipazione così intima all'amministrazione statale, che essa possa costituire la garanzia irrevocabile dell'esecuzione integrale delle promesse del 20 marzo 1948 I, escludendo che la questione di Trieste possa essere oggetto di ulteriori manovre o di ulteriori negoziati;

3) una riforma interna del G.M.A., voglio dire una riforma che tocchi soltanto la sua organizzazione e la sua struttura, è cosa, com'è ovvio e come è stato più volte ripetuto, di esclusiva competenza alleata. Qualora tuttavia ci si proponga di associare alle funzioni di governo degli elementi italiani o triestini, la riforma stessa non può mancare di avere importanti riflessi in foca, particolarmente per le ripercussioni che certi dati di fatto precostituiti avranno indubbiamente tanto sullo sviluppo delle correnti indipendentistiche triestine, quanto sulla struttura, regionalistica o meno, che l'Italia dovrà dare alla città al momento della sua restituzione alla nostra Amministrazione. Se almeno un risultato concreto si deve attribuire, nel campo interno, alla dichiarazione tripartita del 20 marzo, questo dovrebbe essere l'impegno che l'evoluzione del Governo Militare Alleato, se non altro per quanto riguarda la partecipazione di elementi locali o italiani alle funzioni statali, sarà concordata col Governo italiano, al fine di facilitare il trapasso dei poteri al momento della realizzazione della dichiarazione in parola;

4) il sistema, cui sembra voglia ispirarsi il G.M.A., e che, per il vero, esso aveva già posto a base di suoi precedenti piani di riforma, sembra quello di inserire nei vari dipartimenti degli elementi locali, associandoli alle responsabilità dell' amministrazione. Questo sistema ha già avuto, di fatto, qualche applicazione: e si può dire che i risultati che ha dato sono stati, finora, negativi. Le persone chiamate a collaborare col G.M.A. hanno dimostrato infatti di non contare molto più che semplici impiegati e di portare, anzi, nel! 'amministrazione militare, i riflessi delle loro passioni politiche e, talvolta, dei loro favoritismi familiari. Per il modo stesso con cui sono state scelte, esse sono state, anziché un controllo dell'amministrazione alleata, un comodo paravento; e nei nostri confronti hanno spesso cominciato a dare prova, com'era forse inevitabile, di tendenze centrifughe, quando non indipendentistiche. L'esperienza di questi mesi ha quindi dimostrato che il sistema dell'«associazione», alle funzioni di governo, di elementi locali, scelti dalle stesse autorità alleate e senza autonomie, compiti e poteri ben definiti, anziché normalizzare l 'amministrazione non ha fatto che seminare i germi di nuove discordie. E questa sola considerazione, cui se ne potrebbero aggiungere molte altre di ordine tecnico, basta a dimostrare quanto questo tipo di riforma sia pericoloso e quanto noi dovremmo cercare di opporvici con tutte le nostre forze. Piuttosto, se si considera che la struttura statale della Zona è costituita dal G.M.A. e dalla Presidenza di Zona (Prefettura), anglo-amenicano il primo, italiana la seconda, sembra che la linea normale di evoluzione debba essere una progressiva diminuzione dei poteri del primo, ed un corrispondente aumento dei poteri della seconda. In tal modo, il G.M.A. potrebbe facilmente ridurre le sue dimensioni, mentre la seconda potrebbe assumere gradualmente gli aspetti di quel!' Alto commissariato, cui, al momento della restituzione della città, potrebbero, senza scosse, essere affidati tutti i poteri civili, in attesa di una perfetta unificazione giuridica dei due territori;

5) come credo di aver dimostrato, la «borghesizzazione» del G.M.A., così come è proposta dal generale Airey, è cosa di contenuto nullo, ed anzi non scevra di pericoli, primo fra tutti la «triestinizzazione» dell'Amministrazione militare. L'attuale fase della propaganda elettorale ha provato infatti i pericoli connessi con l'indipendentismo, che, in ultima analisi, ha trovato i suoi più saldi appoggi in certi settori dell'amministrazione militare alleata. Ed, in realtà, di tutte le forme in cui tale fenomeno si presenta, la più pericolosa si è dimostrata quella che propugna il mantenimento dell'attuale stato di occupazione militare e la conseguente conservazione di speciali situazioni di privilegio che il G.M.A. ha creato a favore di particolari categorie di dipendenti o di impiegati. Teoricamente il meno logico, questo movimento indipendentista si è rivelato finora il più pericoloso, come quello che trova la sua base in interessi precostituiti non trascurabili. La partecipazione di elementi locali all'amministrazione militare, secondo il progetto Airey, non potrebbe che rendere tale pericolo più sensibile; e, da un punto di vista italiano, non vi è dubbio che il mantenimento dell'attuale stato di cose sarebbe preferibile ad una evoluzione del G.M.A. nel senso sopraccennato. Un G.M.A. costituito da elementi esclusivamente stranieri è un corpo estraneo, che può essere asportato, al momento opportuno, senza difficoltà e senza pericolo. L'operazione diverrà tanto più difficile quanto maggiore sarà l'infiltrazione in esso di elementi locali. Se un'evoluzione può essere desiderabile, essa non può essere costituita che da un'«italianizzazione» dell'amministrazione militare, e cioè dall'introduzione, nell'amministrazione stessa, con compiti ben precisi, di funzionari italiani. Ma poiché, tecnicamente, non si vede come questa collaborazione possa effettuarsi con piena parità di iniziativa e di responsabilità, il progetto, cui ho fatto cenno più sopra, di un progressivo rafforzamento della Presidenza di Zona (alla cui direzione dovrebbe essere chiamato un funzionario italiano) appare il più logico ed il più facilmente realizzabile;

6) dalle dichiarazioni fattemi da Airey e da Baldwin, appare che, almeno nella fase attuale, gli alleati non intendono aderire alle tesi contenute nell'appunto del prof. Perassi, inviatomi con telespresso n. 232 del 24 febbraio u.s. 2 Ciò non toglie che, naturalmente, tali tesi debbano costituite la mèta della nostra azione, sia a Trieste che nelle capitali alleate, e che esse debbano essere di volta in volta opportunamente ripresentate. Tuttavia, nella fase attuale ed in vista di imminenti decisioni del G.M.A. circa mutamenti nella sua struttura, solo una proposta del tipo di quella contenuta nell'appunto inviato costì in allegato al telespresso

n. 2578/534 del 19 aprile u.s. 3 , ha qualche probabilità di poter essere presa in considerazione.

Se le considerazioni che precedono sono esatte, mi permetto di prospettare a codesto Ministero l'opportunità di autorizzarmi a dichiarare al generale Airey che, mentre lo si ringrazia della cortese comunicazione relativa all'intenzione di procedere ad una modificazione e ad un alleggerimento dell'Amministrazione alleata, il Governo italiano, per ovvie considerazioni, è particolarmente interessato ad ogni pro

3 Non rinvenuto.

posta riguardante la partecipazione alle funzioni di governo di elementi triestini o italiani, e ritiene che, per parte sua, tale partecipazione dovrebbe concretarsi nel graduale allargamento della competenza della Presidenza di Zona (Prefettura), (cui dovrebbe essere preposto un funzionario italiano di carriera), e ad una corrispettiva restrizione delle funzioni del G.M.A., secondo un piano che potrebbe ricalcare, nei suoi lineamenti principali, quello trasmesso costì col telespresso n. 534, con le variazioni che codesto Ministero ritenesse opportuno di apportarvi.

Tale eventuale passo di questa missione dovrebbe essere fiancheggiato da un intervento, in analogo senso, presso codeste ambasciate alleate.

Non ho bisogno di sottolineare che, poiché la questione è attualmente allo studio presso il G.M.A., sarebbe opportuno che eventuali istruzioni al riguardo mi venissero impartite nel più breve tempo. Desidero infine far rilevare che questi ambienti alleati sembrano, in questo momento, molto sensibili alla necessità di far qualcosa che possa servire per controbattere, almeno in parte, l'abbiezione che Trieste, tuttora sottoposta ad amministrazione alleata, ha in definitiva una sorte meno favorevole della stessa Germania. In altre parole, dal punto di vista interno, appare evidente la connessione fra l'evoluzione della situazione costituzionale tedesca e quella locale; ed è, questo, un tasto su cui sarebbe conveniente battere, anche in vista dei futuri alleggerimenti del controllo militare occidentale previsti, a quanto la stampa riferisce, per la Germania.

Ritornando, da ultimo, alle considerazioni svolte nel telespresso n. 7532/1372 del 22 ottobre u.s. 4 , appare evidente che ci troviamo, oggi, dinanzi ad una nuova e non trascurabile svolta della politica alleata a Trieste. Nel foglio sopracitato, avevo cercato di mettere in luce i motivi per i quali il G.M.A., particolarmente dopo la dichiarazione tripartita del 20 marzo, mentre aveva sospeso ogni progetto ed ogni trattativa per una maggiore partecipazione degli elementi autoctoni alle funzioni di governo, aveva accelerato lo sviluppo dell'autonomia nel campo dell'amministrazione locale. Oggi ci troviamo, per così dire, di fronte ad un'apparente inversione di rotta: l'evoluzione nel campo dell'amministrazione locale si è arrestata; e riprende invece lo studio della possibilità della partecipazione di elementi locali alle funzioni di governo.

A prima vista, si potrebbe dire che questa è la conseguenza della constatata necessità della permanenza della attuale amministrazione provvisoria, nonché, come si è detto più sopra, dei recenti mutamenti costituzionali tedeschi. Ma, se si tien conto del carattere puramente formale che si intende dare, da parte alleata, alla partecipazione di elementi locali al governo, nonché alla «borghesizzazione» dell'amministrazione, appare evidente che il mantenimento sostanziale dell'attuale stato di fluidità è, per così dire, imposto da ben altre ragioni: e principalmente dall'evidente connessione che da parte alleata si intende porre fra il problema di Trieste e quello delle colonie, per i loro possibili concertati riflessi sull'opinione pubblica italiana, e dal desiderio, che viene qui apertamente espresso, di mantenere un contegno sostanzialmente soft verso la Jugoslavia.

Sono, questi, degli elementi che non mancheranno di manifestarsi, in tutto il loro peso, anche localmente, e la questione della riforma del G.M.A. potrà essere un sintomo molto interessante per la loro valutazione.

998 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

998 2 Vedi D. 386, Allegato.

998 4 Non pubblicato.

999

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 4560/250 (Londra) 317 (Parigi). Roma, 31 maggio 1949, ore 12,25.

(Per Parigi) Mio 316 1•

(Per Londra) Mio 249 1•

(Per tutti) Le trasmetto ad ogni buon fine progetto testo dichiarazione per Tripolitania che mi proporrei esaminare con Bevin qualora venisse accettata mia proposta di cui telegramma sopracitato, e che Governo italiano emanerebbe domani unilateralmente in caso diverso. Verrebbe fatta in Conferenza stampa breve esposizione riepilogativa circa genesi e formulazione compromesso Londra fondato su riconoscimento da parte italiana principio mandato britannico Cirenaica e riconoscimento inglese principio mandato italiano Tripolitania. Seguirebbe, sempre in Conferenza stampa, accenno vicende raccomandazione italo-inglese all'O.N.U., e data notizia dichiarazione inglese circa Cirenaica e diramato testo nostra dichiarazione circa Tripolitania del seguente tenore:

«Il Governo italiano nell'intento di facilitare la realizzazione delle aspirazioni delle popolazioni interessate e tenuto anche conto delle varie opinioni espresse nei recenti dibattiti all'O.N.U. dichiara:

l) di riconoscere legittima l'aspirazione delle popolazioni della Tripolitania all'autogoverno e di impegnarsi a dare il proprio appoggio diplomatico a tale aspirazione in sede internazionale;

2) di essere favorevole alla costituzione in Tripolitania di un Governo che sia espressione di un'Assemblea popolare liberamente eletta e rappresentativa dei vari gruppi etnici;

3) di essere pronto a concludere accordi con tale Governo per il regolamento delle questioni di comune interesse e nell'intento di realizzare una stretta cooperazione fra i due paesi;

4) che nulla verrà fatto da parte dell'Italia che possa in alcun modo pregiudicare il principio dell'unità della Libia;

5) il Governo italiano fa pieno affidamento su tutte le popolazioni autoctone ed immigrate perché continuino, come hanno sin qui fatto con benefici risultati, a

collaborare fraternamente al progresso del loro paese. In quest'opera esse potranno fare assegnamento sempre sull'appoggio dell'Italia». Ne dia comunicazione urgente a codesto Governo2 .

1000.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, NEW DELHI E TEHERAN E ALLE LEGAZIONI A BAGHDAD, BEIRUT, CAIRO, DAMASCO, GEDDA E KABUL

T. 4592/c. Roma, 31 maggio 1949, ore 23,15.

Con telegramma n. 4591/c. 1 viene trasmesso testo dichiarazione Governo italiano circa Tripolitania. Ne dia subito comunicazione a codesto Governo.

Decisione Governo italiano viene incontro desideri popolazioni e confidiamo troverà costì, dove V.E. vorrà opportunamente illustrarla, favorevole eco ed approvazione.

Sottolinei in particolare che decisione Governo italiano implica abbandono qualsiasi formula, anche larvata, di politica coloniale e che si ispira desiderio promuovere sempre più stretta amicizia e cooperazione fra Italia e mondo islamico. Ne dia ampia diffusione codesta stampa.

(Per New Delhi) Prego comunicare quanto sopra a codesto rappresentante Pakistan2 .

1001.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

T. 4593/c. Roma, 31 maggio 1949, ore 23,45.

Con telegramma n. 4591 1 viene trasmesso testo dichiarazione Governo italiano circa Tripolitania. Ne dia subito comunicazione a codesto Governo sulla cui fraterna futura collaborazione noi continuiamo a contare.

1000 1 Vedi D. 1003, nota 2.

2 Per le risposte da Ankara, Teheran, Baghdad, Beirut ed Il Cairo vedi rispettivamente DD. 1106, 1027, 1036, 1037, e 1019. Cortese e Zappi assicurarono l'esecuzione delle presenti istruzioni con i TT. 5879/32 del 2 giugno e 6350/46 del 13 giugno mentre non sono state rinvenute comunicazioni in proposito da New Delhi e Kabul.

1001 1 Vedi D. 1003, nota 2.

Confidiamo che nostra dichiarazione sarà favorevolmente accolta da codesto Governo e che esso vorrà confermare suo appoggio a tale nuovo orientamento relativo questione ex colonie il quale risponde anche a sentimenti che sappiamo diffusi in tutta America latina.

1002.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE1• [Roma, 31 maggio 1949]2.

Lo sviluppo delle decisioni britanniche che da tempo andavano maturando per la Cirenaica ha provato che vedemmo chiaro quando col compromesso di Londra cercammo, anche a costo di sacrifici dolorosi, di salvaguardare nuovi modi di nostra presenza in Africa. Il Governo non ha quindi niente da rimproverarsi, al contrario. Né io mi pento di aver cercato di tutelare i nostri interessi supremi ben sapendo che sarei stato attaccato.

Un futuro Libro Verde mostrerà che io feci quanto era in nostro potere per salvare i nostri interessi in Africa e propugnare al tempo stesso ottime fidenti relazioni coli 'Inghilterra.

Gli ultimi a poter criticare sono coloro che, difensori vergognosi del regime che rovinò ogni nostra diretta influenza in Africa, osano ora alzar la testa e condannare un compromesso che, se ebbe un difetto, fu di non innovare abbastanza di fronte alla nuova atmosfera che si forma nel vicino continente.

Ma ora che il compromesso, per lo meno nella sua forma esterna, scompare per forza di cose, io -pur sapendo che le critiche dell'estrema destra e dei suoi associati comunisti non meritano risposta alcuna -mi domando se non sia da considerare che altri prenda il mio posto, perseguendo meglio di me la nostra stessa linea: interessi italiani in Africa sotto nuove forme e, per ciò stesso, contatti il più possibile amichevoli con l'Inghilterra. È perciò che ti prego di presentare le mie dimissioni al presidente della Repubblica3 .

Tu sai che uscendo dal Gabinetto conserverò il ricordo prezioso della tua costante solidarietà. Tal ricordo costituisce uno di quei rari legami che non finiscono che colla vita.

1002 1 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 168-169.

2 Questa lettera, come la precedente (D. 952), proveniente dall'archivio personale di Sforza, è priva di data. La successione degli scambi telegrafici con Londra suggerisce che essa fu probabilmente redatta la sera del 30 maggio dopo la visita di Mallet (vedi D. 996) e consegnata a De Gasperi il31 dopo l'arrivo del T. 232 da Londra (vedi D. 1005) annunziante che Bevin «non riteneva possibile» sospendere la dichiarazione sulla Cirenaica. Alle stesse conclusioni porta anche quanto riferisce Dunn al Dipartimento di Stato (Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., p. 562).

3 De Gasperi non lo fece.

1003.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. 4595/251. Roma, 31 maggio 1949, ore 24.

Consiglio dei ministri ha leggermente modificato dichiarazioni di cui al mio 2501 il cui testo definitivo risulta seguente:

«Delegati vari gruppi etnici Eritrea e Tripolitania che hanno sostato Roma nel viaggio ritorno dall'Assemblea Lake Success furono ricevuti questi giorni alla Consulta dal presidente Consiglio.

In tali incontri essi hanno avuto modo, pur nella rinnovata espressione simpatia e riconoscenza verso nazione italiana, di affermare loro fiducia che Italia vorrà dare suo appoggio loro desiderio autogoverno e indipendenza.

Identiche aspirazioni sono state comunicate ministro esteri mediante memoriale firmato dai più rappresentativi italiani Tripolitania. Presidente Consiglio, informato da ministro esteri dei termini internazionali nei quali nella fase attuale presentasi problema, ha fatto agli interessati seguenti dichiarazioni: "l) Governo italiano riconosce legittima aspirazione popolazioni autogoverno e impegnasi dare proprio appoggio diplomatico ad aspirazione in sede internazionale.

2) In particolare dichiarasi favorevole alla costituzione in Tripolitania di governo che sia espressione Assemblea popolare liberamente eletta e rappresentativa vari gruppi etnici e col quale Italia possa stringere rapporti intimi feconda collaborazione.

Governo italiano, fedele direttiva che sempre lo ispirò, di ricercare ogni soluzione problema africano nel quadro inderogabile collaborazione internazionale rappresentata da O.N.U. e nel consolidamento rapporti amichevoli con principali nazioni europee aventi interessi Africa, rinnova assicurazione essere sempre pronto a tutte intese capaci facilitare tale soluzione"»2 .

1004.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO URGENTE 5767/231. Londra, 31 maggio 1949, ore 16 (perv. ore 18).

Telegramma di V.E. 2491•

1003 1 Vedi D. 999.

2 Con T. 4591/c. del l o giugno, ore 3, il testo definitivo del comunicato veniva diramato alle ambasciate ad Ankara, New Delhi, Teheran e Washington, alle legazioni a Baghdad, Beirut, Cairo, Damasco, Gedda e Kabul e alle rappresentanze diplomatiche in America latina. Con Telespr. 3/2379/c. del 2 giugno veniva trasmesso anche alle ambasciate a Bruxelles, Mosca, Nanchino, Ottawa e Varsavia, alle legazioni ad Atene, Belgrado, Canberra, Copenaghen, Dublino, L' Aja, Lussemburgo, Manila, Osio, Praga, Stoccolma e Wellington e all'osservatore italiano presso l'O.N.U. Veniva anche comunicato alla stampa con una nota di Palazzo Chigi (vedi «Relazioni internazionali», a. XIII (1949), n. 23, p. 366). Il testo edito in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 162-164, identico nella sostanza, presenta variazioni di forma.

1004 1 Vedi D. 996.

Poiché anche McNeil è partito oggi per Parigi ho preso subito contatto con Ufficio Africa.

Proposta già trasmessa da Mallet di sospendere dichiarazione per Cirenaica affinché questione possa essere riesaminata in colloquio di V.E. con Bevin è stata immediatamente sottoposta a Bevin a Parigi e da lui dipende ora decisione.

Su atteggiamento inglese nei confronti nostro progetto di Stato contrattuale in Tripolitania permettomi richiamare miei telegrammi 43 e 44 del febbraio scorso2 .

1005.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER TELEFONO 5762/232. Londra, 31 maggio 1949, ore 17,30.

Mio 231 1 .

Foreign Office mi informa che Bevin ha telegrafato a Mallet che sarà ben lieto di incontrarsi con V.E. a Parigi ma che non ritiene possibile sospendere nota dichiarazione dell'amministratore Cirenaica.

1006.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER TELEFONO 5769/295. Parigi, 31 maggio 1949, ore 18.

Suo n. 316 1 .

Schuman mi ha comunicato che Bevin vedrà con piacere V.E. a Parigi a partire dal 3 corrente. Mi ha detto di aver trovato Bevin evidentemente impressionato da telegramma Mallet relativo sua conversazione e preoccupato complicazioni possibili rapporti con Italia.

È quindi d'avviso che «si possa parlare» nei termini da V.E. proposti.

1007.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER TELEFONO 5768/296. Parigi, 31 maggio 1949, ore 18.

Ad ogni buon fine informo che in seguito passo Massigli Governo britannico ha presentato francesi nuovo testo dichiarazione Cirenaica1 che presenta seguenti modifiche:

1004 2 Vedi DD. 346 e 357. 1005 1 Vedi D. 1004. 1006 1 Vedi D. 996. 1007 1 Vedi D. 993.

l) preambolo relativo alle proposte presentate davanti alle Nazioni Unite in vista indipendenza Libia è scomparso.

2) L'annuncio prossima visita a Londra senusso per fissare con Governo britannico linee generali self-government.

3) Paragrafo finale è modificato in questa forma: «Adottando queste misure Governo S.M. britannica desidera marcare chiaramente che nulla sarà fatto che pregiudichi avvenire eventuale Libia nel suo insieme».

Schuman considera comunque che queste modifiche costituiscono considerevole miglioramento quanto sostanza primo progetto dichiarazione. Data incertezza date non era possibile stabilire se V.E. abbia avuto primo o secondo testo.

1008.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO TELEFONO 5776/297. Parigi, 31 maggio 1949, ore 20.

Schuman mi ha dato lettura telegramma console francese Tripoli che egli considera (come del resto tutto Quai d'Orsay) funzionario molto capace. Lo riassumo qui appresso:

Durante loro visita Strang, brigadiere Lewis e Stuart non hanno avuto contatti che con amministratore britannico. Dopo conferenza questi non nascondeva sua soddisfazione essere riuscito, con appoggio fatti, dimostrare rappresentanti Governo inglese che sviluppo situazione Libia era conforme a quanto egli aveva sempre preveduto: che reintroduzione amministrazione italiana non avrebbe potuto avere luogo senza sollevamenti vasta portata da parte popolazioni locali e tali da necessitare intervento truppe britanniche.

A capo queste agitazioni sono notoriamente capi politici indigeni i quali essendosi compromessi con autorità britanniche temono sia nostre rappresaglie sia per lo meno essere messi in seconda linea politicamente di fronte nostri partigiani. Questi gruppi politici si sono dichiarati disposti accettare invece mandato britannico Tripolitania per dieci anni, perdonare Inghilterra «tradimento» accordo Bevin-Sforza, facendo nuova propaganda in questo senso.

Console francese rappresenta amministratore britannico come persona abile, inflessibile nel perseguire suoi fini e prevede che agitazione antitaliana non farà che aumentare da qui a settembre.

Per contro situazione inglese Cirenaica incontra serie difficoltà. Partito nazionalista che si afferma sempre più si sta orientando in senso contrario tutela britannica e ha manifestato apertamente non essere disposto accettare mandato inglese neanche per soli dieci anni e richiedere invece dichiarazione immediata indipendenza, disposto soltanto negoziare con Inghilterra trattato analogo a quello recentemente concluso con re Abdullah: non (dico non) antico trattato. (Commenti Schuman: «frutti folle politica inglese matureranno per loro più presto di quanto si possa credere»).

Senusso cerca navigare fra richieste inglesi ed esigenze sempre crescenti suoi futuri sudditi: egli esercita sottile ricatto nei riguardi Inghilterra minacciando rinunziare trono offertogli per rientrare Egitto privando così inglesi persona su cui basano tutta la loro politica in Cirenaica.

Si è venuta così a creare situazione assurda (conclude console francese) per cui in Cirenaica, dove inglesi vogliono stabilire loro base strategica, popolazioni si orientano sempre più marcatamente contro idea mandato britannico mentre in Tripolitania, che essi intendono abbandonare, gruppi politici dirigenti si orientano sempre più (anche se eccitati in questo senso) in favore mandato britannico.

Schuman mi ha detto averci comunicato queste informazioni, che egli ritiene sicure, perché possono lumeggiare utilmente dietroscena situazione. Mi prega tenerle strettamente riservate e soprattutto essere prudenti nel comunicarle altre nostre ambasciate non desiderando compromettere suo console Tripoli.

999 1 Vedi D. 996.

999 2 Vedi D. 1011.

1009

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5787/l 06. Gerusalemme, 31 maggio 1949, ore 20 (perv. ore 7,30 del r giugno). Suo 73 1•

Ho l'onore di riferire circa esito colloquio di cui al mio telegramma n. 1032 .

Ministro degli affari esteri mi ha pregato esprimere S.E. conte Sforza suo rincrescimento che l'Italia non abbia creduto poter seguire esempio Francia il che avrebbe reso naturale accreditamento forma desiderata e prodotto ottima impressione nel paese. Tuttavia tenuto conto mie considerazioni e facendo voti prossimo riconoscimento de jure, esprime gradimento Governo Israele nomina Anzilotti con rango inviato straordinario e ministro plenipotenziario; aderisce nostra richiesta che missione diplomatica italiana in Israele e Israele a Roma siano accreditate nella stessa forma ed alle medesime condizioni che quella fra Israele e Gran Bretagna. In conseguenza missione Israele recherà lettere credenziali firmate da presidente Weizmann per essere presentate presidente della Repubblica: missione stessa composta cinque persone partirà 8 giugno piroscafo israelita Galilea diretto Bari proseguendo treno per Roma. Mi riservo ulteriori notizie.

1010

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5789/233. Londra, 31 maggio 1949, ore 18 (perv. ore 7,30 dell 0 giugno).

Autorevole personalità araba, che ritengo bene informata, ha chiesto vedermi ed in via riservatissima mi ha esposto suo punto di vista circa questione

1009 1 Vedi D. 981. 2 Vedi D. 975.

nostro ritorno in Tripolitania. Egli ritiene che soluzione tale questione non possa trovarsi che in un accordo italiano-arabo-inglese. Dice di avere buone ragioni di credere che Gran Bretagna aderirebbe volentieri ad una intesa che fosse trovata tra Stati arabi ed Italia in proposito. Mio interlocutore crede anzi possibile giungere ad una intesa diretta tra mondo arabo ed Italia in questo momento; ma unica persona che a suo parere potrebbe essere un intermediario a patrocinare validamente simile accordo con la sua autorità sarebbe re Faruk. Egli però dovrebbe essere avvicinato da parte nostra quanto prima, non per via ufficiale, ma direttamente attraverso persona di nostra fiducia e che a lui possa essere grata, «in via amichevole» escludendo in modo assoluto in un primo tempo Governi, cancellerie e diplomatici regolarmente accreditati. Il mio interlocutore assicura che ove re Faruk fosse persuaso della opportunità del suo intervento «riuscirebbe a persuadere gli altri Stati arabi» e soprattutto gli elementi arabi della Tripolitania. A quanto mi è dato capire personalità araba, con cui ebbi colloquio stamane, è al corrente del pensiero ambienti vicini re Ibn Saud, e per amicizie di famiglia legato al re d'Egitto.

Mi è impossibile giudicare da qui la portata di tale apertura ed i motivi di politica interna ed estera saudiana egiziana che possono averla ispirata. Mi limito riferire pregando, come mi è stato richiesto, di mantenere massimo segreto e chiedendo in seguito istruzioni in proposito 1 .

1011.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5791/235. Londra, 31 maggio 1949, ore 19 (perv. ore 7,50 del l o giugno).

Telegramma di V.E. n. 2501 pervenutomi solo alle 18,30.

Ho subito preso contatto telefonico con ambasciatore Quaroni che aveva già provveduto a risparmio di tempo a fare comunicazione a Bevin tramite ambasciata britannica Parigi2 . Per parte mia informo Foreign Office.

1010 1 Il presente documento veniva ritrasmesso da Zoppi a Fracassi, al Cairo, con il seguente commento: «Ignoro chi sia e quali affidamenti possa dare l'interlocutore di Gallarati Scotti che, comunque, mi sembra sia portato a sopravalutare "l'autorità internazionale" di re Faruk. In ogni modo ti prego di farmi conoscere d 'urgenza cosa ne pensi» (L. segreta 3/2369 del l o giugno), Per la risposta di Fracassi vedi D. 1023.

l011 1 Vedi D. 999.

2 Quaroni fu ricevuto da Bevin la sera del 31: riferì subito l'esito del colloquio per telefono (vedi D. 1014), fornì poi un resoconto telegrafico (vedi D. 1016), inviò infine il verbale del colloquio (vedi D. l 035).

1012.

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5795/109. Atene, 31 maggio 1949, ore 20,15 (perv. ore 7,30 de/] 0 giugno).

Sono convinto, da confidenza fattami da Stefanopulos, che rapida soluzione accordo riparazioni troncherebbe speculazione su regolamento altre questioni, di cui si vale nota politica ostruzionistica di questo Ministero esteri.

Mi diceva Stefanopolus che, una volta firmato accordo riparazioni, sarà lui stesso a prendere iniziative idonee appianare tutto il resto. Attiro attenzione importanza concludere, anche per evitare perditempo, il che favorirebbe nuove manovre interessi privati americani appoggiati da queste sfere americane, per eliminarci da impianti elettrici, cioè da tutto quanto costituisce primordiale riconoscimento accordo cooperazione economica, cui esecuzione ovviamente dovrà essere subordinata, secondo criterio globalità, altri accordi 1•

1013.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 4710/2032. Washington, 31 maggio 1949 1•

Mi sono recato oggi da Hickerson il quale, come ho già segnalato, lascerà presto la direzione dell'Ufficio Europa del Dipartimento di Stato per assumere, dopo un periodo di vacanza di due mesi, il nuovo posto di assistente segretario di Stato per gli affari delle Nazioni Unite.

Hickerson, per quanto di natura riservata e poco incline ad assumersi responsabilità o a contrastare le opinioni dei suoi capi, ha però manifestato sempre, sia da vice direttore che da direttore generale degli affari europei, sentimenti di amicizia per il nostro paese e, pur con le limitazioni sopra accennate, ha fatto di tutto per difendere le nostre aspirazioni e i nostri punti di vista. Ritengo che la di lui presenza alla direzione degli affari relativi all'O.N.U. potrà esserci di notevole utilità al momento opportuno.

Per quanto riguarda il problema coloniale Hickerson mi ha, più o meno, ripetuto quello che già mi aveva detto Rusk (mio rapporto n. 4406/1936 del 26 maggio u.s.)2 e cioè che i competenti uffici del Dipartimento di Stato hanno bisogno di alcune setti

1012 1 Per la risposta vedi D. 1015. 1013 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 979.

mane di «meditazione» prima di poter esprimere una idea apprezzabile sulla situazione scaturita dall'accordo di Londra e dal voto dell'Assemblea dell'O.N.U.

Gli ho fatto osservare che la questione era stata ampiamente «meditata» durante gli scorsi quattro anni e ciononostante ben poco di concreto era stato concordato e meno ancora raggiunto. Mi ha dato atto di ciò, aggiungendo però che da quanto era successo a Lake Success si sarebbe potuto trarre una norma più vicina alla realtà di quanto non avessero permesso le discussioni teoriche del passato.

Egli ha espresso inoltre l'opinione che se le linee dell'accordo di Londra fossero state fissate qualche settimana prima della sessione delle Nazioni Unite e se su tali linee fosse stato raggiunto un preventivo accordo anche da parte degli Stati Uniti e della Francia, il progetto avrebbe potuto essere presentato ali' Assemblea come suggerimento di una nazione neutrale o di un gruppo di nazioni interessate e in tal caso, sempre secondo il suo parere, avrebbe forse potuto essere approvato. Da ciò egli trae la conseguenza che questa volta bisognerà compiere in tempo la fase di preparazione, sulla base di un progetto ben studiato e concordato. Non ho avuto naturalmente difficoltà a dichiararmi d'accordo con lui.

Gli ho fatto però notare che mentre il Governo italiano, specialmente per opera di

V. E., si era mostrato ragionevole e aperto a ogni onorevole compromesso che chiudesse la controversia senza ferire crudelmente l'amor proprio del popolo italiano, gli inglesi si erano mostrati intrattabili e irremovibili, cosicché il loro relativo arretramento è giunto troppo tardi quando tutta la loro azione offensiva era schierata, e tuttora operante, in senso apposto a tale loro flessione e quando ormai le passioni della Assemblea erano scatenate. Hickerson mi ha detto testualmente: «Riconosco che l'impossibilità di un accordo preventivo non è stata determinata da voi né per colpa vostra».

Riferisco a parte quanto egli mi ha accennato sulle previsioni circa l'esito della conferenza di ParigP nonché circa la ratifica del Patto atlantico da parte di questo Senato4 .

1014.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 4596/252. Roma, JD giugno 1949, ore 10,45.

Tramite Quaroni 1 Bevin ha fatto conoscere essere d'accordo per nostra dichiarazione Tripolitania2 sollevando tuttavia abbiezione circa punto due dichiarazione stessa relativo «Assemblea popolare liberamente eletta». Dichiarazione già approvata da

l O 13 3 R. riservato 4 709/2031 del l o giugno, non pubblicato.

4 Con T. 5794/423, pari data, Tarchiani riferì circa i prevedibili tempi delle discussioni in Senato sul piano di assistenza militare e per la ratifica del Patto atlantico che, secondo il Dipartimento di Stato, avrebbe potuto aver luogo entro la prima settimana di luglio.

1014 1 Vedi D. 1011, nota 2.

2 Vedi D. 1003.

Consiglio Gabinetto non ha potuto venire mutata; stesso Consiglio ha tenuto presente che enunciazioni politiche liberali costituiscono migliore possibilità recuperare quelle simpatie indigene che inglesi, per loro stessa ammissione, ci hanno fatto perdere con loro assidua propaganda. Se fossimo stati informati a tempo propositi britannici relativi Cirenaica questione avrebbe meglio potuto essere esaminata a fondo e nei suoi dettagli; comunque è da tener presente che dichiarazione italiana contiene quelle che sono nostre proposte. Nel corso loro esame con Governo britannico ed eventualmente altri Governi interessati esse potranno se mai venire adattate a circostanze.

Quanto mia presa contatto con Bevin (suo 232) 3 , mentre ringrazio, ritengo ormai preferibile attendere prossima occasione dopo che saranno conosciute reazioni popolazioni locali e mondo arabo in genere a dichiarazioni odierne circa Tripolitania e Cirenaica. Si esprima costì come sopra esposto4 .

1015.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. 4619/66. Roma, 1° giugno 1949, ore 23,30.

Suo 109 1•

Greci ci vogliono prendere in giro. Dica ben chiaro che occorre concludere contemporaneamente tutti accordi come da tempo convenuto. Perciò è inutile insistere per firma o sigla accordo su riparazioni se non si addiviene ad accordo su altre questioni. Venga dunque delegazione greca al più presto a trattare a Roma. Analogamente mi esprimo con americani2 .

1016.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5832/298. Parigi, 1° giugno 1949, ore 19,28 (perv. ore 21,40).

Suo 3201 .

1014 3 Vedi D. 1005.

4 Sforza trasmise questo telegramma anche a Quaroni (T. s.n.d. 4597/320, stesso giorno e ora) con le seguenti istruzioni: «Prego fare analoghe comunicazioni anche costà a Bevin ed informame Quai d'Orsay».

1015 1 Vedi D. 1012.

2 Con il T. 5868/III del 2 giugno Prina Ricotti assicurò di aver eseguito le presenti istruzioni.

1016 1 VediD.IOI4,nota4.

Per esattezza vorrei precisare che Bevin mi ha detto: «Se il Governo italiano desidera dire qualcosa su linee analoghe (a dichiarazione inglese per Cirenaica) circa aspirazioni popolazione Tripolitania per autogoverno, Governo britannico non avrebbe obiezioni». In particolare ha obbiettato contro dichiarazione relativa Assemblea osservando che in ogni modo con questa formula noi facevamo promesse che, non avendo in mano amministrazione territorio, non potevamo tenere.

In generale Bevin mi ha specificato che la sua approvazione era limitata principio dichiarazione e non (dico non) a testo dichiarazione. Si è anzi espressamente rifiutato dare sua approvazione testo dichiarazione, dicendomi esplicitamente che temeva speculazioni che noi, e esplicitamente nostra stampa e radio, avremmo potuto fare questa sua approvazione cui conseguenze avrebbero potuto essere risentite da Inghilterra sia localmente sia nel mondo arabo.

1017.

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5843/56. Santiago, l 0 giugno 19449, part. ore 2 del 2 (perv. ore 7,30).

Telegrammi di V. E. 4591 /c. e 4593/c. 1•

Ministro degli affari esteri cui ho consegnato nota dichiarazione mi ha detto che Governo cileno accoglie con simpatia nuovo orientamento ed è pronto dare suo appoggio come sempre lo ha dato fino ad ora.

l 018.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5847/425. Washington, ! 0 giugno 1949, ore 20,52 (perv. ore 8 del 2).

Ho rimesso a Dipartimento Stato comunicato di cui a suo 4591/c. 1•

Dipartimento mi ha a sua volta dato visione della dichiarazione inglese al Congresso cirenaico ed ha aggiunto confidenzialmente che, a quanto gli risulta, tale

1017 1 Vedi DD. 1003, nota 2 e 1001. 1018 1 Vedi D. 1003, nota 2.

dichiarazione era stata resa nota alcuni giorni fa a Governo italiano. Mi riservo seguire sviluppi atteggiamento americano di fronte ad essa. Finora Dipartimento appare estremamente prudente ed attento a non avallare detta dichiarazione in attesa che uffici abbiano compiuto necessario riesame di tutta la questione. Tra l'altro mi risulta che, avendo avuta preventiva visione del documento, Governo americano, pur separando sua responsabilità, ha chiesto ed ottenuto che parola «indipendenza» fosse sostituita con «self government».

Secondo Dipartimento di Stato, Governo britannico è stato indotto formulare dichiarazione in questione da agitazione senusso. Naturalmente ciò non esclude esistenza di altri motivi quale quello, a suo tempo segnalato, che proclamazione indipendenza o semi-indipendenza Cirenaica preluda ad iniziative simili per Tripolitania. (A tale riguardo merita, a mio avviso, speciale attenzione frase concernente avvenire della Libia nel suo insieme). In proposito, tuttavia, mi propongo riferire più ampiamente appena possibile2 .

Sarò grato di qualche comunicazione per mia norma linguaggio3 .

1019.

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5849/46. l! Cairo, 1° giugno 1949, part. ore 2,03 del 2 (perv. ore 8,35).

Ho comunicato oggi stesso a questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri, in assenza ministro non ancora rientrato dall'America, testo dichiarazione ufficiale Governo italiano circa Tripolitania, illustrandola secondo le istruzioni di cui al telegramma di V. E. n. 4592/c. 1•

Sottosegretario ha letto attentamente dichiarazione e mi ha chiesto se essa presuppone mantenimento della richiesta di trusteeship sulla Tripolitania. Ha aggiunto che il noto punto di vista arabo circa unità e conseguente immediata indipendenza Libia ribadito ancora recentemente a Lake Success, non può subire modificazioni. Qualora dichiarazione Governo italiano significhi appoggio a queste precise aspirazioni, essa potrà costituire punto di partenza per futura intesa.

Ho risposto dichiarazione rappresenta una concreta nuova presa di posizione di buona volontà verso quelle popolazioni; in tal senso essa doveva essere interpretata. Giusta istruzioni ricevute, ho comunicato alla stampa europea ed araba testo dichiarazione.

1018 2 Vedi DD. 1021 e 1022.

3 Vedi D. l 044.

1019 1 Vedi D. 1000.

1020.

IL MINISTRO A PRAGA, VANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5888/34-35. Praga, 2 giugno 1949, ore 21 (perv. ore 7,30 del 3).

Mio telegramma n. 291 e precedenti2•

Clementis, che avevo chiesto di vedere fin dal 27 maggio, mi ha ricevuto stamane presente Dufek capo sezione Europa occidentale, elemento fiducia internazionale comunista.

Richiamando lettera da me precedentemente inviata in argomento, ho rilevato gravità espressioni onorevole Togliatti contro il Governo italiano usate per ben due volte in solenni manifestazioni ufficialmente organizzate. Ho ribadito smentita sue false asserzioni circa nostre presunte offese Cecoslovacchia, che data loro diffusione avevano erratamente informato pubblica opinione e potevano nuocere relazioni fra i due paesi.

Clementis ha risposto che non riteneva giustificata protesta perché discorsi erano stati pronunciati da deputato italiano. Egli doveva per contro lamentare che membri nostro Governo avevano attaccato Cecoslovacchia con espressioni offensive ed ha citato (senza però sapermi dare alcuna precisazione) discorso pronunciato mesi or sono da nostro ministro difesa, nonché discorso del presidente del Consiglio del 28 maggio u.s. a Firenze rilevando frase(« ... e schiavitù»)3 .

Ho risposto che discorso on. De Gasperi non conteneva alcuna offesa popolo cecoslovacco e polemizzava con arbitrarie affermazioni on. Togliatti circa situazione italiana. Clementis si è allora lamentato per violenza propaganda in slovacco di esponenti emigrazione attraverso R.A.I., organizzata a suo dire per fomentare disgregazione unità Cecoslovacchia, rilevando che essa avrebbe fatto anche apologia Tiso (mio telespresso n. 1092/607 del 30 maggio)4 . Ho risposto che R.A.I. è un ente autonomo non controllato dal Governo italiano e che d'altra parte radio governativa cecoslovacca attaccava riunione del Senato Italia. Ho concluso che, nonostante disparità vedute in presente episodio, mi auguravo nel comune interesse due paesi fatti del genere non avessero più a ripetersi.

Colloquio, per quanto svoltosi in tono personalmente cordiale, mi ha lasciato inequivocabile impressione rigidità della condizione particolare alla quale questi dirigenti sacrificano ogni interesse nelle buone relazioni con gli altri Stati.

l 020 1 Del 29 maggio, non pubblicato.

2 Vedi D. 997, nota l.

3 Frase incompleta nel testo. Nel discorso tenuto a Firenze il 28 maggio, rispondendo all'on. Togliatti, il quale aveva affermato di portare a Praga il saluto di un paese «dove ancora governano i reazionari che mantengono il popolo nella miseria e nella schiavitù», De Gasperi aveva osservato: «Miseria, schiavitù, sarebbero secondo Togliatti le condizioni del popolo italiano. Togliatti non è riuscito per mancanza di tempo[...] a fare quello che è stato fatto in Cecoslovacchia. Miseria ... schiavitù».

4 Non rinvenuto.

1021.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5933/429. Washington, 2 giugno 1949, part. ore 0,24 del 3 (perv. ore 14, l 0).

Mio 425 1•

Ho continuato sondaggi Dipartimento Stato circa reazioni a dichiarazione britannica e comunicato italiano.

Circa la prima permane tendenza sottolineare che dichiarazione resta nell'ambito rapporti fra potenza amministratrice e popolazione locale, senza quindi pregiudicare decisioni O.N.U.

Comunicato italiano ha trovato in complesso favorevole accoglienza, quale dimostrazione spirito conciliativo Governo italiano. Peraltro Dipartimento Stato appare preoccupato delle reazioni sfavorevoli che esso e soprattutto dichiarazione britannica risultano aver provocato non solo su nostra opinione pubblica ma anche in seno Governo. (In proposito Dunn ha qui riferito circa suo colloquio con presidente Consiglio2 nonché su reazioni di V.E. in conversazione con Mallet3).

Questa ambasciata, in mancanza istruzioni nonché in vista contraddizione fra interpretazioni «Ansa» ed odierna corrispondenza Cianfarra (vedi mio telegramma stampa 428)4 , mantiene necessaria prudenza. Tuttavia, con riserva dell'eventualità che il Governo italiano intenda riesaminare a fondo sua posizione indipendentemente da accordo Londra, si è messo qui in rilievo che azione amichevole americana dovrebbe orientarsi su seguenti linee:

l) nessun altro fatto nuovo dovrebbe essere creato, in Cirenaica o altrove, senza preventiva ed effettiva consultazione; 2) ogni consultazione sul problema nel suo insieme e nei suoi aspetti particolari dovrebbe aver luogo a quattro e non a tre o a due;

3) Governo italiano non ha preconcetta ostilità verso nessuna soluzione, neppure la più liberale, circa Tripolitania e Cirenaica, a condizione che diritti lavoro italiano siano rispettati e che posizione italiana in Tripolitania sia identica a quella britannica in Cirenaica5 .

Mentre riferisco più dettagliatamente per corriere con rapporto odierno6 , sarò grato istruzioni per mia norma di linguaggio7 .

1021 1 Vedi D. 1018.

2 Su tale colloquio non si è rinvenuto alcun documento, ma si vedano i riferimenti nei DD. 1058, nota 3 e 1095. 3 Vedi D. 996. 4 Del 3 giugno, non pubblicato. 5 Il giorno seguente Tarchiani aggiunse: «Qualora si ritenesse opportuno effettuare presso

Governo americano passi tendenti ottenere qualche garanzia nel senso indicato seconda parte mio telegramma citato, si potrebbe, a mio avviso, chiedere a Governo francese di associarvisi. Passi potrebbero essere fatti presso Acheson a Parigi oltre che presso Dipartimento Stato qui».(T. segreto 5949/431 del3 giugno).

6 Vedi D. 1022.

7 Vedi D. 1044.

1022

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 4589/2015. Washington, 2 giugno 1949 (perv. l '8).

Il comunicato contenente le dichiarazioni del presidente del Consiglio è stato consegnato al Dipartimento di Stato conformemente alle istruzioni di cui al telegramma di V.E. n. 288 del l o corrente1• La sua consegna ha offerto lo spunto per illustrare ancora una volta l'atteggiamento italiano su tutta la questione delle colonie nonché i riflessi prodotti su di esso dagli ultimi avvenimenti ed in particolare dalla dichiarazione britannica concernente la Cirenaica.

In sostanza (si è detto da parte nostra) vi è una questione di principio, sulla quale il Governo italiano non può transigere, per ragioni non soltanto di dignità nazionale, ma anche di giustizia e di politica internazionale: l'Italia ha il diritto e il dovere di partecipare alla soluzione dei problemi africani, qualunque sia l'impostazione che ad essi verrà data, nel campo dell'amministrazione fiduciaria, del graduale avviamento di taluni territori all'indipendenza, dello sviluppo economico delle regioni arretrate, ecc. Circa i modi, i tempi, i limiti di questa partecipazione, il Governo italiano ha dimostrato la sua larghezza di vedute dichiarandosi disposto ad accogliere molte soluzioni, anche dolorose per i sentimenti della nazione, ed infine approvando l'accordo, intervenuto fra V.E. e il ministro Bevin2 , che anteponeva ad ogni esigenza grettamente nazionalista il raggiungimento di una feconda intesa con la Gran Bretagna. Il comunicato di cui sopra (si è concluso) conferma che l'Italia non disconosce affatto le aspirazioni delle popolazioni africane. Del resto, sotto questo aspetto, esso si riallaccia alla proposta di creare in Tripolitania uno Stato indipendente, che era stata da noi fatta molti mesi fa e che è caduta, non per colpa nostra.

I funzionari del Dipartimento di Stato, dal nuovo Deputy Undersecretary Rusk fino ai più modesti, hanno concordemente ammesso la necessità che le principali potenze trovino un accordo prima della nuova Assemblea dell'O.N.U. onde evitare che in settembre si ripeta quanto è accaduto in maggio. Altrettanto concordemente, però, hanno affermato che il Dipartimento di Stato sta riesaminando tutta la questione e non ha, attualmente, idee precise sulle possibili basi di accordo. (In proposito, mi risulta che finora ha avuto luogo una sola riunione interna, nel corso della quale si è fatto un esame critico dell'atteggiamento americano durante l'ultima sessione dell'Assemblea, senza che ne sia scaturito alcun elemento positivo).

Si delinea quindi il pericolo che ancora una volta il Dipartimento di Stato, col pretesto di non avere formulato una precisa direttiva politica, resti muto fino alla apertura dell'Assemblea e poi si mantenga incerto e disorientato nel corso di essa. In

l 022 1 Il T. 4594/288 del 31 maggio, non pubblicato, conteneva le istruzioni di comunicare al Dipartimento di Stato il documento contenuto nel D. l 003. 2 Vedi D. 875.

realtà, in questa questione, il Governo americano è avviluppato in un groviglio pressocchè inestricabile di contraddizioni. I principi astratti, che spesso lo ispirano, lo indurrebbero a bruciare le tappe verso l'indipendenza totale delle regioni africane (e non soltanto di quelle che si trovavano sotto la sovranità italiana). D'altra parte le esigenze britanniche, le promesse fatte al negus e lo spassionato esame della situazione locale lo spingono a patrocinare soluzioni contrarie, quali l'assegnazione del trusteeship cirenaica alla Gran Bretagna e la annessione dell'Eritrea all'Etiopia. Infine, per quanto concerne gli aspetti particolarmente italiani del problema, il desiderio di farci cosa gradita cozza con il fondamentale convincimento che le colonie non sono di nessuna utilità per noi e che il nostro desiderio di ricuperarle, in qualsiasi forma e misura, ha una base puramente nazionalista.

Di fronte a questa ambiguità è relativamente facile per la Gran Bretagna migliorare progressivamente le sue posizioni, ad esempio manovrando il preteso malcontento degli arabi per mutare, di fatto o di diritto, lo status qua, oggi in Cirenaica e forse domani in Tripolitania. Al riguardo, la dichiarazione dell'amministratore britannico dinnanzi alla Assemblea cirenaica non è riuscita qui gradita, sia perché ha creato un fatto nuovo in un momento in cui il Dipartimento di Stato desiderava «riprender fiato», come pure perché se ne attende una reazione sfavorevole da parte francese. Tuttavia, si è fatto buon viso a cattivo gioco e ci si è limitati chiedere che la dichiarazione fosse emendata, con la sostituzione dell'espressione «self-government» alla parola «indipendenza». Peraltro il Dipartimento di Stato tiene a sottolineare che il documento, quantunque importante dal punto di vista politico, come manifestazione delle intenzioni inglesi, rimane nell'ambito dei rapporti fra la potenza amministratrice e la popolazione locale e non ha portata giuridica internazionale, perché ogni decisione sul futuro delle ex colonie italiane può essere adottata soltanto dalle Nazioni Unite. Questa interpretazione, che vedo oggi rispecchiata in un editoriale del New York Times (mio telegramma stampa odierno)3 tende evidentemente a predisporre la difesa dell'atteggiamento britannico contro gli attacchi, che non mancheranno di verificarsi, in seno alle Nazioni Unite nel corso della sessione di settembre.

Il comunicato italiano contenente le dichiarazioni del presidente del Consiglio ha avuto, nel complesso, un'accoglienza migliore. l nostri amici hanno visto in esso un'iniziativa felice, per dimostrare che l 'Italia non resta indietro alla Gran Bretagna nel patrocinare la graduale emancipazione dei paesi africani; e gli elementi meno benevolmente disposti verso di noi hanno mostrato di apprezzare il fatto che il Governo italiano non ha reagito sfavorevolmente ali 'iniziativa britannica e l'ha, invece, abilmente secondata.

A mio avviso la situazione sopradescritta contiene, vista nel suo insieme, taluni elementi preoccupati. La decisione britannica relativa alla Cirenaica costituisce indubbiamente, malgrado ogni diversa affermazione britannica e malgrado le interpretazioni americane, un'iniziativa unilaterale, che pone non soltanto noi ma anche le Nazioni Unite di fronte ad un fatto compiuto. Essa, inoltre, può preludere ad altre iniziative, unilaterali o quasi unilaterali, concernenti la Tripolitania. È vero che noi abbiano ormai dichiarato di non opporci alla aspirazione della Tripolitania di ottenere

l 022 3 Non pubblicato.

anch'essa il self-government; ma noi, a differenza degli inglesi in Cirenaica, non possediamo le garanzie inerenti al possesso materiale del territorio. Inoltre il gioco delle agitazioni locali, le reazioni degli elementi arabi che patrocinano l'unità della Libia ed infine le differenze di fatto fra la situazione della Cirenaica e quella della Tripolitania (presenza di elementi ebraici e italiani, minore compattezza degli elementi arabi, ecc.) potrebbero creare una situazione insostenibile, così da rendere praticamente impossibile il ristabilimento della nostra autorità in Tripolitania, anche nella forma più blanda. D'altra parte il delinearsi di una sempre più marcata tendenza verso l'indipendenza della Libia attenuerebbe le simpatie francesi verso la nostra causa. Ci troveremmo quindi, in settembre, in una posizione ancora più sfavorevole di quella in cui eravamo in maggio.

Tenuto conto di ciò, quest'ambasciata ha assunto un atteggiamento molto prudente nei suoi contatti col Dipartimento di Stato e con le rappresentanze straniere. Tuttavia penso che converrebbe non tardare a fare al Governo americano qualche precisazione ufficiale del nostro atteggiamento, sia perché il Dipartimento di Stato ne tenga conto nel formulare le sue nuove direttive come pure per evitare che ci venga più tardi imputata un'incertezza, della quale in realtà non siamo colpevoli.

La questione fondamentale consiste naturalmente nel decidere se ci consideriamo tuttora legati dall'accordo di Londra o se invece intendiamo rivedere sostanzialmente la nostra posizione. Tale revisione potrebbe consistere tanto nel ritorno a posizioni intransigenti (col rischio di andare incontro a soluzione più sfavorevoli e col vantaggio esclusivamente psicologico di subirle contro la nostra volontà anziché di avallarle col nostro consenso) quanto in un'impostazione del tutto diversa (ad esempio rinunciando ed esercitare un'autorità politica nelle nostre ex colonie e cercando di ottenere, in luogo di essa, le maggiori garanzie per la espansione del lavoro italiano in quei territori).

Per contro, qualora intendessimo mantenerci sulla posizioni d eli' accordo di Londra, ritengo converrebbe precisare al più presto a questo Governo i punti seguenti:

l) il Governo italiano ritiene di poter legittimamente pretendere che qualsiasi consultazione o esame di eventuali proposte avvenga a quattro (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia) su una base di reciproca lealtà e fiducia, anziché a tre o a due.

2) Nessun «fatto compiuto» dovrebbe essere creato unilateralmente, in Tripolitania o altrove, con pregiudizio di eventuali diverse soluzioni.

3) Il Governo italiano, non ritiene (in conformità, del resto, con le opinioni prevalenti in seno alle Nazioni Unite) che la Tripolitania e la Cirenaica siano mature per l'indipendenza o la semi-indipendenza immediata. Esso, tuttavia, non ha alcuna preconcetta ostilità contro eventuali decisioni in tal senso, a condizione che la posizione italiana in Tripolitania sia identica a quella della Gran Bretagna in Cirenaica.

4) Il Governo italiano annette la massima importanza alle clausole destinate a precisare, in concreto, lo speciale statuto delle città di Asmara e Massaua.

È mia opinione che queste precisazioni, se fatte in tempo e con sufficiente chiarezza, potrebbero difficilmente sollevare critiche da parte del Governo americano e potrebbero anzi influenzarlo favorevolmente.

1023.

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. SEGRETA. Alessandria, 2 giugno 1949.

Il caso ha voluto che, essendo oggi festa nazionale, mi trovassi ad Alessandria dove è giunta la tua lettera segreta n. 3/2369 di ieri 1 , a mezzo corriere Lai. Poiché fra un'ora devo consegnare il corriere in partenza domani con la stessa linea, a guadagno di tempo ti riferisco subito le mie prime impressioni in merito alla segnalazione di Gallarati Scotti.

Impressioni forzatamente affrettate e che mi riservo se del caso di completare e modificare in seguito, trattandosi di questione ovviamente delicata.

Ignoro anch'io chi possa essere la personalità araba cui si riferisce Gallarati Scotti2 . Comunque poiché il nostro ambasciatore a Londra ha creduto di segnalarci l'iniziativa, merita forse la pena di non scartarla senz'altro.

Se dunque si decide di entrare in tale ordine di idee, bisognerebbe far leva sui sentimenti ambiziosi del giovane sovrano, il quale ama atteggiarsi a supremo reggitore degli Stati arabi ed in questi ultimi tempi ha preso varie iniziative per cercare compromessi alle innumerevoli beghe che li dividono continuamente.

Non è certo che egli vorrà impegnarsi, ma potrebbe piacergli l'idea dejouer un grand role di mediatore tra l'Italia e l'Inghilterra da un lato e gli arabi dall'altro. Tanto più che so per certo che ricerca un compromesso con gli inglesi sull'annoso differendo anglo-egiziano. Da non dimenticare invece gli attriti attuali con gli Hascemiti. Risponde poi a verità l'asserzione del personaggio arabo di Londra che le relazioni tra Ibn Saud e Faruk sono ottime.

Quanto al tramite credo di avere la persona adatta e ti dico subito chi è. Si tratta del consigliere intimo del sovrano, che trascorre con lui intere giornate. Non c'è volta ch'io mi sono incontrato col sovrano senza ch'egli fosse presente, salvo nelle udienze private. A caccia, al mare, a teatro, ai pranzi, ai balli.

È stato recentemente nominato consigliere per la stampa e la radio, con alto rango di precedenza (in origine era un giornalista) e sua moglie, giovane e bella, è ora dama di Corte: nomina che non ha mancato di suscitare qualche scalpore. Si chiama Kerim Bey Tabet. Io credo che egli farebbe senz'altro ciò che gli chiedessi, salvo a sua volta a domandare poi una contropartita. E spara molto grosso, come fece recentemente quando domandai il suo intervento per aiutare gli ebrei perseguitati. Ma questa è cosa che si potrà sistemare. Egli ha anche l'intenzione, su mio suggerimento, di partire per l'Italia in vacanza, se il suo padrone glielo permetterà.

Avremmo quindi il tramite adatto che, come suggerito da Londra, è persona grata a Faruk, e non è né un diplomatico né un politico.

1023 1 Vedi D. 1010, nota l. 2 Vedi D. Il 00, nota 6.

Se quindi si decidesse di tentare questo passo, diamo per ammesso, il che naturalmente è tutt'altro che certo, che re Faruk, incoraggiato dal suo consigliere, accetti di adoperarsi con gli arabi per ricercare una soluzione gradita a noi e agli inglesi. Ma su quale base? Tu sai che è praticamente impossibile far recedere gli arabi dai loro postulati sulla Libia: <<Unità ed indipendenza» che ripetono cocciutamente senza voler ascoltare altre ragioni. Ancor ieri ho telegrafato il succo del mio lungo colloquio con Hassouna Pacha, dopo la solenne dichiarazione ufficiale del Governo italiano3 . Risposta dell'egizio: «indipendenza e unità». Per curiosità unisco il ritaglio della Bourse di stasera4 , che riporta l'intervista di Azzam Pacha sulla dichiarazione inglese circa il riconoscimento del senusso come supremo reggitore della Cirenaica.

Come vedi, egli e Boshir Saadawi sono totalmente intransigenti.

Mi domando quindi su quale formula si può incominciare a discutere visto che il trusteeship viene considerato come una forma di colonialismo, e l 'autogoverno come una presa in giro. Non dimentichiamo poi che, sulle predette basi, di approcci con gli arabi ne abbiamo di già fatti più d'uno, sempre con risultato negativo. Ricordo i primi colloqui di L. con Azzam nel 19465 , i miei con lo stesso Azzam la scorsa estaté', i miei ancora con Hassouna di quest'invemo7 , nei quali avevo lasciato intravedere la possibilità di una vasta intesa con gli arabi in tutti i campi. La Libia, anziché motivo di zizzania, doveva divenire l'anello di congiunzione. Dopo molto parlare, Hassouna incominciava ad abboccare, ma poi ci fu la reazione inglese e francese ad una possibile intesa italo-araba, e tu fosti costretto a farmi sapere di lasciar cadere. Hassouna non l'ha dimenticato, e me ne riparlava ancora ieri, manifestando il suo rincrescimento, e constatando quanto tempo e quante occasioni si erano perdute.

D'altro lato, è convinzione anche mia che nessuna soluzione soddisfacente al problema della Libia può essere raggiunta, se non d'accordo con gli inglesi ed arabi, accordo altrettanto necessario con quest'ultimi come con i primi.

In caso contrario, è da ritenere assai problematico il nostro ritorno in Libia, perché il nuisance value degli arabi può essere considerevole; e non vedo l'Italia democratica rientrare a Tripoli con la forza, sparando sulla folla. Se vogliamo sperare di stringere intese con gli arabi, soprattutto dopo il voto negativo di Lake Success, bisognerebbe ricercare coraggiosamente qualche nuova strada, ponendo l'accento sulle intese economiche più che sulle politiche.

E forse dopo tutte le limitazioni già imposte a Lake Success (trapasso all' Amministrazione italiana solo fra due anni, fine del mandato dopo otto anni, successivo conseguimento automatico dell'indipendenza), questa è la sola strada maestra che ci rimane aperta. Siamo in grado di intraprenderla? Ce lo consentirebbero l'opinione pubblica italiana e l'opposizione dei partiti all'interno? Ce lo permetterebbero Inghilterra e Francia, tuttora chiuse negli schemi ottocenteschi del colonialismo, che esse possono imporre perché sono potenze occupanti e dispongono della forza, e quindi in posizione ben diversa dall'Italia?

1023' VediD.l019.

4 Non si pubblica.

5 Vedi serie decima, vol. V, D. 353.

6 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 293.

7 Vedi DD. 142 e 647.

Ecco gli interrogativi ai quali io non saprei rispondere, trattandosi di questioni di Governo. Ma, a mio modesto avviso, la strada è questa, se vogliamo evitare nuove delusioni ed amarezze8 .

1024.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE RAPPRESENTANZE PRESSO GLI STATI MEMBRI DELL'O.N.U.

TELESPR. SEGRETO 3/2383/c. Roma, 3 giugno 1949.

Riferimento: Telespresso di questo Ministero n. 3/225/c. del22 gennaio 1949 1•

Col telespresso citato in riferimento questo Ministero aveva, all'approssimarsi della recente sessione dell'Assemblea generale dell'O.N.U. a Lake Success, impartito a codesta rappresentanza le direttive e istruzioni da seguirsi per la trattazione con codesto Governo della questione di cui è oggetto. In particolare, dopo che da parte anglo-francese non si era ritenuto di dar corso alle proposte da noi avanzate per la immediata costituzione in Tripolitania di uno Stato a regime contrattuale, e nella mancanza di qualsiasi intesa con il Governo britannico, questo Ministero aveva indicato come linea di azione da mantenersi inalterata, sino al momento in cui fosse stato possibile il raggiungimento di un compromesso, l'abbinamento della questione della Cirenaica con quella della Tripolitania. L'intransigente atteggiamento assunto dalla Francia e dalla grande maggioranza delle Repubbliche amiche dell'America latina consentì alla nostra azione diplomatica di conseguire il risultato propostoci in quanto col compromesso di Londra del 6 maggio, il Governo britannico, in cambio del nostro riconoscimento degli interessi della Gran Bretagna in Cirenaica, si indusse a riconoscere i nostri interessi in Tripolitania.

Sono note, attraverso le comunicazioni telegrafiche di questo Ministero, le vicende della raccomandazione che sulla base dell'accordo italo-inglesc suddetto era stata presentata ali' Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Dopo il voto all'Assemblea questo Ministero, pur ritenendo che l'accordo di Londra non avrebbe potuto essere ripresentato a settembre sic stantibus considerò importante salvaguardare lo spirito dell'accordo stesso in quanto esso costituiva un tentativo di collaborazione italo-britannica nella soluzione del problema delle ex colonie, collaborazione che, anche a fini di politica generale, appariva utile e necessario poter continuare. Era d'altra parte evidente che occorreva ispirarsi a formule nuove. Ed è per questo che contemporaneamente alla dichiarazione del Governo britannico relativa alla Cirenaica, di cui si allega il testo2 , è stata emanata da parte del

1023 8 Con L. segreta 3/2496 dellO giugno Sforza trasmetteva parzialmente a Gallarati Scotti questa lettera e concludeva: «Le considerazioni e gli interrogativi di Fracassi non mancano di fondamento. È, d'altra parte, evidente che dovremmo interessare Faruk possibilmente dopo di aver concordato con gli inglesi le linee generali almeno di un progetto per la Tripolitania».

l 024 1 Vedi D. l 00, nota l.

2 Vedi D. 993.

Governo italiano la dichiarazione relativa alla Tripolitania di cui al telespresso di questo Ministero n. 3/23783 .

La dichiarazione italiana tiene ovviamente conto delle differenze di fatto esistenti fra la situazione della Gran Bretagna in Cirenaica e in Libia in genere, e la situazione dell'Italia in Tripolitania. Mentre infatti la Gran Bretagna occupa ed amministra di fatto il territorio ed è in grado di organizzare tale amministrazione in modo da accedere a determinate e limitate e graduali concessioni, ben diversa è la posizione dell'Italia. Inoltre del tutto differente è la situazione politico-sociale nei due territori. Infatti in Cirenaica quasi tutta l'organizzazione del paese ha per base la tribù e fa capo ad una istituzione di tipo monarchico-teocratico che può costituire l'ossatura di una formazione statale. Invece in Tripolitania nulla esiste di simile mentre il grado di evoluzione raggiunto dalla popolazione del territorio e le caratteristiche sociali ed etniche di questo, pongono problemi di indole diversa e richiedono sia un sistema di governo più moderno, sia la sua costituzione attraverso forme di normale democrazia. Del resto già quando la Tripolitania era una colonia di diretto dominio, aveva ottenuto, nell919, dal Governo italiano, l'istituzione del Parlamento.

La dichiarazione del Governo italiano mira dunque alla creazione in Tripolitania, attraverso libere elezioni, di un Governo rappresentativo di tutti i gruppi etnici, col quale sia possibile negoziare e stringere liberi accordi di cooperazione. Essa viene così incontro ai desideri delle popolazioni superando ogni superstite forma di regime coloniale.

Naturalmente non è nelle nostre intenzioni di compiere alcunché che possa pregiudicare l'unità della Libia come tale.

V.E. (VS.) vorrà valersi delle informazioni e dei chiarimenti che precedono nelle sue conversazioni con codesto Governo e con codesti ambienti.

1025.

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1833/298. Montevideo, 3 giugno 1949 (perv. i/9).

Riferimento: Telegrammi nn. 4591/c. e 4593/c. in data l 0 corrente1•

Ho oggi eseguito il passo di cui ai telegrammi indicati in riferimento.

Questo ministro degli affari esteri, Daniel Castellanos, al quale ho consegnato la nota di cui invio qui unita copia2 , ha ricevuto il mio passo con la consueta cortesia ed attenzione, affermandomi essere sua opinione personale che il Governo uruguayano

1024 3 Vedi D. 1003. 1025 1 Vedi DD. 1003, nota 2 e 1001. 2 Non pubblicato.

avrebbe favorevolmente accolto le dichiarazioni del presidente del Consiglio italiano e confermato il suo cordiale appoggio a tale nuovo orientamento relativo alle ex colonie italiane.

A mia richiesta mi ha assicurato di portare al più presto a conoscenza degli altri membri del suo Governo il tenore del passo predetto, e mi ha promesso di darmi quindi una più precisa risposta.

Ho ringraziato il ministro Castellanos dell'accoglienza che egli aveva voluto riserbarmi anche in questa occasione. Mi affretterò a riferire a codesto Ministero le ulteriori precisazioni che mi saranno fomite circa l'atteggiamento del Governo uruguayano.

1026

IL MINISTRO A PRAGA, VANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1111/618. Praga, 3 giugno 1949 (perv. il 13).

Trasmetto, qui unito, un sunto 1 , quale riportato da questa stampa, del discorso pronunciato il 27 corrente dal ministro degli affari esteri Clementis al IX Congresso del partito comunista cecoslovacco (mio telespresso n. 1108/615 del30 maggio)2 .

In tale discorso il ministro degli esteri ribadisce il vecchio slogan delle «difficoltà» che prima del colpo di Stato avrebbero fatto i ministri «reazionari cecoslovacchi» per impedire il riavvicinamento del loro paese all'Unione Sovietica, alla Polonia ed in genere a tutte le nazioni «progressiste», nonché dei tentativi da loro compiuti per ottenere che esso si legasse invece con l'Occidente. Ciò che avrebbe indebolito il sistema difensivo cecoslovacco e privato il paese della sua indipendenza e del diritto di instaurare il regime socialista.

A tale proposito Clementis ha ricordato le vicende della mancata stipulazione del trattato d'alleanza con la Francia e della mancata integrazione della Cecoslovacchia nel piano Marshall.

Nei confronti del primo egli ha affermato che il suo Governo aveva adottato un atteggiamento negativo, in quanto la Francia non aveva voluto accondiscendere ad includere la clausola del reciproco impegno ad un aiuto immediato ed automatico nel caso di aggressione della Germania o di suoi eventuali alleati, come è invece stato fatto per tutti gli altri trattati d'alleanza stipulati dalla Cecoslovacchia nel dopoguerra.

Questo passo del discorso è una chiara manifestazione delle attuali disposizioni di questo Governo verso la Francia. Le relazioni tra i due paesi, almeno da quanto posso di qui giudicare, sono andate in questi ultimi tempi sempre peggiorando; ed a questa ambasciata

1026 1 Non pubblicato. 2 Vedi D. 997.

francese si lascia intendere che è per tale ragione che, dopo il trasferimento dell'ambasciatore Dejean, il Governo di Parigi non dimostra alcuna fretta a nominare il suo successore.

D'altra parte, nei circoli governativi cecoslovacchi, la politica filo-francese d'anteguerra è oggi aspramente criticata. La Piccola Intesa-si dice-creata apparentemente in funzione anti-magiara altro non era, in realtà, se non uno strumento delle ambizioni espansionistiche della Francia, che nulla ha poi fatto per la Cecoslovacchia quando nel 1938 è stata attaccata dalla Germania.

Nei confronti del piano Marshall il ministro Clementis-ed è questa la parte più interessante del suo discorso-cerca di giustificare l'adesione a partecipare alla Conferenza di Parigi data in un primo tempo dal Governo cecoslovacco, di cui, come si ricorderà, facevano parte vari ministri comunisti. In sostanza egli afferma non avere avuto tale accettazione che lo scopo di accertare che il piano doveva effettivamente attribuire un ruolo importante alla Germania occidentale, essere concluso al di fuori delle Nazioni Unite e sancire il principio dell'intervento negli affari interni dei partecipanti. Dopo avere constatato ciò, la Cecoslovacchia si sarebbe clamorosamente ritirata dalla Conferenza, con la speranza che anche altri avrebbero fatto altrettanto3 .

Purtroppo, ha detto il ministro, la nostra adesione è stata interpretata come un atto di opposizione all'Unione Sovietica; ciò che ha chiarito subito quali dovevano essere i reali scopi del piano ed ha reso inutile la nostra andata a Parigi.

Dopo aver accennato alla collaborazione con l'Ungheria e con gli altri Stati democratico-popolari, il ministro ha, naturalmente, attaccato il Patto atlantico e conchiuso il suo dire affermando che l'attuale crisi internazionale non sboccherà in una guerra, perché gli occidentali sono tra loro divisi e non possono contare sull'appoggio di larghe masse di popolo.

1027

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, GUASTONE BELCREDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5981/23. Teheran, 4 giugno 1949, ore 14 (perv. ore 17). Telegramma di V.E. 4592/c. 1•

Ho fatto a questo Governo richiesta comunicazione. Questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri, al quale ho illustrato nostra decisione circa Tripolitania, si è mostrato profondamente colpito e mi ha detto che egli ritiene che le nostre dichiarazioni ispirate a grande saggezza politica non soltanto contribuiranno a riavvicinamento Italia con il mondo arabo ma eleveranno prestigio italiano in tutto bacino Mediterraneo e Medio Oriente.

1026 3 Vedi serie decima, vol. VI, D. 192. 1027 1 Vedi D. 1000.

Sottosegretario mi ha promesso che avrebbe provveduto diffondere in questi circoli politici e questa stampa nostre dichiarazioni.

1028

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5997/434. Washington, 4 giugno 1949, ore 15 (perv. ore 22,40). Mio 43P.

Da informazioni raccolte presso questa ambasciata britannica apprendo che Governo inglese non (dico non) si considera legato da accordo di Londra, ritenendolo automaticamente divenuto inoperante non appena soluzione in esso prospettata fu respinta da Nazioni Unite.

Ciò non escluderebbe, a mio avviso, opportunità intervenire qui nel senso da me indicato onde possibilmente evitare che situazione sia ulteriormente pregiudicata da altre iniziative unilaterali o da intese a due o a tre cui fossimo estranei2 .

1029

L'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, GIARDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6009/30-31. La Paz, 4 giugno 1949, ore 17,52 (perv. ore 7,35 del 5).

Questo sottosegretario per gli affari esteri mi ha comunicato che redazione protocollo collaborazione e amicizia itala-boliviano è ormai quasi pronta per cui firma dello stesso, dopo approvazione testo da parte di codesto Ministero, può prevedersi prossima. Interpretando desiderio di questo Ministero degli affari esteri e dello stesso presidente della Repubblica, permettomi sottoporre apprezzamento di V.E. opportunità e possibilità che protocollo venga firmato La Paz da alto rappresentante codesto Ministero inviato espressamente da Roma. Visita ufficiale Bolivia speciale rappresentante oltre sollevare grande entusiasmo in questi ambienti costituirebbe gesto inapprezzabile significato essendo essa la prima che si verifica nella storia relazioni diplomatiche itala-boliviane. Maggiormente gradita tornerebbe a questo Governo in

1028 1 Vedi D. 1021, nota 5. 2 Per la risposta di Zoppi vedi D. l 044.

quanto Bolivia, per ragioni in gran parte dovute alla sua situazione geografica, venne sempre omessa in visite effettuate paesi Sud America da nostre personalità ufficiali, il che ha evidentemente qui suscitato certo senso rammarico di cui permangono tracce e che nel nostro interesse converrebbe dissipare.

Atteggiamento a noi favorevole assunto Bolivia O.N.U., questioni che abbiamo in corso con questo Governo, tra cui principali sono trattato di commercio e accordo immigrazione, fanno sì che visita auspicata tornerebbe utilissima ogni punto di vista mentre nello stesso tempo rappresenterebbe migliore omaggio ad un paese che costituisce insospettabile campo molteplici attività italiane e di cui penso convenga consolidare in tempo utile simpatia ed amicizia.

Rappresentante eventualmente inviato potrebbe presenziare altri atti pubblici quali insediamento solenne centro culturale itala-boliviano; inaugurazione edificio nuovo club italiano e possibilmente anche Camera di commercio, oltre altre manifestazioni minori.

Visita potrebbe aver luogo entro luglio p.v. o anche prima se V.E. lo riterrà opportuno'.

1030.

L'AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6011/20. Città del Messico, 4 giugno 1949, ore 18,19 (perv. ore 8,30 del 5).

Ho effettuato comunicazione di cui ai telegrammi di V.E. 4591 e 4593/c. 1 .

Questo ministro degli affari esteri ad interim, confermandomi costante simpatia del Governo degli Stati Uniti messicani per indipendenza popolazioni coloniali, mi ha espresso suo accordo di massima riservandosi naturalmente esame più approfondito, a suo tempo, iniziativa italiana.

1031.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO

L. PERSONALE 3/2416. Roma, 4 giugno 1949.

Quanto riferisci con la tua lettera n. 1615/327 del 21 maggio u.s. 1 è esatto: la delegazione indiana a Lake Success non si è certo comportata bene nei nostri riguardi.

1029 1 Per la risposta vedi D. 1065. 1030 1 Vedi DD. 1003, nota 2 e 1001. 1031 1 Vedi D. 965.

A parte infatti la mozione da essa presentata per un trusteeship collettivo diretto (inutile ed inopportuna, giacché al punto in cui erano le cose non poteva che generare confusione), nelle votazioni finali si è astenuta per la questione della Cirenaica, del Fezzan e dell'Eritrea ed ha votato «no» nelle questioni della Tripolitania e della Somalia; in altre parole, come tu stesso rilevi, essa si è servita del pretesto «degli interessi delle popolazioni native» soltanto per respingere le proposte di un mandato italiano.

Che tale atteggiamento sia in parziale contrasto con le istruzioni che la delegazione aveva ricevuto e quali siano stati i motivi che l'abbiano indotta a ciò (non è ancora giunto il rapporto di Mascia sulla condotta delle varie delegazioni), è cosa che non riguarda noi, ma codesto Ministero degli esteri. Noi dobbiamo prendere atto che il rappresentante ufficiale del Governo indiano, in una questione in cui l'India non era in alcun modo direttamente interessata e che invece per noi era di somma importanza, ha rivelato nei nostri riguardi una precisa ostilità, più marcata ancora di quella dei paesi arabi, giacché costoro hanno almeno votato «no» sistematicamente per un principio pregiudiziale. Non mancare di farlo rilevare nella debita forma a codesto ministro degli esteri quando se ne presenterà l'occasione, facendo comprendere che le postume espressioni di rincrescimento dell'ambasciatore Menon non possono compensare le conseguenze del voto negativo della delegazione indiana.

È inutile che aggiunga che nulla in quanto precede deve essere interpretato come un biasimo nei tuoi riguardi, giacché sono convinto che hai fatto tutto il tuo possibile per il meglio.

Dal telespresso circolare 3 corrente n. 3/2383/c.2 trarrai istruzioni per quanto riguarda l'azione da svolgere presso codesto Governo circa la Tripolitania; ad esso seguirà altro dispaccio sull'Eritrea3 .

1032.

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

RELAZIONE. Roma, 4 giugno 1949.

Lo scopo del presente rapporto non è di fare ancora una volta, e neppure di riassumere, la storia delle discussioni svoltesi innanzi alle Nazioni Unite per le colonie italiane, storia che è stata già fatta, minutamente e copiosamente, con i telegrammi quotidiani della delegazione, bensì di tentare un'analisi dei dati raccolti nel corso di queste discussioni e di prospettarli a V.E. come uno dei possibili elementi di giudizio per le sue future decisioni.

Il lungo dibattito, durato più di sei settimane, si divide logicamente in due fasi ben distinte: la prima anteriore all'accordo di Londra1 la seconda posteriore ad esso,

1031 2 Vedi D. 1024.

3 Vedi D. 1134, nota 4.

1032 1 Vedi D. 875.

tutta dominata dallo sforzo di realizzarlo, e, dalla parte opposta, di contrastarne la realizzazione, nell'ambiente delle Nazioni Unite.

È molto difficile poter dire ora, con serenità, quale sarebbe stato il risultato delle discussioni se l'accordo di Londra non fosse intervenuto. A parte le tesi minori (indipendenza immediata per la Libia, trusteeship collettivo delle Nazioni Unite) sostenute per impegno ideologico o per manovra politica, ma le une e le altre senza la minima convinzione di un successo pratico, sono state in contrasto, durante le prime quattro settimane del dibattito, due soluzioni principali: la prima, quella inglese, che mirava a conferire immediatamente alla Gran Bretagna il mandato sulla Cirenaica, all'Italia quello sulla Somalia, e a spartire l'Eritrea tra Etiopia e Sudan (tralascio per brevità tutte le sfumature della complessa formulazione); la seconda soluzione, quella sostenuta dal gruppo latino-americano, che in sostanza, vista l 'impossibilità di arrivare a una conclusione pratica, suggeriva il rinvio generale di tutte le questioni coloniali, ma con formula tale da stabilire chiaramente il diritto dell'Italia a intervenire nelle decisioni relative a ciascun territorio.

L'accordo di Londra, come è noto, è intervenuto prima che alcuna di queste soluzioni andasse alla prova del fuoco. Ogni osservatore imparziale deve però riconoscere che tanto l'una che l'altra, a meno di elementi nuovi, imprevisti, e di carattere decisivo, erano destinate ali 'insuccesso. Il progetto latino-americano, infatti, oltre alla ostilità immancabile della Russia e dei suoi satelliti c quella difficilmente superabile del gruppo arabo c di quello asiatico, incontrava anche la decisa opposizione inglese, un'ostilità basata teoricamente sull'impegno preso dal Governo inglese di non riammettere, in nessuna forma, l'Italia in Cirenaica ma ispirata, forse, dalla segreta speranza di poter ottenere il mandato sulla Cirenaica senza farci nessuna concessione, oltre quella già scontata della Somalia, né in Tripolitania né in Eritrea.

Per quanto riguarda il progetto di risoluzione inglese, gli avvenimenti hanno dimostrato chiaramente che esso non aveva la minima probabilità di ottenere i due terzi dei voti. E di ciò, a onor del vero, la delegazione britannica si è sempre mostrata convinta; ma una cosa è ostentare, a parole, una convinzione che può avere anche per scopo di addormentare la diffidenza altrui c di rendere così più facili le proprie manovre, un'altra cosa è esserne veramente, sinceramente, intimamente persuasi. Se così fosse stato, infatti, perché la risoluzione sarebbe stata mandata avanti, presentata ufficialmente e, nella misura del possibile, appoggiata con tutta l'influenza politica di cui il Governo inglese dispone?

La verità è che, al momento in cui è intervenuto l'accordo di Londra, ci si trovava in una fase già avanzata, ma non ancora conclusiva del dibattito, e gli inglesi potevano ancora sperare, ma cominciavano già a disperare, che gli americani prestassero loro man forte, e in modo decisivo. Il pernio della situazione è infatti sempre stato, sin dal primo momento, nell'atteggiamento americano; questo, grazie sopratutto alla notevole influenza personale che VE. ha esercitato su Foster Dulles, è rimasto «morbido», perplesso di fronte alla complessità del problema, indeciso nell'azione, in buona parte favorevole a noi, irritato verso l 'intransigenza inglese. Ma gli inglesi non si scoraggiano mai, e d'altra parte conoscono a perfezione l'arte difficile di trattare gli americani, di farli sortire improvvisamente dal loro riserbo per gettarsi, con tutta l'energia e la noncuranza dei precedenti che li distinguono, nella tesi abbracciata all'ultimo momento. Questa può essere dunque la spiegazione del calcolo inglese,

che altrimenti non farebbe senso; una «sortita» in forza degli americani, avrebbe potuto infatti, almeno in teoria, rompere il fronte latino-americano e guadagnare alla tesi inglese quella maggioranza di due terzi che era così lontana dal riunire.

Si potrà dire a questo proposito che tutte queste sono speculazioni, visto che, dopo tutto, l'accordo di Londra c'è stato ed ha alterato profondamente tutta la situazione; e che per di più gli avvenimenti successivi hanno dimostrato che il progetto inglese originario, rebus sic stantibus, almeno nella sua parte essenziale e che premeva più al Governo di Londra, cioè l'aggiudicazione immediata della Cirenaica, è stato sonoramente battuto in Assemblea generale con 37 voti contrari.

Ma lo scopo dell'analisi di questa prima parte del dibattito, cioè di quella precedente l'accordo di Londra, è appunto di arrivare ad un'obiettiva valutazione di quanto è avvenuto nella seconda fase. Ora, è esatto di dire che in Assemblea generale l'Inghilterra ha avuto la riprova della propria impotenza a conseguire i suoi scopi soltanto con le proprie forze (cioè senza accordo con l'Italia e conseguente apporto dei voti latinoamericani, oppure, in ipotesi subordinata, senza risolutivo intervento americano al proprio fianco); ma per il gioco naturale degli avvenimenti, questa riprova è stata ottenuta non isolatamente ma contemporaneamente alla verificata constatazione dei limiti del nostro compromesso, e, quello che è più grave, contemporaneamente alla riprova della nostra impotenza a conseguire i nostri obiettivi, pur con l'appoggio inglese, cioè con l'apporto dei voti, pochi o molti che siano, che l'Inghilterra ci può apportare.

Ciò premesso, si può ora esaminare con maggiore serietà di metodo e larghezza di vedute le caratteristiche e la portata della votazione effettuata in Assemblea generale il mattino del 18 maggio. La prima deduzione logica che si può trarre da tutto quanto è stato detto più sopra è che l'accordo di Londra costituisce il primo, e sinora l'unico, tentativo serio di risolvere la questione delle colonie italiane. Sinché questo era trattato unicamente dalle quattro grandi potenze, cioè da organismi che, rappresentandole e rappresentando soltanto loro, erano obbligati a pre11dere le proprie decisioni ali 'unanimità, ogni possibilità di accordo, nonostante tutte le fantasie dei giornali, è stata sempre categoricamente esclusa. La questione che ci interessava rientrava, e non tra le maggiori, nel numero considerevole di tutte quelle che il disaccordo tra Russia e Stati Uniti rende automaticamente insolubili. Di qui, forse, la tendenza a considerare l' «insolubilità» del problema coloniale come una manifestazione unica del dissidio tra le grandi potenze; eliminato e superato il quale, per accorgimento di procedura e virtù di accordo, la soluzione sarebbe divenuta improvvisamente facile a trovare e a realizzare.

Partendo da questo ragionamento, e trasferito il problema ali' Assemblea generale delle Nazioni Unite, cioè in una sede dove l'opposizione russa conta soltanto per sei voti c può dunque essere superata, è sembrato a tutti che bastasse mettere d'accordo Italia e Inghilterra, cioè, in termini di votazione, riunire il contingente dei voti latino-americani e quello anglo-americano per ottenere la vittoria; e che il calcolo fosse quasi giusto per approssimazione è dimostrato del resto dallo strettissimo margine della sconfitta.

Purtroppo il problema delle nostre colonie è uno dei pochissimi -tra questi certamente il più importante -per il quale la frontiera che divide i due campi non corre secondo il consueto, regolare tracciato che tutti conosciamo e in coincidenza con la linea Stetti no-Trieste; è invece una frontiera frastagliata, e in alcuni punti in deeisa, che include questo Stato e lascia fuori quell'altro, ma che, almeno nelle posizioni negative, riunisce al blocco slavo il gruppo arabo compatto e la grande maggioranza di popoli asiatici e di colore. Ogni discussione taccagna su questo o su quel voto non può sopprimere il fatto generale: che i popoli arabi e di colore sono violentemente anti-colonialisti e, in particolare, violentemente avversi all'Italia; di conseguenza qualsiasi soluzione patrocinata dali' Inghilterra e dali' America, e a noi contraria, riunirà probabilmente in un blocco unico i latino-americani e gli slavi, ma qualsiasi soluzione che tenda a dare soddisfazione alle aspirazioni italiane in Africa, che sia appoggiata o no dagli anglo-americani, riunirà sicuramente gli slavi agli arabi e ai popoli di colore. Come il delegato siriano ha fatto giustamente rilevare, questa volta, forse per la prima volta, si sono trovati di fronte continenti interi; da una parte l'Europa occidentale e le due Americhe, e dali' altra parte l'Asia e l'Africa. Vi sono naturalmente, in un campo e nell'altro, delle eccezioni; ma sono appunto eccezioni, isolate, dovute a cause specifiche ben note, locali e in genere transitorie. Il fenomeno generale rimane, e ha natura e portata storica.

Di fronte a queste constatazioni l'analisi numerica della votazione del 18 maggio ha un'importanza soltanto secondaria. Tuttavia può essere utile, qualora il Governo ritenesse opportuno, e fosse obiettivamente possibile, ritentare la prova a settembre, o ad altra sessione, partendo da posizioni sostanzialmente identiche.

Premetto che soltanto la votazione sulla Tripolitania, avvenuta per prima tra quelle che ci riguardano direttamente, è, a mio parere, veramente normativa. Caduto quel paragrafo della risoluzione generale, le votazioni dei paragrafi successivi sono risultate scoordinate e confuse; sino alla votazione sulla risoluzione nel suo insieme nella quale il gruppo latino-americano ha, con ammirevole e ammirata precisione, eseguito quella difficile conversione di fronte che ne ha provocato la sconfitta con 37 voti contrari. Tuttavia le votazioni per la Tripolitania e la Somalia presentano caratteristiche distinte, non soltanto quantitative ma anche qualitative, che vanno notate e, naturalmente, poste a raffronto con la votazione per la Cirenaica.

Tripolitania. La votazione è stata: 33 in favore, 17 contro, 8 astenuti. Il Siam, la Turchia, la Liberia e l'Etiopia che avevano votato in favore della Cirenaica, si sono astenute. Le Filippine che si erano astenute per la Cirenaica, hanno votato contro. Il Guatemala, che aveva votato contro la Cirenaica, ha votato in favore; Israele, che aveva fatto altrettanto per la Cirenaica, si è invece astenuto.

A mio parere soltanto l 'Etiopia dovrebbe essere, quasi sicuramente, convertibile. E in teoria sarebbe già sufficiente, giacché per la Tripolitania mancava soltanto un voto, a condizione naturalmente che in una nuova votazione non si abbiano sorprese da altre parti.

Somalia. La votazione è stata: 35 in favore, 19 contro, 4 astenuti; cioè due di più a favore, ma anche due di più contrari che per la Tripolitania. Hanno votato a favore il Siam e la Turchia, che per la Tripolitania si erano astenuti; ma hanno votato contro l'Etiopia e la Liberia che si erano astenuti per la Tripolitania.

È questo il caso più grave perché, francamente, non si vede dove potrebbe verificarsi lo spostamento indispensabile, e suscettibile di rovesciare la situazione. Forse la Liberia, se lavorata più attivamente e se preventivamente soddisfatta nella sua strana pretesa circa la durata del nostro mandato; forse Haiti, il cui delegato ha sempre votato contro, ma anche, a quanto si dice, contro le istruzioni del proprio Governo.

Non certamente l'Etiopia, alla quale non si può chiedere di votare a favore di un mandato nostro su una regione sulla quale, essa stessa, ha avanzato delle pretese. Gli astenuti appaiono irremovibili dalla loro astensione.

Comunque conviene tener conto del fatto che le Nazioni Unite sono un paesaggio politico che offre pochissime regioni inesplorate, pochissime sorprese. Si pensa, si ragiona, si vota per blocchi; esistono naturalmente delle posizioni marginali, suscettibili di fluttuazioni e perciò di spostamento manovrato. Ma saranno sempre posizioni contrastate, e pertanto malsicure, attratte da una parte dalle forze naturali che agiscono nella loro orbita, dall'altra parte dalle influenze politiche locali, in buona parte transitorie, che possono determinarne una deviazione dalla propria parabola. Un buon esempio è offerto dall'Haiti. Paese di cultura francese, di posizione geografica latino-americana, di razza negroide, la sua ubicazione politica, almeno in un problema che mette in gioco tutti questi elementi, e sopratutto gli ultimi due che sono i decisivi, è necessariamente incerta. Si è detto che le istruzioni del presidente della Repubblica erano di votare incondizionatamente in nostro favore; la condotta del delegato dimostra come, con l'aiuto della scarsa disciplina statale che ci si può attendere da un paese come l'Haiti, uno degli elementi abbia soverchiato l'altro. Può darsi che la prossima volta prevalga l'elemento opposto; ma la stessa eventualità, quello che è accaduto e quello che può accadere, dimostra quanto l'esito sia aleatorio. Qualcosa di analogo può dirsi dell'Iran, dell'Afghanistan, del Libano, del Siam, della Liberia, delle Filippine.

Ora, la cosa è tanto più grave in quanto, dato lo schieramento insufficiente dei blocchi avversi, sono soltanto le posizioni marginali quelle che possono determinare la vittoria o la sconfitta; e sono per di più posizioni sulle quali noi, Italia, non abbiamo nessuna possibilità di influire, e per le quali, per l'azione da svolgere su di esse, dobbiamo affidarci e fidarci interamente degli altri, dell'Inghilterra e degli Stati Uniti. Né il problema, d'altra parte, è di semplice votazione: perché è chiaro che, anche qualora si ottenesse la vittoria, il suo strettissimo margine lascerebbe inalterata e compatta una forte opposizione che approfitterebbe di ogni nostra (probabile) disavventura coloniale per crearci delle difficoltà che potrebbero esserci facilmente fatali.

Arrivati a questo punto, è però necessario affrontare la questione sostanziale: cosa fare per l'avvenire, come intende il Governo impostare, in termini di politica estera e in termini di politica interna, il problema delle nostre ex colonie?

Tre possibilità principali si presentano alla mente: l) ritentare la prova partendo da posizioni pressoché identiche; 2) fare un «nuovo accordo di Londra», su nuove basi, e cercare di realizzarlo nel quadro delle Nazioni Unite; 3) prendere in considerazione e promuovere soluzioni interamente diverse che, almeno per la Libia e l'Eritrea, non possono essere altro che l'indipendenza di questi territori, in una forma

o nell'altra, e con le dovute garanzie per le comunità italiane.

Ora, per affrontare l'esame di queste varie possibilità, occorre anzitutto accertare quanto rimanga, allo stato attuale delle cose, dell'accordo fra V.E. e il ministro Bevin. Con il suo ultimo telegramma del 18 maggio2 , subito dopo l'esito della votazione, la delegazione esprimeva il parere che, giuridicamente, l'accordo stesso era

1032 2 Vedi D. 948.

caduto. Questo infatti era un impegno reciproco di sostenere, con forze riunite, innanzi all'O.N.U. una soluzione concordata nelle sue singole parti e nel suo insieme. Caduta questa soluzione, in linea giuridica cade anche l'accordo, con l'aggravante, si può osservare, che l'Inghilterra, votando in favore della risoluzione generale dopo che erano caduti i paragrafi della Tripolitania e della Somalia, ha in realtà mancato al suo impegno quando questo ancora sussisteva.

Ma le considerazioni giuridiche, in materia così chiaramente politica, valgono sino ad un certo punto. Il merito inestimabile e permanente dell'accordo di Londra è proprio quello di aver salvato, in un momento particolarmente difficile perché all'indomani della firma del Patto atlantico, la solidarietà fra le potenze occidentali e, in modo particolare, di aver messo le relazioni italo-inglesi al riparo di una crisi che, in quelle circostanze, avrebbe potuto riescire fatale. L'accordo potrebbe c dovrebbe pertanto sopravvivere al naufragio della sua formula originaria dinanzi alle Nazioni Unite; e la sua sopravvivenza, al di là e al di sopra delle vicissitudini societarie e dello stesso problema coloniale, è anzi condizione indispensabile per il successo delle due prime, e altamente desiderabile per il successo della terza, delle tre soluzioni prospettate più sopra. È anche però qualcosa che non possiamo decidere da soli; occorrerà accertare in modo indubitabilc se, e quanto, l'Inghiltena concoiTa anch'essa in questo nostro desiderio.

Ammesso, comunque, che questo desiderio esista, in modo positivo, anche da parte inglese, si esamini la prima ipotesi, quella cioè di un nuovo tentativo basato su una formula pressoché simile. Un tale tentativo potrebbe essere giustificato, evidentemente, soltanto dal fatto che questa volta la preparazione è stata, per forza di cose, frettolosa, e il margine della sconfitta molto piccolo; un solo voto per la Tripolitania, tre per la Somalia.

È mia sincera convinzione che gli inglesi abbiano lavorato in buona fede per il successo della risoluzione; non posso tuttavia disfarmi dell'impressione che, nonostante che la cosa sia stata loro ripetuta a sazietà, con la massima possibile insistenza e chiarezza, alcuni membri della delegazione, nel loro lavoro di conidoio e sopratutto nelle istmzioni inviate ai rappresentanti nelle capitali nevralgiche, non fossero sufficientemente compresi della necessità assoluta, se si voleva il successo della risoluzione, di assicurare l 'approvazione dci paragrafi relativi alla Tripolitania e alla Somalia nella stessa misura di quello relativo alla Cirenaica. Soltanto così, del resto, si può spiegare lo spostamento, rilevato più sopra, di alcuni voti tra Cirenaica e Tripolitania.

Tutte queste possono essere ragioni, o tentazioni, per indune a ripetere la prova. Ma, quando tutto questo è detto e scontato, si ricordi tuttavia che il margine resta piccolissimo, incerto, sottratto alla nostra influenza diretta. Si tenga presente anche, e sopratutto, che il punto di partenza dovrebbe essere necessariamente al di qua della linea del primo compromesso, cioè meno favorevole a noi; e che l'esperienza insegna che la posizione di partenza viene inevitabilmente anetrata nel corso delle discussioni. Soltanto a prezzo di grandi sforzi, di audaci, energici e vistosi interventi nel corso delle discussioni, si è potuto evitare questa volta che alterazioni veramente sostanziali si introducessero nella formula concordata a Londra; tuttavia è innegabile che alcuni mutamenti in peggio ci sono stati, e tutti determinati da quella fatale conconenza alla fonnula la più demagogica e la più ineale che è una delle caratteristiche dell'ambiente in cui le discussioni si svolgono.

Ora, se l'accordo di Londra rappresentava già una soluzione diplomatica che a stento è stata capita e accettata da una buona parte dell'opinione pubblica italiana, che pensare di una formula che, peggiore in partenza, rischierebbe di peggiorare ancora per la strada?

Si passa così alla seconda delle soluzioni accennate più sopra, cioè a quella di un «nuovo accordo di Londra». Bisogna dire subito che le prospettive non sono liete. Perchè una formula che sia veramente nuova, non una semplice ripetizione peggiorata dell'antica, che offra cioè possibilità nuove e diverse di successo, potrebbe essere studiata soltanto sulla base del principio del trusteeship multiplo per ognuno dei tre territori; ora sappiamo di già che Bevin si oppone caparbiamente a qualsiasi mandato multiplo sulla Libia, sopra tutto se questo include l 'Italia, e che Inghilterra e Stati Uniti, insieme, si oppongono altrettanto ostinatamente a un trusteeship, semplice o multiplo che sia, sull'Eritrea. È possibile superare questo duplice ostacolo? Al momento attuale dovrebbe rispondersi sicuramente di no. Tuttavia il tempo potrebbe lavorare per noi; il tempo, e l'opportunità di evitare gli imbarazzi che potrebbero risultare dalla terza delle soluzioni prospettate.

Comunque la cosa merita di essere esplorata; perché, mentre per il Governo la formula di un trusteeship collettivo con partecipazione italiana offrirebbe una soluzione onorevole, anche se non ideale, dal punto vista finanziario e politico i vantaggi sarebbero notevoli. La presenza italiana in Africa sarebbe assicurata, quell'ipoteca sull'avvenire che giustamente sta tanto a cuore di VE.; e sarebbe assicurata con un rischio politico, con un sacrificio finanziario minimi.

La terza soluzione è quella dell'indipendenza e, chiaramente, non ci si può pensare che come a una linea di difesa. Il suo valore politico, in sé stesso e come manovra, nasce da una duplice constatazione:

l) è forse l 'unica formula che potrebbe essere approvata dall'Assemblea, anche contro l'opposizione anglo-americana. Potrebbe avere, cioè, l'appoggio dei latino-americani, se noi la prospettassimo ad essi come l'unica soluzione compatibile con il nostro onore, più quello del blocco arabo e dei popoli di colore. Questa coalizione, naturalmente, non sarebbe sufficiente; ma potrebbe diventarlo qualora ad essi si unisse anche il gruppo slavo, il quale potrebbe forse ripiegare su questa posizione dalla propria, intenibile, del trusteeship collettivo delle Nazioni Unite;

2) occorre prevenire una possibile manovra inglese, analoga a quella che già si è delineata per la Cirenaica, quella stessa che tante volte c nel modo più esplicito è stata segnalata dalla delegazione.

Resterebbe, gravissimo, il problema dello nostre comunità per le quali sarebbe assai difficile ottenere garanzie che vadano oltre alle vaghe, e di carattere puramente giuridico, che prima dell'accordo di Londra ci erano state prospettate per gli italiani di Asmara e di Massaua. Ma ho già detto che la soluzione stessa non può essere che di ripiego, e deve essere considerata perciò unicamente in relazione alla situazione venutasi a creare dopo il fallimento della formula concordata a Londra. Il suo successo avrebbe radicalmente mutato le nostre prospettive. Ma ora abbiamo misurato la grandezza degli ostacoli che ci stanno davanti non soltanto nell' Assemblea generale ma più tardi nelle colonie stesse. Se insistiamo nel primo tentativo, e ammesso di strappare un consenso inglese, tutto quello che possiamo ottenere a Lake Success, nella migliore delle ipotesi, si può così riassumere: a) un mandato, della durata di sette o otto anni, sulla Tripolitania, sostanzialmente anche se non formalmente condizionato, condizionato in realtà alla buona volontà inglese, di tutti gli agenti del Governo inglese, della quale buona volontà non possiamo essere sicuri; b) la perdita dell'Eritrea con garanzie, forse solide, per la sopravvivenza fisica delle nostre comunità, ma in condizioni di vita quasi impossibili per la loro sopravvivenza economica; c) un mandato sulla Somalia, la più povera e la più spopolata delle colonie, per la durata di quindici anni.

Tutto questo a prezzo di sforzi enormi, di spese ingenti, di rischi politici gravi, giacché saremmo alla mercé di quegli agenti che, con poca fatica, volessero provocare dei disordini nei territori da noi amministrati o da amministrare. A ciò si aggiungano, se mi è consentito di accennare anche a questo aspetto del problema che esce dalla mia competenza, le ripercussioni di politica interna. Per parlare con tutta franchezza il problema coloniale è per lo meno altrettanto di politica interna quanto lo è di politica estera. Ciò è dovuto principalmente al fatto che l'opinione pubblica italiana si mantiene da anni, in materia di colonie, in uno stato d'animo che oscilla tra un ottimismo del tutto ingiustificato e un risentimento, giustificato certamente dal lato sentimentale, ma sterile e dannoso sul piano politico.

Vale veramente la pena di rischiare tanto, di sopportare tanti sacrifici, per ottenere così poco, rimanendo invischiati in una posizione di politica interna che alla lunga potrebbe divenire imbarazzante?

La tesi dell'indipendenza, un'indipendenza che per forza di cose si realizzerebbe sempre in nostra assenza, deve essere però considerata soltanto allorché fosse accertata l'impossibilità di varare una formula di trusteeship collettivo. Anche se una risoluzione per l'indipendenza immediata dei tre territori potesse essere approvata contro l'opposizione anglo-americana, è inutile dire che il gioco sarebbe estremamente pericoloso e potrebbe sottoporre i nostri rapporti con la Gran Bretagna, e possibilmente anche con gli Stati Uniti, a una tensione eccessiva. Ma potremmo cercare di ottenere il loro consenso allorquando anche loro fossero giunti alla stessa conclusione che è impossibile di raggiungere qualsiasi altra soluzione pratica; oppure, con maggiore probabilità di successo, servirei delle possibilità almeno teoriche che avremmo di strappare il consenso dell'Assemblea generale per indurii ad essere più concilianti nei riguardi di una formula basata sul trusteeship multiplo. A parte ogni altra considerazione di politica interna, l'idea dell'indipendenza potrebbe ridarei quella mobilità di manovra diplomatica che attualmente ci è venuta a mancare.

1033.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPE SANI

T. SEGRETO 4734/641 . Roma, 5 giugno 1949, ore 13.

Sua lettera 2170 del l 0 giugno u.s. 2 .

1033 1 Trasmesso il lO giugno anche alle altre rappresentanze diplomatiche in America latina con Telespr. segreto 3/2493/c. 2 Arpesani aveva chiesto delucidazioni sul significato e la portata della dichiarazione italiana sulla Tripolitania, per la quale vedi D. 1003.

Premesso che in tale materia conviene «precisare» il meno possibile, ella può esprimersi nel senso che con nostra dichiarazione abbiamo inteso:

l) mantenere principio e condizione parallelismo Cirenaica e Tripolitania; 2) superare formula pura e semplice trusteeship che aveva incontrato note difficoltà all'O.N.U. e presso paesi arabi e orientali in genere;

3) conservare a nostre proposte sufficiente elasticità per riservarci possibilità sia di una soluzione di semplice autonomia interna (come concessa da Gran Bretagna a senusso) sia anche più indipendentista qualora le circostanze lo consigliassero.

Ella potrà comunque sottolineare termini molto ampi nostre proposte3 .

1034.

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE 3/2441 1 . Roma, 6 giugno 1949.

Dopo il voto dell'Assemblea generale dell'O.N.U. sulla raccomandazione italobritannica per la soluzione del problema delle ex colonie italiane, il Governo italiano aveva fatto conoscere a quello britannico per mezzo del duca Gallarati Scotti e di sir Victor Mallet2 , la propria opinione secondo la quale appariva conveniente riesaminare la situazione ed esplorare nuove possibilità di soluzione nello stesso spirito che aveva condotto alla raccomandazione suddetta e cioè in uno spirito di collaborazione italo-inglese e di riconoscimento reciproco degli interessi dei due paesi rispettivamente in Tripolitania e in Cirenaica.

Dalle comunicazioni verbali fatte da sir Victor Mallet e dal tenore stesso della nota consegnata il 30 maggio c.a. dal sig. McNeil all'ambasciatore d'Italia a Londra3 , risulta che tale era anche il sentimento del Governo britannico il quale per altro giudicava si dovesse attendere, per la ripresa di conversazioni, il momento più appropriato.

Frattanto il Governo italiano aveva per parte sua messo allo studio la questione per quanto concerne la Libia, ed era addivenuto alla conclusione che una soddisfacente soluzione per questo territorio, pur senza comprometterne la futura unità, sarebbe consistita nella creazione di due entità statali in Tripolitania e Cirenaica rispettivamente associate all'Italia e alla Gran Bretagna, con un regime speciale per il Fez

1033' Con L. 2246 dell'8 giugno Arpesani riferiva di aver intrattenuto Bramuglia sulla questione della Tripolitania, anche in base alle istruzioni di cui al D. l 00 l, e di averne ricevuto «immediata conferma che il Governo argentino continuerà a darci il suo pieno appoggio nei futuri sviluppi della questione. Bramuglia si è dichiarato al riguardo a nostra piena disposizione per concordare, in base agli elementi che gli verremo via via fornendo, la ulteriore linea politica da seguire e l'azione positiva da svolgere alla futura Assemblea».

l 034 1 Inviata in copia alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington con Telespr. segreto 3/2463/c. del 7 giugno.

2 Vedi DD. 949 e 968.

3 Vedi D. 993.

zan sotto controllo francese. Nella opinione del Governo italiano la costituzione dei due Stati suddetti e la forma della loro associazione alla Gran Bretagna a all'Italia avrebbero dovuto essere liberamente concordate con le rappresentanze qualificate delle popolazioni locali secondo modalità da stabilirsi. Per quanto riguarda la Tripolitania tali modalità sarebbero da stabilirsi d'accordo con l'Italia e previa una adeguata preparazione dell'ambiente locale. Si arriverebbe così ad una soluzione basata su di un libero accordo con le popolazioni interessate.

Come risulta da quanto sopra esposto, tali concetti non solo non erano contrari al contenuto della dichiarazione che il Governo britannico aveva in mente di fare relativamente alla Cirenaica, ma anzi venivano ad essa incontro, prospettando per la Tripolitania una contemporanea analoga soluzione, secondo le linee della proposta già avanzata dal Governo italiano nel febbraio scorso dopo l 'incontro di Cannes fra il ministro Sforza ed il ministro Schuman\ quella proposta, com'è noto, era stata allora apprezzata dal Governo britannico e nel mondo arabo, ma il Governo italiano era stato pregato di ritirar la (colloquio Gallarati Scotti-McNeil del21 febbraio)5 .

Il ministro degli affari esteri si proponeva di riprendere sulle basi suindicate le conversazioni con il Foreign Office quando ebbe notizia che era imminente una dichiarazione ufficiale britannica per la Cirenaica. Su tale questione il punto di vista rispettivo dei due Governi venne chiarito nei colloqui fra il ministro Sforza e sir Victor Mallet, fra il ministro Bevine l'ambasciatore d'Italia a Parigi Quaroni, e fra l'ambasciatore d'Italia a Londra e il sig. McNeil6 . Il Governo italiano, resosi poi conto dei motivi che non consentivano a quello britannico di differire la progettata sua dichiarazione per la Cirenaica, ritenne di non potersi esimere da una analoga dichiarazione per la Tripolitania. E ciò sia in considerazione della su accennata iniziativa che esso aveva assunto fin dal febbraio scorso, sia in considerazione delle ripercussioni che l 'attuale iniziativa britannica avrebbe avuto in Italia e in Libia.

La dichiarazione del Governo italiano 7 tiene ovviamente in conto le differenze di fatto esistenti fra la situazione della Gran Bretagna in Cirenaica e in Libia in genere, e la situazione dell'Italia in Tripolitania. Mentre infatti la Gran Bretagna occupa ed amministra di fatto il territorio ed è in grado di delegare in parte o in toto tale amministrazione ai rappresentanti delle popolazioni locali, ben diversa è la situazione dell'Italia. Inoltre, del tutto differente è la situazione politico-sociale dei due territori. Infatti in Cirenaica non solo quasi tutta l'organizzazione del paese ha per base la tribù, ma si è potuto perfino creare una situazione di tipo monarchico-teocratico che dovrebbe costituire il nucleo di una formazione statale. Invece in Tripolitania nulla esiste di simile e quindi la base di un governo locale deve essere creata ex nova, mentre il grado di evoluzione raggiunto dalla popolazione del territorio e le sue caratteristiche etniche, sociali e culturali, sembrano dover richiedere un sistema di governo più moderno e democratico.

l 034 4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

5 Vedi D. 357.

6 Vedi DD. 996, 1016 e 995.

7 Vedi D. 1003.

Comunque la dichiarazione fatta dal Governo italiano contiene quelle che, su tale questione, sono le proposte del Governo stesso. Esse possono servire di base per le ulteriori riservate consultazioni che il ministro degli affari esteri si augura possano presto iniziarsi con il Foreign Office su tale argomento, affinché sia possibile, prima della sessione di settembre dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, risolvere la questione in modo da raccomandarne congiuntamente l'approvazione all'Assemblea stessa8 .

1035.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 616/2159. Parigi, 6 giugno 1949 (perv. il 9).

Le accludo un pro-memoria1 sulla conversazione che ho avuto con Bevin la notte del 31 scorso che riassume, in quanto possibile dato il carattere scucito del lungo colloquio, l'essenziale di quanto ci siamo detti. Bevin era in high spirits (forse sarebbe più esatto dire in high whiskies) e quindi saltava da un soggetto all'altro senza che fosse facile riportarlo al soggetto della conversazione.

Per quanto possa essere audace da parte mia volere avanzare una interpretazione del pensiero inglese da una conversazione con Bevin e da un paio di conversazioni con Kirkpatrik -che non è lo specialista della questione -ritengo tuttavia mio dovere sottometterle le mie impressioni.

Io temo che quando noi diciamo che l'Inghilterra non vuole che noi torniamo in Africa per timore di riavervi un, sia pure modesto, problema italiano noi pecchiamo un po' di megalomania: oserei dire che sarei contento di poterlo credere perché questo significherebbe che gli inglesi ci considerano più di quanto, temo, non facciano.

L'atteggiamento di Bevin, a mia impressione, è dominato dall'ossessione di avere la Cirenaica. Le sue parole testuali, a questo proposito, sono state: «l want Cyrenaica and I am going to have it by hook or crook». Egli è anche, in certa misura, convinto che legare la sorte della Cirenaica a quella della Tripolitania fa perdere loro dei voti: per lo meno è pronto a gettare via Tripolitania, Eritrea, Somalia, e anche qualche altra cosa nostra se potesse, qualora questo sia suscettibile di far guadagnare loro dei voti per la Cirenaica. E di converso sarebbe pronto a favorirci se avesse l'impressione che questo possa far guadagnare dei voti: se non che mi sembra più difficile convincerlo di questa seconda eventualità.

Secondo me è appunto per questo che Bevin, alla questione se e fino a che punto il suo accordo con V.E.2 non come sostanza ma come sistema, deve essere con-

l 034 8 Per la risposta vedi D. 1114.

1035 1 Vedi Allegato.

2 Vedi D. 875.

siderato come ancora in vita, ha finito per dare una risposta entro certi limiti per noi soddisfacente ma certo non impegnativa. Vuole lasciarsi libero di fare quello che meglio crede per salvare quello che a lui importa, la Cirenaica, senza esporsi troppo al pericolo che noi gli possiamo rinfacciare di mancare di parola: anzi, secondo me, gli attacchi violenti e ingiustificati contro una nostra supposta malafede sono, in parte almeno, la precostituzione di una difesa contro una analoga accusa da parte nostra e non sarà facile indurlo ad impegnarsi. Questo per quel che riguarda Bevin e il Governo: per avere il quadro completo della situazione occorrerebbe valutare azione e scopi reali degli agenti sul posto cosa che certo non siamo in grado di fare.

È per questo che -considerazioni di politica interna a parte di cui non posso giudicare -non ho creduto di insistere per una sua venuta qui, dopo Tolosa: non credo le sarebbe riuscito di fissare Bevin. Bisogna attendere e vedere gli sviluppi della situazione Cirenaica che, a quanto dicono i francesi -non so con quanto fondamento -non sembra delle più rosee: e non sono affatto sicuro che questo sia un bene per noi, anzi.

Per quanto concerne i francesi, essi non sono stati entusiasti del nostro proclama, ma ne comprendono la necessità e non hanno sollevato obiezioni. Le disposizioni francesi, e specialmente di Schuman ad aiutarci, non sono, credo, cambiate. Debbo però notare crescenti sintomi di scoraggiamento da parte francese. Non credo che i francesi vedano i pericoli loro, interni, che minacciano il futuro del loro impero nordafricano: essi si cullano ancora molto nell'illusione che se l'estero li lasciasse in pace tutto finirebbe per mettersi a posto. Ma gradatamente, come noi ci stiamo convincendo della impossibilità di realizzare, anche solo in parte, le nostre aspirazioni coloniali, anche i francesi si stanno rassegnando all'idea di vedere, alla frontiera tunisina, uno Stato arabo: lo preferirebbero senza dubbio di marca italiana anziché di marca inglese, ma cominciano a sentire che le cose sono più grandi di loro.

I francesi comprendono che noi molliamo: in un certo senso ne sono contenti perché questo evita loro di doverci un giorno dire: non possiamo più fare niente per voi: ma dobbiamo renderei conto che la resistenza francese difficilmente può essere più forte della nostra. Con questo voglio soprattutto dire che i francesi finiranno per accettare tutte le formule che noi potremo trovare per salvare quel pochissimo che si potrà salvare. Occorre solo da parte nostra un po' di tattica nei loro riguardi e dare loro la soddisfazione, almeno apparente, che ci consultiamo con loro prima di prendere delle decisioni.

ALLEGATO

CONVERSAZIONE DELL'AMBASCIATORE QUARONI CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI GRAN BRETAGNA, BEVIN

PROMEMORIA. Parigi, 31 maggio 1949.

Bevin mi attacca violentemente dicendo che l'accordo Sforza-Bevin era stato sfruttato, soprattutto dalla radio italiana diretta alla Libia ed al Medio Oriente, presentandolo come una «vittoria italiana» e preannunciando il ritorno dei funzionari italiani, dei coloni italiani, del

l'Amministrazione italiana. Tutto questo era in realtà contenuto nell'accordo ma doveva restare segreto. Era evidente da parte nostra il desiderio di volere sfruttare l'accordo, sia a fine di successo interno, sia per mettere l'Inghilterra in cattiva luce presso tutto il mondo arabo. Il risultato era stato negativo per noi: se ci fossimo tenuti tranquilli l'accordo sarebbe passato a Lake Success: l'accento da noi portato sull'immediato ritorno dell'Italia aveva reso impossibile di influire su certi paesi anticolonialisti: era stato anzi spiacevole per l'Inghilterra perché l'aveva obbligata ad usare gas lacrimogeni contro gli arabi a Tripoli (argomento ripetuto più volte con crescendo di voce melodrammatico). Ha ripetuto tutti gli sforzi fatti da lui per risolvere a nostro favore molte questioni, allo scopo di migliorare i rapporti coll'Italia, i suoi tentativi di trovare una base ragionevole di accordo per le colonie, passando oltre l'opposizione di gran parte del Governo. Ha insistito sull'atteggiamento della stampa italiana contro l'Inghilterra e contro lui personalmente: si è soprattutto lamentato del nostro atteggiamento «poco corretto» nel fare indiscrezioni in merito a conversazioni che dovevano restare confidenziali, alla ricerca di effetti di grande oratoria. «Ne sono capace anche io se voglio, mi sono astenuto finora di farlo su questo argomento, ma non voglio essere costretto a farlo».

È passato poi ad un attacco violento e personale dicendo come gli ambasciatori d'Italia a Washington e Parigi avevano condotto una violenta campagna contro l'accordo Bevin-Storza ed avevano con ogni mezzo cercato di eccitare Stati Uniti e Francia contro la Gran Bretagna.

Conoscendo ormai, da quanto raccontatomi da V.E., la «tecnica» di conversazione di Bevin ho reagito con violenza non minore a questo accenno personale, dopo di che la conversazione ha assunto un tono assai più tranquillo e -in certi momenti -anche scherzoso. (Aggiungo incidentalmente che il ministro consigliere della ambasciata britannica qui è intervenuto nella discussione pregando Bevin di precisare che le informazioni relative al mio atteggiamento non gli pervenivano dall'ambasciata di Parigi. Bevin ha subito risposto che gli venivano da altra fonte aggiungendo «The Paris Embassy never reports anything»).

Quanto all'accenno relativo alla radio ed alla pretesa duplicità del Governo italiano gli ho detto che mi meravigliavo che osservazioni del genere non ci fossero state fatte prima a Roma o a Londra: non ne avevo visto nessuno accenno nella corrispondenza di cui avevo avuto visione. Ha insistito che era stato detto ed io che non mi risultava, almeno nella forma usata con me.

Passando poi al!' oggetto specifico delle nostre conversazioni, ossia il progetto n. l della dichiarazione italiana, mi ha detto che avrebbe potuto accettare le nostre idee solo se avessimo fatto precedere la nostra dichiarazione da un espresso riconoscimento della nostra riconoscenza alla Gran Bretagna per la maniera in cui essa si era condotta nei nostri riguardi nella questione delle colonie e specialmente per le difficoltà in cui essa si era messa per rispettare i dettami della Convenzione dell' Aja, causa della sua attuale impopolarità nella regione.

Questa richiesta, su cui Bevin è tornato più volte, era talmente assurda che ho ritenuto più opportuno non rispondere nemmeno.

«Che cosa poi direte nella conferenza stampa?». E qui lunga disquisizione sui presunti tricks della nostra richiesta approvazione e timore che noi sfruttassimo una eventuale approvazione per mettere in difficoltà l'Inghilterra sia sul posto che in tutto il Medio Oriente. Ha osservato infine che l'organizzazione del Governo, dell'Assemblea, delle rappresentanze, cose tutte di cui evidentemente non ci rendevano conto quanto fossero difficili, potevano essere soltanto fatti dall'autorità che ha il controllo effettivo del paese: noi promettevamo quindi cose che non potevamo dare e che l'amministrazione britannica avrebbe dovuto mettere in esecuzione.

Ho risposto che il nostro progetto di proclama riprendeva le linee già note agli inglesi per la sistemazione della Tripolitania. Ma esso non era che un progetto: la dichiarazione inglese per la Cirenaica era stata per noi una sorpresa: noi ci consideravamo legati all'accordo Bevin-Sforza e intendevamo procedere di concerto. Per questo il nostro desiderio era che da parte inglese si rimandasse di due o tre giorni la proclamazione inglese in modo di dar tempo al conte Sforza di venire a Parigi e di concordare con Bevin il testo dei due proclami: non credo ci sarebbe stata difficoltà a stabilire fin d'ora, per non rimandare la soluzione all'infinito, che il proclama sarebbe stato diramato per esempio il 3 sera.

Bevin ha risposto che facevano aspettare il Governo senussi da nove anni senza dargli niente e non potevano rimandarlo ulteriormente: gli ho ribattuto che dopo nove anni tre o quattro giorni non facevano cascare il mondo. È intervenuto Wright, con aria impaziente, dicendo che per il l o giugno era convocata una Assemblea dei capi libici e che non era possibile rimandare.

A mia richiesta precisa Bevin ha risposto: «Ho fatto crystal clear al vostro ambasciatore che il mio accordo con Sforza è morto e sepolto».

Gli ho risposto che bisognava intenderei: era evidente che dopo il voto di Lake Success l'accordo Bevin-Sforza, nella sua formula esatta, era decaduto e che, comunque, sarebbe stato necessario apportarvi delle modifiche. Ma l 'accordo aveva un duplice aspetto: era un accordo di fatto e un sistema di procedere: che cioè una soluzione, quale che fosse possibile, per la conservazione anche solo parziale dei nostri interessi in Tripolitania, doveva essere ricercata d'accordo fra i due paesi e che d'accordo cercassero di farla accettare. Quello che ci interessava di sapere era se questo «sistema» era considerato da lui ancora esistente. Bevin ha menato il can per l'aia quanto era possibile poi ha finito per dire che naturalmente era sempre pronto a parlare con noi di questo argomento.

Ho insistito che questo punto era importate assai per noi. L'accordo Bevin-Sforza aveva rappresentato per noi un grave rischio, all'interno, in quanto rappresentava la rinuncia alle nostre aspirazioni sull'Eritrea. Non che da parte nostra ci si facessero molte illusioni: ma per un Governo era sempre più facile dire dobbiamo sottostare ad un Diktat che non acconsentire ad un sacrificio: in questo caso noi avevamo dato il nostro consenso alla perdita dell'Eritrea: contropartita, l'appoggio britannico per una soluzione per noi accettabile per la Tripolitania e, più ancora, la speranza di avere eliminato un ostacolo grave nei rapporti con l'Inghilterra che noi desideravano vivamente riportare all'antico. Cadendo tutto questo restava per noi solo la parte negativa dell'accordo: era appunto la parte positiva che in qualche modo mi preoccupavo di salvare e non potevo nascondergli che il proclama per la Cirenaica, nella sua sostanza e nella sua forma, metteva in pericolo questo spirito. Era invece tanto facile salvarlo almeno con l'apparenza di una azione concordata.

Bevin mi ha allora sostenuto la tesi che il proclama inglese era onesto e innocente senza nessuna delle implications che noi volevamo vederci. Gli ho risposto che, parlando da tecnico, facevo tanto di cappello all'abilità del funzionario che aveva redatto il documento: mi ha risposto che lo aveva redatto lui personalmente e gli ho ripetuto il mio complimento. Dopo un certo numero di punzecchiature svoltosi fra americhe risate dalle due parti Bevin è tornato a parlare del nostro proclama ripetendo che non poteva dare la sua approvazione al testo come era: dopo lunghe discussioni siamo poi arrivati alla formula che ho poi telefonato al ministero e che, ad ogni buon fine, qui trascrivo:

«Il Governo italiano si rende conto delle ragioni della dichiarazione britannica sulla Cirenaica. Se il Governo italiano desiderasse di fare delle dichiarazioni dello stesso tenore sulle aspirazioni delle popolazioni della Tripolitania per l'autogoverno, il Governo britannico non avrebbe obiezioni.

Mr. Bevin sarebbe assai lieto di incontrare il conte Sforza in Parigi per uno scambio di vedute sugli sviluppi della questione della Tripolitania alla luce del recente voto a Lake Success».

La conversazione è continuata poi ancora a lungo su vari soggetti a latere. Bevin è poi tornato ad enumerare tutto quello che aveva fatto per noi. Ha particolarmente insistito nella possibilità di nostra emigrazione in Australia (parla di un milione di italiani).

1036.

IL MINISTRO A BAGHDAD, ERRERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPRESS01• Baghdad, 6 giugno 1949.

In relazione ai telegrammi circolari del l o giugno2 , ho l'onore di informare che ho avuto un lungo colloquio con questo ministro degli affari esteri Fadel Jama

li. Egli mi ha detto di essere commosso della nobile dichiarazione del Governo italiano, e ha aggiunto: «Se tale dichiarazione fosse stata fatta un mese prima, l 'unità libica non sarebbe stata compromessa e l'Inghilterra non avrebbe potuto svolgere il suo perfido giuoco».

Fadel Jamali, che era visibilmente eccitato, mi ha pure dichiarato, e trascrivo le sue stesse parole: «In tutta questa infelice questione libica, riconosco che voi italiani siete i meno colpevoli. Abbiamo da fare con una volpe e uno sciacallo: la volpe è l'Inghilterra, lo sciacallo è la Francia».

1037.

L'INCARICATO D'AFFARI A BEIRUT, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 974/09. Beirut, 6 giugno 1949 (perv. il 9).

Riferimento: Telegramma n. 4592/c. del l corrente 1• Ho chiesto immediatamente vedere questo ministro affari esteri e nel consegnargli testo comunicato con lettera che l'accompagnava, ne ho illustrato i punti sot

1036 1 L'originale di questo documento non è stato rinvenuto, il testo qui pubblicato è tratto dalla ritrasmissione che di esso venne fatta da Roma, con il Telespr. segreto 3/2770/c. del 6 luglio, alle ambasciate a Parigi, Londra, Washington e Teheran, alle legazioni a Il Cairo, Beirut, Damasco, Gedda e Karachi ed all'osservatore italiano presso le Nazioni Unite.

2 Vedi D. 1003, nota 2 e D. 1000.

1037 1 Vedi D. 1000.

tolineando come Italia non poteva meglio dimostrare sua sincera determinazione abbandonare qualsiasi forma politica coloniale in vista promuovere cooperazione e amicizia sempre più stretta fra Italia e mondo arabo.

Ministro Frangié ha evitato pronunziarsi in merito, dichiarando che per il momento non poteva che prendere atto della comunicazione. A mo' di spiegazione mi accennava in tono di sarcasmo alle bizze che Stati arabi si fanno l'un l'altro dal cantuccio nel quale ognuno si è rintanato. Discorso naturalmente si è spostato su Egitto, cui -come è noto -Libano si è andato via via avvicinando e con il quale, dopo successo mediazione egiziana in ultima disputa con Siria, necessariamente marcia sempre più di conserva.

Ho creduto da parte mia fare presente come Egitto agitando senza posa vessillo unità Libia -che in verità non è stato da parte nostra mai negato in principio, ma sempre tenuto presente per il futuro territorio -rincorre farfalle sotto arco di Tito e rischia di vedere progressivamente affermarsi quello che esso maggiormente osteggia. Non sarebbe stato quindi inopportuno che altra nazione araba amica l'inducesse nel suo stesso interesse a più sano realismo.

Frangié non ha fatto obbiezioni a tale argomentazione ma, dopo avermi chiesto se disponevano di mezzi di persuasione presso Governo egiziano, ha tenuto a rievocare singoli eventi, ultimo in ordine di tempo accoglienze riservate sottosegretario di Stato permanente Strang al Cairo, che denotano pronunciato orientamento pro-britannico politica Egitto. Aveva l'aria di dire: se veramente marciate d'accordo e d'amore con inglesi che detengono chiavi del Cairo fate strappare da loro consenso egiziano e noi saremo più che felici di seguire.

Ignorando l'indiretto suggerimento ho insistito ulteriormente per favorevole esame e appoggio libanese nostre decisioni anche in prossimi incontri con altri Governi arabi. A questo punto Frangié, con l'accento quasi della persona che chiede scusa di non poter fare di più e meglio, mi ha promesso che avrebbe riferito a presidente Repubblica e presidente del Consiglio e che avrebbe pure chiesto che ne fosse fatta parola in preannunciata riunione a tre ad Alessandria dei capi Governo Egitto, Iraq e Libano. Ha tenuto ad aggiungere assicurazione che era stata costantemente cura non solo sua ma anche Riad Solh di adoperarsi nel tentativo di non détériorer interessi italiani.

In conformità istruzioni V.E. ho provveduto ugualmente dare diffusione comunicato a mezzo stampa. Ne ho inoltre consegnato personalmente copia a nunzio apostolico e rappresentanti Francia e Stati sud-americani che, rispondendo appello ministro Alessandrini, hanno appoggiato in loco nostra tesi. Mi riserverei infine vedere presidente Consiglio Riad Solh vigilia sua partenza per Alessandria.

Per questa eventualità, momentaneamente prevedibile dopo visita Beirut sir William Strang, trattenuto ufficialmente ad Amman da improvvisa indisposizione, sarei grato anche per solo orientamento personale e norma di linguaggio qualsiasi ulteriore istruzione V.E. ritenesse eventualmente dover impartirmi oltre quelle contenute nel telespresso circolare n. 3/2383 del 3 corrente ricevuto oggi2 .

1037 2 Vedi D. l 024.

1038.

IL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1332/270. Guatemala, 6 giugno 1949 1•

Di seguito al mio telegramma n. 31 in data 4 corrente2 , ho l'onore d'informare che a ricezione del telegramma n. 9 del 20 scorso3 , mi recai immediatamente da questo ministro degli affari esteri, sig. E. Munoz Meany per esprimergli a nome del presidente del Consiglio e di V.E. i ringraziamenti del Governo e del popolo italiano per l'efficace opera svolta da lui e dalla delegazione guatemalteca alla O.N.U. in difesa dei nostri diritti e interessi.

Il giorno 28 partii per San Salvador: di là mi recai a Tegucigalpa e poi a Managua e San Josè di Costarica. A Tegucigalpa e Managua ebbi l'opportunità di vedere anche i presidenti delle Repubbliche di Honduras e Nicaragua.

Dovunque sono stato accolto con molta affabilità. La mia visita è stata particolarmente gradita e tanto i ministri degli esteri quanto i due presidenti mi rinnovarono l'assicurazione che il loro paese sarebbe stato sempre al lato del nostro.

«È una questione di giustizia più ancora che di simpatia» mi disse il ministro Odio a San Josè di Costarica.

Profittai di questi incontri per intrattenere a San Salvador il ministro Urquia sulla questione del ristabilimento dello stato di pace a mezzo di scambio di note e del ripristino del Trattato di commercio del 1934 e della Convenzione consolare (1876) (telespresso ministeriale n. 20/07974/6-A.P. 3° in data 26 aprile 1949)4 . Egli mi assicurò che mi avrebbe dato una risposta scritta fra pochi giorni.

A Tegucigalpa, il ministro Valenzuela mi dichiarò, relativamente alla rimessa in vigore dei trattati, accordi e convenzioni esistenti prima della guerra fra l 'Italia e l'Honduras, che intendeva seguire la procedura adottata col Costarica (telespresso ministeriale n. 20/0885/7-A.P. 3° del 7 maggio 1949)5 •

A Managua, il ministro Sevilla Sacasa mi promise che mi avrebbe inviata l'attesa dichiarazione del ristabilimento delle stato di pace (mio telespresso n. 3 79/79 in data 19 febbraio 1949)4 e che avrebbe proceduto come già fatto col Costarica per il ripristino delle convenzioni e degli accordi e trattati scaduti.

Spero che le promesse fattemi saranno mantenute, e che lo saranno in breve tempo. Unisco alcuni ritagli dei giornali che hanno fatto eco alla mia visita, riservandomi di inviarne altri quando mi perverranno.

1038 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

2 Preannunciava l'invio del presente documento.

3 Vedi D. 955, nota 2.

4 Non pubblicato.

5 Non rinvenuto.

1039.

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3573/691. Trieste, 6 giugno 19491•

Lettera n. 2196 del 5 aprile2 .

A una settimana dalle elezioni di Trieste, alcune considerazioni di carattere generale sono forse necessarie:

-sia in merito allo svolgimento della campagna propagandistica tuttora in corso;

-sia circa l'interpretazione che dovrà attribuirsi ai dati che risulteranno dallo scrutinio;

-sia in riguardo ai probabili riflessi che, dopo il 12 giugno, l'esito della consultazione avrà sulla condotta e sui reciproci rapporti dei partiti italiani, e particolarmente sul loro raggruppamento nella Giunta d'Intesa.

Di tali argomenti, il primo ha ormai un carattere quasi retrospettivo o storico. Né metterebbe conto il parlame, se non per gl'insegnamenti che si possono comunque trarre dali' esperienza di questi giorni, e perché il fame menzione potrà in ogni caso essere utile in vista della spiegazione da dare a certi eventuali risultati, quali non è da escludere che si verifichino.

Converrà anzitutto ricordare quali siano gli scopi della presente campagna elettorale:

l -portare il massimo numero di elettori italiani alle urne. (Si deve considerare, al riguardo, che slavi e comunisti voteranno certamente compatti. Un fattore importante per aumentare il rapporto fra i voti a noi favorevoli e quelli a noi contrari è quindi il far sì che la partecipazione italiana ai comizi sia possibilmente totale);

2 -arginare, controbattere ed attaccare gli elementi dichiaratamente contrari alla restituzione del T.L.T. all'Italia (slavi, comunisti, indipendentisti); 3 -portare gli elettori alla scelta di una lista, attraverso la loro adesione ad un determinato programma politico-amministrativo.

I primi due scopi sono, nella speciale situazione di Trieste, di evidente interesse nazionale: così da giustificare, come fu rilevato da questa rappresentanza, che per il conseguimento di essi -in particolare del secondo -venissero destinati adeguati fondi statali. Il terzo scopo, invece, è di esclusivo interesse dei singoli partiti e, appunto perché tale, appariva meno giustificato un eventuale concorso governativo.

Come è noto, al momento di impostare la campagna, ci si è trovati di fronte a due alternative; presentarsi, cioè, con una lista unica nazionale ovvero con liste separate. L'una e l'altra di queste alternative avrebbero influito diversamente sul conseguimento dei tre obbiettivi sopraindicati.

1039 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Non pubblicato.

Nel caso, infatti, della lista unica, mentre sarebbe stato più facile e più economico il conseguimento dei primi due, si sarebbe dovuto praticamente sacrificare il terzo, data l'impossibilità di presentare un programma amministrativo comune che non cadesse nel vago e nel generico. Nel caso, invece, delle liste separate, i programmi dei singoli partiti avrebbero ricevuto, come hanno ricevuto, il maggior risalto, dando luogo a polemiche interne fra i gruppi italiani e mettendo in secondo piano la lotta contro i veri avversari.

Risultata impossibile la formazione di una lista unica nazionale, e onde ovviare ai prevedibili inconvenienti, questa rappresentanza ritenne opportuno di suggerire che la gestione dei fondi per la propaganda sul piano nazionale (e cioè per il raggiungimento dei primi due scopi) fosse affidata a un Comitato, nel quale, oltre ai vari partiti in lizza, avrebbero dovuto essere rappresentati gli enti cittadini in grado di svolgere un'azione efficace (ad es. Lega nazionale, Comitati civici, circoli ecc.). La proposta non ebbe seguito, per cui venne prospettata l'opportunità di procedere almeno alla costituzione di un Comitato di coordinamento, sempre ai soli fini propagandistici: ma, per varie difficoltà, neppure questo Comitato ha avuto modo di funzionare.

Quanto alla distribuzione delle sovvenzioni statali da parte della Presidenza del Consiglio, questa rappresentanza aveva espresso, a suo tempo, l'opinione che i fondi per la propaganda a carattere unitario nazionale (anticomunista, antislava e contro gli indipendentisti) dovessero essere per lo meno pari a quelli destinati complessivamente alla propaganda dei singoli partiti. Per considerazioni varie e per circostanze anche casuali si è verificato invece uno squilibrio, di modo che, in pratica, alla propaganda a carattere unitario nazionale non è stato attribuito più di un sesto di quanto i partiti abbiano ricevuto per i loro scopi particolari. È superfluo aggiungere che siffatta distribuzione presupponeva la speranza che i vari partiti non avrebbero mancato di svolgere ciascuno per suo conto e nella forma più consona al rispettivo programma un'azione in senso anticomunista, antislavo e anti-indipendentista: speranza che non si è realizzata che in misura piuttosto modesta.

Mi corre l'obbligo di dire, a questo punto, che le proposte cui ho fatto cenno, derivanti da una valutazione, per quanto possibile obiettiva, di tutti gli elementi della situazione, sono state formulate nella più stretta intesa ed in completo accordo con il capo dell'Ufficio zone di confine, consigliere di Stato Innocenti. Dette proposte hanno trovato nella Presidenza del Consiglio la maggiore considerazione e, fin dove possibile, ogni più efficace appoggio.

Dando ora uno sguardo d'insieme alla campagna elettorale che sta volgendo alla fine, si nota che essa è stata condotta con un ingente impiego di mezzi da parte di tutti i gruppi politici, con netta prevalenza tuttavia di quelli italiani. Di questa sovrabbondanza di mezzi si ha una pittoresca impressione percorrendo le vie della città, specie quelle del centro. I muri sono letteralmente tappezzati di manifesti fino ai primi piani, comizi si svolgono in ogni ora e in tutte le piazze, grandi cartelloni e scritte luminose sono stati apposti su molti edifici, e numerosi altoparlanti sono continuamente in funzione.

A quanto ammontano le somme erogate dai vari partiti italiani e non italiani? Da 300 a 350 milioni (ma è una cifra che pecca, forse, per difetto), con il risultato che l'elezione di ogni consigliere costerà da 5 a 6 milioni e che la futura amministrazione civica triestina sarà, almeno per quanto concerne la sua nomina, fra le più care del mondo.

Alla larghezza dei mezzi non fa riscontro, tuttavia, una corrispondente saggezza nel loro impiego.

Per quanto riguarda i partiti italiani, e avendo in mente gli scopi ricordati più sopra, se si può senz'altro riconoscere che il primo di essi (creazione di un'atmosfera elettorale e del senso della necessità del voto) è stato, pur con errori e spreco di mezzi, in buona parte raggiunto, va francamente rilevato che la campagna in direzione antislava, anti-comunista e anti-indipendentista ha lasciato finora a desiderare. Ciò deve attribuirsi, fra l'altro, agli oratori venuti dalla Repubblica, che portano a Trieste motivi e preoccupazioni che sono propri del resto d'Italia, senza rendersi conto del particolare significato dell'elezione triestina e della natura dei problemi locali. Per contro, è doveroso ricordare l'opera che, in un senso unitario nazionale, malgrado le esigue disponibilità, ha svolto, e va svolgendo, la Lega nazionale, con la diffusione di manifesti, con l'organizzazione di una mostra dedicata ali' italianità di Trieste, con documentari che vengono proiettati in tutte le sale cinematografiche, con radiotrasmissioni ecc.; mentre non meno intensa e proficua si è rivelata la propaganda dei Comitati civici.

Il presente rapporto non consente di soffermarsi, se non per un istante, sugli errori e gli sprechi, forse anche inevitabili, che si sono fatti in queste settimane. Essi sono dipesi, in qualche misura, dalla formula su cui è stata impostata l' organizzazione elettorale (formula in un certo senso obbligata), ma pure da inesperienza, da mancanza di uomini, da provincialismo, da scarse conoscenze tecniche. Varrebbe forse la pena di dedicare, a puri scopi retrospettivi e documentari, uno studio a parte sull'argomento; e bisognerebbe, in tale studio, mettere in luce gli squilibri nell'impiego dei mezzi di propaganda (il massimo sforzo sembra essere stato concentrato sui manifesti, trascurando altri e più moderni espedienti, atti soprattutto a controbattere la tattica di agitazione e di proselitismo dei comunisti): squilibri aggravati da una più intensa propaganda nel centro della città, dove l'azione di italianità o di proselitismo era più o meno superflua, a scapito della periferia e dei sobborghi, dove il controllo slavo o cominformista è ancor oggi pressoché incontrastato. Né è da tacere degli errori verificatisi nel timing delle operazioni propagandistiche: operazioni che, almeno per quanto riguarda i nostri partiti, hanno avuto un carattere sussultorio, non hanno saputo dare un senso di preparazione progressiva, ed hanno perfino ingenerato prematura noia e stanchezza.

È parso, altresì, che non tutti i partiti italiani avessero un piano propagandistico ben determinato; e si è constatato (fors'anche per un naturale riflesso di una impostazione troppo «italiana», più sensibile, cioè, ai contrasti politici della metropoli) come la propaganda degenerasse, assai spesso, in una bega fra italiani. Ad un certo momento, anzi, la Democrazia Cristiana è stata oggetto degli attacchi concentrici degli altri partiti italiani, anche più aspri degli attacchi comunisti.

Da un punto di vista puramente tecnico, si è notata, poi, da ogni parte, una generale mancanza di fantasia e talvolta di gusto. La massima parte dei manifesti consistono in un generico invito a votare per questa o quella lista, invito ripetuto senza varietà e fino alla noia. Ma questo non è che un aspetto, per così dire, del già accennato «provincialismo», da cui, in definitiva, sono state ispirate queste elezioni: provincialismo colorato da un tal patriottismo ottocentesco, caratteristico dell'anima triestina.

La propaganda italiana può essere dunque paragonata, nel suo complesso, ad una potente e disordinata preparazione di artiglieria, aggiungendo che,

essendosi, talora, perduti di vista i veri obiettivi, molti colpi sono caduti fra le nostre linee. Va da sé che si è cercato di richiamare i partiti ad un'azione più consona all'interesse comune. Ed in questo senso la stessa Presidenza del Consiglio è autorevolmente intervenuta. Ma, almeno fino ad oggi, vuoi per una certa incomprensione che per altre circostanze, i risultati conseguiti non sono stati del tutto positivi.

Se le pecche sono state gravi e numerose, vi è tuttavia ragione di aver fiducia, per il patriottismo di cui non mancherà di dar prova la maggioranza dei triestini, ma anche per l'enorme prevalenza dei mezzi a disposizione dei nostri partiti, in confronto dei mezzi degli avversari (salvo forse i cominformisti), e per il frazionamento e gli attriti verificatisi fra i partiti dell' «antiltalia».

Fra questi ultimi, solo il cominformista, oltre che possedere una notevole disponibilità di fondi, ricevuti in massima parte dalla centrale di via delle Botteghe Oscure, ha dimostrato una sicura e precisa, per quanto in complesso scolastica, conoscenza della tecnica propagandistica, nonché lo scrupolo della costante applicazione di un piano. Anche i partiti filoslavi dispongono, probabilmente, di mezzi non trascurabili: che si appalesano però poco utili, di fronte alla debole consistenza della «base» (quale risulta dallo scarso successo dei loro comizi), come anche per la mancanza di una organizzazione che sia in grado di usarli (ancor ieri, il gruppo babiciano ha lamentato una nuova defezione, per opera di Ursich).

Altre considerazioni andrebbero fatte sul tema dei comizi, e particolarmente sulla tattica seguita dai partiti e sui risultati ottenuti; ma, per il loro valore puramente tecnico e retrospettivo, esse esulano da questo discorso.

Passando al secondo argomento che forma oggetto del presente rapporto, sono da tener presenti le considerazioni che seguono.

Il risultato che uscirà dalle urne il prossimo 12 giugno, con riguardo alle 12 liste in lizza, richiederà una certa opera di analisi e di interpretazione onde essere in grado di rispondere alle domande che italiani e stranieri, ma specialmente quest'ultimi, non mancheranno di farsi. Fino a che punto la città è italiana? Quanti sono i triestini contrari allo stato di cose stabilito dal trattato di pace?

Non sarà difficile alla parte avversa, per i motivi che si esporranno più tardi, di trarre dalle cifre fornite dagli scrutini delle illazioni tendenziose, né è da escludere che anche i cronisti inglesi o americani -fra quanti stanno giungendo attualmente a Trieste --possano essere indotti ad avallare constatazioni poco obiettive, non foss'altro per inesattezza o insufficienza d'informazioni.

Sembra, pertanto, che non sia inutile porre in chiaro fin d'ora quali criteri dovranno essere seguiti per mettere in evidenza, obiettivamente, il senso della imminente consultazione.

a) Anzitutto, da parte nostra, non converrà mettere in evidenza il numero dei consiglieri eletti per i singoli partiti, ma esclusivamente il numero dei voti raccolti da ciascuna lista. La ragione di ciò ha appena bisogno di essere ricordata. Può darsi, infatti, che, per quanto concerne la città, sia per noi più conveniente, ed in ogni modo più semplice, riferirsi, anziché ai voti ottenuti, alla ripartizione dei seggi. Ma ciò farebbe il giuoco degli slavi e dei comunisti che, dopo il 12 giugno, potrebbero opporre, ai consiglieri italiani di Trieste, il maggior numero di consiglieri di tinta slava o comunista eletti nei comuni minori. È quindi nostro chiaro interesse attenerci ai dati assoluti della votazione: ed in questo senso, mi proporrei di parlare alle due Agenzie italiane d'informazione, che svolgono la loro attività nella zona.

b) Occorre distinguere nettamente fra italianità dal punto di vista etnico, e italianità dal punto di vista politico (cioè, aspirazione a veder ricongiunta Trieste all'Italia). I nostri avversari cercheranno certamente di speculare sulla confusione dei due concetti e se, per esempio, i partiti italiani (cioè annessionisti), dovessero conseguire il 70% dei voti, essi sosterranno che gli italiani sono solo il 70% della popolazione locale. Ora è chiaro che, dal punto di vista etnico, sono italiani anche la massima parte dei cominformisti, gli indipendentisti del Blocco triestino e del

M.R.I. (Movimento repubblicano indipendente), nonché alcuni pochi aderenti del Fronte italo-slavo. Per avere un quadro della «italianità» etnica e culturale di Trieste, occorrerà sommare, ai voti raggiunti dai sei partiti «italiani», almeno quelli dei primi tre gruppi surricordati. D'altronde, basti riflettere che se, per valutare l'italianità di una città, si dovessero considerare soltanto i gruppi politici corrispondenti ai sei partiti «italiani», città come Genova, Firenze e Bologna finirebbero per avere una «minoranza italiana». Dal punto di vista politico, gli unici partiti che apertamente richiedono la restituzione del T. L.T. ali 'Italia sono i sei partiti cosidetti italiani. Ma, a parte il fatto che, fra i movimenti indipendentisti, il M.R.I. auspica l'istituzione di uno speciale legame federativo con l'Italia, dovrà essere tenuto presente l'atteggiamento ambiguo tenuto durante tutta la campagna dal Partito comunista locale, il quale non ha mancato di dichiarare espressamente che, «in un secondo tempo», l'annessione di Trieste all'Italia sarebbe la soluzione normale del problema del T.L.T. Ciò è dovuto, evidentemente, al desiderio dei dirigenti cominformisti di non perdere quanti, fra i loro aderenti, sono tuttavia sensibili alla questione nazionale; ma sarebbe un errore se, da parte nostra, non si cercasse di mettere in rilievo le dichiarazioni fatte, al riguardo, dai leaders comunisti, da Gianquinto a Terracini.

c) Per quanto formalmente favorevoli al mantenimento del T.L., i democratici sloveni, da un lato, ed i comunisti di obbedienza titina, dall'altro, con l'aggiunta degli aderenti al gruppo Sporer (Fronte dell'indipendenza), formano, «grosso modo», il nucleo veramente slavo della città. Questi ultimi sono i resti, per certo non cospicui, delle schiere che ancora nel 194 7 dimostravano nelle piazze della città per la riunione alla vicina Repubblica federativa; e potrà essere utile mettere in rilievo quanti essi siano realmente e quanto le cifre reali si distacchino da quelle avanzate da jugoslavi e da russi alla Conferenza della pace.

d) L'unico gruppo politico che sia effettivamente e senza secondi fini per l'esecuzione del trattato di pace, anzi, più esattamente, per il mantenimento dello status qua, è il cosidetto Blocco triestino. Qualunque ne sia il numero degli aderenti, è sicuro che, nel complesso, esso sarà straordinariamente esiguo; e se si tien conto dello stato particolare in cui si trova questo territorio fin dal giugno 1945, se si riflette agli interessi che l'amministrazione alleata, più o meno apertamente, protegge, ed agli impieghi e alle cariche che essa ha elargito, ciò non sarà che una dimostrazione «a posteriori» della mancanza di spontaneità e di vitalità del movimento indipendentistico locale.

Secondo quale sarà il risultato delle elezioni, potrà essere conveniente mettere in primo piano le considerazioni di cui alle lettere c) e d), o, semplicemente, mettere in luce i risultati conseguiti dalle sei liste italiane. Ma anche se quest'ultimi ci fossero straordinariamente favorevoli (raggiungendo, ad esempio, il 75% dei voti), sarà sempre opportuno non cessar mai di sottolineare che, a fianco dei votanti per i partiti dichiaratamente italiani, si dovranno contare anche gli aderenti allocale P.C., sia per un calcolo dei dati etnici della zona, sia per il programma, seppure ipoteticamente e attenuatamente, revisionistico di cui lo stesso P.C. si è servito nel corso della sua campagna elettorale (la percentuale degli aderenti sloveni potrebbe essere comunque valutata attraverso il conto delle preferenze).

Rimane da dire degli effetti che i risultati delle elezioni dovranno avere sui rapporti reciproci dei partiti italiani.

A tale riguardo occorre premettere subito che sembra difficile, almeno al momento attuale, che i quattro partiti cosidetti «governativi» possano ottenere una maggioranza tale da consentire loro di costituire una salda amministrazione comunale. Occorrerà pertanto, con ogni probabilità, che essi cerchino un appoggio nel Blocco italiano e nel M.S.I., dato che la proposta di collaborazione post-elettorale avanzata dal P.C., per bocca dell'on. Terracini, aprirebbe la porta ad una pericolosa infiltrazione comunista negli uffici comunali. La necessità di una riunione di tutti i partiti italiani diverrà tanto più evidente, quanto minore sarà il numero dei voti da essi ottenuto; ma sarebbe non meno augurabile, anche se connessa con maggiori difficoltà, se il successo si concretasse in più del 75% dei voti. Di fatto, non si vede il vantaggio, da un punto di vista nazionale, di escludere da un'intesa, per quanto larga e di carattere locale e provvisorio, due gruppi politici, che potrebbero in tal modo essere necessariamente indotti all'opposizione, affiancando di conseguenza, sia pure involontariamente, le formazioni avversarie. È, questo, del resto, un elemento che avrebbe dovuto essere tenuto presente già nel corso dell'attuale fase di propaganda elettorale, durante la quale si direbbe invece che nessuno si sia neppur posto il problema dell'impostazione e della base da dare alla futura amministrazione della città.

Comunque è evidente che la formula cui è ispirata l'attuale Giunta d'intesa, colla sua struttura più o meno paritetica e ciellenistica, dovrà, per forza di cose, essere sostituita; e sembrerebbe al riguardo consigliabile il ricorso ad un largo organo di collaborazione che, tenendo conto della forza rispettiva dei vari gruppi che lo compongono, ne controlli l 'attività da un punto di vista nazionale, senza per questo indurii a reciproci impegni di carattere politico. Tale organo dovrebbe limitarsi a compiti puramente di contatto e di direzione; mentre gli incarichi amministrativi, che sono stati finora attribuiti alla Giunta d'intesa, dovrebbero essere assunti direttamente dalla Presidenza del Consiglio, che potrebbe valersi, sul posto, di un apposito incaricato.

Comunque è chiaro che, sulla realizzazione di tale progetto, influirà in maniera decisiva il risultato complessivo e relativo dei voti che i partiti italiani riusciranno ad ottenere il 12 giugno. Come al solito, e contrariamente alle buone regole, un successo notevole renderà difficile una larga intesa; mentre un relativo insuccesso stringerà tutti, volenti o malvolenti, nella sensazione di un comune e non superato pericolo.

1040

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AIETA, ALL'AMBASCIATORE A V ARSA VIA, DE ASTIS

T. 4776/29. Roma, 7 giugno 1949, ore 12,45.

Riferimento suo 42 1•

Dopo serrate discussioni conclusi giorno 3 giugno negoziati Ginevra con firma processo verbale, lettera confidenziale polacca nonché dichiarazione verbale riservata del ministro Lychowski. Processo verbale contempla rinuncia polacca applicazione trattato pace, stipulazione entro primi ottobre Varsavia accordi per indennità beni nazionalizzati e crediti privati, nonché per regolamentazione tutti altri interessi italiani che siano stati sottoposti a misure restrittive che saranno esaminati con la più grande benevolenza accordando trattamento il più soddisfacente. In tale categoria rientrano crediti Società assicurazioni italiane. Per Batory Governo polacco, oltre affermazione di massima per soluzione amichevole contenuta processo verbale, e impegnatosi con lettera confidenziale favorire chiusura controversia con immediate trattative Varsavia tra Società interessate.

A tale riguardo ministro Lychowski ha dichiarato, su istruzioni suo Governo, (dichiarazione da noi verbalizzata) che detto Governo ha accettato richiesta italiana pagamento intero debito capitale salvo eventuale minima differenza. Trattandosi eccezionale concessione mai ottenuta da altri paesi creditori, ministro Lychowski ha fatto rilevare assoluta impossibilità mettere per iscritto quanto sopra onde evitare analoghe richieste terzi.

Da parte nostra nel processo verbale concessioni sono limitate ad impegno non sollevare più questione crediti statali tra i quali però non sono compresi Buoni Tesoro polacchi stilati divise estere, in attesa definizione carattere credito (ad avviso delegazione italiana tale questione è indubbiamente negoziabile Varsavia); nonché eventuale equo indennizzo da parte italiana per danni materiali sofferti cittadini polacchi residenti Italia durante guerra.

Accordo Ginevra è indirettamente collegato a conclusione accordi attualmente negoziati Roma e per nostra maggiore garanzia processo verbale sarà sottoposto due Governi e considerato come tacitamente approvato salvo contrano avviso.

Pregasi codesta ambasciata voler attendere successive istruzioni prima prendere in proposito contatto questo Governo. Questo Ministero curerà immediato inoltro processo verbale e lettere se possibile con corriere speciale.

1040 1 Del25 maggio con il quale il De Astis aveva comunicato l'adesione della Polonia alla proposta di incontro a Ginevra il 30 maggio.

1041

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL DIRETTORE GENERALE DELL'EMIGRAZIONE, VIDAU

T. SEGRETO 6088/38. Ottawa, 7 giugno 1949, ore l O, Il (perv. ore 20,25). Telegramma di V.E. n. 21 1•

Ho svolto numerosi passi specie presso amministrazioni competenti dato periodo elettorale nonché con personalità varie. Contatti proseguono. Riassumo:

l) per direttive di principio, Governo ed amministrazione sono da tempo sfavorevoli ad immigrazione gruppi nazionali comunque organizzati incluse cooperative agricole unica nazionalità.

2) Mancano disposizioni precise circa ammissione singoli agricoltori fomiti capitali. Immigrazione potrebbe essere consentita purché dispongano somma minima 2 mila dollari: peraltro queste autorità si riservano giudicare caso per caso ed ove lo ritengano possono richiedere capitali anche fino 5 mila dollari. Vi è marcata diffidenza riguardo finanziamenti stranieri di tipo statale per acquisto terre.

3) Questione, come quella generale nostra emigrazione, viene mantenuta calda, con necessario tatto, in frequenti conversazioni anche con compagnie ferroviarie. Ho ottenuto affidamento che mi auguro possa concretarsi in una prima limitata concessione per alcune determinate categorie emigranti.

4) Permettomi pregare VE. continuare trattare tutta questione con massima riservatezza. Eventuali indiscrezioni giornalistiche allarmerebbero parte di questa opinione pubblica che non ha ancora dimenticato guerra, pregiudicando difficile e paziente negoziato.

Da miei rapporti2 di prossimo arrivo costì V.E. avrà dettagliato quadro situazione e nostre possibilità3 .

1042

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6095/45. Madrid, 7 giugno 1949, ore 22,15 (perv. ore 8 del/'8).

Da contatti avuti mi sembra poter dedurre che Governo spagnolo, su intervento stesso ministro dell'industria e commercio che si considera inventore cambi multipli, sia ora restio concedere proroga vecchio accordo commerciale 1 con pretesto che altri

104 t 1 Del 4 giugno con il quale Vidau aveva sollecitato una risposta al D. 7 t O.

2 Non rinvenuti.

3 Per la risposta di Zoppi vedi D. l 052. 1042 1 Vedi D. 966.

paesi che hanno accettato detti cambi, proprio in questi giorni anche la Francia, potrebbero trovare ad obbiettare su trattamento di favore che ne risulterebbe per l'Italia.

Sufier si è riservato in ogni modo darmi una risposta definitiva dopo aver preso istruzioni direttamente dal ministro Suances. Non vi è dubbio che accordo commerciale siglato a Parigi, e col quale Spagna crede avere ottenuto soddisfazione su vari punti, rende questo Governo più intransigente nei nostri riguardi. Devo aggiungere che, secondo il sistema di questo paese, proroga tre mesi avrebbe valore soltanto simbolico perché nell'applicazione verrebbe svuotata di ogni contenuto pratico dagli uffici che opporrebbero consueto ostacolo nel rilascio di licenze di importazione e di esportazione. Per queste ragioni ho creduto dover sottolineare, senza che restasse dubbio, che l'Italia, pur auspicando rapida conclusione nuovo accordo, non aveva nessun particolare interesse ad insistere per proroga tre mesi. In attesa nuovo accordo proroga del vecchio sarebbe stata ultima soluzione tran-sitoria preferibile ma era stata da noi suggerita sopratutto per venire incontro desideri manifestati da questo Governo che trattative non apparissero come interrotte.

Questo atteggiamento mi è parso tanto più opportuno in quanto ambasciatore Sangroniz, giunto a Madrid e che ha visto lungamente Sufier, mi ha detto ritenere proroga possibile solo se da parte nostra fossero stati dati previ affidamenti su accettazione di massima liste spagnole contingentamenti importazioni esportazioni che furono presentate costì durante recenti trattative.

Sarò intanto grato codesto Ministero volermi fare conoscere se sia esatto quanto già dettomi dall'ambasciatore Sangroniz che cioè dopo suo lungo colloquio con ministro Bertone, addetto commerciale ambasciata Spagna avrebbe ripreso conversazioni con codesto Ministero da qualche giorno liste contingentamenti.

1043

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CAPO DELL'UFFICIO DI CANTON DELL'AMBASCIATA IN CINA, CIPPI CO

TELESPR. 3/2449/c. Roma, 7 giugno 1949.

Riferimento: Telespresso di codesto ufficio n. 5/81 in data 8 maggio u.s. 1•

È esatto che il delegato cinese abbia dato nella riunione del 9 maggio u.s. alla prima Commissione politica dell'Assemblea dell'O.N.U. un caloroso appoggio al progetto sud-americano. In sede invece di votazione finale dell'Assemblea plenaria, l'ambasciatore Wellinton Koo si è sistematicamente astenuto, mentre sarebbe stato assai utile per il successo della nostra tesi un voto favorevole.

Tuttavia, in considerazione della particolare situazione di codesto Governo e dei principì rigidamente anti-colonialisti che lo hanno costantemente ispirato, si concorda con la S.V. nel ritenere che, nel complesso, l'atteggiamento cinese a Lake Success ha dato prova nei nostri riguardi di sentimenti amichevoli e di comprensione. E di ciò dò volentieri atto a VS.

1043 1 Vedi D. 896.

1044.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. 3/2458. Roma, 7 giugno 1949.

Riferimento: Suo telegramma n. 4341•

Nell'affermare che la propria azione politica avrebbe continuato a fondarsi sul compromesso di Londra del 6 maggio c.a., il Governo italiano non considerava ovviamente che il dispositivo contenuto in tale accordo non dovesse venire adeguato alla nuova circostanza; esso ha inteso piuttosto riaffermare i principi che sono alla base di quell'accordo e cioè: intesa con la Gran Bretagna e reciproco contemporaneo riconoscimento degli interessi italiani in Tripolitania e inglesi in Cirenaica.

Come il Governo italiano abbia ispirato la propria condotta a tali principi risulta dai telespressi di questo Ministero n. 3/2362/c. del 31 maggio scorso2 e n. 3/2374/c. in data 2 corrente3 .

La formula di cui al telegramma n. 4591/c. (vedi anche telespresso n. 3/2383/c. del 3 corrente )4 risponde sostanzialmente alle seguenti esigenze:

l) mantenere il principio e la condizione di parallelismo fra la Cirenaica e la Tripolitania; 2) superare la formula pura e semplice di trusteeship che aveva incontrato le note difficoltà all'O.N.U. e presso i paesi arabi e orientali in genere;

3) conservare alle nostre proposte sufficiente elasticità per riservarci la possibilità sia di una soluzione di semplice autonomia interna (come concessa dalla Gran Bretagna al senusso ), sia anche più indipendentista qualora le circostanze lo consigliassero.

Quanto precede per opportuno più preciso orientamento di V.E. e per sua norma di linguaggio.

1045.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA

T. 4854/29. Roma, 8 giugno 1949, ore 23,30.

Nell'eventualità confermata anche da Canton che Kuomintang si frazioni fra Chunking e Formosa, e che rappresentanti diplomatici occidentali lascino Cina

1044 1 Vedi D. 1028.

2 Non rinvenuto.

3 Non pubblicato, ma vedi DD. 1014 e 1016.

4 Vedi DD. 1003, nota 2 e 1024.

nazionale, questo Ministero, pur riservandosi istruzioni momento opportuno, prevede trasferimento Cippico Hong Kong.

Per quanto concerne Cina comunista opinione ambienti anglo-americani è che Governo regolare non si formerà prima autunno inoltrato e che nel frattempo questione riconoscimento de facto di Mao Tse-tung non si porrà.

Governi occidentali lascerebbero pertanto una certa latitudine ai loro rappresentanti diplomatici Nanchino scegliere data eventuale partenza compatibilmente con tutela loro rispettivi interessi nazionali. Inglesi tenderebbero differire partenza.

In tali condizioni sembra a questo Ministero opportuno che V.E. ed altri funzionari consolari nella Cina occupata prendano tempo e comunque attendano ulteriori istruzioni prima di lasciare loro sedi, onde poter saggiare intenzioni e orientamento autorità comuniste che non si esclude possano essere indotte cercare contatti non ufficiali scopi commerciali ed ammettere tacitamente consoli esercizio almeno parziale loro funzioni.

Pregola telegrafare suo avviso'.

1046.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. SEGRETA 3/2472. Roma, 8 giugno 1949.

Il tuo rapporto n. 4589/2015 del 2 corrente si è incrociato con il telespresso n. 3/2458 del 7 corrente' col quale ti abbiamo dato ulteriori chiarimenti per quanto si riferisce alla Libia. A parte ti viene trasmessa copia di una nota che ho rimesso ieri a Mallet2• Qui, allego un articolo, ispirato, comparso sul Messaggero di stamanP.

Hai perfettamente ragione nel rilevare le differenze di fatto tra la posizione inglese e la nostra. Come ho detto a Mallet se il senusso chiede loro 100, essi, che sono sul posto, possono concedere 50 e indurlo con mezzi vari a starsene contento. Noi dobbiamo offrire di più e siamo disposti ad andare anche lontano. Gli arabi non vogliono sentir parlare nemmeno di amministrazione fiduciaria in quanto è pur sempre una amministrazione altrui. Questa è la conseguenza della propaganda che per anni gli inglesi hanno fatto contro di noi e che ha impaurito i nostri amici (tuttora numerosi e anche influenti) ed eccitato gli estremisti che, con la tolleranza inglese, si sentono ora padroni della «piazza». Ora al punto in cui siamo sembra a noi che non dobbiamo lasciare agli inglesi il monopolio di uno pseudo anticolonialismo col rischio di avere danno e beffe, ma piuttosto che convenga a noi seguirli sulla strada per la quale ci hanno costretto ad andare anche più in là di loro: potremo così dimo

1045 1 Vedi D. 1097.

1046 1 Vedi DD. 1022 e 1044.

2 Vedi D. 1034.

3 Non pubblicato.

strare ai popoli arabi che non siamo né dei vecchi colonialisti, né dei ... «reazionari» e consolidare le simpatie e le amicizie su cui possiamo contare tanto in Libia quanto nei paesi arabi e orientali. È una larga visione del problema e delle sue proiezioni nell'avvenire (secondo anche le conclusioni del tuo telegramma n. 187-188 del 18 maggio u.s.)4 e, perché no, un pizzico di contingente demagogia!

1047.

IL MINISTRO A CIUDAD TRUJILLO, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 321/235. Ciudad Trujillo, 8 giugno 1949 (perv. i/14).

Questo presidente della Commissione consultiva del Ministero degli affari esteri ambasciatore Arturo Despradel, con il quale ho avuto un lungo colloquio, ha tenuto a farmi conoscere in modo particolare il suo vivo rincrescimento per il mancato accordo in seno alla Assemblea generale della O.N.U. a Lake Success, circa il problema delle colonie italiane pre-fasciste.

Il mio interlocutore mi ha confermato che il capo della delegazione dominicana aveva ricevuto reiterate e precise istruzioni di appoggiare il punto di vista del Governo italiano e l'accordo intervenuto al riguardo fra i ministri degli affari esteri Bevine conte Sforza1 .

Egli mi ha pure confermato che a seguito delle votazioni in seno al Comitato politico della O.N.U. gli Stati latino-americani hanno fatto pressioni sul delegato dell'Etiopia per ottenere che con un cambiamento dell'atteggiamento negativo del suo Governo relativamente all'assegnazione della Tripolitania all'Italia, si potesse raggiungere la maggioranza dei due terzi necessaria, il che avrebbe permesso l'approvazione integrale dell'accordo anglo-italiano. Mancando tale maggioranza gli Stati latino-americani avrebbero dovuto assumere un atteggiamento negativo su tutta la questione e ciò avrebbe pregiudicato anche le concessioni ottenute dall'Etiopia. A seguito di tali pressioni la delegazione etiopica assunse un atteggiamento di astensione circa l'assegnazione della Tripolitania (non affermativo come ebbe a dirmi questo ministro degli affari esteri: vedi mio telespresso n. 302/220 del 30 maggio u.s.)2 e quindi negli ambienti della O.N.U. si riteneva che in linea di massima, semprechè le posizioni delle altre delegazioni fossero rimaste immutate, l'approvazione della Assemblea della O.N.U. non avrebbe potuto mancare.

Il signor Despradel mi ha aggiunto che il cambiamento dell'atteggiamento delle delegazioni haitiana e indiana non ha mancato di suscitare una certa sorpresa ed ha censurato assai vivacemente il Governo di Porto Principe per la condotta assunta al riguardo.

1046 4 Vedi D. 948.

1047 1 Vedi D. 875.

2 Non pubblicato.

1048.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 4887/259. Roma, 9 giugno 1949, ore 21,25.

Malgrado ogni affermazione contraria ci consta che il COMISCO si appresta a manovrare perché Saragat esca dal Governo. L'intenzione può essere di creare così un forte partito socialista. La meno lodevole realtà sarà invece lo spezzettamento sempre maggiore delle forze socialiste ad esclusivo vantaggio dei comunisti. Ciò a prescindere dal fatto che un tentativo di minare la coalizione ministeriale non può essere considerato atto molto amichevole.

Prego V.E. di comunicare ed illustrare quanto precede da parte mia al primo ministro, al Lord Cancelliere, a Bevin e a quanti altri crederà utile assicurandoli in modo formale da parte mia che un allontanamento dei tre ministri socialisti risulterebbe a esclusivo vantaggio dei comunisti 1•

1049.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. RISERVATO 45/lll20/c.1 . Roma, 9 giugno 1949.

Trasmetto, qui acclusa, copia di una nota, relativa ali' argomento in oggetto2 , inviata in data odierna a questi ambasciatori di America, Gran Bretagna e Francia.

Con l'invio di tale nota è stata anticipata l'azione che mi proponevo di compiere in risposta ad una comunicazione che risultava in procinto di esserci fatta, dopo di essere stata concordata, dai Governi americano, inglese e francese in relazione alle clausole economiche del trattato di pace, sembra con particolare riguardo al pagamento dei danni previsto dall'art. 78 di detto trattato (mio telegramma segreto dellO maggio u.s,l

Ho inteso in tal modo prevenire detta comunicazione, che dovrebbe, a quanto risulta a questo Ministero, essere accompagnata da altra nota con cui ci verrebbe sollecitata la definizione delle questioni relative all'art. 78 col Belgio e quindi essere seguita dalla messa a disposizione del Governo italiano di larga parte dei beni tedeschi in Italia.

Per ragioni di ovvia opportunità analoga comunicazione non è stata fatta anche

l 048 1 Per la riposta vedi DD. l 054 e l 070. l 049 1 Diretto per conoscenza alle ambasciate a Bruxelles, Mosca ed Ottawa ed alla legazione a L' Aja. 2 L'oggetto del documento era: «Clausole economiche del trattato di pace». La nota non si pubblica. 3 T. 3850/c. diretto a Londra, Parigi, Washington, Bruxelles e L'Aja, non pubblicato.

a questo ambasciatore di Russia e prego le ambasciate in Washington, Londra e Parigi, di trovar modo di fare apprezzare una tale astensione con la quale si è inteso evitare di fornire al Governo russo, che sostanzialmente non ci chiede che i l 00 milioni di dollari per riparazioni ed in sette anni, una massa di elementi che potrebbe servire a chiarire il comportamento delle potenze occidentali verso l'Italia in questa materia.

Col fare riserva di informare altri Governi si è inteso da un lato far comprendere che del contenuto della nota sarà data conoscenza integrale o per riassunto a tutte le potenze, specialmente occidentali, con le quali sono in sospeso questioni dipendenti dalle clausole economiche del trattato di pace, dall'altro, che potremo, qualora fosse giudicato opportuno in proseguo di tempo, fare sempre analoga comunicazione anche al Governo russo.

Le ambasciate di Washington, Londra e Parigi vorranno valersi degli elementi e dei dati contenuti nella nota, di cui alcuni hanno naturalmente carattere sopratutto polemico, per appoggiarne le conclusioni, in ogni utile occasione, facendo presente che il Governo italiano nutre fiducia non solo nella comprensione dei Governi americano, inglese e francese per quanto può direttamente interessare detti Governi, ma anche per quella azione moderatrice che essi potranno spiegare, nel campo politico, nei riguardi di altri Stati che avanzano le più onerose e spesso più discutibili pretese.

Le stesse ambasciate vorranno, inoltre, valersi dei dati indicati e delle considerazioni esposte tutte le volte che si presentino questioni particolari che interessino i Governi americano, inglese e francese, e siano dipendenti dal trattato di pace, per chiarire come tali questioni viste fuori del quadro generale degli oneri di detto trattato tendono a farci assumere l'aspetto di «resistenti» o «restii» all'adempimento d'impegni presi, mentre, sommate le une alle altre, portano a conseguenze che il Governo italiano ha ormai chiarite e per evitare le quali esse non possono essere risolte con la premura e l'ampiezza che noi stessi desidereremmo.

Solo attraverso ragionevoli intese e con il tempo necessario, in conformità di quanto è alla base stessa di detti impegni, potremo affrontarli e soddisfarli, sopratutto se verranno presi in considerazione i più importanti principi giuridici, finanziari e morali che abbiamo esposti.

L'ambasciata in Mosca vorrà considerare, per il momento, strettamente riservato quanto oggetto del presente telespresso e dell'allegato.

1050.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

TELESPR. SEGRETO 3/2479/c. Roma, 9 giugno 1949.

Nell'intento di ricercare una soluzione che consentisse all'O.N.U. di superare il complesso problema delle nostre ex colonie, il Governo italiano era addivenuto al noto accordo di Londra del 6 maggio u.s. 1 col quale, tra le altre disposizioni, era prevista la divisione dell'Eritrea e l'assegnazione di una parte di essa all'Etiopia (e di una altra parte al Sudan), e lo stabilimento di speciali statuti per le due città di Asmara e Massaua che sarebbero rimaste in territorio di sovranità etiopica. Già nel corso delle prime discussioni in seno al Sottocomitato e poi alla Commissione politica, quegli statuti che, nello spirito delle intese italo-britanniche erano stati concepiti come assai ampi (essendosi fatto esplicito accenno a precedenti quali le città anseatiche, Tangeri e le concessioni internazionali in Cina) vennero ristretti entro limiti più modesti di statuti municipali, dizione non del tutto soddisfacente. In conseguenza di tale interpretazione restrittiva era nostro intendimento richiedere all'O.N.U., qualora il progettato compromesso fosse stato approvato, di inviare sul posto dei propri rappresentanti perché solo la conoscenza diretta dei luoghi e delle condizioni del paese e degli abitanti possono, secondo noi, fornire gli elementi di fatto necessari e indispensabili per esaminare e risolvere questa questione specifica, superando quelle pregiudiziali ideologiche e teoriche che prevalgono nella mentalità di molte delegazioni; le quali, per difetto di conoscenza degli elementi concreti del problema, sono portate a giudicarlo alla stregua di analoghe situazioni esistenti in paesi di civiltà progredita come l 'Europa o le due Americhe. Tuttavia, se le garanzie progettate per gli italiani d'Eritrea avevano subito qualche mutilazione, sorte ancor peggiore toccò a quella parte del progetto che prevedeva l'annessione al Sudan della provincia occidentale (CherenAgordat-Tessenei) che venne respinta dalla Commissione politica con 19 voti contrari, 16 a favore, 21 astenuti e 3 assenti, e ugualmente dall'Assemblea (dove venne riproposta dall'Egitto) con 28 voti contrari, 22 favorevoli, 9 astensioni e l assente.

La stessa incorporazione della maggior parte della Eritrea alla Etiopia venne approvata dall'Assemblea generale con una votazione alquanto significativa poiché sui 37 voti favorevoli, ben 15 provenivano da paesi latino-americani che hanno dato il loro voto favorevole in omaggio al compromesso di Londra; mentre, nonostante tale compromesso, altri quattro paesi latino-americani si sono astenuti; e, tra gli 11 voti contrari, figurano (oltre ai sei paesi slavi ed al Sudafrica) quelli di paesi arabi e asiatici quali l'Iraq, l'Arabia Saudita, il Pakistan; e fra gli astenuti anche quelli del Siam, dell'Iran, dello Yemen, di Israele, della Cina e della Siria. Dal che si deduce che il progetto relativo alla concessione della Eritrea all'Etiopia non ha incontrato il favore dei paesi orientali e che la maggioranza da esso ottenuta fu quindi dovuta esclusivamente all'apporto, poi ritirato, dei paesi latino-americani all'insieme del compromesso. È infine da osservare che il progetto non ha incontrato l'approvazione della maggioranza delle popolazioni locali le quali, anche a prescindere dallo comunità italiana, si sono espresse attraverso i più autorevoli partiti («Lega musulmana», «Gioventù musulmana», «Associazione meticci italo-eritrei», «Eritrea nuova») in senso contrario alla spartizione del territorio e alla annessione di esso all'Etiopia. Il solo partito unionista, notoriamente sovvenzionato dal Governo etiopico, si espresse in senso favorevole all'annessione.

Riacquistano quindi tutta la loro efficacia, alla luce delle circostanze sopradescritte, le considerazioni di cui al telespresso di questo Ministero n. 3/73/c. del 12 gennaio 1949 e ribadite nella Nota verbale n. 3/722/c. del 4 marzo c.a. 2 , diretta dal Governo italiano a tutti i Governi membri delle Nazioni Unite, ed è avendo presenti

1050 1 Vedi D. 875. 2 Vedi DD. 51 e 484.

tali circostanze e tali considerazioni che questo Ministero si propone di riesaminare, d'accordo con quello britannico, la questione eritrea.

Quanto precede per opportuna conoscenza dell'E.V. (S.V.) e perché l'E.V. (S.V.) orienti sino da ora in tal modo in via ufficiosa le proprie conversazioni sull'argomento con codesto Governo.

1051.

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, ALLE AMBASCIATE A WASHINGTON, LONDRA, PARIGI E MOSCA E ALLA LEGAZIONE A BELGRADO

TELESPR. 15/11141/c. Roma, 9 giugno 1949.

(Per Washington) Telegramma ministeriale n. 2741•

(Per Londra, Parigi e Mosca) Telespresso ministeriale n. 151102 de121 maggio u.s.2 .

La Rappresentanza italiana in Trieste ha riferito, in data 27 maggio u.s.3 , quanto segue:

<<Brevi ed ambigui accenni a soluzione indipendentista problema T.L.T. fatti ieri da sindaco Bologna Dozza in comizio elettorale comunista, nonché conversazione di orientamento italofilo tenuta oggi ore 13 Radio Trieste da compagna Bruna Modena, fanno ritenere prossimo, in questi ambienti politici alleati ed italiani, mutamento atteggiamento sovietico circa problema Trieste nel senso possibile adesione

U.R.S.S. proposta tripartita 20 marzo 19484 . Fatti soprariportati, d'altronde controbilanciati da contemporanee, se pure non vistose, affermazioni favorevoli ad esecuzione integrale trattato pace, potrebbero trovare giustificazione in necessità tattiche di ordine locale e non sono certo così univoci da consentire di attribuire loro valore di sicuri sintomi di nuova impostazione sovietica problema T.L.T.

Comunque questi ambienti anglo-americani non nascondono loro preoccupazione per eventuale mossa sovietica in senso sopraccennato, mossa che non mancherebbe, a loro dire, di porre in grave imbarazzo, in attuale situazione, loro rispettivi Governi. In conversazioni con funzionari questa missione, rappresentanti G.M.A. hanno cercato di sottolineare che iniziativa sovietica avrebbe come risultato rafforzamento comunismo triestino e, come tale, dovrebbe tornare sgradita anche a Governo italiano. In realtà non vi è dubbio che eventuale dichiarazione sovietica fatta, nell'attuale fase, a favore restituzione Trieste all'Italia, sia che contenga adesione integrale proposta 20 marzo, sia che invece prospetti possibile spartizione Territorio, non produrrebbe sostanziali risultati su schieramento elettorale, ed anzi, paradossalmente, potrebbe rivelarsi controproducente per cominformisti, che verrebbero probabilmente

1051 1 Vedi D. 961.

2 Ritrasmetteva a Londra, Parigi e Mosca e alla rappresentanza a Trieste i DD. 931 e 961.

3 Te1espr. urgente 963/021.

4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

a perdere buona parte loro aderenti sloveni. Dichiarazione in parola avrebbe invece particolare interesse per quanto concerne politica jugoslava delle varie potenze interessate e dovrebbe essere giudicata esclusivamente in tale riguardo. A questo proposito queste autorità alleate sembrano esplicitamente convinte che momento attuale sarebbe il meno indicato, data opportunità agganciare Tito ad Occidente, per azione che dovrebbe necessariamente comportare pressione su Jugoslavia per sgombero truppe jugoslave Zona B e sua adesione a proposta 20 marzo. Ciò del resto confermerebbe quanto nostra ambasciata Washington ha comunicato a codesto Ministero. Autorità alleate hanno in ogni modo lasciato intendere non ritenere possibile, nel momento attuale, ed in qualsiasi ipotesi, cessazione occupazione militare Zona».

Quanto precede per sua opportuna notizia, in relazione anche col contenuto del te l espresso citato (qui allegato in copia per la legazione in Belgrado). Quanto alle preoccupazioni delle autorità alleate di Trieste per i riflessi di un'eventuale iniziativa sovietica in senso favorevole alla dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948, va tenuto presente che esse ci appaiono infondate o per lo meno eccessive, non soltanto per quanto concerne le ripercussioni locali, ma anche per le conseguenze che una siffatta mossa sovietica potrebbe avere sull'avvicinamento jugoslavo all'Occidente. Sembra doversi anzi dedurre che, se mai l'U.R.S.S. si decidesse ad assumere tale atteggiamento, ne risulterebbe un sostanziale peggioramento nei rapporti dell'U.R.S.S. sia con gli attuali dirigenti di Belgrado che con la Jugoslavia. Ciò non potrebbe che far sentire di più nel campo di Tito, dopo primo momento di emozione, la necessità di ricercare un'intesa con noi, intesa di cui sarebbero meglio chiarite le prospettive se il terreno potesse veramente venire sgomberato dalla questione del Territorio Libero di Trieste.

1052.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. SEGRETO 4892/22. Roma, 10 giugno 1949, ore 13,30.

Suo telegramma n. 381 .

Scopo del telegramma ministeriale inviato codesta ambasciata2 e della lettera a questo ambasciatore canadese3 era dare preavviso sui nostri passi presso O.E.C.E. Ciò fatto anche per altri Governi, onde evitare sorpresa quando nostre richieste venissero rese note. Proposta riguardante codesto Dominio fondasi su disposizioni canadesi comunicateci da questo Ufficio emigrazione canadese, e ci si augura incontri favore codesto Governo, avendo già avuto risposte favorevoli da molti altri paesi circa proposte analoghe. Governo italiano, ove ottenesse finanziamenti

1052 1 Vedi D. 1041.

2 Vedi D. 710.

3 Non pubblicato.

richiesti, fornirebbe piccoli capitali a singoli lavoratori espatriandi ed a nuclei familiari, escluso qualsiasi suo intervento nelle concessioni di terre. Emigranti non saranno necessariamente organizzati su base cooperativa: di fronte autorità canadesi essi avrebbero posizione di agricoltori isolati aventi piccolo capitale proprio, e non di nuclei nazionali. Pertanto pregasi codesta ambasciata svolgere attivo interessamento onde dissipare diffidenze. Tale azione potrà valersi appoggio codeste compagnie ferroviarie di cui è noto interesse a colonizzazione nuove zone. Intera questione crediti per emigrazione italiana sarebbe avvantaggiata in caso autorità canadesi si confermassero non ostili nostre proposte ad O.E.C.E. e fornissero affidamenti anche limitati di voler studiare con noi formula accennata ed attuarla anche sotto forma esperimento.

1053

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, A TRIESTE

T. SEGRETO PER TELEFONO 4894/44. Roma, l O giugno 1949, ore 13.

So che molti triestini desiderano un nostro accenno ad eventuale futuro porto franco per Trieste ed altre analoghe misure autonomistiche. Se tu credi farlo nel tuo discorso 1 ciò costituirà una indiretta conferma della futura annessione e per parte mia non ci vedo obiezione.

ALLEGATO

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI2 , AI CITTADINI DI TRIESTE

DISCORSO. Trieste. 10 giugno 1949, sera.

Sono venuto qui a Trieste, come ad un pellegrinaggio all'altare della Patria e ringrazio Iddio di avermi concessa la grazia di vedere faccia a faccia i triestini nel momento delle grandi decisioni.

Sono felice di parlare qui a voi, in questa Trieste il cui nome è intrecciato indissolubilmente nella mia vita con quello di Trento. Trieste è ridivenuta la mia preoccupazione suprema quando, dopo venti anni di esilio in patria, sono ritornato all'attività pubblica nel Governo nazionale.

l 053 1 Si riferisce al discorso che De Gasperi pronunziò la sera del l O giugno a Trieste a chiusura della campagna elettorale della Democrazia Cristiana. Il testo del discorso è pubblicato in allegato. 2 In archivio privato De Gasperi, carte Bartolotta.

I triestini, certamente, sono stati i primi a difendere le sorti della città con le eroiche gesta che tutta l'Italia ammira; ma se in Italia ci fosse stato un Governo debole e incerto nella sua fede, diviso sulla questione, e che non avesse lottato con tutte le sue forze per risolverla, cercando appoggio nel campo delle potenze alleate, Trieste non si sarebbe salvata.

Al momento della richiesta di occupazione avanzata da Tito, ogni sforzo fu fatto per evitarla: in quel momento il Governo era debole e sotto il controllo degli Alleati e tuttavia si fece ogni possibile tentativo perché le sorti di Trieste e della Venezia Giulia fossero decise da una giusta pace che riconoscesse la loro italianità3 .

Disgraziatamente, tutti i nostri sforzi non impedirono che l'intervento giungesse troppo tardi, dopo che i triestini avevano già sofferto le loro settimane di passione.

La frattura che oggi divide i due schieramenti politici italiani nacque in quel giorno in cui l'atteggiamento dei partiti non fu unanime, quando altri tentarono di dare a credere che il loro partito fosse al di sopra della patria e delle sue frontiere.

Poi l'azione si spostò nelle competenti sedi diplomatiche e dovetti a Londra4 e a Parigi5 difendere il nostro popolo dalle accuse di fascismo e di antidemocrazia.

Se siamo riusciti a salvare qualcosa, e, soprattutto Trieste, è stato solo guadagnando la fiducia delle nazioni democratiche e dimostrando che c'è una Italia nuova che non assume l'eredità del passato.

Ci mettemmo sul terreno della realtà, chiedemmo un plebiscito, chiedemmo la Commissione di inchiesta, ottenemmo la Commissione che riconobbe la italianità di Trieste e delle principali città della costa, riconobbe che le nostre richieste non erano fondate su un esagerato nazionalismo, ma sulla realtà etnica.

La tattica jugoslava fu allora di dimostrare che le nostre intenzioni erano in apparenza democratiche, ma che, in realtà, sopravvivevano propositi di aggressione e che il fascismo non era morto per sempre nel nostro paese.

Ecco perché noi abbiamo particolare continua vigilanza per non apparire quello che non siamo. Noi siamo e vogliamo essere un popolo libero e unito che non alimenta nazionalismi e imperialismo.

Purtroppo, nonostante le conclusioni della Commissione d'inchiesta si venne all'infelice compromesso del Territorio Libero, rinserrando nella fragile gabbia di uno statuto, i due confinanti ed esasperando le contesé.

Noi ci opponemmo risolutamente e richiamammo alla responsabilità di ognuno perché questa soluzione non prevalesse7•

Dopo sforzi continui e tenaci (Trieste fu la mia preoccupazione nel viaggio in America, in tutte le battaglie Trieste fu la stella polare della mia politica democratica) il 20 marzo 1948 si è giunti alla dichiarazione tripartita8 , in favore della restituzione di Trieste all'Italia.

È, dunque, sì frutto del coraggio, della fede dei triestini, la salvezza della città, ma è anche frutto della tenacia e della risolutezza del Governo.

l 053 3 Vedi serie decima, vol. II, DD. 163, 174, 181 e 184 in particolare.

4 lbid., DD. 549 e 555.

5 Vedi serie decima, vol. III, D. 400.

6 lbid. DD. 633 e 634.

7 Jbid. DD. 641 e 651.

8 Vedi serie decima, vol. VII. D. 468.

Nello spirito della dichiarazione tripartita, confermata anche recentemente da espressioni di Acheson, dichiaro che tutto il Governo italiano attende la restituzione all'Italia di tutto il Territorio Libero dal Timavo al Quieto.

Il problema è in corso: nulla faremo contro il trattato, ma siamo certi che verrà il giorno in cui la bandiera della Repubblica sventolerà dal Colle di San Giusto fino a Cittanova. Giammai patrocineremo soluzioni violente; l'avventura non è forza, l'avventura porta al disastro.

Vogliamo dare al mondo la garanzia di una democrazia libera, pacifica, capace di disciplina nazionale e rispetto delle leggi, che non tollererà la rinascita di squadrismi o di nazionalismi aggressivi, ma si sentirà solidale con i popoli liberi e cercherà accordi, soluzioni pacifiche con tutti i popoli di qualsiasi regime.

È solo con questo spirito che potremo salvare Trieste, è solo nella cooperazione internazionale che salveremo la patria.

È questa la linea logica mantenuta dal Governo in tutte le fasi della questione giuliana.

Cercare l'accordo con gli slavi: accordo per un equo trattamento delle minoranze, accordo per la cooperazione economica, accordo per lo sviluppo integrativo dei porti adriatici e specialmente del porto di Trieste, grande emporio dell'Interland danubiano.

Le relazioni economiche tra l'Italia e la Repubblica federale [di Jugoslavia] vanno migliorando.

Gli uomini moderni sanno bene che è assurdo voler condizionare i commerci alle ideologie politiche e a criteri economico-amministrativi e riconoscono il diritto di ogni popolo a scegliersi la sua strada.

Ma se è vero che più che lo Stato vale la persona umana, perché, al di la delle frontiere e dei regimi, non cercare di intendersi, affinché le persone soffrano meno delle conseguenze della guerra, perché i lavoratori non restino, perpetuamente, vittime di disintegrazione e di rivalità economiche?

Non c'è nessuna insidia in queste mie parole. L'Italia non ha nemmeno le armi sufficienti per difendersi e anche la sua espansione pacifica ed economica è rivolta verso altre spiagge. Ma un giorno dovrà pur venire in cui come si è fatta pace tra i paesi dell'Adriatico, si dovrà fare la pace adriatica anche per gli uomini. Vi prego, amici di Trieste, di compensare il nostro lungo amore, facendo anche voi uno sforzo ricostruttivo di libera democrazia nel vostro municipio.

Vi conviene avere un governo locale che nutra la stessa fede democratica che anima i partiti del Governo nazionale in Italia e che, ripudiando errori e dissensi, che riguardano il passato, sia unito nel tenace proposito di agire per la pace interna, salvaguardando il carattere della città, ma tendendo alla equanimità verso le minoranze e proteggendo le forze economiche più deboli che rappresentano i diritti del lavoro.

Se la vostra affermazione sarà tale che esprima veramente nella scheda il sentimento che arde nel vostro cuore, il mondo avrà l'evidenza di una prova che finora non potè essere raggiunta nella pur insistente forza suasiva della democrazia.

Dopo le elezioni il processo di adeguamento delle due amministrazioni si accelererà.

Va qui ripetuto da parte del Governo nazionale l'affidamento che, a mano a mano che l'adeguamento amministrativo si svolgerà, avverrà anche l'inserimento nella amministrazione nazionale delle forze attualmente al servizio del Territorio Libero.

Sono certo che l'amministrazione comunale vigilerà affinché tale affidamento diventi una realtà.

La presenza, qui, accanto a me, del vice presidente del Consiglio dei ministri, Saragat, ministro della marina mercantile, conferma l'impegno del Governo italiano di provvedere all'incremento della marineria e delle industrie triestine e circa il porto, riconferma quanto il Governo dichiarò in ottobre dinanzi al Parlamento9 .

Quando Trieste diventerà parte integrante dello Stato italiano, noi tenderemo a che essa diventi centro libero e capitale per tutti i bisogni economici industriali e marittimi di tutti i paesi prossimi come la Jugoslavia e anche di ogni altro paese che abbia interesse a utilizzare economicamente questo porto.

È chiaro che il nostro programma regionalista vi garantisce le autonomie locali, entro le quali, zone più delicate potranno avere particolari facilitazioni economiche e ogni garanzia per le minoranze slovene; problema che dovrebbe avere il suo lato parallelo in tutta la Venezia Giulia.

Triestini, perché vi siete salvati dalla immensa valanga che minacciava di sommergervi e buttarvi in mare? Per la vostra coscienza nazionale, illuminata dalla tradizione e temprata dalle lotte secolari. Voi avete tenuto fede all'Italia anche nei giorni della disfatta. Noi teniamo fede a voi, qualunque cosa avvenga fino al nostro ricongiungimento definitivo. Trieste, nel nostro secondo Risorgimento, a cui lavoriamo, sia un faro luminoso che rincuori gli incerti e guidi gli smarriti.

Una parola agli istriani: problemi economici della zona istriana del Territorio Libero. Gli esuli dall'Istria portarono in tutte le terre d'Italia l'esempio del loro eroico sacrificio, ovunque nei comizi mi accompagnava il loro grido di fede e non chiedono rivendicazioni territoriali, domandano solo di poter ricostruire in terra italiana i loro focolari e di riprendere la loro vita di lavoro in pace e libertà.

Vorrei che tutti gli italiani mi sentissero quando rispondo a loro: sì pace, libertà e lavoro. È il vostro diritto; è il nostro dovere, pur nell'angustia della nazione. Ed è anche il grido di tutto il popolo italiano verso le nazioni più ricche di risorse. Questa idea sembra penetrare attraverso la crosta egoistica degli interessi: tema del messaggio di Truman, cenno recentissimo di Bevin.

Pace, libertà, lavoro! Abbiamo cercato di esserne degni. Per la pace abbiamo fatto dei sacrifici, per la libertà ci siamo battuti vigorosamente, al lavoro nel mondo abbiamo già offerto milioni di braccia e di intelligenze. Da Trieste, donde partono le vie marinare che toccano il mondo, vi chiediamo di potere riprendere le vie dei nostri pionieri, dei nostri mercanti, dei nostri lavoratori.

1054

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER POSTA AEREA 6366/249. Londra, l O giugno 1949, ore 19 (perv. ore 13,50 del 14). Telegramma di V.E. 259 1•

Già da qualche tempo mi ero infatti occupato e preoccupato delle manovre del COMIsco. Ebbi anzi due importanti colloqui in proposito di cui mi proponevo mandare un rapporto a V.E. ultimate altre mie esplorazioni ma che invece fm d'ora riassumo qui brevemente.

l 053 9 Si riferisce al discorso che Sforza pronunciò in Senato il 15 ottobre 1948, vedi serie undicesima, vol. I, D. 525, nota 4.

1054 1 Vedi D. 1048.

Con Denis Healy giovedì 26 maggio esposi con piena franchezza punto di vista che coincideva perfettamente con quello espressomi da V.E. Lo misi di fronte a responsabilità di indebolire il Governo italiano (ciò che oltre tutto è uno sleale intervento straniero nella nostra politica interna) senza altra previsione che di preparare un partito che graviterà fatalmente verso l'estrema sinistra piuttosto che verso il centro e che ingrosserà le file del comunismo alle prossime elezioni. Gli dissi anche che da frammenti di partito non si riuscirà mai a fare un partito organico socialista date le reciproche posizioni dei dirigenti, mentre è sicuro che l'opera distruttiva compiuta a tale fine e il disgregamento di una coalizione governativa, che ha ottenuto i migliori frutti possibili nelle attuali circostanze della vita italiana, avrebbe gravato come un errore su avvenire d'Europa e del mondo. Healy ammise che dal mio punto di vista tali osservazioni erano giuste; mi disse che esse potevano anche in parte venire condivise da uomini che hanno responsabilità di governo, ma che il Partito laburista non poteva prendere in considerazione il nostro problema interno e vedeva eminentemente quello della unità delle forze del lavoro in Italia. Ebbe a questo proposito accenti meno simpatici (e da me controbattuti) sulla Democrazia cristiana che non poteva essere un partito del lavoro nel vero senso della parola in quanto braccio della Chiesa e manovrato da essa.

Le stesse preoccupazioni esposi quindi al Lord Cancelliere il 26 maggio. Egli consentì circa la cecità di perdere di vista il pericolo principale: il comunismo che ci minaccia tutti e per cui è grave colpa dividere le forze e minare un governo di unione democratica in un punto nevralgico della difesa europea come è l'Italia; gli dissi anche di non comprendere gli atteggiamenti del laburismo inglese (comprendendo anche Governo) dopo le elezioni del 18 aprile 1948. Il Lord Cancelliere mi rispose di avvertire una forte reazione «dei partiti socialisti in genere» contro l'aumentata forza dei partiti democratici cristiani. Egli aveva anzi la sensazione che tale reazione anticlericale si sarebbe accentuata nello stesso Consiglio d'Europa come attraverso un altoparlante. Nel discorso tuttavia mi dichiarò la sua simpatia e comprensione per il Governo italiano e per quanto aveva ottenuto, insistendo sulla necessità di unione. Di tale argomento ci ripromettemmo di parlare al suo ritorno dalla Norvegia. Né da parte mia sarà perduta alcuna occasione per interessarne personalità responsabili e fare comprendere pericolo che concordo con V.E. nel ritenere assai grave.

1055.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS

TELESPR. 3/2492. Roma, IO giugno 1949.

Riferimento: Suo telespresso 18 maggio n. 965/408 1•

Dai verbali delle sedute della Commissione politica e dell'Assemblea plenaria di Lake Success risulta confermato l'atteggiamento della delegazione turca quale

1055 1 Non rinvenuto, ma vedi D. 944.

appariva dalle prime segnalazioni telegrafiche del nostro osservatore all'O.N.U.: nessun discorso o presa di posizione ufficiale nei confronti dell'Italia; né ostile né favorevole; astensione nella votazione delle mozioni riguardanti la Tripolitania ed il Fezzan, voto favorevole per il mandato italiano sulla Somalia.

Si deve tuttavia notare che l'astensione nella questione della Tripolitania, mentre è stato dato il voto favorevole al mandato britannico sulla Cirenaica, acquista un significato discriminatorio nei nostri riguardi e toglie valore alla giustificazione addotta da codesto Governo, quella cioè della solidarietà islamica e della necessità di evitare il risentimento arabo, dato che gli arabi si erano dichiarati anche contrari al mandato britannico sulla Cirenaica, non meno che al mandato italiano sulla Tripolitania. Viene meno anche l'argomentazione a me addotta da questo ambasciatore di Turchia e cioè che il Governo turco, come sarebbe stato previsto anche in relazione alla questione palestinese, tiene da tempo per norma di astenersi dal prendere posizione in merito ai territori staccati dall'Impero ottomano.

Non sarà male richiamare, quando se ne presenterà l'occasione, l'attenzione di Sadak su quanto precede.

1056

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. PERSONALE. Roma, 10 giugno 1949.

Le mando qui acclusa una copia della relazione sulle colonie 1 che ho presentato al ministro martedì scorso, al suo ritorno da Tolosa. Avrei tanto voluto scriverle da New York, e mi scuso di non averlo fatto. Quei due mesi sono passati molto più presto dei sessanta giorni che avrebbero dovuto contenere; e ciò in parte era dovuto anche al fatto che Lake Success (chiamato universalmente e inevitabilmente Lack of Success) si trova a un'ora di automobile da Manhattan. Cosicché, dopo una giornata di sonnolenti discorsi, interrotti soltanto da qualche drammatica manovra, si tornava a casa la sera tardi per distillare il quotidiano telegramma.

Ho trovato il barometro interno inaspettatamente al bello, con improvviso entusiasmo verso l'indipendenza. Ora io sono stato sempre partigiano dell'idea, e credo anzi che se ce ne fossimo fatti difensori tre anni fa molte cose avrebbero potuto andare diversamente. Voglio dire che, se non altro, il Governo non si sarebbe messo in quella impasse di politica interna nella quale ora si trova. E anche ora, beninteso, l'idea può essere utile, sia per aiutare il Governo ad uscire dal rotto della cuffia (in altre parole, presentando la perdita totale delle colonie come un «successo morale», cosa tutt'altro che impossibile), sia, e più seriamente, come manovra diretta a ridare mobilità diplomatica a una situazione disperatamente figée. Ma, tra fare questo e credere nelle virtù taumaturgiche della formula, ci corre una bella differenza.

1056 1 Vedi D. 1032.

Anche come manovra, le carte, come insegna la prima, amara esperienza, sono tutt'altro che facili a giocare. Tra le molte condizioni indispensabili per giocarle bene, o non troppo male, mi sembra che ce ne siano almeno due che sono particolarmente importanti. La prima è che, se si parla di indipendenza, si deve parlarne per tutte e tre le colonie, e non per la sola Libia. Voglio dire che tutto il nuisance value della manovra sta nel parlare di indipendenza anche per quei territori dove la formula torna scomoda agli inglesi ed agli americani; ma, se ne parliamo soltanto per la Tripolitania dove, almeno gli inglesi, non chiedono di meglio, facciamo il giuoco loro e non il nostro.

La seconda condizione di non mancare troppo ai nostri doveri di lealtà verso la Francia. Sebbene la Francia, ne abbiamo avuto ampissima riprova a Lake Success, conti soltanto, letteralmente, per un voto, ci sono altre considerazioni all'infuori del computo dei voti. E in ogni modo c'è il principio generale, non soltanto morale, ma anche pratico, che una diplomazia che non tenga alcun conto dei sentimenti e degli interessi dei propri amici, è cattiva diplomazia.

Comunque, per quanto mi riguarda personalmente, ho restituito le colonie che avevo usurpato per due mesi al suo legittimo proprietario. Ma vedrei con molto piacere se lei, da Parigi, potesse far giungere qualche buon consiglio con la solita chiarezza che la distingue.

I contatti a Washington sono stati interessanti. Non parlo di quelli allivello massimo ai quali non ero presente e per i quali mi debbo rimettere a sommari resoconti (però, l'influenza personale di Sforza su Foster Dulles è stata veramente ottima: non ho mai visto due uomini così differenti simpatizzare tanto bene), ma dei colloqui che ho avuto con Bohlen e con George Kennan, tutti e due uomini di grande valore, ma specialmente il secondo che ha un'ampiezza e distacco di vedute che possono persino riuscire inquietanti ma che rendono la sua conversazione estremamente istruttiva.

1057

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. PERSONALE 634/2175. Parigi, IO giugno 1949.

Come d'accordo a Tolosa le riferisco personalmente quello che concerne l'Unione doganale.

Ho avuti, in questi giorni, ripetuti contatti con gli elementi favorevoli per vedere insieme con loro cosa si può fare per neutralizzare l'azione, sempre più attiva, degli elementi contrari.

L'opinione generale, che del resto condivido, è che uno degli argomenti più pericolosi è quello dell'Unione [doganale] italo-francese ostacolo ad una più vasta unione europea. L'argomento che gli avversari adducono è il seguente: l'Unione italo-francese domanda numerosi e non facili aggiustamenti delle due economie, aggiustamenti i quali non sono gli stessi che sarebbe necessario prendere qualora invece si dovesse trattare di Unione west-europea: si tratterrebbe dunque di fare due volte, ed in senso differente, questo lavoro di aggiustamento, sia in Italia che in Francia, il che, nello stato attuale delle due economie, è più di quanto si possa fare. Questa obiezione, mi si dice, ed ho potuto constatarlo, ha molta presa anche perché si presta ad essere adoperata come copertura di interessi meno confessabili: ed anche i favorevoli ne riconoscono il peso.

Lo scambio di lettere fra i due Governi, suggerito da Grazzi e Drouin può servire bene a questo scopo: infatti gli amici lo hanno non solo approvato, in principio, ma molto sollecitata la sua rapida conclusione in modo da poter couper court alla campagna di estremismo europeo. In vista di quanto mi è stato detto sarei d'avviso però che converrebbe precisarlo e rafforzarlo nel senso desiderato: proporrei quindi di aggiungere al par.l) «Les deux Gouvernements se concerteront en vue des mesures qu'il serait eventuellement nécessaire de prende pour faciliter !es accessions ultérieures».

Al par. 2) dopo «par le O.E.C.E.» aggiungere «l'Union européenne ou toute autre institution internationale analogue etc» (Questo particolarmente in vista del fatto che la delegazione parlamentare francese ha l'intenzione di portare all'Assemblea di Strasburgo il programma economico di unione preparato dall'Unione delle Federazioni e che lei conosce). Le accludo il testo di progetto così modificato 1 .

Mi sarebbe utile di conoscere, al più presto magari telegraficamente2 , la sua opinione su questo progetto di lettera in maniera che ne possa parlare con Schuman. La pregherei di tener presente che si tratta di una cosa urgente e indispensabile.

Secondo argomento grave, in quanto desta delle preoccupazioni in tutti gli ambienti, è la questione dell'emigrazione: essa ha particolare importanza per l'atteggiamento del partito socialista che si deve, fra breve, riunire per decidere. Non si è ritenuto sufficiente il Comitato parlamentare. La questione è stata deferita al direttorio del partito dove l'opposizione, specie estremista europea, è più forte. Ho fatto presente a questo riguardo che la formula avanzata in seno di Consiglio economico -la libera circolazione delle persone verrà autorizzata solo quando sarà finita la disoccupazione in Italia-non è per noi accettabile: ho detto che da parte italiana non ci si fa nessuna illusione sulle reali possibilità di emigrazione in Francia, ma che si tratta di un argomento che noi dobbiamo pure potere sfruttare per controbilanciare le opposizioni, forti, che ci sono anche da parte nostra. Andrè Philip, con cui ne ho discusso a lungo, mi ha detto che si potrebbe forse trovare una formula soddisfacente mettendo, sia in un protocole de segnature sia in altro documento interpretativo, che il Comitato de li'Unione è incaricato di studiare il problema del movimento delle persone per categorie (nessuna obiezione ci sarebbe in Francia per esempio a contadini e muratori) in vista delle effettive possibilità. Mi ha promesso di studiare una formula che mi sottometterà poi.

Ma anche questo è un argomento per cui è indispensabile fare qualche cosa per smontare le opposizioni. Per quel che concerne il campo degli interessi le riferirò successivamente.

l 057 1 Vedi Allegato.

2 Con T. 4962/337 del 13 giugno Zoppi comunicò: «Già inviatole telespresso [vedi D. 1077] con istruzioni proporre scambio note e altre considerazioni da esporre codesto Governo. D'accordo con sue modifiche».

Intanto è necessario che da parte governativa italiana si insista perché l'accordo siderurgico venga ratificato dalle reciproche autorità: e che deve essere osservato in buona fede: è la chiave di volta di molto se non di tutto.

ALLEGATO

PROGETTO DI LETTERA

Monsieur le Ministre, Avant que le Traité d'Union douanière signé le 26 mars 1949 ne soit déposé pour la discussion au Parlement italien, mon Gouvemement me charge de vous informer que, selon son opinion,

l) le Traité susdit, une fois approuvé, devrait rester ouvert à toute possibilité d'accession de la part d'autres Puissances, étant souhaitable que au lieu que d'ètre fin à elle-mème l'Union franco-italienne constitue un point de départ et de ralliement pour une entente plus étendue. Nos deux Gouvemements se concerteront pour prendre toute mesure qui pourrait ètre nécessaire pour faciliter les accessions ultérieures;

2) panni les tàches révolues au Comité de l'Union devrait ètre comprise celle de proposer aux deux Gouvemements tout ajustement du Traité qui pourrait se rendre nécessaire afin d'harmoniser ses dispositions aux décisions qui pourraient ètre prises par l'O.E.C.E., l'Union Européenne ou toute autre institution intemationale analogue, en vue d'une coopération plus générale et plus active des pays y participant.

Si votre Gouvemement est d'accord sur ces propositions, votre réponse à la présente lettre pourrait constituer un accord qui serait à présenter aux Parlements en mème temps que le Traité du 26 mars, dont il viendrait ainsi à former un annexe.

Veuillez agréer, Monsieur le Ministre, etc. etc.

1058

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 4868/2138. Washington, 10 giugno 1949 1•

Le comunicazioni pervenutemi in questi giorni dal Ministero mi hanno messo al corrente del modo col quale il Governo britannico ha presentato a quello italiano la nota dichiarazione concernente la Cirenaica, nonché della reazione di V.E. e delle considerazioni che hanno indotto il Governo italiano a formulare il comunicato relativo alla Tripolitania2 .

1058 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi DD. 995 e 1003.

Non ho, per contro, ricevuto finora nessuna comunicazione sugli ulteriori sviluppi della situazione e, in particolare, sul colloquio, annunciato dall'Ansa e dal New York Times, che avrebbe avuto luogo martedì scorso fra il presidente del Consiglio e l'ambasciatore Dunn3 .

Frattanto i sondaggi effettuati presso il Dipartimento di Stato e presso le ambasciate di Gran Bretagna e di Francia, mi danno la sensazione che il pericolo di ulteriori sviluppi della situazione a nostro danno si accentui. Il Dipartimento di Stato attraversa una di quelle fasi di studio, durante le quali gli uffici non sono in grado di fare dichiarazioni impegnative. Tuttavia ho motivo di ritenere che gli uffici medesimi (e almeno tal uni di essi, molto influenti nella formulazione delle direttive future) comincino a prestare favorevole orecchio alle idee ventilate, per ora molto cautamente, da parte britannica.

Da parte britannica, si comincia ad affermare non soltanto che l'accordo SforzaBevin ha cessato di essere impegnativo per il Governo di Londra, ma anche che eventuali soluzioni debbano essere cercate per vie del tutto diverse: in pratica, sulla base dell'indipendenza, immediata o quasi immediata, della Cirenaica e della Tripolitania. Inoltre si aggiunge che, per ottenere l'appoggio delle popolazioni locali nonché degli Stati arabi, occorre non soltanto non ostacolare, ma addirittura favorire l'unificazione della Libia. Beninteso, non si dice ancora in che maniera, e sotto quale governo, la Libia potrebbe essere unificata; si accenna però vagamente alla eventualità di organizzare una Assemblea costituente libica ed all'ipotesi che questa promuova l'organizzazione di uno Stato federale, i cui due elementi (Tripolitania e Cirenaica) riconoscano l'emiro dei senussi come sovrano costituzionale.

Siffatti progetti sono ben lontani dall'assumere forma concreta, ed è permesso sperare che tramontino al più presto. Ciò non toglie che giustifichino il nostro allarme, tanto più che nella loro apparenza razionale e nella loro sostanza filo-britannica sono suscettibili di soddisfare, qui in Washington, rispettivamente i fautori dell'indipendenza delle popolazioni di colore ed i militari desiderosi di consolidare l'influenza inglese nell'Africa settentrionale. All'Italia non rimarrebbe che qualche garanzia circa lo statuto dei nostri coloni in Tripolitania (ed è facile immaginare quale valore avrebbero tali garanzie sotto il governo dell'emiro).

Non occorre aggiungere che l'eventuale realizzazione di questi progetti creerebbe insormontabili ostacoli al nostro ritorno in Africa del Nord.

Queste considerazioni mi hanno indotto a ritenere che non convenga procrastinare un tentativo di provocare una battuta d'arresto nel processo di cristallizzazione dei progetti sopradescritti, mediante un diretto e pressante appello al Governo americano.

In sostanza, mi pare che dopo le prove di buona volontà da noi date in questi ultimi mesi, abbiamo il diritto di chiedere che il Governo americano (se non vuole prestarsi all'estromissione dell'Italia dall'Africa, nel quale ultimo caso sarebbe

1058 3 Secondo tali notizie De Gasperi avrebbe convocato Dunn per proporgli il riesame congiunto da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia della questione coloniale prima della sessione dell'O.N.U. Rispondendo alla richiesta di informazioni in proposito di Tarchiani (T. segreto 6148/442 dell'8 giugno) Sforza aveva telegrafato (T. segreto 4899/303 del IO giugno): «Informazione Cianfarra [corrispondente New York Times] è inesatta. Dunn venne da me il 6 e il mattino seguente dal presidente del Consiglio per argomenti estranei all'Africa». Vedi anche l'ultimo capoverso del D. 1095.

bene che ce lo dicesse chiaramente) impegni la sua influenza al fine di evitare altre azioni unilaterali e di impostare quell'esame collettivo del problema, che invano cerchiamo da mesi.

È difficile prevedere quale esito avrebbe un passo fatto in tale senso presso il Governo americano; ma penso converrebbe tentarlo. E, comunque, non vedo da qui un altro mezzo per cercare di impedire che questa grave questione si chiuda col sacrificio quasi completo dei nostri interessi in Africa4 .

1059.

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 1463. Belgrado, l O giugno 1949 (perv. i/13).

Ho l'onore di riferirmi all'ultima conversazione con V.E. (26 maggio u.s.) nella quale ho sinteticamente accennato ai rapporti della Jugoslavia con l'U.R.S.S. e satelliti, al problema del Territorio Libero di Trieste, alle relazioni italo-jugoslave.

Per quanto sostanzialmente non vi sia nulla di mutato, ritengo opportuno comunicare alcuni successivi fatti che valgono meglio a puntualizzare la situazione in relazione a tali argomenti.

Come ebbi occasione di riferire, il dissidio tra Jugoslavia, U.R.S.S. e paesi cominformisti è andato sempre più acuendosi, e può dirsi che, nell'avvicinarsi dell'anniversario della risoluzione del Cominform, sono caduti i fragili veli che invano tentano di coprire l 'urto diretto tra Belgrado e Mosca.

È noto infatti che, all'inizio, la polemica si era principalmente svolta tra Jugoslavia e paesi satelliti della Russia; poi da Belgrado si cominciò a polemizzare con la radio e la stampa di Mosca, ingenerando l'opinione che Stalin fosse al di sopra della polemica; successivamente si ebbero i primi discorsi ufficiali, di Tito compreso, secondo i quali la risoluzione del Cominform tendeva a coprire una politica di imperialismo politico e, soprattutto, economico nei confronti della Jugoslavia. Infine hanno cominciato a lavorare le cancellerie diplomatiche, dapprima con la nota jugoslava all'U.R.S.S. di protesta per il mancato invito al Consiglio economico di Mosca, nota che provocò la risposta russa sulla «politica non amichevole di Belgrado verso Mosca» poi, da ultimo, con la nota jugoslava di protesta per l'assistenza data dal Governo dell'U.R.S.S. ai rifugiati jugoslavi antititini, cui il Cremlino ha prontamente risposto.

l 058 4 Con Telespr. segreto 3/2592/c. del I 9 giugno Zoppi ritrasmise questo rapporto e la sua risposta a Tarchiani (vedi D. 1095) alle ambasciate a Londra e Parigi aggiungendo, solo per Quaroni, le seguenti istruzioni: «Con l'occasione si autorizza l'ambasciata a Parigi a consegnare in via confidenziale al Quai d'Orsay copia della Nota verbale diretta da questo Ministero a questa ambasciata di Gran Bretagna (vedi telespresso n. 3/2463/c. del 7 giugno u.s.) oltre, naturalmente, ad illustrarne ufficialmente il contenuto». Per il tel espresso citato vedi D. I 034, nota l.

Ho riferito a parte su questo importante scambio di note. Mi limito perciò a sottolineare che con quest'ultimo scambio di note, i due Governi hanno consacrato la gravità del dissidio, appalesando le estreme difficoltà per un suo componimento.

Alle proteste jugoslave per la protezione e l'aiuto dato da Mosca ai «traditori» jugoslavi, il Cremlino non si è peritato di rispondere che traditori non sono i fuorusciti jugoslavi in Russia, ma coloro che «tentano di distruggere l'amicizia tra i due paesi e preparano per il paese la sorte dei paesi che sono caduti nelle catene dell'imperialismo e hanno perduto la loro indipendenza».

Il Governo jugoslavo non ha, almeno per ora, replicato, ma il commento alla nota russa apparso nei giornali jugoslavi costituisce un nuovo atto di accusa nei confronti del Cremlino.

Mentre i protagonisti del dissidio sono così arrivati alle parole grosse, continuano, come risulta dai miei numerosi rapporti 1 , gli incidenti di frontiere, lo scambio di note e la polemica con i paesi cominformisti, e particolarmente con l'Ungheria, la Bulgaria e l'Albania.

Non può a meno di costatarsi che se questo Governo fa ogni sforzo di equidistanza dai paesi occidentali, continuando con la parola e con la stampa i generici attacchi contro i paesi capitalistici e imperialisti, in realtà, contro questi né i motivi del dissidio né il tono della polemica hanno mai raggiunto la gravità e la violenza, cui ora giornalmente si assiste, nei confronti dei paesi cominformisti.

Gli è che questi governanti avvertono il pericolo del dissidio e reagiscono con tutta la vivacità e la fierezza di cui sono capaci.

E il dissidio è tale che ormai non vengono nemmeno più rispettate le forme. Vale la pena accennare, per curiosità, che il decano di questo Corpo diplomatico, l 'ambasciatore di Polonia, al ricevimento da me offerto in ricorrenza del 2 giugno, si è astenuto dal salutare questo ministro degli esteri Kardelj.

VE. ha certamente anche altri elementi per valutare e giudicare la presente tensione, che qui appare particolarmente delicata dopo lo scambio delle suddette note. Fino a poco tempo fa il problema del Territorio Libero di Trieste non fu mai oggetto di specifica conversazione nemmeno con i miei colleghi. Recentemente ebbi a riferire a

V.E. il colloquio che in proposito si è svolto tra questo ministro aggiunto degli esteri, Bebler, e l'ambasciatore di Gran Bretagna, signor Peake, e il successivo accenno, che, in merito, mi fece questo ambasciatore degli Stati Uniti, signor Cavendish Cannon2 . Ancor più recentemente, come ho riferito con l'ultimo corriere3 , il signor Cannon è tornato spontaneamente in argomento, prospettandomi che l'U.R.S.S. possa aderire, quanto meno, a discutere la dichiarazione tripartita delle potenze occidentali per il ritorno del Territorio Libero di Trieste all'Italia. Ho l'impressione che il Dipartimento di Stato si prospetti questa possibilità, che può tuttavia essere fondata su una di quelle illusioni talvolta facili negli ambienti americani. Ma se l'accenno di Cannon dovesse essere la manifestazione di un orientamento più concreto della politica americana verso la soluzione al problema, non posso sottovalutare la conversazione di Cannon, dati gli attuali contatti a Parigi tra i quattro ministri degli esteri.

1059 1 Non pubblicati.

2 Vedi D. 815.

3 Con Telespr. 1397/697 de13 giugno, non pubblicato.

Come ho già riferito4 , Cannon parte domani per Trieste (dove resterà qualche giorno) e Parigi o ve si incontrerà con Acheson. Cannon mi ha detto che Acheson lo vuol consultare per la questione dell'Austria. Ma non può escludersi che Acheson lo consulti anche sul problema del Territorio Libero. Poiché è mia impressione che Cannon goda molto credito presso il Dipartimento di Stato che, sempre a mia impressione, ne segue i suggerimenti circa la politica verso la Jugoslavia, non posso sottovalutare la sua opinione, per quanto, a sua detta, personale, sul problema del Territorio Libero.

Come ho già riferito, egli ritiene che l'America, cercando una soluzione al problema, non avrebbe che lo scopo di favorire l'Italia, dato che, rebus sic stantibus, non le dispiace affatto la presenza a Trieste della sua bandiera e delle sue truppe armate. Sennonché, è pure sua opinione che sia assai difficile sloggiare la Jugoslavia dalla Zona B, che di fatto si è annessa politicamente ed economicamente.

È manifesto che questa opinione è assai pericolosa per noi, perché può portare a priori ad escludere una ferma azione concorde delle quattro potenze, che la Jugoslavia, nello stato presente, non potrebbe che subire.

È probabile che l'America si preoccupi di non infliggere un colpo troppo duro a Tito, che essa vuol salvare in contrasto a Mosca, ma la riluttanza potrebbe essere superata dalla considerazione che se veramente Mosca aderisse a un tal piano, sarebbe essa il bersaglio principale delle reazioni jugoslave e che comunque Tito non potrebbe «rompere» con gli occidentali delle cui risorse economiche ha bisogno.

Poiché vengo informato che assai probabilmente si troveranno a Parigi pure questi ambasciatori di Francia e di Gran Bretagna (Payart e Peake ), riterrei opportuno che della cosa venisse informato il nostro ambasciatore Quaroni che potrebbe, se del caso, prendere opportuni contatti esplorativi.

Rientrato da Roma, ho avuto una nuova conversazione con questo direttore generale, ministro Brilej, il quale mi ha ancora una volta confermato che, dopo la firma dei recenti accordi, le relazioni italo-jugoslave sono assai migliorate e che il nuovo clima più amichevole, mentre si discutono maggiori problemi, consentirà la soluzione di tante minori questioni. Mi ha accennato all'ordine del Governo jugoslavo di rilasciare tutti gli equipaggi dei pescherecci catturati in Adriatico, al consenso del Governo jugoslavo ad addivenire allo scambio degli amnistiati che già era stato fissato per il 7 maggio ed a cui qui lo stesso Governo si era opposto (per influenza del Ministero degli interni), agli sconfinamenti che ora verrebbero da parte jugoslava considerati con assai più larghezza di vedute.

Un indice del migliorato clima verso l'Italia lo si potrebbe anche desumere dal giudizio favorevole del ministro aggiunto Bebler espresso all'ambasciatore Cannon, e che io mi sono già permesso di riferire a V.E., sulla politica svolta da questa legazione, ma soprattutto dalla presenza di Kardelj al mio ricevimento del 2 giugno, presenza che è considerata un «successo» da questo ambiente diplomatico, non abituato a vedere questo ministro degli esteri nei locali di una rappresentanza estera.

Il prossimo futuro dirà la sostanza che si cela sotto la forma.

1059 4 Con T. 6233/169, pari data, non pubblicato.

1060

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6280/47. Madrid, 11 giugno 1949, ore 16 (perv. ore 22). Mio telegramma n. 45 1•

Ho avuto lunga conversazione con Sufier. Egli mi ha confermato che il Governo spagnolo, per impegni presi con altri paesi quanto ad applicazione cambi multipli, non può accordare neanche breve proroga vigente accordo. Sufier ritiene che cambi ci verrebbero in ogni caso applicati da l 0 luglio perché Governo spagnolo sta studiando provvedimento che li renderebbe obbligatori per tutti paesi a partire da quella data.

Ha ripetuto opinione, che è del resto anche la mia per ragioni che ho esposto con telegramma 342 , che proroga non avrebbe nessun valore pratico.

Ho notato in linguaggio Sufier, formalmente sempre animato migliori intenzioni, una notevole intransigenza che ritengo in parte dovuta accordo già concluso con Francia e prossime conversazioni con Inghilterra nonché ad errata sensazione che egli sembra essersi fatta che considerazioni politiche ultimo momento abbiano irrigidita nostra delegazione su di una serie di questioni che a lui appaiono di non grande importanza.

Dopo offerta di aumentare alcuni contingenti materie prime spagnole da lui fatta presente in ultimo da Arguelles, egli considerava nostro rifiuto come manifestazione cattiva volontà. Le trattative erano ormai state interrotte per nostra intransigenza e se volevamo riprenderle bisognava rendere noto l'invio a Madrid di una nostra delegazione che venisse a trattare ufficialmente.

Arguelles ci accusava di non aver fatto neanche una sola concessione nel corso delle trattative e ignorava financo che la nostra delegazione aveva in realtà accettato sistema cambi multipli. Non mi è stato facile rimettere cose a posto ed ho dovuto invocare su questo ultimo punto testimonianza stesso Arguelles il quale è poi intervenuto conversazioni.

Ho riportato discussione su terreno puramente tecnico. Arguelles ha finito col convenire circa utilità cercare punto riavvicinamento attraverso normali vie diplomatiche, come era stato in un primo tempo da lui stesso proposto (mio telegramma 45), e siano rimasti d'accordo, salvo contrarie disposizioni V.E., che Arguelles ed io avremmo esaminata una per una questioni controverse per ricercare una base di intesa che permetta una ripresa delle trattative a più o meno breve scadenza.

Mi riprometterei-Arguelles è d'accordo su questa procedura-di riesaminare prima lista contingenti passando ad altre questioni solo quando questo ostacolo fondamentale fosse rimosso.

1060 1 Vedi D. 1042. 2 Vedi D. 926.

Contatti potrebbero essere facilitati, oltre che da presenza Madrid ambasciatore Sangroniz, da dott. Conti qui in missione per Assemblea Safni e della collaborazione del quale potrei valermi ove codesto Ministero ravvisasse opportunità farlo autorizzare protrarre per qualche tempo ancora sua permanenza Madrid.

Ho bisogno in ogni caso ricevere urgenza lista contingenti presentata da nostra delegazione3 .

1061.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGHTON, TARCHIANI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, MARIENI

TELESPR. RISERVATISSIMO 45/11286/c. Roma. 11 giugno 1949.

Riferimento: Telespresso ambasciata Washington n. 2058/888 in data 3 marzo 19491 e telegramma legazione Atene n. 112 in data 6 giugno 19492• Per opportuna conoscenza si trasmette in allegato copia della Nota verbale

n. 45/10962/27 del 6 corrente3 diretta alla legazione di Grecia a Roma per richiamare l"attenzione del Governo ellenico sull' interdipendenza esistente tra l'esecuzione dell'art. 74 del trattato di pace e la risoluzione di tutte le altre questioni in sospeso tra i due paesi relativamente al trattato stesso.

Mentre infatti le conversazioni sull' accordo di cooperazione economica (riparazioni) sono oramai sul punto di concludersi, quelle relative a tutte le altre questioni, prevalentemente di nostro interesse (sblocco dei beni italiani in Grecia e problemi del Dodecanneso) sono ancora in stato di fluidità. Ciò che è stato determinato dali' atteggiamento del Governo ellenico che ha cercato di assicurarsi delle concessioni nel campo delle riparazioni e ritardare invece la soluzione degli altri problemi.

È sembrato pertanto necessario far chiaramente intendere, come è stato anche riservatamente illustrato a rappresentanti di questa ambasciata degli Stati Uniti, e confermare con la Nota summenzionata, che da parte nostra vi è la ferma intenzione di concludere e firmare i diversi accordi insieme. A tale riguardo è da tenere anche presente che lo stesso accordo sulla cooperazione economica potrebbe essere soggetto a revisione, nei punti relativi alle concessioni fatte alla Grecia, qualora quello sulle altre questioni non ci assicurasse adeguate contropartite.

l 060 3 Per la risposta vedi D. l 063.

1061 1 Vedi D. 472.

2 Con il quale Marieni aveva comunicato le ulteriori proposte dilatorie avanzate dal Governo greco.

3 Non pubblicato, ma vedi D. 1015.

1062.

IL MINISTRO A PRAGA, V ANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1182/660. Praga, Il giugno 1949 (perv. il 16).

Riferimento: Telespresso di questa legazione n. IO 15/550 del 15 maggio 1949 1 .

Attivissima è stata nel mese decorso l'attività nel campo delle relazioni tra Stato e Chiesa. È evidente che il regime intende accelerare i tempi della lotta per giungere al più presto all'assoggettamento dell'avversario. Le posizioni delle due parti appaiono oramai esattamente delimitate e nessuno ignora più il vero stato del conflitto. Neppure certe formule equivoche, ancora adoperate dalla propaganda comunista, valgono a mascherare i fini della lotta. Stato e Chiesa si sono impegnati a fondo per combatterne l'ultima fase. Le armi sono ineguali: i vescovi profittano delle visite pastorali per mantenersi in istretto contatto col clero e con le masse dei fedeli. Il Governo moltiplica gli attacchi contro le gerarchie ecclesiastiche sia palesemente, con la stampa, con discorsi e con la radio e sia con l'impartire istruzioni riservate agli organi dipendenti, specialmente ai Comitati nazionali, ai Comitati d'azione ed alla polizia. Naturalmente la Chiesa non ha a disposizione né la radio né la stampa, ma solo il pulpito, che pure impone enormi cautele, e qualche circolare tirata al ciclostile e distribuita da giovani volenterosi con grave rischio personale.

Da parte degli organi di Stato la lotta si è concretata in una rigorosa sorveglianza personale di tutti i cattolici, ecclesiastici e laici, nel ridurre al minimo le entrate, ove non sia possibile annullarle, delle chiese e dei religiosi, nell'eseguire perquisizioni presso tutti coloro che sono in sospetto di collaborare con la Chiesa, nel raccogliere dichiarazioni e testimonianze a carico di sacerdoti. In questi giorni agenti della polizia si sono recati da numerosi sacerdoti ed hanno posto loro alcuni quesiti notandone naturalmente le risposte: le due principali domande erano queste: «Non ritenete che l'arcivescovo di Praga sia un traditore? Che cosa pensate di Plojhar?» (Quest'ultimo, ministro dell'igiene, è sacerdote cattolico sospeso a divinis e capo morale della lotta contro le gerarchie della Chiesa cattolica cecoslovacca). Tra le istruzioni segrete agli organi di polizia v'è anche quella di rifiutare ai preti non «progressisti» la benzina, di privarli degli apparecchi telefonici, d'impedire che ricevano viveri ed indumenti dalla campagna: questo nel segreto.

In pubblico il regime ha sferrato senza troppo riguardi una campagna aperta culminata nei discorsi programmati ci pronunciati al congresso del partito (25-29 maggio) dai ministri dell'istruzione Nejedly e da quello delle informazioni Kopecky2 . Nel discorso del ministro dell'istruzione è stata affermata la necessità che per l'intero corso di istruzione, dalla scuola materna obbligatoria per tutti alla Università, tutti gli studi siano informati ai principì marxisti leninisti. Il ministro Kopecky, da parte sua, ha tenuto un linguaggio di un'asprezza senza precedenti contro il Vaticano del quale ha respinto ogni ingerenza negli affari interni della Cecoslovacchia e parlando dell'Episcopato cattolico

1062 1 Non pubblicato. 2 Vedi D. 997.

cecoslovacco ha denunciato l'attività antistatale di taluni membri di esso dichiarando che l'abito sacerdotale non risparmierà ai traditori la giusta punizione.

Come ad un segnale dato, tutta la stampa, con l'organo del partito comunista Rude Pravo alla testa, ha iniziato una serie di attacchi serrati contro i rappresentanti della Chiesa cui viene rimproverato di sabotare ogni tentativo dello Stato per pervenire ad un accordo nelle questioni religiose.

I dignitari cattolici, si dice, hanno fatto ancora di più: hanno sospeso dalle loro funzioni quei sacerdoti che collaborano col Governo e hanno pubblicato lettere pastorali la cui intenzione manifesta è di contrapporre la Chiesa al regime. E i giornali dichiarano che il clero è sottoposto, al pari di ogni altra categoria di cittadini alle leggi dello Stato che pertanto non può violare impunemente.

Il Rude Pravo denuncia le ingerenze straniere nella politica interna cecoslovacca e dichiara che il Vaticano sta nel campo degli imperialisti e che i suoi interessi politici sono in contrasto con la democrazia popolare, col progresso e col socialismo.

Tutta la stampa è concorde nell'affermare che i cattolici cecoslovacchi non desiderano altro che la conclusione dell'accordo col Governo ed annunciano che i Comitati d'azione ricevono innumerevoli petizioni in tal senso dalla popolazione cattolica.

Altra manifestazione della lotta contro la Chiesa è stata la pubblicazione da parte del Ministero dell'istruzione di un «Bollettino del clero cattolico» che, venuto dopo la soppressione di tutti i foglietti ufficiali delle diocesi (Acta Curiae), pretende di prenderne il posto e di essere considerato come organo ufficiale del clero.

La Chiesa, da parte sua, non ha dimostrata minore attività competitiva. Il 29 aprile scorso l'arcivescovo di Praga ha indirizzato al presidente Gottwald una lunga lettera (vedi all. n. l )1 nella quale espone coraggiosamente tutte le violenze compiute contro la Chiesa; il 17 maggio lo stesso mons. Beran inviava una lettera al ministro Petr (vedi all. n. 2)1 presidente del partito democratico popolare (ex-cattolico) in cui lo richiamava energicamente alle sue responsabilità per la collaborazione che dava ai provvedimenti legislativi ostili alla Chiesa e ricordava che tale collaborazione importa ipso facto la scomunica. Il 28 maggio, infine, in una circolare diramata al clero della diocesi di Praga, l'arcivescovo dava istruzioni ai preti sulla condotta da tenere di fronte agli attacchi del regime e precisava gli abusi commessi dallo Stato nei confronti della Chiesa (vedi ali. n. 3)1•

Domenica scorsa in una chiesa di Praga l'arcivescovo s'è intrattenuto coi fedeli sull'attuale situazione religiosa. Egli ha rilevato che oggi le condizioni dei cattolici sono molto più penose che sotto l'occupazione nazista e che occorre far ricorso all'eroismo cristiano per resistere agli attacchi dell'avversario.

Dev'essere rilevato che, mentre s'inasprisce la persecuzione religiosa da parte del regime, le manifestazioni di religiosità del popolo crescono e s'intensificano. E non si tratta solo di maggiore frequenza alle cerimonie religiose nei templi, ma pure di dimostrazioni di piazza come quelle che quotidianamente hanno luogo in occasione delle visite pastorali dei vescovi. È avvenuto, ad esempio, a Kladno, il maggior centro comunista della Boemia, che l'arcivescovo di Praga è stato fatto segno nelle strade ad accoglienze entusiastiche per parte della popolazione.

Il fervore delle accoglienze ha dovuto impressionare anche le autorità comuniste se in certe istruzioni riservate ai fiduciari di un Comitato nazionale (vedi all.

n. 4)1 si è ritenuto opportuno di proibire ai funzionari delle pubbliche amministrazioni di organizzare accoglienze all'arcivescovo.

Le manifestazioni riservate all'arcivescovo di Praga (anche dalle altre diocesi pervengono notizie di intensificata religiosità e di manifestazioni di attaccamento ai vescovi) hanno indubbiamente un sapore politico: nell'arcivescovo il popolo venera il difensore intrepido della libertà di tutti. E non solo il popolo cattolico, perché giorni or sono sono stati notati nella folla inginocchiata davanti all'arcivescovo anche dei membri della Chiesa cecoslovacca.

Ed un altro sentimento è pure mescolato in questo profondo atto di omaggio: l'ammirazione per il contegno eroico del pastore di cui tutti sanno che la vita è in imminente pericolo.

Effettivamente, dopo le recenti minacce contro «i vescovi traditori» e mentre una violenta campagna infuria contro la «reazione clericale» la vita di questo vescovo che continua sorridente a percorrere città e campagna rispondendo a tutti gli attacchi e a tutte le accuse è più che in pericolo. Il tragico esempio del cardinale Mindszenty viene rievocato silenziosamente al suo passaggio.

Mi consta che tanto lui quanto i suoi più vicini collaboratori hanno già preso le opportune misure in previsione dell'arresto.

Riassumendo: Stato e Chiesa hanno definitivamente fissate le loro posizioni antitetiche; nessuna possibilità di compromesso è in vista. Il regime comunista è deciso ad usare la forza materiale per abbattere l'avversario, la Chiesa è decisa a sostenere la lotta fino al sacrificio definitivo dei suoi massimi esponenti.

Non è possibile alla Chiesa cattolica ed anzi a qualunque confessione cristiana, ha detto l'arcivescovo, trattare con un Governo che ha affermato la sua decisione di voler educare il popolo al materialismo marxista.

Non è possibile allo Stato -hanno risposto gli attuali reggitori -tollerare dei traditori, sia pure in veste talare, che si valgono della loro autorità per contrastare ai principì del regime.

Di quali mezzi si varrà il Governo per colpire al cuore la Chiesa cattolica? La opinione già diffusa, secondo la quale si sarebbe cercato di combatterla con lo scisma, creando una controchiesa ovvero elevando a chiesa nazionale la confessione cecoslovacca ed obbligando quindi tutti gli iscritti alle organizzazioni di partito ad uscire dai ranghi del cattolicismo, non trova oggi più sostenitori. L'iniziativa, invece, che va sempre più prendendo corpo e che è divenuta in questi ultimi giorni campagna ufficiale del regime ed è promossa con ogni mezzo (la raccolta, cioè, di petizioni affinché si giunga ad un accordo tra i cattolici e la democrazia popolare) pare piuttosto indicare la direzione che il Governo intende seguire.

Si dice dunque, e la stampa annota il fatto con evidente compiacimento, che numerose petizioni (molte delle quali, secondo l'opinione generale, o non esistono che nelle versioni di questa stampa ammaestrata o sono sollecitate dalla polizia e dai dirigenti comunisti, o addirittura spedite da loro stessi) pervengono alle autorità civili da parte della popolazione cattolica. Dette petizioni esprimono il vivo desiderio che un accordo in materia religiosa venga concluso e venga data così pace e serenità ai fedeli.

Ora, poiché i vescovi hanno dichiarato che non è possibile trattare con l'attuale regime, la conseguenza ovvia di tale campagna è che l'ostacolo all'auspicato accordo venga eliminato. L'ostacolo è dunque praticamente rappresentato dall'Episcopato ed in modo speciale da taluni elementi avversi allo Stato che, come ha detto giorni or sono al congresso del partito comunista il ministro Kopecky, «saranno puniti in quanto traditori senza riguardo all'abito sacro». Alcuni dei vescovi più combattivi dovreb

bero scomparire, mentre una nuova organizzazione dovrebbe sorgere diretta da elementi religiosi e laici fedeli al regime.

Che questa sia la via che il Governo intende seguire per liberarsi dell'Episcopato cattolico è confermato dal fatto che proprio ieri ha avuto luogo a Praga una riunione preliminare di sacerdoti e laici (progressisti) da tutta la Cecoslovacchia per trattare della situazione religiosa. L'assemblea ha plaudito all'opera di ricostruzione della Repubblica democratico-popolare, alla quale i cattolici hanno prestato il loro contributo ed ha riaffermato la propria fedeltà alla Chiesa ed alla dottrina di Cristo. Superata questa parte formale, l'adunanza ha condannato il capitalismo come sistema anticristiano e causa prima delle recenti guerre mondiali, si è affermata sostenitrice della pace tra le nazioni invitando tutti gli uomini di buona volontà alla collaborazione. I convenuti hanno proceduto poi alla elezione di un Comitato d'azione cattolica (la denominazione è in contrasto con il recente divieto dell'arcivescovo di Praga che aveva inibito, giorni or sono, a qualunque ente non autorizzato dalle gerarchie ecclesiastiche di adottare la qualifica di «cattolica>>) per la esecuzione delle decisioni dell'assemblea ed il cui primo compito sarà quello di recarsi dai vescovi per informarli della costituzione del nuovo ente ed esortarli a riprendere le trattative con i rappresentanti dello Stato per il regolamento delle questioni religiose.

A tale organizzazione che dovrebbe, nelle intenzioni dei reggitori comunisti, assumere la rappresentanza della popolazione cattolica avversa alla politica «reazionaria» dell'Episcopato, potrebbe essere assegnato il compito di concludere direttamente l'accordo con la democrazia popolare e di sostituirsi infine all'Episcopato.

Particolarmente idonei a dirigere un movimento del genere potrebbero essere il ministro Plojhar (prete sospeso a divinis), il ministro Petr (presidente del partito democratico popolare recentemente ammonito dall'arcivescovo di Praga), il parroco Fiala ed i commissari slovacchi Lukacovic e Horàk (entrambi sacerdoti sospesi dalle loro funzioni) o elementi da essi manovrati.

Intanto l'Episcopato cattolico, riunitosi ad Olomouc, ha dichiarata scismatica la nuova organizzazione ed ha fatto presente che tutti coloro che vi aderiranno incorreranno nelle sanzioni previste dal codice canonico. Contemporaneamente si apprende dell'arresto del sacerdote Mandel, segretario di questa Azione cattolica e non si nascondono, nell'atmosfera di nervosismo qui dominante, le preoccupazioni per la persona stessa dell'arcivescovo.

1063

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA

T. 4955/53. Roma, 13 giugno 1949, ore 12,30.

In relazione al suo telegramma 471 la prego di dire al sottosegretario del commercio estero e a Arguelles che impressioni spagnole circa nostro irrigidimento nelle recenti trattative di Roma sono senza fondamento. Potrà infatti far presente:

1063 1 Vedi D. 1060.

l) La delegazione italiana fin dalle prime sedute, nonostante le difficoltà derivanti dalla attuale parità lira-dollaro per il sistema clearing voluto dagli spagnoli, accettò negoziare sulla base dei cambi multipli cioè sulla base di un sistema di funzionamento quasi impossibile.

2) Dalla delegazione italiana fu proposto fin da principio un protocollo di larga collaborazione economica italo-spagnola; in tal modo noi mostrammo la preoccupazione di assicurare alla Spagna non solo le forniture industriali che le sono necessarie ma anche la possibilità di costituire somme per finanziamento proprio turismo in occasione Anno Santo.

3) Presidente della delegazione italiana ebbe a dire nel modo più esplicito al presidente della delegazione spagnola che tutte le altre complesse difficoltà sarebbero state superate se da parte spagnola si fosse ammesso qualche compromesso circa liste e accettando considerevoli aumenti contingenti materie prime e ammettendo per grosse forniture industriali il sistema di reciprocità ed infine ammettendo che si decidesse, caso per caso, per pagamento tali forniture come proposto nel nostro progetto di collaborazione economica.

4) Lo stesso presidente della delegazione spagnola si rese conto che ultime concessioni del proprio Governo circa le materie prime erano del tutto insufficienti come sanatoria dell'equilibrio economico liste proposte spagnoli.

S.V. potrà opporre, fra l'altro, a tentativo di rovesciare situazione tentato da codeste autorità, che irrigidimento si è verificato da parte spagnola poiché in concreto nessuna richiesta italiana ha potuto essere accolta in contropartita nostre concessioni fra le quali è da ricordare in primo luogo quella relativa al sistema dei cambi multipli.

Liste contingenti nonché altri elementi che le sono stati inviati con telespresso urgente dell' 8 corrente2 potranno esserle utili nelle conversazioni commerciali per le quali il Ministero le farà pervenire opportune istruzionP.

1064.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI

T. SEGRETO 4958/31. Roma, 13 giugno 1949, ore 17,30.

Da più parti, anche da Tripoli, si è insistito in questi giorni, dopo nostra dichiarazione', perché prendiamo contatti riservati con Boshir es-Saadawi anche in vista suo prossimo viaggio in Libia, Da parte nostra saremmo favorevoli a tali contatti che potrebbero avvenire o al suo passaggio in Italia, o in località Medio Oriente che risultasse più adatta. Si metta in contatto con Riad bey ed esponendogli quanto pre

l 063 2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 1066.

1064 1 Vedi D. 1003.

cede gli dica che ci sarebbe gradito se egli potesse intervenire in via personale presso Boshir es-Saadawi in modo farci conoscere sua opinione su tale ripresa contatti per scambio vedute nello spirito intesa che lo stesso Riad bey ci ha più volte suggerito. Ciò, beninteso, si svolgerebbe nel quadro di una collaborazione tra Italia, Paesi arabi e Gran Bretagna2•

1065.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, GIARDINI

T. 4965112. Roma, 13 giugno 1949, ore 15,30.

Suoi 30 e 3P.

Ove non vi si oppongano ragioni di opportunità connesse con attuale situazione interna boliviana, pregola informare codesto Governo, a conferma comunicazione di cui al mio telegramma 552 , che siamo disposti a concludere al più presto accordo amicizia collaborazione.

Circa testo riservomi impartire istruzioni del caso non appena sarà pervenuto progetto costì elaborato.

Sarebbe gradito anche al Governo italiano sottolineare interesse che si attribuisce all'accordo inviando apposito plenipotenziario per la firma; si sta pertanto studiando di inserire tale missione in più vasto programma di visita ufficiale personalità italiana nelle capitali sudamericane, inteso particolarmente esprimere nostra riconoscenza per sostegno prestato da Governi latino-americani questione coloniale. Si fa quindi riserva di ulteriori comunicazioni in proposito.

1066.

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA

T. 4980/54. Roma, 13 giugno 1949, part. ore 0,15 de/14.

Mi riferisco al telegramma ministeriale 5 31 .

Non sembra da parte nostra utile, dopo la interruzione delle trattative di Roma, lasciar intravvedere costì una eccessiva fretta di voler concludere il nuovo accordo. Gli accordi spagnoli recentemente firmati con la Francia e con altri paesi sulla base

l 064 2 Per la risposta vedi D. l 081.

1065 1 Vedi D. 1029.

2 Riferimento errato, si tratta probabilmente del D. 632.

1066 1 Vedi D. 1063.

dei cambi multipli, rendono indubbiamente difficile di ottenere un più arrendevole atteggiamento nei nostri riguardi da parte di codesto Governo. È vero altresì che non ci conviene perdere codesto mercato per le nostre forniture industriali in vista anche di un eventuale cambiamento nella situazione internazionale che assicurando alla Spagna aiuti economici da parte del Governo statunitense, potrebbe in quel momento rendere meno interessante nel settore delle forniture industriali ed investimenti la nostra collaborazione.

Non deve d'altra parte dimenticarsi che l'Italia è la principale importatrice di sardine e acciughe spagnole, cioè di quei prodotti che interessano importante settore economico spagnolo; è questo un elemento che, se ben sfruttato, può avere una influenza notevole per gli spagnoli a rivedere loro progetti riguardo le liste.

Ciò premesso V.S. potrà mantenere con codeste autorità opportuni contatti limitandosi a far loro comprendere che da parte italiana si è disposti a riprendere le trattative interrotte a Roma inviando costà una nostra delegazione commerciale purché:

l) gli spagnoli in via preliminare accettino o di diffalcare dalle liste di importazione dall'Italia i contingenti di automotrici ferroviarie e di materiale elettrico, che potranno formare oggetto dell'accordo di collaborazione economica, o di rinforzare le liste di esportazione in Italia con contingenti notevoli di materie prime;

2) prima della fine della validità dell'accordo 1947, codeste autorità diano seguito alle licenze per affari di reciprocità particolarmente quelle contraddistinte con

n. I, 155 e I, 181 di cui telespresso 7918/29 del4 giugno2 .

Essendo necessario urgentemente la presenza a Roma del dott. Conti per la preparazione delle prossime trattative con la Gran Bretagna, il Ministero del commercio estero non (dico non) può aderire alla richiesta di V.S. di prolungare costì soggiorno predetto funzionario3 .

1067.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 13 giugno 1949.

VISITA DI UNA PERSONALITÀ DI GOVERNO ITALIANA

ALLE CAPITALI LATINO-AMERICANE

La visita di un'alta personalità di Governo italiana riuscirà gradita ai paesi latino-americani, che vedranno nel nostro gesto un riconoscimento della loro importanza come fattore internazionale, e darà pertanto un ulteriore impulso all'orientamento

l 066 2 Non pubblicato. 3 Capomazza rispose il 3 luglio con il T. 7238/55 che si pubblica nel volume successivo.

amichevole di quei Governi. Il viaggio dell'on. Sforza nel 19461 costituì senza dubbio uno dei fattori determinanti di quell'appoggio che l'America latina volle e seppe prestare negli anni successivi con maggior concretezza ed efficacia di quanto avesse fatto in precedenza. Gli sviluppi della nostra situazione internazionale dal 1946 ad oggi ed il fatto che varie capitali non poterono essere allora visitate dal rappresentante speciale del Governo italiano rendono ora, appunto, particolarmente opportuna la progettata visita di una personalità italiana.

Da un punto di vista politico si prospettano al riguardo le seguenti considerazioni da cui potranno trarsi, subordinatamente alla superiore valutazione della questione, quegli elementi che verranno considerati più opportuni:

l) Quanto più la visita sarà posta da noi in rilievo, tanto più essa desterà l'interesse dell'opinione pubblica e dei Governi latino-americani. A tale fine potrebbe, fra l'altro, riuscire utile che:

a) Venisse scelta una personalità di primo piano.

b) La nomina avvenisse con la maggior solennità possibile, ad esempio: l'iniziativa potrebbe eventualmente partire dal Parlamento mediante una mozione di simpatia alle Repubbliche latino-americane.

c) La persona prescelta ricevesse una speciale qualifica come rappresentante ufficiale del Governo italiano. d) L'annunzio fosse dato mediante apposito comunicato ufficiale redatto in modo da destare l'interesse degli ambienti latino-americani. e) La nomina e la partenza fossero accompagnate da una ben condotta campagna di stampa e da un accurato servizio di diffusione nelle varie capitali latino-americane.

f) Contemporaneamente alla visita fossero rese di pubblica ragione altre iniziative, da concretare in un secondo momento, atte ad esercitare favorevoli riflessi e a creare un'atmosfera particolarmente cordiale, ad esempio: inviti a personalità di governo latino-americane; erezione in Roma di un monumento alla «Fraternità latina», la cui inaugurazione potrebbe essere coordinata con gli inviti e aver luogo in coincidenza con l'Anno Santo; intitolazione di strade, istituzioni, scuole a paesi, città, uomini illustri dell'America latina; creazione di un grande Istituto italo latino-americano con sede in Roma.

2) Ogni visita nelle singole capitali potrebbe essere sottolineata con gesti di cortesia che si presume riusciranno particolarmente graditi, fra cui: a) Conferimento di decorazioni (occorrerebbe all'uopo affrettare l'emanazione della legge sull'istituzione dell'Ordine al Merito o utilizzare la Stella della Solidarietà).

b) Invio di doni (ad esempio dal presidente della Repubblica ai singoli capi di Stato; della Città di Roma alle rispettive città capitali, di nostre grandi istituzioni culturali, di beneficenza o altre alle istituzioni corrispondenti). I doni potrebbero consistere, sentite le rappresentanze diplomatiche competenti e interessati gli uffici, in produzioni di opere di arte, raccolte di libri, lupa romana, lavori di artigianato di particolare valore, prodotti di alto valore tecnico-industriale che possano costituire in certo senso anche una divulgazione del nostro potenziale tecnico ed economico.

1067 1 Per il quale vedi serie decima, vol. IV. Al D. 393 è pubblicata la relazione finale, per gli altri documenti si veda la tavola metodica.

c) Lettere autografe delle massime autorità italiane (presidente della Repubblica, presidente del Consiglio o ministro degli affari esteri) alle corrispondenti autorità dei paesi latino-americani.

d) Iniziative varie, fra cui conferimento di borse di studio, inviti a studiosi, provvidenze varie a favore di istituzioni culturali e di beneficenza.

3) Si prospetta poi l'opportunità di eliminare ogni possibile inconveniente di carattere politico. Si rileva al riguardo:

a) È anzitutto necessario che sia perfettamente chiaro per il Governo nordamericano che il nostro gesto non ha alcun particolare scopo ma costituisce soltanto una generica manifestazione di quell'atmosfera particolarmente cordiale che per ragioni non contingenti ha sempre caratterizzato i nostri rapporti con l'America latina. Sarà a tale riguardo opportuno che della progettata visita e della sua natura il Governo nordamericano sia informato prima non solo dell'annunzio ufficiale, ma anche di eventuali indiscrezioni. Sarà anche bene evitare tutto quanto possa dare alla visita un accentuato o troppo esplicito significato politico. Inoltre dal punto di vista formale le manifestazioni ufficiali (discorsi, commenti) e di stampa dovranno evitare di insistere eccessivamente su fini particolaristici (blocco latino, terza forza, raggruppamento delle nazioni cattoliche) e porre invece in maggior rilievo motivi a carattere universale: Carta Atlantica, Nazioni Unite, solidarietà delle democrazie, difesa della pace e dei valori spirituali dell'Occidente, contributo all'assestamento economico e al progresso universale. In particolare rilievo dovrà essere posto il nostro apprezzamento del sistema panamericano come affermazione di tali motivi e delle relative idealità. Infine sarà bene che il viaggio si concluda a Washington.

b) Occorre tener conto di determinate situazioni locali e delle particolari suscettibilità dei singoli paesi latino-americani.

Pertanto le suaccennate manifestazioni di cortesia non dovranno essere né uniformi né troppo disuguali, ma contenere nella varietà delle forme la necessaria graduazione, in modo da soddisfare in pari tempo sia i maggiori paesi che ritengono di meritare una più elevata considerazione sia quelli minori che si attengono naturalmente al principio della parità formale degli Stati. È poi ovvio che si debbano evitare accenni di qualsiasi genere a problemi di carattere strettamente interamericano o che siano oggetto di rivalità e conflitti locali.

c) Un esame a parte merita la situazione di Haiti. Se la visita si dovrà estendere a tutte le capitali americane, l'omissione di Port au Prince potrebbe avere sfavorevoli riflessi in avvenire. Sarebbe quindi forse opportuno studiare la possibilità di indurre quel Governo, per mezzo dei sondaggi del caso, a chiarire la sua posizione circa il problema dei territori africani, in vista anche del nostro più recente atteggiamento sulla questione.

4) La visita, formalmente gesto di cortesia, avrà implicitamente un contenuto sostanziale e quindi, mentre dovrà costituire un atto di riconoscenza per l'appoggio prestatoci finora, avrà il compito di incoraggiare e sviluppare tale atteggiamento in avvenire. Sembra pertanto opportuno che:

a) Le rappresentanze competenti e gli uffici interessati (Affari economici, Emigrazione, Relazioni culturali, S.E. T.) esaminino fin d'ora la possibilità di utilizzare questa occasione per dare un maggior impulso allo svolgimento dei negoziati in corso (si unisce una lista di quelli più importanti) e alla soluzione di qualche questione di particolare rilievo.

b) Eventuali manifestazioni ed iniziative in preparazione nei singoli paesi possano coincidere con la visita (esposizioni, mostre ed altre iniziative culturali ed economiche). Anche a tale riguardo si rende necessario il tempestivo interessamento delle rappresentanze e degli uffici competenti.

c) Da un punto di vista generale, nei contatti con vari Governi latino-americani si ponga in rilievo il nostro proposito di rafforzare e sviluppare i rapporti con i rispettivi paesi. È infatti opportuno non insistere eccessivamente ed unicamente sul tema della nostra gratitudine, ma valorizzare sopratutto l 'importanza della reciproca collaborazione nel comune interesse. In ogni settore, da quello politico a quello dell'emigrazione, esiste un interesse che spinge i paesi latino-americani al loro attuale atteggiamento (prestigio politico, aspirazione a partecipare alla vita politica internazionale, necessità del contributo italiano al rispettivo sviluppo economico, tecnico e culturale, proposito di conservare la propria omogeneità etnica, religiosa e culturale ecc.). Sarà utile quindi porre in rilievo tutto quanto si riferisce a questi interessi dei paesi latino-americani e alla nostra capacità di soddisfarli.

d) Nei riguardi della collettività italiana venga chiarito, se apparirà necessario, che la missione è rivolta esclusivamente ai Governi e che d'altra parte essa è espressione dei sentimenti non di determinate correnti politiche italiane ma del paese stesso nel suo più alto e completo significato. La visita prospettata contribuirà comunque, indirettamente, a mantener desto l'attaccamento dei connazionali al paese nonché a determinare una migliore comprensione, da parte di essi, della realtà italiana di oggi e ad attutire i dissidi che ancora sussistono in seno a talune nostre collettività. Al riguardo la Direzione generale dell'emigrazione potrà fornire gli elementi del caso.

1068.

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTISSIMO 6355/29. Trieste, 14 giugno 1949, ore 2,20. (perv. ore 7,30).

Riferimento mio telespresso 3573/691 del 6 corrente 1 e seguito mio fonogramma odierno n. 37042 . Da primo esame risultati pressocchè definitivi elezioni Trieste 3 , possono trarsi seguenti conclusioni:

l) da punto di vista etnico piena italianità città risulta senza equivoco confermata. Infatti pur tenendo presente che più esatto calcolo potrà essere fatto solo in base preferenze, sommando voti raggiunti partiti etnicamente italiani, (lettera b del telespresso sopraccitato) ammontano a complessivi 149.132 voti, ossia 88,11 per cento votanti;

1068 1 Vedi D. 1039.

2 Non pubblicato.

3 I risultati sono in DIEGO DE CASTRO, La questione di Trieste. L 'azione politica e diplomatica italiana dal1943 all954, vol. II, Trieste, Lint, 1981, pp. 261-262.

2) dal punto di vista politico, partiti esplicitamente favorevoli riannessione all'Italia hanno raggiunto 63,35 per cento votanti; devonsi aggiungere 35.369 comunisti che hanno tenuto durante intera campagna atteggiamento tendenzialmente revisionista in senso italiano, come del resto Vidali ha confermato in sua ultima conferenza stampa. Richiamandosi pertanto considerazioni svolte in telespresso citato, complesso voti tendenzialmente favorevole Italia è di 142.008 con percentuale del1'84,46 per cento;

3) sempre dal punto di vista politico, si noterà invece squagliamento forze favorevoli Jugoslavia, rappresentate in prima linea da fronte popolare italo-sloveno (che ha raggiunto solo 3.956 voti pari a 2,36 per cento) ed in seconda istanza, per una certa aliquota, dal fronte indipendenza Friuli sovvenzionato da Belgrado (voti complessivi 11.446 pari a 6,83 per cento);

4) tenendo presente che per ragioni riportate in telespresso sopracitato, indipendentisti puri sono inquadrati unicamente da blocco triestino, risulta che indipendentismo a Trieste è soprattutto mascheramento interessi particolari;

5) percentuale comunista, inferiore a quella di analoghe città italiane con pari struttura industriale, è dovuta indubbiamente ricordi occupazione jugoslava, atteggiamento tenuto partito anteriormente scissione su questione nazionale, nonché recente frattura fra comunisti due denominazioni. Tenuto presente quanto precede, si deve tuttavia riconoscere che partito cominformista ha dimostrato notevole resistenza nel mantenere sue posizioni ed ha praticamente riunito intorno a sé base comunista locale;

6) frazionamento partiti italiani ha convogliato messe voti a democratici cristiani, cui ha giovato altresì prudente atteggiamento nei confronti sloveni;

7) sono rimasti giacenti circa numero 15 mila certificati elettorali che non hanno potuto essere ritirati da titolari. Potrà essere messo in rilievo che, fra gli altri, si trovano fra di essi quelli dei 5 mila triestini deportati in Jugoslavia;

8) risultati, nel loro complesso, rispondono sensibilmente, nei rapporti fra partiti apertamente favorevoli alla annessione all'Italia e rimanenti, a quelli fissati da votazione del 18 aprile fra forze comuniste ed anti comuniste.

Mi riservo di riferire, appena possibile, circa assegnazione dei seggi del Consiglio comunale. Prego trasmettere urgenza copia presente telegramma anche alla Presidenza del Consiglio, Ufficio zone confine.

1069

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 6402/39-40. Ottawa, 14 giugno 1949, ore 23 (perv. ore 11,30 de/15). Mi riferisco ultime comunicazioni di V.E.1•

1069 1 Vedi D. 1052.

In relazione miei pressanti passi per iscritto e verbali, sottosegretario esteri (che regge Dipartimento) mi ha testé autorizzato telegrafare all'E.V. che «autorità Canada sono disposte studiare con simpatia in comune con noi nota iniziativa per l'emigrazione nostri agricoltori fomiti capitali dall'E.C.A.».

Ha aggiunto che, dopo nuova prossima riunione interministeriale alti funzionari competenti (ministri essendo impegnati in elezioni), me ne verrebbe data conferma scritta.

Considerando diffidenze in materia e circospezione amministrazione Canada, ritengo in coscienza che assicurazione odierna, ottenuta dopo molti sforzi, costituisca massimo attualmente conseguibile.

Sottosegretario peraltro mi ha fatto presente in modo tassativo necessità che assicurazione datami sia tenuta strettamente segreta sino l o luglio prossimo, poiché in attuale periodo elettorale qualsiasi indiscrezione potrebbe arrecare danno questo Governo, stante preconcetti opinione pubblica Canada. Ove poi da parte nostra si desiderasse fare qualche comunicazione pubblica, posteriormente l o luglio, testo dovrebbe esserne previamente concordato con questo Govemo2 .

1070

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER POSTA AEREA 6499/257. Londra, 14 giugno 1949 (perv. il 17). Suo 259 1•

Mi sono recato oggi da Attlee secondo istruzioni V.E. Dovevo tener conto di parlare non solo al primo ministro ma a un convintissimo socialista. Posi quindi questione su basi di realismo politico. Lo misi di fronte responsabilità dei pericoli che distacco dei socialisti dal Governo creerebbe non solo per quanto riguarda nostra politica interna ma politica estera che interessa vivamente anche Gran Bretagna. Una crisi provocata da una ricerca di ipotetica unità di un partito socialista poteva essere gravissima nel momento in cui ratifica Patto atlantico e legami dell'Italia con l'Occidente venivano in discussione al Parlamento italiano. Mentre presenza esponenti socialisti nella coalizione assicurava al Governo i voti dei loro seguaci, non era possibile prevedere atteggiamento di una opposizione socialista comprendente Romita che non sembra favorevole al Patto atlantico.

Attlee mi ascoltò con segni di assenso e consentì anche a seconda parte mio discorso, cioè che Italia era punto nevralgico dell'intero sistema di difesa europea con

1069 2 Con T. segreto 6431/41 del 15 giugno Di Stefano aggiunse: «Per eventualità V. E. ritenesse necessaria una comunicazione pubblica a tempo debito, segnalo ad ogni buon fine opportunità fare riferimento in testo a principi cooperazione economica e sociale contenuti Patto atlantico. Ciò anche allo scopo invogliare canadesi, data iniziativa che questo Governo si attribuisce nella formulazione relativa clausola detto Patto». Per la risposta di Zoppi al presente documento vedi D. l 084.

1070 1 Vedi D. 1048.

tro il comunismo, come ben aveva compreso il laburismo stesso alla vigilia delle nostre elezioni dell'aprile 1948, e che smuovere un solo punto di tale difesa, per ragioni teoriche di risultato assai dubbio, avrebbe offerto il fianco a manovre comuniste, sia pure in via indiretta, con incalcolabili reazioni su tutta la compagine democratica europea così faticosamente raggiunta. D'altronde osservavo che, qualunque fossero le opinioni teoriche, una cosa era chiara per un uomo di Stato: che la formula di coalizione governativa in Italia rappresentava una realtà di fatto e che il risultato delle elezioni di Trieste2 dimostrava come essa rispondesse alla espressione della volontà popolare non mutata in ciò dopo un anno dalle elezioni.

Aggiunsi in fine che mi era impossibile tacergli il pericolo che correvano gli stessi leaders socialisti italiani se la nostra opinione pubblica si fosse persuasa che vi sono pressioni esterne per modificare la coalizione ministeriale.

Mi rispose che membro inglese della delegazione CoMrsco aveva avuto istruzioni di rimanere neutrale (telegramma 253)3• Replicavo chiedendo se Attlee credeva veramente che al mondo esistesse la neutralità. Sorrise e disse che in questo caso la neutralità sarebbe stata reale. Quanto al Governo britannico esso non sarebbe entrato nella questione. Dissi allora che comprendevo il suo riserbo ma gli chiedevo se avrei potuto comunicare al mio Governo che personalmente egli aveva compreso nostra posizione e aveva aderito a quanto gli avevo detto. Rispose sì.

1071.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 652/2283. Parigi, 14 giugno 19491•

Riferimento: Telespresso codesto Ministero n. 10701/c. del3 corrente2•

Secondo mi è stato comunicato al Quai d'Orsay, il Governo francese ha deciso di riconoscere la validità del trattato franco-turco del 1939 puramente e semplicemente. È stata inviata all'ambasciata di Turchia una nota redatta in questi termini.

È implicito che la clausola militare viene a decadere data l'assenza di forze militari francesi nel Medio Oriente. Ma non viene detto. In quanto alla cosidetta «clausola russa», non sembra che nel trattato franco-turco ci sia una clausola equivalente.

In questa forma i francesi ritengono di avere dato soddisfazione alle richieste turche. Ma la cosa non mi pare tanto semplice e meriterebbe forse di essere approfondita: così come si presenta potrebbe dare luogo a equivoci d'interpretazione. A meno che, come sembra probabile, si sia voluto dare soprattutto ascolto a quelle considerazioni di politica interna turca fatte presenti dal nostro ambasciatore ad Ankara nel rapporto sopracitato.

1070 2 Vedi D. 1068. 3 Del 13 giugno, non pubblicato. 1071 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Si tratta della ritrasmissione del D. 91 I.

1072

IL MINISTRO A BUCAREST, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1033/501. Bucarest, 14 giugno 1949 (perv. il 22).

Telegramma di codesto Ministero n. 17 del 19 febbraio c.a. 1 .

Il signor M. Dragomirescu, il quale parte domani sera per l'Italia, è venuto stamane a farmi la visita d'uso. Ciò rappresenta già un notevole progresso-sia pure di cortesia formale-rispetto alle costumanze che qui erano invalse dopo l'avvento del regime comunista, e specie in confronto del di lui predecessore a Roma (il quale trascurò del tutto non solo divenirmi a vedere ma financo di rispondere ad un invito a pranzo che io gli avevo inviato per lui e per la signora Cioroiu).

Il signor Dragomirescu è certamente persona di maggior cultura e di migliori maniere del signor Cioroiu; ha compiuto studi regolari nelle scuole classiche; è laureato in letteratura romanza e -pur essendo un comunista zelante -proviene dalla classe borghese che si era formata in Romania negli ambienti delle professioni liberali e in quelli universitari. Ha viaggiato in Francia e in Italia negli anni che precedettero l'ultima guerra; parla abbastanza correttamente il francese, e un po' anche l'italiano.

Il colloquio che ho avuto con lui merita di essere segnalato: egli mi ha subito espresso la sua soddisfazione di esser stato inviato a Roma, e ha soggiunto che teneva a dirmi che avrebbe posto nella sua missione ogni impegno per mantenere e sviluppare buoni e proficui rapporti fra l'Italia e la Romania (anche e specialmente per quanto riguarda le questioni economiche e commerciali) e ciò in conformità alle istruzioni che aveva ricevute; ha aggiunto ancora «che era lieto del resto di constatare come le relazioni italo-romene fossero del tutto soddisfacenti e come anzi il Governo romeno avesse posto a ciò particolare cura».

Non ho potuto tacergli, sia pure con ogni garbo, che le sue dichiarazioni mi causavano la più gradita sorpresa, e che ne prendevo atto come buona premessa per l'avvenire; giacché -pur con rammarico -non potevo condividere il suo apprezzamento circa le condizioni soddisfacenti delle relazioni fra l'Italia e la Romania e sopratutto circa le attuali favorevoli disposizioni del suo Governo nei confronti degli interessi italiani in Romania. Ho citato ad esempio varie questioni pendenti (nazionalizzazione dei beni italiani, arbitrarie e illegali espropriazioni a danno di privati cittadini italiani, procedure poliziesche e vessazioni giudiziarie contro italiani, abituale mancata risposta da parte di questo Governo a ogni passo o nota italiana sulle varie materie in corso anche di grande importanza, ostacoli e ritardi nelle questioni dei rimpatri e nella concessione dei visti di uscita ecc.). Mi auguravo pertanto che l'opera sua, e le intenzioni governative di cui egli mi aveva parlato, potessero apportare efficace rimedio a tale stato di cose, che non è certo atto a mantenere una buona atmosfera nei rapporti della Romania con l'Italia e soprattutto a incoraggiare e favorire lo sviluppo di nuovi e utili interessi. Non

1072 1 Non pubblicato.

all'Italia, che aveva date ripetute prove di buona volontà e di amichevoli intenzioni, poteva essere addebitata la responsabilità di quanto gli avevo esposto.

Il signor Dragomirescu, non senza qualche imbarazzo, mi ha risposto che si rendeva conto di ciò; che gran parte di tali inconvenienti derivava non da cattiva volontà ma da difficoltà burocratiche e dali 'inevitabile crisi transitoria che l 'instaurazione di un nuovo ordine politico determina; che da parte italiana si doveva comprendere tali difficoltà e le esigenze dei principi sociali ed economici che sono alla base del regime di democrazia popolare ora vigente in Romania; che in ogni modo egli poteva confermarmi sia le intenzioni favorevoli del suo Governo sia il suo personale desiderio di contribuire alla soluzione delle questioni in corso e al miglioramento dei rapporti fra la Romania e l'Italia. A tale proposito mi ha detto che aveva qui destato spiacevole impressione il fatto che i tribunali italiani avessero di recente emanato una sentenza a danno della Romania, chiamando in causa lo stesso presidente del Presidio signor Parhon, in una vertenza relativa a certe azioni industriali romene connessa col processo svoltosi negli scorsi giorni a Bucarest contro i sigg. Kenopol e consorti. Gli ho detto che non ero al corrente di tale questione, ma che in materia giudiziaria nessuna ingerenza del Governo era lecita e possibile secondo i nostri principi istituzionali e legali; e che pertanto nessun addebito poteva farsi al Governo italiano. In quanto poi ai sequestri di beni romeni in Italia, come eventuale conseguenza di una misura di carattere giudiziario, avrei potuto con più ragioni opporre le nostre lagnanze circa analoghe e ben più gravi misure prese in Romania a danno di beni italiani in sede puramente politica e amministrativa.

Il signor Dragomirescu mi ha poi detto del suo proposito di visitare l'Italia e specialmente le città più celebri per la storia e per l'arte. Gli ho risposto che me ne rallegravo con lui, anche per il fatto che egli -più fortunato di me -avrebbe potuto godere in Italia di una libertà di movimento della quale io ero quasi totalmente privo in Romania in seguito ai recenti divieti del suo Governo. E su questo ci siamo congedati.

Con l'occasione informo che il signor Cioroiu, già designato quale ministro a Parigi non avendo sinora ottenuto dal Governo francese il gradimento, è stato destinato a Tel Aviv.

1073.

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AJETA, ALL'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, DE ASTIS

T. 5075/31. Roma, 15 giugno 194 9, ore 21.

Firmato oggi accordi commerciali e pagamento italo-polacchi regolanti intercambio l o luglio 1949-30 giugno 1950. Accordo ha validità triennale ed entrerà in vigore l 0 luglio 1949 1• Con prossimo corriere verranno inviati testi. Proseguono negoziati accordo lungo termine.

l 073 1 Ed. in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l 'Italia e gli altri Stati, vol. LXIX, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1975, pp. 56-80.

1074

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6438/454. Washington, 15 giugno 1949, ore 20,22 (perv. ore 8 del 16).

Secondo informazioni confidenziali Dipartimento Stato, Uffici hanno tenuto oggi riunione interna per riesaminare problema colonie. Sembra che opportunità tempestive franche consultazioni a quattro sia stata da più parti riconosciuta cosicché non è escluso che questo Governo si disponga a promuoverle o almeno a mostrarvisi favorevole, soprattutto se sarà incoraggiato in tal senso da Governi francese ed italiano.

Nel corso della riunione non (dico non) è stata esaminata a fondo nessuna eventuale soluzione concreta. Tuttavia prende qui radice convincimento (cui ho accennato nel mio rapporto 2138 del 10 corrente)1 che convenga orientarsi, almeno in linea di massima, verso unità ed indipendenza Libia. In pratica, unità potrebbe essere temperata da forma federativa ed indipendenza potrebbe essere graduale, con temporanea assistenza da parte potenze occidentali compresa Italia.

È superfluo rilevare difficoltà che queste idee, tuttora vaghe, incontrerebbero qualora si intendesse tradurle in pratica e soprattutto svolgerle in forme a noi accette.

Mentre continuo a seguire questione presso Dipartimento Stato, prendo buona nota delle indicazioni datemi circa atteggiamento italiano da codesto Ministero (fra l'altro con telespresso 2458 del 7 corrente)2 e mi riservo di riferire più dettagliatamente con corriere in partenza dopodomanP.

1075

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 6440/42. Ottawa, 15 giugno 1949, ore 14,36 (perv. ore 8 del 16). Suo 22 e mio 39 1 .

Mi risulta che autorità canadesi molto dubitano che E.C.A. conceda fondi da noi richiesti per emigrazione. Temono inoltre di essere da noi richiesti prima o dopo di appoggiarci in passo presso E.C.A. o Governo americano, che esse sono aliene dal compiere.

1074 1 Vedi D. 1058.

2 Vedi D. 1044.

3 Vedi D. 1082. Per la risposta vedi D. 1089. 1075 1 Vedi DD. 1052 e 1069.

Primi dubbi sono forse anche giovevoli per avviare studio in comune nostra iniziativa e cercare di impegnare sempre più canadesi (né quindi occorre dissiparli); per contro altri timori alimentano nocivamente diffidenze e sarebbe opportuno eliminarli fornendo qui qualche adeguata assicurazione.

È ovvio che questo ambasciatore americano sarà quanto prima al corrente della questione. Riterrei quindi ci convenga essere noi i primi ad avvicinarlo onde vedere di assicurarcene la cooperazione, molto utile anche nei confronti E.C.A. e Dipartimento di Stato. Lo vedrò giovedì pomeriggio e, salvo istruzioni telegrafiche di VE., mi aprirei con lui a titolo confidenziale. Del resto egli si è espresso con me varie volte in modo favorevole nostra emigrazione Canada lamentando miopie che qui ed altrove la contrastano2 .

1076.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER POSTA AEREA 6525/260. Londra, 15 giugno 1949 (perv. il 17).

Vice ministro etiopico esteri ha avuto in questi giorni colloqui al Foreign Office. Amministratori capi Tripolitania Somalia sono venuti a Londra per conferire.

A tale proposito B.B.C. ha avuto dal proprio corrispondente diplomatico commento che riassumo di seguito: «McNeil ha assicurato vice ministro etiopico che proposta britannica per Eritrea è immutata cioè Eritrea andrebbe all'Etiopia eccettuate provincie occidentali che sarebbero annesse Sudan. Emiro dei senussi è atteso a Londra il mese prossimo per discutere formazione Governo Cirenaica. Discussioni sono in corso a Londra circa Tripolitania tra Foreign Office capo amministratore; Bevin e Sforza, incontrandosi in agosto per Consiglio d'Europa, potranno profittare occasione per conversazioni su questione colonie».

Poiché corrispondenze diplomatiche B.B.C. se non ispirate sono quasi sempre compilate su notizie ottenute al F oreign Office, mi sono recato stamane da Mayhew e gli ho fatto presente come commento in questione potesse dare sensazione che siano in preparazione anche per Eritrea e Tripolitania iniziative unilaterali britanniche del genere di nota dichiarazione per Cirenaica. Poteva anche sembrare che Foreign Office si richiamasse a sue precedenti proposte conseguenti dall'accordo Sforza-Bevin solo nei punti in cui compromesso stesso era stato per noi una rinuncia. Tenevo a sottolineare che anche se la lettera del compromesso debba essere modificata, non si doveva dimenticare che il suo spirito esigeva di continuarlo a considerare sempre un tutto unico. Mayhew, pur senza negare fonte del commento B.B.C., rispose che suo tono generale dava erroneamente impressione che si fosse appunto prossimi da parte britannica a decisioni su problema colonie: si trattava in realtà solo di conversazioni

l 075 2 Per la risposta vedi D. l 084.

esplorative e non tali da metterei di fronte a fatti compiuti. Per quanto riguardava Eritrea, formula tuttora appoggiata era quella comprendente garanzie Asmara Massaua. Replicai che dovevo comunque notare che mentre conversazioni sia pure solo esplorative avevano luogo con etiopici e con altri, non si fosse giunti a una seria presa di contatto con l'Italia in un problema nel quale non si può negare essa sia una delle principali interessate. Mi sembrava che rimandare tali contatti ali' incontro tra i ministri a Strasburgo, alla vigilia ossia della prossima Assemblea Nazioni Unite, sarebbe stato ripetere precipitazione e improvvisazione del passato.

Mayhew mi assicurò che avrebbe fatto presente a Bevin mie considerazioni. Aggiunsi allora di ricordare a Bevin anche l'idea, da lui stesso a suo tempo avanzata, di inquadrare soluzione problema nostre colonie nel quadro più generale di una concreta partecipazione del lavoro italiano allo sviluppo economico dell'Africa nel suo complesso 1•

1077.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. RISERVATO 8402/c. 1 . Roma, 15 giugno 1949.

In taluni ambienti dell'O.E.C.E. o vicini ad essa, si vanno appuntando in questi ultimi tempi talune critiche all'Unione doganale itala-francese: in particolare affermandosi che essa, essendo fine a sé stante, disturba invece che favorire il progressivo riavvicinamento generale europeo.

Tali critiche hanno recentemente trovata qualche eco nel partito socialista francese e sono suscettibili, se non sventate a tempo, di disturbare, tanto sul piano parlamentare quanto sul piano internazionale, la realizzazione di una iniziativa che è del maggior vantaggio sia per l'Italia che per la Francia, che, infine, per la stessa Europa.

Di più, una tendenza, che ha trovato nella recente riunione dei ministri dell'O.E.C.E. la sua consacrazione, rischia non solo di far divergere i sistemi di avvicinamento economico quale quello previsto dal trattato del 26 marzo 1949 e quello preconizzato in linea di massima dall'O.E.C.E., ma anche di dar in certo modo esca a coloro che vogliono far apparire l 'Unione italo-francese un elemento di impaccio ai piani che l'O.E.C.E. stessa, e l'E.C.A., potranno anche in futuro formulare per l'avvenire dell'Europa.

Occorre quindi, a mio avviso, togliere ogni parvenza a tali critiche e dar modo anzi di dimostrare che le varie iniziative hanno maniera di coesistere e di armonizzarsi.

l 076 1 Con T. segreto 5166/266 del 19 giugno Sforza rispondeva: «Approvo linguaggio da lei tenuto con Mayhew e prego continuarlo anche come espressione del mio personale pensiero che ella ha sempre bene interpretato».

l 077 1 Questo documento contiene le istruzioni richieste con il D. 1057, con il quale si era incrociato. Per la risposta di Quaroni vedi D. 1125.

A tal uopo, il Governo italiano ha redatto il qui unito progetto di note2 che potrebbero essere scambiate fra i due Governi quale atto integrativo del trattato del 26 marzo. Voglia V.E. sottoporlo a codesto Governo, opportunamente illustrandolo, nelle sue finalità, in pari tempo esperendo ogni possibile azione affinché istruzioni siano date alla delegazione francese in seno all'O.E.C.E. perché consideri l'Unione doganale quale essa è realmente, ossia uno strumento che pone una solida pietra angolare dell'edificio europeo, armonizzando quindi il suo atteggiamento in seno all'organizzazione agli scopi che l'Unione si prefigge ed ai metodi che essa prevede per conseguirli.

1078.

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, BELLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2030/427. Budapest, 15 giugno 1949 (perv. il 25).

Riferimento: Telegramma di questa legazione n. 43 dell' 11 corrente1•

Con la procedura prevista dall'attuale costituzione la Commissione politica della nuova Camera ha accettato le dimissioni del Governo ed ha proposto al presidente della Repubblica che il signor Stefano Dobi fosse confermato a nuovo presidente del Consiglio. Questi nello stesso giorno (9 giugno) ha presentato la lista del nuovo Governo che si unisce in allegato con alcuni cenni biografici sui nuovi ministri pubblicati da questa stampa.

Nel nuovo Governo, a parte la schiacciante preponderanza del Partito dei lavoratori, vanno segnalati alcuni cambiamenti non privi di significato per quanto concerne l'evoluzione politica di questo paese.

Dell'istituzione del nuovo Consiglio dell'economia popolare ho già riferito a codesto Ministero con rapporto n. 194 7/397 del 7 corrente 1 . È tuttavia di rilevante importanza che tale Consiglio viene inserito nella struttura amministrativa del Governo e che ad esso viene posto a capo il signor Gero, vice segretario del partito e già ministro delle finanze.

Il Consiglio ha il compito di determinare orientamenti generali nello sviluppo dell'economia nazionale, armonizzare l'attività dei vari dicasteri economici, presiedere alla pianificazione, sopraintendere alla Commissione dei salari ed all'Ufficio di statistica, controllare le leggi di contenuto economico. Il Gero in altri termini diventa così un super-ministro dell'economia.

Al nuovo Ministero della cultura popolare viene preposto il signor Revai, direttore dell'organo ufficiale del partito comunista.

l 077 2 Per tale progetto di note, identico a quello proposto da Quaroni, vedi D. l 057, Allegato. 1078 1 Non pubblicato.

Tale Ministero avrà per compito l'organizzazione dell' «istruzione extra scolastica» per «divulgare la cultura sovietica», «buona cultura» in contrapposto della «cattiva».

Al Ministero degli esteri viene posto il signor Giulio Kallai, ex capo di Gabinetto della presidenza del Consiglio, devoto al Ràkosi e ad ogni modo figura di non grande rilievo, a sostituzione del Rajk (telegramma n. 41 del 9 giugno di questa legazione)1 di cui è nota l'attuale disgrazia che non lo ha fatto includere nemmeno tra i deputati (come si è potuto sapere, dato che i nomi dei nuovi deputati non sono stati ancora pubblicati) malgrado che egli fosse compreso tra i primi posti nella lista dei candidati al nuovo Parlamento, lista resa pubblica l' 11 maggio u.s.

A tale proposito non ci si può dissimulare l'importanza della scomparsa del Rajk dall'agone politico allorché si tenga presente che questi fu a suo tempo anche ministro dell'interno e organizzatore dell'attuale polizia.

Si può forse supporre che il Rajk non condividesse col dovuto entusiasmo la linea politica che la Russia sembra volere assegnare all'Ungheria in forma più attiva che non agli altri satelliti nella questione jugoslava, in questi ultimissimi tempi ulteriormente acuitasi. Ipotesi questa che potrebbe essere convalidata dai numerosi articoli e discorsi contro le deviazioni trozkistiche che si insinuerebbero nel partito e di cui come esempio viene naturalmente citato Tito.

Certo è vero pure, senza peraltro poterlo addebitare al ministro degli affari esteri, che l'andamento dei servizi diplomatici ungheresi continua a dare da pensare (dimissioni dei ministri d'Ungheria a Stoccolma, Londra, Parigi, Bema, per le quali si è cercato di salvare più o meno la forma). Lo stesso improvviso esonero dell'ambasciatore sovietico in Ungheria (vedi separato rapporto n. 2020/422 in data odiema)1, le voci di disgrazie e di arresti in seno al Ministero degli affari esteri ed alla polizia, nonché la notizia, non confermata, dell'uccisione del colonnello Oszy, capo del personale del Ministero dell'interno mentre tentava di passare la frontiera, sono tutti rumori che non è possibile non accostare ad un'azione intrapresa per liquidare ante litteram quelle velleità «nazionalistiche» finora esistenti in seno al partito.

Ad ogni modo va segnalato che nel nuovo Governo ha assunto maggior rilievo la fazione più intransigente del partito con i sopradetti Gero e Revai ai quali vien fatto di contrapporre le figure del Ràkosi, del Farkas e del Kadar che rappresenterebbero forse una sfumatura più moderata.

1079.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 5081/c. Roma, 16 giugno 1949, ore 16.

Illustrando costì la portata del plebiscito pro Italia costituito dalle elezioni municipali di Trieste 1 la prego di far rilevare che il programma del Governo dopo il

1079 1 Vedi D. 1068.

ritorno alla Repubblica italiana delle terre che ci spettano è stato già formulato dal presidente del Consiglio nel suo discorso elettorale a Trieste2 nel modo seguente: favorire con ogni mezzo più adatto anche i bisogni economici dei popoli vicini e soprattutto della Jugoslavia, nell'interesse comune delle due nazioni3 .

1080

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6464/19. Lussemburgo, 16 giugno 1949, ore 10 (perv. ore 15). Mio telegramma 18 1•

Ieri sono circolate voci rinvio Conferenza Cinque Lussemburgo. Non ho per ora trovato conferma in ambienti ufficiali. Per quanto ho potuto comprendere attenzione sarà portata su attitudine da prendersi di fronte avvenimenti internazionali e specialmente con situazione creatasi in Estremo Oriente. Probabilmente verrà esaminato rapporto ministro difesa inglese Alexander su ispezione fatta Singapore e saranno dati consigli Francia e Olanda appianare, per quanto è possibile, conflitto indonesiano ed indocinese. Verrà considerata anche attitudine da prendersi in relazione Conferenza Parigi. Secondo quanto mi ha detto confidenzialmente Bech, vari ministri esteri sarebbero d'accordo su necessità ricercare formula che ne copra, di fronte opinione pubblica, scarsi risultati. Non verranno trattati problemi d'ordine economico. Conferenza durerà due o tre giorni.

1081

L'INCARICATO D'AFFARI A BEIRUT, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6481/41. Beirut, 16giugno 1949, ore22,15 (perv. ore 0,30 de/17).

Telegramma di V.E. 31 1•

Riad Bey, visibilmente felice della considerazione in cui erano tenuti suoi suggerimenti, telegrafava oggi stesso al Cairo per far trasmettere riservatamente a Boshir Saadawi comunicazione nel senso desiderato. Egli teme soltanto che Saadawi possa essere già partito per Saigon ove non ha modo sicuro per fargli pervenire messaggio.

1079 2 Vedi D. 1053, Allegato. 3 Per la risposta da Londra vedi D. 1117. l 080 1 Del l o giugno, con il quale Forrnentini riferiva che la prossima riunione dei paesi del Patto di Bruxelles si sarebbe tenuta il 17 giugno. 1081 1 Vedi D. 1064.

1082.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 5128/2242. Washington, 16 giugno 1949 (perv. il 22).

Riferimento: Mio telegramma 454 dell5 corrente1•

In base alle ultime comunicazioni ministeriali ed alle informazioni qui raccolte, e via via da me trasmesse a V.E., mi sembra che il «punto» della questione coloniale possa esser fatto come segue.

La mancata approvazione della nota formula da parte delle Nazioni Unite ha offerto al Governo britannico la possibilità di orientare il problema verso soluzioni più conformi ai suoi interessi (e, per converso, meno consone ai nostri). Esso ha sfruttato e tuttora sfrutta tale occasione in due modi: in primo luogo creando in Cirenaica una nuova situazione di fatto, tale da rendere inevitabile una soluzione giuridica diversa dal trusteeship; ed in secondo luogo manovrando le aspirazioni arabe all'indipendenza ed alla unità della Libia, in modo da rendere praticamente impossibile il ritorno dell'Italia, in qualsiasi forma, in Tripolitania oltrechè in Cirenaica. Le impressioni raccolte negli ambienti inglesi e filoinglesi di Washington e le stesse comunicazioni ufficiali britanniche trasmessemi per conoscenza da codesto Ministero, non mi sembrano lasciar dubbi sul fatto che tali sono le intenzioni del Governo di Londra.

Mi è difficile, naturalmente, valutare da qui le reazioni francesi a siffatti progetti. Peraltro da un lungo e franco colloquio col mio collega francese e da altre impressioni raccolte presso questa ambasciata di Francia, sono indotto a ritenere che il Governo di Parigi è ormai rassegnato, sebbene a malincuore, alla adozione dei due principi: indipendenza e unità della Libia. Esso sarà indubbiamente accanto a noi nell'eventuale sforzo tendente a limitare l'applicazione di quei due principi, ma non vuole (o, più esattamente, non può) respingerli.

Bonnet, quantunque privo di istruzioni da Parigi e di dirette indicazioni circa l'atteggiamento del Quai d'Orsay, mi ha detto di comprendere perfettamente le ragioni che hanno indotto il Governo italiano a pubblicare il noto comunicato sulla Tripolitania2. Ha aggiunto che sembra ormai difficile prescindere dalla situazione di fatto, creata dalla Gran Bretagna in Cirenaica; e che, alla occorrenza, il Governo di Londra potrebbe, malgrado l'ostilità degli arabi tripolini verso l'emiro, provocare manifestazioni «spontanee» a favore di una Libia unificata sotto di lui.

Per quanto concerne l'atteggiamento americano, ho già riferito che il Dipartimento di Stato ha accolto con freddezza la dichiarazione britannica concernente la Cirenaica ed è ancora lontano dall'adozione di una direttiva chiara. Tuttavia, in esso si accentua la tendenza (già da me segnalata, da ultimo col telegramma citato in riferimento) ad accogliere i due principi anzidetti. Questi soddisfano, infatti, quasi tutte

1082 1 Vedi D. 1074. 2 Vedi D. 1003.

le tendenze già da noi incontrate a Washington in merito ai problemi africani. Soddisfano gli ambienti militari perché assicurano la presenza britannica in punti di vitale interesse strategico. Soddisfano molti dirigenti politici, i quali hanno sempre ritenuto che l'Italia non trarrebbe nessun vantaggio pratico da un eventuale ritorno nelle sue ex colonie. Soddisfano, infine, quei funzionari che, per ragioni più o meno teoriche, favoriscono la indipendenza delle popolazioni africane e asiatiche. Pertanto, malgrado l'attuale indeterminatezza di propositi e prudenza di atteggiamenti, si dice qui, ormai apertamente, che la soluzione del problema nordafricano va cercata sulle vie della indipendenza e dell'unità libiche e si aggiunge (per ora cautamente) che l'una e l'altra potrebbero essere realizzate sotto la sovranità dell'emiro.

In presenza di questa situazione, il Governo italiano (secondo quanto rilevo dalle comunicazioni che V.E. ha voluto farmi) intende assumere una posizione realistica: intende, cioè, dimostrare di non avere alcuna pregiudiziale contro l'indipendenza e neppure contro l 'unificazione della Libia. Siffatto atteggiamento appare giustificato da un esame obiettivo dei fatti e sopratutto da due circostanze. In primo luogo, per ormai lunga esperienza, sappiamo che è impossibile controbattere una tendenza in cui convergano, sia pure per moventi diversi, la volontà britannica e quella americana. In secondo luogo, le recenti vicende di Lake Success ci dicono chiaramente quanto aleatorio sarebbe il tentativo di ottenere, nel prossimo settembre, l'avallo delle Nazioni Unite a soluzioni che comprimano, a nostro vantaggio, le aspirazioni arabe (anche su questo punto Bonnet condivide il mio parere).

Fermo restando, dunque, che quei due principi non sono da noi respinti, resta da vedere in che forma siamo disposti ad accettarne la realizzazione. In proposito, una alternativa si presenta dinnanzi a noi: continuare a batterci, oppure no, per ottenere in Tripolitania una ingerenza politica.

Nell'affermativa occorrerebbe che i due principi, della unità e dell'indipendenza, trovassero, nella loro applicazione pratica, delle attenuazioni notevoli.

Il primo, quello dell'unità, dovrebbe essere attenuato dalla ricerca di forme federative, che permettano la coesistenza di due distinti Governi, l'uno in Tripolitania e l'altro in Cirenaica. (In caso contrario, la famosa promessa inglese all'emiro ci escluderebbe automaticamente da tutta la Libia. Al riguardo, desidero segnalare che un membro autorevole di questa ambasciata britannica, parlando «a titolo personale» con un mio collaboratore, ha ammesso che detta promessa sarebbe applicabile alla Tripolitania, purché la struttura costituzionale dello Stato libico permettesse di circoscrivere alla Tripolitania l'esercizio della eventuale autorità italiana).

Il secondo principio, quello della indipendenza, dovrebbe, nell'ipotesi esaminata, essere attenuato mediante una applicazione graduale. In altri termini, l'indipendenza effettiva delle due regioni dovrebbe essere preceduta da un regime temporaneo, il quale, senza identificarsi col trusteeship, sottoponesse il nuovo o i nuovi Stati del Nord Africa ad una qualche forma di tutela o di assistenza. In tal caso potrebbe essere salvato, in tutto o in parte, quel parallelismo fra i rapporti Italia-Tripolitania da un lato e Gran Bretagna-Cirenaica dall'altro, che stava alla base dell'accordo di Londra.

È superfluo rilevare le difficoltà che siffatto progetto incontrerebbe. Alcune sorgerebbero nell'ambito dell'O.N.U., altre localmente. Quel parallelismo, sancito dall'accordo di Londra, ha subito un duro colpo nel maggio scorso, con l'approvazione del trusteeship britannico sulla Cirenaica e con la contemporanea «bocciatura» del

trusteeship italiano sulla Tripolitania. Inoltre il nostro pacifico insediamento in Tripolitania, in qualsiasi forma, non potrebbe essere realizzato se non col pieno e sincero aiuto del Governo britannico; e quest'ultimo, che era forse disposto a fornircelo in applicazione dell'accordo di Londra, sarebbe certamente restio a promettercelo nelle circostanze presenti. Infatti, l'accordo di Londra prevedeva che fra tre anni ricevessimo il trusteeship sulla Tripolitania, in questo caso, invece, si tratterebbe di affidarci subito il compito di promuovere l'indipendenza di quella regione; si tratterebbe, cioè, di darci oggi una autorità, materiale e morale, sufficiente a permetterei di «graduare» nel tempo l'effettiva realizzazione dell'indipendenza della Tripolitania. Questa investitura, che presentemente non abbiamo e senza la quale le nostre promesse alla Tripolitania hanno soltanto un valore simbolico, apparirebbe a tutti (agli arabi, ai paesi asiatici, agli Stati Uniti, agli Stati dell'America latina) come qualche cosa di più del semplice trusteeship.

Queste difficoltà sono così gravi da indurmi ad affacciare l'ipotesi che da parte nostra si possa ripiegare su qualche altra soluzione e, ad esempio, proporre che in Tripolitania la temporanea tutela sopraccennata venga esercitata non già dalla sola Italia bensì da un gruppo di potenze. In proposito ed a favore di questa eventualità desidero segnalare due elementi di giudizio.

In primo luogo (come ho segnalato col telegramma citato in riferimento) il Dipartimento di Stato si accingerebbe ad elaborare un progetto in base al quale l'intera Libia, quantunque costituita in Stato sovrano, verrebbe sottoposta a qualche forma di temporanea tutela delle potenze occidentali, compresa l'Italia. Questo progetto (sul quale, a quanto ho appreso confidenzialmente, il Governo di Washington si accingerebbe a sentire il parere di quello di Londra) appare difficilmente suscettibile di realizzazione, sopratutto a causa delle prevedibili sfavorevoli reazioni inglesi. Tuttavia esso vale a dimostrare che l'idea di una tutela collettiva sulla Tripolitania, idea non nuova per gli americani, mantiene agli occhi loro un certo potere di seduzione. In secondo luogo, questo ambasciatore di Francia, pur parlando a titolo personale, ha formulato per la Tripolitania l'ipotesi di «un trusteeship che non fosse un tmsteeship», con un Consiglio in cui l 'Italia, in riconoscimento della preminenza dei suoi interessi nella regione, avesse una posizione di vantaggio (ad esempio la presidenza e uno speciale regime dei rapporti economici).

Ripeto: qualora volessimo insistere nello sforzo di conservare in Nord Africa una influenza politica, le difficoltà che incontreremmo sarebbero cospicue e ci condurrebbero verosimilmente a soluzioni di ripiego, meno favorevoli di quelle previste dall'accordo di Londra. Tuttavia, a mio avviso, meriterebbero di essere affrontate. Nel caso contrario, e cioè qualora rinunciassimo all'influenza politica e puntassimo esclusivamente sulla difesa delle collettività italiane, potremmo accettare senza riserve i due principi, della unità e della indipendenza libiche, in cambio delle garanzie più ampie possibili per quanto concerne i nostri connazionali. È bene, peraltro, rilevare che neppure questa strada sarebbe scevra di difficoltà, sopratutto nel caso che il potere dell'emiro si stendesse effettivamente alla Tripolitania.

Il problema delle collettività italiane richiama quello dell'Eritrea. Infatti, mentre tutti danno ormai per scontata la rinuncia italiana a quella regione, si parla assai poco di concretare, con formule chiare ed efficaci, il progetto di uno statuto speciale per le città di Asmara e Massaua. Il Dipartimento di Stato, nel riesame, attualmente in corso, di tutto il problema, sta anche considerando nuovamente l'eventualità di un trusteeship etiopico sull'Eritrea (in luogo dell'annessione pura e semplice); ma non mi risulta che stia dando l'attenzione necessaria al problema delle due città. È questo, invece, un punto sul quale questa ambasciata non cessa di insistere ed al quale ogni eventuale nostra trattativa dovrebbe mirare.

Un nuovo studio, effettuato da parte nostra, come da parte degli altri paesi interessati, dell'intera questione coloniale non può non proporsi di riconsiderare anche la questione della Somalia. Per le note ragioni la votazione di Lake Success non basta ad escludere la possibilità che in settembre il trusteeship italiano su quella regione venga approvato. Tuttavia, nel quadro di nuove soluzioni per le altre ex colonie italiane, potrebbero sorgere diverse idee anche per quanto riguarda la Somalia. In proposito desidero segnalare che, secondo talune allusioni fatte in ambienti inglesi e riecheggiate al Dipartimento di Stato, non sarebbe esclusa un'iniziativa del Governo di Londra tendente a riunire la Somalia italiana a quella britannica, in un organismo unico, destinato anch'esso a raggiungere l'indipendenza, dopo un certo periodo di tutela da parte delle potenze occidentali.

Riassumendo, i limiti in cui possiamo sperare di poterei muovere e di raggiungere risultati concreti sono, a mio avviso, i seguenti:

Tripolitania: tutela italiana o internazionale (in quest'ultimo caso, con un'eventuale preminenza italiana) su una Tripolitania destinata a raggiungere rapidamente l'indipendenza e riunita più o meno strettamente alla Cirenaica; oppure, salvaguardia giuridica delle collettività italiane in Tripolitania, nel quadro di una Libia indipendente.

Eritrea: salvaguardia giuridica delle collettività italiane nelle città di Asmara e Massaua e altrove. Somalia: trusteeship italiano; oppure, qualora ciò appaia conveniente per noi, consenso nostro a qualche forma di tutela collettiva.

In questa situazione, tutt'altro che lieta, una sola circostanza mi sembra positivamente incoraggiante. Come ho già segnalato, si sta facendo strada nel Dipartimento di Stato il convincimento che un nuovo insuccesso dinnanzi alle Nazioni Unite può essere evitato soltanto se le principali potenze raggiungono un accordo prima dell'apertura dell'Assemblea e che la via migliore per aggiungere tale accordo è quella di procedere a preventive consultazioni a quattro. Per la prima volta dunque il Dipartimento di Stato sembra (dico sembra) disposto ad ammettere l'opportunità di un esame collettivo della questione, al quale l'Italia sia chiamata a partecipare insieme alla Gran Bretagna e alla Francia. Dal mio colloquio con Bonnet ho tratto la precisa impressione che il Governo francese sarebbe favorevole a tale modus procedendi. Il mio collega francese mi ha, inoltre, espresso l'avviso che converrebbe a noi formulare un progetto preciso e sottoporlo, d'accordo con la Francia, agli americani, onde ottenere possibilmente che essi lo approvino. Questa, a suo avviso, sarebbe la sola procedura efficace per ottenere la adesione degli inglesi. Bonnet ritiene, inoltre, che Washington sarebbe la sede più adatta per le trattative. Infatti, a suo dire, il Governo francese non ha interesse a svolgere le trattative a Parigi; e, d'altra parte, Londra sarebbe una sede poco adatta (anche perché in Massigli non troveremmo un patrono tanto efficace quanto lui stesso, Bonnet).

A mio avviso, è incerto se ci convenga effettivamente presentare un progetto concreto, col rischio di vederlo scomparire negli uffici dello State Department, i quali

impiegherebbero probabilmente alcune settimane per studiarlo e per darci una risposta. Ciò che mi sembra decisamente opportuno è rafforzare negli americani l'idea delle consultazioni a quattro (qui o altrove) nonché ottenere dai francesi che fiancheggino la nostra azione in tal senso. Nel corso delle consultazioni, potremmo seguire l'evoluzione del pensiero americano ed esplorare fino a che punto essi vogliono o possono orientarsi verso soluzioni accettabili da parte nostra.

È bene tener presente che, se trattative debbono esserci, occorre che si svolgano tra giugno e luglio, perché in agosto i principali dirigenti del Dipartimento di Stato vanno in vacanza3 .

P.S.: In merito all'unificazione della Libia desidero segnalare che il favore col quale gli americani la prendono in considerazione è determinato anche dalla preoccupazione di limitare per quanto possibile il numero dei voti dei piccoli Stati in seno all'O.N.U.

1083.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 5131/2245. Washington, 16 giugno 1949 (perv. il 22).

La conferenza dei quattro ministri degli esteri sta ormai per finire ed i suoi risultati, come del resto facilmente qui si prevedeva, non saranno certo ragguardevoli.

Anche questa volta i sovietici hanno seguito l'ormai loro consueta tattica ostruzionistica nei problemi d'impostazione generale e di maggiore importanza; anche questa volta cercano di avvalersi, per non dare pratica esecuzione ad accordi già raggiunti e come mezzo di scambio di un nuovo negoziato, di una situazione di fatto da loro arbitrariamente creata all'ultimo momento. A New York essi si erano impegnati al totale sblocco di Berlino; in pratica poi, sia pur valendosi dello sciopero proclamato dalla Federazione sindacale indipendente, sono stati essi che hanno nuovamente interrotto il traffico ferroviario della zona di Berlino, non facendo funzionare le centrali di scambio site nel loro settore e impedendo il raggiungimento di un accordo tra la Direzione delle ferrovie (in mano loro) e i ferrovieri in sciopero. Anche questa nuova Conferenza non ha potuto quindi che confermare il disaccordo tuttora esistente tra Oriente ed Occidente; le riunioni di questi ultimi giorni hanno però rivelato una sia pur minima volontà di collaborazione effettiva da parte sovietica e qui, ancora oggi, si pensa possibile un qualche accordo di compromesso sulle seguenti questioni:

1082 3 Con T. segreto 5274/316 del 23 giugno Zoppi rispose: «Suo rapporto n. 5128/2242 del 16

u.s. incrociatosi con chiarimenti e istruzioni di questo Ministero citati nei telegrammi 310,312, 313». Per i telegrammi suindicati vedi DD. 1089 e 1096.

-decisione di massima di stipulare al più presto un trattato di pace con l' Austria secondo le linee segnalate con il mio rapporto n. 442411954 del27 maggio scorso 1; -rinvio ai deputies (quello americano sarebbe Murphy) dello studio del trattato di pace con la Germania e dell'unità politica del futuro Stato tedesco;

-sblocco effettivo di Berlino e stipulazione di un accordo scritto che riconosca e garantisca alle potenze occidentali il libero traffico, per via aerea, ferroviaria, stradale e fluviale, con Berlino. Su questo punto tuttavia l'atteggiamento sovietico sarebbe ancora completamente negativo: il Kremlino preferirebbe infatti lasciare le cose, in materia, allo stato non ben precisato e «litigioso» in cui sono;

-accordo per una ripresa limitata degli scambi commerciali tra le zone di occupazione orientale e occidentale in Germania;

-incarico ai tre Alti commissari occidentali e alloro equivalente sovietico di elaborare le norme per ristabilire l'unità economica in Germania. Questo comitato di Alti commissari dovrebbe essere assistito da un corpo consultivo tedesco composto di rappresentanti delle quattro zone di occupazione militare e dovrebbe assicurare, anche per l'avvenire, il contatto formale tra le Autorità occidentali e quelle sovietiche senza ristabilire il controllo militare a quattro (e la conseguente possibilità di veto);

-impegno a riconvocare in autunno il Consiglio dei quattro ministri degli esteri per discutere del problema tedesco ed anche di altri problemi mondiali.

Anche questi accordi minori, se effettivamente raggiunti, gioveranno certo ad una distensione internazionale, sia pur temporanea.

Se quindi i sovietici pur mostrando chiaramente di non desiderare affatto un chiarimento generale della situazione internazionale consentono ora a questi accordi limitati, quali sono gli obiettivi ch'essi perseguono e quali quelli che si ripromettevano di conseguire al momento in cui hanno provocato questa nuova riunione del Consiglio dei ministri degli esteri?

I sovietici hanno realizzato che la costruzione di un mondo occidentale unito e forte stava procedendo (attraverso il piano Marshall, il Patto atlantico, la costituzione di uno Stato tedesco occidentale) troppo sollecitamente e senza ormai possibilità d'interferenza diretta da parte del Kremlino. Hanno ritenuto quindi necessario ed urgente (onde non ripetere l'errore già commesso con il piano Marshall) di ristabilire un contatto formale con l'Occidente, inserirsi nuovamente nell'elaborazione dei piani per la sistemazione europea e cercare così di impedire o almeno ritardare la formazione di un mondo occidentale unito. Il 15 marzo scorso, quando Malik -si badi bene dopo un mese dall'apertura di Jessup-propose la convocazione di una riunione del Consiglio dei ministri degli esteri, il Kremlino, evidentemente, s'illudeva di poter riuscire, con questa sua mossa, a bloccare la costituzione dello Stato unitario della Germania occidentale (Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti erano al riguardo ancora in grave disaccordo, i tedeschi riluttanti e tra loro divisi) e, almeno, a rimandare la stipulazione del Patto atlantico (voci contrarie si erano levate allora nel Senato americano, i partiti comunisti nei paesi occidentali avevano lanciato in pieno la loro offensiva per la pace e contro il Patto atlantico).

1083 1 Non pubblicato.

A quel momento il piano sovietico doveva essere proprio quello che gli occidentali si aspettavano prima dell'inizio della riunione di Parigi: unificazione della Germania, ritiro delle truppe di occupazione, offerta generica di pace, ecc.

I fatti seguiti però (firma del Patto atlantico, accordi di Washington tra le tre potenze, approvazione della costituzione di Bonn) hanno rivelato ai sovietici che la loro valutazione della situazione era errata: hanno quindi ripiegato su di un piano meno clamoroso ma che serve ugualmente i loro fini ostruzionistici. Ed in autunno quando si riconvocherà il Consiglio dei quattro ministri degli esteri, alla complessa situazione tedesca si potrà aggiungere, sempre agli stessi fini, la situazione di fatto che si sarà venuta determinando nel frattempo in Cina.

Spetta quindi ai Governi occidentali di valutare appieno e sventare queste manovre ostruzionistiche del Kremlino procedendo nella costruzione di un mondo occidentale forte ed unito.

Per quanto riguarda il Governo americano posso assicurare ch'esso, malgrado le titubanze e le incertezze di qualche uomo politico, è decisamente su questa strada.

1084.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. SEGRETO 5108/23. Roma, 17 giugno 1949, ore 23.

Suoi 40,41 e 42 1•

La nostra ambasciata a Washington e la delegazione presso l'O.E.C.E. alle quali è stata comunicata l'assicurazione di massima data da codesto Governo, sono state pregate di tenerla segreta fino al l o luglio. Si concorda con V.E. sull'opportunità di esaminare in comune iniziativa, interessando anche codesto ambasciatore americano. Riconoscesi utilità impostare questione su piano collaborazione internazionale e riferirsi eventualmente a Patto atlantico, ma per il momento non è nostra intenzione rendere pubblica l'iniziativa. Per quanto riguarda impressione autorità canadesi che venga richiesto loro appoggio presso O.E.C.E., sottolineasi che proposta specifica per Canada e questione finanziare nostra emigrazione a mezzo O.E.C.E. sono problemi connessi ma distinti. Nostra azione presso O.E.C.E. non richiede appoggio codesto Governo, poiché U.S.A. già considerano tra le più giustificate richieste finanziamento nostra emigrazione costì. A facilitare nostra azione Washington e Parigi sarà sufficiente assenso generico Governo canadese, soprattutto ove fosse possibile ottenerne conferma scritta. Realizzazione formula migratoria proposta verrebbe concordata con codeste autorità anche sotto l'aspetto tecnico, essendo inteso che ingresso nostri emigranti in Canada verrà regolato direttamente tra due Governi, per qualunque via dovessero ottenersi i capitali da fornire a detti emigranti.

1084 1 Vedi DD. 1069 e 1075.

1085.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6564/458. Washington, 17 giugno 1949,part. ore 1,04 de/18 (perv. ore 9,30). Mio 454 1•

Dipartimento Stato continua studiare progetto costituzione Stato libico su base federale, temporaneamente sottoposto a Consiglio grandi potenze compresa Italia. È tuttora incerto quale posizione spetterebbe ad emiro: se cioè questi regnerebbe su tutta Libia oppure costituirebbe uno degli elementi componenti nuovo Stato.

Funzionari competenti hanno confidenzialmente parlato qui di tale progetto ai francesi oltre che a noi e si propongono parlame agli inglesi lunedì o martedì.

Per parte mia continuo nutrire dubbi circa facilità realizzare unanimità uffici Dipartimento Stato su siffatta soluzione e soprattutto indurre inglesi ad accettarla tanto più che idea di per sé appare estremamente complicata. Tuttavia sta di fatto che organi competenti, con sondaggi sopra riferiti, considerano praticamente iniziate consultazioni confidenziali e non impegnative a quattro su livello uffici, salvo a svilupparle con altro carattere e su livello più alto qualora esse si rivelino promettenti. Ne consegue che essi attendono da parte nostra come da parte francese e inglese qualche preliminare azione confidenziale.

In considerazione di ciò sarei grato a V.E. se, dopo aver ricevuto mio rapporto 5128/2242 di ieri2 , volesse inviarmi istruzioni telegrafiche in merito a progetto di cui al presente telegramma nonché ad altre eventualità prospettate rapporto anzidetto3 .

1086

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2586/1247. Londra, 17 giugno 1949 (perv. il 22).

Leggo nel rapporto dell'ambasciata a Parigi, allegato al te l espresso ministeriale 3/2446/c. del 7 corrente1 , che si ha a Parigi la sensazione che questa ambasciata abbia dei dubbi circa le intenzioni del Governo britannico di ritenersi o meno legato all'accordo preso da Bevin con V.E.

A tale proposito ricordo che:

1085 1 Vedi D. 1074.

2 Vedi D. 1082.

3 Vedi D. 1096. 1086 1 Ritrasmetteva a Londra e Washington il D. 985.

-anche prima del voto a Lake Success informavo il Ministero con telegramma n. 200 del l O maggio2 che Wright aveva espresso molto esplicitamente i suoi dubbi sulla possibilità di mantenere in vita la sostanza dell'accordo Bevin-Sforza qualora ad esso fosse mancata la necessaria maggioranza, poiché a suo parere le aspirazioni alla indipendenza, specie in Tripolitania, avrebbero potuto diventare irresistibili;

-lo stesso Wright alla vigilia di Lake Success (mio telegramma n. 212 del 14 maggio)3 informava: «se non riusciamo questa volta il problema delle colonie non si risolve più».

-dopo la votazione telegrafai (mio 218 del21 maggio)4 che Wright si riportava a quanto aveva detto precedentemente circa le possibilità di mantenere in piedi l'accordo nel caso di rinvio;

-il 27 maggio (mio 226)5 Jebb, in assenza di Bevin e di McNeil, si mostrò molto pessimista circa la probabilità di poter mutare la situazione a vantaggio dell'accordo Sforza-Bevin prima della prossima Assemblea delle Nazioni Unite, prevedendo che ciascuno avrebbe fatalmente ripreso la propria libertà d'azione;

--il 30 maggio McNeil, nel parlarmi della dichiarazione britannica per la Cirenaica, affermò che l'accordo non sarebbe mai potuto passare nella attuale forma (mio 229)6 anche se nello spirito le dichiarazioni su Cirenaica e Tripolitania non erano incompatibili con l'accordo stesso;

-Mayhew, che ho visto in questi giornC, alla mia interrogazione se riteneva che il suo Governo avesse ancora in mente come possibile base per future proposte l'accordo in questione, mi rispose, evasivamente nella forma ma chiaramente nella sostanza, affermando che a suo parere l'Italia non era dagli inglesi considerata impegnata a mantenersi fedele all'accordo stesso.

Da quanto precede ritengo di poter concludere, benché una parola definitiva non potrà essere pronunziata prima del ritorno di Bevin da Parigi e di Strang dal Medio Oriente, che l'Inghilterra si ritiene ormai libera dall'impegno assunto prima di Lake Success anche se da parte nostra, per puro metodo tattico, ci può convenire di fare mostra di credere ancora alla sopravvivenza dello spirito delle intese tra i due ministri.

1087.

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, FERRANTE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 00820/268. Assunzione, 17 giugno 1949 (perv. il 5 luglio).

Riferimento: Mio telespresso n. 00699/238 del 26 maggio u.s. 1 .

1086 2 Vedi D. 909.

3 Vedi D. 934.

4 Vedi D. 963.

5 Vedi D. 983.

6 Vedi D. 995.

7 Vedi D. 1076.

1087 1 Vedi D. 980.

Ho l'onore di informare che questo ministro degli affari esteri mi ha detto stamane ch'egli è ansioso di firmare con noi un protocollo di amicizia e collaborazione analogo a quelli recentemente stipulati dall'Italia con l'Argentina, il Cile e l'Uruguay.

Egli mi ha consegnato una bozza (della quale accludo originale e traduzione), predisposta dalla Direzione degli affari politici dello stesso Ministero, pregandomi di comunicarla alla E.V.

Rimango in attesa di conoscere, in proposito, il pensiero di codesto Ministero, circa l'opportunità di accedere senz'altro alla richiesta firma del protocollo, nonché delle eventuali modifiche che esso crederà voler fare 2 .

1088.

IL MINISTRO A CANBERRA, DEL BALZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 04. Sydney, 17 giugno 19491•

Riferimento: Telespresso min.le n. 3/2379/c. del2 giugno2 . Ho avuto oggi lungo e cordiale colloquio con Evatt rientrato quattro giorni fa dali' Europa.

Ne ho approfittato per rimettergli personalmente dichiarazione circa Tripolitania diramata dal Governo italiano l 0 giugno u.s. Evatt l 'ha letta con vivo interesse e mi ha detto nei termini più espliciti che approva pienamente nostra presa di posizione. Ha voluto, anzi, mettere giù per iscritto un suo commento sommario che mi ha chiesto trasmettere al presidente De Gasperi.

Commento dice testualmente:

«Mi congratulo vivamente col Presidente per tono sue dichiarazioni che giudico costruttive e degne di un uomo di Stato. Ritengo che principi da lui enunciati saranno di grande aiuto per raggiungimento soluzione concordata. Colgo occasione per pregarlo gradire miei più cordiali ed affettuosi saluti».

Riferendosi vicende dibattito ultima Assemblea circa nostre colonie, Evatt mi ha ripetuto considerazioni già accennatemi da Chifley (mio telespresso urgente

n. 01)3 . Ha sottolineato, in particolare, perplessità varie delegazioni (compresa la sua) di fronte improvviso abbandono da parte inglese della tesi che arabi Tripolitania erano nella grande maggioranza ostili nostro ritorno. Ha anche criticato Bevin per avere sottovalutato reazioni di alcuni paesi minori, ai quali, egli ha detto, compromesso avrebbe dovuto essere chiarito tempestivamente e con maggiore rispetto per loro suscettibilità. Ha tenuto, tuttavia, a farmi notare che delegazione australiana, nella fase conclusiva, ha votato in favore progetto italo-inglese.

1087 2 Per la firma del protocollo vedi il T. 8373/40 del 30 luglio da Assunzione che si pubblica nel volume successivo.

1088 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

2 Vedi D. l 003, nota 2.

3 Non pubblicato.

«Ora, egli ha continuato, dichiarazione Governo italiano apre strada a nuova soluzione per Tripolitania, accettabile da tutti e per la quale ritengo poter fm d'ora promettere cordiale appoggio Australia. Comunque, e nella peggiore delle ipotesi, Governo australiano si ritiene ormai impegnato dalla approvazione già data in Assemblea al compromesso Bevin-Sforza».

Ad un mio accenno sull'Eritrea, Evatt ha replicato dicendo che, secondo lui, soluzione può solo essere costituita da uno statuto speciale per Asmara e Massaua, garantito attraverso impegni formali che Abissinia dovrebbe assumere di fronte Nazioni Unite. Formula presenta ovvii rischi e inconvenienti, ma egli non ne intravede, allo stato delle cose, una migliore.

Concludendo, Evatt ha tenuto ad esprimermi sua ammirazione per spirito di rinascita che anima popolo italiano e del quale ha potuto rendersi conto nel corso delle sue recenti visite. Mi ha pregato, infine, far pervenire al conte Sforza rinnovate espressioni gratitudine per ospitalità e cortesie accordategli.

1089.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 5130/310. Roma, 18 giugno 1949, ore 13,20.

Suo 454 1 . Circa Libia, e in particolare Tripolitania, nostro punto di vista è contenuto, oltre che nel telespresso 24582 e precedenti, anche nel successivo telespresso 3/2463 del 7

u.s.3 e nella mia intervista al Tempo (telespresso 3/2547/c. del 14 u.s.)4 . È necessario che Dipartimento di Stato sia informato tempestivamente del nostro atteggiamento e nostri progetti perché ne tenga conto. Essi ci paiono sufficientemente pratici, elastici e progressisti per essere considerati base per una soddisfacente soluzione, e sui medesimi ci proponiamo intrattenere Stati arabi oltre che Governo britannico.

1090.

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 6569/30. Trieste, 18 giugno 1949, ore 19,35 (perv. ore 24).

Trasmetto con corriere speciale traduzione inglese discorsi pronunciati ieri Capo d'Istria da Miha Marinko, capo del Governo Repubblica popolare slovena e

1089 1 Vedi D. 1074.

2 Vedi D. 1044.

3 Vedi D. 1034, nota l.

4 Con esso Zoppi aveva trasmesso a tutte le rappresentanze accreditate presso i Governi degli Stati membri dell'O.N.U. le interviste rilasciate al Tempo da Azzam Pascià e da Sforza, rispettivamente il IO e il 15 giugno. Nella sua intervista Sforza, apprezzando le dichiarazioni del segretario generale della Lega araba, aveva ribadito l'intenzione italiana di collaborare con gli arabi in Libia e la non contrarietà dell'Italia all'unità libica.

membro del C.C. dei P.C.J., nonché Dusan Diminic, ministro comunicazioni Governo croato, di cui stampa triestina ha riprodotto stamane alcuni tratti.

Dichiarazioni jugoslave, che assumono carattere risposta discorso Trieste presidente del Consiglio De Gasperi 1 , hanno preso spunto e denunziato presunte irregolarità riscontrate in recenti elezioni triestine; ma di molto maggior rilievo sono parole uomini politici jugoslavi circa politica R.P.F.J. rispetto T.L.T. «che rimane temporaneamente, per le attuali condizioni, fuori dalle frontiere jugoslave», nonché affermazione che se visita De Gasperi Trieste significa conferma desiderio italiano riannettere Territorio Libero, allora conforme significato deve essere attribuito cerimonia Capo d'Istria.

«Jugoslavia, ha dichiarato Marinko, difenderà fermamente e decisamente suoi diritti e non accetterà mai misure che comportino nuovi sacrifici e nuove schiavitù su qualsiasi parte del territorio sloveno».

Non meno esplicito impegno ha espresso ministro croato Diminic nella chiusa suo discorso. Stampa ed ambienti locali si sono finora astenuti da approfondito commento.

1091

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. SEGRETO 6573/46. Ottawa, 18 giugno 1949, ore 16,47 (perv. ore 7,30 de/19). Mio telegramma n. 42 1•

Ho ieri informato confidenzialmente questo ambasciatore Stati Uniti nostri progetti e conversazioni qui avute. Ho rilevato grande importanza per noi concessione da parte E.C.A. fondi richiesti ed opportunità suo fattivo interessamento a Washington che gli acquisterebbe particolari benemerenze nei confronti nostro paese.

Mio collega si è dimostrato pienamente favorevole. Mi ha assicurato che recandosi per alcuni giorni verso fine mese U.S.A., avrebbe cominciato subito ad interessame suoi influenti amici.

Gli ho detto che avrei continuato tenerlo al corrente. Qualora pertanto V.E. desiderasse fargli pervenire qualche comunicazione sarei grato telegrafarmi.

1092

IL MINISTRO A QUITO, PERRONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1056/262. Quito, 18 giugno 1949 (perv. il 5 agosto).

Nel corso di una amichevole conversazione con questo ministro d'Inghilterra (che ha con me le più cordiali relazioni) ebbi occasione di accennare con molta di

1090 1 Vedi D. 1053, Allegato. 1091 1 Vedi D. 1075.

screzione al mio personale rammarico per l'attitudine ostile dimostrata in varie occasioni da alcuni funzionari britannici nei riguardi del nostro paese, specie per quanto concerne il problema delle nostre ex colonie, le quali sembrano essere molto spesso amministrate dalle autorità militari britanniche di occupazione con sentimenti nettamente anti-italiani.

Aggiunsi che subito dopo la liberazione il popolo italiano aveva accolto con grande entusiasmo le truppe britanniche il che lasciava molto bene presagire per le future relazioni fra i due paesi, ma che ora tale entusiasmo si stava purtroppo spegnendo a causa della attitudine inglese così poco comprensiva delle nostre aspirazioni e necessità. Mentre era invece desiderabile nell'interesse nostro comune e di tutta l'Europa un pronto ristabilimento di quella «tradizionale amicizia» fra i nostri due paesi, che tanti benefici aveva arrecato ad entrambi nel passato e notevolmente aiutato tanto il formarsi dell'Unità italiana quanto la costituzione delle nostre colonie pre-fasciste.

Egli mi rispose che tale «tradizionale amicizia» doveva considerarsi come terminata al momento in cui l'Italia aveva dichiarato guerra all'Inghilterra. Al che replicai subito che da noi non si dimenticavano le parole della Voce di Londra e di molti esponenti responsabili della politica inglese che tante volte avevano esplicitamente dichiarato che l'Inghilterra non faceva la guerra al popolo italiano, incitando questo ultimo a sbarazzarsi del governo di una fazione dittatoriale che non rispecchiava i veri sentimenti del popolo italiano, Cosa, aggiunsi, che l 'Italia effettivamente fece non appena possibile, schierandosi a lato degli Alleati con la sua cobelligeranza.

Ma il ministro inglese a questo punto interruppe la conversazione dichiarando che gli sembrava inutile rammaricarsi sullo spilled milk, quello che era stato era stato e non si poteva ormai più ritornare indietro.

Poiché il ministro britannico è ritornato da pochissimo tempo dal suo paese, ove ha passato oltre sei mesi di congedo, è da ritenere che queste sue parole non esprimano una sua personale opinione, ma al contrario siano il riflesso di un sentimento di diffidenza, di ostilità e di vendetta esistente al Foreign Office. E per questo motivo mi sembra non del tutto inutile riferirne opportunamente a codesto Ministero.

1093.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 2602. Londra, 18 giugno 1949.

Ti prego di prendere in particolare considerazione il mio telespresso

n. 2586/124 71• E vorrei anche che esso fosse ritrasmesso al più presto a Parigi poiché dal rapporto Quaroni n. 568/2045 del 27 maggio2 mi pare di comprendere che o i miei telegrammi non gli sono noti o non sono compresi.

1093 1 Vedi D. 1086. 2 Vedi D. 985.

Non vorrei si ricominciasse da Parigi a giuocare contro Londra (che poi sono io): «Londra non ha veduto ... » «Londra era troppo ottimista ... » «Londra non ha avvertito a tempo ... » «Londra non ha ascoltato i saggi consigli ... » ecc. ecc. Tutte cose ripetute poi per altoparlante a Palazzo Chigi e che per sfatare basterebbe avere la pazienza di riprendere in mano tutti i miei telegrammi e tutte le mie comunicazioni, cominciando da quelle riservate al ministro. Ma chi lo fa? Lasciami dire crudamente che questo è un giuoco ... non simpatico e che non sopporterei si ripetesse per la seconda volta.

Ritengo in ogni modo che sarà opportuno che d'ora innanzi riassuma schematicamente, come faccio oggi, le mie comunicazioni, e le concluda col mio punto di vista.

Credilo, caro Zoppi, che a questo posto non intendo rimanere un giorno più di quello che può essere necessario per utilità del paese e l'ambasciata di Londra è ad ogni momento a vostra completa disposizione, perché comprendo vi possano essere molte circostanze in cui, senza nessuna offesa a me, sia opportuno mandarci un altro. Non avete che a dirmelo schiettamente. D'altronde anche al ministro ho ripetuto che non è mia intenzione prendere il posto a nessuno o fare ombra ai giovani che hanno tutti i diritti di salire. Ma finché a questo posto debbo starei, non posso ammettere che l'ambasciata di Londra serva ingiustamente di bersaglio a tutte le critiche. Anzi, in un momento assai delicato come il presente, ho il bisogno di tutto il più leale appoggio da parte dei miei colleghi più direttamente interessati alla soluzione dei problemi che solo con un'azione concordata può essere raggiunta a vantaggio del paese.

1094

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6595/20. Lussemburgo, 19 giugno 1949, ore 21,55 (perv. ore 9,30 del 20). Mio telegramma 19 1•

Conferenza, tenutasi a porte chiuse, ha terminato in due sedute suoi lavori. Per quanto ho potuto sapere parlando con molte personalità non sono state prese decisioni rilevanti. Nel corso prima seduta si è parlato Conferenza Parigi e espresso convinzione che durante seduta domani potrà essere raggiunto qualche risultato solo per quanto riguarda trattato austriaco e problema economico germanico. Qualche affidamento dato a Benelux nel senso di esser sentito sistemazione Ruhr. Bevin ha parlato su importanza coordinamento sociale e culturale. Seconda seduta dedicata problemi difesa e deciso, in relazione situazione internazionale, accelerare coordinamento militare. Conferenza piuttosto destinata mettere in evidenza importanza e coesione

1094 1 Vedi D. 1080.

accordo di Bruxelles di fronte ai sovietici e forse anche di fronte U.S.A. e paesi Patto atlantico. Si rileva infatti che ministri esteri non hanno esitato interrompere Conferenza Parigi per venire al Lussemburgo.

1095.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. SEGRETA 3/2587. Roma, 19 giugno 1949.

Mi riferisco al tuo rapporto n. 4868/213 8 del l Ocorrente1•

Credo che il telegramma n. 3102 e i documenti in esso citati ti diano un quadro sufficientemente esatto dei nostri intendimenti. Per la Libia, intendiamo mantenere il «dispositivo» dell'accordo di Londra e cioè riconoscimento degli interessi inglesi in Cirenaica, concomitante e quindi condizionato, al riconoscimento degli interessi italiani in Tripolitania. Il modo con cui dar forme concrete a questa enunciazione è aperto allo studio degli uomini, e nella fattispecie dei diplomatici, di buona volontà. Dopo il voto dell'O.N.U. è evidente che non si può parlare più di «amministrazione fiduciaria». Almeno per noi, sarebbe estremamente difficile, e direi impossibile, anche al seguito di un voto favorevole dell'O.N.U., imporre la nostra amministrazione. Diversa è la situazione per gli inglesi in Cirenaica, in quanto, essendo essi sul posto, sono in condizione di graduare le loro concessioni al senusso e di obbligarlo ad accettare una formula di accordo. Mentre per la Tripolitania, anche mantenendosi gli inglesi, come cerchiamo di ottenere, neutrali, noi non possediamo alcuna possibilità di pressione. Da ciò la necessità per noi di adottare una formula più liberale nella speranza che sia possibile costituire a Tripoli un Governo composto di persone filo-italiane con le quali si riesca a mettere su un trattato. Che cosa ci ripromettiamo di ottenere con questo trattato? Rispondo: tutto dipenderà, se la nostra proposta viene adottata, dal grado di amicizia per l'Italia delle persone che comporranno il Governo col quale dovremmo trattare. Si può pensare ad un accordo che contempli sino anche la presenza di truppe italiane per assicurare la difesa del paese sino a che questo non sarà in grado di provvedervi da sé; che contempli un nostro controllo sulle finanze sino a quando il paese non sarà economicamente self-supporting e avrà bisogno di un nostro contributo finanziario; che contempli l'incarico all'Italia di rappresentare il paese all'estero; che contempli, almeno nella sostanza, più un autogoverno che una vera e propria indipendenza. Si può anche invece pensare ad un accordo che contempli solamente una cooperazione economica, sociale, tecnica e culturale. Unione economica e doganale con l'lta

1095 1 Vedi D. 1058. 2 Vedi D. 1089.

lia, impegno a valersi dei nostri tecnici e consiglieri a preferenza di altri, a valersi delle nostre scuole, delle nostre imprese, e via di questo passo; tutte disposizioni che dovrebbero naturalmente essere inserite a maggior ragione in un accordo del tipo precedentemente indicato.

N eli 'un caso, come nell'altro, gli italiani dovrebbero essere cittadini dello Stato, con uguali doveri e diritti. Capisco che un trattato della seconda specie, che implicherebbe riconoscimento della indipendenza possa dispiacere agli inglesi che non intendono arrivare a tanto per la Cirenaica, ai francesi, che si preoccupano per la Tunisia, ecc. e agli stessi americani che in questa questione hanno veramente dato prova di grave immaturità politica. Ma ciò è la conseguenza della politica inglese che a forza di propaganda anti-italiana ha creato una situazione da cui non si può uscire, onorevolmente, che a questo modo. Gli inglesi hanno soffiato sulla brace sonnecchiante del nazionalismo libico e ora il fuoco arde. A noi, per ricuperare le posizioni perdute non resta che !asciarci illuminare da questa fiamma e valerci delle stesse armi che gli inglesi ci hanno messo in mano. Per quanto potremo perdere in !oca guadagneremo in simpatie sia in Libia stessa, sia in tutti i paesi islamici e orientali: questa carta almeno ci resta da giocare e non dobbiamo !asciarcela sfuggire. La stessa tesi ci apprestiamo a sostenere per l'Eritrea.

Per la Libia rimane il problema della <<Unità». È questa una questione che è più sentita dalla Lega araba e dai vari Stati arabi che non dai libici stessi, ad eccezione di qualche capo nazionalista. Richiamo su questo problema quanto il ministro ha detto nella sua intervista al Tempo (vedi telespresso n. 254 7 le. del 14 giugno)3 . Non possiamo naturalmente prendere posizione contro l'unità col rischio di avere ostili i paesi arabi: lo stesso atteggiamento tiene il Governo inglese. Ma in fondo, né noi, né gli inglesi saremmo molto soddisfatti di questa unità. Perciò tanto noi che loro diciamo che è un problema che i libici devono incominciare ad esaminare per conto proprio. Perciò non vedo ragione di spingerli dal di fuori come fanno gli americani coi loro teorici progetti, su questa via. Se i tripolitani, nonostante i nostri sforzi, nonostante la loro riluttanza, nonostante l'opposizione di Azzam Pascià e di altri ambienti islamici, con, o senza, lo zampino britannico accettassero il senusso, sarebbe per noi difficile apporvisi. A Londra stiamo agendo perché non creino fatti compiuti e lo stesso dovreste fare voi costì. Ma se non vi riuscissimo, vi sarebbero pur sempre possibilità di soluzione: penso ad esempio al Marocco (ma questa ipotesi non è da prospettarsi ora naturalmente).

Circa il colloquio De Gasperi-Dunn4, le cose andarono così: Dunn visitò il presidente per portargli Dewey. Tra gli altri argomenti si parlò anche di colonie e il presidente accennò, in via di conversazione, ali' idea di conversazioni a quattro, ma non si trattò per nulla di una «proposta». Dewey deve averne fatto cenno a qualche giornalista nel riferire le sue conversazioni al Viminale.

1095 3 Vedi D. 1089, nota 4. 4 Vedi D. 1058, nota 3.

1096.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 5185-5186/312-313. Roma, 20 giugno 1949, ore 22.

Suo 458 1 .

Soluzione prospettata di Consigli a tre o a quattro o a cinque ricalca progetti che già in passato non ebbero fortuna e non (dico non) appare soddisfacente. Direttive per consultazioni a livello funzionari le sono state date con mio 31 Oe con successiva lettera n. 3/2587 del 19 u.s.2 Siamo anche noi scettici circa possibilità raggiungere unità Libia nella attuale situazione interna e internazionale di quel territorio e siamo quindi d'avviso che non si debba insistere su unità e che essa non debba venire imposta a popolazioni qualora non incontrasse favore di queste. Tuttavia non (dico non) potremmo opporci per ovvie ragioni politiche qualora popolazioni interessate vi insistessero ed essa apparisse realizzabile.

In tal caso unità dovrebbe raggiungersi su base federale fermo restando principio speciali rapporti Cirenaica con Gran Bretagna; Tripolitania con Italia, e Fezzan con Francia.

Per Eritrea proporremo indipendenza con incarico a paesi interessati studiare e proporre mezzi più idonei per conseguirla.

Consideriamo sia ancora possibile giungere ad una soluzione concordata e farla approvare dalle Nazioni Unite. Ciò a condizione sussista tuttora, e venga fermamente rispettato, principio collaborazione e consultazione con noi anche nella attuale fase discussioni preparatorie. È quindi essenziale:

l) che Italia sia chiamata a discutere insieme con Inghilterra, Stati Uniti e Francia problema ex colonie in vista appunto di concordare nuova formula; 2) che Inghilterra, o altri, si astenga dal porre Italia e Nazioni Unite di fronte fatti compiuti.

Apprendiamo invece che sono in corso studi e conversazioni dalle quali, sinora, Italia è esclusa e, come V.E. segnala, è da temersi che politica inglese fatti compiuti possa avere ulteriori sviluppi.

Governo italiano è animato da ferma volontà ricercare, in stretto accordo con Inghilterra, Stati Uniti e Francia, soluzione soddisfacente ed è ispirato inoltre, in ogni sua azione, da rispetto per autorità e prestigio Nazioni Unite; ma ritiene anche che ciò difl:ìcilmente sarebbe conciliabile con esclusione, o tardiva inclusione, Italia da consultazioni relative tale problema; e ancor meno con deliberazioni e azioni prese unilateralmente. Governo italiano ritiene quindi che sia venuto il momento di chiarire tali punti, di ottenere assicurazioni necessarie, e di iniziare consultazioni.

Nell'esporre questi concetti, del resto non nuovi, E.V. vorrà aggiungere che altrimenti Governo italiano si vedrebbe costretto riprendere in esame, e con concetti

1096 1 Vedi D. 1085. 2 Vedi DD. 1089 e 1095.

completamente nuovi, intera situazione. Nostra opinione pubblica, mentre è disposta a condividere qualsiasi soluzione onorevole, non potrebbe infatti ammettere che altri Governi, profittando di tali disposizioni, realizzassero intanto soluzioni che tengano conto soltanto di alcuni loro interessi, trascurando e escludendo quelli italiani. A soluzioni di questo genere Governo italiano, pur con suo vivo rammarico, si vedrebbe costretto a contrapporre tesi indipendenza assoluta e immediata; e non dubita che, se presentata dai suoi amici all'Assemblea generale Nazioni Unite, tale tesi incontrerebbe largo favore in molti gruppi Stati membri3 .

1097.

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO 6655/67. Nanchino, ... 1giugno 1949 (perv. ore 9 del 21).

D'accordo per Cippico2 . Avendo tuttavia presente che maggiori potenze hanno a Chung King ora consoli di carriera per assicurare collegamenti con Governo nazionalista, lascio giudicare a V.E. opportunità disporre temporaneamente stesso senso in vista votazioni O.N.U.; non può del resto escludersi che talune di esse vi invii rappresentante diplomatico sia pur di rango inferiore ad attuale rappresentante a Canton.

Circa situazione e nostra permanenza qui mentre assicuro essere in assiduo contatto con colleghi occidentali osservo:

l) non vi è da parte comunista ricerca contatti con rappresentanze estere;

2) non vi è alcun segno che Nanchino debba essere la capitale;

3) personalmente ritengo comunisti non accetteranno altro riconoscimento che dejure; 4) fino a quel momento è pertanto probabile essi continueranno «ignorare» rappresentanze diplomatiche e consolari.

Naturalmente rimarrò finché Governo della Repubblica lo riterrà necessario. È mio debito segnalare che non potendo né trattare né riferire né liberamente spostarmi utilità permanenza qui è per lo meno dubbia; né può escludersi che, dato disconoscimento loro funzioni e qualità da parte autorità comuniste e possibilità incidenti, rappresentanze qui finiranno col diventare fonte imbarazzo per rispettivi Governi. Tuttavia ritengo che per ovvie ragioni non converrebbe fossi il primo a partire; ed esprimo anche avviso che in linea generale, a meno vi sia deliberazione collettiva intero

1096 3 Per la risposta vedi D. Il 02. 1097 1 Questo telegramma è privo dell'indicazione della data di partenza e fu spedito attraverso la rappresentanza diplomatica americana, come indicato dalla dicitura «tramite americano». 2 Risponde al D. 1045.

Corpo diplomatico, convenga decisione partire appaia presa individualmente. Segnalo infine che ministro Afghanistan, il quale due settimane or sono ha chiesto permesso uscita, è ancora in attesa di una qualsiasi risposta3 .

1098.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. PERSONALE 3/2599. Roma, 20 giugno 1949.

Mi riferisco da ultimo ai due nostri telespressi 3/2592/c. del 19 corrente' e

n. 3/2596 del 20 corrente2 . Se i francesi volessero ancora aiutarci, come suppongo, essi dovrebbero fare a Washington questo discorso: gli italiani vi fanno e ci hanno fatto conoscere le loro proposte. Le troviamo ragionevoli e ciò che chiedono è il minimo che si possa loro riconoscere senza costringerli a saltare il fosso, ossia a schierarsi in toto con i paesi arabi e orientali per sostenere la tesi della indipendenza integrale. Tesi alla quale si unirebbe l'America latina (che vi è foncièrement favorevole e che solo per amicizia per l'Italia aveva assunto diverso atteggiamento), e alla quale sono ovviamente favorevoli gli slavi. N o n sapremmo dare torto agli italiani. Per quanto la cosa ci dia molto fastidio, riconosciamo che non avrebbero altra alternativa. Perduta la speranza di vantaggi concreti nelle loro ex colonie non rimarrebbe infatti ad essi che valorizzarne la perdita accattivandosi le simpatie e le amicizie dei paesi islamici. Noi sappiamo che questo programma era caldeggiato in Italia da tempo da coloro che sono anticolonialisti per ragioni ideologiche e anche da coloro che sin dal principio, constatando la difficoltà di piegare l'intransigenza britannica, sostenevano che era preferibile una politica di stretta collaborazione coi paesi dell'Oriente anziché una politica di rivendicazioni coloniali che avrebbe conseguito risultati modesti. L'opinione pubblica italiana, ancora attaccata sentimentalmente ed economicamente alle sue colonie, non era allora preparata ad un tale capovolgimento nella impostazione politica e diplomatica del problema e il Governo ha cercato di dare alla questione coloniale italiana una impostazione europea facendo cioè appello alla solidarietà fra le potenze europee che hanno interessi territoriali in Africa. L'Inghilterra volutamente, e voi americani con le vostre incertezze, avete costantemente sbarrato la via a questa politica che a noi francesi pareva la più saggia. E gli inglesi hanno finito per creare in Libia una situazione politica e psicologica per cui non vi è più possibilità di soluzione se non nelle forme suggerite dagli italiani. Queste rappresentano però l'ultimo limite a cui gli italiani possono arrivare. Se questo limite dovesse essere sor

1097 3 Sforza rispose con T. 5879/30 del 9 luglio, che si pubblica nel volume successivo. 1098 1 Vedi D. 1058, nota 4. 2 Vedi D. 1099, nota l.

passato il loro interesse politico e le loro esigenze economiche li spingerebbero inevitabilmente sulla via delle tesi più ardite in materia di emancipazione dei popoli coloniali. Lo stesso Governo italiano non potrebbe sottrarsi a questa necessità per trarre dalla sconfitta coloniale il miglior partito possibile e per non essere accusato di incapacità assoluta, laddove non è questo il caso, mentre è soltanto il desiderio di trovare una soluzione onorevole d'accordo con i suoi alleati e l'incomprensione di questi ultimi che hanno condotto il Governo italiano in queste difficoltà. E l'Italia è in condizioni di poter svolgere una tale politica.

Credo che questo ragionamento potrebbe venir fatto dai francesi in America. Che ne pensi? Lo comunico anche a Tarchiani per le sue conversazioni con Bonnet3 .

1099

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 3/26021• Roma, 20 giugno 1949.

Con riferimento anche ai nostri telegrammi n. 312 e 313 2 , ti unisco ad ogni buon conto copia di due appunti redatti dal presidente del Consiglio e da lui inviatici come direttiva.

Circa l'Eritrea ti faremo avere dettagliate istruzioni non appena il ministro tornerà da Bruxelles3 . Ti invio anche copia di una lettera che ho mandato a Quaroni4 .

ALLEGATO

APPUNTI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

Roma. 20 giugno 1949.

Preparare una esposizione per le quattro potenze5 . Per gli S.U. insistere in modo particolare che il Dipartimento di Stato si adoperi per evitare assolutamente il verificarsi di ulteriori azioni unilaterali.

1098 3 Questa lettera, insieme ad altra documentazione, venne trasmessa a Tarchiani con il D. 1099. Non è stata rinvenuta una risposta di Quaroni. l 099 1 In pari data Zoppi inviò una analoga comunicazione (L. 3/2596) a Quaroni trasmettendo gli

la documentazione qui citata insieme al D. 1085.

2 Vedi D. 1096.

3 Sforza si era recato a Bruxelles in visita privata per la cerimonia della sua ammissione all'Accademia Reale Belga.

4 Vedi D. 1098.

5 Vedi D. 1113.

***

Mi pare impossibile lasciar credere che se non sta in piedi il compromesso, noi subiremo in pace l'annessione della Eritrea. Colà ormai spira aria di indipendenza e bisogna far capire che se l'Inghilterra ci giuoca in Tripolitania, noi faremo propaganda e azione per indipendenza Eritrea.

1100

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. SEGRETA 2142. Alessandria, 19-20 giugno 1949 1•

Ho avuto un lungo colloquio con questo ministro degli esteri Khachba pascià, ora tornato da New York, dopo due soste prolungate a Londra e Parigi. Nella calma di un pomeriggio domenicale nella sede estiva di Bulkeley, ha avuto tutto agio di raccontarmi, nel dettaglio, le diverse fasi della questione coloniale così come egli la ha vissuta a Lake Success. Mi ha narrato della convinzione cui era giunto fin dai primi giorni del suo soggiorno a New York che i paesi dell'America latina erano decisi ad appoggiare le rivendicazioni coloniali dell'Italia, ma che non disponevano del numero di voti sufficiente per far trionfare questa tesi. Parimenti gli arabi e gli asiatici, contrari ad ogni forma di trusteeship e assertori della tesi dell'unità e dell'indipendenza, non potevano far prevalere quest'ultima.

Di qui il suo tentativo di fare approvare una formula di trusteeship collettivo sulla Libia, con la partecipazione dell'Italia, per tener conto delle aspirazioni degli uni e degli altri, formula che poi naufragò, anche per l'opposizione dell'Inghilterra. Mi ha confidato che gli esponenti libici da lui incontrati a New York avevano accettato anch'essi il trusteeship, cui sono tanto avversi, purché fosse salvaguardata l'unità della Libia.

Si è dilungato a narrarmi i suoi due incontri col conte Sforza a New York, di cui ha serbato il più grato ricordo, visibilmente lusingato dalla accoglienza fattagli dal ministro degli esterF. Mi ha poi parlato del suo incontro con Bevin a Parigi, avvenuto lo stesso giorno in cui il senusso fu proclamato capo del Governo cirenaica, decisione preannunciatagli la mattina dallo stesso Bevin, al quale egli subito dichiarò che essa non poteva incontrare il favore dell'Egitto e degli arabi, perché mirava a realizzare all'infuori dell'O.N.U. quella spartizione della Libia che l'Assemblea aveva di già condannata, respingendo il piano Bevin-Sforza. Mi ha accennato con un sorriso scettico alla dichiarazione fattagli da Bevin, che egli non era stato posto al corrente del quasi contemporaneo comunicato del Governo italiano circa l'autogoverno della Tripolitania.

Infine, alle mie rimostranze per il voto sfavorevole dato dall'Egitto sull'attribuzione della Somalia ali 'Italia, e ciò contrariamente agli affidamenti in precedenza fomiti, ha risposto che egli era ed è tuttora favorevole all'attribuzione del trusteeship all'Italia su tale

1100 1 Spedita il 20 giugno. 2 Vedi D. 969.

regione, anche perché essa potrebbe costituire in qualche modo uno sbocco ali' eccedenza della popolazione italiana; che ciò aveva esplicitamente dichiarato anche ai rappresentanti dell'America latina, ma che dato lo svolgimento degli avvenimenti (diniego del trusteeship collettivo, sorpresa per il piano Bevin-Sforza non previamente concordato con gli arabi, avversione assoluta di alcuni Stati, non solo arabi ma anche asiatici -Pakistan -a qualsiasi forma di trusteeship) egli, per non spezzare il blocco arabo-asiatico, aveva dovuto sia pure a malincuore votare contro l'attribuzione della Somalia all'Italia.

Per completare questo breve quadro sul ritorno del ministro degli esteri egiziano, aggiungerò soltanto che egli è stato ricevuto piuttosto freddamente al suo arrivo in Egitto. All'aeroporto era ad incontrarlo un solo ministro di Gabinetto, ed è mancato quel coro di osanna che aveva accompagnato il suo rientro in patria lo scorso anno da Parigi. Nessuna felicitazione per la missione da lui svolta, e silenzio dell'onnipotente sovrano che lo ha fatto attendere qualche giorno prima di riceverlo. Che cosa gli si addebita? L'insuccesso della intransigente politica egiziana nella questione palestinese; l'ingresso di Israele nell'O.N.U.; ma sopratutto la freddezza mostratagli a Washington, dove, a quanto sembra, le azioni egiziane sono assai in ribasso. La posizione del ministro è quindi piuttosto scossa, e ieri i giornali avevano di già annunziato le sue dimissioni, poi ritirare in giornata, a seguito delle pressioni esercitate su di lui dal presidente del Consiglio, che non vuole crisi di governo in questo momento, in cui è ingaggiato in una lotta senza quartiere contro i terroristi affiliati coi Fratelli Musulmani, i quali minacciano giornalmente la sua vita e la stessa compagine dello Stato.

Dopo questo lungo preambolo, nel quale era evidente il desiderio di spiegare il motivo dell'atteggiamento osservato dall'Egitto all'O.N.U., a suo dire scevro da animosità verso l'Italia, Khachba pascià mi ha chiesto che cosa si pensasse della questione della Libia nel mio paese. Mi sono allora valso delle istruzioni da te datemi con la tua lettera n. 3/2500 del l Ogiugno (pervenutami il 16)3 quale mia norma di linguaggio con Azzam Pascià, per esporgli il nostro attuale punto di vista sul problema. E ciò ho fatto deliberatamente, perché la mia esperienza di questi ultimi mesi mi insegna che il segretario generale della Lega araba mette ampiamente al corrente il suo collega egiziano dei nostri colloqui. Né è da stupire, giacché Azzam, di nazionalità e origine egiziana anch'egli, si appoggia all'Egitto ora più che mai, e ne è politicamente prigioniero, soprattutto dopo l'indebolimento della Lega a seguito della sua sconfitta nella questione palestinese e del recente grave dissidio con gli Hascemiti. Ond'è che, quando si ha da parlare con Azzam, tanto vale mettere al corrente anche il Governo egiziano, per evitare distorsioni e soprattutto sospetti e permali, data la diffidenza che gli stessi esponenti egiziani hanno per Azzam e la sua Lega, accusata di atteggiarsi a superstato, che minaccia di sostituirsi, ledendola, alla sovranità di ogni singolo componente.

Ho quindi esposto a Khachba pascià il nostro punto di vista, quale è stato pubblicamente consacrato nella dichiarazione fatta il l o giugno c.m. ai notabili eritrei e tripolini dal presidente del Consiglio, on. De Gasperi4 , e di cui avevo già dato copia al sottosegretario di Stato, prima del ritorno del ministro. A questi ne ho fornito uno stralcio, contenente i punti essenziali. Gli ho anche dato una traduzione integrale dell'articolo pubblica

1100 3 Non rinvenuto. 4 Vedi D. 1003.

to sul Messaggero dell'8 giugno («Italia e Tripolitania») che gli ho ampiamente commentato. Ho fatto appello al suo senso di realismo, ricordando come in ogni precedente mio tentativo di ricercare un terreno di intesa, avessi trovato la via sbarrata dalle intransigenti dichiarazioni sull'unità e l'indipendenza immediata della Libia. Gli ho fatto osservare che la proclamazione di uno Stato tripolitano non precludeva la possibilità di stabilire successivamente un legame federativo con la Cirenaica, dove bisognava prendere atto del fatto compiuto con la dichiarazione britannica in favore del senusso. Gli ho detto infine chiaramente che l 'Italia non poteva né intendeva assumere atteggiamenti anti-britannici, poiché perseguiva anzi una politica di ampia collaborazione con l'Inghilterra in tutti i campi.

Il ministro degli esteri mi ha ascoltato con grandissima attenzione: ha riletto in mia presenza ad alta voce la dichiarazione dell' on. De Gasperi, soffermandosi su ogni dettaglio e sottolineandola con cenni approvatori, ed ha finito col dirmi che egli prendeva in seria considerazione quanto gli avevo esposto, riservandosi di rispondermi fra qualche giorno. Io gli ho fatto osservare che il tempo stringeva, mancando poco più di due mesi alla prossima Assemblea. Ritenevo nell'interesse generale di raggiungere un accordo italo-anglo-arabo sulla questione della Libia, prima che essa fosse ripresentata all'O.N.U., su di che ha pienamente convenuto. Non senza mia sorpresa, non ha mosso alcuna critica al progetto italiano. Questa assenza di reazione del ministro contro il nostro progetto, che in definitiva ribadisce la spartizione della Libia, è da attribuirsi a mio avviso a un certo disorientamento dopo la proclamazione in favore del senusso, e quindi non può da sé sola costituire un sintomo incoraggiante.

Siamo poi passati a parlare dell'intervista accordata dall'emiro senusso all'Associated Press, e riportata nella stampa odierna, secondo la quale egli avrebbe raggiunto un accordo col mufti di Tripoli, in merito alla proclamazione dell'indipendenza di tutta la Libia sotto il suo emirato; ed ho chiesto a Khachba pascià che cosa ne pensasse. Egli mi ha risposto che l'Egitto non aveva mai visto di buon occhio le ambizioni senussite, ma che, malgrado ciò, se il senusso fosse riuscito a salvaguardare l'unità della regione, avrebbe dovuto riesaminare la questione sotto questa luce. Poiché io dimostravo chiaramente la mia disapprovazione a questo modo di vedere, il ministro ha osservato che ove l 'unità della Libia risultasse salvaguardata da un Governo del senusso esteso anche alla Tripolitania, l'Italia avrebbe potuto trovare vantaggioso stringere con una Libia unificata quegli accordi di cooperazione che progettava con la sola Tripolitania. Allo scetticismo ch'io gli mostravo circa le disposizioni favorevoli che l'Italia avrebbe potuto trovare presso il senusso in una simile eventualità, il ministro egiziano ha affermato che ciò dipendeva unicamente dall'Inghilterra. «L'Inghilterra, egli ha aggiunto non senza amarezza, ha dimostrato col compromesso Bevin-Sforza di preferire l'Italia agli arabi. Né me ne stupisco, perché l'Italia è una grande paese, e la sua amicizia le è più utile di quella egiziana, nel quadro della politica di collaborazione europea e di difesa contro l'espansionismo slavo comunista. Non vedo quindi perché, ove il senusso riuscisse ad estendere la sua influenza alla Tripolitania, l'Inghilterra non incoraggerebbe una sua intesa con l'Italia, che tanti benefici potrebbe apportare agli uni e agli altri sopratutto nel campo economico, dove una simile collaborazione è altamente auspicabile».

Ho risposto al ministro che non potevo seguirlo su questo terreno, e che lo pregavo quindi di fermare la sua attenzione sulla proposta italiana di creare uno Stato tripolitano, quale risulta dalla dichiarazione ufficiale del presidente del Consiglio, on. De Gasperi. Gli ho chiesto, ove gli arabi fossero entrati in questo ordine di idee, quale personalità locale avrebbe, a suo avviso, potuto riunire il maggior numero di consensi per formare un governo, espressione di un'assemblea liberamente eletta. Senza esitare, Khachba Pascià, mi ha risposto: Boshir Saadawi. Ha aggiunto che egli lo conosceva da più di venti anni; che era uomo di grande esperienza e moderazione; che aveva speso gran parte della sua già lunga vita (ha 69 anni) a lottare per l'indipendenza della Libia; che gode di prestigio locale (come è noto è presidente del Comitato di liberazione libico) ed è in buoni rapporti con gli inglesi. Alla mia richiesta se egli lo avesse incontrato recentemente, Khachba mi ha risposto affermativamente, da ultimo a Parigi, e mi ha detto che egli era stato di recente anche a Londra.

Questi ultimi dettagli fornitimi dal ministro degli esteri, hanno richiamato alla mia memoria il passo fatto col nostro ambasciatore a Londra da <<Un'autorevole personalità araba», oggetto da ultimo della mia lettera del 9 giugno c.m.5 , alla quale ti sarò grato se ti sarà possibile rispondermi, trattandosi di indicazioni che potrebbero riuscire preziose in questa intricata vicenda.

PS. Il Cairo, 20 giugno: Mi giunge ora il vostro telegramma6 che mi dà il nominativo dell'interlocutore di Gallarati Scotti. Ciò mi conferma sempre più nell'ipotesi affacciata precedentemente, che al sondaggio fatto a Londra non sia estraneo Boshir Saadawi, che come è noto, è consigliere ascoltato di Ibn Saud. Se così fosse, conviene a nostra volta fare dei sondaggi presso di lui, o qui o anche a Londra per lo stesso tramite?7 .

1101

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE SEGRETA 2143. Il Cairo, 20 giugno 1949.

Faccio seguito alla mia lettera n. 2142 di ieri 1 per riferirti in merito al colloquio odierno con Azzam Pacha che sono venuto a vedere qui al Cairo, trasferendosi egli ad Alessandria soltanto fra qualche giorno.

Con lui ho tenuto un linguaggio analogo a quello da me usato con Khachba Pacha, e quindi non mi dilungherò a riferirti gli argomenti da me svolti.

La reazione di Azzam è stata in linea di massima favorevole. Anch'egli ha riletto con attenzione la dichiarazione fatta il l o giugno dall'on. De Gasperi sulla questione coloniale2 , soffermandosi a domandarmi qualche chiarimento. In particolare mi ha chiesto se si trattava di uno Stato indipendente, al che ho risposto che uno Stato che può eleggere liberamente un'Assemblea e trame un Governo che ne sarà l'espressione, è senza dubbio uno Stato indipendente.

1100 5 Non pubblicato ma vedi D. 1023. 6 T. s.n.d. 5171/69 del 20 giugno con il quale Zoppi aveva comunicato che il passo presso Gallarati Scotti era stato effettuato dall'ambasciatore dell'Arabia Saudita a Londra. 7 Per la risposta vedi D. Il09. 1101 1 Vedi D. 1100. 2 Vedi D. 1003.

La seconda domanda di Azzam concerne la questione del trnsteeship, desiderando egli di sapere se noi abbiamo rinunziato a chiederlo. Gli ho fatto notare che la parola trusteeship non era contenuta nella dichiarazione del presidente del Consiglio, e che avevamo ormai rinunziato ad ogni forma di colonialismo.

Naturalmente egli doveva tener conto della circostanza che anche noi saremo costretti a muoverei nell'ambito di quelle formule che ci saranno consentite dai nostri amici e dall'O.N.U. Non potevo quindi prendere un impegno preciso al riguardo. Azzam ha mostrato di comprendere, ripetendo però che ove si ricominciasse a parlare di trusteeship, tutto andrebbe all'aria (the al! plan will be wrecked). Nel complesso ha ripetuto trattarsi di una buona proposta (a sensible proposal) che egli era disposto ad appoggiare. Mi ha chiesto se ne avevo accennato a Khachba Pacha e quale fosse stata la sua reazione, che gli ho detto essermi parsa favorevole.

Il segretario della Lega araba ha aggiunto che avrebbe preso contatti con degli esponenti tripolini che si trovano in Egitto, sottoponendo loro il piano.

Al mio suggerimento sull'opportunità di procedere con una certa rapidità, in vista della vicinanza dell'Assemblea dell'O.N.U., Azzam ha osservato che avrebbe dovuto pregare i predetti esponenti di recarsi a Tripoli per sondare le reazioni degli ambienti interessati. Abbiamo concordato di tenerci in contatto qui e ad Alessandria, dove verrà, come sopra detto, quanto prima.

Ad una domanda da me rivoltagli per sondare il terreno circa la persona più adatta a formare il futuro Governo, la risposta è stata nel senso di quanto già da te osservato nella tua lettera3 , e cioè che, contrariamente a ciò che avviene in Cirenaica col senusso, a Tripoli non esistono uomini sui quali si possano concentrare generali consensi. Ad avviso di Azzam, non dovrebbe essere invece difficile di procedere alle elezioni in Tripolitania, dato il carattere particolare di quelle tribù, che sono in massima parte sedentarie, e che voteranno per i nomi approvati dai loro capi. Dopo le elezioni si potrà procedere alla nomina dell'organo esecutivo (executive body) che esprimerà dal suo seno il futuro capo del Governo.

Parlandomi poi degli inglesi, Azzam Pacha ha osservato che gli è difficile di comprendere se essi siano sinceri nei nostri riguardi, quando affermano di volere appoggiare il nostro ritorno in Tripolitania. È certo invece, che essi riescono quasi sempre ad ottenere quello che desiderano. Volevano la Cirenaica, e hanno finito per averla, mettendo il mondo di fronte al fatto compiuto, dopo molti tatonnements. Si tratta ora di vedere se, da Bengasi, hanno l'intenzione di lanciare l'amo, servendosi dell'emiro per pescare anche il pesce tripolino.

Da quanto ti ho riferito sui miei colloqui col ministro degli affari esteri egiziano1 e col segretario generale della Lega araba, risulterebbe che non vi è terreno del tutto avverso al contenuto della dichiarazione ufficiale italiana. Direi anzi che l'accoglienza è stata più favorevole di quanto mi attendevo. Infatti non si è posta la pregiudiziale dell'unità della Libia, come ostacolo insormontabile per creare un governo nella sola Tripolitania. Ciò non significa peraltro che un accordo con gli arabi sia facile e attuabile rapidamente. Ma, se tale accordo si persegue effettivamen-

Il O l 3 L. 3/2500 del l O giugno, non rinvenuta.

te, occorre quanto meno scegliere un terreno concreto sul quale continuare le iniziate trattative, e proseguirle con la massima celerità e decisione, se non vogliamo essere sorpassati dagli avvenimenti o da altri.

Uno dei punti più delicati della questione è l'atteggiamento inglese. Fino a quanto i britannici sono disposti a !asciarci procedere sulla via di un nostro accordo diretto con gli arabi? Conviene più a noi di parlare con tutta franchezza agli inglesi, mettendoli al corrente delle nostre conversazioni al Cairo, per ottenere da loro appoggio ed incoraggiamenti sia sul posto che in sede internazionale, oppure conviene meglio procedere in un primo tempo d'accordo con i soli arabi?

Io non saprei esprimere di qui un avviso circostanziato. Mi permetto solo di ricordare che tentativi di approcci con Azzam e con gli egiziani ne abbiamo di già fatti ripetutamente, e che forse questa è una delle ultime possibilità che si presentano, prima della decisione che si auspica raggiungere all'O.N.U. sulla questione della Libia.

Resto quindi in attesa di tue ulteriori istruzioni, per il caso che intendiate di approfondire, fra qualche giorno, i contatti, magari con qualche indicazione più precisa e concreta circa il piano delineato nelle tue precedenti comunicazioni4 .

1102

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6694/464. Washington, 21 giugno 1949, ore 20,42 (perv. ore 8 del 22). Suoi 310,312 e 313 1 .

Su livello uffici ho già fatto presente a Dipartimento Stato che Governo italiano non ritiene praticamente realizzabile unità Libia, la quale tutt'al più potrebbe essere realizzata, a condizione che ciò corrispondesse a chiara volontà popolazioni locali, su base federale, con larga autonomia dei suoi elementi costitutivi e con piena salvaguardia parallelismo rapporti Gran Bretagna-Cirenaica ed Italia-Tripolitania. Ho altresì fatto presente necessità che conversazioni a quattro siano tosto iniziate e che nel frattempo non (dico non) avvengano consultazioni più ristrette e tanto meno nuove iniziative unilaterali suscettibili pregiudicare ulteriormente situazione. Su quest'ultimo punto è stato da noi fatto esplicito riferimento a progettata visita emiro a Tripoli. Parimenti sono stati indicati propostiti italiani circa Eritrea.

Mi propongo illustrare diffusamente e personalmente nostro punto di vista a Rusk nei prossimi giorni2•

1101 4 Per la risposta vedi D. 1109. 1102 1 Vedi DD. 1089 e 1096.

2 Vedi D. 1120.

1103.

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6685/116. Gerusalemme, 21 giugno 1949, ore 20 (perv. ore 24). Suo 80 1•

Mia visita Amman ritardata alcuni giorni causa impegni servizio qui e Tel Aviv. Ministro esteri scusatosi ritardo mi disse confidenzialmente che il Governo giordanico avendo avuto conoscenza preventiva richiesta gradimento La Terza per Iraq si era rivolto quel Governo per conoscere motivo mancata concessione. Ho spiegato che nostra domanda, la quale risaliva anno 1947, era strettamente connessa ristabilimento relazioni diplomatiche con Iraq e che tale questione aveva formato oggetto conversazione fra i due Governi conchiusa fine 1948 con nomina ministro Errera avendo La Terza ricevuto nel frattempo altro incarico. Ho fornito ulteriori notizie su personalità, carriera e doti La Terza ricevendo promessa risposta entro pochi giorni. Dato ritardo ho fatto sapere ieri ministro predetto che desideravo comunicare decisione a mio Governo2•

1104

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 21 giugno 1949.

Ho detto all'incaricato d'affari britannico in relazione al viaggio del senusso a Tripoli che facevamo presente al Governo britannico la necessità che da parte della

B.M.A. si tenesse un atteggiamento di assoluta riserva e non si compissero atti o gesti che tendessero a creare in Libia nuovi fatti compiuti, o che potessero dare tale impressione. Dopo la presentazione delle nostre proposte 1 , alle quali attendiamo risposta2 , e mentre andiamo sottolineando a Washington, Londra e Parigi, e di fronte alla nostra opinione pubblica, il nostro desiderio di trovare un accordo con la Gran Bretagna, un gesto unilaterale del Governo britannico anche se di minima portata avrebbe avuto in Italia ripercussioni imprevedibili.

Il signor Ward mi ha detto che l'ambasciata inglese si era già preoccupata di ciò e aveva per conto suo inviato a Londra raccomandazioni che avrebbe ripetuto dopo la mia comunicazione.

Il 03 1 Del 18 giugno, con il quale Zoppi aveva richiesto di sollecitare la concessione del gradimento giordano per l'accreditamento ad Amman del ministro La Terza. 2 Silimbani poté comunicare la concessione del gradimento con T. 7146/12 del l o luglio. 1104 1 Vedi D. 1034. 2 Vedi D. 1114.

Neanche a farlo apposta, però, il signor Ward aveva avuto dal Foreign Office incarico di fare a Palazzo Chigi la comunicazione di cui all'unito promemoria3 , che se non ha di che vedere con il viaggio del senusso costituisce tuttavia un gesto che gli ho definito tale da creare nuovi imbarazzi al Governo italiano, oltre che sostanzialmente contrario allo spirito di collaborazione fra i due Governi. L'invio in Tripolitania di una commissione «to embark on a programme» di sviluppo «economico, sociale ed educativo», e l'intenzione di darne l'annuncio in Parlamento (mentre il Governo britannico sa che questo compito dovrebbe spettare all'Italia se troveremo un accordo che riservi, come da noi proposto, queste e altre attività alla Gran Bretagna in Cirenaica e all'Italia in Tripolitania), è un gesto che verrà certamente interpretato in Italia e in Tripolitania come prova del deliberato proposito inglese di continuare in una politica unilaterale di fatti compiuti a danno dell'Italia. E se tale non è il proposito inglese è veramente stupido compiere dei gesti che ne hanno tutta l'apparenza.

Il signor Ward mi ha detto che certamente a Londra non si è mai pensato che una cosa così modesta come l'invio di una commissione a Tripoli con i compiti suindicati, possa avere tali ripercussioni in Italia, che non era neppure nelle intenzioni inglesi di creare dei fatti compiuti, ma solo di venire incontro ai desideri più volte espressi anche in Italia, oltre che dagli arabi e dagli italiani in loco, di veder tenuti in maggior cura dalla amministrazione gli interessi economici del territorio. Gli ho detto che per ciò fare non è necessario l'invio solenne di una commissione ma che ogni provvidenza può essere adottata anche nel quadro della Amministrazione, che poi non si tratta solo di questioni economiche ma, come è detto nel promemoria, anche di questioni educative e sociali. Ora quel che si intende fare è un programma a carattere strutturale e a lungo termine e questo alla vigilia di decisioni dell'O.N.U. e mentre si sta discutendo un accordo che dovrebbe riservare laTripolitania alla influenza italiana. Nessuno potrà togliere dalla testa degli italiani e degli arabi l'impressione che questa iniziativa contrasta con la dichiarazione inglese di non voler restare in Tripolitania.

Ho espresso il mio rammarico di vedere quanto poco impegno il Governo britannico metta nei suoi rapporti con quello italiano. Ho concluso invitando Ward a telegrafare a Londra tutte le mie osservazioni e a suggerire che mettano l'iniziativa a dormire, o almeno, ove fosse impossibile, che la traducano in pratica insieme a noi. Questo, gli ho detto, sarebbe un gesto che avrebbe le migliori ripercussioni in Italia e in Tripolitania. Sopratutto dal lato economico, lo sviluppo dell'economia di questo territorio è talmente legato al lavoro dei residenti italiani e alle possibilità di scambi con l'Italia che uno studio comune italo-inglese del problema sarebbe giustificato4 .

4 Il presente appunto venne ritrasmesso da Zoppi a Gallarati Scotti con Telespr. segreto 3/2607/c. in pari data, con le seguenti informazioni: «Con la Nota verbale n. 3/2441 del 6 corrente (vedi telespresso 3/2463/c. del 7 corr.) [vedi D. 1034] abbiamo presentato al Governo britannico delle proposte che sostanzialmente tendono allo stabilimento dell'influenza italiana in Tripolitania e dell'influenza britannica in Cirenaica. Non può non sorprenderei e impressionarci sfavorevolmente il fatto che, prima ancora di risponderei, il Governo britannico si disponga a preparare per la Tripolitania programmi di ordine economico, sociale ed educativo che, secondo lo schema delle nostre proposte, dovrebbero ovviamente essere riservati agli accordi che intendiamo concludere con gli arabi».

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 158/93/49. Roma 20 giugno 1949.

His Majesty's Govemment in the United Kingdom have long been preoccupied by the restrictions imposed on economie, social and educational development in Tripolitania by the policy of «care and maintenance». Local opinion in Tripolitania has moreover for some time been urging the British Administration to embark on a programme which would respond to the natura! desires for progress in these fields.

In view of the failure of the Genera! Assembly of the United Nations to reach at its last sessions a decision regarding disposal ofthe Italian Co!onies, His Majesty's Govemment have decided that they can no longer defer action in this direction, and have therefore decided to send to Tripolitania a special mission to examine the economie situation and present state of social and educational services, and to recommend measures which would meet the most pressing requirements of the territory. A public announcement in this connexion may shortly be made in Par!iament.

While instructing that the foregoing should be conveyed to the Italian Govemment, His Majesty's Govemment have also directed His Majesty's Embassy to explain that the terms of reference of the mission do no t include those of making recommendations for politica! development.

His Majesty's Embassy understands that a similar explanation is being conveyed to the United States and French Govemment.

l l 04 3 Vedi Allegato.

1105

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1153/488. Ankara, 21 giugno 1949 (perv. il 25 luglio). A telespresso n. 11305 dell' 11 giugno1•

La Francia ha confermato in questi giorni al Governo turco per iscritto di considerare il trattato tripartito del19 ottobre 1939 come tuttora in vigore. Il Governo britannico aveva già precedentemente fatto analoga comunicazione e nella stessa forma.

Nel dame l'annunzio ufficiale, questo ministro degli esteri ha dichiarato alla stampa: «La conferma dell'accordo del '39 è di molta utilità, sia per por termine ai dubbi che i mutamenti intervenuti in Francia nell'ultima guerra avrebbero potuto pro

1105 1 Indirizzato anche alle ambasciate a Londra e Parigi, ritrasmetteva il D. 964.

vocare in proposito, sia per precisare una volta di più la natura delle attuali relazioni fra due paesi tradizionalmente amici. Abbiamo dunque accolto con profonda soddisfazione tale conferma, che è perfettamente conforme al nostro punto di vista. Si tratta in sostanza di una nuova espressione dell'importanza che la Francia annette alla Turchia ed alla sua amicizia e, come tale, essa è destinata a vieppiù rafforzare la già esistente atmosfera di collaborazione intesa a preservare la sicurezza e la pace. Ed è per questo che il gesto francese ha per noi molta importanza».

Non credo che il Governo turco nutra eccessive illusioni sul valore pratico dell'accordo del '39 così come esso è, benché ragioni sopra tutto di carattere interno lo spingano a dare alla conferma francese pubblicità e rilievo. La Turchia è entrata in un periodo quasi preelettorale ed il Governo è malfermo in sella. Sicché ogni iniziativa o avvenimento che abbia l'aria di un successo diplomatico è naturalmente utilizzato anche allo scopo di meglio tenerlo in arcioni. Naturalmente non si fa menzione alcuna della nota riserva francese in materia militare. Ma non salta in testa, credo, a nessuno di veramente ritenere che la Francia, se la Turchia fosse attaccata nella Tracia o nel Caucaso, marcerebbe senz'altro a sua difesa, in base al riconfermato trattato.

Piuttosto che sull'effettivo valore pratico attuale dell'accordo del '39, mi pare dunque che il Governo turco speri sia sulla possibilità di porre, attraverso le sue clausole, in movimento anche il Patto atlantico (ma è questa davvero una remota speranza), sia, sopra tutto, sulla circostanza che la riconferma della sua efficacia potrà forse costituire il primo passo necessario alla sua revisione ed aggiornamento in termini esplicitamente antisovietici, anche se strettamente difensivi. Revisione ed aggiornamento che potrebbero in ultima analisi porre in piedi anche le prime fondamenta di quel sistema di sicurezza mediterraneo che è, oggi come ieri, l'obbiettivo ultimo di questo Governo. Naturalmente la revisione comporterebbe la decadenza del Protocollo n. 2 (clausola russa) che, a quanto mi risulta, è da considerarsi tuttora in vigore.

1106

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPRESS01• Ankara, 21 giugno 1949.

Mi avvarrò, nelle mie conversazioni al riguardo, delle informazioni e chiarimenti fornitimi con telespresso n. 3/2383 del 3 giugno2• Le radiodiffusioni, il cui testo mi è stato trasmesso sono state succintamente pubblicate da questa stampa che ha più largamente riassunto intervista di V.E. sul Tempo.

1106 1 L'originale di questo documento non è stato rinvenuto: il testo qui pubblicato è tratto dalla ritrasmissione che di esso venne fatta da Roma, con il Telespr. 3/2738/c. del 3 luglio, alle ambasciate a Parigi, Londra e Washington ed all'osservatore italiano presso le Nazioni Unite.

2 Vedi D. 1024.

Sembra qui perfettamente ragionevole che Governo italiano si astenga dal precisare sin da ora forma istituzionale Tripolitania e intenda invece, con procedura democratica e in vista delle particolari circostanze, trasferire problema su Assemblea liberamente eletta. Pare altresì buona manovra da parte nostra, pur riaffermando in via di principio favore italiano mantenimento unità Libia, lasciare che anche questo problema sia in primo luogo di competenza dei libici. Contrapporre all'ordinamento teocratico-feudale, e cioè arretrato e incivile, dell'emirato cirenaico, un ordinamento democratico moderno in Tripolitania potrebbe forse sedurre gli elementi locali più avanzati, e, in ogni modo, meglio impressionare opinione pubblica internazionale.

1107

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, TASSONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1569/771. Belgrado, 21 giugno 1949 (perv. il 2 7).

Facendo seguito al telegramma odierno 1 , mi limito ad osservare che il comunicato ufficiale jugoslavo di protesta contro le decisioni della Conferenza di Parigi e contro il profilarsi di un trattato di pace con l'Austria che non accoglie nessuna delle rivendicazioni di Belgrado, rivela molta amarezza e non contenuta ira.

Le decisioni non sono giunte improvvise al Governo jugoslavo, ma il colpo è stato ugualmente duro, venendo poco dopo la clamorosa disfatta a Trieste della lista sloveno-titina.

Con gli accordi di Parigi si è brutalmente troncato quel fiancheggiamento diplomatico russo-jugoslavo che aveva pur superato la prova della risoluzione del Cominform. Soltanto ora la Jugoslavia viene a sentirsi abbandonata dall'Unione Sovietica nel campo internazionale il che, inasprendo gli animi, potrebbe finire col rendere impossibile quel simmetrico accodamento jugoslavo alle mosse sovietiche in sede diplomatica, che qui permetteva al regime jugoslavo di sfogare una passione e di mantenere una documentata giustificazione verso l'U.R.S.S.; cioè di stare, da buon regime comunista, nel campo bolscevico antioccidentale e di dimostrare al comunismo cominformista che, nonostante «l'ingiusta condanna», la Jugoslavia non aveva modificato lo schieramento.

Resta a domandarsi, perché il Governo jugoslavo col suo comunicato abbia immediatamente voluto offrire alla propria opinione pubblica (che gli è, in massima parte, nemica) la prova provata che l'Unione Sovietica ha ritirato alla Jugoslavia tutto il suo appoggio diplomatico. C'è, come noto, una tesi in argomento, quella della megalomania di questa giovane casta dominante e di una specie di voluttà slava che la rende

1107 1 T. 67161179, partito il 22 giugno, con il quale Tassoni aveva anticipato il contenuto del presente telespresso.

rebbe orgogliosa di soffrire ingiustamente, perché incompresa dai fratelli comunisti, e la spingerebbe a dimostrare che, da sola e quasi contro tutti, essa ha potuto terminare la sovietizzazione, ma anche la ricostruzione del paese. Ma esistono anche più realistiche ipotesi che si aggiungono, senza annullarla, a quella suddetta. Il Governo jugoslavo sa che qualunque confessione sull'ultimo «abbandono» russo, riempie di gioia i «reazionari» nel paese, ma sa anche che una parte dei comunisti cominfomisti jugoslavi amerà meno l'U.R.S.S. dopo la Conferenza di Parigi. In sostanza, lo stato maggiore di Tito è costretto, nella presente situazione, a sfruttare anche i rovesci. L'eterno battere e ribattere sul «tradimento» di Vidali a Trieste come l'attuale comunicato sulle fallite rivendicazioni carinziane (staremo a vedere se anche qui vi sarà un fastidioso e costante martellamento) possono avere questo scopo: «amareggiare» contro l'U.R.S.S.-Cominform tutti coloro che sono pericolosi a Tito nel campo comunista jugoslavo.

Tutto il comunicato che si dichiara ufficialmente redatto dal Ministero degli affari esteri, mira ad irritare il lettore contro la Russia. Le «richieste legittime», jugoslave e russe, sono elencate insieme. Poi si dice che la Russia ha avuto tutto e la Jugoslavia nulla; che le decisioni di Parigi costituiscono un diktat verso un paese alleato «con il quale si sanzionano le ingiustizie della pace imperialista di Versailles» (l'argomento di Versailles può anche essere imprudentemente sfuggito da penna jugoslava); che l'U.R.S.S. avrà le sue indennità ed i suoi compensi economici dall'Austria che tutti e quattro i ministri hanno visto Gruber e respinto il rappresentante jugoslavo.

La Direzione delle informazioni ha contemporaneamente dato il via al comunicato ufficiale ed al commento insuftlato alla stampa. Anche qui, con irritata malizia, si elencano tutte le dichiarazioni ufficiali sovietiche, dal 194 7 ad oggi, a favore della tesi jugoslava sulla Carinzia e si arriva fino alla dichiarazione Zarubin del marzo u.s. Poi si dice: «Fino al 17 giugno l 'Unione Sovietica ha sostenuto le richieste jugoslave che i suoi rappresentanti hanno sempre difeso come perfettamente giustificate ... Firmando l'accordo del 20 giugno, l'Unione Sovietica ha rovesciato il suo atteggiamento, assumendone uno diametralmente opposto agli interessi dei popoli jugoslavi».

Il commento, più che ufficioso, in un paese ove nulla di individuale compare sulle gazzette, insiste sulla manovra russa per coprire il voltafaccia: ripetute smentite Tass a tutte le voci di abbandono sovietico delle tesi jugoslave (quindi, menzogna verso il Governo jugoslavo che «ha sinceramente accolto e creduto simile smentita»), rivelazioni sui «tradimenti» diplomatici jugoslavi in corso, rivelazioni su trattative dirette tra Tito e l'Austria a spese degli stessi carinziani. Tutto questo, secondo il Governo jugoslavo, era un tessuto di menzogne destinato a coprire il baratto di Parigi ed il làchage russo della Jugoslavia. «l fatti hanno finalmente gettato una ben chiara luce sulle calunnie cominformiste, secondo cui la Jugoslavia stava accordandosi con gli imperialisti. È stata invece lei (l'U.R.S.S.) ad accordarsi ed il comunicato pubblicato alla fine della Conferenza dei quattro ministri ci rivela eloquentemente chi si è accordato e come ci si è messi d'accordo».

Sarà interessante vedere come la delusione jugoslava verrà ulteriormente manovrata dal Governo. Il comunicato-protesta contro le decisioni di Parigi, ricorda inevitabilmente la recente nota jugoslava di protesta per l'assistenza russa al fuoruscitismo antititino. Non va neanche dimenticato che a quella protesta si ebbe una dura risposta sovietica, volutamente destinata, nello strano e selvaggio gioco di questi dignitari comunisti, ad irritare la ferita.

1108.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6739/467. Washington, 22 giugno 1949, ore 19,24 (perv. ore 7,30 del 23). Mio 4641• Vedrò Rusk venerdì2 .

Frattanto ho avuto nuova conversazione con Bonnet, cui ho esposto attuale atteggiamento italiano sulle linee dei telegrammi ministeriali 312 e 3133 .

Bonnet mi ha ripetuto buone disposizioni francesi nonché suo convincimento che conversazioni a quattro costituirebbero unica procedura promettente. Infatti soltanto attraverso esse sarebbe possibile associare americani a punto di vista itala-francese e quindi premere su inglesi, cui riuscirebbe difficile opporsi a soluzioni caldeggiate da altre tre parti.

Anche a Bonnet ho detto che, qualora vedessimo svanire possibilità compromesso accettabile, saremmo costretti proporre indipendenza assoluta e immediata Tripolitania e Cirenaica.

Egli, naturalmente, pur apprezzando nostro punto di vista, mi ha ripetuto ragioni per le quali Francia non potrebbe, a suo avviso, votare in nessun caso a favore di siffatta soluzione4 .

1109

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI

L. PERSONALE SEGRETA 3/2624. Roma, 22 giugno 1949.

Alle tue lettere n. 2142 e n. 2143 del 19 e 20 u.s. 1 .

Approvo quanto da te detto al ministro degli esteri egiziano e ad Azzam Pascià. Con quest'ultimo sei stato però un po' troppo reticente nel dire che il trusteeship, secondo i nostri progetti, può anche considerarsi morto e sepolto.

Ti accludo copia del nostro telespresso n. 3/2493/c. del l O corrente ai sudamericani2.

Per tuo orientamento e più completa informazione ti unisco anche:

1108 1 Vedi D. 1102.

2 Vedi D. 1120.

3 Vedi D. 1096.

4 Per la risposta di Zoppi vedi D. 1111. 1109 1 Vedi DD. 1100 e 1101.

2 Vedi D. 1033, nota l.

l) copia della Nota verbale n. 3/2441 del 6 corrente rimessa a questa ambasciata britannica (attendiamo risposta )3;

2) mia lettera a Tarchiani n. 3/2587 del 19 corrente4;

3) nostro telegramma del 13 corrente a Beirut e risposta in data 16 corr.5 Il telegramma fu fatto in seguito a suggerimento dei capi tripolini nostri amici e fu scelta la via di Riad el Solh perché quest'ultimo, durante la Assemblea dell'O.N.U. a Parigi, aveva favorito un colloquio tra Cernili e Boshir Saadawi e si era sempre offerto da tramite.

Al momento attuale non sappiamo ancora se Riad el Solh è riuscito a raggiungere Boshir es Saadawi e quale sia stata la reazione di quest'ultimo. Se tu riesci a prendere con lui contatto diretto o indiretto (come reputo più opportuno) puoi mostrarti al corrente della iniziativa. Circa quello che gli puoi dire vale quanto ti abbiamo già fatto conoscere e quanto è contenuto nei documenti uniti6 .

1110.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 771/2436. Parigi, 22 giugno 19491•

Lettera del segretario generale n. 31/364 del 13 corrente2 .

F. Cavalletti ha domandato a Paris se era vero che i cinque ministri dell'Unione Occidentale nella recente riunione di Lussemburgo avevano parlato anche del Consiglio di Europa. Paris ha risposto che i ministri si erano limitati a domandargli un resoconto sull'andamento dei lavori della Commissione preparatoria e che, per un riguardo verso gli assenti, a Lussemburgo ci si era astenuti da ogni decisione circa il Consiglio di Europa.

Paris ha dato però l'impressione che in realtà la questione dell'ordine del giorno del Consiglio di Europa fosse stata toccata nella riunione di Lussemburgo e Cavalletti ha pertanto insistito per conoscere quali erano, allo stato attuale delle cose, le idee francesi al riguardo.

Paris ha risposto che effettivamente si era cominciato lo studio di alcune questioni, atte ad essere messe nell'ordine del giorno, accennando alle seguenti: questioni economiche: lavori pubblici europei con partecipazione di capitali e mano d'opera europei, misure per sviluppare il commercio europeo senza intaccare la competenza dell'O.E.C.E., misure per sviluppare e facilitare il turismo, costituzione di un Ufficio europeo dei brevetti. Questioni sociali: armonizzazione della legislazione europea in materia di assicurazione e protezione operaia. Questioni culturali: libera circolazione della produzione letteraria artistica e scientifica, ricostruzione di opere d'arte, creazione di un Comitato europeo delle

1109 3 Vedi D. 1034.

4 Vedi D. 1095.

5 Vedi DD. 1064 e 1081.

6 Per la risposta vedi D. 1133.

!IlO 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

2 Non rinvenuto.

ricerche, creazione di un posto europeo di radioemissioni, accordi per la televisione, ecc. Questioni giuridiche: studi per una carta dei diritti dell'uomo, ecc.

Si pensa poi, ha soggiunto Paris, che l'Assemblea potrà iniziare i suoi lavori con un ampio dibattito sui fini del Consiglio, sì che l'Assemblea stessa, come espressione della volontà popolare europea, indichi le direttive di lavoro e la materia che converrà di mettere all'ordine del giorno; il Comitato dei ministri potrà poi ratificare le suggestioni dell'Assemblea.

Paris, su domanda di Cavalletti, ha aggiunto che, dai contatti da lui avuti, riteneva che gli inglesi non sarebbero contrari all'inclusione delle questioni sopradette nell'ordine del giorno né al dibattito della Assemblea sugli scopi del Consiglio.

Cavalletti in un suo successivo colloquio con il delegato francese Broustra ha avuto d'altra parte conferma che la questione dell'ordine del giorno è stata effettivamente esaminata, sia pure in forma preliminare, nella riunione di Lussemburgo; dovrebbesi ritenere quindi che un certo accordo si sia già stabilito fra i Cinque sulle questioni sommariamente indicate da Paris.

1111

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 5275/317. Roma, 23 giugno 1949, ore 12.

Suo 467 1•

In vista sua conversazione con Rusk2 la informo che, per quanto si riferisce Eritrea, è imminente presentazione a Governo britannico nostro punto di vista3 . Proponiamo presentazione O.N.U. risoluzione che affermi principio integrità e indipendenza quel territorio, conformemente desiderio espresso maggioranza partiti locali, con incarico Gran Bretagna, Italia ed Etiopia, studiare e proporre modalità idonee dare pratica realizzazione indipendenza stessa.

1112.

L'AMBASCIATORE A LIMA, CICCONARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6773/28. Lima, 23 giugno 1949, ore 11,30 (perv. ore 21).

Mi riferisco al mio telegramma n. 24 in data 2 corrente 1•

1111 1 Vedi D. 1108.

2 Vedi D. 1120.

3 Vedi D. 1134.

1112 1 Con il quale Cicconardi aveva riferito di aver intrattenuto il segretario generale agli esteri peroviano in base alle istruzioni di cui al D. 1001, e che ne avrebbe riferito al ministro Rodriguez quanto prima.

Nuovo ministro degli affari esteri messosi ormai al corrente questione nostre ex colonie mi ha ricevuto oggi.

Gli ho illustrato nostro nuovo orientamento quale risulta dal comunicato ufficiale (telegramma n. 4591 circolare del l o corrente)l che trasmisi a suo tempo al segretario generale. Ho ripetuto spiegazioni con gli elementi fornitimi col successivo telespresso 3/2383 circolare in data 3 corrente3•

Signor Rodriguez mi ha rinnovato consuete assicurazioni generiche circa desiderio Governo peruviano fornirci ogni possibile appoggio. Ha aggiunto che metterà ambasciatore Belaunde al corrente conversazione avuta con me perché egli, già così bene informato nei riguardi nostri, sarà con ogni probabilità confermato nella carica presidente delegazione peruviana alla prossima riunione Lake Success.

1113.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNT01• Roma, 23 giugno 1949.

QUESTIONE DELLE COLONIE

A) FUTURO DEI TERRITORI.

Libia. Dopo il voto dell'O.N.U., la dichiarazione britannica per la Cirenaica e la dichiarazione del Governo italiano circa la Tripolitania2 , noi puntiamo ormai sulla possibilità che in Tripolitania si costituisca un Governo disposto a concludere con l'Italia un trattato che ci assicuri una solida base di collaborazione italo-araba su di un terreno più vasto possibile (fino ad includere, eventualmente accordi per la difesa e la sicurezza interna oltre che la materia doganale, economica, culturale, ecc.). E ciò su un criterio parallelo a quello che gli inglesi hanno stabilito per la Cirenaica con il riconoscimento del senusso.

Non si può non essere scettici circa il raggiungimento dell'unità della Libia. Noi tuttavia non dovremmo ostacolarla anche perché gli inglesi l'appoggiano di fronte agli arabi; tale unità però non dovrebbe compiersi -come alcuni indizi fanno temere per effetto di manovre anglo-senussite, contro il desiderio delle popolazioni ma, se mai, su basi federali, fermo restando il principio degli speciali rapporti della Cirenaica con la Gran Bretagna, della Tripolitania con l'Italia e del Fezzan con la Francia.

Le legazioni al Cairo e a Beirut sono state incaricate di sviluppare contatti con personalità della Lega araba e della Tripolitania allo scopo di sondare su quali basi può mettersi in atto la collaborazione italo-araba in Tripolitania e di influire sull'istituzione colà di un Governo filo-italiano.

1112 2 VediD.1003,nota2. 3 Vedi D. 1024. 1113 1 Richiesto da De Gasperi: vedi D. 1099, Allegato. 2 Vedi DD. 993 e 1003.

Eritrea. Se per la Tripolitania la tesi dell'indipendenza può considerarsi una soluzione a noi meno favorevole di quella di un nostro puro e semplice trusteeship, per l'Eritrea, propugnandone senza esitazione l'indipendenza con l'incarico ai paesi interessati di studiare e proporre i mezzi più idonei a conseguirla praticamente, facciamo un notevole passo avanti sulla tesi della annessione all'Etiopia. Tutti i partiti politici del paese-con l'esclusione degli Unionisti che sono in piccola minoranza e notoriamente controllati e finanziati da Addis Abeba-si sono dichiarati ormai per l'indipendenza e l'unità del territorio. Si prevede imminente un congresso di tali partiti e la presentazione della loro richiesta ufficiale per il riconoscimento della indipendenza.

Altre soluzioni possibili, oltre a quella dell'indipendenza totale, ed esclusa quella dell'annessione pura e semplice alla Etiopia, appaiono essere: autonomia del territorio nel quadro di una sovranità nominale al negus; continuazione per un determinato periodo, e perfezionamento, di un sistema itala-britannico di amministrazione che tragga praticamente profitto della collaborazione già in atto, con eventuale inclusione dei nativi e dell'Etiopia.

Somalia. Continuiamo a contare sull'assegnazione del territorio in trusteeship all'Italia e, ove ciò dovesse venir nuovamente rinviato, sulla revisione dei rapporti itala-britannici di collaborazione amministrativa locale.

B) PROSSIMA RIUNIONE DELL'O.N.U. E STATO DELLE CONSULTAZIONI CON LE POTENZE.

Per quanto le tesi sopra riassunte appaiano di non difficile accettazione ai 2/3 degli Stati membri dell'O.N.U., non è consigliabile presentarsi alla prossima Assemblea senza aver:

a) concordato con la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti, una soluzione che tenga conto dell'ultima votazione a Lake Success e della nuova situazione in Libia ed in Eritrea;

b) o, alternativamente, agito da parte nostra con la massima libertà e con tutti i mezzi a nostra disposizione presso i vari gruppi di Stati membri dell'O.N.U. e presso le popolazioni dei territori ex coloniali, per far trionfare a settembre la tesi, anche la più ardita, che meglio ci convenga, sulla traccia di quanto sopra riassunto.

Nel quadro più vasto della collaborazione occidentale che abbiamo sempre lealmente favorito ed in quello non meno importante dei nostri amichevoli rapporti con la Gran Bretagna noi abbiamo fino ad oggi lavorato e continuiamo a lavorare perché prevalga la prima di queste due procedure. Si rende però urgente ormai una decisione circa il punto oltre il quale la nostra questua per consultazioni ed accordi preventivi con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti e la Francia, diventerebbe inutile e poco dignitosa in un campo nel quale avevamo sempre contato su una possibilità di comprensione almeno uguale a quella incontrata negli altri casi in cui si è trattato di liquidare il bilancio e lo spirito della guerra: Marina, Trieste, riparazioni, piano Marshall, Unione Europea, Patto atlantico ecc.

Per quanto riguarda la Libia, abbiamo manifestato ufficialmente alla Gran Bretagna, con Nota verbale del 6 giugno3 , il desiderio e l'opportunità di nuove consultazioni. La nota è tuttora senza risposta e ci risulta che il Governo britannico non sia

1113 3 Vedi D. 1034.

inattivo né in Tripolitania, né presso gli altri Governi, specie quelli arabi, e che continui a sviluppare la politica dei fatti compiuti, di cui l'ultima manifestazione è quella dell'annuncio ufficiale del solenne invio di una missione in Tripolitania per studiare i mezzi per il miglioramento delle condizioni economiche, culturali, ecc., del territorio. Washington, da parte sua, si limita a far ricalcare dai suoi funzionari l'accenno ai progetti di Consigli multipli per la Libia che già in passato non ebbero fortuna.

Circa l'Eritrea ci proponiamo di presentare al Governo britannico una Nota verbale4 in cui -analogamente a quanto fatto per la Libia -viene riassunta la nuova situazione e ribadita la necessità di consultazioni. Intanto Londra avrebbe ripetuto all'Etiopia le sue assicurazioni di appoggiare la tesi annessionistica, mentre i funzionari locali a contatto col nostro rappresentante all'Asmara, in recentissime conversazioni, si sono mostrati egualmente disposti a considerare con favore l'indipendenza dell'Eritrea (con un periodo di protettorato britannico), una sua autonomia con nominale sovranità del negus, ed una continuazione e intensificazione dell'attuale collaborazione italo-britannica con maggior partecipazione della popolazione nativa nell'amministrazione e con la partecipazione eventuale dell'Etiopia.

Manca tuttavia ancora qualsiasi indicazione di volontà ad accogliere a Londra e a Washington il nostro ripetuto invito a franche e definitive consultazioni, così da esser tentati di concludere il presente appunto negli stessi termini di un telegramma che è stato diretto il 20 giugno all'ambasciatore Tarchiani e inviato per conoscenza a Londra e Parigi: [riproduzione del D. l 096, esclusi i primi due capoversi].

1114

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

MEMORANDUM SEGRETO. Roma, 23 giugno 1949.

His Majesty's Govemment have studied with interest the Italian Government's latest proposal for a solution of the problem of the disposal of Libya as contained in their Note No. 3/2441 of June 61h1• Although preliminary study of the proposal has revealed a number of formidable difficulties to be surmounted, the Foreign Office would be pleased to discuss it further either with the Italian Ambassador in London or with any other representative whom the Italian Government might wish to send to London for this specific purpose. Without further elucidation of certain fundamental points, however, His Majesty's Government do not consider that they are in a position to express themselves on the merits of this new formula, or to commi t themselves to its acceptance even in principle. Before any discussions are initiated therefore His Majesty's Government would be grateful, and indeed regard it as essential, that they should receive, if possible in writing, clarification ofthe following points:

1113 4 Vedi D. 1134. 1114 1 Vedi D. 1034.

a) The Ministry's formula speaks of the creation in Tripolitania and Cyrenaica oftwo «statal units». At the same time, it is claimed that the formula avoids prejudicing the future unity of Libya. What, in the view of the Italian Govemment, would be the constitutional relationship between these two units?

b) Who is to be responsible for the improvisation of a local Govemment in Tripolitania with which Italy can enter into relations? c) What arrangements are contemplated for the interim period before the Tripolitanians form a Govemment of their own and achieve self-govemment? d) It is assumed that the association between ltaly and Tripolitania would be in the nature of a treaty relationship. What would be the main points in such a Treaty?

Since the Generai Assembly of the United Nations has shown itself strongly opposed to any piecemeal solution of the problem of the disposal of the former Italian colonies, it is in His Majesty's Govemment's view important to find a solution acceptable to the United Nations, not only for Libya, but simultaneously for the remainder of the territori es concemed.

His Majesty's Govemment therefore urge most strongly that the ltalian representative in the proposed discussions should be competent to discuss the problem as a whole.

As regards Eritrea, His Majesty's Govemment wish to make it clear that the terms of the proposal which they supported at Lake Success represent the limi t of their ability to concede t o the claims of the ltalian Govemment in regard to this territory. Nevertheless they consider that some discussion might usefully take piace regarding the nature of the municipal charters proposed for the towns of Asmara and Massawa.

As regards Somalia His Majesty's Govemment would be glad to leam whether the Italian Government have developed any new plans in the light of the voting of the Generai Assembly of the United Nations on the proposal for Italian trusteeship in that territory.

1115.

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2445/532. Buenos Aires, 23 giugno 1949 (perv. l '8 luglio).

Riferimento: Telespresso segreto n. 3/2383/c. del 3 giugno, telespresso segreto

n. 3/2479/c. del9 giugno e 3/2491 dell'Il giugno 1949 1 .

1115 1 Vedi DD. 1024 e 1050. Il Telespr. 3/2491/c., relativo all'appello rivolto da vari gruppi politici eritrei agli Stati membri dell'O.N.U. per l'indipendenza del loro paese, non è pubblicato.

In considerazione dell'importanza del suo atteggiamento nonché della parte avuta dali' Argentina nei dibattiti sulla questione delle nostre antiche colonie, e dato lo spirito di intima collaborazione al quale questo Governo ha improntato la sua azione politica, ho ritenuto di prendere l'iniziativa per illustrare particolareggiatamente a questo ministro degli esteri il punto di vista italiano a seguito della nota vicenda dell'accordo italo-britannico. Sulla scorta degli elementi contenuti nelle comunicazioni ministeriali, citate in riferimento, ho pertanto consegnato ieri a Bramuglia due appunti confidenziali, rispettivamente sulla questione della Libia e su quella dell'Eritrea.

Ho insistito in tale occasione sul concetto che, a nostro preciso giudizio, la votazione a Lake Success non ha in nulla e per nulla compromesso la situazione; e che si tratta invece, approfittando di questo lasso di tempo prima della prossima nuova Assemblea generale, di ricercare nuove formule che consentano di avviare il problema generale alla sua soluzione, nell'interesse della concordia generale e delle stesse popolazioni interessate.

Bramuglia ha mostrato di concordare su quanto gli venivo dicendo. Per parte sua, ha confermato il pieno continuato appoggio dell'Argentina in difesa degli interessi italiani, esprimendo la fiducia che si possa tuttora raggiungere una equa e soddisfacente sistemazione.

1116.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR.2727/1329. Londra, 23 giugno 1949 (perv. il 6 luglio).

Riferimento: Te1espresso ministeria1e n. 1511070 1/c. del 3 corrente 1•

Il capo del Southern Department del Foreign Office mi conferma che il Governo turco ha chiesto a quello britannico se quest'ultimo si ritenga tuttora pienamente impegnato dal trattato anglo-franco-turco del 1939.

Il Governo britannico ha risposto che considera il trattato tuttora in vigore in tutte le sue parti, ivi compresa cioè la «clausola russa» e, secondo il predetto funzionario, non si intende qui prendere alcuna iniziativa, o fare alcuna dichiarazione, per attenuare il valore politico dell'atto.

Il Foreign Office si rende conto come, dopo le speranze turche per il Patto atlantico e per un eventuale patto mediterraneo, la riaffermazione di validità del vecchio trattato non sia sufficiente a soddisfare il Governo di Ankara e cercherà di dargli un altro segno di solidarietà con l'appoggiarne l'ammissione al Consiglio di Europa.

Non ritiene invece il caso di risollevare per ora la questione della candidatura turca al Patto atlantico o il progetto di patto mediterraneo.

1116 1 Vedi D. 911, nota l.

1117

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2728/1330. Londra, 23 giugno 1949 (perv. il l o luglio).

Riferimento: Telegramma ministeriale 5081/c. del 16 corrente1•

Il Foreign Office, ove questa ambasciata non ha mancato di mettere in evidenza la portata del risultato delle recenti elezioni a Trieste, riassume nel modo seguente l'atteggiamento britannico nella questione generale del Territorio Libero:

-Il Governo britannico si mantiene fedele alla nota dichiarazione tripartita circa il ritorno all'Italia dell'intero Territorio; -non pensa che la mancata nomina di un governatore abbia alterato la situazione giuridica; --non prevede che in questo momento sarà decisa una ulteriore azione o dichiarazione collettiva;

-vedrebbe con molto favore una soluzione di compromesso concordata direttamente tra Italia e Jugoslavia e, a tale proposito, il Foreign Office non ritiene impossibile che ci vengano fatti degli approcci da parte di Belgrado, pur senza avere su tale possibilità informazioni precise.

1118

IL MINISTRO A DUBLINO, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1825/316. Dublino, 23 giugno 19491•

La questione della posizione dell'Irlanda di fronte al Patto atlantico ha avuto una nuova eco ieri al Parlamento attraverso l'interpellanza presentata da due senatori di tendenza nazionalista e aderenti alla coalizione governativa.

L'interpellanza, che conteneva un richiamo alla definizione di «testa di ponte» data dal Governo di Belfast al territorio delle Sei Contee del Nord era evidentemente diretta a provocare una nuova e netta dichiarazione governativa sulla insormontabilità del!' ostacolo costituito dalla partizione del paese alla adesione irlandese al Patto atlantico.

E questo è effettivamente avvenuto attraverso nuove dichiarazioni del ministro MacBride, il quale ha in sostanza reiterato il punto di vista ormai noto del Governo. Quel che il ministro ha detto di nuovo è che il Governo irlandese ha più di una volta proposto alle potenze firmatarie del Patto di discutere insieme le difficoltà esistenti fra l'Inghilterra e l'Irlanda che impediscono a quest'ultima di partecipare al Patto stesso,

1117 1 Vedi D. 1079. 1118 1 Copia priva del! 'indicazione della data di arrivo.

«ma l'offerta non è stata finora accettata né è dato dire se potrà esserlo in avvenire». Questo rifiuto, il ministro ha aggiunto, «fa dubitare se per "cooperazione" debba intendersi veramente il concetto a cui il Patto si pretende sia ispirato o non piuttosto un semplice termine mimetico per coprire impegni di puro carattere militare».

Resta però a vedere se il Governo, come io credo, non si sbagli nel pensare di essere riuscito a galvanizzare l'opinione pubblica su un atteggiamento di una tale intransigenza, pur basato su un concetto così alto come quello della unità nazionale. È abbastanza diffusa infatti l'idea in alcuni ambienti politici che nulla potrebbe sottrarre l'Irlanda dal partecipare ad un conflitto in cui tutto il mondo occidentale fosse impegnato, e lo stesso partito di de Valera si mantiene al riguardo molto riservato. Il Governo inoltre, ed a questo non è stato estraneo nemmeno de Valera, ha, in questi ultimi tempi, svolto una azione intensa di propaganda in seno alle comunità irlandesi all'estero, per ottenerne l'appoggio alla causa nazionale, e forse esso confida che questo appoggio, di cui si hanno ogni tanto manifestazioni, possa essere spinto alle sue estreme conseguenze. Ma gli irlandesi d'America, per non parlare di quelli residenti nei vari paesi del Commonwealth, per la stessa politica emigratoria della madrepatria che consiglia la nazionalizzazione degli espatriati, sono tutti cittadini del paese ove risiedono. Come reagiranno costoro in caso di un conflitto, nel quale l'America fosse ad esempio impegnata? Non credo che la risposta sia dubbia.

Dal punto di vista puramente interno, un conflitto nel quale tutto l'Occidente fosse impegnato, aprirebbe certamente una grave crisi nel paese e credo interessante riferire su questo punto anche l'opinione di questo segretario generale del Ministero degli esteri, il quale mi ha detto recentemente che nelle varie forze che agirebbero in Irlanda in un senso o nell'altro in caso di conflitto-e cioè il clero, l'estremismo nazionalista e quella parte della popolazione, specie nel campo intellettuale ed economico, proclive ad una più libera collaborazione con l'Inghilterra e l'America-il primo sarebbe colto dall'incertezza, preso fra la sua tendenza tradizionalmente nazionalista e la forza dei presupposti spirituali del conflitto, ed il secondo verrebbe a costituire la vera incognita dell'avvenire dato che ancora oggi, come per il passato, le minoranze attive potrebbero prendere il sopravvento, e tra queste proprio l'estremismo nazionalista che si sentirebbe tentato di perseguire il raggiungimento delle proprie finalità con qualsiasi mezzo e senza alcuna considerazione della più vasta posta in gioco.

1119.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALL ARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6834/2901• Londra, 24 giugno 1949, part. ore 0,54 del 25 (perv. ore 7,30).

Mi sono recato oggi da Strang che mi ha riassunto e commentato nel seguente modo istruzioni date a Mallet in relazione Nota verbale di V.E. del 6 corrente2•

1119 1 Ritrasmesso a Parigi e Washington con Telespr. 3/2677 le. del 27 giugno. 2 Vedi D. 1034.

Governo britannico trova che punto di vista da noi esposto in detta nota rappresenta notevole passo avanti e può essere base per conversazioni delle quali si riconosce utilità. Naturalmente ciò non significa che accettare nostre idee come base discussione equivalga ad accettazione a priori da parte inglese delle nostre proposte.

Conversazioni potrebbero avvenire al più presto alla condizione essenziale che esse siano condotte massima segretezza, senza alcuna indiscrezione alla stampa, sia pure solo indicativa del fatto che esse hanno luogo, e senza che sia mobilitata opinione pubblica. Foreign Office non intende darci suggerimenti ma ritiene che eventuale venuta rappresentanti italiani di rango elevato sarebbe pericolosa perché immediatamente notata, mentre sarebbe assai più utile presenza a Londra elementi tecnicamente esperti ma non di risalto politico.

Foreign Office ritiene che per ora sia prematuro mettere al corrente Stati Uniti e Francia della preparazione di tali conversazioni. Una volta iniziate, Gran Bretagna e Italia si potranno consultare circa modo migliore di farne partecipi gli altri due Governi3 .

Circa contenuto conversazioni Strang ha dichiarato che a parere suo Governo si tratta di riconsiderare problema nostre colonie sempre come un tutto unico. È d'avviso che tale riesame debba essere compiuto con «fresh eyes» alla luce di quanto è avvenuto a Lake Success.

Per Eritrea ha specificato che Gran Bretagna non avrebbe potuto andare oltre quanto era stato prospettato nella conversazione di Bevin con V.E.4 salvo possibilità discutere più a fondo questione statuti Asmara e Massaua. A ciò ho subito replicato che non vedevo come logicamente si potesse pretendere da parte inglese riesaminare problema colonie nel complesso in uno spirito nuovo e alla luce avvenimenti Lake Success bloccando però a priori posizione di uno dei posti più sensibili per noi e ciò anche in relazione recenti dichiarazioni di V.E. e del presidente del Consiglio5 . Come mia idea affatto personale aggiunsi che comunque una possibilità di soluzione avrebbe potuto essere trovata se questione Eritrea si fosse impostata allargandone le basi sino a comprendere completa pacificazione e intesa con Etiopia. Ciò sarebbe anche nell'interesse stessa Gran Bretagna tanto più che non si poteva dire che proposte per Eritrea non avessero trovato a Lake Success serie e fondate obiezioni.

Per Somalia, Gran Bretagna accetterebbe volentieri ogni eventuale osservazione e proposta che Italia intendesse avanzare.

Poiché sono rimasto d'accordo con Strang di mantenere massima continuità nei nostri contatti in argomento sarò grato a V.E. se vorrà tenermi tempestivamente informato di ogni elemento che possa essermi di guida.

1119 3 Con T. segreto 5506/c. del 30 giugno indirizzato a Londra, Parigi e Washington, Zoppi informava che MaJlet aveva comunicato un cambiamento di posizione del Governo inglese, ora convinto dell'opportunità di tenere Francia e Stati Uniti al corrente delle conversazioni itala-britanniche, e che l'Italia aveva aderito a tale punto di vista.

4 Vedi D. 875. 5 Vedi D. 984. Per le dichiarazioni di De Gasperi alla Camera vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1949. vol. VI, seduta del 27 maggio 1949, pp. 8941-8942.

1120

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6835/473-4741• Washington, 24 giugno 1949, ore 18,32 (perv. ore 7,30 del 25).

Ho avuto stamane lungo e franco colloquio con Rusk, cui ho esposto dettagliatamente punto di vista italiano circa Libia, sulle linee delle istruzioni ministeriali2 .

Rusk ha ammesso legittimità nostri interessi, buona volontà da noi dimostrata, opportunità evitare modifiche anche larvate dello status qua e convenienza procedere consultazioni a quattro.

Più particolarmente per quanto concerne status qua ha detto di non essere al corrente progettata visita emiro a Tripoli né di altre iniziative suscettibili alterare situazione attuale ed ha promesso che Stati Uniti da parte loro si adopereranno affinché non ci siano altre sorprese. Tuttavia ha voluto sottolineare responsabilità gravanti su Gran Bretagna quale potenze occupante, le quali richiedono una certa libertà di azione, ed ha suggerito che Governo italiano faccia esso stesso passi opportuni presso quello britannico.

Circa consultazioni a quattro, Rusk ha constatato che esse sono state praticamente iniziate con preliminari sondaggi al livello uffici e poi con nostra conversazione odierna. Prossimamente potranno aver luogo altri colloqui, nel corso dei quali Dipartimento Stato spera essere in grado precisare meglio suoi progetti.

In un secondo tempo, ha detto Rusk, sarà opportuno trasferire conversazioni a New York perché colà sarà più facile evitare indiscrezioni nella fase confidenziale ed anche perché successivamente converrebbe, a suo avviso, richiedere collaborazione qualche altra potenza influente nelle Nazioni Unite (ad esempio un paese arabo e un paese sudamericano ). Tale ultima sua opinione è fondata sul desiderio di preparare tempestivamente terreno presso O.N.U. onde queste non abbiano impressione essere poste di fronte a fatto compiuto.

Dali 'insieme del colloquio ho tratto impressione che Dipartimento di Stato, prima di assumere atteggiamenti impegnativi, intende registrare reazioni italiane, francesi e inglesi su progetto americano attualmente allo studio.

Circa quest'ultimo ho avuto questo pomeriggio da Dipartimento ulteriori particolari. In sostanza Stati Uniti proporrebbero che: l) Libia diventi indipendente tra due o tre anni al massimo; 2) Nazioni Unite nominino Comitato consultivo composto da Gran Bretagna Stati Uniti Francia Italia Egitto, incaricato accertare desideri popolazioni locali nonché assistere potenza amministratrice (Gran Bretagna) nel costituire Governo provvisorio corrispondente a tali desideri. Comitato consultivo verrebbe costituito su stesse linee di quello previsto per Tripolitania nel fallito progetto di

1120 1 Ritrasmesso, insieme al D. 1127, con Telespr. segreto 3/2678/c. del 27 giugno diretto a Londra e Parigi. 2 Vedi DD. l 089, l 095, l 096, l 099 e l Ili.

Lake Success. Italia, Gran Bretagna e eventualmente altri paesi potrebbero predisporre, durante regime provvisorio, trattati da stipularsi con futuro Stato indipendente.

Tale progetto (vedi mio telegramma 458)3 è stato comunicato, in termini più sommari, ai francesi che finora non hanno reagito. Ad inglesi ne è stato fatto vago cenno alcuni giorni fa e ne verrà fatta comunicazione più precisa oggi o domani.

Non si è mancato, da parte di questa ambasciata, di sottolineare carattere insoddisfacente del progetto. Peraltro appare impossibile esprimere giudizio netto su di esso a causa della sua attuale indeterminatezza. Progetto infatti potrebbe, a seconda del modo in cui praticamente verrebbe interpretato, assicurare effettivo intervento italiano in definitivo assetto Libia oppure servire soltanto a mascherare costituzione Stato libico satellite Gran Bretagna. Reazione e eventuali suggerimenti inglesi saranno pertanto particolarmente importanti.

Per parte mia continuerò seguire attentamente e sollecitare sviluppo idee Dipartimento di Stato ed insistere su nostri punti di vista.

1121

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MALLET

L. SEGRETA 3/2644. Roma, 24 giugno 1949.

Ho preso visione del memorandum della sua ambasciata in data 23 u.s. 1 col quale il Governo britannico risponde alla nostra nota n. 3/2441 del 6 giugno 2 . In merito ai chiarimenti che ella mi chiede, desidero precisarle:

a) La tesi della unità della Libia è sostenuta all'esterno del territorio libico dagli Stati arabi e dalla Lega araba. Sembra opportuno che il Governo italiano e il Governo britannico tengano conto di questa situazione dell'opinione pubblica negli Stati arabi in quanto è necessario che le proposte eventuali per la Libia alla prossima Assemblea dell'O.N.U. abbiano il massimo possibile di voti favorevoli. In conseguenza né il Governo italiano né il Governo britannico dovrebbero, in linea di principio, mostrarsi contrari alla tesi della unità. Quanto all'aspetto interno della questione il Governo italiano ritiene che tale questione riguardi in via preliminare e principale le popolazioni interessate. Se pertanto queste non desiderano ora tale unità, o non la desiderano nella forma in cui viene loro offerta nelle presenti circostanze, è opinione del Governo italiano che tale unità non debba ora venire ad esse imposta.

Nel caso in cui dovesse prevalere la tesi della unità immediata tale formazione, da concordare tra le varie parti interessate, dovrebbe sempre essere articolata in modo da consentire, con un largo sistema di autonomie, speciali legami di trattato della Tripolitania con l'Italia, della Cirenaica con la Gran Bretagna e del Fezzan con la Francia.

1120 3 Vedi D. 1085. 1121 1 Vedi D. 1114. 2 Vedi D. l 034.

Se invece dovesse prevalere le tesi della separazione converrebbe pur sempre, anche per le ragioni suddette nei confronti degli Stati arabi, che le tre entità statali (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan) fossero collegate comunque da speciali vincoli economici e di collaborazione da concordare fra le parti interessate. In questo caso potrebbe anche apparire conveniente che venisse studiata una dichiarazione che impegni tutti gli interessi a non fare nulla che pregiudichi per il futuro l 'unità della Libia.

b) Nelle proposte avanzate lo scorso febbraio in merito alla costituzione di un governo in Tripolitania il Ministero degli affari esteri aveva suggerito che, in attesa di poter addivenire a regolari elezioni, detto governo venisse creato con i maggiori esponenti delle correnti politiche locali. Il sig. McNeil ebbe allora ad osservare che tale procedimento appariva poco democratico3 . Tale osservazione derivò certamente da un malinteso perché, nella intenzione del Governo italiano, un governo così composto avrebbe dovuto rimanere in carica soltanto nel periodo necessario per convocare, attraverso libere elezioni, una Assemblea della Tripolitania. E ciò analogamente a quanto venne fatto in Europa, subito dopo la liberazione, coi governi formati dai Comitati di liberazione nazionale. Tuttavia la nuova proposta italiana tiene conto anche della osservazione del sig. McNeil in quanto essa suggerisce che il governo della Tripolitania debba venire scelto da una Assemblea la quale tragga a sua volta origine da una libera consultazione popolare.

c) Per le modalità relative a questa consultazione, il Governo italiano suggerisce che venga costituita una apposita Commissione che potrebbe essere o angloitalo-araba, o composta dalle quattro potenze che hanno partecipato alla Commissione d'inchiesta più l'Italia, oppure nominata dall'O.N.U. Questa Commissione dovrebbe stabilire il sistema da seguire per questa consultazione elettorale, e organizzare e presiedere le elezioni. A tutti gli effetti gli italiani della Libia debbono considerarsi cittadini tripolitani con parità di doveri e di diritti.

d) Quanto al trattato che l'Italia intende stipulare con la Tripolitania il criterio fondamentale della politica italiana al riguardo è che tale trattato debba essere il risultato di liberi negoziati fra l'Italia e la Tripolitania. Per questa ragione è difficile poter specificare sin d'ora le clausole che il trattato dovrebbe includere. Possiamo piuttosto elencare le questioni che dovrebbero essere oggetto dei negoziati: collaborazione politica ed economica, reciproco trattamento doganale, assistenza tecnica nei vari rami dell'amministrazione, questioni concernenti la difesa del territorio, regolamento dei rapporti finanziari tra i due Stati, contributo del lavoro italiano allo sviluppo del paese.

Per quanto si riferisce ali' Eritrea mi richiamo al contenuto di una nota che le giungerà fra un paio di giorni4 . Da essa ella vedrà che il Governo italiano non avanza rivendicazioni proprie, ma considera la questione da un punto di vista del tutto nuovo. Sarebbe bene che a Londra si aspettasse tale nota prima di imbastire studi in proposito.

1121 3 Vedi DD. 296 e 357. 4 Vedi D. 1134.

1122.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 730/2484. Parigi, 24 giugno 1949 (perv. il 26).

Riferimento: Mio telespresso n. 622/2165 dell'8 giugno c.a. 1•

La Conferenza dei Quattro2 si è chiusa, dopo più di quattro settimane di sessioni plenarie, riunioni ristrette, sedute segrete e ultrasegrete, con la pubblicazione di un comunicato finale contenente le decisioni prese e gli accordi raggiunti. Benché i risultati concreti non siano certo vistosi, il solo fatto che i ministri degli esteri siano giunti ad un accordo di principio per un modus vivendi sulla Germania e su Berlino, ed abbiano rimosso gli ostacoli principali per il futuro trattato di pace con l'Austria, ha contribuito a rischiarare l'orizzonte internazionale e ad alleggerire la tensione tra Oriente ed Occidente. L'esito dell'incontro, come ha detto un giornalista americano, ha infatti dissipato un po' di gelo nella guerra fredda per lo meno durante i mesi estivi.

La Conferenza, tenutasi dal 23 maggio al 20 giugno, può dividersi in due fasi distinte. La prima di carattere negativo durante la quale i ministri si sono riuniti giornalmente in sedute pubbliche dove hanno esposto con maggiori o minori effetti di propaganda i diversi punti di vista contrastanti definendo così le posizioni rispettive che sono apparse inconciliabili.

Una volta constatata l'impossibilità di raggiungere un accordo sui diversi punti dell'ordine del giorno, la Conferenza è entrata allora nella seconda fase più costruttiva in cui i Quattro, in sedute in gran parte segrete, hanno cercato di accordarsi attraverso concessioni reciproche, su una possibilità di convivenza tra le due Germanie, e sulle basi per la definizione della questione austriaca.

La Conferenza, iniziatasi in un'atmosfera di temperato ottimismo, dopo l' approvazione dell'ordine del giorno, è passata all'esame dei singoli punti in discussione. Già fin dalla prima seduta i russi avevano insistito perché la questione del controllo quadripartito fosse discussa al punto primo, ma dinnanzi alle argomentazioni degli occidentali circa la necessità di definire prima la questione dell'unità politica ed economica, ossia di conoscere prima su quale Germania si sarebbe dovuto applicare il controllo, essi si erano mostrati arrendevoli ed avevano finito col concordare sull'ordine del giorno originariamente proposto e cioè l) problema dell'unità tedesca, compresi i principì economici, politici ed i controlli alleati; 2) Berlino, compresa la questione monetaria; 3) preparazione del trattato di pace; 4) trattato con l'Austria.

Nonostante l'arrendevolezza dimostrata da Vyshinsky all'apertura della Conferenza è apparso però subito chiaro come i russi intendessero fare della questione del controllo il perno di ogni discussione. Il delegato sovietico fin dalla seconda seduta

1122 1 Non pubblicato. 2 Si riferisce al Consiglio dei ministri degli esteri delle quattro grandi potenze. Vedi i DD. 971,987, 1083 e 1149.

ha insistito per un ritorno alla formula di Potsdam proponendo la formazione di un Consiglio di Stato tedesco che riunisse i rappresentanti degli organismi economici delle due Germanie e sotto il controllo dei quattro occupanti con diritto di veto.

Alle proposte russe, gli occidentali hanno allora contrapposto un loro progetto comprendente: l) l'estensione a tutta la Germania della legge fondamentale di Bonn con tutte le libertà che essa comporta; 2) elaborazione di uno statuto di occupazione su una base quadripartita, delegando al Governo tedesco dei poteri estesi in materia amministrativa, e riservandosi gli alleati alcune prerogative riguardanti principalmente la sicurezza ed il controllo; 3) creazione di un'Alta Commissione di controllo a quattro con possibilità di prendere normalmente decisioni in base alla maggioranza, salvo casi eccezionali da stabilire di comune accordo; 4) rinuncia alle riparazioni e restituzione delle proprietà industriali acquistate dopo 1'8 maggio 1945, nonché limitazione di determinate industrie.

Quindi da una parte la tesi degli occidentali che i tedeschi si debbano governare da sé eccettuate alcune materie riservate al controllo degli alleati, e dall'altra la tesi sovietica che cioè agli alleati vengano attribuiti tutti i poteri, tranne che in alcuni settori lasciati ai tedeschi. Inoltre divergenza fondamentale sulla questione della unanimità per l'esercizio del controllo quadripartito.

Dopo la risposta negativa di Vyshinsky alle controproposte degli occidentali veniva esaurito il primo punto dell'ordine del giorno essendosi riscontrata l'impossibilità di trovare un terreno di intesa sulla questione dell'unità tedesca e dello statuto di occupazione.

Si iniziano così le conversazioni per normalizzare la situazione esistente a Berlino, cercando di regolare i problemi di ordine pratico. Si pensa infatti che un accordo ristretto alla capitale potrebbe servire come punto di partenza per transazioni di ordine più generale. Ma anche su questo punto la questione viene dominata dalla procedura del voto in seno all'organo di controllo. I russi insistono infatti per la riesumazione della Kommandatura con decisioni prese ali 'unanimità, il che agli occhi degli occidentali è inaccettabile, dato che con la possibilità del veto ogni decisione relativa all'amministrazione della città rischierebbe di essere bloccata dai russi.

Nonostante queste profonde divergenze di vedute la Conferenza continua e la questione di Berlino viene lungamente discussa in riunioni segrete. Gli Alleati capiscono infatti che non si tratta più di fare brillanti discorsi per la platea, ma di riuscire a cavare qualche cosa da questo incontro, per poco che sia, pur di evitare che la Conferenza si termini con la constatazione di un fallimento completo. Dopo le varie proposte e controproposte circa un regolamento per la capitale, i quattro ministri finiscono per accordarsi unicamente sulle istruzioni da inviare ai comandanti militari per un tentativo di accomodamento in seguito alla situazione creatasi a Berlino a causa dello sciopero del personale delle Ferrovie, che praticamente rende inoperante la decisione presa a New York di porre fine al blocco della capitale.

In attesa del risultato delle trattative che si svolgono a Berlino, i Quattro Grandi passano a trattare il punto terzo dell'ordine del giorno su insistenza di Vyshinsky che vuol lanciare il suo colpo di scena al quale del resto tutti erano già preparati. Si tratta cioè della proposta di studiare subito la procedura per la preparazione del trattato di pace con la Germania, da sottomettersi al Consiglio dei ministri degli esteri entro tre mesi, e contenente l'impegno di ritirare le forze di occupazione un anno dopo la firma. È troppo evidente che si tratta di una pura manovra di propaganda e infatti gli occiden

tali si rifiutano nettamente di prendere in considerazione la mossa russa. «Le proposte di Vyshinsky, come dice Acheson in maniera assai colorita, sono piene di motivi propagandistici come un cane lo è di pulci. Anzi sono tutte pulci e niente cane».

Constatato così il pieno disaccordo su tutte le questioni tedesche elencate nell'ordine del giorno, i ministri degli esteri nell'ultima settimana si riuniscono più volte in seduta segreta per cercare di trovare una formula di convivenza in Germania e una via di uscita dall'impasse austriaca. È in questa ultima fase che si sono avuti dei risultati concreti, dato che oramai le posizioni rispettive erano state ben definite. Mentre per il trattato con l'Austria le cose si sono svolte senza difficoltà eccessive dopo la rinuncia da parte della Russia di continuare a sostenere le pretese della Jugoslavia sulla Carinzia e sulle riparazioni, l'accordo sul modus vivendi per la Germania è stato più difficile per la pretesa russa di costituire un organo di collegamento dei quattro comandanti affiancato da un consiglio germanico composto dai rappresentanti delle organizzazioni economiche delle quattro zone. Il che sarebbe venuto a rappresentare in altri termini quanto già precedentemente proposto dai russi per l'unificazione della Germania.

E così con gli ultimi compromessi sulla questione tedesca ed austriaca si giungeva finalmente alla chiusura della Conferenza ed alla pubblicazione del comunicato finale.

Dall'esame del comunicato si nota che invece di enumerare le decisioni prese ci si limita ad emettere dei voti per il futuro. Si tratta infatti di un accordo di principio e incomberà alle autorità di occupazione di porlo in pratica. In contrapposizione ai lati negativi dell'accordo, rappresentati dal fatto che il dualismo in Germania e a Berlino viene non solo mantenuto ma anzi quasi sanzionato, dato che è in funzione del suo mantenimento che sono stati concepiti i nuovi sistemi di cooperazione tra Occidente ed Oriente, permangono tuttavia i lati positivi quali la levata del blocco di Berlino, la decisione di ristabilire progressivamente gli scambi e le comunicazioni tra le due zone, e l'elaborazione di un sistema di consultazione permanente che manterrà il contatto tra gli organi rappresentativi delle quattro potenze occupanti ed armonizzerà la loro azione nella misura del possibile. Inoltre risultato molto più positivo ed immediato è quello riguardante la preparazione del trattato con l'Austria frutto della rinuncia da parte dei russi alle rivendicazioni territoriali jugoslave e alle riparazioni in cambio della soddisfazione delle loro richieste nel campo economico.

Certo che paragonando le questioni contenute nell'ordine del giorno con il testo del comunicato finale3 i risultati raggiunti non sono spettacolosi. Ma forse anche perché i Quattro si sono lasciati non solo senza sbattere le porte, come nella precedente Conferenza, ma anzi con la promessa di riprendere i contatti sulla questione tedesca durante la prossima sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, la stampa è stata unanime nel riconoscere che il risultato maggiore è stata una schiarita nella situazione internazionale, e gran parte dei comunicati ufficiali od ufficiosi non hanno poi smentito tale impressione.

La Pravda infatti ha scritto che «gli accordi del 20 giugno costituiscono un progresso tendente a rafforzare la cooperazione internazionale». Bevin ha fatto sapere ai Comuni che non disperava di arrivare ad un'intesa con l'U.R.S.S. sulle questioni

1122 3 In Foreign Relations ofthe United States, 1949, voi. III, cit., pp. 1062-1065.

europee. Schuman per parte sua ha sottolineato anch'egli gli aspetti favorevoli dell'accordo, accennando alla volontà comune di risolvere un certo numero di problemi.

Truman si è invece mostrato più scettico dicendo che l'accordo non è che un mezzo per tirare avanti in una situazione che rimane invariata, ed ha sottolineato la necessità di non cambiare niente ai progetti in corso. Dichiarazioni del resto che non sono venute per dispiacere in quegli ambienti in cui già si cominciava a temere che il riconoscimento da parte dell'America di un mutamento nelle relazioni con la Russia potesse rallentare la riorganizzazione dell'Europa connessa con il Patto atlantico.

In complesso per quanto riguarda la Francia i risultati possono considerarsi soddisfacenti. Si è ottenuta una tregua nella guerra fredda nonostante il riconoscimento dell'esistenza di due Germanie distinte. Il pericolo della creazione di uno Stato tedesco unitario pare infatti allontanato, e anche se la Germania occidentale verrà accolta nel consesso europeo, la Francia continuerà a mantenere la sua posizione preminente. Quando all'inizio della Conferenza si parlava di fare l'unità tedesca si diceva che il successo sarebbe dipeso dall'atteggiamento di Mosca, ma nello stesso tempo non ci si nascondeva la necessità da parte degli occidentali di fare delle concessioni, cosa che non contribuiva certo a calmare le preoccupazioni francesi. Nonostante quello che si è sempre detto circa il desiderio di conseguire l'unità tedesca i Quattro in fondo hanno sempre esitato, ciascuno intendendo ristabilire una Germania secondo il proprio punto di vista.

1123.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 732/2486. Parigi, 24 giugno 19491•

Mio telespresso n. 71112436 del 22 corrente2•

Riferisco qui appresso altre notizie testé pervenutemi dal Quai d'Orsay in merito alla recente riunione a Lussemburgo dei Cinque nel quadro dei periodici incontri previsti dal Patto di Bruxelles.

Premesso un resoconto sui lavori dei Quattro -in forma sommaria e piuttosto disinvolta da parte di Bevin che oltre tutto era stanco; in modo più discorsivo e piacevole da parte di Schuman che si sente profonde affinità con la piccola capitale lussemburghese: sembra ne sarà fatto cittadino onorario, il che dal tempo di Foch non si è più fatto per nessuno -i Cinque sono passati all'esame delle questioni all'ordine del giorno.

Si è parlato di Unione Europea. I ministri si sono trovati d'accordo per fare all'inizio dei lavori di Strasburgo poco più di un atto di presenza: un paio di giorni.

1123 1 Copia priva dell'indicazione della data d'arrivo. 2 Vedi D. 1110.

Ali' ordine del giorno, su proposta belga e olandese, sarà trattata la questione dei grandi lavori di interesse europeo da preventivare fin d'ora, anche in considerazione dell'eventualità di una crisi economica. Poi della Germania. Gli olandesi (questa informazione è da considerarsi strettamente riservata) hanno precisato il loro punto di vista con un'argomentazione, che ha fatto notevole impressione, tendente a far bruciare le tappe dell'ammissione della Germania occidentale nel Consiglio senza tappe intermedie. La proposta, che da Schuman, François-Poncet e da quanti sono addentro ai problemi tedeschi è considerata con simpatia, farà oggetto di nuovo esame in occasione, sembra, della prossima riunione dei Cinque che dovrebbe press'a poco coincidere con la riunione di Strasburgo.

Si è poi deciso di proporre l'estensione nel quadro dell'Unione di quegli accordi culturali e sociali che sono stati già concretati dai Cinque o che stanno per esserlo. Del Patto atlantico, di proposito, non si è parlato: la questione era considerata immatura. Viceversa sono state prese in esame e approvate le conclusioni dei cinque sottocomitati che esaminano le questioni militari sul piano della collaborazione del Patto di Bruxelles: una notevole massa di documenti che rappresentano un apporto alla preparazione del piano di codesta collaborazione.

Belgi e olandesi hanno anche sollevato la questione della Cina: se e che cosa si intendesse di fare nell'ipotesi che il Governo nazionalista si trasferisca a Ciung-king. Schuman, e così pure Bevin, manifestò il noto punto di vista (mio n. 643/2241 del 10 c.m_)3 secondo il quale la questione non sembrava presentare carattere di urgenza, che per il riconoscimento del Governo comunista c'era tempo di pensarci, che a Ciung-king si sarebbe tutt'al più rinforzato il consolato con l'invio di un segretario. (Da allora mi è stato fatto notare, la situazione è già cambiata e Mao Tse sembra voler affrontare in tempo forse vicino il problema delle relazioni diplomatiche).

1124.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 734/2488. Parigi, 24 giugno 19491•

Mio telespresso n. 715/2439 in data odierna2 .

Ho detto a Schuman che mi sembrava ormai necessario riprendere, fra noi due, l'esame della questione delle colonie per vedere cosa poteva essere utile di fare. Occorreva, secondo me, presentarsi, ed in tempo, alle Nazioni Unite, con un programma concordato fra Francia, Italia, Inghilterra e Stati Uniti, in modo da poter svolgere il lavoro preparatorio necessario, per non avere spiacevoli sorprese. Non gli chiedevo una rispo

1123 3 Non rinvenuto.

1124 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

2 Non pubblicato.

sta subito, poiché sapevo che non aveva avuto ancora il tempo di occuparsene, ma ritenevo sarebbe stato utile studiare a fondo la situazione, e chiarire le nostre idee.

Era nostra ferma intenzione di procedere, in questo campo, e per l'avvenire, come nel passato, in stretto contatto colla Francia, sia per la concordanza degli interessi dei due paesi nella questione coloniale sia perché la politica coloniale era strettamente connessa con tutta la politica mediterranea, nella quale era nostro desiderio procedere in stretto contatto con la Francia. (Ho ritenuto di insistere su questa continuazione della nostra politica perché mi era stata segnalata una certa apprensione francese che noi si stesse pensando, in vista degli scarsi risultati ottenuti, di abbandonare la politica di collaborazione colla Francia per orientarci invece verso l 'Inghilterra: aggiungo, per la cronaca, che questa impressione è appoggiata da quanto riferisce Fouques-Duparc e invece negata da d'Ormesson).

Schuman mi ha detto di avere l'impressione che dopo quanto è accaduto, a Roma prevalga un pessimismo esagerato. Pur non nascondendosi le difficoltà della situazione egli trova eccessivo il nostro attuale pessimismo, come eccessivo era il nostro ottimismo di qualche mese addietro. Mi ha chiesto se noi avevamo delle idee precise in proposito: gli ho detto che non mi risultava: la dichiarazione di selfgovernment, oltre ad essere una risposta alla mossa britannica, era una dichiarazione di principio, ma non si era abbordato il problema di come realizzarla né di come presentarla alle Nazioni Unite. Era appunto su questi punti che ci sarebbe stato opportuno conoscere il pensiero francese, scambiare delle idee, accorder nos violons. Non eravamo riusciti a chiarire la posizione americana e inglese.

Mi ha risposto che ci avrebbe pensato: non mi ha accennato alle idee esposte da Margerie e di cui al mio sopracitato.

Avendomi egli richiesto se da parte inglese si considerava l'accordo SforzaBevin3 come ancora in vigore, gli ho riferito il mio colloquio con Bevin4 e le mie impressioni in proposito: mi ha detto che per quello che lo concerneva, non aveva ritenuto opportuno parlame né con Acheson né con Bevin, dato che l'atmosfera non gli sembrava adatta.

Avendomi egli chiesto della proposta De Gasperi per un incontro a quattro, gli ho detto quanto, in proposito, mi aveva detto Zoppi. Mi ha detto che era anche suo avviso che fosse necessario trattare della questione a quattro, e non ritentare la prova delle conversazioni a due italo-britanniche i cui risultati non erano stati eccessivamente incoraggianti. Riteneva non fosse impossibile indurre gli americani a preferire le conversazioni a quattro: i risultati della dichiarazione britannica sulla Cirenaica5 erano stati tutt'altro che soddisfacenti: l'Egitto era furente, e molto malcontenti tutti i paesi arabi. Mi ha detto che la prossima conferenza anglo-francese a Londra sui problemi del Medio Oriente poteva essere un ottimo momento per riprendere l'argomento delle nostre colonie, sia a Londra che a Washington e farsi un'idea più esatta delle intenzioni sia inglesi che americane, in modo da poter prendere in esame, naturalmente d'accordo con noi, delle proposte concrete da avanzare.

1124 3 Vedi D. 875.

4 Vedi D. 1011, nota 2.

5 Vedi D. 993.

1125.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 735/2489. Parigi, 24 giugno 19491•

Mi riferisco al te l espresso ministeriale n. 8402/c. del 15 corrente2 .

Ritenevo di avere spiegato, sia nelle mie comunicazioni scritte, sia al ministro Grazzi a Parigi, lo sfruttamento dell'argomento estremista europeo che i grandi interessi contrari all'Unione doganale stavano organizzando: l'ho trattato in vari rapporti. Constato ora che evidentemente non sono stato sufficientemente chiaro.

Infatti nel telespresso sopracitato si parla di talune critiche sorte in alcuni ambienti dell'O.E.C.E. e che avrebbero trovata «qualche eco» nel partito socialista francese. Ora, se non si trattasse che di talune critiche degli ambienti dell'O.E.C.E., ambienti che, in Francia per lo meno, sono solo ambienti di funzionari senza nessuna reale influenza sulla politica francese, e di qualche eco, soltanto, nel partito socialista francese, non ci sarebbe gran che da preoccuparsene.

Purtroppo si tratta non di qualche critica, ma di una vera campagna, sferrata non negli ambienti dell'O.E.C.E. ma in tutti gli ambienti federalistici europei, nelle loro varie tendenze, ambienti politicamente e parlamentarmente di ben altra importanza. E non si tratta purtroppo di qualche eco nel partito socialista francese ma di uno schieramento di una gran parte del partito socialista francese contro il progetto di Unione, per motivi non del tutto disinteressati, ma che trovano facile mascheratura dietro l'apparente pretesto di un estremismo paneuropeo. E non si tratta del solo partito socialista, ma di molti partiti francesi.

Non credo abbiamo niente da guadagnare col nasconderei che la campagna contro l'Unione doganale è forte, ben organizzata, ben provvista di mezzi (un solo gruppo di interessi ha stanziato a questo scopo duecento milioni di franchi): che la lotta è tutt'altro che facile, non dico per noi, che non abbiamo molti mezzi di azione (l'intervento americano su cui mi sembra a Roma si faccia gran conto è una nostra illusione) ma per lo stesso Governo francese. La lotta, lotta di interessi che trova la sua esplicazione nell'ambiente parlamentare, supera molto quindi i limiti e le possibilità della delegazione francese all'O.E.C.E. Non si tratta di sventare a tempo tali critiche, poiché la campagna è già in pieno sviluppo, ma di fornire su questo punto agli elementi favorevoli all'Unione doganale degli argomenti nuovi per convincere gli avversari in buona fede, ammesso che ce ne siano molti, per cercare di obbligare gli avversari ad abbandonare le vie traverse e scoprire le loro batterie: il che per lo meno obbligherebbe molti ad assumere le loro responsabilità.

Ciò premesso, ho intrattenuto oggi sull'argomento Schuman. Gli ho esposto, con tutta franchezza, il risultato assai poco soddisfacente dei sondaggi parlamentari da me fatti durante questo periodo. Schuman, pur colla riserva

1125 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 1077.

di non avere potuto, a causa della Conferenza dei Quattro, occuparsi a fondo della questione, mi ha detto che le sue informazioni parlamentari non gli sembravano molto discoste dalle mie. Tanto è vero che, sebbene alcuni dei suoi amici non fossero d'accordo, egli era d'avviso che sarebbe stato impossibile tenere il dibattito parlamentare sull'argomento prima della chiusura dell'attuale sessione: sarebbe stato necessario rimandare il dibattito alla ripresa autunnale: e di questo voleva noi fossimo avvertiti in tempo.

Gli ho detto che ero al corrente della disparità di opinioni circa l'opportunità

o meno di rinviare il dibattito (i favorevoli alla tesi del non rinvio dicono che più il tempo passa più l'opposizione si organizza e guadagna terreno). Personalmente dovevo osservare che tutta la discussione si svolgeva attualmente alla cieca, poiché praticamente nessuno dei parlamentari, anche dei più influenti, aveva avuto conoscenza del testo dell'accordo, non parliamo del rapporto di accompagnamento. Ero in situazione delicata perché non mi sembrava corretto che lo dessi io ai deputati francesi quando il Governo non aveva ancora ritenuto di farlo. Occorreva quindi indrottinare bene un certo numero di parlamentari favorevoli, fornire loro gli argomenti tecnici necessari (Schuman mi ha detto di avere incaricato un piccolo gruppo di amici di prepararsi a questo fine) e condurre una contro campagna risoluta e organizzata. Attualmente la situazione era tale che la votazione del Parlamento sarebbe stata senza dubbio contraria: ciò era dovuto in gran parte al fatto che, mentre l'opposizione si dava molto da fare, la parte favorevole era solo sulla difensiva: ritenevo che in un solo mese di tempo sarebbe stato difficile, se non impossibile, raddrizzare la situazione.

Schuman mi ha risposto che questa era appunto la sua opinione: il progetto di Unione era allo studio di sei commissioni parlamentari: era in queste commissioni che bisognava concentrare il lavoro (gli ho accennato al fiasco di Buron, di cui era al corrente, e mi ha accennato alla difficoltà di trovare dei relatori che non fossero M.R.P., che fossero favorevoli e capaci). Prima della fine della sessione egli intendeva comunque fare al Parlamento una riaffermazione formale e precisa della volontà del Governo di procedere sulla via dell'Unione doganale facendo chiaramente comprendere che il Governo intende porre, in ogni caso, su di essa, la questione di fiducia (cosa su cui mi permetto di fare tutte le mie riserve).

Mi ha aggiunto che essendo stato informato che codesta ambasciata di Francia, e Ricolfi a Milano, mostrano una certa tendenza a minimizzare l'opposizione al progetto, stava preparando un dispaccio per l'ambasciatore per spiegargli tutta la difficoltà della situazione.

Gli ho allora parlato dall'opposizione estremista europea, delle conversazioni Grazzi-Drouin sull'argomento (di cui non era al corrente) e dell'opportunità, a nostro avviso, anche in vista dell'opposizione estremista italiana, di aggiungere agli atti un documento che chiarisca in forma non equivoca la posizione dei due Governi. Essendo al corrente che il progetto Grazzi-Drouin era stato fermato da Alphand, il quale lo considerava come poco opportuno in quanto avrebbe potuto essere interpretato come un segno di debolezza del Governo di fronte all'opposizione, gli ho parlato anche di questa abbiezione, senza fare nomi, osservandogli che, comunque, i vantaggi di una simile chiarificazione mi sembravano superare di molto i possibili svantaggi. Sul che si è dichiarato d'ac

cordo. Gli ho poi sottoposto il testo 3 . Mi ha detto che il par. l era già contenuto nella motivazione del progetto di legge presentato al Parlamento, quindi non aggiungeva argomento contro l'opposizione: quanto al par. 2 si trattava di una cosa nuova e, secondo lui, opportuna. Pur riservandosi di sottomettere il progetto di lettera al Gabinetto francese, mi ha detto di essere personalmente d'accordo: mi avrebbe comunicata la risposta.

Gli ho fatto presente, in risposta ad un suo accenno in senso contrario, che ritenevo necessario procedere allo scambio di lettere al più presto.

Nel complesso ho trovato Schuman molto meno ottimista che non l'ultima volta che avevamo parlato sull'argomento: del che mi rallegro poiché essendo egli impegnato personalmente è bene si renda conto che la situazione non è facile.

1126

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA1

T. SEGRETO 6872/339. Parigi, 25 giugno 1949, ore 14,59 (perv. ore 18).

Quai d'Orsay ha ricevuto iersera nota britannica che informa:

l) Inghilterra non ritenendosi più legata da accordo Bevin-Sforza2 , ne ha comunicato tale presa di posizione ai notabili arabi;

2) una missione economica inglese, partiva ieri per la Tripolitania;

3) annunzio dell'immissione di indigeni in posti di responsabilità nell'amministrazione tripolina.

Documento e forma comunicazione vengono considerati quanto meno irritanti e si manifesta il proposito di reagire vivacemente. Sul fondo della questione è troppo presto per avere una opinione: ma si ritiene compromesso. Si pensa infatti che in seguito insuccesso accordo Bevin-Sforza, oppositori all'accordo abbiano preso decisamente il sopravvento: proclama cirenaico3 e poi imminente visita senusso a Londra rappresentando primo punto e missione in Tripolitania secondo punto di un programma ben stabilito e abilmente concepito. Missione economica in Tripolitania ha infatti in realtà carattere eminentemente politico presieduta come è (secondo informazioni avute) da Stafford. Si rileva inoltre che, se tempestivamente informata nostre conversazioni con Londra, Francia avrebbe potuto rendere forse più difficile attuazione tale programma intervenendo a Londra e Washington.

1125 3 Vedi D. 1057, Allegato.

1126 1 Questo documento venne trasmesso a Roma a firma del consigliere Giustiniani.

2 Vedi D. 875.

3 Vedi D. 993.

1127.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6885/478. Washington, 25 giugno 1949, ore 13,10 (perv. ore 22,30).

Ho parlato a Bonnet del mio colloquio con Rusk e del progetto americano di cui al mio 474 1•

Bonnet, che conosceva progetto in forma meno precisa, condivide nostra impressione che esso sia insoddisfacente non solo in se stesso ma anche perché, a causa sua indeterminatezza, non fornisce alcuna garanzia circa effettivi poteri progettato comitato consultivo. Egli si propone telegrafare subito Parigi. Spera inoltre vedere Rusk metà settimana prossima, onde ottenere da lui conferme e dettagli nonché (se istruzioni Parigi glielo consentiranno) esprimergli preoccupazioni francesi. Personalmente ritiene, come me, che progetto potrà essere osteggiato anche da inglesi, sia pure per ragioni diverse dalle nostre.

Continuerò mantenermi in contatto con mio collega francese nonché con Dipartimento di Stato. Presso quest'ultimo insisterò nel rilevare aspetti negativi del suo progetto, il quale evidentemente si presta a sancire dominio di fatto britannico su tutta Libia.

1128.

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6888/143. Vienna, 25 giugno 1949, ore 21 (perv. ore 7 del 26).

Ministro Versbach parte domani per inizio conversazioni 29 corrente su accordo culturale. Ritengo che sua partenza, incerta fino a ieri sera, sia stata decisa da Gruber anche in vista, come mi risulta per via indiretta, di riprendere contatti con Innocenti circa optanti in relazione questione patrimoni e questione merito opzioni in relazione a discrete aperture a suo tempo fattegli costì.

Ho avuto testo integrale provvedimento di cui al mio telegramma n. 131 1 , e che invierò prossimo corriere o porterò spero io stesso Roma. Se mie informazioni e impressioni sono, come credo, corrette, questione opzioni trovasi ormai in stato abbastanza avanzato di maturazione per una soluzione di compromesso che, se non intervengano fatti nuovi, direttrici apparirebbero per noi assai favorevoli.

1127 1 Vedi D. 1120.

1128 1 Del 9 giugno, con il quale Cosmelli aveva comunicato le sue prime impressioni sul provvedimento austriaco relativo al trasferimento dei beni.

Non è escluso che Versbach dirà qualche cosa in proposito. Da parte mia riferirò dettagliatamente circa questione giuridica in relazione eccezioni da noi sollevate e circa questione patrimoni, per cui anche sono in grado di dare buona parte informazioni desiderate da Presidenza del Consiglio, nonché altri utili elementi.

A titolo forse troppo sommariamente indicativo mi riferisco circa basi possibile compromesso a considerazioni svolte in mio rapporto 7 maggio 1965/4022. Spunto dato Innocenti fu raccolto come naturalmente proveniente da presidente del Consiglio. È superfluo dire che non ho mai inteso né interferire né sostituirmi a sollecitazioni e manovra Presidenza che del resto correva in senso assolutamente parallelo a quanto era possibile utilmente fare in questa sede, sotto velo apparente disinteresse. In questa situazione, ove non prevalgano altre considerazioni, mi permetterei prospettare che sarebbe forse opportuno soprassedere, come debbo giustificatamente ritenere che ciò già avvenga, a emanazione qualsiasi disposizione modificatrice legge opzioni.

1129.

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI D'AMERICA A ROMA, DUNN

Roma, 25 giugno 1949.

Ho ricevuto ieri sera a casa mia, alle ore 21, l'ambasciatore degli Stati Uniti. Gli ho detto che al mio ritorno da Bruxelles ero stato colpito da una comunicazione britannica2 che ci annunciava senza alcun preavviso l'invio in Tripolitania di una missione di studio, di studio perfino di servizi sociali ed educativi cioè di cose a lunga scadenza e senza il minimo contatto con l'amministrazione militare provvisoria.

Gli ho detto che ero dolente di una così scarsa comprensione del modo con cui si deve trattare con l'Italia da parte degli inglesi ma che sarei stato infinitamente più dolente se tale incomprensione si verificasse anche da parte americana.

Ho detto a Dunn che avevo considerato stretto dover mio di rivolgermi direttamente ad Acheson con una lettera confidenziale in risposta a quella che egli mi diresse il 20 maggio3 ed al messaggio che egli mandò al presidente del Consiglio e a me verso il l 0 giugno4 .

Consegnando quella lettera autografa a Dunn l 'ho pregato di accentuare come sia nostro stretto dovere riconoscere ed affermare che oramai non vi è più per noi altra via

1128 2 Vedi D. 889.

1129 1 Il resoconto di Dunn è pubblicato in Foreign Relations ofthe United States, 1949, vol. IV, cit., pp. 564-566. 2 Vedi D. Il 04, Allegato. 3 Queste due lettere non sono state reperite né nella documentazione ministeriale né nell 'ar

chivio privato di Sforza. Il fatto che quella di Sforza fosse autografa non ne giustifica la mancanza perché della precedente lettera autografa di Sforza ad Acheson (19 aprile) c'è una copia dattiloscritta (vedi D. 772) nell'archivio Sforza. Nel citato resoconto di Dunn non c'è menzione della lettera di Sforza.

4 Nemmeno tale messaggio è stato rinvenuto, ma potrebbe trattarsi di un messaggio augurale inviato in occasione della festa nazionale del 2 giugno.

accettabile circa l'Eritrea se non la dichiarazione di indipendenza; io avevo infatti compiuto un sacrificio doloroso col mio compromesso di Londra ma poiché tutto era caduto di ciò che era a nostro vantaggio, era evidente che proclamando l'indipendenza per la Tripolitania e la Cirenaica era moralmente inammissibile non proclamarla per l'Eritrea.

«Voi avete letto la mia lettera ad Acheson, gli aggiunsi, spiegategli che non esagero affatto dicendogli che se non parlo del pericolo comunista è perché la politica di De Gasperi lo ha fatto quasi sparire, ma altri pericoli possono sorgere, e gravissimi, che possono indebolire il presente Governo se il nostro popolo continua a vedere tutto il mondo cieco davanti alle disillusioni che, a torto o a ragione, esso risente circa le colonie e circa l'O.N.U. Bisogna che il vostro Governo faccia qualche cosa. Perché non propone esso un metodo, una via d'intesa, una conferenza a quattro, qualcosa insomma? Badate bene: il Patto atlantico sta per venire in discussione; non dubito della maggioranza, ma è chiaro che ben altra sarebbe la ripercussione in Italia e in Europa se il popolo italiano sentisse che giustizia gli è resa, in quei campi dove gli imponderabili hanno un immenso valore».

Dunn mi assicurò che vedeva tutto completamente come me, che la mia lettera certamente bastava a far sentire ad Acheson la situazione ma che egli avrebbe insistito dal lato suo.

1130.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 5382/272. Roma, 26 giugno 1949, ore 13.

Ad ogni buon fine la informo che in data odierna abbiamo presentato a questa ambasciata britannica memorandum (che le trasmetto per corriere) contenente nostre proposte per Eritrea 1• Secondo nostro progetto, da sottoporsi Assemblea O.N.U., quest'ultima dovrebbe venire invitata a decidere in favore indipendenza Eritrea dando mandato Italia, Gran Bretagna, Etiopia, ed eventualmente ad uno Stato musulmano, di studiare e proporre modalità più idonee per conseguimento indipendenza stessa.

1131.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 5391/274. Roma, 26 giugno 1949, ore 19,30.

Questa ambasciata britannica comunica1 che governatore Tripoli ha avuto istruzioni di far conoscere a notabili arabi, in conversazioni private con essi, che Governo britannico non si considera più legato da proposte contenute nel compromesso Londra e sta

1130 1 Vedi D. 1134. 1131 1 Vedi D. 1135, Allegato.

studiando soluzioni alternative. È stato detto a Zoppi che Bevin si propone fare analoga dichiarazione ai Comuni. Da parte nostra non abbiamo mai pensato che si poteva insistere, dopo voto O.N.U., su soluzione questione Tripolitania prospettata nel compromesso; tanto vero che abbiamo studiato e proposto nuova formula. Come più volte sottolineato a VE. e a questa ambasciata britannica, ciò a cui intendiamo restare fedeli sino al limite del possibile, è spirito compromesso che consiste nella ricerca di una formula. Come più volte sottolineato a V.E. e a questa ambasciata britannica, ciò a cui intendiamo restare fedeli sino al limite del possibile, è spirito compromesso che consiste nella ricerca di una formula d'intesa con Gran Bretagna sulla base riconoscimento interessi inglesi in Cirenaica e italiani in Tripolitania. A tale concetto ho informato mie ripetute dichiarazioni in Parlamento e alla stampa. Anche per Eritrea, ove il nostro sacrificio fu inutile, noi vorremmo intenderei con Londra su basi nuove. Se Bevin facesse ai Comuni dichiarazione in termini comunicatici e senza accennare a sua precisa volontà collaborare con noi (e sia pure con altre potenze) nella ricerca nuove formule, non solo opinione pubblica italiana ne sarebbe profondamente scossa, ma lo stesso Governo italiano dovrebbe pubblicamente domandarsi se il desiderio britannico discutere con noi questione sia veramente sincero o non rappresenti piuttosto una tattica procrastinatrice.

Confesso che l'allusione nel promemoria rimessoci1 , ai diritti riconosciuti dal trattato di pace al Governo britannico nelle nostre antiche colonie mi ha prodotto pessima impressione perché niente nel trattato impedisce agli inglesi di chiedere una collaborazione italiana, se a Londra si tiene quanto noi a creare un'atmosfera di collaborazione amichevole.

Parlerò domani a Mallet2 e V.E. faccia altrettanto costì usando quanto precede3 .

1132.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 5393/3261 . Roma, 26 giugno 1949, ore 21,30.

Consegnai avant'ieri Dunn una mia lettera privata per Acheson2 e l'ambasciatore mi assicurò confermerebbe quanto gli ho osservato circa necessità che per andare d'accordo con Londra bisogna essere in due.

Prego VE. di parlare subito costì nel senso di cui al seguente mio telegramma odierno a Gallarati Scotti aggiungendo che le minacciate pubbliche dichiarazioni di Bevin e la mancanza di una diretta precisa volontà di intesa con noi possono porre il Governo italiano in situazione molto difficile alla vigilia della di-scussione del Patto atlantico.

Aggiunga che osservo ciò a Washington e non a Londra perché temo che queste considerazioni hanno peso solo costì.

1131 2 Vedi D 1136.

3 Vedi D. 1145.

1132 1 Minuta autografa.

2 Vedi D. 1129.

Le ricordo anche contenuto mio 313 3 . Telegramma per Londra segue con numero successivo4 .

1133.

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. PERSONALE 6900/57-58. Alessandria, 26 giugno 1949, ore 0,01 (perv. ore 8,45).

A seguito istruzioni di cui tua lettera 3/2624 del 22 giugno1 , ho incaricato questo addetto orientale di mettermi in diretto contatto con Boshir Saadawi col quale ho avuto luogo lungo colloquio al Cairo. Ne riassumo parte conclusiva: predetto ha dichiarato di essere disposto collaborare con Italia, a condizione che questa riconosca e appoggi pubblicamente indipendenza completa della Tripolitania anche in sede internazionale, indipendenza che dovrebbe essere simile a quella del Libano, Egitto o Siria.

In tal caso all'Italia sarebbe riconosciuto un trattamento preferenziale nel nuovo Stato, col quale essa avrebbe possibilità svolgere la più ampia collaborazione. I particolari interessi italiani in Tripolitania verrebbero esplicitamente riconosciuti, e a tale scopo sarebbe studiata una formula appropriata di garanzia. Tale garanzia, se necessario, potrebbe essere avallata ad esempio dalla Lega araba. Governo Tripolitania sarebbe poi liberamente eletto secondo i principi democratici, conformemente dichiarazione on. De Gasperi del l o giugno2 .

Boshir Saadawi si è poi dichiarato nettamente ostile al senusso, a seguito accordo da lui raggiunto con l'Inghilterra per autogoverno Cirenaica, appunto perché esso costituisce forma larvata colonialismo; ed ha espresso convinzione che proclamazione indipendenza Tripolitania non mancherebbe aver ripercussioni anche in Cirenaica.

Egli era stato posto al corrente dal ministro degli affari esteri egiziano, col quale è legato da stretta amicizia, del contenuto del mio colloquio del 19 giugno u.s. 3 . Per contro ha asserito di non aver ancora ricevuto alcuna comunicazione dal presidente del Consiglio Libano. Assicurazione da parte Governo italiano circa riconoscimento totale indipendenza Tripolitania rappresenterebbe quindi punto di partenza per proseguimento trattative, sulle quali Boshir ha pregato mantenere massimo riserbo, e che dovrebbero essere considerate come non avvenute ove Governo italiano non ritenesse di aderire suo punto di vista. Ha concluso dicendo che come egli è stato nostro avversario leale nel passato, così oggi sarebbe pronto collaborare sinceramente con l'Italia su linee predette.

1132 3 Vedi D. 1096. 4 Con T. segreto 5394/327 pari data venne ritrasmesso a Washington il D. 1131. Per la risposta di Tarchiani vedi D. 1138.

1133 1 Vedi D. 1109.

2 Vedi D. 1003.

3 Vedi D. 1100.

Informo ad ogni buon fine che Boshir, al quale questo addetto orientale si è riservato dare una risposta, verrà ad Alessandria d'Egitto 29 corrente per partecipare pranzo offerto da re Faruk in occasione inizio Ramadan.

1134.

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE 3/2658. Roma, 26 giugno 1949.

Nell'intento di facilitare una risoluzione del problema delle ex colonie italiane da parte dell'Assemblea delle Nazioni Unite il compromesso di Londra del 6 maggio, nel mentre aveva contemplato un trusteeship italiano sulla Somalia e sulla Tripolitania (per quest'ultima a partire dalla fine del 1951) aveva altresì contemplato, per quanto si riferisce ali 'Eritrea, la assegnazione di questo territorio alla Etiopia e al Sudan con lo stabilimento di speciali statuti per Asmara e Massaua, le due maggiori delle città italiane colà.

Con la Nota verbale n. 3/2441 del 6 giugno 19491 il Ministero degli affari esteri ha già avuto occasione di esporre, dopo la chiusura della recente sessione dell'O.N.U. a Lake Success, il proprio pensiero in merito al problema libico.

Il Governo italiano desidera ora, alla luce della situazione delineatasi dopo il voto dell'O.N.U., esporre il suo pensiero sulla questione dell'Eritrea2 .

In questo territorio, sebbene vi fosse stata diversità di opinioni (registrata a suo tempo dalla Commissione d'inchiesta delle quattro potenze) circa la scelta della potenza cui affidare eventualmente il trusteeship, vi era sempre stata una notevole generale convergenza di opinioni (registrate anch'essa dalla Commissione d'inchiesta) sul principio della integrità del territorio medesimo.

Questo era del resto anche il parere espresso del generale Drew, amministratore capo dell'Eritrea, il quale si era anche reso conto del fatto che la maggioranza della popolazione era contraria sia alla annessione all'Etiopia, sia anche ad un trusteeship etiopico. E in questo senso si sono espressi poi i rappresentanti dei maggiori partiti eritrei a Lake Success: la Lega musulmana, il Partito Eritrea nuova, la Gioventù musulmana, l'Associazione dei meticci, il Partito liberale e la Comunità italiana. Il solo Partito unioni sta si è espresso in senso favorevole all'Etiopia, ma è noto che questo partito è diretto e finanziato dal Governo di Addis Abeba, ed ha spesso svolto la sua attività con mezzi intimidatori che provocarono recentemente lo scioglimento dell'Andinet da parte della B.M.A.

1134 1 Vedi D. 1034.

2 Frase corretta a mano da Sforza. Il testo originario era: «Nel contempo il Governo italiano aveva messo allo studio, alla luce della situazione delineatasi dopo il voto dell'O.N.U., anche la questione dell'Eritrea».

Quando il progetto di risoluzione relativo alla Eritrea venne portato dinanzi all'O.N.U. si ebbero due votazioni che sembra opportuno analizzare. L'attribuzione dell'Eritrea occidentale al Sudan venne respinta dalla Commissione politica con 19 voti contrari, 16 a favore, 21 astenuti e 3 assenti e quindi venne nuovamente respinta dall'Assemblea generale (dove era stata riproposta come emendamento egiziano) con 28 voti contrari, 22 favorevoli, 9 astenuti e l assente. L'attribuzione dell'Eritrea sudorientale all'Etiopia ottenne 37 voti favorevoli, 11 contrari, 10 astenuti e l assente. Ma l'analisi di questo voto rivela che dei 37 voti favorevoli ben 15 erano stati dati da paesi dell'America latina nel desiderio di consentire il concentrarsi della maggioranza dei voti sull'insieme del compromesso di Londra e uno della Francia, mentre nonostante tale desiderio quattro paesi sudamericani si erano astenuti dal voto e fra i paesi arabi e asiatici tre avevano votato contro, mentre altri sei si erano astenuti.

In occasione del loro passaggio a Roma, di ritorno da Lake Success, le delegazioni dei partiti eritrei che, come sopra indicato, rappresentano la maggioranza della popolazione di quel territorio, hanno espresso concordemente al Governo italiano il loro desiderio di salvaguardare l'unità e l'integrità dell'Eritrea e hanno altresì dichiarato che si ripromettono di reclamarne l'indipendenza.

In via preliminare il Governo italiano considera che questa proposta offre la possibilità di ricercare, per la questione dell'Eritrea, una soluzione nuova e soddisfacente per tutte le parti interessate e prima fra tutte le popolazioni stesse dell'Eritrea. Il Governo italiano che già si è messo su analoga via anche per quanto riguarda la questione della Libia, ritiene d'altra parte che sarebbe inconcepibile3 , sia di fronte alla opinione pubblica, sia di fronte all'O.N.U., negare all'Eritrea ciò che viene promesso alla Cirenaica e alla Tripolitania e quindi si dichiara per parte sua favorevole ad accogliere il desiderio della maggioranza delle popolazioni eritree.

Il Governo italiano si rende anche conto dell'esistenza in questa ex colonia di situazioni di fatto e di problemi, che possono rendere meno facile il suo rapido avviamento verso la indipendenza effettiva. Tuttavia il Governo italiano è d'avviso che, una volta riconosciuto e ammesso il principio dell'indipendenza da parte delle Nazioni Unite, l'Italia, la Gran Bretagna, l'Etiopia (con cui l'Italia sarebbe lieta di riannodare normali dirette relazioni) e eventualmente uno Stato musulmano potrebbero studiare e proporre ad una successiva Assemblea dell'O.N.U. un progetto inteso a dare forma concreta a tale principio4 .

1134 3 Termine inserito da Sforza in sostituzione di «estremamente difficile».

4 Frase corretta da Sforza. Il testo originario era il seguente: « ... la Gran Bretagna, ed eventualmente l'Etiopia, potrebbero studiare e proporre ... ». Con Telespr. segreto 3/2660/c. del 26 giugno questa Nota verbale fu trasmessa alle rappresentanze diplomatiche presso tutti gli Stati membri dell'O.N.U. con le seguenti indicazioni: «Le rappresentanze presso i paesi americani ed europei sono pertanto pregate di comunicare senz'altro verbalmente il contenuto integrale della Nota verbale suddetta illustrandolo adeguatamente e svolgendo tutta quella azione che riterranno opportuna per ottenere dai Governi stessi l'appoggio alla nostra tesi. Le rappresentanze presso i paesi musulmani in particolare, e in generale presso quelli arabi ed asiatici, dovranno fare analoga comunicazione, tralasciando tuttavia per il momento di accennare alla eventualità di affidare all'Italia, alla Gran Bretagna e all'Etiopia e a un paese musulmano l'incarico di concordare un progetto destinato a concretare il futuro regime dell'Eritrea. In particolar modo le rappresentanze presso i paesi musulmani sono invitate a cercare di fare il possibile per ottenere che quei Governi facciano, quando se ne presenterà l'occasione, una dichiarazione ufficiale e pubblica in favore del principio della indipendenza dell'Eritrea». Il 27 giugno il documento fu specificamente trasmesso alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington (Telespr. segreto 3/2672/c.)

1135

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 26 giugno 1949.

L'ambasciata britannica, in risposta alle mie osservazioni circa l'invio in Tripolitania della missione di studio!, ha fatto conoscere con i due appunti allegati la composizione della missione stessa e i suoi «terms of reference» cercando di mettere in evidenza che essa non ha da occuparsi di questioni politiche ma solo di questioni educative, sociali ed economiche per le quali ultime è previsto l'esame anche dei rapporti economici e commerciali tra l'Italia e la Tripolitania. Per quest'ultimo punto sarà consultato anche il funzionario italiano che verrà nei prossimi giorni inviato a Tripoli. È stato anche messo in evidenza che, in seguito alle mie osservazioni, il Governo britannico ha rinunciato a dare pubblica notizia in Parlamento dell'invio della missione di cui trattasi, e che il Governo britannico riconosce l'interesse del Governo italiano ad essere tenuto al corrente dell'attività della predetta missione.

L'ambasciata inglese ha anche informato che l'amministratore capo della Tripolitania ha ricevuto in questi giorni istruzioni, nelle sue conversazioni con notabili arabi, di far conoscere a questi ultimi che il Governo britannico non si considera più legato alla soluzione proposta nel compromesso di Londra e sta ora studiando altre «alternative». Nello stesso senso Bevin si esprimerà prossimamente in Parlamento. L'amministratore capo informerà altresì le predette notabilità che alcuni posti in soprannumero nella amministrazione locale potranno essere d'ora innanzi affidati anche ad arabi che abbiano i necessari requisiti.

Sia sull'una che sull'altra questione ho osservato ancora una volta che il modo di procedere del Governo britannico non può che rafforzare in noi l'impressione che esso in realtà non ha alcuna volontà di trovare un accordo con il Governo italiano e continua nella politica dei fatti compiuti. A parte infatti ogni giudizio sul merito dei provvedimenti presi o che si intendono prendere, giudizio che potrebbe anche essere favorevole, non si vede alcuna ragione perché dopo anni di attesa, alla vigilia di una decisione dell'O.N.U., e se è veramente sincero nel Governo britannico il desiderio di accordarsi con il Governo italiano, tali provvedimenti vengano ora presi affrettatamente. Se il Governo britannico riconosce come zona d'influenza italiana la Tripolitania, i provvedimenti stessi dovrebbero essere lasciati all'iniziativa italiana e ai futuri accordi fra l'Italia e la Tripolitania: per conseguenza il modo di agire del Governo inglese non può essere da noi ritenuto come un indice incoraggiante sulla lealtà delle intenzioni del Governo stesso nei nostri riguardi.

1135 1 Vedi D. 1113.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. Roma, 23 giugno 1949.

(Attached are the composition and terms of reference of the Mission, which we are instructed to hand to the Secretary General)Z.

It has now been decided that no public announcement will be made about the despatch of this mission which is purely technical and designed to give impartial and objective advice to govemment departments in London.

The administration of the former Italian Coloni es is under the Peace Treaty the sole and undivided responsability ofHis Majesty's Govemment. Italian or any other Govemment's participation in the mission cannot thus be contemplated.

H.M. Govemment recognises the ltalian Govemment's interest even in an administrative measure of this sort, and wishes them to have ali information they properly request. The Italian Govemment should be assured that their interests are in no way prejudiced.

In carrying out its task, the mission has been instructed to ascertain the views of !oca! Italian communities well as Arabs. Indeed it could not perform its function unless it did so.

Furthermore one of the features of the economie situation in Tripolitania is the economie relationship between the territory and Italy. This is a concrete fact which the mission must take into consideration and doubtless part oftheir recommendations will be as to how the flow of trade between the two territories can be increased. Agreement has just been given to the early visit to Tripolitania of an official Italian Govemment Representative and economie mission will certainly hear this official's views if he desires to give them. Mission has not the power to take decisions but only to make recommendations. In studying these in due course full consideration will be given to Italy's legitimate interests.

The Mission will leave London on June 24'h and will be in Tripolitania probably for some 6 weeks and «will study the economie situation of the territory and the state of the social, medicai and educational services with a view to recommending measures of development and expansion. It will not touch any politica! problem».

The Chief Administrator of Tripolitania has been instructed to convey the information contained in the preceding paragraph to selected Arab notables.

1136.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 5406/276 (Londra) 329 (Washington). Roma, 27 giugno 1949, ore 15,30.

(Solo per Washington) Ho telegrafato Londra quanto segue:

1135 2 Non pubblicato.

(Per tutti) Ricevendo Mallet gli ho detto quanto indicato telegramma 274 (per Londra)1 e 327 (per Washington)2 aggiungendo che di fronte ai pericoli che continuano sovrastare mondo occidentale Bevin commetterebbe a mio avviso grave errore se ignorasse Italia in sue eventuali prossime dichiarazioni. Gli ho detto che non amavo parlare del pericolo comunista ma che era troppo evidente quanto poco savio indebolire dei governi che si sono sempre trovati in prima fila nella difesa della democrazia.

1137

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6950/341. Parigi, 27 giugno 1949, ore 20,06 (perv. ore 24). Mio 339 1•

Parodi mi ha detto che da parte francese si conta:

l) sostenere che accordo Bevin-Sforza2 essendo stato accettato e sostenuto da francesi ed americani è diventato accordo internazionale e quindi non può essere dichiarato decaduto con atto unilaterale inglese;

2) insistere presso americani perché cerchino convincere inglesi necessità non procedere con atto unilaterale; 3) insistere sia a Londra che Washington su principio conversazioni a quattro.

A parte questo non hanno assolutamente idea di quello che si possa fare e si possa proporre: puntano su conversazioni a quattro per ragioni procedura e loro azione si prospetta piuttosto in senso negativo come contrari unificazione Libia sotto senusso idea che evidentemente li preoccupa molto.

1138

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6965/483. Washington, 27 giugno 1949, ore 20 (perv. ore 7,30 del 28).

Suoi 326, 327 1 , 3282 •

1136 1 Vedi D. 1131.

2 Vedi D. 1132, nota 4. 1137 1 Vedi D. 1126.

2 Vedi D. 875. 1138 1 Vedi D. 1132.

2 Del 26 giugno, con il quale Zoppi aveva fornito chiarimenti sul promemoria britannico del 23 giugno (vedi D. 1135, Allegato), specificando: «Promemoria ricorda che in base trattato pace Governo inglese è solo responsabile amministrazione ex colonie e non può, quindi, contemplare partecipazione italiana o di altri Governi a Commissione [inviata da Londra in Tripolitania]».

Comunicazioni di cui a telegrammi citati sono state fatte oggi ad Achilles, capo affari politici Europa dopo partenza Hickerson.

È stato prospettato chiaramente rincrescimento Governo italiano nel constatare che suo desiderio d'intesa non sembra trovare riscontro in atteggiamento Gran Bretagna, la quale continua svolgere in Libia azione unilaterale tendente orientare situazione locale verso soluzioni contrarie spirito accordo Londra e permanenti interessi collaborazione itala-britannica. È stato rilevato che tale azione appare incompatibile con conversazioni a quattro, cui anche Governo americano sembra attribuire grande importanza nella ricerca di un compromesso.

È stato detto nei termini più espliciti che desiderio italiano d'intesa non può giungere fino a consentire che formule indipendenza e unità Libia servano a stabilire di fatto protettorato britannico su tutta Libia e a sancire estromissione Italia dali' Africa.

Sono state rilevate difficoltà che potrebbero derivarne a Governo italiano alla vigilia discussione su Patto atlantico. In merito a possibili soluzioni concrete, tanto per Libia quanto per Eritrea, sono stati ripetuti concetti contenuti nei precedenti telegrammi ministeriali.

In proposito, poiché da conversazioni con uffici risulta che questi continuano elaborare progetto Comitato consultivo e tendono a giustificare azione inglese (ad esempio rilevando responsabilità e conseguente necessaria autonomia Gran Bretagna quale potenza amministratrice nonché affermando che nuova Commissione britannica in Tripolitania ha scopi esclusivamente economici e sociali) si è fatto chiaramente rilevare ad Achilles che dietro formule più o meno astratte si nasconde alternativa precisa consistente nel consentire o non consentire estromissione Italia dali' Africa.

Achilles ha mostrato comprensione e ha promesso segnalare pericolosa evoluzione della situazione a Rusk, onde orientare opportunamente quest'ultimo in vista mio ulteriore colloquio con lui.

1139

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 748/2534. Parigi, 27 giugno 19491•

La Commissione preparatoria del Consiglio di Europa nelle sedute del 23 e del 24 corrente ha iniziato l'esame del progetto di regolamento dell'Assemblea consultiva presentato dalla Sottocommissione giuridica.

È nota la genesi di questo progetto: la Commissione preparatoria ha delegato a una Sottocommissione; tale Sottocommissione, formata di esperti dei vari Parlamenti, ha preso a base dei suoi studi un progetto belga e soprattutto un progetto italiano, da cui, dopo una complessa elaborazione, ha desunto il testo che è stato ora sottoposto all'esame e alle decisioni della Commissione preparatoria.

1139 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

Detto testo si discosta considerevolmente dal progetto italiano e manifesta la tendenza a sviluppare, anche al di là delle disposizioni dello Statuto, le attribuzioni ed i poteri dell'Assemblea; gli esperti parlamentari cioè hanno lasciato nel loro progetto l'impronta delle note tendenze degli ambienti a cui essi appartengono, di forzare la mano alle disposizioni statuarie, per cercare di fare dell'Assemblea un vero e proprio Parlamento europeo.

Tale tendenza è, come è noto, contraria alle idee e ai propositi del Governo britannico, tuttavia, in seno alla Sottocommissione, non si sono avute opposizioni da parte dell'esperto britannico, perché egli, appartenendo al Parlamento, risentiva personalmente più delle influenze parlamentari che di quelle governative.

È evidente che l'opposizione britannica doveva invece manifestarsi in seno alla Commissione preparatoria, ove siedono i delegati del Governo e ove il Foreign Office ha inviato per la discussione del regolamento un suo speciale esperto. La delegazione britannica nella Commissione preparatoria si è quindi messa all'opera e cerca di demolire, punto per punto, tutte le esuberanze del progetto, riportandolo -bisogna riconoscerlo -alla lettera e allo spirito dello Statuto.

La delegazione francese, pur essendo, come è ben noto, il suo Governo favorevole allo sviluppo dei poteri dell'Assemblea, non ha preso nella Commissione preparatoria un atteggiamento combattivo e ha in massima lasciato, senza troppe resistenze, eliminare o ridurre tutti gli eccessi del regolamento. Il nostro delegato ha in massima seguito l'atteggiamento francese, appoggiando tutte le volte che è stato possibile le resistenze francesi e prendendo anche la iniziativa nei casi che fosse utile, ma senza impuntarsi e irrigidirsi. Le altre delegazioni sono rimaste piuttosto estranee al dibattito, limitandosi a intervenire qua e là, per lo più solo quando qualche loro particolare interesse era in ballo.

L'atteggiamento preso dalla delegazione francese e dalla nostra delegazione mi sembra giusto: non opporsi a che i poteri dell'Assemblea siano riportati nei limiti dello Statuto, sfrondando il progetto di regolamento degli eccessi voluti dalla Sottocommissione degli esperti.

Anzitutto vi è una ragione giuridica evidente: ci troviamo di fronte ad uno Statuto firmato dai ministri degli esteri e una Commissione preparatoria che ha il compito di redigere un regolamento non può naturalmente snaturare né la lettera né lo spirito di questo Statuto. I britannici nelle loro osservazioni hanno quasi sempre il diritto dalla parte loro.

Se anche poi si riuscisse a riguadagnare in sede di Commissione preparatoria e di regolamento alcune delle attribuzioni che sono state negate all'Assemblea nella fase precedente delle trattative, dubito che tali conquiste servirebbero poi effettivamente allo scopo di potenziare l'Assemblea. Vi è il timore che esse, scontentando gli inglesi, li disaffezionino sempre più dal Consiglio europeo, e vi è il pericolo che l'Assemblea, prendendo la mano, finisca per girare a vuoto, senza ingranare-come deve, se vuoi compiere un lavoro utile -col Comitato dei ministri.

In particolare mi sembra che sia poi utile di difendere le competenze del segretario generale, e, attraverso lui, di salvaguardare i compiti del nostro direttore dei servizi dell'Assemblea, proteggendo lo contro ogni intrusione nel suo settore da parte dell'Assemblea.

In questo senso la delegazione italiana ha agito e si proporrebbe di seguitare ad agire: cioè conservare all'Assemblea tutte le attribuzioni e tutti i poteri che sono onestamente possibili in base allo Statuto, evitare però eccessi che sarebbero anti-statutari, politicamente non opportuni e che potrebbero finire per essere controproducenti.

In termini generali poi la lotta fra il Comitato dei ministri e l'Assemblea è fatale, ma non sembrami che sia opportuno che essa si svolga in sede di Commissione preparatoria e di regolamento; si vedrà poi a Strasburgo come essa si potrà sviluppare.

1140.

IL MINISTRO A BUCAREST, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1098/534. Bucarest, 27 giugno 1949 (perv. l'li luglio).

Riferimento: Miei telespressi n. 2129/1023 del29 settembre 1948 e 918/423 del 13 maggio u.s. 1 .

I due vescovi cattolici latini, cui ancora veniva riconosciuta, da parte dello Stato romeno, giurisdizione ecclesiastica in Romania, mons. Marton di Alba Julia e Satu Mare, e mons. Durcovici di Jassy, sono stati tratti in arresto, rispettivamente il 21 e il 26 corrente.

Me ne ha informato ieri confidenzialmente questo reggente della nunziatura apostolica, mons. O'Hara, il quale solo indirettamente era venuto a conoscenza del provvedimento adottato contro i due presuli. Da fonte governativa nessun comunicato ufficiale è stato diramato al riguardo e la stampa ha taciuto la notizia.

L'arresto dei due vescovi latini coincide con l'approvazione degli statuti organici delle varie confessioni religiose in Romania, approvazione che è sinora mancata per quanto concerne lo statuto relativo al culto cattolico, non essendosi potuto trovare una formula soddisfacente sia per il Governo che per la Chiesa (vedi mio telespresso

n. 306/142 del22 febbraio u.s.)l.

Mons. Marton sarebbe stato appunto arrestato mentre era in viaggio per Bucarest latore di nuove proposte per un compromesso, che egli si riprometteva di fare esaminare preventivamente dalla nunziatura apostolica.

Intanto, proprio in data di ieri, i giornali hanno reso di pubblica ragione il testo di una mozione del 23 corrente (ne unisco la traduzione italiana) nella quale i capi dei vari culti religiosi, ad esclusione di quello cattolico, colgono occasione dell'approvazione dei loro rispettivi statuti per esprimere la loro gratitudine al regime per la «libertà religiosa» che avrebbe assicurato al paese, ne avallano e si impegnano ad appoggiarne la politica, sia sul piano interno, che su quello internazionale, contro «l'imperialismo istigatore di guerra».

1140 1 Non pubblicati. 2 Vedi D. 372.

La mozione, sia pure in termini moderati, prende netta posizione contro la Chiesa cattolica, là dove dice che «un solo culto, il quale in passato si era assicurato privilegi a danno degli altri culti», si mostra scontento dell'attuale stato di cose. E aggiungendo che della mancata presenza del rappresentante di quel culto al convegno dei capi religiosi «non si ritengono colpevoli i fedeli del culto stesso», si adombra un tentativo di separare la massa dei cattolici, e si spera, forse, taluni strati del basso clero, dalle superiori gerarchie della Chiesa. Tentativo che, messo in relazione con quanto è avvenuto recentemente in Ungheria, e avviene in questi giorni in Cecoslovacchia, potrebbe avere scopi più lontani e più seri di quelli di un semplice motivo polemico, soprattutto se si riuscisse a indurre anche un solo vescovo cattolico dei paesi dell'Europa orientale a investire della dignità episcopale elementi del clero su cui i regimi comunisti di detti paesi potessero contare. Lo stesso reggente di questa nunziatura apostolica non mi ha nascosto una certa preoccupazione al riguardo.

Con allettamenti e minacce, magari sfuttando il sentimento di avversione a Roma, sempre vivo, anche se latente, nei protestanti e scismatici, il Governo romeno è riuscito ad ottenere un atto di adesione nel quale fanno blocco tutte le confessioni religiose non cattoliche, lasciando isolata la Chiesa di Roma.

Per quanto ben si sappia come, nei regimi totalitari, vengono strappate siffatte adesioni, il fatto non è privo di importanza soprattutto ai fini della propaganda nei paesi anglosassoni.

Ma che anche tra i culti non cattolici non vi sia una totalità di adesione alla politica del regime, è confermato dalla stessa mozione (punto 6, secondo capoverso) dove si parla dei ministri del culto i quali si sarebbero lasciati influenzare dai «reazionari dell'interno e dagli imperialisti dell'estero».

1141.

IL CONSOLE GENERALE AD INNSBRUCK, BIONDELLI, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

TELESPR. 92/61071 . Innsbruck, 27 giugno 1949.

Riferimento: Telespressi 1887 del 30 aprile u.s. e 73/4578 del 17 maggio u.s. di questo ufficio2•

A seguito dei telespressi di questo ufficio sopraindicati, si ha l'onore di comunicare che vanno aumentando le richieste di notizie circa l'esito delle dichiarazioni di revoca dell'opzione per la cittadinanza germanica presentate dagli alto-atesini dopo il 2 novembre 1948.

Contemporaneamente alla richiesta di notizie viene pure confermato, da parte degli interessati, che la loro riopzione è avvenuta spontaneamente e giustificato il ritardo sia con il termine previsto dal D.L. 2 febbraio 1948 n. 23 (5 febbraio 1949),

1141 1 Cosmelli ritrasmise questo documento al Ministero con Telespr. 2720/577 del20 luglio. 2 Non pubblicati.

sia con ragioni varie tra le quali ricorrono spesso quelle relative alle questioni di carattere economico e la conseguente necessità di attenderne la definizione, oppure quelle riguardanti la necessità di assicurarsi preventivamente in Alto Adige sistemazione ed alloggio. Viene richiesto, essendo stata presentata tempestivamente la dichiarazione di revoca e trattandosi di un atto volontariamente compiuto, di dare sollecito corso alla domanda.

Per qualche alto-atesino particolarmente insistente, questo ufficio si è visto costretto di dame comunicazione all'Ufficio revisione opzioni di Bolzano, trasmettendo in copia le dichiarazioni fatte dali' interessato e chiedendo di conoscere le de cisioni che si riteneva di potere adottare al riguardo.

L'Ufficio opzioni di Bolzano ha risposto interessando l'ufficio scrivente di:

«voler accertare se essa (la persona di cui trattasi) abbia possibilità di lavoro e di sistemazione di alloggio in Alto Adige, nonché se la medesima abbia in quella provincia parenti e di quale grado, fondi rustici o immobili urbani, facendo conoscere inoltre se abbia parenti e beni rustici o urbani in Austria. Codesto consolato vorrà altresì chiedere all'interessato i motivi che l'hanno indotto a presentare la domanda di reintegrazione nella cittadinanza italiana. Con tali dettagliate notizie codesto ufficio provvederà poi ali 'invio a questo ufficio della dichiarazione di cui trattasi».

In qualche altro caso gl'interessati inviano sollecitazioni, per la definizione della loro pratica, direttamente ali 'Ufficio opzioni di Bolzano il quale interessa questo ufficio di trasmettere la dichiarazione di revoca corredata dalle notizie sopra indicate.

Tenuto conto del collegamento esistente tra gli alto-atesini, anche per i loro rapporti di parentela, amicizie, ecc., è evidente che, applicando la procedura sopra indicata per un certo numero di casi, si arrivi gradatamente ed inevitabilmente ad una generalizzazione ed il blocco delle domande diventi illusorio, avviando la questione verso una soluzione che forse non risponderebbe alle intenzioni delle superiori autorità.

Indirettamente si verrebbe a sancire il principio che la concordanza degli elementi richiesti dall'Ufficio opzioni di Bolzano: libera riopzione, alloggio e sistemazioni assicurati in Alto Adige, esistenza di proprietà, ecc., impone lo sblocco delle dichiarazioni presentate dopo il 2 novembre 1948 e ne assicura il loro corso.

Forse non è inopportuno segnalare come da accurate indagini eseguite da questo ufficio all'atto della consegna delle ricevute provvisorie ai rioptanti, su oltre 600 casi il 60 per cento ha dichiarato di avere rioptato liberamente, mentre solo il 40 per cento

o ha apertamente dichiarato di avere rioptato in seguito alla nota delibera del Governo austriaco o non ha saputo dare una spiegazione esatta del perché della riopzione.

Mentre questo ufficio provvederà a dare evasione alle richieste fatte dall'ufficio revisione opzioni di Bolzano, trattandosi ancora di pochi casi, si sarà grati a codesta legazione se vorrà compiacersi d'impartire in proposito all'ufficio scrivente precise istruzioni opportunamente considerando che a richieste ripetute ed insistenti non si può continuamente rispondere in modo evasivo.

Devesi inoltre fare pure notare che da qualche tempo a questa parte gli ambienti del Centrai Verband der Suedtiroler, specie dopo l'inizio dell'attività del noto dr. Riccardo Staffler quale segretario generale del Verband medesimo, non lasciano passare alcuna occasione per informare gli alto-atesini che hanno rioptato dopo il 2 novembre 1948 come le loro domande siano tutte bloccate ed ancora giacenti presso l'Ufficio italiano di collegamento in Innsbruck.

Da informazioni confidenziali concordanti avute da fonti diverse, sembrerebbe che s'intenda manovrare in modo da provocare da parte dei rioptanti dopo il 2 novembre 1948 una diretta reazione intesa a forzare la mano alle autorità italiane competenti ed indurle a prendere al riguardo una decisione.

Non potendo o non volendo affrontare direttamente la questione e scatenare una campagna d'agitazione, sembra si tenti ottenere un risultato influenzando e lavorando gl'interessati, spingendoli ad intervenire direttamente confermando la spontaneità della riopzione e richiamandosi al termine legale stabilito per la presentazione della dichiarazione di revoca entro il5 febbraio 1949.

Ed è anche in relazione a questa manovra che l 'ufficio scrivente prevede un graduale aumento delle richieste di notizie circa le dichiarazioni di revoca dell'opzione per la cittadinanza germanica presentate dopo il 2 novembre 1948, e la conseguente necessità di essere tempestivamente ed esattamente istruito sul modo di comportarsi.

1142.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, A WASHINGTON, TARCHIANI, E A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

TELESPR. SEGRETO 3/2682/c. Roma, 28 giugno 1949.

Riferimento: Telespressi ministeriali 27 corrente n. 3/2677le. e 3/2678/c. 1• Nel trasmettere, per opportuna conoscenza, copia di un telespresso di Parigi

n. 734/2488 del 24 u.s. 2 nonché di un telegramma di Washington della stessa data, e di un telegramma di Londra del25 successivo, ritengo conveniente attirare l'attenzione di codesta ambasciata sulla necessità che, nella trattazione della questione in oggetto, le rappresentanze all'estero mantengano uniformità di indirizzo secondo le direttive impartite da questo Ministero, direttive che costituiscono nella fase attuale della questione stessa, il punto di vista del Governo italiano. Questo è stato, nello stesso senso delle istruzioni suddette, esposto ufficialmente ai Governi dell'America latina e degli Stati arabi e asiatici, e ad esso corrisponde l'azione che andiamo svolgendo nei singoli territori, sia attraverso i nostri uffici in loco, sia a mezzo di personalità indigene a noi più vicine.

Tale punto di vista risulta, per quanto riguarda la Libia, dalla Nota diretta a questa ambasciata britannica il 6 corrente (vedi telespresso ministeriale 7 corr. n. 3/2463/c_)3, dal pro-memoria dell'ambasciata stessa del 23 corrente4 e dalla lettera da me inviata

1142 1 Si tratta delle ritrasmissioni dei telegrammi da Londra e Washigton più avanti citati, per i quali vedi rispettivamente i DD. 1119 e 1120.

2 Vedi D. 1124.

3 Vedi D. 1034, nota l.

4 Vedi D. 1135, Allegato.

all'ambasciatore Mallet il 24 corrente (vedi te l espresso 3/2666/c. del 26 corrente )5 e per quanto riguarda l'Eritrea dalla Nota diretta all'ambasciata suddetta in data 26 u.s. (vedi telespresso 27 corr. n. 3/2672/c.)6 , documenti tutti trasmessi per opportuna conoscenza ed orientamento anche a codesta rappresentanza.

Abbiamo avviato sulla questione conversazioni col Governo britannico e questo non esclude che tali conversazioni possano estendersi sino a divenire conversazioni a quattro: questo è anzi il fine cui miriamo. In ogni modo, anche presentandoci a tali conversazioni, noi esporremo e difenderemo il punto di vista espresso nelle istruzioni sopra richiamate che, secondo noi, vengono incontro ai desideri chiaramente espressi dalle popolazioni interessate e dai paesi che le sostengono, senza l'appoggio dei quali non potrà raggiungersi all'O.N.U. la maggioranza sufficiente di voti.

1143.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. PERSONALE SEGRETA 3/2683. Roma, 28 giugno 1949.

Qualche commento al nostro telespresso n. 3/2682/c. del 28 corrente'. Vorremmo in ogni caso evitare che le nostre rappresentanze all'estero abbiano a presentare un fronte frastagliato con l'inconveniente di mettere i nostri interlocutori nella condizione di non capirci nulla o di accusarci di non avere idee precise. La uniformità del nostro linguaggio appare poi tanto più necessaria di fronte all'assoluto riservo degli inglesi, pronti sempre a «prendere atto» di nostre proposte di ripiego, senza mai nulla concedere a loro volta.

D'altra parte le nostre proposte rispondono ad un maturato esame della situazione. È inutile covare soluzioni che possono essere ostacolate dai paesi arabi e asiatici: non avranno mai la maggioranza. Mentre questa può attenersi mettendo insieme sudamericani, arabi, asiatici e qualche voto marginale. Constatato che all'O.N.U., con i latino-americani, siamo in grado di bloccare soluzioni a noi contrarie, ma che non si può rimanere eternamente su questa posizione negativa, dobbiamo ora fare uno sforzo per guadagnare i voti necessari a far passare una risoluzione conforme il più possibile ai nostri interessi presenti e futuri. Questo sforzo non lo possiamo fare per ritornare su posizioni condannate, neanche per farle rivivere e approvare a metà in un modo che non dia soddisfazione a noi e scontenti gli altri. Non guadagneremmo nulla, né su di un piatto, né sull'altro. Lo sforzo conviene farlo rinunciando a rivendicazioni territoriali e andando seriamente incontro ai paesi arabi. Questo concetto non deriva da una constatazione troppo pessimista della situazione. Forse anzi hanno ragione i francesi nel dire che questa non si presenta ancora in modo tale da giustificare del pessimismo: dipende però dal punto di vista in cui ci si mette e da quello che

1142 5 Ritrasmetteva il D. 1121. 6 Vedi D. 1134, nota 4. 1143 1 Vedi D. 1142.

si vuole o di cui ci si accontenta. Noi abbiamo fatto l'esperienza, nella nostra politica di rivendicazioni territoriali, di successivi ripiegamenti, e se oggi si può essere pessimisti solo a metà, o per tre quarti, domani potremmo trovarci con un pugno di mosche in mano. La nostra politica coloniale è passata attraverso fasi successive e ha tenuto e dovuto tener conto di molti elementi, come ti ho scritto nella mia lettera

n. 3/2599 del 20 giugno2: necessità della nostra politica occidentalista e del nostro reinserimento nel girone occidentale; stato d'animo dell'opinione pubblica. Abbiamo così, prima della conclusione del trattato di pace, rivendicato la restituzione delle colonie prefasciste. Tale prima fase si è chiusa con l'art. 23 del trattato e siamo passati alla seconda: rivendicazione della amministrazione fiduciaria. L'accentuato dissidio fra Occidente e Oriente ha complicato la soluzione del problema: a volte è sembrato potesse, per contro, facilitare una soluzione, almeno parziale, a noi favorevole: se i russi non fossero stati intransigenti nell'ultima sessione dei Quattro a Parigi avremmo avuto sino da allora la Somalia ma il clou di questa fase avendo coinciso col periodo di massima tensione, questa si chiuse con un nulla di fatto e la questione venne rimessa all'O.N.U. Si è aperta così la terza fase che, come era da prevedersi, ha visto il problema ancor più complicarsi perché, mentre permanevano le conseguenze dell'antagonismo fra i due blocchi, sono entrati nel gioco molti altri interessi difficili a conciliarsi. Ci è stato necessario ripiegare su posizioni sempre meno soddisfacenti, e nel frattempo gli inglesi, in /oco, lavorando contro di noi, rendevano ogni volta sempre più difficile anche la realizzazione delle più modeste fieh es de consolation; tanto che il respingimento del compromesso Bevin-Sforza3 è stato accolto sia in Tripolitania che in Eritrea con un senso di sollievo da quei nostri connazionali.

Il compromesso di Londra ha chiuso la terza fase che, come le due precedenti, fu una fase di rivendicazioni. Che possiamo sperare di più? Avevano ragione tanto quelli che condannavano il compromesso come assolutamente inadeguato, quanto quelli che lo definivano il massimo che si potesse ottenere. Ma ciò appunto perché gli uni e gli altri lo consideravano nel quadro di una politica di «rivendicazioni».

Ma se noi, ora che l'opinione pubblica è matura per capirlo, e ora che il Governo ha la coscienza di aver fatto su questo piano tutto il possibile e nel miglior modo possibile, passiamo su di un altro piano che non sia più di rivendicazioni più o meno territoriali, ma di più ampio respiro, tu vedi (e a dir vero proprio tu non lo vedi da oggi) quali orizzonti ci si aprono innanzi: possibilità di una politica più autonoma, di collaborazione con quei paesi dell'Oriente che furono nei secoli nostri naturali amici e clienti, e che solo l'avvento del colonialismo aveva allontanato da noi costringendoli in altri sistemi più o meno chiusi, ma che di mano in mano che riacquistano l'indipendenza a noi ritornano, priorità nell'aver ideato e sperimentato nuove formule di convivenza fra europei e indigeni nei paesi ex coloniali, eccetera.

Capisco che tutto questo dispiaccia a molti. Ma dobbiamo rinunciarvi dopo che taluni di quei molti ci hanno chiuso in faccia la porta alla quale abbiamo sin troppo a lungo bussato? Il paese ci chiamerebbe un giorno responsabili di non aver saputo trarre dalla situazione quei soli, e forse non lievi, vantaggi che essa oggi ancora ci offre.

1143 2 Vedi D. 1098. 3 Vedi D. 875.

1144

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI

L. 3/2700. Roma, 28 giugno 1949.

Gallarati Scotti ha telegrafato oggi quanto segue':

«Ambasciatore Arabia Saudita è tornato oggi da me. Insiste su opportunità nostro approccio a re Faruk. Avendogli osservato che anche per non mettere il re in difficoltà avremmo preferito conoscere in precedenza su quali basi fosse disposto darci sua mediazione, ambasciatore mi ha fatto comprendere che Faruk non sarebbe insensibile a soluzione che evitasse estensione alla Tripolitania della influenza del senusso e che preparando obiettivo finale della unità della Libia conservasse per dieci anni parallelismo tra posizione inglese in Cirenaica e italiana in Tripolitania su base Governo locale popolarmente eletto. Fezzan a suo parere è problema a parte.

Essendo informato dei rapporti dell'ambasciatore con gli inglesi, ho ritenuto opportuno sottolineare che nostro desiderio giungere a più proficua collaborazione tra Italia e paesi arabi nell'interesse economico comune e attraverso soluzione problema Nord Africa, non è in contrasto con nostra intenzione arrivare a tale soluzione d'intesa con gli inglesi, pur mantenendo noi naturalmente completa libertà di azione negli eventuali contatti col Governo egiziano.

Ambasciatore mi ha esplicitamente manifestato necessità che persona incaricata tali contatti si presenti al re in veste di amico e non ufficiale. Mi ha confermato che arrivo del senusso a Londra è previsto per 8 luglio il che consiglierebbe che anche da parte nostra si affrettino i tempi. Ambasciatore stesso si recherà in Egitto il28 luglio e spera essere ricevuto dal re».

Non avendo altri elementi di giudizio che quello che ha riferito Gallarati Scotti, ci è difficile valutare esattamente la portata di questo nuovo passo dell'ambasciatore saudita2 e soprattutto quale fondamento abbiano le sue confidenze circa l'orientamento del pensiero di re Faruk.

Non mi sembra tuttavia opportuno lasciare cadere del tutto questo nuovo tentativo di approccio che, dati gli attuali ottimi rapporti che legano Faruk con Ibn Saud, potrebbe anche essere stato fatto con il preventivo consenso del primo, o almeno questi potrebbe esserne al corrente. E poiché tu disponi della persona adatta che può avvicinare il sovrano e parlargli in veste di amico, penso che tu possa mettere tale consigliere al corrente del suggerimento datoci dali' ambasciatore saudita a Londra, allo scopo per ora di sondare se esso risponda a qualche cosa di concreto, e quali eventualmente siano le disposizioni di re Faruk. Se queste disposizioni fossero favorevoli sia alla idea di una mediazione in genere sia ai criteri cui si ispira il nostro pro

1144 1 T. s.n.d. 7018/295 in pari data, ore 17,3 7 (perv. ore 20,45). 2 Per il precedente passo saudiano vedi DD. 1010, 1023 e 1100.

getto per la Tripolitania, non potremmo non prendere la cosa in considerazione, anche per non offendere nuovamente il giovane e suscettibile sovrano.

Tuttavia conviene non troppo impegnarci per il momento mentre sono in corso sullo stesso argomento i contatti con Boshir Saadawi che potrebbero forse risultare più facili e più conclusivi. Un accavallarsi di analoghe iniziative potrebbe riuscire pregiudizievole. Lascio comunque a te di giudicare fino a che punto ci conviene di seguire la nuova pista indicataci o pensare che essa possa un giorno confluire con quella su cui già abbiamo fatto qualche primo passo.

1145

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 7042/297. Londra, 29 giugno 1949, ore 13,05 (perv. ore 18,15).

Telegramma di V.E. 2741• Ho rivisto iersera Strang che aveva già ricevuto resoconto dell'ultimo colloquio tra V.E. e Mallet2 .

Ha cominciato col dirmi che a suo avviso nel giudicare azioni Governo britannico sembriamo sottovalutare importanza della reazione suscitata tra arabi da accordi di V.E. con Bevin. Per personale esperienza gli risulta che mentre da parte araba non si ha alcun odio contro gli italiani e loro interessi in Tripolitania, prospettiva di una nostra amministrazione incontra invece acuta ostilità. Come potenza amministrante e responsabile Gran Bretagna aveva dovuto spiegare localmente in che circostanze si fosse giunti a suo tempo al noto compromesso e come esso sia ora superato dagli avvenimenti.

Ho replicato che fretta ansiosa con cui Bevin stesso fin da colloquio del 31 maggio con QuaronP gli aveva dichiarato di aver fatto «crystal clear» che l'accordo Sforza-Bevin doveva considerarsi «morto e sepolto» e lo zelo con cui ora l'Inghilterra cercava di scusarsene con gli arabi di Tripoli, ci dava giustificatissima inquietudine che al Foreign Office si stesse preparando qualche altra manovra per scalzare definitivamente le nostre posizioni in Tripolitania.

Come ambasciatore era mio dovere avvertire Roma che questa era la mia chiara sensazione e che la cosiddetta «nuova formula» che si stava «cercando» non fosse che un eufemismo per guadagnare tempo fino a farci trovare di fronte a nuovi fatti compiuti. Anche la parola «interessi italiani» poteva avere significati equivoci in bocca a loro. Interessi nostri sono anche quelli degli italiani in Argentina. Meglio era parlare chiaro e a tempo. Noi volevamo collaborare alla ricerca di nuove formule ma nelle progettate conversazioni avremmo solamente perso tempo se da parte inglese si fosse tentato di svuotare poco a poco il contenuto sostanziale degli accordi reciproci, ossia il

1145 1 Vedi D. 1131.

2 Vedi D. 1136.

3 Vedi D. 1035.

riconoscimento della nostra particolare posizione nei confronti della Tripolitania che è qualche cosa di diverso che non la semplice difesa di singoli interessi locali.

Il mio Governo aveva dimostrato in tutti i modi di non pretendere di mantenere alla lettera il compromesso ma le nostre ultime proposte erano di tale liberalità che ero sicuro sarebbero state accettabili anche al mondo arabo. Occorreva solo che l'Inghilterra dimostrasse comprensione e buona volontà. Se esse fossero mancate non sarebbe poi stato giusto di rimproverarci di aver proposto «ai nostri amici le nostre formule e di chiedere per esse ogni possibile appoggio altrove».

Questo sopratutto ebbe l'aria di impressionare Strang che mi aveva ascoltato in silenzio senza protestare in nessun momento. A conclusione mi disse, in tono amichevole: «da parte mia ritengo possibile di trovare un accordo per camminare insieme».

Essendomi incontrato in precedenza con Mayhew gli ho tenuto in forma chiarissima e confidenziale lo stesso discorso pregandolo di riferirne direttamente a Bevin.

1146.

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 7058/50. Ottawa, 29 giugno 1949, ore 16,37 (perv. ore 7,30 del 30).

Mio telegramma stampa 49 1 .

Schiacciante successo elettorale ha enormemente accresciuto anche Stati Uniti prestigio primo ministro, qui ormai acclamato come una maggiori personalità storiche Canada. Governo (che dispone Camera 193 liberali su 262 deputati) dovrebbe avere dinanzi a sé quinquennio sicuro, come anche riconosciuto apertamente da altri partiti.

Pemettoni pertanto sottoporre V.E. opportunità questa ambasciata faccia pervenire Saint Laurent messaggio personale felicitazioni presidente del Consiglio e V.E. nonché sue personali congratulazioni Pearson2•

1147.

IL MINISTRO A PRAGA, VANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1370/737. Praga, 29 giugno 1949 (perv. i/4 luglio).

Riferimento: Telespresso di questa legazione n. 137/705 del 27 giugno u.s. 1 .

1146 1 Del28 giugno, non pubblicato. 2 Sforza aderì a questa proposta inviando i messaggi di felicitazioni per Saint Laurent e Pearson con T. 5515/50 del 30 giugno. 1147 1 Non pubblicato.

Dali 'alto della collina di Hradcany, dove il palazzo arcivescovile di Praga sorge di fronte alla residenza dei presidenti cecoslovacchi, mons. Beran, strettamente sorvegliato dalla polizia di Stato e sempre più tagliato fuori da collaboratori e fedeli, è riuscito ancora una volta a fare udire il suo pensiero in tutte le chiese della Repubblica. (Lettera pastorale in allegato letta la domenica 26 giugno )1• Pensiero che riassume i termini del contrasto tra Chiesa e Stato e che, nello stesso tempo, con precisione di forma e ricchezza di sostanza, ribadisce i principi della dottrina di Cristo. Ma tali principi nei confronti degli uomini, e delle donne, e dei fanciulli di una nazione, ove più nessun diritto naturale vien riconosciuto, assumono oramai il carattere appunto, al di là delle confessioni, al di là della professione di una religione, di attributi primordiali non solo dell'uomo in quanto tale, ma anche del cittadino. Questo è il profondo significato della lunga pastorale, la quale costituisce in tal modo l'estrema, solenne e pubblica reazione non solo della Chiesa, ma da parte della Chiesa in difesa delle libertà calpestate della nazione cecoslovacca. Nel paese di Hus, la Chiesa di Roma, svincolata da ogni impegno o ipoteca di carattere politico, è riuscita ad ergersi quale eroica paladina della bandiera della libera Cecoslovacchia!

E ciò che più conta, per il valore storico e la solennità insieme dell'appello, sono le firme di tutti quanti i presuli apposte senza eccezione in calce al documento.

Il Governo, costretto nelle panie di un materialismo dialettico che trascina inesorabilmente i piccoli uomini del comunismo cecoslovacco su di una falsariga obbligata, non trova altro che ricorrere alle crescenti misure poliziesche, che tarpino le ali delle gerarchie ecclesiastiche, alle quali riunioni e pastorali sono indicate quali violazione delle leggi della Repubblica, ove esse non siano preventivamente consentite dalle autorità. Ciò in attesa di qualche nuova messa in scena che possa giustificare «legalmente» le estreme misure per addivenire a quel completo servaggio che si intenderebbe imporre anche alla coscienza degli uomini, privati oramai di ogni diritto civile.

L'attacco del ministro della giustizia, contro l'incaricato d'affari della Santa Sede, segnalato col telespresso a riferimento, costituisce già una base per le accuse a mons. Beran di «connivenza col nemico». Si è inteso evidentemente sostanziare tale attacco verbale, procedendo al fermo, sia pur breve, di mons. Verolino da parte della polizia di Stato, durante un recentissimo viaggio di quest'ultimo in Slovacchia. Tale inaudito procedimento ha fatto oggetto di una protesta al ministro degli esteri da parte di questo decano del Corpo diplomatico signor Déjean, ambasciatore di Francia.

L'opinione pubblica in Boemia e in Mora via continua ad essere profondamente scossa dagli eventi, mentre in Slovacchia quella popolazione, sempre più vitale e coraggiosa dei cechi, manifesta apertamente, reagendo con i fatti alla minaccia armata (due soldati uccisi) e presidiando chiese e presbiteri.

Se pur tuttavia la bandiera è sempre alta nei cuori, l'estremo cerchio poliziesco appare oramai chiuso intorno ai presuli, e mons. Beran attende oramai l'ora dell'estremo sacrificio. «Deus providebit», è l'ultimo messaggio che egli ha fatto passare oltre la cortina di fucili mitragliatori che lo stringe nel suo stesso palazzo.

1148.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 5504/c. Roma, 30 giugno 1949, ore 16,15.

(Per Londra) Nostro passo a Washington è quello di cui alla lettera di Zoppi

n. 2595 del 20 corrente mese 1 e telespressi di questo Ministero n. 2678 e 2696 del 27 e 29 u.s. 2 . Abbiamo formulato note proposte a Londra per Libia e per Eritrea, e le abbiamo comunicate a Washington e a Parigi. Su tali proposte siamo pronti e anzi desideriamo aprire conversazioni a quattro oltre che a due (Italia-Inghilterra). Premiamo nel frattempo costì a Washington e a Parigi perché codesto Governo si astenga da ulteriori azioni unilaterali.

(Per tutti) Ricevendo iersera ambasciatore di Francia gli ho confermato che noi desideriamo delle conversazioni a quattro per la Libia e non gli ho nascosto che dovremo esprimere oramai un avviso contrario circa piani di divisione Eritrea che sono respinti dalla maggioranza degli eritrei.

1149.

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, ZAMBONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7098/128. Mosca, 30 giugno 1949, ore 23,01 (perv. ore 7,30 dell 0 luglio).

Pravda e lsvestia hanno oggi pubblicato lunga intervista Vyshinsky su risultati Conferenza Parigi. In sostanza, ripetendo note argomentazioni svolte alla Conferenza, egli intende ribattere recenti affermazioni di Truman e Acheson circa successo politica di fermezza e dimostrare che potenze occidentali, dopo aver inutilmente tentato imporre estensione costituzione di Bonn, hanno dovuto, di fronte fermezza sovietica, accettare concetti basilari delle proposte fatte sin dali 'inizio dai sovietici come del resto risulta da un «accurato ed attento» esame del comunicato finale.

Riguardo Austria afferma che potenze occidentali sono state forzate accettare giuste domande sovietiche relative a beni tedeschi. Circa Jugoslavia valorizza protezione delle minoranze Carinzia e abbandono beni austriaci a beneficio economia jugoslava: quanto a rinunzia rivendicazioni territoriali dichiara che U.R.S.S. non può assumere alcuna responsabilità in seguito intrighi orditi alle sue spalle da Jugoslavia con inglesi da due anni.

1148 1 Trasmetteva la documentazione più recente relativa ai contatti con Washington sulla questione coloniale. Vedi DD. 1085, 1096 e 1099, Allegato. 2 Per il Telespr. 3/2678/c. vedi D. 1120, nota l. Il Telespr. 3/2696/c. ritrasmetteva a Londra e Parigi il D. 1138.

Vyshinsky assicura risultato principale di Parigi è stato il forzato riconoscimento che questione tedesca non può essere risolta senza U.R.S.S. e conclude dichiarando che, come alla presente sessione Parigi si è potuti giungere soltanto attraverso concessioni reciproche, così anche nel futuro saranno necessarie ulteriori mutue concessioni compatibili con principi Potsdam.

Stampa sovietica aveva, all'indomani chiusura lavori, presentato risultati come incoraggianti per futura collaborazione fra le quattro potenze e non era più ritornata in argomento.

Odierna intervista e analogo articolo Pravda 26 corrente sono manifestazioni reazione sovietica a insistente presentazione, da parte potenze occidentali, dei risultati conferenza come insuccesso politica sovietica in Europa. Giustificazioni addotte soltanto ora per abbandono rivendicazioni Jugoslavia sono ovviamente deboli e denotano evidente imbarazzo questo Governo al riguardo.

1150

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7105/496. Washington, 30 giugno 1949, ore 20 (perv. ore 7,30 dello luglio). Mio 4781•

Bonnet ha visto Rusk ieri ed ha insistito con lui su seguenti punti:

l) necessità tempestive conversazioni a quattro; 2) necessità che non si verifichino altri fatti compiuti (in proposito ha citato sedicente missione economica britannica, di cui Rusk ha cercato diminuire importanza);

3) necessità che, ove ci si orienti verso indipendenza libica, realizzazione di questa sia circondata da estrema cautela e che sopratutto Governo senusso non sia esteso a Tripolitania senza assoluta garanzia che ciò corrisponda a volontà democraticamente espressa da popolazione locale.

Rusk, premesso che avrebbe riferito ad Acheson e fatto conoscere di lui decisioni, ha preliminarmente risposto su stesse linee di cui a sua conversazione con me (mio 473)2 . Egli ha infatti ammesso necessità conversazioni a quattro facendo però presente opportunità che esse, non appena potranno uscire da attuale fase preliminare, siano trasferite a New York, tra l'altro per potervi in un secondo tempo associare uno Stato sud americano ed uno Stato arabo o portavoce degli Stati arabi (ad esempio Turchia).

Rusk ha ammesso altresì necessità evitare fatti compiuti, ma, come detto sopra, si è sforzato difendere recente azione inglese. Circa concreta soluzione del problema, Rusk non è andato oltre generiche assicurazioni rispetto volontà popolazione.

Vedrò io stesso Rusk domanP.

1150 1 Vedi D. 1127.

2 Vedi D. 1120.

3 Tarchiani riferì su questo colloquio con il T. segreto 7162/502 del l o luglio che si pubblica nel volume successivo.

<
APPENDICI

APPENDICE/

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(1° gennaio-30 giugno 1949)

MINISTRO SEGRETARIO DI STATO

SFORZA Carlo, senatore della Repubblica.

SOTTOSEGRETARI

BRUSASCA Giuseppe, deputato al Parlamento. MoRo Aldo, deputato al Parlamento.

GABINETTO DEL MINISTRO

Capo del Gabinetto: MaNDELLO Mario, console di 2a classe, dall'Il gennaio.

Vice capo del Gabinetto: N.N.

Ufficio del Gabinetto: MaNDELLO Mario, console di 2a classe, fino al IO gennaio; ORLANO! CaNTUCCI Corrado, console di 2a classe, dal 16 gennaio; CoRNAGGIA MEDICI CASTIGLION! Gherardo, console di 3a classe, fino al 19 marzo; CoNTE MAROTTA Aldo, addetto consolare, dal 24 giugno vice console di l a classe, fino al l o febbraio; BoLASCO Ernesto, volontario, fino al 31 maggio.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL MINISTRO

Capo della Segreteria particolare: CALEF prof. Vittorio.

Segretari particolari: BETTINI Emilio, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, dal24 giugno vice console di la classe; BACCHETTI Fausto, addetto consolare, da giugno; BoLASCO Ernesto, volontario, dal 26 giugno addetto consolare, dal l o giugno.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL SOTTOSEGRETARIO BRUSASCA

Capo della Segreteria particolare: BETTELONI Giovanni Lorenzo, primo segretario di legazione di 2a classe.

Segretario: CAGIATI Andrea, volontario, dal 26 giugno addetto consolare.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL SOTTOSEGRETARIO MORO

Capo della Segreteria particolare: POMPEI Gianfranco, console di 2a classe.

Segretari: MESSER! Girolamo, console di 2a classe, fino al 15 febbraio; FABBRICOTTI Fabrizio, console di 3a classe; TAMAGNINI Giulio, volontario, dal 26 giugno addetto consolare; VALLE Antonio, vice ispettore per i servizi tecnici, fino al 6 gennaio.

SEGRETERIA GENERALE

Segretario generale: ZOPPI Vittorio, ministro plenipotenziario di l a classe.

UFFICIO COORDINAMENTO

Capo ufficio: CASTELLANI PASTORIS Vittorio, consigliere di legazione.

Segretari: ToscANI MrLLO Antonio, PAscuccr RIGHI Giulio, consoli di 2a classe; DAINELLI Luca, console di 2a classe, fino al 9 marzo; RrccruLLI Pasquale, volontario, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe.

UFFICIO COLONIE E CONFINI

Capo ufficio: CASTELLANI PASTORIS Vittorio, consigliere di legazione.

Segretari: PAPINI ltalo, vice console di l a classe, dal 23 giugno console di 3a classe; GUILLET Amedeo, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe; UNGARO Mario, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe, dal 3 gennaio.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Capo del Cerimoniale: TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, ambasciatore.

Vice capo del Cerimoniale: ScoLA CAMERINI Giovanni, consigliere di legazione.

Segretari: MACCHI DI CELLERE Pio, primo segretario di legazione di l a classe, fino al 12 maggio; PLETTI Mario, primo segretario di legazione di l a classe, dal l o maggio; FARACE Ruggero, primo segretario di legazione di 2a classe, fino al 29 aprile; AMBROSI Giovanni Battista, console di l a classe, dal 26 aprile; DE GIOVANNI Luigi, console di 2a classe, fino all' 11 giugno; QuARANTA Ferdinando, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe, dal 20 gennaio; GUIDI DI BAGNO Ricciardo, addetto consolare, dal 24 giugno vice console di l a classe; CARRARA Enrico, addetto consolare, dal 30 giugno.

UFFICIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Capo ufficio: PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale all'Università di Roma.

Segretari: MARESCA Antonio, console di 2a classe; DE Rossi Michele Gaetano, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di la classe; RAFFAELLI Pietro, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO STAMPA ESTERA

Capo ufficio: FARACE Alessandro, console di 2a classe, reggente.

Segretari: VINCI Piero, console di 2a classe, fino al 19 gennaio; RICCARDI Roberto, console di 3a classe, dal 21 febbraio; BOLASCO Vincenzo, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, fino al 6 febbraio; CARDUCCI ARTENISIO Ludovico, SAVORGNAN Emilio, volontari, dal 26 giugno addetti consolari; PATUELLI Raffaello, addetto stampa di 2a classe.

UFFICIO STuDI E DocuMENTAZIONE ARCHIVIO STORICO E BIBLIOTECA

Capo ufficio: SCARPA Gino, console generale di 2a classe.

Consulente storico: ToscANO Mario, professore ordinario di Storia dei trattati e politica internazionale all'Università di Cagliari.

Studi e Documentazione

Segretari: VAGNETTI Leonida, ispettore generale per i servizi tecnici; FLAMINI Pietro, vice ispettore per i servizi tecnici.

Archivio Storico

Incaricato della direzione: MOSCATI Ruggero, direttore di l a classe negli Archivi di Stato.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele.

SERVIZIO ECONOMICO TRATTATI

Capo del servizio: CARUSO Casto, ministro plenipotenziario di 2a classe.

Alle dirette dipendenze del capo servizio: BADOGLIO DI ADDIS ABEBA Mario, ministro plenipotenziario di 2a classe, fino al 28 giugno; TRABALZA Folco, console di 3a classe; GALLUPPI Enrico, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe.

Addetti al servizio: SCHININÀ DI S. ELIA Emanuele, console generale di 2a classe, fino al l 0 marzo; BENUZZI Felice, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, fino al 30 marzo.

UFFICIO l

Capo ufficio: SPINELLI Pier Pasquale, primo segretario di legazione di 2a classe.

Segretari: RosSETTI Romano, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di la classe, dal 19 gennaio; RESTIVO Antonino, volontario, dal 26 giugno addetto consolare.

UFFICIO II

Capo ufficio: ALOISI DE LARDEREL ALLUMIERE Folco, primo segretario di legazione di classe, dal 14 marzo.

Segretari: CASILLI n'ARAGONA Massimo, addetto consolare, dal 25 giugno vice console di 2a classe, dal 4 gennaio; BILANCIONI Giulio, volontario, dal 26 giugno addetto consolare.

SERVIZIO AFFARI GENERALI1

Capo servizio: CAROSI Mario, console generale di l a classe, dal 24 aprile.

UFFICIO I

Trattati e Atti

Capo ufficio: TELESIO DI TORITTO Giuseppe, consigliere di legazione, dal 24 aprile.

Segretario: PAOLINI Remo, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di P classe, dal 24 aprile.

UFFICIO II

Organizzazioni internazionali

Capo ufficio: STRANEO Carlo Alberto, primo segretario di legazione di l a classe, dal 24 aprile.

Segretario: DE REGE THESAURO DI DONATO E DI SAN RAFFAELE Francesco, console di 3a classe, dal 24 aprile.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI Direttore generale: GuiDOTTI Gastone, ministro plenipotenziario di 2a classe. Vice direttore generale: SoARDr DI S. ANToNINO Carlo Andrea, consigliere di legazione, dal

26 luglio ministro plenipotenziario di 23 classe; CONTI Mario, consigliere di legazione. Segretari: COTTAFAVI Antonio, consigliere di legazione; LUCIOLLI Giovanni, console di 2a classe; MARRAS Raffaele, volontario, dal 26 giugno addetto consolare.

UFFICIO I

Impero britannico, Irlanda, Paesi del Medio Oriente, Etiopia

Capo ufficio: ROBERTI Guerino, consigliere di legazione.

1 Istituito con o.d.s. n. 25 del 18 novembre 1948, ne fanno parte l'Ufficio Trattati e Atti (Ufficio I) e l'Ufficio O.N.U. (Ufficio II), finora alle dipendenze del segretario generale. L'Ufficio O.N.U. modifica la sua denominazione in Ufficio Organizzazioni Internazionali.

Segretari: PIZZIRANI Guglielmo, vice console di la classe, dal4 gennaio console di 3a classe, fino al 15 maggio; PIGNATELLI DELLA LEONESSA Luigi, vice console di l a classe, dal 23 giugno console di 3a classe, dal 18 gennaio; CANCILLA Giuseppe, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe, dal 4 gennaio.

UFFICIO II

Francia, Spagna, Portogallo, Andorra, Colonie francesi, spagnole e portoghesi

Capo ufficio: SILVESTRELLI Luigi, primo segretario di legazione di l a classe.

Segretari: VARVESI Nicola, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di la classe, dal4 gennaio; SoGNO RATA DEL VALLINO Edgardo, addetto consolare, fino al 2 gennaio; VALFRÉ DI BONZO Paolo, volontario, dal 26 giugno addetto consolare.

UFFICIO III

Stati del continente americano (escluso il Canada)

Capo ufficio: SCAGLIONE Roberto, consigliere di legazione, fino al 13 aprile; SENSI Federico, console di 2a classe, dall4 aprile.

Segretari: SENSI Federico, console di 2a classe, fino al 13 aprile; CANTONO DI CEVA Stanislao, console di 3a classe, dal 4 gennaio; TEDESCHI Mario, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe.

UFFICIO IV

U.R.S.S., Europa danubiana e balcanica, Turchia, Questione del Territorio Libero di Trieste, Commissioni Internazionale ed Europea del Danubio

Capo ufficio: Lo FARO Francesco, primo segretario di legazione di la classe.

Segretari: ROMANELLI Renzo Luigi, console di 3a classe; NuTI Giampiero, console di 3a classe, dal 5 maggio; TONARELLI Mario, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe, dal 4 gennaio; FUMAROLA DI PORTOSELVAGGIO Angelo Antonio, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, fino al1'8 marzo; CAVAGLIERI Alberto, volontario, dal 26 giugno addetto consolare; DE SANTO Demetrio, commissario tecnico per l'Oriente di l a classe, fino ali' 11 aprile.

UFFICIO V

Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Danimarca, Finlandia, Germania, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Svizzera

Capo ufficio: MAZIO Aldo Maria, primo segretario di legazione di l a classe, fino al1'8 maggio; PINNA CARBONI Mario, primo segretario di legazione di 23 classe, dal 9 maggio.

Segretari: FALCHI Silvio, console di 2a classe, fino al 24 gennaio; SMOQUINA Giorgio, console di 3a classe, dall'Il aprile; BORIN Ottorino, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe, dal1'8 gennaio; PASCARELLI Elio, volontario, dal 26 giugno addetto consolare.

UFFICIO VI

Cina, Giappone, Siam, Birmania, Filippine, Corea

Capo ufficio: SrMONE Nicola, console di l a classe.

Segretario: VINCENTI MARERI Francesco, vice commissario tecnico per l'Oriente di P classe, dal 30 giugno.

UFFICIO VII

Santa Sede, San Marino

Capo ufficio: SOARDI DI S. ANTONINO Carlo Andrea, consigliere di legazione.

Segretario: BRIGTDI Giuseppe, console di 2a classe.

UFFICIO VIII

Prigionieri di guerra, internati civili, rifugiati, questioni varie

Capo ufficio: Bosro Giovanni Jack, console generale di 2a classe.

Segretari: MARTINA Gian Luigi, console di l a classe, fino al 30 gennaio; BAISTROCCHI Ettore, primo segretario di legazione di l a classe; AGLIETTI Bruno, addetto consolare, dal 25 giugno vice console di 23 classe, dal 19 gennaio; CusANI Giovanni, vice ispettore per i servizi tecnici, fino al 14 gennaio.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: GRAZZI Umberto, ministro plenipotenziario di l a classe.

Direttore generale aggiunto: LANZA D'AIETA Blasco, ministro plenipotenziario di 2a classe.

Vice direttore generale: PRATO Eugenio, primo segretario di legazione di l a classe.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: CoRTESE Paolo, consigliere; TOFFOLO Giovanni Battista, console di l a classe.

UFFICIO I

Questioni generali

Capo ufficio: BRUGNOLI Alberto, primo segretario di legazione di 2a classe.

Segretari: SoRo Diego, console di 3a classe; Rossi Mario Franco, vice console di l a classe, dal 4 gennaio console di 3a classe; LENZI Alfredo, addetto commerciale di 2a classe, fino al 28 gennaio; PIOPPA Roberto, assistente addetto commerciale di l a classe, fino al 3 febbraio; SERAFINI Marcello, assistente addetto commerciale di 3a classe in prova, dal 15 febbraio.

UFFICIO II

Spagna, Portogallo, Francia, Benelux e relative colonie, Stati Scandinavi, Svizzera, Bizona, Tangeri

Capo ufficio: GABRICI Tristano, primo segretario di legazione di l a classe.

Segretari: BozziNI Uberto, volontario, dal 26 giugno addetto consolare; CuSANI Giovanni, vice ispettore per i servizi tecnici, dal 15 gennaio; SAVINI Paolo, addetto commerciale di 2a classe, dal l O maggio; SERTOLI Mario, addetto stampa di l a classe, dal l 0 gennaio.

UFFICIO III

U.R.S.S., Polonia, Cecoslovacchia, Austria, Bulgaria, Finlandia, Grecia,

Albania, Jugoslavia, Romania, Turchia, Zona sovietica della Germania

Capo ufficio: NOTARANGELI Tommaso, consigliere commerciale di 2a classe.

Segretari: FRANZÌ Mario, console di 3a classe; CANEVARO DI CASTELVARI E ZOAGLI Raffaele, console di 3a classe; D'ORLANDI Giovanni, vice console di 2a classe, dal 26 giugno vice console di l a classe; CASAGRANDI Erberto, assistente addetto commerciale di 2a classe, dal 4 gennaio; Tozzou Lorenzo, assistente addetto commerciale di 3a classe in prova, dal 15 febbraio.

UFFICIO IV

Soccorsi americani, Organizzazioni economiche internazionali, Piano Marshall, Questioni connesse con la guerra e con i trattati di pace (salvo la competenza del S.E. T.)

Capo ufficio: CARACCIOLO DI CASTAGNETO Filippo, primo segretario di legazione di 2a classe, fino al 30 giugno.

Segretari: MILESI FERRETTI Gian Luigi, console di 2a classe; TRINCHIERI Alfredo, console di 3a classe, fino al 27 marzo; CoLUCCI Bruno, vice console di P classe, dal 23 giugno console di 3a classe; FAVALE Marco, volontario, dal 26 giugno addetto consolare.

UFFICIO V

Gran Bretagna e Possedimenti, Irlanda, Australia, Ceylon, Nuova Zelanda, Sud Africa, India, Pakistan, Arabia Saudita, Egitto, Iraq, Yemen, Siria, Palestina, Transgiordania, Libano, Afghanistan, Iran, Birmania

Capo utiicio: DE LUIGI Pier Giuliano, console di 2a classe.

Segretari: BACCI DI CAPACI Vittorio, console di 3a classe; CoTTAFAVI Luigi, volontario, dal 26 giugno addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE DELL'EMIGRAZIONE

Direttore generale: VIDAU Luigi, ministro plenipotenziario di l a classe.

Vice direttore generale: CASTRONUOVO Manlio, primo segretario di legazione di l a classe.

Segretari: VALLE Antonio, vice ispettore per i servizi tecnici, fino al 6 gennaio; TALLI Roberto, vice ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO 12

Emigrazione e collettività in Gran Bretagna, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Francia, Principato di Monaco, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Africa, Palestina, Siria, Libano, Iraq, Transgiordania, Arabia Saudita, Yemen, Aden, Malta, Cipro

Capo ufficio: MANSI Stefano, console di 3a classe, dal 19 febbraio console di 2a classe.

Segretari: GRASSELLI BARNI Gian Luigi, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe, dal 21 gennaio; 0RSTNI BARONI Carlo Andrea, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe; MARA Andrea, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe, dal 4 gennaio; MASSA BERNUCCI Romualdo, vice console di l a classe.

UFFICIO Il

Emigrazione e collettività in tutta l 'Europa non di competenza del! 'Ufficio I, in Turchia e nelle regioni asiatiche dell'U.R.S.S.

Capo ufficio: AMBROSI Giovanni Battista, console di l a classe, fino al 25 aprile.

Segretari: CERCHIONE Roberto, vice console di la classe, dal 23 giugno console di 3a classe; ADORNI BRACCESI Gastone, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe, dal 4 gennaio; CuSANI Giovanni, vice ispettore per i servizi tecnici, dal 15 gennaio.

UFFICIO III

Emigrazione e collettività nel Centro e Sud America

Capo ufficio: LEONTNI Camillo, console di l a classe; DE FERRARI Giovanni Paolo, console di 2a classe, dal 28 marzo.

Segretari: DE FERRARI Giovanni Paolo, console di 2a classe, fino al 27 marzo; OLIVIERI Luciano, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe; TaRNETTA Vincenzo, volontario, dal 26 giugno addetto consolare; TuCCIMEI Tito, ispettore superiore per i servizi tecnici, dal 28 aprile; BIFULCO Vittorio, ispettore capo per i servizi tecnici, fino al 16 maggio.

2 Con o.d.s. n. 12 D.G. Pers. A.I. Uff. I del 20 giugno 1949 a partire dal l o giugno le competenze degli uffici I e IV sono ripartite come segue: Uff. IV: Emigrazione e collettività negli Stati Uniti e Alaska, Regno Unito, Gibilterra, Malta, Cipro, Aden, Possedimenti e zone d'amministrazione britannica in Africa, Unione Sudafricana, Canada, Nuova Zelanda, Australia, Isole del Pacifico e Stati dell'Asia non di competenza di altri uffici. Rimangono di competenza dell'Uff. I: Emigrazione e collettività nei Paesi Bassi, Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Francia, Monaco, Spagna, Portogallo, Israele, Siria, Libano, Iraq, Transgiordania, Arabia Saudita, Yemen, Stati e territori dell'Africa non di competenza dell'Uff. IV.

UFFICIO IV3

Emigrazione e collettività negli Stati Uniti, Canada, Alaska, Nuova Zelanda, Australia, Isole del Pacifico e regioni del/ 'Asia non di competenza di altri uffici

Capo ufficio: SETTI Giuseppe, primo segretario di legazione di 2a classe; JEZZI Alberto, console di 3a classe, dal 15 marzo.

Segretari: Przzurr Federico, CoRRADINI Giancarlo, volontari, dal 26 giugno addetti consolari.

DIREZIONE GENERALE DELLE RELAZIONI CULTURALI

Direttore generale: TALAMO ATENOLFI BRANCACCIO Giuseppe, ministro plenipotenziario di l a classe.

Vice direttore generale: ORLANDINI Gustavo, console generale di 2a classe.

Segretario: Lo Russo ATTOMA Nicola, addetto stampa di 3a classe.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: Dr GIURA Giovanni, ministro plenipotenziario di 2a classe; SALLIER DE LA TOUR CoRIO Paolo, consigliere di legazione.

UFFICIO I

Affari generali, Accordi culturali, Congressi e mostre internazionali in Italia e ali 'estero, Libro italiano al! 'estero, Attività musicali, teatrali e cinematografiche all'estero, Attività all'estero di enti culturali italiani, Viaggi di studio, Questioni inerenti all'organizzazione mondiale della sanità, agli assistenti sociali e agli sports, Turismo e radio, Bollettino di informazioni culturali, U.N.E.S.C.O.

Capo ufficio: MuZI FALCONI Filippo, primo segretario di legazione di l a classe.

Segretari: FARINACCI Franco, STADERINI Ettore, consoli di 2a classe; MrNINNI Marcello, console di 3a classe; NATALE Fernando, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe; CoRSI Fernando, ispettore capo per i servizi tecnici; DE MANDATO Mario, addetto stampa di 3a classe.

3 Cfr. nota 2.

UFFICIO II

Istituti di cultura, Lettorati, Istituti culturali stranieri in Italia, Scambi universitari e borse di studio, Riconoscimento dei titoli di studio e professionali conseguiti al! 'estero

Capo ufficio: DE GIOVANNI DI SANTA SEVERINA Luigi, console di 2a classe, dal 12 giugno.

Segretari: CANNAVINA Paolo, addetto consolare, dal 25 giugno vice console di 2a classe, dal21 gennaio; CABALZAR Ferruccio Guido, addetto stampa di 3a classe.

UFFICIO III

Scuole secondarie ed elementari al! 'estero, Studi e consulenza legislativa scolastica, Materiale didattico, Biblioteche, Rapporti con la Fondazione figli degli italiani al! 'estero e collegi dipendenti

Capo ufficio: MALASPINA DI CARBONARA E DI VOLPEDO Falchetto, primo segretario di legazione di l a classe.

Segretario: MASOTTI Pier Marcello, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DELL'AMMINISTRAZIONE INTERNA

Direttore generale: BERlO Alberto, ministro plenipotenziario di l a classe.

Vice direttore generale: 0TTAVIANI Luigi, ministro plenipotenziario di 2a classe.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: BIANCONI Alberto, console generale di l a classe; LUCIOLLI Giovanni, console di 2a classe; GHEZZI MORGALANTI Pietro, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe; FRANcrscr DI BASCHI Marco, volontario, dal 26 giugno addetto consolare; EMILIANI Luigi, commissario consolare di l a classe, fino al 5 aprile.

UFFICIO I

Personale di gruppo A

Capo ufficio: FERRERO Andrea, primo segretario di l a classe.

Segretari: PROFILI Giacomo, Russo Augusto, FRAGNITO Giorgio, consoli di 2a classe.

UFFICIO II

Personale di gruppo B e C, avventizio, locale, subalterno e salariato

Capo ufficio: SIRCANA Leone, console generale di 2a classe.

Segretario: ZUGARO Folco, console di 3a classe.

UFFICIO III

Sedi demaniali e intendenza

Capo ufficio: MONTESI Giuseppe, console generale di l a classe.

Segretario: FossATI Mario, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO IV

Servizi amministrativi, Cassa

Capo ufficio: TURCATO U go, console generale di l a classe.

Segretari: BERTUCCIOLI Romolo, console generale di 2a classe; STEFENELLI Ferruccio, console di l a classe; BaCCHETTO Domenico, vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l a classe; CERACCHI Giuseppe, commissario consolare di l a classe; BLANDI Silvio, ispettore superiore per i servizi tecnici; BARILLARI Michele, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO V

Corrispondenza, Servizio corrieri diplomatici, Viaggi del personale

Capo ufficio: NATALI Umberto, console generale di l a classe.

Segretario: CHASTEL Roberto, console di 2a classe.

UFFICIO VI

Cifra e crittografico

Capo ufficio: ROMIZI Gino, console di la classe.

Segretari: BERNI Canani Ugo, console di 2a classe; CAMPANELLA Francesco Paolo, console di 3a classe; CRESCINI Adolfo, addetto consolare; SALLIER DE LA TouR Carlo, CoRTESE Federico, ispettori per i servizi tecnici.

SERVIZIO AFFARI PRIVATI

Capo servizio: LANZARA Giuseppe, console generale di l a classe.

Alle dirette dipendenze del capo servizio: ScHININÀ DI S. ELIA Emanuele, console generale di 2a classe, dal 2 marzo.

UFFICIO I

Cittadinanza, Diritti di famiglia, Stato civile, Servizio militare

Capo ufficio: FORMICHELLA Giovanni, console di l a classe. Segretario: GRANDINETTI Eugenio, ispettore superiore per i servizi tecnici.

UFFICIO II

Tutela diritti ed interessi patrimoniali, Assistenza consolare, Spedalità e rimpatri, Ricerche e informazioni

Capo ufficio: GIURATO Giovanni, console di l a classe.

Segretario: CORDERO DI MoNTEZEMOLO Vittorio, addetto consolare, dal 3 gennaio vice console di 2a classe, dal 24 giugno vice console di l aclasse.

UFFICIO IIl

Atti tra vivi, Successioni, Assistenza giudiziaria, Estradizione

Capo ufficio: MAURO Sestino, console di l a classe. Segretario: MANCA Elio, ispettore superiore per i servizi tecnici.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DELLA REPUBBLICA ITALIANA ALL'ESTERO

(JO gennaio-30 giugno 1949)

AFGHANISTAN

Kabul -CALISSE Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ARABIA SAUDITA

Gedda-ZAPPI Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PASQUINELLI Cesare, primo segretario, dal 3 aprile.

ARGENTINA

Buenos Aires -ARPESANI Giustino, ambasciatore; CASARDI Alberico, consigliere; THEODOLI Livio, primo segretario; PLAJA Eugenio, secondo segretario.

AUSTRALIA

Canberra -DEL BALZO DI PRESENZANO Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 4 febbraio; CrRAOLO Giorgio, primo segretario, dal 4 febbraio.

AUSTRIA

Vienna -CosMELLI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE NovELLIS Gennaro, primo segretario; PIGNATTI MORANO DI CusrozA Girolamo, secondo segretario; SEBASTIANI Lucio, terzo segretario.

BELGIO

Bruxelles -DIANA Pasquale, ambasciatore; VENTURINI Antonio, consigliere; ALOISI DE LARDEREL Folco, primo segretario, fino al 13 marzo; MESSERI Girolamo, primo segretario, dal 16 febbraio.

BOLIVIA

La Paz-GIARDINI Renato, consigliere, incaricato d'affari ad interim.

BRASILE

Rio de Janeiro -MARTINI Mario Augusto, ambasciatore; BoRGA Guido, ministro consigliere; BOMBASSE! FRASCANI DE VETTOR Giorgio, primo segretario; SILVESTRELLI Luigi, primo segretario; MACCOTTA Giuseppe Walter, secondo segretario.

BULGARIA

Sofia -GUARNASCHELLI Giovan Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SOLARI Pietro, primo segretario, fino al 26 maggio; TERRuzzr Giulio, secondo segretario.

CANADA

Ottawa -DI STEFANO Mario, ambasciatore; MAJOLI Mario, consigliere.

CECOSLOVACCHIA

Praga -VANNI D'ARCHIRAFI Francesco Paolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FRANCO Fabrizio, primo segretario, fino al 23 gennaio; MARCHIORI Carlo, primo segretario, dal 26 gennaio; DAINELLI Luca, secondo segretario, dal 2 maggio.

CILE

Santiago -FORNARI Giovanni, ambasciatore; Rrccro Luigi, consigliere; MACCHI DI CELLERE Pio, consigliere, dal 13 maggio; VENTURINI Roberto, primo segretario.

CINA

Nanchino -FENOALTEA Sergio, ambasciatore; CIPPICO Tristram, consigliere; MrzzAN Ezio, primo segretario.

COLOMBIA Bogotà -SECCO SUARDO Dino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

COSTARICA San José -ZANOTTI BrANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario1 .

CUBA

L 'Avana -FECIA DI CossATO Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario2; DE FERRARI Giovanni Paolo, primo segretario, fino al 27 marzo; SANFELICE DI MoNTEFORTE Antonio, primo segretario.

DANIMARCA

Copenaghen -CARISSIMO Agostino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PESCATORI Federico, primo segretario.

DOMINICANA (Repubblica) Ciudad Trujillo -Rossr LoNGHI Gastone, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ECUADOR Quito -PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

1 Residente a Guatemala. 2 Accreditato anche presso la Repubblica di Haiti.

EGITTO

Il Cairo -FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARCHI Pio Antonio, primo segretario; DE STROBEL DI FRATTA Maurizio, secondo segretario, fino al 3 aprile; BIONDI MoRRA DI SAN MARTINO Goffredo, terzo segretario, dal l o aprile secondo segretario.

EL SALVADOR

San Salvador -ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario1.

FILIPPINE

Mani/a-STRIGARI Vittorio, incaricato d'affari.

FINLANDIA

Helsinki -RONCALLI DI MONTORIO Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoNTARINI Giuseppe, primo segretario.

FRANCIA

Parigi -QuARONI Pietro, ambasciatore; GIUSTINIANI Raimondo, consigliere; CAVALLETTI Francesco, primo segretario; DE CLEMENTI Alberto, primo segretario; PIERANTONI Aldo, secondo segretario; MATACOTTA Dante, secondo segretario, fino al 4 febbraio; MACCAFERRI Franco, terzo segretario; FALCHI Silvio, quarto segretario, dal 25 gennaio; lEZZI Alberto, quarto segretario, fino al 14 marzo.

GIAPPONE

Tokyo -REvEDIN DI SAN MARTINO Giovanni, capo della missione diplomatica italiana presso il comando alleato del Pacifico; RUBINO Eugenio, vice capo della missione diplomatica.

GRAN BRETAGNA

Londra -GALLARATI ScoTTI Tommaso, ambasciatore; ANZILOTTI Enrico, consigliere, fino a giugno; PAVERI FONTANA DI FONTANA PRADOSA Alberto, primo segretario; MoNTANARI Franco, secondo segretario; WINSPEARE GuiCCIARDI Vittorio, terzo segretario; MANASSEI Alessandro, quarto segretario, fino al 19 marzo; CORNAGGIA MEDICI CASTIGLION! Gherardo, quarto segretario, dal 19 marzo; AILLAUD Enrico, quinto segretario.

GRECIA

Atene -PRINA RICOTTI Sidney, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARIENI Alessandro, primo segretario; VoLPE Arrigo, secondo segretario.

GUATEMALA

Guatemala -ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario3; CAPECE MINUTOLO DI BUGNANO Alessandro, primo segretario.

HAITI

Porto Principe -FECIA DI CossATO Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario4.

HONDURAS

Tegucigalpa -ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipo

tenziario1 .

INDIA

New Delhi-CARROBIO DI CARROBIO Renzo, incaricato d'affari.

3 Accreditato anche presso le repubbliche di Costarica, El Salvador, Honduras e Nicaragua. 4 Residente a L'Avana.

IRAN

Teheran -ROSSI LONGHI Alberto, ambasciatore; GUASTONE BELCREDI Enrico, primo segretario.

IRAQ

Baghdad -ERRERA Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 2 aprile; GRILLO Remigio Danilo, primo segretario, dal 2 aprile.

IRLANDA

Dublino -BABUSCIO Rizzo Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PAULUCCI Mario, primo segretario.

ISLANDA

Reykiavik-RULLI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario5 .

ISRAELE

Te! Aviv -ANZILOTTI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, designato.

WGOSLAVIA

Belgrado -MARTINO Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TAssoNI EsTENSE Alessandro, primo segretario; 0RLANDI CONTUCCI Corrado, secondo segretario, fino al 14 gennaio; MoscA Ugo, terzo segretario, dal 15 febbraio secondo segretario; FUMAROLA DI PoRTOSELVAGGIO Angelo Antonio, terzo segretario, dal 9 marzo.

5 Residente ad Osio.

LIBANO

Beirut -ALESSANDRINI Adolfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARCHIORI Carlo, primo segretario, fino al 25 gennaio; VINCI Piero, primo segretario, dal 20 gennaio.

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -FORMENTINI Omero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 27 giugno.

MESSICO

Città del Messico -PETRUCCI Luigi, ambasciatore; DE FERRARIIS SALZANO Carlo, primo segretario.

NICARAGUA

Managua -ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

NORVEGIA

Osio -RULLI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario6 .

PAESI BASSI

L 'Aja -BoMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANTINORI Orazio, primo segretario.

6 Accreditato anche presso la Repubblica di Islanda.

PAKISTAN

Karachi -AssETTATI Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PANAMA

Panama -MARIANI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PARAGUAY

Assunzione -FERRANTE DI RUFFANO Agostino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERÙ

Lima -CrccoNARDI Vincenzo, ambasciatore; SPALAZZI Giorgio, primo segretario.

POLONIA

Varsavia -DE Asns Giovanni, ambasciatore; FERRETTI Raffaele, consigliere; Duccr Roberto, primo segretario; TORTORICI Pietro Quirino, secondo segretario, dal 5 maggio primo segretario.

PORTOGALLO

Lisbona-DE PAOLIS Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SABETTA Luigi, primo segretario.

ROMANIA

Bucarest -SCAMMACCA Michele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; REGARD Cesare, primo segretario; BELTRANI Alvaro Vito, secondo segretario, dal 1° marzo.

SANTA SEDE

Roma-MELI LUPI DI SoRAGNA Antonio, ambasciatore; SILJ DI SANT'ANDREA D'UssiTA Francesco, consigliere; MARINUCCI DE REGUARDATI Costanzo, secondo segretario.

SIAM

Bangkok-Bovo Goffredo, incaricato d'affari.

SIRIA

Damasco -CoRTESE Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FIGAROLO DI GROPELLO Adalberto, primo segretario.

SPAGNA

Madrid-CAPOMAZZA DI CAMPOLATTARO Benedetto, incaricato d'affari; CITTADINI CESI Gian Gaspare, primo segretario; GASPARINI Carlo, secondo segretario.

STATI UNITI

Washington -TARCHIANI Alberto, ambasciatore; MASCIA Luciano, consigliere con funzioni di osservatore presso l'O.N.U.; LUCIOLLI Mario, consigliere; ORTONA Egidio, primo segretario; BouNous Franco, primo segretario; CATALANO DI MELILLI Felice, secondo segretario; PANSA CEDRONIO Paolo, terzo segretario; GUAZZARONI Cesidio, quarto segretario.

SUD AFRICA

Pretoria -JANNELLI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRILLO Remigio Danilo, primo segretario, fino al 2 aprile; FRANCO Fabrizio, primo segretario, dal 24 gennaio.

SVEZIA

Stacco/ma -MIGONE Bartolomeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; EMo CAPODILISTA Gabriele, primo segretario.

SVIZZERA

Berna -REALE Egidio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PLETTI Mario, primo segretario, fino al 30 aprile; PRUNAS Pasquale, primo segretario; MoRozzo DELLA RoccA Antonino, secondo segretario; NUTI Giampiero, terzo segretario, fino al 4 maggio.

TURCHIA

Ankara -PRUNAS Renato, ambasciatore; CoRRIAS Angelino, consigliere; LANZA Michele, primo segretario; MANCA DI VILLAHERMOSA E S. CROCE Enrico, secondo segretario.

UNGHERIA

Budapest -BENZONI DI BALSAMO Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELLIA Franco, primo segretario; FABIANI Oberto, secondo segretario, fino al 5 marzo; CALENDA Carlo, secondo segretario, dal l Ofebbraio.

U.R.S.S.

Mosca -BROSIO Manlio, ambasciatore; ZAMBONI Guelfo, consigliere; NAVARRINI Guido, primo segretario; LoNr Aldo, secondo segretario.

URUGUAY

Montevideo -TACOLI Alfonso, ambasciatore; MoscATO Niccolò, primo segretario; SOLARI Pietro, primo segretario, dal 27 maggio.

VENEZUELA

Caracas -CASSINIS Angiolo, ambasciatore; SAVORGNAN Alessandro, primo segretario.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(/ gennaio-30 giugno I949) 1

Afghanistan -0SMAN AMIRI Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; IBRAHIM Mohammed, primo segretario.

Argentina-OCAMPO GIMENEZ Rafael, ambasciatore; PAULSEN Olinto Alberto, primo consigliere; PELUFFO Antonio R., FERNANDEZ Carlos Alberto, secondi consiglieri; ScELSO Lucio E., consigliere; NEGRE Julio, CASTELLS Luis, PANNO Jorge A., primi segretari; ZAMBRUNO Maria Elena, Ouvo GALLO Luis B., secondi segretari; ALVAREZ DE TOLEDO Jose Maria, PEYLOUBET Enrique Ricardo, 0TERO Juan, terzi segretari; CoMOLLI Guido, EsPANA Adolfo Raul, consiglieri economici.

Austria -SCHWARZENBERG Johannes E., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VEROSTA Stephan, consigliere; HARTL Karl, segretario; HoLTz Harald, segretario, dal 26 aprile.

Belgio -MoTTE André, ambasciatore; DE R!DDER Frédéric, consigliere; DE ROMRÉE DE VrcHENET Henri, consigliere per gli affari economici.

Bolivia -SAAVEDRA SuAREZ José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; QUINTANTLLA Eduardo, primo segretario.

1 Dati tratti da MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI. CERIMONIALE, Ambasciate e legazioni estere in Italia (pubblicazione periodica). Per i titolari di sede la data riportata è quella di presentazione delle lettere credenziali.

Brasile -DE MORAES BARROS Pedro, ambasciatore; DUTRA Osorio Hermogeneo, ministro consigliere, dal 21 aprile; DA RocHA Antonio Xavier, consigliere commerciale; GRACIE LAMPREIA Joào, GURGEL VALENTE Mozart, MOREIRA DE MELLO Mellilo, secondi segretari; VIANNA DE CARVALHO Victorino, terzo segretario.

Bulgaria -TARABANOV Milco Janev, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DIMITROV Christo Gheorghiev, primo segretario; BELTCHEV Ivan, terzo segretario; NEDEV Jordan, terzo segretario, dal 24 marzo.

Canada -DESY Jean, ambasciatore; LE MESURIER CARTER Thomas, secondo segretario.

Cecoslovacchia -MATOUSEK Miloslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PACAK Milos, consigliere; BARTOVSKY Emil, RuPRICH Josef, primi segretari; WERNER Bohumil, terzo segretario.

Cile -ARANCIBIA LASO Hector, ambasciatore; MAZA Armando, ministro consigliere, dal 24 gennaio; SANTANDREU Hernan, primo segretario; LAGOS CARMONA Guillermo, segretario.

Cina -TSUNE-CHI Yii, ambasciatore; SHANG-CHUNG Kao, consigliere; CHIA-YUNG Chang, YOUNG SoN Yen, secondi segretari; TcHE JEN Ki, terzo segretario; TcHou YIN, consigliere giuridico.

Colombia -URIBE MISAS Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAMACHO MoNTOYA Guillermo, primo segretario; CARDONA JARAMILLO Alberto, secondo segretario.

Cuba -DE BLANCK Guillermo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PRIsco PoRTO Antonio, primo segretario.

Danimarca -MoHR Otto Cari, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BuLL Tage, ministro consigliere.

Dominicana (Repubblica) -PINA BARINAS Cesar, inviato straordinario e ministro pienipotenziano; RUBIROSA Porfirio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 10 febbraio; ALMANZAR Jose Henriquez, P ARRA DE LOS REYES Juan, primi segretari.

Ecuador -JACOME Rodrigo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARTETA Carlos Alberto, consigliere; VELA-BARONA Gonzalo, secondo segretario, dall' 11 febbraio.

Egitto -RAHMAN HAKKI BEY Abdul, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HASSAN DARWICHE Ali, primo segretario; CHAFIK BEY Hassan, primo segretario, dal 14 gennaio; GHALI Ibrahim Amin, secondo segretario; FAHIM Amin Mohamed, terzo segretario; SOUKA Amin Mohamed, terzo segretario, dal 13 gennaio; CHEDID Mohamed Mohamed, segretario commerciale.

Filippine -IMPERIAL Domingo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SEBASTIAN Proceso E., inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 13 giugno; MALOLES Octavio L., primo segretario; BUENCAMINO Felipe, secondo segretario; IBANEZ Melquiades, secondo segretario, dall'S maggio.

Finlandia -HOLMA Harri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AHTILUOTO Lauri, segretario.

Francia -FOUQUES-DUPARC Jacques, ambasciatore; DE CouRCEL Geoffroy, primo consigliere; SEBILLEAU Pierre, secondo consigliere; TORRES Charles, primo segretario; FOURIER-RUELLE René, secondo segretario; HuGUES Jean, consigliere commerciale; VIEILLEFOND René, consigliere culturale.

Gran Bretagna-MALLET Victor A. L., ambasciatore; WARD J.G., BRAINE W.H., consiglieri; WILLIAMS M.S., REEVES J.P., PILCHER Y., HANNAFORD G.G., McEWEN I.H.P., ADAMS M.C., TOOBY F.W., primi segretari; DANIELL R.A., primo segretario, dal l o aprile; STEWART C.C.B., primo segretario, dal 29 giugno; MooRE A.R., BOYD J.G., SILVERWOOD-COPE C.L., HOWARD E.B.C., HENDERSON C.H., MAXWELL W.N.R., VERSCHOYLE D.H., TATE O.J., TROUNSON A.D., BUSHELL J.C.W., secondi segretari; CREMONA S., secondo segretario, dal 7 marzo; BENDALL D.V., GLOVER

T. W., ADAMS F.G., ROLO C.F., terzi segretari; ISOLANI C. T., CHARLES D.F.N., terzi segretari, dal 7 marzo; EMPSON C., ministro commerciale.

Grecia -CAPSALIS Dimitri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VATIKIOTTY Constantin, ministro consigliere; HIMARIOS Constantin, primo segretario.

Guatemala -ARRIOLA Jorge Luis, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SoLARES Enrique, primo segretario.

Haiti-LANOIX Franck, consigliere, incaricato d'affari; BRUTUS Edner, consigliere, da giugno; SAM Max D., primo segretario, fino a giugno.

India-N.N., ambasciatore; MANI Rangiah Subra, incaricato d'affari, dal 25 gennaio; BAHADUR Maharaj Rana Herishchandra, secondo segretario, dal 4 marzo.

Iran -PAKREVAN Fathoullah, ambasciatore; AcHTARI Ibrahim, consigliere, dal 22 aprile; ADLE TABATABAI Morteza, segretario; SALARI Mohamed, terzo segretario, dal 14 aprile.

Irlanda -MACWHITE Michael, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; O'BYRNE Patrick Joseph, segretario.

Islanda-BENEDIKTSSON Petur, inviato straordinario e ministro plenipotenziario2 .

Jugoslavia -IvEKOVIC Mladen, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; lvANCEVIC Rafo, ministro plenipotenziario consulente per le restituzioni; JANHUBA Rudolf, JOVANOVIC Milos, consiglieri; STANIC Bozidar, primo segretario, dal 7 maggio; MANDIC Nikola, NERANDZIC Petar, JovANovrc Vaso, secondi segretari; VELJACIC Cedomil, RUBINJONI Branko, terzi segretari; BABIC Zvonimir, consigliere commerciale; DEFRANCESKI Josip, consigliere stampa.

Libano -KHoURY Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BANNA Mahmoud, primo segretario.

2 Residente a Parigi.

Messico -ARMENDARIZ DEL CASTILLO Mariano, ambasciatore; OJEDA Carlos Dario, ambasciatore, dal27 maggio; GARZA RAMOS Mario, primo segretario, dal21 maggio; LARIS CASILLAS José Luis, terzo segretario; RUIZ G. Wulfrano, consigliere commerciale2 .

Monaco -MAUGRAS Roger, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE WITASSE Pierre, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 30 marzo.

Norvegia -FAY Hans, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BENTZON Sigurd, ministro consigliere; ORVIN Fredrik, primo segretario; MOLTKE-HANSEN Axel Ivar Lucien, primo segretario, dal 22 febbraio.

Paesi Bassi -DE BYLANDT Willem, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE LYNDEN R.B., primo segretario; DE WAAL H.W.R., segretario commerciale; VAN WALEN Willem, secondo segretario commerciale.

Panama -MORALES Juan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DIAZ Rogelio, primo segretario; VALLARINO Rafael, segretario.

Paraguay -Lo FRUSCIO Silvio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Perù -RrvERA SCHREIBER Ricardo, ambasciatore; FLORES Luis A., ambasciatore, dal 27 maggio; LANATA COUDY Luis F., ministro consigliere; CERRO CEBRIAN Vicente, ministro consigliere, dal 25 giugno; VEGAS SEMINARIO Francisco, SOSA PARDO DE ZELA Mario, primi segretari; GONZALES DITTONI Enrique, secondo segretario, dall'li maggio; LASARTE FERREYROS Luis, terzo segretario, dal31 marzo; MoRELLI PANDO Jorge, terzo segretario, dall'li maggio; MACHIAVELLO Palmiro, ministro plenipotenziario, addetto speciale per l'immigrazione.

Polonia -OsTROWSKI Adam, ambasciatore; WYSZYNSKI Witold, consigliere; MARKOWSKI Eugeniusz, primo segretario; BURKACKI lgnacy, STROYNOWSKI Juliusz, secondi segretari; PIEKAREC Wincenty, consigliere commerciale.

Portogallo -DE CALHEIROS E MENEZES Francisco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BACELAR MACHADO Eduardo Alberto, primo segretario.

Romania-CroRoru Nicolae, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LEVIN Mihai, ministro consigliere; MARCEL Gerard, primo segretario, consigliere commerciale, dal 23 febbraio; UNGUREANU Mircea, secondo segretario; DINULESCU Nicolae, consigliere stampa.

Santa Sede -BoRGONGINI DucA Francesco, arcivescovo titolare di Eraclea, nunzio apostolico; RIGHI LAMBERTINI Egano, ALIBRANDI Gaetano, uditori; CAGNA Mario, segretario, dal l o febbraio.

Spagna -DE SANGRONIZ Y CASTRO José Antonio, ambasciatore; DE RANERO Y RODRIGUEZ Juan Felipe, ministro consigliere; ALCOVER Y SUREDA José Felipe, PONCE DE LEON Mario, primi segretari; BARNACH-CALBO' Y GINESTA Ernesto, GONZALESCAMPO DAL RE José Carlos, MuNOZ SECA Y DE ARIZA Alfonso, secondi segretari; SCHWARTZ Y DrAZ FLORES Juan, consigliere per gli affari economici.

Stati Uniti -DUNN James Clement, ambasciatore; BYINGTON Homer M. jr., ministro consigliere; WALMSLEY Walter N. jr., consigliere per gli affari economici; ANDERSON Orville C., PAGE Edward jr., CoTTAM Howard R., BLACK Myron L., HORSEY Outerbridge, WINSOR lVES J., primi segretari; BLAKE Williams M., MEIN John Gordon, RHODES Harold H., SNYDER Byron B., HAMMOND Miles B., GIBSON William G., GREENE Joseph N. jr., McFADDEN William A., KNIGHT William E., PAPPANO Albert E., RrcE Maurice S., secondi segretari; FIDEL Allen E., MIRICK Susannah, BRAND RobertA., LOORAM Matthew J. jr., terzi segretari.

Sud Africa (Unione del) -THERON François Henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KrRSTEN Robert, primo segretario; VILJOEN A.J.F., secondo segretario; DE VILLIERS l.F.A., MARÈ A.S., terzi segretari; LAMBOOY Bartholomeus, segretario commerciale; HANRETTE Wilfred E., segretario commerciale aggiunto.

Svezia -GONTHER Christian, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GR6NWALL Tage Holm Fredrik, consigliere; FAGRAEUS Gunnar, segretario.

Svizzera -DE WECK René, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RrTTER Paul G., PARODI André, consiglieri; DE RHAM Jean-Guy, consigliere, dal 28 maggio; SULZER Robert, JANNER Antonino, secondi segretari; DESLEX Edmond Robert, segretario.

Turchia -BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; TEBELEN Mennan, consigliere; YOLGA Namik, TUNALIGIL Danis, primi segretari; TULUY Turan, secondo segretario; OZKOL Mazhar, consigliere commerciale.

Ungheria -VEucs Laszl6, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TOLNAY Gabor, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 28 maggio; PooùR Ladislao, primo consigliere; SZEKERES Georges, GAL Imre, consiglieri; CzrNK Anthal, consigliere, dal 25 marzo; FoRBATH Guido, EsrERHÀZY Andrea, primi segretari; MAGORI-VARGA Erzsebet, segretario; LACZKovrcs Miklos, segretario, dal 24 marzo.

U.R.S.S. -KOSTYLEV Mikhail, ambasciatore; MARTYNOV lvan, TCHERKASSOV Mikhail, consiglieri; GORCHKOV Nikholai, OOULIAN Gaik, primi segretari; PRIVALOV Petr, PIROJNIKOV Lorents, BoJANOV Alexandre, secondi segretari; NrKOULINE Ivan, secondo segretario, dal 15 giugno; CHOUNINE Victor, BOGUEMSKI Gueorgui, POKROVSKI Alexei, Rooov Mikhail, BoNDARENKO Sviatoslav, terzi segretari; KAMENSKII Vassili, rappresentante commerciale; SNEJKO Ivan, sostituto rappresentante commerciale; SALIMOVSKI Vladimir, vice rappresentante commerciale.

Uruguay -GIAMBRUNO Cyro, ambasciatore; HERRERA-MENDEZ Horacio, AvEGNO ILLA Emilio J., segretari.

Venezuela -PAz CASTILLO Fernando, ambasciatore; GrL-FORTOUL Henrique, ambasciatore, dal 17 marzo; GALLEGOS MEDINA Rafael, consigliere; ARAUJO Romulo, consigliere, dall' 11 aprile; VILLANUEVA Manuel, primo segretario; LECUNA Juan Vicente, secondo segretario; CARMONA Ramon, consigliere commerciale.